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UNDICESIMA SERIE

AVVERTENZA

1. Nel presente volume, il sesto dell’undicesima serie, sono pubblicati i documenti relativi alla prima parte del settimo governo De Gasperi (26 luglio 1951-7 luglio 1953), dalla costituzione del governo al 30 giugno 1952. Anche in questo caso, come in quelli dei volumi precedenti, la suddivisione è frutto solo di ragioni di carattere editoriale. Dopo la malattia di Carlo Sforza il Ministero degli Affari Esteri venne assunto dallo stesso presidente del Consiglio, riprendendo la prassi del cumulo delle due cariche che era stata adottata già nel II governo Badoglio, nel I governo Bonomi e dallo stesso De Gasperi nei suoi primi due governi (nel secondo ad interim), fmo alla nomina di Pietro Nenni. De Gasperi era stato già ministro degli Esteri, per la prima volta nel secondo governo Bonomi, oltre che nei due governi da lui stesso presieduti, per circa due anni, dal dicembre 1944 all’ottobre 1946 e avrebbe assunto la carica oltre che nel suo VII anche nel breve VIII governo (16 luglio 1953-2 agosto 1953), l’ultimo da lui presieduto, prima della morte. Paolo Emilio Taviani fu sottosegretario insieme a Francesco Maria Dominedò (con delega per l’Emigrazione). Il primo in particolare, convinto sostenitore della politica atlantica ed europeista di De Gasperi, partecipò ai negoziati per l’istituzione della C.E.D. ed ai comitati del Consiglio d’Europa e del Patto atlantico, svolgendo inoltre un ruolo importante in varie altre questioni, da quella di Trieste alle trattative con il Giappone. La carica di segretario generale rimase affidata all’ambasciatore Vittorio Zoppi, nominato già dal 1° giugno 1948, fmo al 6 dicembre 1954.

2. Nel periodo successivo alla fine della guerra, man mano che il Ministero riassume la sua struttura organizzativa, a partire dalla ricostituzione dell’Amministrazione centrale disposta dal sottosegretario di Stato Visconti Venosta con l’ordine di servizio n. 1 del 15 luglio 1944 e con i vari provvedimenti di riorganizzazione che si susseguono soprattutto dopo la nomina di Sforza a ministro, la mole del materiale presente nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero – la fonte principale a cui si è attinto nelle ricerche – cresce progressivamente. Ciò ha richiesto, da un lato, una più rigorosa selezione del materiale per la pubblicazione e dall’altro una graduale limitazione del periodo oggetto della pubblicazione.

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1 Esplicite sono in proposito le istruzioni impartite a Quaroni il 2 agosto 1951, si veda il D. 21.

E infatti ottenne a Washington la dichiarazione tripartita del 26 settembre, sulla base della quale, e dopo non poco laboriose negoziazioni condotte principalmente a Londra, Parigi e Washington ma anche presso le capitali latino-americane e in sede O.N.U., riuscì a varare la Nota italiana dell’8 dicembre diretta ai paesi firmatari del trattato di pace.

Altro argomento al centro dell’attenzione del Ministero degli Esteri fu la questione dell’ammissione dell’Italia all’O.N.U. Il governo italiano compì un nuovo tentativo a Ottawa, quando De Gasperi consegnò il promemoria italiano ai ministri degli Esteri britannico, francese e statunitense. Nonostante il lavorio delle Cancellerie per l’elaborazione di un piano (prima francese e poi tripartito) e gli interventi per l’appoggio dei paesi latino-americani, tuttavia, anche questo tentativo sfociò, come quelli precedenti, nella consueta opposizione dell’Unione Sovietica, in sede di Consiglio di sicurezza, a concedere l’ammissione all’Italia se non simultaneamente ad altri paesi a essa legati (Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania e Mongolia Esterna).

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Nel periodo considerato in questo volume uno dei temi della politica internazionale di maggiore rilievo è il negoziato per la Comunità europea di difesa (C.E.D.), iniziato a Parigi il 15 febbraio 1951 e conclusosi il 27 maggio 1952 con la firma


2 Si vedano in particolare i DD. 6 e 7.


3 Nella lettera personale a Zoppi del 7 settembre 1951 con la quale riferiva circa il colloquio di De Gasperi con Pleven, D. 96.


4 Si vedano i DD. 45 e 46.


5 Opinione ribadita nelle sue varie comunicazioni e ampiamente argomentata nei rapporti al ministro: si vedano in particolare i DD. 187 e 566.


6 Si vedano in particolare i DD. 271, 419 e 503. In senso analogo vedi anche E. Ortona, Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 141.


7 Qui pubblicato al D. 36.

del trattato istitutivo. I documenti qui pubblicati ricostruiscono le delicate fasi delle trattative e illustrano la posizione del governo italiano. Per De Gasperi la funzione della C.E.D. non doveva essere confinata alla soluzione dei problemi militari della difesa dell’Europa e del riarmo della Germania, bensì doveva essere un passo importante nella direzione federalista. Per questa ragione il ministro degli Affari Esteri cercò di appoggiare l’istituzione di un’assemblea a elezione diretta, quale «passo decisivo verso la federazione europea», e propose di dare al trattato una durata cinquantennale (8) . I problemi che avrebbe rappresentato per l’Italia l’istituzione della C.E.D. secondo le linee indicate nel rapporto interinale di Parigi del 24 luglio 1951, spossessando il Parlamento nazionale di una parte essenziale delle sue responsabilità, senza trasferirle a un altro Parlamento che fosse anch’esso emanazione della volontà popolare, sono analizzati nel lungo rapporto di Malagodi – membro della delegazione permanente presso l’O.E.C.E. – del 29 luglio 1951, secondo il quale il progetto di Comunità delineato nel rapporto interinale corrispondeva «proprio alla peggiore delle soluzioni» per l’Italia (9) . Per queste ragioni – affermava Malagodi – era essenziale che l’assemblea della Comunità venisse eletta direttamente dagli elettori e si trasformasse quindi in un «Parlamento confederale». Tale proposta, tuttavia, secondo Quaroni, poteva essere utile lanciarla, anche per i positivi riflessi derivanti dall’averla lanciata; ma era «una di quelle idee che è bene lanciare e che è bene che siamo noi a farlo, ma senza attaccarcisi troppo» (10) .

, sino al marzo 1952 (colloqui Guidotti-Bebler), che sancirono l’impossibilità di giungere a una base condivisa per la soluzione del problema del T.L.T. Intanto i gravi incidenti di Trieste del 20 marzo provocarono l’acuirsi delle tensioni anche verso la Gran Bretagna, che trovarono un alleggerimento solo dopo l’avvio delle conversazioni di Londra, conclusesi il 9 maggio con il Memorandum d’intesa per l’amministrazione della Zona A. Uno dei temi più delicati affrontati dal Ministero fu quello delle elezioni a Trieste, che il Governo italiano riteneva inopportune a causa dell’inasprimento della situazione locale e per le quali, dopo insistenti richieste e superando le resistenze britanniche, ottenne il rinvio.

Una delle conseguenze del cumulo delle due cariche, di presidente del Consiglio e di ministro degli Affari Esteri, da parte di De Gasperi, fu una minore attenzione all’amministrazione del Ministero. Quaroni, ad esempio, rilevò una certa carenza nella trasmissione delle direttive dall’amministrazione centrale verso la periferia e


8 Si vedano, in particolare, il promemoria della delegazione italiana dell’8 ottobre 1951, D. 135, Allegato, il telespresso di Zoppi agli ambasciatori a Londra, Parigi e Washington del 16 novembre 1951, D. 234, il telegramma segreto di De Gasperi a Cavalletti del 14 marzo 1952, D. 427 e il telegramma segreto di De Gasperi a Babuscio Rizzo del 2 aprile 1952, D. 479.


9 Vedi D. 9.


10 Si veda lettera riservata di Quaroni a Taviani del 22 settembre 1951, D. 116.


11 Vedi D. 151.

nella circolazione delle informazioni necessarie per le varie ambasciate in modo da metterle in grado di seguire le pratiche, rilievi che l’ambasciatore non si trattenne dall’esprimere apertamente – e in più di un’occasione – allo stesso De Gasperi (12) .

Carenza e disfunzione che sembra plausibile attribuire appunto alle responsabilità che De Gasperi aveva al di fuori di palazzo Chigi.

. Indagini complementari sono state svolte presso l’Archivio centrale dello Stato e l’Istituto universitario di Firenze, che conserva l’archivio personale di De Gasperi. Presso l’Archivio storico del Ministero, in particolare, si sono utilizzati i fondi della Direzione generale degli Affari Politici 1951-1957: l’Ufficio I (Cassaforte), l’Ufficio I (1° versamento) 1947-1960, l’Ufficio IV (versamento C.E.D.) 1950-1954, l’Ufficio V (supplemento) 1950-1954, le Carte Alto Adige e la raccolta dei telegrammi segreti e ordinari.

Più complessa si è rivelata la ricerca nelle carte del Gabinetto del ministro, nei due fondi in cui si articola tale archivio in questo periodo (un fondo relativo agli anni 1943-1958 e l’altro agli anni 1953-1961). La difficoltà è stata costituita dalle evidenti lacune di tale archivio, lacune verosimilmente dovute al fatto che De Gasperi, come si è detto, non svolgeva abitualmente le sue funzioni a palazzo Chigi, sede del Ministero degli Affari Esteri, bensì presso la presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, ad esempio, si è rivelata lacunosa la documentazione sugli incontri internazionali: sul viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti nel settembre 1951 e sulla visita di Anthony Eden a Roma a fine novembre dello stesso anno. Circa il primo si sono ritracciate nell’archivio degli Affari Politici le bozze dei verbali delle riunioni tenutesi al Dipartimento di Stato dal 24 al 26 settembre. I documenti rinvenuti non sono completi, ma un raffronto con i verbali del Dipartimento di Stato (editi in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, Europe: Political and economic developments, Part 1, Washington, United States Government Printing Office, 1985) ha consentito di verificare che le lacune sono contenute e non sono sostanziali. Per quanto riguarda la visita di Eden sono invece stati individuati soltanto i documenti preparatori.

Sono stati inoltre consultati, come di consueto, gli archivi delle Ambasciate versati presso l’archivio del Ministero: in particolare, quello dell’Ambasciata di Londra (1951-1954); dell’Ambasciata di Mosca (elenco di versamento 1951-1952); dell’Ambasciata di Parigi (elenco di versamento 1951-1958); dell’Ambasciata presso la Santa Sede (1946-1954); dell’Ambasciata a Vienna (elenco di versamento 1946-1957) e dell’Ambasciata a Washington (1940-1973).


12 Quaroni, ad esempio, scriveva al ministro il 2 agosto 1951: «[...] purtroppo, su questa come su molte altre questioni, la corrispondenza fra le ambasciate ed il Governo è purtroppo un monologo: le rappresentanze all’estero dicono quello che pensano e come vedono le cose; raramente però riescono a sapere cosa ne pensa e come le vede il Governo italiano: è una vecchissima tradizione che continua» (D. 23); e ancora l’11 marzo dell’anno successivo: «Che cosa sia stato detto e fatto sull’esercito europeo alla Conferenza di Lisbona, non lo so che molto vagamente; né conto di saperlo, data l’ottima tradizione del Ministero di diramare con la massima diligenza tutte le cose di poca importanza e di essere invece reticente nel diramare informazioni sulle questioni realmente importanti» (D. 419).


13 Con gli ordini di servizio nn. 43 e 44 del 9 novembre 2006 il ministro degli Esteri ha disposto la declassifica di tutti i documenti di carattere politico per gli anni 1948-1953. I documenti inclusi nel presente volume vengono però come sempre pubblicati con l’indicazione della classifica originale.

Va infine segnalato che per quanto riguarda i documenti provenienti dall’estero l’ora di partenza indicata è quella del fuso orario locale.

4. Il lavoro per la pubblicazione del volume era stato in parte già compiuto sotto la direzione del Prof. Pietro Pastorelli, curatore insieme al Prof. Ennio Di Nolfo della serie XI. Il Prof. Pastorelli aveva impostato la ricerca del materiale ed aveva provveduto a una prima scelta dei documenti, quando è mancato nell’estate del 2013. Il sottoscritto quindi ha curato la scelta finale del materiale da pubblicare e la fase conclusiva dell’allestimento del volume. Le ricerche, come nel caso degli altri volumi della serie, sono state effettuate con la consueta competenza dalle dott.sse Antonella Grossi e Francesca Grispo, entrambe Archiviste di Stato presso l’Unità analisi e programmazione del Ministero degli Esteri, con la collaborazione della dott.ssa Tozzi Condivi. Le dott.sse Grossi e Grispo, inoltre, hanno collaborato alla scelta del materiale, anche per colmare le lacune in un primo tempo riscontrate, e quindi alla redazione dell’apparato critico, degli altri apparati (appendice e regesti) e a tutte le fasi ulteriori dell’allestimento del volume compresa la redazione della presente Avvertenza. Devo quindi ringraziarle entrambe, come anche la dott.ssa Tozzi Condivi, per l’eccellente lavoro compiuto con passione e cura, senza il quale la pubblicazione dei volumi di questa serie non sarebbe stata possibile.

Francesco Lefebvre D’Ovidio


DOCUMENTI
1

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo 894/900. Roma, 26 luglio 19511.

Fui ricevuto in udienza privata dal Santo Padre, martedì mattina a Castelgandolfo. Nel corso dell’udienza, il Santo Padre mi espresse in termini generali ma energici la sua preoccupazione per la situazione in Italia, e per la sconfinata libertà di malfare che vien lasciata alla stampa, alle adunanze, alla predicazione, alle organizzazioni ed alle multiformi attività antireligiose ed antisociali del partito comunista. Lamentò in ispecial modo che il regime democratico non possa o non voglia distinguere fra la giusta e lecita libertà di critica, di discussione, di lotta politica ed intellettuale, e la perfida ed insolente utilizzazione della libertà democratica ai fini di sovvertire l’ordine sociale e strozzare la libertà stessa e con essa la Chiesa e tutti i valori della civiltà cristiana.

Avuto, il successivo mercoledì, udienza da mons. Montini, gli riferii le parole del Pontefice e lo pregai di chiarirmele e chiosarmele più particolarmente.

Mi disse che la Santa Sede ha l’impressione penosa che la marea sovversiva prema di più in più, e che le barriere che le si oppongono flettano e perdano forza, prestigio e capacità di resistenza.

Gli chiedo se tale impressione derivi dall’analisi dei risultati delle recenti elezioni o da altri rapporti degli organi periferici. Mi risponde: dall’una e dall’altra cosa. Le riforme finora effettuate non hanno dato alcun tangibile risultato; anzi, i voti comunisti sono piuttosto aumentati là dove si sono applicate, mentre le classi superiori e medie tendono ad abbandonare il partito di centro, per volgersi a quei di destra. Se tale processo di divisione continua, il partito social-comunista diverrà il più numeroso del paese con tutte le pericolose conseguenze che è inutile qui elencare.

Mi cita il caso dei mezzadri toscani. I provvedimenti a loro favore, compresa l’inamovibilità e il più favorevole comparto dei redditi, non hanno dato alcun frutto, al contrario.

Gli chiedo, dove la Segreteria di Stato veda le cause, e dove i possibili rimedi, della situazione.

Mi risponde cominciando dal riconoscere le incapacità, i difetti, le gravi manchevolezze dell’azione ecclesiastica. La Santa Sede dovrà chiedere al clero ed all’azione cattolica nuove attività, nuovi metodi, nuovi sforzi.

Passando a quanto riguarda le autorità civili, riprende e sviluppa le frasi del Santo Padre. La Santa Sede crede necessaria una severità maggiore verso comunismo e comunisti. È necessità vitale che l’autorità recuperi il suo prestigio, e dia il senso di non aver paura, non solo a parole, ma a fatti. Le masse dei comunisti, che sono per lo più militanti in quelle file non per principi ideali, ma per la persuasione che ivi ci sia sempre da guadagnare poco o tanto che sia, e mai da perdere, debbono invece essere fatte praticamente persuase che son cessati favori, posti, benefici, provvedimenti, pei nemici della società. La maggior repressione e proibizione delle pubbliche attività del partito – cui leggi e regolamenti prestano ogni possibilità, purché s’interpretino opportunamente – deve resistere alle proteste dei maggiorenti. E così via.

Non dubito che tale stato d’animo non si sia manifestato per vie più dirette di questa mia ed altre precedenti conversazioni. Non ho tuttavia creduto di esimermi dal farne un breve cenno, in quanto il Pontefice personalmente mi ha toccato dell’argomento.


1 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

2

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 26 luglio 1951.

L’ambasciatore di Gran Bretagna mi ha iersera, dopo un pranzo a casa sua, intrattenuto a lungo sulla questione di Trieste; e lo ha fatto con tono a volte aspro e violento e senza celare la sua evidente irritazione. Pure professando di parlare a titolo personale ed amichevole e di usare perciò la maggiore franchezza, lo scopo era evidentemente quello di manifestare il dispiacere del Governo britannico per la campagna «inscenata» in Italia a proposito di Trieste e di sottolineare la necessità per l’Italia di «ritornare alla ragione» e di cercare al più presto un compromesso con la Jugoslavia. Il pranzo era stato organizzato ad hoc, poiché i soli invitati erano, oltre me, i due ministri consiglieri, rispettivamente dell’ambasciata di Gran Bretagna, Dean, e dell’ambasciata degli Stati Uniti, Thompson.

Per due ore, sir Victor Mallet mi ha sottoposto ad un fuoco di fila di obbiezioni, di rimostranze, di recriminazioni, a proposito della condotta italiana nell’affare di Trieste. Le principali osservazioni erano: che tutta la campagna giornalistica era una «montatura», basata su fatti arcinoti e rimontanti a parecchi e parecchi mesi addietro; che l’inizio della campagna, segnato dagli articoli di Grazzini sul Corriere della Sera, non può essere stato dato che da ambienti interessati a combattere e svalutare la politica del conte Sforza; che il Governo, favorendo o attizzando la campagna, ha dato man forte a tutti gl’irredentisti, nazionalisti e patriottardi, sempre pronti a speculare sui sentimenti popolari; che chi aveva il diritto di parlare di «punture di spillo» non eravamo certo noi, bensì gli inglesi che da tempo subivano, per la questione di Trieste, ben più che «punture di spillo», attacchi, insinuazioni e insulti; che i jugoslavi avevano ogni ragione di diffidare e di stare in guardia e ch’egli comprendeva benissimo il loro stato d’animo, di fronte a pubbliche rivendicazioni italiane dell’Istria che trovavano espressione anche in dichiarazioni del Governo; che l’Italia aveva, firmando il trattato di pace, rinunziato a Trieste e al suo territorio; che, se l’Italia conserva ancora una speranza di salvare Trieste, anche dopo la folle politica di Mussolini, ciò è solo grazie alla presenza delle truppe alleate; che, se altri e più importanti scopi di difesa dell’Europa, dei quali l’Italia per prima dovrebbe esser conscia e facilitare la realizzazione, non trattenessero colà gli Alleati, questi avrebbero da tempo lasciato Trieste e l’Italia non sarebbe stata in grado di tenerla, contro la Jugoslavia, neanche per un’ora; che si tratta ora di acquistarsi l’amicizia della Jugoslavia, che è essenziale per l’Italia, come è necessaria anche all’Europa, perché senza la Jugoslavia non è possibile organizzare la difesa dell’Europa centro-meridionale e soprattutto dell’Italia; che per l’Italia si tratta appunto di sapere se vuole difendersi in Carinzia o se preferisce, per un puntiglio nazionalistico che concerne un territorio senza importanza, grande quanto una scatola di fiammiferi, abbandonare la pianura padana; che il problema di regolare i rapporti italo-jugoslavi è di estrema urgenza, perché il tempo stringe e non si sa cosa ci riservi l’avvenire immediato; che il presidente De Gasperi insistette a Londra, nel marzo scorso1, perché fosse rinnovata da Dichiarazione del marzo 1948, allo espresso scopo di poter negoziare con la Jugoslavia «from a position of strength», ma che da allora nulla si è fatto invece per venire ad un accordo con la Jugoslavia, ecc. ecc.

Ho naturalmente risposto a sir Victor, ribattendo con la stessa vivacità i suoi argomenti. Gli ho fatto osservare che, se l’Italia ha dovuto, per il trattato impostole, rinunziare giuridicamente al territorio di Trieste, è altrettanto vero che gli stessi effetti giuridici valgono per la Jugoslavia, alla quale non è stato mai attribuito il territorio di Trieste né alcuna parte di esso; e l’uomo della strada in Italia, cioè la totalità degli italiani, non può quindi comprendere perché debba essere lecito alla Jugoslavia, con il tacito assenso degli Alleati, di assimilare completamente la Zona B, mentre gli Alleati, che hanno solennemente riconosciuto dovere tutto il territorio di Trieste ritornare all’Italia, oppongono inutili chicanes, sia a proposito della competenza giudiziaria che a proposito della bandiera o di altre cose, che logicamente sollevano il sospetto e il risentimento del popolo italiano, il quale non ha certo bisogno di «campagne», che non sono state mai artificiosamente organizzate, per appassionarsi ad un problema, al quale – ciò è evidente ed indiscutibile, ma per ciò stesso non si comprende perché gli Alleati non ne vogliano tenere il debito conto – esso è particolarmente e vivamente sensibile. Ho fatto rilevare a Mallet l’assurdità dell’idea che la campagna del Corriere della Sera sia stata inscenata in odio al nostro ministro degli esteri, quando tutti sanno gli ottimi rapporti che corrono fra quel giornale e il conte Sforza; e anche l’assurdità del significato espansionistico o irredentistico che si è voluto attribuire agli accenni del presidente del Consiglio a Pola e all’Istria, assurdità di cui son ben consci i governanti jugoslavi, ai quali quindi con maggior ragione, dato il regime di stampa colà vigente, è da addebitarsi la «montatura» della campagna allarmistica nel vicino paese. Ho fatto osservare all’ambasciatore di Gran Bretagna che la volontà di stabilire amichevoli e fiduciosi rapporti con la Jugoslavia non è mai mancata da parte dell’Italia, e ciò soprattutto perché l’amicizia con i vicini è stato sempre il cardine della politica estera italiana e non già perché, come egli affermava, l’Italia fosse costretta a contare sulla Jugoslavia per difendersi da aggressioni esterne, poiché a tal proposito l’opinione pubblica italiana non condivide il grande assegnamento che da parte britannica sembra si faccia sul valore di un’alleanza jugoslava contro la Russia; si ritiene infatti in Italia che, nella coalizione avversa, la Jugoslavia sarebbe senz’altro un pericoloso nemico, ma, come alleato dell’Occidente contro la Russia, essa è di molto dubbia utilità, per ragioni psicologiche e di struttura interna. La Jugoslavia ha più bisogno dell’Occidente di quanto, nelle condizioni attuali, l’Occidente abbia bisogno della Jugoslavia ed è anche perciò che l’opinione pubblica italiana non può comprendere che gli Alleati abbiano tanti riguardi ed indulgenza per la Jugoslavia e sembrino desiderare o addirittura imporre un compromesso a spese, se non del territorio giuridicamente italiano, certo delle legittime aspettative italiane da loro stessi create ed intrattenute, mentre non fanno alcunché per indurre la Jugoslavia ad accettare la soluzione che gli Alleati stessi hanno proclamato equa e necessaria. L’Italia, per bocca del ministro degli esteri fin dal discorso di Milano dell’aprile 19502, si è manifestata pronta a negoziare con la Jugoslavia sulla base della Dichiarazione tripartita e anche di leggere rettifiche di frontiera che seguissero la linea etnica. Sembra a chiunque che, avendo gli Alleati dato all’Italia una garanzia che dovrebbe essere indiscutibile, verso l’altra parte dovrebbero rivolgersi le premure degli Alleati perché venga ad un compromesso con l’Italia. In caso contrario, l’opinione pubblica italiana deve legittimamente concludere che alla garanzia data gli Alleati non intendono far onore e che vogliono invece incoraggiare la Jugoslavia a irrigidirsi in una posizione di fatto, che è nello stesso tempo una situazione di forza, che nessun Governo italiano potrebbe riconoscere senza essere immediatamente rovesciato.

Il signor Thomposon, che non ha quasi affatto preso parte alla conversazione, si è limitato alla fine a raccogliere questa allusione, per osservare che un intervento a Belgrado potrebbe non riuscire gradito al nostro Governo, in quanto lo stesso fatto di proporre un compromesso a Belgrado, potrebbe significare una modificazione da parte alleata dell’atteggiamento finora mantenuto nel senso che la Dichiarazione tripartita è sempre valida. Mallet è sembrato non attribuire molta importanza a questi scrupoli, ed ha alluso vagamente alla possibilità di un compromesso che attribuisse all’Italia i comuni di Capodistria Isola e Pirano e lasciasse il resto della Zona B alla Jugoslavia, al che ho ritorto che, a mio avviso, il Governo italiano non avrebbe mai potuto accettare volontariamente e far accettare all’opinione pubblica una soluzione simile.

Per quanto il discorso dell’ambasciatore di Gran Bretagna possa avere una genesi del tutto personale, non si può fare a meno di metterlo in relazione con un recente articolo del Times, a cui è stata attribuita ispirazione ufficiosa, secondo il quale l’Italia doveva ormai cogliere l’occasione di un accordo con la Jugoslavia; con le caute aperture di Kardelj e Vejvoda con il ministro Martino; con la premura che le sfere ufficiali inglesi e anche quelle dell’opposizione dimostrano, secondo i rapporti del nostro ambasciatore a Londra, per un pronta soluzione dell’affare di Trieste.

È evidente anche, da quanto sir Victor Mallet mi ha detto, che Londra è ormai convinta dell’utilità e, addirittura, dell’indispensabilità del fattore jugoslavo nell’organizzazione della difesa europea, e, more britannico, convintasi di questo interesse, considera come irritante e da eliminare al più presto, anche a spese dell’Italia, l’affare di Trieste.

Aggiungo che Thompson mi ha telefonato oggi, per farmi capire la sua sorpresa per la conversazione di Mallet e per dirmi che egli era del tutto impreparato e non aveva alcuna parte nell’«attacco».


2 1 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 298, 307 e 330.


2 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.

3

L’AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 2412/513. Montevideo, 27 luglio 1951(perv. il 3 agosto).

Riferimento: Mio telespresso n. 2402/507 del 24 luglio1.

La mia visita di congedo al presidente della Repubblica mi ha fornito l’occasione di intrattenerlo brevemente sulla questione della revisione del nostro trattato di pace. Nel ringraziarlo dell’appoggio che il Governo dell’Uruguay aveva sempre dato nei dibattiti internazionali alle tesi da noi sostenute, ho fatto più esplicito riferimento alle assicurazioni datemi dal ministro degli esteri e di cui al richiamato telespresso.

Il presidente si è mostrato al corrente della situazione e mi ha recisamente confermato che l’Uruguay appoggerà le nostre aspirazioni ad una revisione del trattato. Dopo di aver richiamato la situazione politica e sociale dell’Europa e di aver brevemente commentato il progetto di pace col Giappone e le intenzioni che si attribuiscono agli Alleati circa quello con la Germania, ha concluso dicendo che la revisione del nostro trattato di pace corrisponderebbe all’interesse di tutte le potenze occidentali e costituirebbe un atto di giustizia. A queste ragioni obbiettive l’Uruguay aggiunge quelle sentimentali derivanti dalla naturale amicizia tra i due paesi.

Il presidente, che ha voluto calorosamente esprimermi il suo rincrescimento per il mio richiamo, ha aggiunto che sarà lieto di intrattenersi personalmente col mio successore sugli ulteriori sviluppi della questione per assicurare la più efficace collaborazione2.


3 1 Non pubblicato.


3 2 Vedi D. 174.

4

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato personale 506. Parigi, 27 luglio 1951(perv. il 30).

Ho letto con molto interesse il rapporto della legazione a Belgrado trasmessomi con dispaccio n. 1284/c. del 16 corrente1.

Per quello che mi risulta qui, anche se oggi ci sono ancora molte esitazioni americane, è non solo possibile, ma probabile, che, da un giorno all’altro, essi si decidano a procedere all’armamento massiccio delle divisioni jugoslave: la Spagna insegni. L’accessione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico, non farà che accelerare il processo attualmente in corso.

Per gli americani, parlo dal punto di vista militare, la Jugoslavia è parte essenziale della loro strategia in Europa orientale. Il concetto di aiutare la Jugoslavia a difendersi contro un attacco diretto o indiretto dell’U.R.S.S. è, sotto un certo punto di vista, già superato: a torto od a ragione lo temono molto meno di qualche mese fa. Essi guardano alla Jugoslavia sotto un duplice punto di vista.

Difensivo: un attacco russo contro la Tracia ed i Dardanelli, pericoloso dal punto di vista della strategia del Mediterraneo orientale, può essere molto difficilmente parato da una difesa greco-turca: lo può molto meglio da un attacco di fianco proveniente dalla Jugoslavia.

Offensivo (non ci dimentichiamo che gli americani già considerano, molto seriamente, operazioni offensive contro la Russia): dalla Jugoslavia è facile attaccare il fronte balcanico della Russia: e non soltanto il fronte balcanico ma anche il fronte danubiano.

Per me quello che gli americani domandano alla Jugoslavia non sono riforme interne, ma l’accettazione dei loro piani strategici, sia offensivi che difensivi: e la megalomania jugoslava può facilitare il giuoco americano visto che considerazione dominante è quella militare e che gli americani evolvono rapidamente nelle loro idee, c’è anzi da domandarsi se non arriveranno assai prima di quello che noi ci aspettiamo alla conclusione che, ai fini militari pratici, una dittatura sia di destra che di sinistra sia più utile che un regime democratico.

Fino a che punto si può far conto sul regime di Tito? È questa una domanda che gli americani continuano a porsi: ma se vogliamo avere una visione d’insieme completa non possiamo nasconderci che essi si pongono anche il problema di fino a che punto si può contare sulla Francia e sull’Italia. Ed il ragionamento comparativo americano, qui, risponde che si può contare di più su Tito che non su Francia e Italia.

Gli americani dicono: ogni francese su quattro ed ogni italiano su tre hanno votato comunista. Quindi?...

In Francia ed in Italia i comunisti sono lasciati liberi di fare quello che vogliono più o meno; in Jugoslavia i cominformisti sono sotto controllo. In Francia od in Italia generali ed ufficiali almeno sospetti di rapporti comunisti sono lasciati non solo in libertà ma anche a comandi, ed anche importanti: in Jugoslavia se c’è qualche sospetto di cominformismo, il sospetto va in prigione se non peggio.

E poi c’è la volontà di difendersi, la volontà di fare uno sforzo. La legazione di Belgrado si domanda quale sarà la situazione il giorno che la Jugoslavia abbia trenta divisioni e noi e la Francia dieci o dodici ciascuno. Ma come si fa a spiegare agli americani che un paese piccolo e povero come la Jugoslavia può mettere fuori trenta divisioni mentre Francia e Italia non gliela fanno a tirarne fuori dieci ciascuna? Gli americani rispondono: la Jugoslavia ha voglia di combattere, la Francia e l’Italia no.

Dubbio ce n’è, e per gli uni e per gli altri, e qualche riserva, ma agli occhi degli americani oggi il rischio è più forte per la Francia e per l’Italia che non per la Jugoslavia. Si sbaglieranno, è possibile: ma ritengo mio dovere di attirare l’attenzione di V.E. sul fatto che, oggi, è così che ragionano i militari americani, e, ho ragione di ritenere, non soltanto i militari americani. Sarà uno sbaglio: ma gli errori di chi comanda sono anch’essi delle realtà di cui è necessario tenere conto.

Riserve e dubbi sull’atteggiamento jugoslavo che fa la legazione a Belgrado sono giustissimi e giustificati: ma andiamo a farli agli americani ed agli inglesi. È il discorso che i francesi fanno agli americani e agli inglesi per quello che concerne i tedeschi: i risultati di questo ragionamento francese sugli inglesi e sugli americani li vediamo. Possiamo quindi arguirne che il nostro successo a Londra ed a Washington sarà lo stesso. L’unico ragionamento francese, circa i tedeschi che forse gli americani capirebbero, sarebbe quello di dire: che cosa cercate dieci divisioni tedesche, vi diamo noi dieci divisioni francesi di più. E il discorso italiano che forse gli americani capirebbero è pure quello di dire: non andate a cercare trenta divisioni jugoslave, ve le diamo noi. Ma questo è appunto il discorso che né Francia né Italia possono fare.

Che la Jugoslavia faccia del suo possibile per evitare che noi ci armiamo, perché noi restiamo deboli, su questo non ho alcun dubbio: quello che temo è che gli americani possano arrivare alla conclusione, se non ci stanno già arrivando, che è un migliore investimento armare la Jugoslavia che non armare l’Italia, come stanno arrivando alla conclusione che è un migliore investimento armare la Germania che non armare la Francia. E Francia e Italia rischiano di cadere al rango di territori di transito per la Germania e la Jugoslavia rispettivamente.

Questo nelle linee generali: ritengo sarebbe anche opportuno riportare adesso questo ragionamento ad un problema per noi più grave ed immediato che è la questione di Trieste.

Si può discutere sul valore effettivo dei fatti che hanno sollevato la campagna italiana: però, secondo me non c’è dubbio che essi sono voluti. Le autorità locali vi hanno certo la loro parte: ma anche in Libia ed in Eritrea erano solo le autorità locali che agivano? Quello che comunque è certo è questo: dato il peso comparativo che hanno oggi per gli americani Italia e Jugoslavia, e a meno che non accada qualche cosa, da noi od in Jugoslavia, suscettibile di spostare questo peso comparativo, le disposizioni inglesi ed americane a agire sulla Jugoslavia perché arrivi ad un settlement della questione del T.L.T. più vicino a quello che sarebbero i nostri desideri, se anche ci sono state, diminuiscono di giorno in giorno. Noi potremo fare tutte le campagne di stampa che vorremo, lanciare tutti i gridi di dolore che vorremo, minacciare aumenti del comunismo o del fascismo, tutto questo non serve a niente. L’unica cosa che servirebbe sarebbe di riuscire a dimostrare agli americani che possono contare sull’Italia più che sulla Jugoslavia: per arrivarci ci vorrebbero molte cose ed il discorso sarebbe lungo.

Ma c’è di peggio: oggi, ancora, sarebbe possibile, credo, un settlement in base al quale la Zona A venga all’Italia e la Zona B alla Jugoslavia; oggi sarebbe forse anche possibile avere qualche miglioramento, piccolo, dell’attuale linea di confine. Ma sarà così anche domani? Sarà così ancora domani quando jugoslavi ed americani saranno più strettamente intrecciati nel campo militare? Credo di no: diffidiamo della megalomania jugoslava che non è e non è mai stata minore della più eccessiva megalomania italiana del passato.

Il tempo lavora per noi? Non lo so, non ne sono sicuro. Nella questione delle colonie abbiamo ritenuto che il tempo lavorasse per noi: ed invece a partire da un certo momento ha lavorato contro di noi.

La Dichiarazione tripartita del 19482, di cui, per polemiche esterne ed interne, non dobbiamo dimenticare il significato reale, rappresentava per noi una enorme vittoria. Avevamo perduto Trieste città e potevamo annetterla di nuovo quando volevamo, sacrificando in tutto od in parte la Zona B. Questo era il suo significato reale, questo e non altro. Immaginandoci e cercando di persuadere gli altri, ossia gli inglesi e gli americani che il suo significato era un altro (perché i francesi per quello che contano in questo affare erano e sarebbero dispostissimi ad interpretarlo come lo interpretiamo noi) noi rischiamo di perdere quello che era la vittoria reale e sostanziale della nostra politica.

Oggi siamo ancora in tempo a farlo: non so se lo saremo anche domani.

V.E. non creda che non mi renda conto di quanto grave è questo problema dal punto di vista nostro interno: come sia facile sul piano intellettuale dire che bisognerebbe rassegnarsi a dei sacrifici e come sia difficile passare all’esecuzione sul piano politico: così come è difficile, per il Governo francese, sul piano politico, mostrarsi ragionevole verso la Germania. Rimandare significa evitare una crisi grave oggi, significa anche sperare in un miracolo che arresti uno sviluppo di cose inevitabile sul piano logico, e, sempre sul piano logico, assai poco promettente per noi.

Se gli inglesi hanno veramente in mente la politica che noi attribuiamo loro, e che non credo affatto si possa concludere, essi debbono puntare sulle prossime elezioni: mostrare attraverso le elezioni che c’è a Trieste una forte massa pro-titina, mostrare che a Trieste c’è una forte massa italiana indipendentistica. Il battage sulla questione di Trieste che si è fatto nella stampa italiana e l’azione del Governo italiano hanno probabilmente per scopo di elettrizzare l’atmosfera per avere invece delle elezioni come le vogliamo noi.

Se siamo sicuri che le elezioni saranno come noi le vorremmo, bene: avremo avuto un successo nel senso di riportare la Dichiarazione tripartita al suo significato originale e quindi ancora un po’ di tempo per trattare: ma se dovessero andare male, questo significa l’annullamento della Dichiarazione del 1948; la volontà popolare, quando fa comodo, è superiore ad ogni impegno diplomatico.

Mi permetto quindi di attirare l’attenzione del Governo italiano sulla serietà della situazione: se non siamo sicuri delle elezioni triestine, ricordiamoci che questa è l’ultima possibilità che abbiamo di negoziare riprendendo Trieste: e che noi rischiamo per la speranza di salvare Capodistria di perdere quella Trieste che eravamo riusciti a riconquistare all’Italia.


4 1 Non pubblicato.


4 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

5

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 1475/947. New York, 27 luglio 1951(perv. il 30).

Mi riferisco ai telespressi di codesto Ministero n. 11177-79/c.1, che registrano le prime reazioni di alcuni Governi latino-americani ai passi fatti dai nostri rappresentanti.

Constato che sono in sostanza favorevoli; ma per valutarne il risultato e stabilire cosa si possa e debba far qui, a New York, mi sembra necessario conoscere in modo più preciso, all’infuori cioè degli affidamenti generici, quali siano le disposizioni effettive di tutti i Governi dell’America latina. Perché tengo per sicuro che codesto Ministero parta dalla premessa che, per portare la revisione in Assemblea generale delle Nazioni Unite, occorra avere almeno l’accordo di tutti i paesi latino-americani. O di una maggioranza schiacciante; le defezioni, in questo caso, sarebbero più vistose dei consensi.

Naturalmente nel frattempo mantengo contatti, quanto più possibile regolari, con i miei colleghi, quei pochi e valorosi che ancora resistono nel deserto canicolare di New York. È perciò unicamente quale contributo al giudizio complessivo che codesto Ministero vorrà certamente farsi prima di prendere una decisione sull’azione generale, che mi propongo di riassumere alcune impressioni che ho tratto dai più recenti colloqui.

1. Da un punto di vista tecnico-giuridico la presentazione in Assemblea generale di una raccomandazione in favore della revisione non è una cosa facile. Non c’è un articolo dello Statuto che preveda esplicitamente una qualsiasi procedura di revisione dei trattati. Anzi, una proposta che mirava a introdurre una disposizione in questo senso fu avanzata durante la conferenza preliminare di San Francisco e fortemente contrastata. Tra gli oppositori non mancavano i latino-americani. La formula conciliativa che fu poi approvata all’unanimità, ed è riprodotta nell’attuale testo dell’art. 14, lascia, è vero, teoricamente aperta la possibilità di discutere anche dei trattati esistenti. Ma il silenzio delle Statuto, in questo caso, non ha un semplice significato di omissione; il testo porta ancora le tracce di un’opposizione ostinata. E questa opposizione era ancora viva nel ’47, allorché l’Argentina presentò, o pensò di presentare, la sua generosa risoluzione; mi dicono anzi che fu questo il vero motivo per cui la risoluzione venne così prontamente ritirata.

Per introdurre ora una risoluzione dello stesso genere all’Assemblea occorrerebbe dunque, sforzare prima il senso degli articoli 1 e 14, e poi il pensiero, autenticamente interpretato, di una buona parte dei creatori dello Statuto.

2. Ma anche se si vuol considerare tutti questi come ostacoli giuridici che potrebbero essere superati da una nuova volontà politica, non mi sembra del tutto sicuro che questa volontà esista ora in ognuno. Si trova a New York, reduce da Roma e molto glorioso per le accoglienze che gli sono state fatte, il sottosegretario di Stato cileno, signor Trucco. È un amico dell’Italia, e mi ha parlato francamente. Mi ha detto che il Cile, anche se dovesse rimanere solo, si opporrebbe per motivi di principio a questa procedura. Evidentemente la sua posizione personale è molto più intransigente di quella che è stata significata al nostro ambasciatore a Santiago. Trucco rappresentava il suo paese a San Francisco, fece in quell’occasione uno studio approfondito del problema, ed ha perciò su questo argomento i pregiudizi dello specialista e l’indulgenza dell’autore. Tuttavia il suo pensiero, appunto perché egli attualmente è il delegato cileno alle Nazioni Unite, avrà, direi, un certo peso a Santiago.

Né d’altra parte mi sembra che egli sia il solo a parlare così. Quasi tutti i delegati latino-americani che ho visto in queste ultime settimane hanno mostrato perplessità, esitazioni; come ho riferito in occasione del mio colloquio con Remorino, financo il Governo argentino non sembrava entusiasta

3. Non escludo affatto, beninteso, che le reazioni dei delegati siano deformate dall’ambiente nel quale vivono e lavorano; e che le loro esitazioni possano essere finalmente superate dalla volontà dei rispettivi Governi. Occorrerebbe però esserne ben sicuri. Perché, se la certezza mancasse, ostinarsi a battere questa strada mi sembrerebbe pericoloso, sopratutto per ragioni di tattica e di tempo. L’Assemblea generale si riunirà ai primi di novembre. Già per semplice gioco di date un’azione su questo binario risulterebbe sfasata. Il ferro va battuto finché è caldo, cioè prima della firma del trattato con il Giappone, che è annunciata per i primi di settembre. Ma se a questo si aggiungesse un’incertezza circa il risultato finale c’è da domandarsi se non convenga risolversi a cambiare rapidamente di strada. Lo stesso Trucco mi ha detto che, mentre il suo Governo sarebbe contrario a portare la questione alle Nazioni Unite, sarebbe invece volentieri disposto, egli crede, ad appoggiare in pieno un’iniziativa collettiva dei paesi latino-americani presso le tre grandi potenze occidentali per raccomandare ad esse di accogliere la richiesta italiana. Ora un’azione così concepita potrà magari anche lasciare il tempo che trova. Altrettanto però si deve dire di una risoluzione che, anche se fosse possibile di portarla in Assemblea con l’appoggio compatto dei latino-americani, difficilmente raccoglierebbe la maggioranza dei voti. Le esitazioni dei latino-americani, che in fatto di iniziative spettacolari sono sempre ben disposti, le troveremmo probabilmente cristallizzate in un più severo giudizio presso molte altre delegazioni.

Ma ammettiamo pure, per ipotesi estrema, che la nostra raccomandazione raccolga la maggioranza dei due terzi. Sarebbe pur sempre una «raccomandazione», né più né meno che il passo collettivo che si presenta come l’altra alternativa. L’una e l’altro rappresentano dunque nulla più e nulla meno che uno schieramento di opinione internazionale che, se non altro, servirà a gravare su quel piatto della bilancia sul quale, da soli, «siamo stati pesati e trovati scarsi». Il passo collettivo avrebbe però il vantaggio, se ci si mette subito al lavoro, di poter essere fatto presto, cioè di rispondere a due condizioni che mi sembrano essenziali: seguire a breve distanza il passo formale disposto da V.E. nelle capitali occidentali; precedere, anziché seguire, la firma del trattato con il Giappone.

Riassumendo, la nostra azione per la revisione del trattato si è iniziata con un passo formale a Washington Londra e Parigi. Sull’opportunità di quest’azione, qualunque ne sia l’esito, non ci può essere dubbio; quel che è necessario è anche opportuno, o come se lo fosse. È sulla procedura che mi rimane qualche dubbio. Cosa ci proponiamo di fare ora, dopo aver posto formalmente il problema? Evidentemente raccogliere e mobilitare, in appoggio alle nostre richieste, il maggior numero possibile di consensi. È utile, a questo scopo, un intervento dell’O.N.U.? A mio avviso lo sarebbe certamente soltanto a condizione di essere un vero intervento dell’O.N.U. come tale, non di un gruppo di Stati nell’Assemblea generale dell’O.N.U. Ora, gli Stati latino-americani, anche se riusciamo a metterli tutti quanti in riga, sono in numero sufficiente per bloccare una proposta, non per farla approvare. E l’intervento di una minoranza non ci sarebbe di alcun vantaggio, perché dal dibattito in Assemblea risulterebbe necessariamente l’opposizione di molti altri Stati. L’effetto che vogliamo raggiungere, che è quello di uno spiegamento di forze in favore della nostra tesi, non potrebbe forse essere mai raggiunto in pieno. L’intervento collettivo e diretto delle venti nazioni latino-americane presso le grandi potenze occidentali servirebbe invece a rammentare, alle loro opinioni pubbliche più che ai loro Governi, che l’Italia non è sola, che dietro all’Italia c’è la solidarietà di un continente latino. A me sembra che, con rischi minori, l’effetto sarebbe più netto, più forte e più tempestivo. E in ogni modo, per un’azione in Assemblea, se veramente ci teniamo, ci potrebbe essere sempre tempo in novembre.

Sarò comunque assai grato a codesto Ministero se, non appena possibile, vorrà farmi conoscere le sue decisioni2.


5 1 Del 17 luglio, non pubblicati. Per il Telespr. 11178, pari data, vedi serie undicesima, vol. V, D. 587, nota 3.


5 2 Per la risposta vedi D. 25.

6

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. riservata personale 529. Parigi, 27 luglio 1951.

Schuman mi ha chiamato stamane per parlarmi della questione della revisione del trattato di pace.

Come ella sa, l’idea di Schuman era che una dichiarazione solenne a tre, interinata poi successivamente dagli altri, avrebbe potuto esser fatta in occasione della riunione del Patto atlantico che avrebbe dovuto aver luogo ad Ottawa verso il 14 settembre. Ora gli americani, tre giorni addietro, hanno proposto di rinviare la riunione a più tardi, a Parigi, approfittando della sessione delle Nazioni Unite. Questo rimanderebbe ogni possibilità alla fine di ottobre-primi di novembre, data che egli teme sarebbe troppo tardi per i fini nostri interni.

Egli sta ora esaminando un’altra idea. La dichiarazione potrebbe essere fatta in occasione della riunione di San Francisco, per il trattato di pace col Giappone, ossia verso il 4 settembre. Dovrebbe trattarsi, secondo lui, di una dichiarazione solenne dei Tre, da interinarsi dalle Nazioni Unite: la pubblicità della dichiarazione sarebbe necessaria per poter iscrivere la questione all’ordine del giorno della prossima Assemblea. In questo modo si avrebbe un duplice vantaggio: di avere per noi, relativamente presto, un’aperta presa di posizione dei Tre mentre l’Assemblea delle Nazioni Unite dovrebbe servire per farla approvare dal maggior numero possibile dei firmatari del trattato di pace.

Quanto al tenore della dichiarazione egli si rende conto che l’oggetto principale debbono essere le clausole militari, od economico-militari del trattato, ma che sole non bastano, che ci vuole anche qualche cosa di «morale»: ma che questo qualche cosa di morale è difficile a determinare. Non si possono mettere in causa le clausole territoriali, sia in Europa che fuori: la questione delle riparazioni è di fatto liquidata: anche le altre clausole economiche del trattato di pace, sono in corso di esecuzione: sono questi del resto gli argomenti stessi della lettera Sforza1. Gli ho a questo punto ricordato che durante la Conferenza per la pace noi avevamo sollevata la questione della clausola della nazione più favorita; sarebbe stato necessario quindi che, qualora le clausole corrispondenti del trattato di pace giapponese fossero state più leggere delle nostre, le nostre venissero in pari tempo alleggerite. Mi ha detto che questo non gli sembrava essere il caso, ma che comunque ci si sarebbe potuto pensare: era più difficile dare a loro un carattere retroattivo. Gli sembrava quindi che bisognasse soprattutto concentrarsi sullo spirito punitivo del trattato, e fare una specie di dichiarazione di riabilitazione dell’Italia. Egli aveva in mente qualche cosa di questo genere: i Tre dichiarerebbero che essi, non per colpa loro, hanno violato una delle condizioni principali del trattato di pace, la nostra ammissione cioè alle Nazioni Unite: che per le note ragioni si trovano nella impossibilità di mantenere questo impegno: ed a titolo di riparazione chiedono la revoca delle clausole militari del trattato di pace, attualmente più che inutili in quanto esse partivano dal presupposto di una necessità di tenere l’Italia sotto osservazione per i suoi precedenti: e che l’Italia democratica avendo vittoriosamente superate le prove, ogni prevenzione nei suoi riguardi non aveva più ragione di esistere. Il senso della dichiarazione dovrebbe in realtà essere che, a partire da quella data, ogni discriminazione nei riguardi dell’Italia, in quanto ce ne fossero ancora, dovrebbe cessare una volta per tutte.

Mi ha chiesto di fargli conoscere, al più presto possibile, cosa ne pensiamo, sia circa la data, sia circa il contenuto della dichiarazione: sarebbe cioè suo desiderio sapere quale contenuto della dichiarazione stessa ci sarebbe più utile ai fini nostri interni, riservandosi egli a sua volta di dirci francamente quello che può accettare delle nostre richieste, e quello che ritiene possa essere accettato dagli inglesi e dagli americani.

Per quanto riguarda la procedura, mi sembra che la proposta di Schuman, se realmente la riunione atlantica sarà rimandata (secondo Schuman, gli americani pensano che, per alcuni importanti argomenti – leggi, fra gli altri, l’esercito europeo – non c’è il tempo materiale per la maturazione da qui al 14 settembre, il che è esatto anche per noi) è la migliore.

Quanto alla sostanza è un altro paio di maniche.

Personalmente mi permetto di osservarle che la nostra richiesta non poteva essere presentata, come tempo, in un momento meno opportuno: si era alla vigilia della possibile riunione dei Quattro in cui gli occidentali stavano per attaccare i russi per le loro violazioni dei trattati di pace nei riguardi dei satelliti e noi domandavamo loro di farne, di queste riunioni, una per noi: domandavamo cioè loro di indebolire le loro posizioni.

Quanto alla sostanza: la revisione delle clausole militari era difficile a respingere, e quindi, presto o tardi, in una forma od in un’altra, ci si doveva arrivare: l’abbiamo complicata noi, aggiungendoci la revisione o la decadenza morale; abbiamo ammesso noi stessi che c’era tutta una serie di punti, quasi tutti in fatto, in cui non si poteva disfare il già avvenuto: e allora? Ogni richiesta di questo genere si deve poi ridurre in una formula giuridica: come si fa a formularla? O si ammette una specie di decadenza del trattato di pace – cosa che, fra parentesi, non è mai stata fatta, altro che con le armi alla mano – ed allora, qualsiasi cosa noi diciamo adesso, ci si apre la strada per impugnare la validità di tutte le disposizioni del trattato di pace, comprese le clausole territoriali, cosa che non sarebbe accettata da nessuno, meno di tutti gli altri dagli americani. E allora cosa resta? Una specie di benservito, un certificato di buona condotta, di riabilitazione.

C’è da domandarsi se una richiesta di questo genere, è realmente dignitosa: domandare che ci si riconosca che siamo delle persone per bene, è riconoscere noi stessi che riteniamo di non essere delle persone per bene. In realtà la revisione morale del trattato di pace era già stata fatta con la firma del Patto atlantico, in base al quale da ex nemici diventavamo degli alleati. Quindi, impostate come sono le cose, invece di chiedere la sola revisione delle clausole militari, cosa possibile, e che quindi avrebbe potuto essere un successo, ci siamo esposti a far passare questo successo come un insuccesso, o a fargli avere una forma sul cui valore di soddisfazione morale od altre, ci sarebbe per lo meno da avere dei dubbi.

Al punto a cui sono le cose, e visto che, in fondo, in questa nostra azione ella non è impegnato che indirettamente, la cosa più saggia sarebbe quella di rimangiarsi in silenzio la decadenza morale e limitare i nostri reclami alle clausole militari ed economiche-militari.

Se per riflessi di politica interna è ormai troppo tardi per farlo, allora bisogna limitarsi all’abbinamento con la nostra entrata alle Nazione Unite, facendo cioè dichiarare a loro che anche loro, e non per colpa loro, hanno violato il trattato di pace e che quindi riconoscono la necessità di una riparazione nella forma della abolizione della discriminazione: se poi lei non condivide la mia impressione che non sia decoroso domandare che ci riconoscano ufficialmente che siamo delle persone per bene, si potrebbe cercare di ottenere anche questo. Vorrei però che lei tenesse presente che questo è il massimo, il massimo assoluto che possiamo ottenere – e non sono tanto sicuro che ci arriviamo nemmeno – e che quindi se domandiamo di più, e annunciamo all’Italia che abbiamo chiesto di più, non facciamo che esporci ad un fiasco sicuro.

Non occorre che aggiunga che non c’è la minima possibilità di inserire in questa dichiarazione né la questione di Trieste, né la Dichiarazione tripartita. Ma su questo argomento le ho già riferito con un altro rapporto, in data odierna2.

Tra l’altro Schuman mi ha informato che gli americani, su questa questione nella revisione del trattato gli hanno detto che sono d’accordo sulla sostanza, ma hanno molte esitazioni a procedere, perché non vogliono provocare reazioni jugoslave: che la questione si presenterebbe sotto tutt’altro aspetto se noi fossimo pronti ad arrivare ad un compromesso ragionevole, con gli jugoslavi sulla questione del Territorio Libero, leggi la sua spartizione. Questo glielo dico soltanto, perché lei si renda conto dell’ambiente. Ho detto a Schuman che in realtà la revisione del trattato di pace che noi chiedevamo, era che si cessasse di preoccuparsi delle reazioni jugoslave sole, e non anche delle reazioni italiane: al che mi ha detto, non senza ragione e non senza amarezza, che era lo stesso rimprovero che egli doveva fare agli americani sulla questione tedesca.

Comunque, mi occorrerebbe avere il suo pensiero sull’argomento, al più presto possibile. Tenga presente che verso il 10 o 11 agosto qui cominciano le ferie, e che, se la cosa deve essere trattata veramente ai primi di settembre, è necessario metterla in movimento subito.

Schuman ha insistito sulla assoluta segretezza di queste conversazioni, osservando che qualsiasi indiscrezione da parte nostra, gli renderebbe molto difficile parlare agli americani in senso a noi favorevole. Per questo ne scrivo solo personalmente a lei; fra l’altro, e sempre ai fini della politica interna, non credo ci guadagniamo niente ad illudere la nostra opinione pubblica con i «sempre maggiori consensi esteri alla nostra iniziativa», quando non siamo affatto sicuri, realisticamente parlando, di un successo anche limitato3.


6 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 220.


6 2 Vedi D. 4.


6 3 Per la risposta vedi D. 21.

7

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI

L. 530. Parigi, 27 luglio 1951.

Veramente non so che forma dare a questa lettera: posso senza dubbio felicitarmi per il Ministero e per me di avere lei come sottosegretario agli esteri: non so però se posso, onestamente, felicitare lei per il compito che assume.

Lei si trova a prendere in carica il Ministero degli esteri (in fatto se non in diritto), con delle grosse e spiacevoli questioni sulle spalle: l’esercito europeo che minaccia di diventare una grana grossa: la questione di Trieste che, a mia impressione, sta entrando, se non è già entrata, in una fase estremamente pericolosa per noi, e la questione della revisione del trattato di pace. E ci entra in condizioni non facili perché se vogliamo analizzare, almeno formalmente, la situazione creatasi con il nuovo Governo dovremmo dire che abbiamo, più o meno, quattro ministri degli esteri: il che ai fini pratici è parecchio.

Sulla posizione internazionale della questione di Trieste ho inviato in data odierna, alcune mie considerazioni che lei vedrà1. Sulla questione della revisione del trattato di pace ho scritta, pure oggi, una lettera personale al presidente come ministro2, in base ad una conversazione avuta con Schuman: ho scelto questa via non sapendo se lei è già istallato al Ministero, per avere qualche garanzia di non indiscrezioni. Vorrei però che lei la vedesse.

Con questo affare, e con la pubblicità che gli abbiamo data, noi ci siamo imbarcati verso un sicuro e clamoroso insuccesso: se, come penso, è interesse comune di evitarlo, bisogna al più presto trovare una maniera elegante di riportare la cosa sul terreno del possibile.

Conto di scrivere nel corso della prossima settimana sull’esercito europeo e sulla crisi dei rapporti atlantici3 che è in atto e che non facilita la soluzione di nessun problema, perché lei abbia il quadro della situazione, come essa appare a Parigi: aspettavo per tutto questo che fosse finita la crisi: in tempo di crisi, naturalmente, non si può contare che quello che si scrive venga letto.

Come lei sa, può contare sulla mia piena collaborazione per tutto ciò che potrà essere utile al successo della sua missione per la quale formulo i miei più fervidi auguri.


7 1 Vedi D. 4.


7 2 Vedi D. 6.


7 3 Vedi DD. 23 e 26.

8

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, IVEKOVIĆ

Appunto. Roma, 28 luglio 1951.

Di ritorno dalla Jugoslavia è venuto a vedermi stamane il ministro Iveković. Mi ha ripetuto, come una lezione imparata a memoria, quanto gli era stato evidentemente detto dal suo Governo in merito allo stato attuale delle relazioni italo-jugoslave. Secondo il Governo di Belgrado, di mano in mano che ricupera la sua posizione di un tempo nella politica internazionale, l’Italia riprenderebbe anche la sua tradizionale politica anti jugoslava e ne sarebbero prova manifesta la recente campagna di stampa a proposito di Trieste e lo stesso discorso del presidente del Consiglio al Senato1 in cui sono contenuti accenni a Pola, Fiume, ecc. Il Governo italiano anziché cercare di persuadere l’opinione pubblica della necessità di un accordo con la Jugoslavia, si lascerebbe trascinare dalle correnti anti jugoslave di estrema destra e di estrema sinistra, ecc. ecc.

Tutto ciò rende il Governo del Belgrado estremamente perplesso circa le effettive possibilità di un duraturo accordo italo-jugoslavo ed anche le concessioni che la Jugoslavia dovesse farci per risolvere la questione di Trieste, non servirebbero a tale scopo perché tosto la nostra opinione pubblica incomincerebbe a reclamare nuove concessioni e il Governo italiano si metterebbe in concorrenza con essa.

L’attitudine del Governo jugoslavo in merito alla revisione del trattato di pace è evidentemente dovuta al timore di creare un precedente di cui potrebbero servirsi i satelliti, ma è dovuto anche in parte a questo stato d’animo di perplessità del Governo jugoslavo verso le reali intenzioni della politica italiana.

Ho reagito con marcata vivacità a questa interpretazione jugoslava dei recenti avvenimenti, interpretazione che del resto ci era già nota dall’ultimo colloquio di Martino con Vejvoda2. Ho detto a Iveković che le ripercussioni in Jugoslavia di ciò che era accaduto in Italia a proposito di Trieste mi parevano del tutto fuori luogo e stavano se mai a dimostrare da parte jugoslava una certa mania di persecuzione o piuttosto una certa cattiva coscienza. Giacché era ben chiaro che le reazioni dell’opinione pubblica italiana si erano rivolte soprattutto agli anglo-americani per taluni provvedimenti da essi adottati nella Zona A e non erano dirette contro la Jugoslavia. Che se con l’occasione sia affiorata anche qualche lamentela nei confronti jugoslavi, ciò appariva più che naturale in una questione cui la popolazione italiana è così sensibile come quella triestina, ma bersaglio delle critiche anche violente erano stati gli anglo americani e ciò doveva esser apparso chiaro anche a Belgrado.

Gli accenni a Pola, a Fiume, ecc. fatti dal presidente del Consiglio nel suo discorso non si prestavano ad alcun equivoco: con essi si intese interpretare l’unanime sentimento del paese nel senso che dopo i molti sacrifici dovuti subire col trattato di pace intendevamo almeno poter difendere e salvare quei territori il cui destino ultimo non era stato ancora definito e che del resto il trattato di pace non ha assegnato alla Jugoslavia.

Quanto alla revisione del trattato, ho detto ad Iveković che il suo modo di esporre l’atteggiamento jugoslavo sentiva un poco di ricatto, che comunque è una questione che noi trattiamo coi tre grandi, e che la Jugoslavia commetterebbe certamente un errore nell’opporvisi cercando con tale opposizione di esercitare su di noi qualche forma di pressione, del resto del tutto ingiustificata. La nostra politica verso la Jugoslavia non ha subito alcun mutamento; essa mira a ristabilire amichevoli rapporti fra i due paesi. Ciò non era facile e non lo poteva essere quando si pensi a tutto ciò che è accaduto fra noi. Se si guarda al cammino percorso si possono tuttavia constatare i progressi compiuti. Non vi è dubbio – ho aggiunto – che sussistono ancora gravi difficoltà come quella relativa al T.L.T., ma una volta superate queste difficoltà, si potrà procedere, anche più speditamente che nel passato, verso lo stabilimento per il mantenimento di amichevoli rapporti italo-jugoslavi. Per parte nostra abbiamo dato positive prove di voler raggiungere questo obbiettivo: gli accordi del dicembre scorso sulle riparazioni e quelli che li hanno preceduti negli anni scorsi, ne sono un esempio. Ho poi ricordato ad Iveković ciò che probabilmente, gli ho detto, egli ignora e cioè come nelle questioni assai gravi che assillano il suo paese, questioni economiche e questioni militari, tanto nei consigli atlantici quanto nei contatti diretti fra le Cancellerie europee, noi abbiamo sempre dimostrato comprensione per le necessità jugoslave; e in questo campo – ho concluso – molto dovremo certamente ancora fare o non fare.

Il ministro Iveković mi ha detto che ripartirà per Bled fra una diecina di giorni: si era alquanto rasserenato alla fine del colloquio.


8 1 In Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1951, vol. XXIII, seduta antimeridiana dell’11 luglio, pp. 25649-25693.


8 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 558.

9

IL MINISTRO MALAGODI1AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 28172. Parigi, 28 luglio 1951(perv. il 30).

Il rapporto «interimario» delle delegazioni alla Conferenza per l’organizzazione di una Comunità europea di difesa (Parigi, 24 luglio corrente), non affronta le questioni fondamentali connesse con l’istituzione di tale Comunità, o si limita ad accennarne alcune, lasciando ai Governi l’onere di risolverle. Solo in pochi passaggi, introdotti soprattutto a cura della delegazione italiana, si ricorda che esistono dei problemi che esorbitano dal rapporto, ma che lo condizionano, investendo tutto l’avvenire politico ed economico dei paesi partecipanti e dell’Europa nel modo più drastico e diretto.

Nessuno di noi può leggere senza commozione un documento nel quale si parla per la prima volta di organizzare le milizie dei maggiori paesi dell’Europa continentale in modo tale che esse non possano più farsi la guerra fra loro. Appunto perché ciò possa riuscire, occorre una analisi serena ma approfondita, non solo dei vantaggi, ma anche degli ostacoli maggiori che l’operazione può incontrare e del modo per superarli.

Il rapporto, così com’è oggi redatto, non soddisfa tale esigenza e richiede perciò una profonda elaborazione in punti fondamentali, al più alto livello politico. Pretendere, come il rapporto fa, che i problemi della difesa possano essere avulsi nella loro totalità dal nesso istituzionale e politico dei singoli paesi e risolti senza affrontare i problemi della politica estera, della politica interna, della politica finanziaria, ecc., pone interrogativi gravissimi, dei quali ho già fatto parola nei miei rapporti precedenti e che cercherò qui di analizzare più compiutamente.

Si tratta, senza esagerazione alcuna, di problemi assolutamente vitali per l’avvenire del nostro paese e dell’Europa. Ed è urgente esaminarli e fissare alcuni principi direttivi, in quanto a Parigi continuano i lavori delle commissioni su un piano cosidetto tecnico, ma che non è tale in quanto si svolge in collaborazione con S.H.A.P.E.; a Washington, al principio di settembre, si riuniranno ufficiosamente, se non ufficialmente, i ministri americano, francese e inglese per deliberare sul riarmo tedesco; infine alla metà di settembre, al Consiglio atlantico, tale riarmo e la questione connessa della Comunità europea di difesa verrà certamente trattata. Gli americani sono impazienti di mettere in moto la macchina militare tedesca e quindi una decisione sulle modalità politiche dovrà essere presa prima della fine dell’estate.

È impossibile dire oggi se in conseguenza di ciò la Comunità verrà creata e in che misura. Si può procedere infatti ad una fusione totale delle forze armate dei paesi partecipanti, o ad una fusione parziale, o semplicemente ad una più stretta cooperazione. Quest’ultima soluzione rappresenterebbe però una sconfitta della tesi francese, ancora oggi assolutamente contraria ad un riarmo autonomo della Germania. La seconda tesi, quella della fusione parziale, rappresenterebbe egualmente una sconfitta della tesi francese, a meno che i tedeschi non abbandonassero il principio della Gleichberechtigung e si contentassero di aver soltanto forze «europee», mentre gli altri avrebbero anche forze nazionali.

La delegazione tedesca ha già escluso ciò in maniera esplicita nel paragrafo 10 del rapporto e il dover tornare indietro costituirebbe una sconfitta politica per la Germania, forse superiore a quella che costituirebbe per la Francia l’accettazione di forze tedesche, che potrebbero essere mantenute entro limiti modesti e inquadrate strettamente nell’organizzazione N.A.T.O.-S.H.A.P.E.

Non vi è dubbio che dal punto di vista tanto francese quanto tedesco, la fusione totale presenta dei notevoli vantaggi. Inoltre essa gode dell’appoggio delle forze americane che da quattro anni vanno predicando e incoraggiando l’unificazione dell’Europa. Bisogna perciò prendere in seria considerazione la possibilità che le cose si avviino rapidamente verso una fusione totale, ed esaminare quali ne siano per noi le implicazioni, come base per l’azione che, a mio avviso, dovremmo iniziare al più presto possibile, tanto sul piano politico interno quanto in sede diplomatica. Solo una analisi approfondita può permetterci di giudicare se dobbiamo cercare di limitare la fusione ad una parte delle forze armate, almeno per quel che ci riguarda, riducendo così d’altra parte la nostra possibilità di far valere altre nostre esigenze; o se dobbiamo invece far valere in pieno tali nostre esigenze, accettando e, anzi, incoraggiando il movimento verso una fusione totale. La decisione non dipende d’altronde da noi soli. Bisogna quindi esser pronti per l’una e per l’altra eventualità.

Qui appresso prospetterò a V.E. una possibile linea di azione nel campo economico, innanzi tutto nell’ipotesi di una fusione totale, e poi in quella, poco meno complessa, di una fusione parziale.

Ricordo brevemente la struttura della Comunità che è prevista nel rapporto.

Un commissario, nominato di comune accordo dai Governi partecipanti, eserciterebbe le funzioni di ministro della guerra dell’esercito europeo, in condizione di «completa indipendenza» verso gli Stati membri. Da lui dipenderebbero lo Stato Maggiore, i Comandi, i quadri, il personale e il materiale dell’esercito, la sua dislocazione territoriale, i programmi d’armamento, la preparazione del bilancio e la sua erogazione. I rapporti con gli Stati terzi in materia militare e di «aiuti esterni in materiale, o finanziari» sarebbero egualmente di sua esclusiva competenza. Una volta nominato, egli non potrebbe essere rimosso dai Governi partecipanti (salvo il caso di colpa grave). L’Assemblea potrebbe rimuoverlo in base ad una mozione motivata di censura, ma non potrebbe modificare le sue proposte. Essa non avrebbe quindi che l’alternativa tra la sfiducia totale e la fiducia totale. L’azione del commissario dovrebbe svolgersi nel quadro delle direttive che egli riceverebbe, su materie determinate, dal Consiglio dei ministri, i quali dovrebbero armonizzare la sua azione con la politica dei Governi partecipanti. Le decisioni del Consiglio verrebbero prese, secondo alcuni, all’unanimità, secondo altri, a maggioranza: è ovvio che nella logica di un sistema di fusione totale, la tesi della unanimità è relativamente debole. Come già accennato, il Consiglio non avrebbe la facoltà di destituire il commissario.

Quanto all’Assemblea, essa sarebbe costituita dagli stessi membri dell’Assemblea prevista dal trattato carbone-acciaio. Le due Assemblee però resterebbero, a quanto sembra, indipendenti l’una dall’altra. Quella della Comunità di difesa siederebbe normalmente per un mese all’anno e la sua competenza sarebbe limitata a «formulare osservazioni e esprimere voti e suggerimenti» nelle materie di sua competenza e cioè limitatamente alla difesa. Essa non potrebbe modificare le proposte del commissario, accettate dal Consiglio dei ministri, ma soltanto, come già accennato, rimuovere il commissario.

Dirò qualcosa più avanti dei rapporti fra Comunità così costituita e il mondo esterno. Qui mi limiterò a toccare tre ordini di problemi che si pongono all’interno della Comunità stessa, e che sono politico-costituzionali, militari, economico-finanziari. Degli aspetti politici e militari non dirò che il minimo necessarioperché l’argomentazione economica risulti chiara e soprattutto perché non sembri che, nel mio pensiero, i problemi economici siano prevalenti. Essi sono gravissimi – sono problemi di vita non di danari – ma non meno gravi sono quelli politici e militari. Tutti debbono venire senza dubbio esaminati al più alto livello tecnico e politico.

Dal punto di vista politico-costituzionale la questione fondamentale che si pone è questa: può un Parlamento nazionale spossessarsi di una parte essenziale delle sue responsabilità, senza trasferirle ad un altro Parlamento emanante anch’esso direttamente dalla volontà popolare? Non si tratta soltanto delle revisioni costituzionali che sarebbero rese necessarie dalla istituzione della Comunità. Si tratta di una questione di sostanza. Una volta fatta la fusione totale delle forze armate, e il loro controllo trasferito ad un commissario, sostanzialmente irresponsabile, quale contenuto conservano i poteri dei Parlamenti nazionali in materia di difesa? Che politica estera si può fare, se non si dispone più di forze armate nazionali? Con quale mezzi si può intervenire, in caso di crisi gravi, in politica interna? Più avanti dirò dell’influenza decisiva del commissario anche sulla politica economica. Il commissario, l’Assemblea ed il Consiglio dei ministri previsti nel rapporto del 24 luglio sarebbero competenti solo per la politica militare in senso stretto. È possibile una situazione in cui i Parlamenti e i Governi nazionali non sarebbero più competenti, per esempio per la politica estera o le ripercussioni economiche della difesa, mentre le istituzioni della Comunità non sarebbero neppure esse competenti per tali temi? A mio avviso l’analogia fatta nel rapporto fra le istituzioni della Comunità carbone-acciaio e quelle della Comunità di difesa è una falsa analogia. Ben altro è in gioco nel caso della difesa.

Infine è da tener presente, specialmente in materia economica, che per un paese povero ma numeroso come il nostro, la possibilità di partecipare, in funzione della sua popolazione, ad una Assemblea elettiva e veramente responsabile, rappresenta un correttivo essenziale alla debolezza che gli proviene dalla scarsità di risorse economiche.

Dal punto di vista militare una Comunità in cui Francia e Germania sarebbero preponderanti sarebbe orientata soprattutto verso la difesa dell’Elba e poco sensibile ai problemi della frontiera jugoslava e del Mediterraneo. Ciò richiede profonda meditazione da parte di chi è responsabile della difesa del nostro paese. Da parte mia mi limiterò a ricordare due punti. Il primo che, secondo il paragrafo 1(a) del rapporto, le forze armate dei paesi partecipanti sarebbero fuse integralmente, salvo «le unità necessarie alla difesa dei loro territori d’oltremare». Ciò significa che la Francia conserverebbe in Africa del Nord, senza limitazioni né controlli, basi militari e forze armate: che avverrebbe della Sicilia il giorno in cui queste forze si mettessero in moto al di fuori o contro le direttive della Comunità della difesa? Il secondo punto è questo. La costituzione di una Comunità europea di difesa e i problemi politici e militari che ne discendono, non è prevista nel Patto atlantico. In conseguenza le assicurazioni che potessero venire date dagli americani sull’efficacia del Patto atlantico nell’eliminare certi inconvenienti dalla Comunità, per quanto in buona fede oggi, non valgono nulla. Il Patto atlantico potrebbe integrare ed equilibrare la Comunità solo quando ciò formasse l’oggetto di esplicite clausole addizionali ratificate dalle parti contraenti e in primo luogo dal Congresso americano. Non possiamo dimenticare che nel 1919 Wilson promise solennemente alla Francia un trattato di alleanza difensiva contro la Germania e che il patto non fu mai stretto perché il Congresso non lo ratificò, generando così una serie infinita di mali. Aggiungiamo che probabilmente il Patto di Bruxelles, che assicura alla Francia l’appoggio inglese contro un attacco tedesco, sarebbe reso caduco dalla istituzione di una Comunità militare franco-tedesca.

Vengo ora più diffusamente agli aspetti finanziari ed economici.

1) Costo delle forze europee. Il rapporto accenna alle economie che dovrebbero essere rese possibili dalla fusione. In realtà è da temere per noi un fortissimo aumento di costo a causa della necessità di portare le paghe degli ufficiali, dei funzionari e della truppa di lingua italiana allo stesso livello di quelle dei loro colleghi che sono oggi meglio retribuiti ed ai quali, certo, non si può proporre una riduzione. La cosa potrebbe essere diluita nel tempo o attenuata dalla concessione di indennità, ecc., ma sostanzialmente essa sarebbe inevitabile e molto grave, non solo per le sue conseguenze dirette sulla contribuzione italiana al bilancio della Comunità, ma anche per le sue conseguenze indirette sul resto del bilancio dello Stato e sull’economia italiana. È possibile immaginare che alcune diecine di migliaia di ufficiali, sotto-ufficiali e funzionari ed alcune centinaia di migliaia di uomini di truppa italiani ricevano un trattamento economico molto superiore a quello degli altri dipendenti di pari rango dello Stato italiano? Non si genererebbe una pressione irresistibile per un forte aumento generale degli stipendi statali e dei salari operai, con le conseguenze prevedibili sulla stabilità della nostra situazione finanziaria e monetaria e sui nostri costi di produzione?

2) Data l’elevatezza attuale dei nostri costi di produzione, in ispecie nell’industria metallurgico-meccanica, è da temere fortemente che il commissario inclinerebbe a non collocare commesse di armamento in Italia. Quali sarebbero le ripercussioni di ciò sul livello di occupazione e di attività industriale in Italia?

3) Aiuti americani. Come ho già accennato, il rapporto prevede che gli aiuti americani militari e finanziari rientrerebbero nella competenza del commissario. È ciò compatibile con la necessità per l’Italia di continuare a ricevere, oltre agli aiuti militari, anche aiuti economici civili per il mantenimento del suo ritmo produttivo e per la prosecuzione dei suoi programmi di investimenti civili? Affluendo al commissario gli aiuti si «militarizzerebbero» sempre di più. Cadrebbe la possibilità di giustificare con motivi paramilitari aiuti sostanzialmente economici.

4) I punti precedenti sono già di per sé molto seri in quanto presi insieme mostrano come l’esistenza e l’azione del commissario influirebbero in modo decisivo anche sulla nostra politica economica. Ma vi è di più. L’Italia soffre di uno squilibrio fondamentale fra mano d’opera, materie prime e attrezzatura produttiva. Per uscire dal circolo vizioso in cui oggi si trova, deve o entrare in una sfera di vita più larga o conservare una certa libertà di manovra economica. Entrando in una sfera di vita più larga esporrebbe la propria industria e la propria agricoltura alla concorrenza di produttori molto più fortunati e agguerriti. Ma al tempo stesso guadagnerebbe delle possibilità nuove: accesso alle materie prime, disponibilità di capitali, libertà di movimento per la mano d’opera. Con gli opportuni ammortizzatori e con una opportuna graduazione nel tempo, l’operazione potrebbe saldarsi in definitiva in beneficio. Conservando per contro una certa libertà di manovra (non autarchia) l’Italia può continuare l’azione diretta ad allargare e facilitare i suoi scambi con il resto del mondo, distribuendo all’interno le sue magre risorse nel modo più adeguato alla sua situazione. La peggiore di tutte le soluzioni sarebbe quella che ci togliesse la libertà di manovra, senza darci i vantaggi di un campo più largo di lavoro e di vita. Qui davvero avremmo una Comunità per la quale dovremmo morire ma nella quale non potremmo vivere!

Ora il progetto di Comunità di difesa, come si presenta nel rapporto del 24 luglio, corrisponde proprio alla peggiore delle soluzioni per noi. Non solo la nostra politica estera e la nostra politica militare sarebbero affidate ad un commissario appena influenzabile, in materia militare, da una Assemblea, nella quale avremmo al massimo un terzo dei voti, ma anche la nostra politica finanziaria ed economica, la determinazione finale del livello dei salari, gli aiuti americani – in breve le leve di comando fondamentali dell’economia italiana – sarebbero affidate al commissario, senza che per questa parte egli avesse neanche quell’embrione di responsabilità verso l’Assemblea che esisterebbe per i problemi puramente militari. E senza che l’Assemblea fosse competente in materia.

Si può dire che i problemi strutturali della vita economico-sociale dell’Italia esistono già e che la costituzione della Comunità di difesa non li aggraverebbe, anzi aprirebbe la via ad una loro soluzione: inevitabilmente – si può dire – l’Assemblea si trasformerebbe in un Parlamento confederale e il commissario in un Governo europeo. Inevitabilmente? C’è da domandarsi invece se, realizzata l’operazione sul piano che interessa la Francia e la Germania da un lato, l’America dall’altro, e cioè quello della difesa, gli egoismi nazionali che hanno fatto fallire l’Unione doganale franco-italiana non si ripresenterebbero più forti e più tenaci. Francia e Germania avrebbero avuto da noi quello che vogliono: le nostre truppe; l’America si sarebbe assicurato il nostro concorso alla difesa delle sue posizioni in Europa. Quali motivi vi sarebbero allora di preoccuparsi dei nostri problemi interni al di là del minimo indispensabile per evitare sommosse o difficoltà politiche gravi (da reprimere in caso di bisogno con le unità «di lingua straniera» stanziate in Italia)? La nostra attuale, modesta ma reale, libertà di manovra e il valore del nostro apporto nel quadro militare dell’Alleanza atlantica sarebbero sostanzialmente perduti, acquisiti dagli altri. A noi non resterebbe che sperare nella loro buona volontà per rendere la nostra industria più capace di competere con la loro, per far emigrare i nostri uomini e così via.

Non è possibile, a mio avviso, rinunziare alla possibilità di difendere in modo autonomo quelli che sono i nostri bisogni essenziali di vita, senza assicurarci in modo esplicito e completo che le nuove istituzioni internazionali, alle quali li affideremmo, presentino ogni garanzia di non essere per noi meno efficaci di quelle nazionali di cui attualmente disponiamo. In questo senso la costituzione della Comunità europea verrebbe a rendere più immediatamente acuti tutti i nostri problemi ed esigerebbe precisi accordi circa la loro soluzione. Mentre oggi possiamo anche contentarci, entro certi limiti, di soluzioni graduali ed empiriche, in quella sede dovremmo domandare in partenza l’esplicito impegno politico e giuridico a contribuire alla loro soluzione.

Che cosa vuol dire ciò in pratica? A mio avviso i punti che dovrebbero essere sollevati da parte nostra sono i seguenti:

1) L’Assemblea dovrebbe essere esplicitamente compente anche per le ripercussioni politiche ed economiche dei problemi di difesa.

2) L’Assemblea dovrebbe essere eletta direttamente dagli elettori dei paesi partecipanti o quanto meno rispecchiare la composizione dei loro Parlamenti nazionali con una ripartizione dei seggi proporzionale alla popolazione di ciascun paese.

3) La ripartizione degli oneri della difesa dovrebbe essere fatta in base alla capacità economica di ciascun paese partecipante: il solo criterio per noi sopportabile, sarebbe quello di prendere come base non il reddito totale di ogni paese, ma il reddito pro capite. Il miglior modo di tradurre ciò nei fatti sarebbe probabilmente di istituire una imposta progressiva europea sul reddito, con relativo abbattimento alla base, oltre ad una sovraimposta molto modesta sulle grandi imposte indirette.

4) Per un periodo molto prolungato, le forze di lingua italiana dovrebbero essere stazionate quasi integralmente in Italia, in modo da poter mantenere le loro paghe ad un livello sopportabile dalla nostra economia. Le differenze con le forze di altra lingua dovrebbero essere considerate come indennità di residenza.

5) Si dovrebbero ottenere garanzie precise circa il collocamento di una percentuale sufficiente delle commesse militari di ogni genere in Italia.

6) Infine, e questo è un punto fondamentale, dovremmo ottenere, nel trattato istitutivo o in altro strumento ad esso contemporaneo e collegato, l’impegno da parte degli altri paesi partecipanti alla Comunità, nonché dagli altri paesi partecipanti al N.A.T.O., principalmente Stati Uniti e Canada, di mettere senz’altro in marcia le misure necessarie alla soluzione dei problemi di base della vita italiana:

(a) emigrazione di due milioni di persone in cinque anni, secondo i progetti già presentati dall’Italia alla riunione tripartita di Parigi del 1950, il concorso americano essendo dato in parte con mezzi finanziari ed in parte con l’approvazione di una legge straordinaria quinquennale di immigrazione per gli italiani;

(b) garanzia per un periodo di cinque anni almeno che le riserve in oro e divise dell’Italia siano mantenute almeno al livello attuale, attraverso un sistema di aiuti che colmasse gli eventuali deflussi;

(c) inizio effettivo della unione economica fra i paesi partecipanti alla Comunità, con il metodo preconizzato nel piano Pella e cioè attraverso graduali riduzioni dei contingenti e delle tariffe su base concordata e tale da lasciare ai nostri produttori la necessaria difesa fino a che non si siano stabiliti nuovi equilibri;

(d) libertà di accesso alle fonti di materie prime metropolitane e coloniali dei paesi partecipanti alla Comunità;

(e) libertà di accesso all’attività economica e allo stabilimento nelle colonie dei paesi partecipanti;

(f) libertà di movimento della mano d’opera, e infine:

(g) libertà di movimento per i capitali privati e costituzione, sempre in seno alla Comunità, di un organismo finanziario interstatale che possa provvedere ai necessari investimenti in Italia.

Non si dovrebbe domandare né una dettagliata elaborazione di questi punti, né la loro immediata applicazione integrale. Ma essi dovrebbero costituire, fino dal momento stesso della costituzione della Comunità, dei precisi impegni politici e giuridici dei paesi partecipanti e per ciascuno dovrebbero essere previsti i termini di tempo per le realizzazioni parziali ed il termine finale per la realizzazione integrale.

Nella misura in cui questi obiettivi apparissero non realizzabili, mentre ne appare fondata la esigenza, dovremmo orientarci per quanto possibile verso una fusione non integrale, ma parziale, delle forze armate dei paesi partecipanti, o almeno delle nostre forze armate nella Comunità europea di difesa. La migliore giustificazione di ciò starebbe appunto nella impossibilità di ottenere dagli altri partecipanti la realizzazione delle condizioni che sono per noi indispensabili. D’altra parte anche in tal caso dovremmo necessariamente domandare le stesse cose, ma in misura più limitata, graduandole secondo la maggiore o minore dose di nostro apporto alla Comunità; dovremmo, inoltre, riprendere in considerazione la conclusione ed esecuzione effettiva dell’unione economica italo-francese. Ritengo infatti che sarebbe illusorio immaginare che anche in sede di fusione parziale si possa tener fuori della Comunità più che una parte relativamente limitata delle nostre forze armate. Così che le ripercussioni che ho sopra analizzate, si verificherebbero, sia pure in misura un poco minore.

Tutto ciò pone acutamente, come V.E. vede, il problema dei rapporti fra Comunità ed il resto del mondo libero, ed il problema se a noi convenga di accedere ad una «piccola Europa» di cui non farebbero parte né l’Inghilterra, né gli Stati scandinavi. Oppure se non ci convenga procedere più gradualmente verso forme di integrazione meno spinte ma più estese.

Questo è invero, nelle circostanze attuali, il problema fondamentale di tutta la nostra politica internazionale. Esso non può evidentemente essere risolto da noi soli, né sulla base della nostra sola convenienza sul piano economico e sociale.

Mi sia permesso tuttavia, collocandomi su questo piano, di dire che senza dubbio una integrazione della nostra economia con quella francese e tedesca, sarebbe per noi molto meno interessante che non una integrazione più vasta. Francia e Germania non dispongono che in misura limitata delle materie prime e degli elementi di base che occorrono ad un paese sovrappopolato e di trasformazione come il nostro. Il rischio di vedere la nostra agricoltura (grano, carne) e la nostra industria sommerse da una concorrenza molto più agguerrita senza il compenso di maggiori possibilità di vendita, come ci sono offerte dall’oltremare, è indubbiamente molto grande. Infine la possibilità per la Francia e la Germania, dopo i disastri dell’ultima guerra, di contribuire al nostro sviluppo con i loro capitali è praticamente inesistente.

In conclusione, e sempre sul piano economico, è mio giudizio che la maggiore convenienza per noi consisterebbe nel progredire parallelamente verso una maggiore integrazione tanto sul continente europeo quanto con i paesi extracontinentali del N.A.T.O., Inghilterra e Stati Uniti, costituendo con i paesi continentali una comunità non integrale, se l’espressione mi è lecita, condizionata ad un rafforzamento e prolungamento nel tempo dei legami N.A.T.O., e cioè con il Regno Unito e con gli Stati Uniti. Comunque, ripeto, se la storia dovesse trascinarci in altre direzioni e cioè verso una Comunità europea di difesa integrale, dovremmo – a mio avviso – porre come condizione sine qua non quella di una soluzione dei nostri problemi economici sulle linee che ho sopra indicate, le quali non comprendono, come è ovvio, gli altri problemi di ordine politico e militare che pur dovrebbero essere affrontati.


9 1 Membro della delegazione permanente presso l’O.E.C.E.


9 2 Diretto anche al ministro del bilancio, Pella.

10

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI1,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 20/32. Parigi, 28 luglio 1951.

Dopo la lettera che ti ho inviato il 18 luglio2 gli ulteriori sviluppi della Conferenza rendono necessarie, come avrai visto anche dai miei telegrammi, alcune precisazioni e chiarificazioni.

Mi sembra anzi tutto che l’intenzione degli americani che, come hai visto, hanno la tendenza a prendere sempre più in mano la direzione della Conferenza, sarebbe quella di far coincidere l’inizio del riarmo tedesco con la creazione, almeno sulla carta, dell’esercito europeo. Cioè, ritenendo che la questione della parità dei diritti – condizione posta, come sai, dai tedeschi per iniziare il loro riarmo – possa essere decisa al più tardi in novembre, gli americani vorrebbero che, per quell’epoca, il trattato per l’esercito europeo fosse almeno firmato (e non pensano alla ratifica!) in maniera che le nuove divisioni tedesche sorgessero già in un presunto quadro europeo.

Per questa ragione gli americani stanno facendo forti pressioni perché la Conferenza continui rapidamente i lavori. Essi spererebbero perfino che alla riunione dei ministri atlantici in settembre, questi possano prendere in esame non solo il rapporto che la Conferenza ha ora redatto, ma anche un vero progetto di trattato, anche se con qualche articolo in bianco.

La fretta degli americani è tale che sta mettendo in imbarazzo perfino Alphand, che vorrebbe avere un po’ di respiro per sottoporre al Governo francese, quando alla fine sarà formato, il noto rapporto e domandare istruzioni.

Mia impressione è che, malgrado l’insistenza americana, le decisioni governative sul rapporto non si potranno avere, non solo in Italia ma anche presso gli altri paesi, prima di settembre. Credo tuttavia che difficilmente si riuscirà ad andare più in là, senza suscitare sicure reazioni americane.

Il secondo elemento di qualche importanza che si è concretato nelle ultime discussioni della Conferenza è la pratica soppressione dei due stadi, che erano stati prima previsti dal progetto francese, nella creazione dell’esercito europeo.

I francesi, che hanno resistito a molte delle esigenze tedesche per la non discriminazione, hanno ceduto per quel che riguarda il reclutamento. Mentre nel primitivo progetto francese il reclutamento delle divisioni da crearsi ex novo in Germania doveva essere affidato al commissario, i francesi hanno concesso – e la Conferenza ha accettato – che la Germania possa provvedere direttamente con leggi e con organi nazionali al reclutamento dei suoi soldati. Però i francesi, per impedire che i soldati tedeschi vengano armati come tali, hanno preteso che, appena reclutati, questi assumano subito il carattere europeo.

Così per non imporre alla Germania una situazione di discriminazione in questo campo, la Conferenza è stata condotta a prevedere che, non solo i soldati tedeschi, ma anche le aliquote che gli altri paesi verserebbero all’esercito europeo divengano, almeno teoricamente, subito europee. Si sarebbe preveduto altresì che tali aliquote corrispondano alle divisioni che ogni paese ha già messo a disposizione di S.H.AP.E.

In tal modo i due stadi, provvisorio e definitivo, che erano chiaramente e logicamente distinti nel primitivo progetto francese, presentano ora la tendenza a fondersi in uno stadio unico ove l’esercito europeo cominciando con un primo versamento più o meno simbolico di alcune divisioni, si andrebbe gradualmente sviluppando, man mano che il commissario sia in condizioni di assumerne la responsabilità, fino ad includere la totalità delle forze dei paesi membri. Tale meta rimane certo lontana, tuttavia essa non apparirebbe più, come, in un primo tempo, era stato specificatamente detto da Alphand, una meta remotissima e connessa con la realizzazione della vera e propria federazione europea.

La sia pure teorica fusione dei due stadi ha come conseguenza logica, nel campo finanziario, che il bilancio europeo, almeno sulla carta, verrebbe stabilito fin dall’inizio con tendenza a svilupparsi progressivamente.

Come tutto ciò possa in realtà funzionare, non è ancora ben chiaro; la materia è ancora assai fluida ed incerta.

Da parte americana si sono caldamente favoriti gli sviluppi sopraindicati. Tuttavia sembra che gli americani insistano sul concetto della gradualità e della praticità di tali sviluppi, manifestando l’intenzione di eliminare tutto quanto, nel progetto francese, apparisca improduttivo e di inutile complicazione.

Questo concetto e la praticità della concezione americana dell’esercito europeo mi è stato a varie riprese sottolineato nelle conversazioni che ho avuto in questi giorni con Bruce e con i suoi collaboratori, che mi hanno ricordato che in definitiva le ultime decisioni, per quel che riguarda spostamenti di truppe e altre simili concrete decisioni, spettano a S.H.A.P.E., il quale non potrà consentire dispendiose concessioni a punti di vista teorici.

Non potrei dire che gli americani abbiano di già in tale materia delle idee molto chiare e precise, tuttavia il loro indirizzo è fermo e potrebbe in tal campo esserci vantaggioso.

Altrettanto non potrei dire delle tendenze che mostrano gli americani su alcuni punti, quali la collegialità del commissario e la regola dell’unanimità nella approvazione del bilancio da parte del Consiglio dei ministri, su cui noi abbiamo preso un atteggiamento restrittivo. Gli americani non solo sono favorevoli al commissario singolo ma ritengono anche che la regola dell’unanimità per il bilancio possa pericolosamente bloccare tutta l’organizzazione e che, al contrario, sarebbe utile che una maggioranza di due terzi nel Consiglio possa obbligare i recalcitranti a maggior sacrifici.

Comunque sia, come mi sono permesso di telegrafarti, mi sembrerebbe che forse sarebbe utile di prendere contatto con gli americani o a Roma o a Washington e far loro conoscere fin d’ora quelle che, mi sembra, siano le perplessità e le difficoltà per la nostra partecipazione all’esercito europeo. Gli americani, pur avendo preso la ferma decisione di massima che tu conosci, mi sembrerebbero ancora incerti su molti aspetti e dettagli del problema e potrebbero forse essere condotti ad ascoltarci, specialmente se li mettessimo davanti all’esistenza di difficoltà pratiche e concrete.

A tale proposito nelle conversazioni che ho avuto con Bruce e con i suoi esperti, non ho mancato, dicendo naturalmente che parlavo a puro titolo personale e che il Governo non aveva preso ancora nessuna decisione, di sostenere i punti di vista affermati dalla delegazione italiana nella Conferenza e di esporre anche alcuni concetti di politica generale che Venturini ebbe a farmi conoscere nella sua venuta qui.


10 1 Capo della delegazione alla Conferenza per la Comunità europea di difesa fino all’8 settembre 1951.


10 2 Non pubblicato.

11

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta personale 8437. Washington, 28 luglio 1951.

Ti sarei grato se volessi confermarmi, o meno, le intenzioni di cui al telespresso ministeriale 1353 del 24 corrente1, relativo alla revisione del trattato di pace.

Ti rivolgo questa preghiera, perché, te lo confesso francamente, dubito assai dell’opportunità di presentare al Governo americano una nuova proposta e precisamente quella di procedere alla revisione del trattato in due tempi.

È vero che il problema della revisione ha due aspetti: uno psicologico, della «estinzione morale» del trattato; uno pratico, dell’emendamento di talune clausole e della formula giuridica per addivenirvi.

È parimenti vero che gli Stati Uniti, quantunque favorevolmente orientati in linea di principio, appaiono ancora assai lenti (ma, a fortiori, lo sono la Gran Bretagna e la Francia) nel passare all’azione concreta.

Tuttavia mi domando se la separazione cronologica dei due aspetti del problema giovi alla sua soluzione e, soprattutto, se convenga a noi patrocinarla in questo momento.

In sostanza, dopo numerosi passi ufficiosi o semi-ufficiali, più o meno confidenziali, abbiamo ora impostato il problema ufficialmente e pubblicamente. Gli Stati Uniti ci hanno manifestato altrettanto ufficialmente e pubblicamente la loro simpatia e si sono fatti promotori di un’azione diplomatica, interpellando la Gran Bretagna e la Francia. In queste condizioni, mi sembra che convenga provocare innanzi tutto una risposta favorevole, anglo-francese agli americani e, successivamente, lavorare sulla base così creata, al fine di ottenere una revisione dello spirito e di talune clausole del trattato. Saremo sempre in tempo, se le cose non marceranno secondo i nostri desideri, a ripiegare sulla procedura in due tempi, la quale (è inutile nasconderselo) approderebbe tutt’al più a qualche dichiarazione platonica, rinviando alle calende greche la revisione vera e propria.

Non sarei così deciso nel dir questo, se il suggerimento di procedere in due tempi fosse partito da Morrison. In tal caso, per lo meno, ci troveremmo di fronte a una precisa proposta britannica. Senonché, dal rapporto da Londra2, ricavo che l’idea è dell’ambasciatore, non del ministro. Questi si è limitato a dire che «bisogna fare qualcosa»; ma, cosa ha risposto, o cosa si propone di rispondere al Governo americano?

Il rapporto da Parigi (di cui al telespresso ministeriale 11413 del 21 corrente)3 nel quale si dice che, per il Governo francese, la revisione «morale» è più difficile di quella delle singole clausole, mi conferma ulteriormente nell’opinione che non convenga togliere al Dipartimento di Stato l’iniziativa o interferire nella medesima con altre proposte, atte a confondere le idee americane (già purtroppo, abbastanza confuse).

Utilissimo, per contro, sarà il lavoro che, a quanto si dice nel telespresso 1353 del 24 corrente, vien fatto attualmente dal Ministero per esaminare le formule concrete, più adatte a realizzare l’auspicata revisione4.


11 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 593.


11 2 Ibid., D. 550.


11 3 Non pubblicato.


11 4 Per la risposta vedi D. 31.

12

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

T. segreto 7120/71. Roma, 30 luglio 1951, ore 15,30.

Suo 1521.

Questo Ministero mentre concorda con apprezzamento situazione fatto da V.S., non crede opportuno passo suggerito da S.V., sia perché indipendentemente da situazione contingente permane preminente interesse anche italiano al rispetto principio libertà transito Canale, sia perché nostra non appartenenza ad O.N.U. ed in particolare a Consiglio sicurezza, offreci vantaggio tenerci neutrali in tale delicata questione.

Potrebbesi viceversa esaminare opportunità che S.V. stessa svolga costà verbalmente presso singole delegazioni azione mirante sottolineare preminente carattere politico problema e opportunità cercare soluzione che consenta rinvio e eventualmente graduale normalizzazione senza tuttavia compromettere questione principio. V.S. è dunque autorizzata se lo crederà opportuno svolgere tale azione tenendo informato questo Ministero affinché nostro intervento possa essere opportunamente valorizzato presso Governi arabi.

Sarebbe anche interessante avere maggiori precisazioni circa ulteriori concessioni da parte egiziana di cui le è stato fatto cenno2.


12 1 Del 27 luglio, con il quale Guidotti prospettava l’utilità di un passo italiano presso i Governi membri del Consiglio di sicurezza per sottolineare le importanti implicazioni politiche dei provvedimenti egiziani di restrizione del traffico del Canale di Suez.


12 2 Per la risposta vedi D. 27.

13

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 9523/804. Washington, 30 luglio 1951, ore 20,49(perv. ore 9,50 del 31).

Ho illustrato Foster Dulles soluzione alternativa di cui a telegramma V.E. 6069/c.1. mostrandogli anche appunto scritto e tenendo presenti considerazioni di cui a telegramma V.E. 3132.

Prima ipotesi apparendo inattuabile a Dulles, abbiamo discusso a lungo seconda.

Dulles ha osservato che stato guerra fra Giappone e potenze occidentali cesserà soltanto dopo entrata vigore trattato. Questo richiederà vari mesi perché probabilmente Senato americano non (dico non) comincerà discutere trattato prima di gennaio e non ratificherà prima di febbraio. Anche facoltà Giappone riprendere relazioni diplomatiche sarà subordinata a entrata in vigore trattato. Pertanto cessazione stato guerra e ripresa relazioni fra Italia e Giappone dovrebbero essere sincronizzate con effetti trattato. Abbiamo, a titolo esplorativo, constatato ciò potersi fare in due modi:

1) Sincronizzando ratifica italiana scambio note con ratifica americana trattato.

2) Specificando, in scambio note, che note medesime entreranno in vigore insieme a trattato.

Dulles ha altresì osservato che, se scambio note accordasse claims italiani trattamento «identico» a quello previsto da trattato, ciò potrebbe nuocerci perché trattato copre danni derivanti da stato guerra mentre danni italiani si sono verificati dopo armistizio ma prima di dichiarazione guerra. Pertanto converrebbe usare formula più elastica, la quale, pur senza lasciar dubbi su scopo pratico da noi perseguito, prescindesse da identità formali.

Dulles, con tutte le riserve dovute a necessario concorso britannico francese giapponese, è fiducioso che scambio note possa farsi in concomitanza firma trattato generale e che accordo successivo possa essere stipulato prima della entrata in vigore trattato stesso.

Dulles suggerisce che Governo italiano rediga subito esso stesso progetto scambio note e glielo sottoponga.

Egli ritiene altresì opportuno che non (dico non) si prenda contatto con Governo giapponese nella fase attuale, riservandosi far ciò quando si potrà presentargli proposta concreta concordata fra Italia Stati Uniti Gran Bretagna Francia.

Dulles, in vista passi che Governo americano farà Londra e Parigi, mi ha chiesto se Governo italiano ha svolto colà azione analoga a quella svolta qui.

Prego mettermi in grado rispondergli anche su questo punto3.


13 1 Con tale telegramma, del 24 luglio, diretto a Londra, Parigi e Washington, Sforza, dopo aver lamentato la mancata adozione della proposta italiana di un regolamento preventivo e diretto italo-nipponico, aveva dato le seguenti istruzioni: «… Allo stato delle cose, dato il silenzio tenuto, prima, dai Governi inglese francese e americano sulle loro intenzioni, silenzio che non possiamo certamente giudicare amichevole e data l’indebita pubblicità fatta all’ultimo momento all’esclusione italiana, sembra evidente che un negoziato vero e proprio col Giappone ci troverebbe in condizioni d’inferiorità, mentre l’unica arma che potremmo manovrare, cioè quella della permanenza dello stato di guerra con Tokyo, pregiudicherebbe futuri rapporti col Giappone lasciando strascichi che è nell’interesse nostro di evitare. Non resterebbe pertanto che soluzione alternativa, che prego V.E. di presentare a codesto Governo accompagnandola con le considerazioni che precedono e con quelle altre che riterrà opportune: 1) che, in fase di redazione definitiva del trattato, cioè prima del 13 agosto p.v., l’Italia sia inclusa nel novero dei paesi partecipanti alla Conferenza generale di San Francisco, ciò che eliminerebbe automaticamente qualsiasi discussione col Giappone; 2) oppure che un nostro scambio di note con Tokyo, previamente concordato a Washington, ponga fine stato guerra rinviando a data successiva negoziati per quanto riguarda beni, risarcimenti, prigionieri militari e civili, con esplicito accenno che, al riguardo, Governo giapponese applicherà nei nostri confronti stesso trattamento che, in base trattato, verrà applicato agli altri Stati». Luciolli aveva risposto (R. 8418 del 26 luglio) assicurando che avrebbe esposto a Foster Dulles il punto di vista del Governo italiano.


13 2 Del 29 luglio, con il quale Zoppi aveva tra l’altro precisato: «… Scopo cui tale proposta tende è quello evitare che, al momento firma trattato pace generale con Giappone, nostra opinione pubblica abbia sgradevole e tangibile prova che Italia sia stata lasciata da parte. Perciò suggeriamo procedere subito ad un atto bilaterale che sancisca fine stato guerra. Non avremmo difficoltà aggiungere a tale atto, anche accenno nostra disposizione ricevere Roma normale rappresentanza diplomatica nipponica. Accenno nello stesso strumento a rinvio a “secondo tempo” soluzione questioni sorte da stato guerra è suggerito da necessità poter accelerare accordo “primo tempo” (che ha sopratutto interesse politico anche interno) e da richiesta applicazione nei nostri riguardi stesso trattamento previsto da trattato pace: ciò che non potrà avvenire se non dopo che tale trattato sarà entrato vigore».


13 3 Vedi D. 20.

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COLLOQUIO DELL’AMBASCIATOREPRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA,CON L’AMBASCIATORE JUGOSLAVO RISTIĆ

Appunto1. Roma, 30 luglio 1951.

Incontro alla legazione jugoslava, ore 10,30.

Comunico a R. che continuare le conversazioni sul tema della autonomia regionale alle comunità italiane della Zona B, concepito essere soluzione unica o principale del problema, non sembra presentare un pratico interesse. Occorrerebbe rifarsi di nuovo al principio di esaminare l’estensione della Zona A (destinata all’Italia) ad una parte almeno della Zona B.

R. mi risponde che ciò vuol dire il riconoscere che le nostre conversazioni non hanno avuto esito. Esprime il suo disappunto di dover abbandonare l’ipotesi della autonomia regionale. Ne aveva riferito a Bled, ed aveva avuto il «via» a spingersi molto avanti, nel discutere tale soluzione. Dichiara che il separare le zone costiere da un hinterland è un assurdo, sia per la parte jugoslava, che rimarrebbe tagliata dalla costa, che per la parte costiera italiana, priva del suo hinterland naturale.

Osservo che pur annettendo la parte italiana della Zona B all’Italia, opportune convenzioni di traffici e di commercio di frontiera potrebbero ovviare all’inconveniente da lui segnalato.

Mi chiede se ho pensato a far risaltare a chi spetta, le insormontabili difficoltà di prestigio che impedirono al maresciallo di sgombrare la Zona B. Gli rispondo che non ho mancato di farlo, ma che, da parte sua, deve far comprendere che non è possibile ad un Governo italiano di cedere ancora, e per volontario accordo, altre popolazioni italiane.

Conveniamo quindi, nello spirito di colleganza diplomatica che ha sempre ispirato le nostre conversazioni, che ora non abbiamo materia per prolungarle ulteriormente.

Ad ogni buon fine, mi dà il suo indirizzo a Belgrado ed io gli do un recapito in Austria, dove mi reco per l’agosto.

Nel lasciarmi, mi prospetta l’utilità che gli uomini di Stato italiani, nell’esprimersi in pubblico sul problema triestino, evitino con cura ogni espressione che, pur non essendo male intenzionata, possa dar campo agli inesperti o ai malevoli del suo paese di sfruttarlo a scopo di aumentare artificialmente il dissenso. Naturalmente, gli raccomando altrettanta prudenza dalla sua parte. Riprendendo un’idea già espressa, sottolinea l’opportunità che organi di stampa sviluppino il tema dei vantaggi d’ogni genere che darebbero ai due paesi intese cordiali, dopo il superamento della difficoltà che presenta la questione triestina.

Mi dichiaro d’accordo, e ci congediamo coi segni della migliore cordialità, alle 11,302.


14 1 Questo appunto, relativo al quarto ed ultimo colloquio di Meli Lupi di Soragna con Ristić, è come i precedenti (vedi serie undicesima, vol. V, DD. 566, 575 e 594) conservato nelle carte personali di Sforza e da lui pubblicato in Cinque anni a Palazzo Chigi. La politica estera italiana dal 1947 al 1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 417-429.


14 2 Sforza trasmise questo appunto a De Gasperi con la seguente lettera del 3 agosto: «In vista anche dei cenni di immobilismo italiano di fronte alla Jugoslavia fatti da Mallet a Jannelli [vedi D. 2] credo bene mandarti, coi precedenti, il resoconto (il solo che tu non abbia ancora visto) del IV e ultimo colloquio di Soragna con R. Non ho mostrato queste carte a nessuno, né a Zoppi né a Jannelli».

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L’AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 2499/593. Buenos Aires, 30 luglio 1951(perv. il 10 agosto).

Il presidente della Repubblica, generale Peron, al quale avevo chiesto udienza non appena rientrato in sede dall’Italia, ha sollecitamente aderito a tale mia richiesta, convocandomi alla Casa di Governo il 27 luglio.

L’accoglienza che il presidente ha voluto riservarmi in questa prima visita dopo il mio ritorno è stata marcata da una particolare cordialità. Se questo fatto risponde alla reale simpatia che il generale Peron sente per l’Italia e risponde altresì alla sostanziale bonarietà dell’uomo, questa volta può voler dire qualche cosa di più in quanto il presidente era al corrente del lavoro svolto a Roma, secondo le direttive concordate con codesto Ministero, ai fini della impostazione di nuovi accordi economici e si era dimostrato sempre fiducioso in un buon risultato delle conversazioni. Il generale Peron infatti non ha mancato di compiacersi del criterio che ha presieduto alle prime conversazioni a Roma ed ha voluto ribadire l’assicurazione che il Governo argentino verrà incontro all’Italia in tutti quei settori nei quali noi attendiamo la conferma di assicurazioni e di garanzie – in parte già promesseci – per poter poi concretare le reciproche contropartite negli accordi in sede di revisione.

Come ho accennato, il presidente Peron era già stato sostanzialmente informato di quanto aveva formato oggetto di nostra discussione interna a Roma, tanto che mi son sentito esprimere la sua gratitudine e soddisfazione per lo sforzo che l’Italia si mostrerebbe pronta a fare sia per facilitare l’ammortizzo a scadenza del debito argentino attuale, sia per permettere, attraverso la concessione di un nuovo credito, talune forniture essenziali per l’economia argentina.

Devo peraltro aggiungere che il presidente si è perfettamente reso conto di quanto io ho creduto opportuno riconfermare, che cioè l’insieme delle risposte italiane al noto memorandum argentino costituiva una base di discussione, essendo ogni proposta nostra legata e subordinata alla accettazione da parte argentina di altre richieste o concessioni.

Comunque nell’esame di quelle che sono state le richieste da una parte e dall’altra esaminate e discusse previamente qui e a Roma, il presidente si è mostrato decisamente favorevole ad una totale o larga accettazione: in tal senso mi ha assicurato che avrebbe parlato alla riunione del Consiglio economico che egli avrebbe presieduto nella prossima settimana, dopodiché si riservava di dar disposizioni perché la conversazione si iniziasse formalmente a Roma.

A confermare l’importanza che il presidente ha voluto attribuire alla conferenza avuta con me, egli ha voluto dar disposizioni in mia presenza affinché a cura della Presidenza stessa fosse diramato a tutta la stampa un comunicato riassumente gli argomenti trattati nella udienza, assieme ad una fotografia che egli ha voluto fosse fatta per «fissare un incontro – son le parole che egli ha voluto dirmi alla fine – che deve segnare l’inizio di un periodo di rapporti ancor più cordiali e fecondi tra i due paesi». Voglio aggiungere che nel corso della conversazione egli mi aveva anche confermato che l’Italia potrà sempre contare sul continuato e fervoroso appoggio argentino davanti alle N.U.

In effetti tutti i giornali di Buenos Aires – come delle altre città – hanno dato notevole rilievo tipografico al comunicato, pubblicandolo quasi tutti in prima pagina a fianco della fotografia dell’incontro col presidente.

Devo osservare, a conclusione, che l’atteggiamento del presidente, oltre a rispondere – come già ho detto – al sentimento suo verso il nostro paese ed alla soddisfazione di vedere finalmente impostata una trattativa alla quale anch’egli teneva molto, deve rispondere anche ad una esigenza personale di mettere in rilievo, alla vigilia delle elezioni presidenziali, la sua preoccupazione di vedere realizzarsi una buona sistemazione delle varie questioni in sospeso con l’Italia nel campo finanziario, commerciale ed emigratorio, affinché la eco di ciò abbia il suo riflesso nei vasti strati di elettori italiani e figli di italiani che rappresentano qualche milione di voti.

16

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservatissimo 4213/2390. Londra, 31 luglio 1951(perv. il 3 agosto).

Ho riferito con telegramma odierno1 su una parte del colloquio avuto ieri con il sottosegretario permanente al Foreign Office, e precisamente su quella relativa alla revisione del trattato di pace.

Desidero ora ritornare in argomento, non tanto per sviluppare i concetti già esposti nella mia comunicazione telegrafica, quanto per chiarire l’impostazione datavi e per riferire sugli altri non meno importanti punti emersi nel corso della conversazione che ha avuto un lungo sviluppo ed un carattere del tutto confidenziale.

In merito all’impostazione della questione revisione, ho tenuto a non farla apparire come una «proposta nostra», bensì come frutto delle magari anche non troppo liete riflessioni a cui le difficoltà prospettate da parte alleata ci avevano portati: riflessioni che ci avevano indotto a supporre che gli Alleati considerassero come procedura possibile nelle circostanze attuali forse soltanto una del genere di quella da me suggerita nell’ultima parte del mio rapporto n. 3855/2161 del 14 corrente2. Noi dunque eravamo disposti a considerare favorevolmente una proposta alleata di azione in due tempi, sempre che la dichiarazione relativa alla «decadenza morale» (primo tempo) non indicasse necessità di assenso da parte di altri Stati, e il secondo tempo facesse sollecitamente seguito al primo. Non dunque «proposte» italiane che gli anglo-franco-americani avessero da esaminare ed eventualmente «ridurre», bensì piuttosto una «accettazione» – da parte dell’Italia – di quello che si supponeva fosse l’intendimento alleato; accettazione perciò condizionata al soddisfacimento di talune minime esigenze dalle quali non sarebbe possibile prescindere senza annullare il valore del gesto. Unisco ad ogni buon fine un breve appunto3 che ho consegnato a sir William Strang per fissare a grandi tratti la sostanza del punto da me sollevato.

Quello che è però necessario tener presente per meglio valutare gli effetti della proposta e l’accoglimento ad essa riservato da Strang è di chiarire l’atmosfera, tutt’altro che scevra di preoccupazioni da parte del mio interlocutore, in cui il colloquio ebbe inizio.

Il sottosegretario permanente evidentemente si attendeva che il mio passo dovesse toccare l’argomento revisione, ed è pertanto sull’atmosfera generale che egli volle anzitutto condurre la conversazione, onde dissipare ogni possibilità di malintesi.

Sir William Strang mi lasciò comprendere senza sottintesi le preoccupazioni sue e del Foreign Office circa la situazione italiana. Una cosa rassicurava sì il Governo inglese, ed era la equilibrata forte e diretta personalità del presidente e ministro degli esteri De Gasperi «for whom we all have the greatest respect». La fiducia che egli aveva ispirato ad Attlee e a Morrison, così come a quanti uomini politici aveva incontrato a Londra nel convegno del marzo scorso4, rimaneva sincera ed intatta. Che la politica italiana rimanesse tutta nelle sue mani e che egli avesse dietro di sé un grosso partito era una grande garanzia per l’Europa.

Ma il significato e il carattere dell’ultima crisi, così come risultava specialmente dalla nostra stampa, davano il senso di un prevalere di vecchi motivi nazionalistici accompagnati dall’inevitabile e unilaterale sollevazione dell’opinione pubblica contro l’Inghilterra, che potevano lasciare in dubbio se la politica estera del ministro non avrebbe finito per deviare dalle linee di accordo e di comprensione che erano state cordialmente raggiunte a Londra e il cui spirito prometteva svolgimenti proficui e concreti per la pace atlantica.

Se una tale deviazione, sotto la pressione di partiti, di stampa e di opinione pubblica eccitata, si fosse progressivamente accentuata, egli prevedeva «bad days» per le nostre relazioni con nessun miglioramento concreto a nostro vantaggio. La ripercussione di tale improvviso eccitamento in gran parte ingiustificato era misurabile sopratutto in Trieste dove dall’Italia erano giunte niente meno che serie minaccie di morte al generale Winterton. Non era questo uno scherzare col fuoco? E a vantaggio di chi?

L’Inghilterra da parte sua rimaneva ferma alle posizioni prese a Londra: si era anzi molto desiderosi di nuovi incontri ad alto livello, in occasione del Consiglio atlantico – sperava Morrison – visto che non avevano potuto avere luogo a Strasburgo né in Italia come il segretario di Stato avrebbe desiderato accettando il nostro invito. Ma d’altra parte mi parve che risultasse dal discorso di Strang che il Governo inglese, e non solo il Governo, stesse bene attento al «tono» che nelle prossime settimane avrebbe preso il nuovo Ministero nei rapporti italo-inglesi.

Tanto più si comprende quindi come l’impostazione data alla questione della revisione abbia sortito il più favorevole degli effetti: da un lato perché ritenuta dal mio interlocutore come il vero modo di affrontare il problema; e dall’altro lato come elemento rassicurante rispetto alle preoccupazioni qui nutrite sull’eventualità di nostri atteggiamenti troppo spinti. Atteggiamenti di tal genere farebbero esitare gli Alleati a venire incontro ai nostri desiderata persino in quei limiti che essi possono essere oggi disposti a raggiungere.

Ed è allora che il sottosegretario permanente si è espresso nei termini più chiari sulla questione di Trieste, cioè sulla necessità di risolvere il problema del T.L.T. che costituisce una acuta spina nei rapporti jugoslavi e che preoccupa Londra e Washington soprattutto come elemento di irrequietezza e di frizione nella comunità atlantica, e proprio in uno dei più delicati settori del suo schieramento. Strang è stato molto esplicito in proposito: e rileggendo il mio appunto ha indicato graficamente la fase in cui dovrebbe – a suo avviso – inserirsi la soluzione del problema: e cioè fra il primo ed il secondo tempo o, più precisamente, come primo elemento del secondo tempo.

Egli non mi ha nascosto che dietro le riserve anglo-americane in materia di revisione, bisognava leggere non tanto le pur serie difficoltà di ordine giuridico connesse coll’atteggiamento ovviamente negativo della Russia, quanto sopratutto le difficoltà di ordine politico provenienti dalla Jugoslavia e delle quali non vi è da pensare (questo lo aggiungo io) che gli anglo-americani non tengano il più serio conto anche se non ce lo diranno tutti con uguale chiarezza. Difficoltà che si compendiano nel fatto che la questione del T.L.T. continua a rimanere eternamente in sospeso.

Inutile che io stia a ripetere gli argomenti che ho addotto al mio interlocutore per sottolineare la delicatissima posizione del nostro Governo rispetto ad un problema al quale non vi è un solo italiano che non sia estremamente sensibile. E non ho mancato di ricordare come da parte jugoslava, nonostante i grandi sacrifici impostici col trattato di pace, si desse prova di un’intransigenza che non era certo fatta per incoraggiarci a delle «aperture».

Strang, col quale del resto mi ero già tante volte espresso in questo senso, ha assicurato che si rendeva perfettamente conto delle nostre difficoltà e delle nostre ragioni, mi ha prospettato le difficoltà cui anche Tito – per parte sua – deve far fronte, ma ha concluso che è non solo nell’interesse generale ma nello stesso nostro interesse particolare che la questione dovrebbe essere risolta al più presto possibile.

Non mi nascondo che, a prima vista, questo inserimento della questione di Trieste nel problema della revisione non sarà gradito a V.E. e potrà essere interpretato come una forma di pressione per indurci su un cammino sul quale siamo riluttanti a procedere.

Devo però aggiungere con altrettanta franchezza che non ritengo che la questione debba porsi in questi termini, né che una interpretazione del genere di quella suaccennata risponderebbe alla realtà.

Anzitutto l’inclusione della questione di Trieste in un autentico processo di revisione nasce dalla natura delle cose: né mi sembra che sarebbe validamente sostenibile che si debbano «rivedere» concretamente le clausole militari ed economiche lasciando da parte invece proprio la sola parte del trattato di pace – ed una che è politicamente di primissima importanza – che per un complesso di circostanze non ha (fortunatamente per noi) potuto avere attuazione nei termini sanciti dal trattato stesso.

La soluzione del problema del T.L.T. può rimanere fuori dal campo della revisione finché ci si attenga a dichiarazioni platoniche, valide ai soli effetti morali: ma non se, come è nostro desiderio ed interesse, si vuole che il riconoscimento della «decadenza morale» sia seguito dai fatti.

In secondo luogo non ho la sensazione che l’inserimento di tale questione nella fase indicata possa giuocare a nostro svantaggio. Una dichiarazione tripartita che sancisca la decadenza morale del trattato ci pone in condizioni favorevoli sia dal punto di vista psicologico che da quello politico. Essa ribadisce automaticamente, attraverso il riconoscimento del contributo dell’Italia alla cooperazione internazionale, l’appoggio degli Alleati nei nostri riguardi e – d’altra parte – ci toglie da una condizione di inferiorità rispetto agli jugoslavi per essere noi legati ad un trattato punitivo al quale essi hanno apposto la loro firma nel novero dei vincitori. La dichiarazione dovrebbe avere un effetto beneficamente distensivo nella nostra opinione pubblica tacitando molte delle irritazioni e delle ansie degli ambienti affetti da mania di persecuzione. Con ciò anche essa potrebbe quindi contribuire a creare un ambiente più adatto per intavolare trattative dirette per una definizione del problema.

Del resto occorre tener presente l’atteggiamento, a noi già noto da tempo anche attraverso il passo costà compiuto da Iveković5, assunto dalla Jugoslavia nei riguardi della revisione. È chiaro che, con tali premesse, Belgrado cercherà di farci pagare in moneta triestina ogni concessione che possiamo ottenere nel processo di revisione delle clausole militari ed economiche: donde anche l’opportunità per noi che la questione di Trieste sia risolta prima, togliendo alla Jugoslavia un facile mezzo di pressione.

Quanto ad interpretare ciò che Strang mi ha detto come una forma di pressione unilaterale su di noi, sono portato nettamente ad escluderlo anche in base a un importante dato di fatto del quale solo ora sono venuto a conoscenza, e che getta sull’atteggiamento inglese una luce più favorevole di quanto forse non ci si attenda in Italia. Avevo riferito a V.E. come Morrison, quando si era parlato della questione di Trieste, avesse lasciato intravedere una favorevole disposizione dell’Inghilterra ad interporre i propri buoni uffici. Quello che egli non mi disse, e ciò per non creare in noi soverchie illusioni che prescindano dalle effettive difficoltà che gli Alleati incontrano nella loro azione su Belgrado, è che aveva anzi già iniziata la sua azione a nostro favore.

Ai primi di luglio ebbe luogo, alla presenza del leader liberale Clement Davies che me ne ha ora parlato, una conversazione tra il segretario di Stato inglese e il capo di Stato Maggiore jugoslavo Popović, sulla quale dobbiamo beninteso mantenere il più assoluto segreto tanto più che Morrison ignora che io ne sia stato messo al corrente. In tale occasione Morrison insistette con Popović perché da parte jugoslava si facessero «tutti i sacrifici necessari» per risolvere in via d’accordo la questione del T.L.T. «Questi sacrifici vi ritorneranno in altrettanti benefici», aveva detto il segretario di Stato insistendo sull’immenso valore che aveva per gli Alleati la completa pacificazione tra Jugoslavia e Italia in rapporto alla difesa dell’Occidente e accentuando, secondo Davies, il tono di comprensione per l’Italia. La posizione presa da Morrison mi sembra tanto più importante in quanto la conversazione con Popović verteva sugli aiuti e le armi che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti erano disposti a dare a Tito.

Aggiungo infine che, nel corso del nostro colloquio, Strang mi ha anche lasciato intravedere talune interessanti possibilità di «metodo» e di sviluppi, che sono ancora in forma troppo vaga per poterne riferire per iscritto e sui quali mi riservo pertanto di ritornare a voce direttamente con V.E.6.

Allegato

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, STRANG

Appunto. [Londra, 30 luglio 1951].

It is believed that, in order to overcome legal difficulties connected with the revision of the Italian Peace Treaty in the present international situation, it might be considered preferable by the Allied Powers to proceed on this matter in two stages.

The first should be a solemn declaration whereby the British, U.S.A. and French Governments recognise that, in view of the change in Italy’s position, the punitive clauses of the Treaty can no longer exist. The declaration should also include an assurance by the Three Powers to consider the way and means to adapt to the present situation such clauses of the Treaty as appear now superseded.

The second stage should consist in the examination of the clauses of the Peace Treaty and of the adoption of pratical measures for the carrying out of their revision. This second stage should follow the declaration as soon as possible and should be of a strictly confidential character.

The Italian Government consider that in the present circumstances such a procedure would meet the legitimate expectations of the Italian people, in view also of Italy’s position in the Atlantic community and, at the same time, would make it possible to avoid the obstacles that – in the opinion of the Allied Governments – hinder the revision of the Peace Treaty.

However since publicity would only be given to the declaration, the expectation of the Italian people would be frustrated if this declaration – which is of a purely moral nature – were to mention that agreement by other Countries is required for its implementation.


16 1 T. s.n.d. 9530/401, non pubblicato.


16 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 550.


16 3 Vedi Allegato.


16 4 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 298, 307 e 330.


16 5 Ibid., D. 470.


16 6 Vedi anche D. 22 e, per la risposta, D. 44.

17

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. urgente 1055/013. Rio de Janeiro, 31 luglio 1951(perv. il 3 agosto).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/11414/c. del 21 luglio u.s.1.

Ho fatto in questo Ministero affari esteri le comunicazioni prescrittemi col telespresso sopra indicato.

Mi è stata data assicurazione: 1) che il Governo brasiliano, se consultato direttamente, esprimerà il proprio avviso favorevole alla revisione del nostro trattato di pace. 2) Che saranno date istruzioni alle rappresentanze diplomatiche all’estero, perché informino i Governi dei paesi amici delle favorevoli disposizioni del Governo brasiliano. 3) Che particolari direttive verranno impartite alla delegazione brasiliana all’O.N.U. perché si adoperi, previo accordo con il nostro rappresentante, nel senso desiderato.

Data l’importanza del paese e la sua posizione in seno alle Nazioni Unite, riterrei preferibile che fosse il nostro rappresentante a prendere l’iniziativa di un contatto con la delegazione brasiliana.


17 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 587.

18

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. personale. Rio de Janeiro, 31 luglio 1951.

Mi compiaccio perché tu continui ad essere capo del nostro Governo e sei tornato ad assumere anche la direzione degli Esteri, mentre Sforza, rimanendo nel Consiglio, va ad assumere quello speciale incarico del settore Unione Europea, che sarà a lui meno gravoso, ma che gli conferisce un incarico, a cui porterà quella tradizione e programmazione europea di cui è antico e valido sostenitore.

Quanto a me, sono lieto di ritornare, con te, alle origini della mia nomina di quel lontano 1945. E mi permetto oggi di scriverti, dopo essermi compiaciuto di questi rapporti che continuano, in una posizione diplomatica, che non avevo, fino allora mai preveduto né pensato, e riallacciandosi ai più che quarant’anni (ricordi il Congresso universitario trentino del 1906 e il comizio di Borgo?) di vecchia e provata amicizia, rafforzata nelle sventure italiane.

Questa lunga mia esperienza in Brasile mi ha sempre più dato la impressione della grandissima considerazione che dobbiamo dare a questo paese. Purtroppo molti (non tu) sottovalutarono per gran tempo, dopo guerra, il Brasile e attesero quella «disillusione argentina» (come la chiamò nel decorso anno un nostro ambasciatore italiano in una sua lettera direttami) per considerare il Brasile. Non ho bisogno di dire che, nella visione generale dei nostri interessi col Sud America, io ho sempre considerato e considero tutto l’interesse, anche pendente quella crisi, che l’Italia ha verso quel pur grande paese che è l’Argentina, anche se le mie idee non collimano con quel regime. Ma del Brasile, e indipendentemente da ogni altro confronto, sostenni sempre e decisamente sostengo tutta la importanza che è da darglisi. Mi pare che anche in certi ambienti nostrani si sia notata una certa rettifica di opinione. Credo che si sia anche visto (ma io giudico per me, e siete voialtri a giudicare di me) che, quando non mi si è imbarazzato con tante, e talune non efficaci, missioni, che i rapporti con questo Stato sono riusciti a qualcosa di utile. Però c’è ancora da fare per una più piena valutazione del Brasile in Italia.

La lentezza e talvolta le lentezze e resistenze della politica brasiliana sono note. Noi però evidentemente non possiamo trasformare un popolo. Possiamo e dobbiamo (ed io ho cercato di farlo con pazienza e costanza) usufruire delle possibilità in quelle stesse condizioni. Nonostante quei difetti, conseguenza di storia, di carattere, di certe immaturità, di difficoltà interne dei brasiliani, è sempre da considerarsi, onde non sfuggano ancora delle occasioni, la grande importanza di questo paese. Invero il Brasile non è da valutarsi romanticamente e superficialmente; anche quando lo si definisce come «paese dell’avvenire», deve considerarsi nella realtà in cui si è attuato e si attua e nella sua disposizione, che perciò è pure realtà, verso il suo avvenire. Tu potrai far molto per dirigere le opinioni nostrali al riguardo. Puoi fare quello che proprio bisogna sia fatto di costà, ancorché io qua e di qua abbia assolto e assolva, con passione, il mio compito. Il Brasile è ormai un grande Stato, con elementi affini a noi e anche con elementi diversi ma in cui si può trovare la complementarità coi nostri, in ogni campo, demografia, economia, cultura, politica. Gli appoggi che ci ha dato nel settore internazionale non sono superficiali e occasionali: il Brasile, benché unito in modo speciale alla politica panamericana dominata dal Nord, ricerca la sua applicazione, dove può e come può, anche sul più ampio campo internazionale. I suoi interessi prospettici verso l’Africa (onde non gli sia chiusa la porta per i suoi interessi) possono coincidere coi nostri, anche se non con noi soli, e ci fanno considerare tutta l’importanza di quella coincidenza che occorre tener sempre in vista per utilizzare.

Ora permettimi fare talune osservazioni.

Dalle comunicazioni che ho fatto al Ministero sapete che questo Governo non solo prosegue la linea di appoggio alle nostre rivendicazioni per la revisione del trattato, ma si è dichiarato disposto a prendere, per quest’appoggio, una particolare posizione dal Sud America, tenendosi naturalmente in relazione con noi per il momento e forma. Bisogna, a mio avviso, tener presente questa disposizione, con la più grande e decisa considerazione. Il Brasile non può essere considerato alla stessa stregua degli altri Stati sudamericani, piccoli Stati, verso cui pure il nostro Governo ha avuto ed ha la dovuta considerazione ma che (e fu già altra volta rilevato da questi ambienti politici) non possono essere considerati nello stesso piano col Brasile in quella azione internazionale di tanto rilievo. La posizione del Brasile nelle Nazioni Unite, e il confronto colle posizioni specifiche diverse di altri due Stati sudamericani (Argentina e Cile) devono essere valutati per il primario valore del Brasile. Confido che la nostra politica estera si diriga a questa considerazione e, per quel che riguarda l’opera di mia collaborazione qua, mi dia il conforto delle vostre direttive.

Quanto poi a valorizzare di più i nostri rapporti e quindi rafforzare la nostra influenza, nei molteplici settori, io mi auguro anche che la nostra attrezzatura e valorizzazione del nostro stesso personale sia tenuta particolarmente, e con cura, sempre più presente dal nostro Ministero. Gli altri Stati ex Asse (Germania e Giappone), riprendendo le loro rappresentanze diplomatiche, sono attrezzati con larghe e intelligenti forze di personale e di mezzi, politici, propagandistici, commerciali ecc. Riferisco, con rapporto, sulle forze con cui è attrezzata la nuova missione tedesca. Lo so… il Tesoro! e comprendo. Ma le cose si fanno o non si fanno. L’onere dei mezzi rappresenta un onere necessario e di imprescindibile utilità, se si deve lavorare, oltretutto, a controbilanciare le altre forze che altrimenti potranno sicuramente far passare in seconda linea l’efficacia dell’elemento italiano in Brasile a tutto danno delle nostre relazioni. La conclusione dei trattati italo-brasiliani, la cui applicazione marcia, anche se non senza le abituali lentezza e difficoltà brasiliane, che son quel che sono e che cerchiamo quotidianamente di fronteggiare e remuovere, mentre a quelle convenzioni potranno anche aggiungersi talune nuove provvidenze, ci offre un momento veramente decisivo di presa di posizioni, che non bisogna perdere.

Aggiungo che la nostra azione avrà tanto maggiore possibilità quanto più sarà curato anche il coordinamento dei servizi, enti speciali ecc. colla nostra rappresentanza, non per negare, per quanto rifletta qua, talune autonomie di funzioni, ma per collegarle al fronte unico. Su quest’argomento, ho parlato recentemente anche nei miei rapporti, a proposito dei servizi di emigrazione e della Compagnia.

Prima di chiudere questa mia, tengo anche a segnalarti che questo ministro degli esteri attribuisce grande importanza al prossimo Congresso dell’Unione latina, che avrà luogo nei primi di ottobre a Rio, e nel quale sarà decisa anche la sede dell’Unione (sono in concorrenza Roma e Parigi). Su quest’argomento invierò speciale rapporto, non appena completate le informazioni. Il ministro Neves, che ci tiene molto perché ne fu ideatore a Parigi durante la Conferenza del 1946, me ne parla spesso. Ieri, per caso, ho saputo che esiste già un Comitato italiano con personalità di rilievo. Se dovrà, come credo, nominarsi una delegazione al Congresso di Rio, esprimo l’avviso che una delegazione sia formata da nomi di quotazione internazionale. Non so quali saranno i criteri al riguardo; certo è che altre nazioni sceglieranno probabilmente nominativi in quel senso non solo nel campo del diritto e sociale ma anche in quello della letteratura e arti cui questo ministro pure tiene giustamente molto. L’occasione sarebbe propizia per darci nome e influenze. Mi permetto perciò segnalarti fin d’ora anche questo argomento.

Et de hoc satis. Mi puoi dire che tutti questi argomenti sono da te ben conosciuti e previsti. Ma tu, buon amico, oltreché presidente e ministro, prenderai questa mia lettera come espressione della mia volontà costante di collaborazione e di quella po’ di esperienza brasiliana che ho fatto in questi sei anni in cui mi avete tenuto a questo faticoso e complesso, ma interessantissimo, lavoro.

19

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,CON L’AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, FOUQUES-DUPARC

Appunto. Roma, 1° agosto 1951.

È venuto oggi a trovarmi, prima di partire in congedo, l’ambasciatore di Francia. Mi ha detto che, secondo notizie ricevute dal Quai d’Orsay, la questione della revisione del trattato di pace avrebbe fatto un passo innanzi di cui Quaroni è stato messo al corrente. Si tratterebbe di una procedura che non conosceva bene non essendogli ancora arrivato il corriere diplomatico, ma in cui interverrebbe anche l’O.N.U. Gli ho detto che non avevamo ancora notizie da Quaroni1 e non potevo quindi dirgli nulla di più di quanto egli stesso mi aveva comunicato.

È poi venuto a parlare di Trieste chiedendo se avevano mai avuto contatti diretti con gli jugoslavi sull’argomento. Secondo Fouques-Duparc, che mi è sembrato non parlasse soltanto a titolo personale, il momento non dovrebbe essere sfavorevole poiché gli jugoslavi stanno chiedendo molti aiuti economici e militari all’Occidente. Ho risposto che in varie «sedi» (a Roma con noi, a Londra con Gallarati Scotti, a Belgrado con Martino) gli jugoslavi si esprimono da tempo in favore di una soluzione della questione con trattative dirette, ma che non vanno oltre dichiarazioni generiche di buona volontà «reciproca», mentre poi il contegno della loro stampa e gli stessi discorsi dei loro uomini responsabili, Tito compreso, appaiono ispirati ad una intransigenza tutt’altro che incoraggiante. La sensazione che abbiamo, ho detto, è che la «buona volontà» jugoslava non andrebbe oltre una proposta di spartizione del T.L.T. sulla base della assegnazione della Zona A all’Italia e della Zona B alla Jugoslavia, cosa che nessun Governo italiano potrebbe accettare. Mi ha risposto se credevo proprio che le cose stessero così. Egli aveva una impressione diversa e non escludeva che qualche pressione potrebbe essere esercitata a Belgrado approfittando della attuale situazione jugoslava. Ho osservato che secondo noi tali pressioni potevano esercitarsi da tempo, ma che gli americani e sopratutto gli inglesi si erano sempre sottratti a suggerimenti in tal senso il che aveva anche contribuito a rendere Tito più baldanzoso e intransigente. Egli crede ormai di poter tutto chiedere e nulla dare agli occidentali avendo questi dato una, secondo noi, esagerata (almeno tatticamente) impressione del loro interesse ad averlo amico. Fouques-Duparc è tornato ad insistere nel suo concetto; egli non escludeva né migliori disposizioni jugoslave, né migliori disposizioni occidentali e riteneva che si sia creata una situazione psicologica per cui né noi, né Belgrado, oseremmo fare il primo passo e scoprire le nostre intenzioni e i limiti delle concessioni che saremmo disposti a fare.


19 1 Vedi D. 36.

20

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. segreto 7210/319. Roma, 2 agosto 1951, ore 21.

In linea di massima, saremmo favorevoli a suggerimento Foster Dulles di cui a punto due suo 8041 restando inteso che scambio note potrebbe avvenire anche subito e che americani ne favoriranno stipulazione d’accordo con Governo giapponese e nostra rappresentanza Tokio. Entrata in vigore sarebbe concomitante con quella trattato generale.

Concordiamo in apprezzamento Foster Dulles relativo circostanze in cui si verificarono danni da noi subiti e necessità tener conto di ciò in quella parte scambio note riferentesi questione risarcimenti. Progetto note potrebbe venire concordato a Tokio con d’Ajeta.


20 1 Vedi D. 13.

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. segreta 1438 segr. pol. Roma, 2 agosto 1951.

Rispondo alla sua lettera n. 529 del 27 luglio1.

La questione della revisione del trattato, che è bene ricordarlo è sorta in America quasi prima che da noi, è una di quelle questioni «psicologiche» che finiscono per avere una rilevanza politica. E come tale va considerata. E del resto è ormai unanime il riconoscimento da parte dei Governi francese, americano e britannico, che qualcosa in questo senso va fatto; non solo, ma che va fatto presto. Tanto più che il trattato giapponese induce la nostra opinione pubblica a raffronti sfavorevoli anche nei confronti dei nostri alleati. Di tutto ciò il Governo, che a suo tempo sostenne la necessità di firmare e ratificare il trattato, non può non tenere conto.

Stiamo esaminando con il Foreign Office la possibilità di dividere la questione in due tempi appunto per superare le difficoltà, anche da lei accennate, di scendere rapidamente dalla enunciazione di un principio alla sua pratica applicazione, e per evitare che questa sia concentrata sul settore militare che appare il più facile a «revisionare» ma che presenta anche aspetti delicati in quanto può troppo facilmente prestarsi ad essere sfruttato dalla propaganda comunista. Potremo così rivedere quelle parti del trattato che possono venire rivedute, e questa procedura appare preferibile ad altre che dovessero condurre alla sostituzione del trattato attuale con un altro, o alla redazione di un documento che dovesse dettagliatamente elencare ciò che viene modificato e ciò che rimane. Non potremmo infatti sottoscrivere liberamente certe clausole, come ad esempio quelle territoriali, che ci furono imposte e che furono del resto eseguite.

Mi pare dunque buona, per quanto si riferisce al «primo tempo» l’idea di Schuman, di una dichiarazione solenne dei Tre. Tale dichiarazione non dovrebbe avere accenni espliciti a questa o a quella clausola, ma sopratutto carattere e valore morale e politico. Accenni allo «spirito punitivo» del trattato, alla «inadempienza» alleata, alla non discriminazione, ecc., ecc., non guasterebbero. Importante è che la dichiarazione contenga l’impegno a metterne in pratica lo spirito attraverso negoziati successivi. Non dovrebbe per contro subordinare l’applicazione ad accordi preventivi con tutti gli altri firmatari in quanto ciò le toglierebbe ogni valore, troppo evidente risultando la difficoltà di mettere d’accordo tanti paesi su questioni singole. Si vedrà poi con chi trattare.

Ella può dunque in questo senso riprendere la conversazione al Quai d’Orsay tenendo conto di quanto si sono già detti sull’argomento Gallarati Scotti e Strang2.


21 1 Vedi D. 6.


21 2 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 516, 550, 576, 593 e, in questo volume, D. 16.

22

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservatissimo 4237/2398. Londra, 2 agosto 1951(perv. il 7).

Ieri ho avuto un lungo colloquio con il sottosegretario parlamentare agli affari esteri, Ernest Davies, ed ho telegraficamente riferito la risposta da lui datami circa la questione degli apparentamenti.

Per quanto riguarda il rinvio delle elezioni, eventualità che già avevo prospettato a Strang come fattore suscettibile di contribuire notevolmente a quella pacificazione di spiriti alla quale si annette una particolare importanza da parte alleata, Davies con il quale sono ritornato in argomento mi ha espresso l’avviso che sia ormai difficile di poter adottare una decisione del genere. Egli era, del resto, del parere che l’effetto di un rinvio sarebbe probabilmente assai diverso da quello auspicato, in quanto potrebbe dare l’impressione che si temano da parte italiana i risultati delle elezioni; il che implicitamente rafforzerebbe la posizione di slavi e indipendentisti in misura superiore alla loro effettiva consistenza.

Naturalmente, insistendo sia per l’apparentamento che per il rinvio, ho ribattuto che da parte nostra eravamo di avviso del tutto opposto a quello da lui espressomi, e che non vedevo assolutamente come il rinvio potrebbe essere interpretato in modo diverso da quello che effettivamente ci si proporrebbe di raggiungere, e cioè di consentire il rasserenamento di una atmosfera attualmente surriscaldata.

Debbo aggiungere che – quanto al rinvio – mi risulta che l’avviso espresso da Davies era del tutto personale – pur corrispondendo effettivamente ad una tendenza di qui – e che nessuna decisione, positiva o negativa, è ancora stata adottata dal Foreign Office su tale possibilità. Il che mi consentirà di ritornare ancora una volta ad insistere sulla questione con ogni utile argomento.

Passando poi a parlare del problema del T.L.T. in generale, Davies ha ribadito i concetti che già Strang mi aveva esposto nel nostro colloquio di tre giorni fa (mio rapporto n. 4213/2390 del 31 luglio)1. Da parte inglese si considera, cioè, che la questione di Trieste è di capitale importanza per la tranquillità ed il rafforzamento della compagine occidentale in quel delicato settore; e che occorre quindi affrontarla coraggiosamente e risolverla il più presto possibile, con la migliore buona volontà da tutte le parti.

Il permanere dello status quo, ha proseguito Davies, è una sorgente di frizione non soltanto fra Roma e Belgrado ma anche fra l’Italia e gli Alleati; e l’Inghilterra sarebbe certo l’ultima ad auspicare sia delle frizioni in campo occidentale, sia il protrarsi all’infinito della situazione attuale.

Davies mi ha parlato della sua imminente visita in Jugoslavia, sulla quale avevo già precedentemente riferito a V.E.: egli parte con la famiglia e trascorrerà le prime due settimane del suo soggiorno sulla costa dalmata per prendere un periodo di riposo. Successivamente però intende avvicinare le più alte personalità jugoslave, che ormai conosce da tempo, e uno dei principali scopi che si ripromette di raggiungere da questi incontri è proprio di sincerarsi – a titolo personale – sulla conclamata buona volontà jugoslava di risolvere il problema del T.L.T. e sui limiti concreti entro cui Belgrado sarebbe disposta a fare concessioni per raggiungere un accordo con l’Italia per la definizione della questione.

Egli era naturalmente al corrente del mio colloquio con Strang e concordava pienamente con quanto il sottosegretario permanente mi aveva detto, sia sulla concreta impostazione da noi data al problema della revisione, sia sulla necessità indicata da Strang di «inserire»2 la questione di Trieste in quella data fase del processo revisionistico.

Tacendo, naturalmente, su quanto mi aveva detto Clement Davies in merito al discorso tenuto da Morrison con il generale Popović, ho colto l’occasione per insistere caldamente con Davies sulla assoluta necessità che gli Alleati, se veramente intendono che si risolva il problema del T.L.T., si avvalgano del loro ascendente su Belgrado per convincere Tito a fare delle sostanziali concessioni rispetto al suo concetto di accordo sulla base «Zona A contro Zona B»3.


22 1 Vedi D. 16.


22 2 Annotazione a margine di De Gasperi: «È inutile: inserire deve voler dire coordinare alla politica atlantica».


22 3 Per la risposta vedi D. 44.

23

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 554. Parigi, 2 agosto 1951(perv. il 7).

V.E. ha seguito attraverso i telegrammi di Cavalletti1 le recenti evoluzioni dell’esercito europeo. Malagodi ha riferito ampiamente sugli aspetti politici, economici e finanziari della questione2.

La nostra prima reazione al piano Pleven è stata contraria: per ragioni differenti di politica generale e di politica interna nostra. È stato solo dopo Santa Margherita3 che abbiamo consentito a seguire con una certa riserva, i francesi.

Il nostro punto di vista sulla questione non è stato però mai ben definito né coordinato. Vari elementi vi hanno giuocato; l’idea europea, in favore, l’impressione che si trattava di un trucco per evitare il riarmo tedesco, che noi invece favoriamo, contro. Ma fondamentalmente ritenevamo, mi sembra almeno, che i tedeschi vi erano contrari, che gli americani lo guardavano con molta diffidenza, e che quindi il nostro compito era quello di destreggiarci alla meglio tra le varie correnti, per non mettersi contro né i francesi, né i tedeschi, né gli americani, confidando che uno dei tre, o tutti e tre, avrebbero provveduto a che non ne uscisse fuori niente.

Mi sembra, in primo luogo, che ci sia stata un certa discrepanza fra l’atteggiamento tedesco sulla questione del riarmo, come ce l’immaginiamo noi, e come esso è stato in realtà. Dico anche qui mi sembra, perché, purtroppo, su questa come su molte altre questioni, la corrispondenza fra le ambasciate ed il Governo è purtroppo un monologo: le rappresentanze all’estero dicono quello che pensano e come vedono le cose; raramente però riescono a sapere cosa ne pensa e come le vede il Governo italiano: è una vecchissima tradizione che continua.

Di fronte alla decisione americana i tedeschi hanno cominciato col dire che non avevano la minima intenzione di riarmare: in un secondo tempo hanno detto che per nessuna ragione avrebbero voluto un esercito nazionale tedesco, ma solo un esercito europeo, e nulla era abbastanza europeo per loro: le loro rivendicazioni nazionali si sono limitate ad un aspetto solo della questione, nessuna discriminazione. Sarà vero, sarà tattica, sarà una manovra di politica interna o di politica estera o tutte e due, non lo so. Il fatto resta però, e fondamentalmente – le questioni di struttura sono un altro paio di maniche – i tedeschi sono più vicini alle idee francesi che non al punto di vista nostro.

L’altra sorpresa, recente questa, è stato l’atteggiamento americano. Scettici, e forse più che scettici, diffidenti, al principio, di colpo essi si sono fatti aperti banditori dell’esercito europeo, ed anche loro – questioni di struttura a parte – di un esercito veramente europeo: e lo vogliono subito, al più tardi in novembre.

Tutto questo non vuol dire che l’esercito europeo sia fatto. La situazione è ancora intricata: è difficile dire, in tutte queste prese di posizione, quanto sia realtà, quanto sia tattica; ci possono essere ancora delle reazioni impreviste.

L’esercito europeo, quale lo prevede il piano francese, sempre salvo i dettagli, significa che cessano di esistere, in fatto, i Ministeri della difesa nazionale, lo Stato Maggiore nazionale: significa che una parte, assai sostanziale, del bilancio militare cessa di essere nazionale. Il piano francese è stato, dal punto di vista interno, un compromesso fra la impuntatura di Moch, nessun esercito tedesco, e la volontà americana di riarmare la Germania: ma non tutti i francesi erano d’accordo. Di fronte alle complicazioni interne che esso comporta non è da escludere che ci sia una reazione del Parlamento francese: meglio l’esercito tedesco tout court che questo pasticcio: c’è già almeno la metà del Parlamento francese che la pensa così. Non ci si decideranno subito, perché questo significherebbe rigettare i socialisti verso i comunisti, cosa pericolosa nella situazione attuale del socialismo francese, ma potrebbero decidercisi per disperazione. Potrebbe anche essere che questo è quello che cercano gli americani i quali sono, qualche volta, più furbi di quanto noi immaginiamo, o, almeno, lo stanno diventando.

Quanto agli americani, ci troviamo di fronte all’opinione di un gruppo di persone certamente autorevoli, Eisenhower, McCloy, Bruce, ma è questa l’opinione vera del Governo americano? Abbiamo ormai sufficiente esperienza per sapere che in fatto di coordinazione di idee e di politiche, gli americani non stanno molto meglio di noi. E comunque è questa la opinione definitiva degli americani? Gli inglesi, e questo qui essi non lo hanno nascosto, sono nettamente contrari all’esercito europeo, della piccola Europa. E non hanno nemmeno nascosto il perché: hanno detto, qui, molto chiaramente: se si costituisce realmente un esercito franco-tedesco, il peso dell’Inghilterra nei confronti dell’America si troverebbe considerevolmente diminuito. Stando così le cose, ed è logico che esse siano così, non bisogna sottoestimare né la capacità degli inglesi di influire sugli americani, né, ancor meno, la capacità degli inglesi di intorbidare le acque, sul terreno politico interno, in Francia, in Germania, ed anche da noi.

Per questo dico, les chances sono fifty fifty.

Al punto in cui siamo non possiamo più permetterci di andare avanti così. Cavalletti è un ottimo funzionario, se la sbriga benissimo in seno alla Commissione, ma non ha istruzioni: né glie ne posso dare io. A parte il fatto che non è, direttamente almeno, nella mia competenza, si tratta di una questione le cui incidenze interne italiane sono tali e tante, e su tanti diversi dicasteri, che delle istruzioni le può dare solo il Consiglio dei ministri. È ancora possibile che non se ne faccia niente: ma bisogna che noi decidiamo, fin da adesso, quello che faremo nel caso si arrivi ad una conclusione e quali sono almeno le condizioni minime per la nostra accettazione. Servirsene solo per cercare di promuovere la revisione delle clausole militari del trattato di pace è, francamente, un po’ poco. È tutta la nostra politica «europea» che è in giuoco. Fin qui sono state chiacchiere: anche il piano Schuman, per importante che sia, riguarda un settore particolare e separabile dal resto: qui invece è tutta la struttura della vita nazionale che si investe.

L’esercito europeo, se lo si fa, non potrà essere che l’esercito franco-tedesco-italiano; ci si potrà aggiungere il Belgio e forse l’Olanda, non più. Entrare in questo ordine di idee significa optare decisamente per la piccola Europa, senza l’Inghilterra; ed è questa una direttiva politica su cui la stessa Assemblea di Strasburgo è ancora divisa ed esitante: ed è naturale che così sia perché si tratta di una decisione grave di conseguenze: si tratta di mettersi apertamente contro l’Inghilterra. Non c’è niente di definitivo a questo mondo: se l’esercito europeo funziona, l’Inghilterra si adatterà; ma ci vorrà del tempo. Non è che questo in sé mi spaventi, ma bisogna sapere quello che si fa e quali ne sono le conseguenze, ed accettarle. Sperare che con quattro chiacchiere sull’amicizia tradizionale, sulle nostre intenzioni amichevoli, ecc. ecc., si possa salvare capra e cavoli è francamente una illusione.

Una volta presa questa decisione di principio, bisogna decidere se ne accettiamo anche tutte le altre conseguenze per noi. La prima di queste è che noi rinunciamo a qualsiasi, anche modesta libertà della nostra politica estera. Ci siamo pronti?

Personalmente penso che la clausola di salvaguardia contenuta nel Patto atlantico sia una pia illusione: ma so che molti in Italia ci credono, e ci contano. Ora è chiaro che il giorno in cui ci sia un esercito europeo integrato, se qualche cosa succede sull’Elba, non c’è più via di scampo. La libertà, anche relativa, della politica estera, è in sostanza la libera disponibilità delle proprie forze armate: la nostra partecipazione all’esercito europeo integrato significa che rinunciamo a questa libera disponibilità, in tutte le direzioni.

Accettato questo, scendiamo a questioni di dettaglio, personali, se si vuole, ma che pure hanno la loro importanza. Accetta il ministro della difesa italiano di essere subordinato, e subordinato sul serio, ad un commissario supranazionale? Accetta il ministro del tesoro a che una parte importante del bilancio militare italiano sfugga al suo controllo, a quello della Corte dei conti, della Ragioneria generale dello Stato? Accetta il nostro Stato Maggiore di essere parte e parte subordinata di uno Stato Maggiore europeo? Mi si potrà dire: ma questa è l’Europa: lo so, ma temo che mentre noi, intellettualmente, siamo i più europei di tutti, quando si tratta di applicazioni pratiche non lo siamo proprio per niente. Accettazione tanto più difficile in quanto, nelle circostanze attuali e per ragioni su cui preferisco non dilungarmi, non c’è la minima speranza che né il commissario, né il capo di Stato Maggiore, né il comandante in capo siano degli italiani; e questo provocherà amarezze e reazioni.

Siccome poi il campo militare, per forza di cose, si estende per larghi settori anche al campo economico, accettiamo noi che anche tutto questo settore sia sottoposto ad una autorità che non è la nostra e che, molto probabilmente guarderà i problemi italiani con occhi differenti dai nostri?

E siccome poi in questo gruppo integrato noi siamo, di fronte a Francia e Germania, di gran lunga i più deboli, se non vogliamo essere del tutto travolti e se vogliamo contare qualche cosa in questo insieme, bisognerà pure che noi ci decidiamo, e subito, ad uno sforzo deciso per darci, amministrativamente soprattutto, una efficienza che possa reggere almeno al paragone della efficienza francese.

E una volta anche accettato questo sul piano Governo si tratta di farlo accettare ai partiti, alle Camere, all’opinione pubblica. Cosa certo non facile e che domanda almeno una lunga preparazione, soprattutto senza illusioni.

Tengo a ripetere, perché non ci siano equivoci. Personalmente io sono, e nettamente, favorevole alla nostra partecipazione all’esercito europeo integrato al massimo possibile. È questo un momento cruciale: si fa l’esercito europeo; la piccola Europa è fatta. Non lo si fa, per colpa nostra o di altri non importa: l’Europa non sarà più che una logomachia. Ma mi rendo anche conto di quello che questo significa: sono, se mi posso così esprimere, per l’esercito europeo sì ma ad occhi aperti. Non è questo uno di quei passi che si possono prendere alla leggera e ad occhi chiusi, nella vaga speranza che per la strada tutto si aggiusterà.

Se noi vogliamo uscirne fuori, perché non siamo pronti ad accettarne le conseguenze, evidentemente non ci resta che una strada: prendere lo spunto dalle ripercussioni economiche della integrazione militare e dire che noi siamo pronti ad aderire solo se l’integrazione si estende anche ad altri settori per noi vitali: prenderla cioè come punto di partenza sulla via della federazione sia pure solo della piccola Europa, ma a condizione che, almeno nelle linee generali, siano anche accettate e seriamente, allo stesso tempo, alcune altre importanti tappe sulla via della federazione. A questo fine lo slogan di Malagodi può essere eccellente: «non possiamo accettare di morire per una comunità nella quale non possiamo vivere»4.

Gli americani d’Europa questa impostazione del problema sembrano capirla: si potrebbe quindi sperare, adesso, che essi ci seguano e ci appoggino su questa strada. Ma ci seguiranno gli altri, i nostri colleghi europei? Qui mi permetto di fare molte riserve: ci seguiranno probabilmente là dove meno ci interessa. Ma sul punto che maggiormente ci interessa, libera circolazione dei capitali (nel senso di libertà per il capitale straniero di venire da noi) e libera circolazione della mano d’opera, ci saranno delle difficoltà insormontabili. Capitale, in Francia ed in Germania non ce n’è poi molto. Quanto a mano d’opera, a parte la difficoltà, per le resistenze sindacali, di ottenere qualche cosa di serio, resta il fatto che la Francia, della Germania non parlo, non può assorbire che una frazione poco importante della nostra disoccupazione. Quanto a sollevare la questione dell’apertura dell’impero coloniale francese, questa può essere, se noi vogliamo, un eccellente pretesto di rottura, ma non un problema pratico. I francesi, parole a parte, sono anche meno europei di noi.

Ora su questa impostazione, noi avremo, in partenza, pieno ed entusiastico appoggio dagli americani: poi ci saranno le opposizioni, soprattutto dei francesi: e siccome agli americani quello che importa è che passi il riarmo tedesco, se le difficoltà vengono soprattutto da noi, e verranno soprattutto da noi perché la situazione francese e tedesca è molto diversa, finiranno per dirci avete ragione, ma bisogna far presto, non fate difficoltà, al resto ci penseremo dopo. E dopo non se ne occuperà più nessuno.

Quindi, ripeto, questa impostazione è soltanto un mezzo di rottura suscettibile di essere manovrato più o meno abilmente sia all’interno che all’estero. Ma se vogliamo la rottura bisogna poi anche accettarne le conseguenze.

Non credo che le conseguenze saranno molto gravi, sul terreno politico, per quello che concerne gli americani. A loro importa la Francia e la Germania, l’Italia poco. Nel telegramma di Eisenhower a cui si riferisce Malagodi5 l’Italia non era nemmeno menzionata. Lo saranno di più sul terreno economico: una volta fatto l’esercito europeo, gli americani, soddisfatti, si occuperanno di esso e di esso solo: noi diventeremo quindi anche più marginali di quanto lo siamo oggi: e quindi gli aiuti che noi potremo avere sia in end items sia in macchinario, sia in materie prime, in tutto, in una parola, ci saranno dati, ancor più, col contagocce.

In pratica poi questo significa se non la rottura la separazione dalla Francia, e in larga misura anche dalla Germania, e la necessità quindi di un nostro allineamento coll’Inghilterra. Anche qui, ripeto, l’idea in sé potrebbe non spaventarmi affatto. Ma l’allineamento coll’Inghilterra significa anche l’abbandono di tante politiche o velleità di politiche che abbiamo in varie parti del globo. E anche qui non c’è da illudersi: non è con delle piroette diplomatiche che si può salvare capra e cavoli.

In ultimo poi questo significa che bisogna smetterla di proclamarci europei. Non dico che dobbiamo fare nostro il grido di Vittorio Emanuele Orlando, ma poco ci manca.

Ammesso che decidiamo, in principio, di accettare l’esercito europeo e le sue conseguenze, quale la linea che dovremmo seguire?

In primo luogo cercare di smontare e di semplificare al massimo il piano francese. Lo sconquasso è grosso per tutti, non solo per noi: bisognerebbe quindi graduarlo. Ammettiamo il principio del commissario, del Comando unico, dello Stato Maggiore, delle scuole e di alcuni servizi unici, questo è necessario: ammettiamo fin dal principio tutte le garanzie perché l’uscita dall’esercito europeo sia difficile, ma poi lasciamo che commissario, Comando e Stato Maggiore decidano, loro, la misura e la velocità dei passi che si debbono fare per arrivare all’esercito realmente integrato. Il risultato finale sarà lo stesso, ma avremo per lo meno il tempo di abituare gradatamente l’opinione pubblica, l’amministrazione ed il Governo, alla nuova situazione. Su questo piano credo potremo avere dalla parte nostra gli americani e molti francesi: non so se le maggiori resistenze non ci verranno proprio dai tedeschi, perché più gradualità c’è più è delicata la questione della non discriminazione.

Sulla collegiabilità del commissario mi sembra assolutamente inutile insistere: non c’è niente da fare: già sarà un problema non facile se c’è uno solo che se ne occupa: se ce ne sono tre o quattro figuriamoci che pasticcio: e qui, comunque si tratta di fare o niente o fare presto e sul serio. Egualmente insostenibile è la tesi della unanimità al Consiglio dei ministri. Incidentalmente aggiungo che non collegiabilità e non unanimità sono poi le idee che la nostra rappresentanza ha sempre sostenuto al Consiglio d’Europa. Possiamo invece ragionevolmente insistere, e per ovvie ragioni, su maggiori poteri e maggiore autorità all’Assemblea: l’esistenza di una Assemblea con vera autorità e vero potere è la sola che possa evitare che il futuro esercito europeo non diventi un esercito di mercenari senza patria: è necessario quindi che esso abbia poteri di controllo non inferiori a quelli che hanno i Parlamenti nazionali.

Noi potremmo eventualmente sostenere anche una tesi: che l’esercito europeo è soprattutto l’esercito dell’Europa centrale: che noi abbiamo anche una funzione mediterranea, e che quindi abbiamo bisogno di una parte riservata del nostro esercito in funzione mediterranea. È una proposta che ha i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi: fra l’altro quello di dividere l’Italia in due parti, cosa che in campo N.A.T.O. abbiamo sempre cercato di evitare. Comunque non potremmo presentarla subito. Attualmente gli americani sembrano sostenere la tesi che anche l’esercito francese dell’Africa del Nord dovrebbe essere integrato. I francesi resisteranno: se saranno obbligati a cedere evidentemente la nostra tesi non ha nessuna possibilità di essere accettata. Se invece otterranno soddisfazione, allora potremo noi seguirli con la nostra tesi.

Cosa chiedere ancora per noi?

Evidentemente una serie di assicurazioni che tutti i problemi concernenti una più ampia integrazione siano esaminati e che si mostri seria intenzione di risolverli. Ma è questo un terreno forzatamente sfuggevole e vago, a meno che, come ho detto, noi lo intendiamo come pretesto per rottura. Malagodi ha elencato molto esaurientemente tutti i punti4: la sua impostazione può essere un eccellente punto di partenza, ma, se non vogliamo rompere, bisogna che provvediamo, fin dal principio, delle sostanziali linee di ritirata.

Il punto dove dovremmo concentrarci è quello della ripartizione dell’onere finanziario. Evidentemente l’ideale per noi sarebbe che venisse accettato il principio che la contribuzione al fondo comune fosse proporzionale al reddito nazionale per capita: l’ideale sarebbe anche che, in vista di questo, fossero gli altri a pagare una parte delle nostre spese militari. Ma mi sembra un ideale un po’ difficile da raggiungere, almeno subito: ma dovremmo arrivare a stabilire che la nostra contribuzione sarà un tanto, il minimo possibile, punto e basta. Dovremmo anche cercare di ottenere delle garanzie sulla distribuzione degli aiuti americani, delle commesse, di tutto. Qui bisognerebbe che noi arrivassimo ad una formulazione di richieste concrete e reali: forse sarà possibile solo realizzarle con una serie di accordi bilaterali, come abbiamo fatto per il piano Schuman, con i francesi, con gli americani: con i tedeschi non so bene cosa possiamo combinare: questo bisognerà vederlo.

Un certo peso di negoziazione lo abbiamo, purché non ce lo esageriamo: stavo quasi per dire un certo peso di ricatto.

È evidente che i francesi preferirebbero avere anche noi dentro per non essere soli con i tedeschi: lo vorranno e saranno disposti, entro certi limiti, a pagarlo, tanto più quanto più li convinceremo che non siamo troppo parziali per i tedeschi. Non so fino a che punto i tedeschi tengano alla stessa cosa: ma i tedeschi hanno, oggi, troppo da chiedere per loro per avere una capacità di negoziato pari a quella dei francesi. Gli americani pure, almeno entro un certo limite, preferirebbero che ci fossimo anche noi. I limiti effettivi di questo negoziato sono molto difficili ad essere stabiliti a priori: attualmente il giuoco è appena accennato: non è veramente chiara né la posizione americana, né quella francese, né quella tedesca. Bisognerebbe quindi, secondo me, che, una volta presa da noi una decisione di principio, tenendo presenti, ripeto anche le ultime, più radicali conseguenze, noi cominciassimo le nostre conversazioni dirette, potrebbe forse essere utile, sotto molti punti di vista, cominciare da Parigi e da Washington: e questo non per parzialità nei riguardi dei tedeschi: essi hanno loro stessi un giuoco troppo serrato da giuocare perché possano servirci molto: hanno troppo da chiedere e da ottenere perché non debbano, ad un certo momento, mollarci per ottenere qualcosa di più: noi siamo come loro domandanti, e dobbiamo quindi rivolgerci a chi deve dare, e farlo per primi e indipendentemente.

In queste prime conversazioni dobbiamo naturalmente, e con la massima energia, presentare le nostre richieste massime: possibilmente, perché non ci siano equivoci, presentarle, dopo buona maturazione, per iscritto. Quanto più chiediamo, quanto più possiamo sperare di ottenere: è la misura delle resistenze che incontreremo che ci farà capire cosa dobbiamo mollare: il bel gesto di cedere, se necessario, è bene che ce lo riserviamo proprio per l’ultimo momento.

Se effettivamente il Consiglio atlantico che dovrà finalmente decidere di questa questione si radunerà soltanto alla fine di settembre-ottobre, tanto meglio: credo sarà indispensabile perché non vedo come il Governo francese che ancora non esiste potrebbe prendere una decisione in quindici giorni.

Ma siccome se ne parlerà certamente alla riunione dei Tre che dovrà tenersi dopo la Conferenza di San Francisco per il trattato di pace col Giappone, e cioè nella prima metà di settembre, e siccome è anche possibile che in questa conversazione di principio si vada anche più in là di qualche scambio di vedute, sarebbe bene che prima di quell’epoca il Governo francese fosse informato, nelle sue linee generali, del nostro punto di vista: dovremmo chiedergli di difenderlo cogli americani (è lo spirito degli accordi di Santa Margherita). E sarà il mezzo migliore, fra l’altro, per sapere cosa si è deciso in America. Questo non toglie, naturalmente, che contemporaneamente ne parliamo anche cogli americani: anzi.


23 1 Vedi serie undicesima, vol. V.


23 2 Vedi D. 9.


23 3 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.


23 4 Vedi D. 9.


23 5 T. segreto 9164/311 del 22 luglio da Parigi, non pubblicato.

24

IL MINISTRO A PORTO PRINCIPE, GUERRINI MARALDI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 724/222. Porto Principe, 2 agosto 1951(perv. il 9).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/08740 del 7 giugno c.a.1.

Mi sono intrettenuto a lungo stamane con questo ministro degli affari esteri circa la questione della revisione del trattato di pace. Il sig. Leger, testè ritornato in ufficio dopo un’assenza di due settimane a causa di malattia, cui ho ampiamente illustrato le ragioni della nostra richiesta servendomi della documentazione trasmessami da codesto Ministero, ha trovato la nostra causa giusta e fondata. Mi ha assicurato che il Governo haitiano, dati i rapporti amichevoli esistenti fra i due paesi, non mancherà di dare tutto il suo appoggio incondizionato alle nostre giuste aspirazioni quando sia posta sul tappeto la questione della revisione. A tal uopo egli ha impartito istruzioni immediate al capo della delegazione haitiana presso la O.N.U., sig. Dantés Bellegarde, affinché prenda contatti con gli altri paesi latino-americani e col nostro osservatore per un’intesa collettiva circa la presentazione di una mozione.

S.E. Leger mi ha pregato di comunicare quanto precede a codesto Ministero. Da parte mia non mancherò di seguire lo sviluppo della questione con ogni possibile sollecitudine, informando a suo tempo.


24 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 462.

25

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

L. 1449 segr. pol. Roma, 3 agosto 1951.

Mi riferisco al tuo rapporto n. 1475/947 del 27 luglio1, relativo alla questione della revisione del trattato di pace con l’Italia.

Ci rendiamo certamente conto che il portare la revisione dinanzi all’Assemblea generale importa l’accordo almeno di tutti o quasi tutti i paesi latino-americani e valutiamo anche al loro giusto peso le difficoltà e gli ostacoli che, anche in questo caso, si presenterebbero.

Ma la nostra azione presso gli Stati latino-americani è parallela a quella presso le tre grandi potenze e tende appunto ad avere una possibilità di pressione presso di queste ed eventualmente un’alternativa, nel caso che America, Francia e Gran Bretagna non prendessero una decisione prima della prossima Assemblea.

Ti prego di tener ciò presente nei tuoi contatti con i colleghi latino-americani. E a tal proposito, mi sarebbe utile conoscere anche il tuo avviso sulla possibilità ed opportunità d’indurre gli Stati latino-americani, che sono quasi tutti invitati a San Francisco per la firma del trattato col Giappone, ad approfittare di quell’occasione per intervenire con una dichiarazione collettiva a favore della revisione del trattato di pace con l’Italia.

Se tu credi possibile quest’azione, essa sarebbe da intraprendersi subito costì a New York, data la ristrettezza del tempo.

P.S. Allo stato attuale delle cose sembrerebbe che i Tre siano disposti ad una dichiarazione nel senso da noi auspicato. Si parla di farla a San Francisco. In questo caso i latino-americani, che saranno tutti o quasi colà, potrebbero votare una risoluzione di plauso e incoraggiamento a tradurre la dichiarazione in pratica al più presto possibile. In caso non si arrivasse, prima della Assemblea, ad ottenere la dichiarazione dei Tre, l’Assemblea potrebbe votare – ad iniziativa latino-americana – una mozione di sprone. Non mi inoltrerei nel difficile bosco degli articoli dello Statuto2!


25 1 Vedi D. 5.


25 2 Per la risposta vedi D. 35.

26

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 555. Parigi, 3 agosto 1951(perv. il 7).

Ritengo opportuno, al momento in cui V.E. assume direttamente il portafoglio degli affari esteri, segnalarle alcune mie impressioni, ed apprensioni, sulla situazione generale, quale essa appare da Parigi.

Io temo che siamo alla vigilia di una crisi del Patto atlantico, crisi in un certo senso necessaria ma non per questo meno grave.

C’è un divario fondamentale di apprezzamento della situazione generale. Gli americani ritengono che la situazione sia altrettanto grave che un anno fa: essi interpretano l’attuale offensiva di pace dei russi – e secondo me con piena ragione – solo come una manovra intesa a confondere ancora di più, se possibile, le idee del pubblico europeo, e se possibile, anche americano: scopo unico quello di ritardare il riarmo.

I russi sono convinti che il giorno in cui gli americani saranno pronti – l’epoca è difficile a stabilire perché l’essere pronti o non pronti non è soltanto un fatto materiale ma anche un fatto psicologico – essi cercheranno un pretesto per attaccarli: i russi dovranno allora, se non vogliono, come credo non vogliano, arrivare ad un conflitto generale, fermarsi ed anche ritirarsi, in molti settori: ed una politica di arresto o di ritirata può avere anche delle conseguenze sulla situazione interna, se non russa propria, almeno dei paesi satelliti, soprattutto se, come è più che probabile, gli americani non si contenterranno di ritirate marginali. Quindi cercano di ritardare con ogni mezzo a loro disposizione, questo giorno. Si contentano di un ritardo di qualche anno, come ritengono alcuni, per poter mettere a punto la loro preparazione atomica, o degli altri settori meno simpatici della guerra moderna (batteriologica ed ormonica), o, come sarei piuttosto portato a ritenere io, di parecchi e parecchi anni, per poter ridurre la differenza che attualmente esiste tra gli americani e loro nei settori, chiamiamoli così, normali, delle produzioni chiave? Questo solo il tempo ed i fatti ce lo possono dire. Comunque l’intenzione di ritardare è chiara.

Gli americani, da parte loro, questo ritardo non lo vogliono perché vogliono arrivare al più presto ad una situazione di preparazione militare che permetta il rovesciamento della paura, elemento, questo, base di ogni politica realista nei riguardi dell’Unione Sovietica, sia che essa miri ad una continuazione della guerra fredda, sia che si preveda invece un passaggio dalla guerra fredda alla guerra calda.

In Europa invece – parlo dell’Europa in genere e non in particolare dell’Italia perché non ho elementi recenti di giudizio sul pensiero italiano – la situazione evolve in senso differente. L’anno scorso, a quest’epoca, si temeva da un momento all’altro, l’inizio di una offensiva russa in Europa: questo stato di allarme è arrivato al suo parossismo verso dicembre-gennaio: poi lo svolgimento delle operazioni militari in Corea, l’offensiva di pace, anche se solo a parole, dei russi, hanno creata una atmosfera di maggiore euforia. E non temendosi più una catastrofe da un momento all’altro, considerazioni, perfettamente naturali del resto, di politica interna, difficoltà economiche ed altro tendono a creare una atmosfera di rilassamento. Questa atmosfera di rilassamento si estrinseca in una generale insofferenza delle pressioni americane, delle impazienze americane in materia di riarmo.

Che gli americani abbiano fatto e facciano infinite sciocchezze, questo non lo discuto: se non ne parlo qui è perché il discorso sarebbe lungo. Per me, errori americani a parte, nella valutazione della situazione generale, sono gli americani che hanno ragione e gli europei che hanno torto. Se c’è realmente – e questo resta ancora da vedere: per me un test case è se i russi rinunciano o no a sfruttare in loro favore la situazione in Iran – un cambiamento di tattica nella politica russa, questo è frutto soltanto della politica di riarmo: abbandonarla adesso sarebbe l’ultima delle sciocchezze. Lo stesso accanimento con cui i comunisti nostrani cercano di sabotare o di ostacolare la politica di riarmo basterebbe da solo a mostrare che siamo sulla buona strada. Bisognerebbe quindi fare, ed al più presto, tutti gli sforzi possibili per mettere l’Europa occidentale in grado di resistere ad un attacco improvviso dei russi: ed è solo quando l’attuale stato di insicurezza sarà superato che si potrà affrontare, con successo, la soluzione di altri problemi politici, economici, sociali nell’interno dei singoli paesi.

Comunque l’impazienza americana cresce: cresce ogni giorno, e crescerà in misura proporzionale al crescere del loro stato di preparazione: e siccome cresce anche l’insofferenza degli europei, se non ci si fa attenzione, la crisi è inevitabile. Crisi grave, inutile e pericolosa. Se l’Europa, nel suo insieme, e nei singoli, può o non può, non dico difendersi, ma soltanto vivere, senza i legami speciali attuali con l’America questa anche è una questione che ci porterebbe fuori di tema. Ai fini di questo rapporto basta dire che, anche se questo potesse essere possibile, lo sarebbe solo a mezzo di uno sforzo di organizzazione interna, di austerità, e di autarchia infinitamente superiore a quello che domanderebbe anche un vasto programma di riarmo: perché pensare che l’Oriente possa sostituirsi all’America per risolvere i problemi economici europei, è ignoranza o malafede.

Le elezioni francesi ed italiane sono state per gli americani un colpo ed una delusione gravi, nel senso che, praticamente, nei due paesi, il comunismo è rimasto stazionario, in posizioni minacciose: e questo dopo tre anni di aiuti Marshall e dopo un indubbio forte miglioramento del tenore di vita delle masse. Anche qui c’è, psicologicamente, qualche cosa di cambiato. Se non ci fosse stato il comunismo in Francia ed in Italia probabilmente non avremmo avuto il piano Marshall: quindi esso è stato, nel complesso, un vantaggio, un utile spauracchio che potevamo sventolare di fronte agli americani quando volevamo qualche cosa. Adesso la situazione è cambiata: adesso il comunismo, accompagnato da una certa paralisi delle decisioni, che la situazione politica interna, conseguenza appunto del comunismo, impone ai due Governi, va considerato come un elemento negativo: è inutile cercare di fare qualche cosa per questi due paesi, tanto …

A questo si aggiungono i contrasti politici.

I contrasti politici più forti sono naturalmente tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Si può dire che i due paesi non sono d’accordo su niente. Non sono d’accordo sull’impostazione generale del Patto atlantico. Gli inglesi lo guardano esclusivamente dal punto di vista difensivo: per gli americani il Patto atlantico è difensivo solo nella fase attuale: in una seconda fase dovrà diventare offensivo almeno politicamente. Il ragionamento inglese è alla fine dei conti logico, dal loro punto di vista. Essi vogliono contenere e contenere solidamente i russi, in modo da indurli a star tranquilli e a trattare, per un accordo, con il resto del mondo occidentale e basta. Essi preferiscono, logicamente, che l’America abbia un avversario potente e, quindi, la necessità di un alleato il quale, per questo stesso, possa farsi pagare.

In dettaglio non sono poi d’accordo con gli americani sulla politica dell’Estremo Oriente, né sulla politica del Medio Oriente, né su quella europea. Lo scopo è poi sempre lo stesso: mantenere certe posizioni britanniche con le quali gli Stati Uniti siano obbligati a contare.

D’altra parte l’Inghilterra è una forza reale: oltre alle sue posizioni ed alle sue possibilità che sono grandi, soprattutto se si parla in termini di Commonwealth, essa non ha, dal punto di vista della lotta contro la Russia, problemi di politica interna, ha perfettamente compreso la gravità della situazione, e fa uno sforzo, suo, importante. Se si può fare un rimprovero agli inglesi è forse quello che essi presumono troppo dalle loro forze: non che non abbiano visto lo sforzo che c’è da fare e che non si rendano conto di quello che bisogna fare per realizzarlo e che non abbiano, sia Governo che amministrazione, la ferma volontà di farlo: resta a vedere se ci riusciranno. Per tutto questo l’Inghilterra, sola fra le nazioni europee, è adesso in grado di trattare con gli americani, ed è per questo che ha su di essi una reale influenza. Gallarati ha perfettamente ragione quando dice che questo peso dell’Inghilterra è destinato a diminuire a mano a mano che l’America si rafforza militarmente essa stessa, ma esso resterà sempre ... fino a che resta la Russia. E questo peso contiene entro certi limiti le manifestazioni dell’irritazione americana contro gli inglesi.

L’irritazione americana è invece al massimo contro la Francia: perché la Francia, a modo suo e nei limiti suoi, ha tutte le pretese dell’Inghilterra, per quello che concerne i suoi interessi (problema germanico, problema spagnolo, Medio ed Estremo Oriente, Africa), ma invece sul piano pratico, come politica e situazione interna essa resta un problema: verbalmente è conscia della situazione ed è anche pronta a far tutto, in fatto, fa poco o niente. Dal punto di vista degli americani e, se si vuole, anche dal punto di vista della situazione generale, è certo difficile capire come non si riesca in Francia, da quasi un mese a formare un Gabinetto perché non si è d’accordo sulla questione della scuola laica o non laica, quando invece bisogna trovare i mezzi per colmare il deficit del bilancio, senza colmare il quale il programma militare francese per il ’51-52 resterebbe quasi interamente sulla carta.

Attualmente gli americani, Amministrazione e suoi amici, dicono, a casa loro, tutto il contrario. Essi stanno coscientemente imbrogliando la loro opinione pubblica perché il Congresso si decida a votare i fondi che sono necessari, per continuare la politica atlantica. Tutti i rappresentanti dell’Amministrazione americana in Europa ed i loro amici parlamentari sono terrorizzati dall’idea che il Congresso si renda conto di quella che è la vera situazione europea: perché temono che in questo caso esso deciderebbe di tagliare i fondi e forse anche richiederebbe il ritiro delle truppe americane dall’Europa. Cosa che l’Amministrazione ed i suoi amici, se vogliamo cioè dire la parola, gli imperialisti americani, non vogliono, non per amore dell’Europa, ma perché l’Europa è necessaria per una azione offensiva americana contro la Russia.

La tesi che sostiene Eisenhower, e che con lui sostengono tutti gli americani d’Europa, è che la crisi politica, economica e morale dell’Europa continentale è frutto, principalmente della paura, paura fisica, dell’invasione russa e che prima di ragionare e di agire bisogna aver creato un paravento militare il quale dia all’Europa continentale il senso di almeno un minimo di sicurezza.

Cito un esempio: il senatore Lodge, in America, ha fatto delle dichiarazioni entusiaste sulla Francia, il suo apporto, la sua funzione. Ora Lodge l’ho visto qui a Parigi; e che cosa non mi ha potuto dire della Francia e che cosa non ha detto ai francesi sulle cose loro ... Evidentemente l’opinione degli americani di Parigi, Eisenhower compreso, non è l’opinione dell’America. Essi che sono tutti i giorni a contatto con le difficoltà europee sono, senza dubbio, i più irritati ed i più montati. È tuttavia l’opinione di persone che un certo peso lo hanno e di cui bisogna comunque tenere conto.

Questa crisi c’è, e grave. Se essa non avrà delle conseguenze fatali, almeno pro tempore su tutto il sistema atlantico questo dipende in gran parte da Stalin. Fin qui bisogna dire che egli ha avuto un intuito che oserei chiamare geniale nel fare, sempre, ed al momento opportuno, quello che era necessario per risolvere le crisi dei rapporti America-Europa: senza di lui non avremmo avuto, non dico il Patto atlantico ma nemmeno il piano Marshall. Sarà sempre così? Sarebbe troppo bello per sperarlo. In ogni modo non bisogna contarci, o contare solo su quello.

Quale è in tutto questo la nostra situazione?

Noi siamo in partenza, in una situazione, nei riguardi dell’America, migliore di quella dei nostri amici europei. Noi non abbiamo, nel vasto mondo, posizioni da mantenere e questo riduce considerevolmente le superfici di frizione. In fondo noi abbiamo con gli americani un solo punto di contrasto, e questo è la Jugoslavia: gli americani vorrebbero una Jugoslavia forte e armata, ai loro fini offensivi e difensivi, si seccano se noi facciamo delle obiezioni, anche giustissime, si seccano anche di più per il fatto che noi ci rifiutiamo di accettare una soluzione che essi ritengono ragionevole (la spartizione del T.L.T.) mantenendo così in vita un conflitto che, essi ritengono, ostacola in parte la loro opera in Jugoslavia. Ma siccome non siamo in grado di opporci realmente alla loro azione, come potrebbero farlo per esempio gli inglesi, così, temo, non considerano le nostre reazioni come molto importanti.

Dal punto di vista interno, noi siamo per gli americani un problema ancora più grave che non la Francia, e più o meno per le stesse ragioni: le nostre elezioni sono state per loro un grave colpo: l’insuccesso, nei riguardi dei comunisti, essi sono generalmente portati ad attribuirlo al fatto che noi non abbiamo, in materia economica, seguito i loro consigli: di qui uno stato d’animo generale di irritazione sopratutto di sfiducia, di sfiducia su tutto quello che è italiano, uomini e cose. L’irritazione è però anche qui minore in quanto ci considerano un problema marginale, in confronto al problema francese.

D’altra parte sono più soddisfatti di noi dal punto di vista militare. Il nostro programma militare finanziario ha passato bene l’esame del F.E.B.: è una cosa modesta, ma seria. I militari sono rimasti veramente soddisfatti di quello che stiamo facendo, in materia di allenamento delle truppe. Gli americani sanno che siamo veramente poveri, quindi sono disposti a sopportare da noi, senza irritazioni, resistenze che non sono invece disposti a sopportare dai francesi. Per lo meno fintanto che resteremo marginali. E questo significa, fra l’altro, che noi dovremmo evitare, da parte nostra, delle iniziative la cui conseguenza ultima è quella di non renderci meno marginali, fino a che e nella misura nella quale, non siamo pronti anche a fare uno sforzo addizionale corrispondente nel settore del riarmo.

Di fronte a questa crisi del Patto atlantico noi non dobbiamo certo immaginarci di poter avere una funzione di mediatore: ad eccezione forse, un poco, la Francia, nessuno è disposto a starci a sentire, né da una parte né dall’altra. Il nostro contributo al superamento della crisi può essere sopratutto negativo, direi: dovremo cercare di non gettare olio sul fuoco, e cercare per quello che ci riguarda, di non sollevare questioni passibili di aumentare la complessità della situazione: sollevandole, adesso, per importanti che esse siano dal punto di vista interno nostro, riusciamo soltanto a fare l’unanimità di tutti contro di noi, facendoci definire degli scocciatori: ed andiamo soltanto incontro ad insuccessi.

Detto questo, noi dobbiamo però anche preoccuparci di quella che potrà essere poi la nostra situazione sia che la crisi si risolva in senso positivo, sia che essa si risolva in senso negativo.

Su questo punto debbo premettere, a costo di ripetermi, che si tratta di una questione che supera le possibilità della diplomazia pura. L’illusione costante nostra, dalla costituzione del regno ai giorni nostri, è che noi siamo dei grandi diplomatici nati e che la diplomazia può tutto: la diplomazia non può sostituirsi ai fatti, un paese vale per quello che è il suo peso specifico, la sua efficienza militare, politica, economica, amministrativa: una ottima diplomazia potrà far valere 100 quello che vale 80, di più non può fare. Che il nuovo Governo dia l’impressione, sul piano interno, coi fatti, che c’è realmente qualche cosa di nuovo, uno spirito nuovo, di azione in Italia, e le azioni italiane rimonteranno subito sia in America che altrove.Teniamo presente però che tre anni di piano Marshall hanno esaurita la possibilità che avevamo di imbrogliare gli americani. Alle nostre intenzioni, ai nostri programmi, ai nostri piani nessuno crede più. Si crederà soltanto ai fatti.

Questa marcia verso una anche relativa efficienza interna, in tutti i settori, è condizione sine qua non di ogni azione italiana che non sia puramente verbale: ed è condizione sine qua non anche di qualsiasi possibile difesa dei nostri interessi: non si dà che a chi può dare qualche cosa da parte sua. Nella politica estera non ci sono sentimenti, non ci sono ideali, ci sono solo interessi.

Che la crisi del Patto atlantico possa essere superata come lo spero: la possibilità di contare qualche cosa in seno al Patto atlantico, avere una certa parte nella formazione della sua politica questo dipende esclusivamente da noi. Il giorno che noi avessimo una dozzina di divisioni veramente buone, e tutto il resto in proporzione, le assicuro che non sarà difficile essere presi in giusta considerazione: senza di questo no.

Ma ammettiamo anche che si dovesse venire al peggio: che la crisi non si risolva e che l’opinione pubblica americana imponga una ritirata su di una politica periferica: anche qui è questione di efficienza nostra.

In tema di politica periferica gli americani contano naturalmente sull’Inghilterra: ma poi contano anche sulla Spagna. E contano sulla Spagna perché ha una posizione geografica facilmente difensibile, e perché, almeno apparentemente, la situazione interna è bene in mano al Governo, e questo, almeno apparentemente, è disposto, per la parte che lo riguarda, a difendersi e sul serio.

Ma geograficamente parlando, anche l’Italia, con l’antemurale svizzero, è non meno facilmente difendibile: il suo punto debole, la frontiera orientale, ha il vantaggio di avere l’antemurale jugoslavo. Per le comunicazioni con la Grecia e la Turchia, per tutto il problema mediterraneo e medio orientale, la posizione italiana è anche più importante della posizione spagnola. Se non si pensa oggi all’Italia in tema di difesa periferica, o ci si pensa solo in termini di isole, ciò è unicamente in funzione di situazione interna. Prendiamo decisamente in mano la situazione interna e, anche in caso di ritiro americano su di una posizione periferica, abbiamo tutte le possibilità di salvare l’Italia.

Dico salvare, perché quando si parla di politica russa, per me non ho alcun dubbio che l’attuale offensiva di pace non è che una nuova tattica: per cui i paesi che si fossero sottratti al «giogo» atlantico, avrebbero una gioia breve e dovrebbero pagarla a breve scadenza con l’occupazione russa e poi forse la liberazione americana.

Ed evitare questo al nostro paese mi sembra dovrebbe restare l’obbiettivo n. 1 della nostra politica estera.

27

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 1518. New York, 3 agosto 1951(perv. il 5).

Mi riferisco al mio telegramma n. 1571.

In questi giorni ho avuto colloqui con i delegati della Gran Bretagna, Francia, Turchia, Brasile, Egitto e Iraq. Con alcuni membri della delegazione americana avevo già avuto, nei giorni precedenti, degli scambi di idee su questo stesso argomento. Sono al corrente del nostro punto di vista, ma conto di vederli ancora la settimana prossima.

A tutti ho ripetuto le stesse cose. L’Italia, potenza marittima, è per la libertà del Canale. Ritiene però che il problema ha aspetti politici che, in una attenta valutazione, debbono prevalere su quelli giuridici ed economici. Non nel senso di lasciare le cose come stanno. Dobbiamo anzi lavorare tutti per una soluzione. Ma una «risoluzione» del Consiglio in questo momento, se formulata sulla linea di un’opposizione frontale all’Egitto, potrebbe compromettere, anziché facilitare, la possibilità pratica di una soluzione; quella soluzione, politica e non giuridica che è essenziale per la stabilità di tutto il Vicino Oriente.

Sono stato ascoltato con cortesia, perché nessuno pensa di negare al Governo italiano il diritto di far sentire la sua voce in un problema come questo. Naturalmente non c’è da farsi la minima illusione sulla portata pratica di questo passo. Nel suggerirlo a V.E., del resto in forma diversa da quella autorizzata con il telegramma n. 712, non pensavo affatto che si potesse con ciò modificare sensibilmente l’atteggiamento dei principali protagonisti. In questo momento non sono neppure sicuro che sarebbe nel nostro interesse. Pensavo soltanto che fosse utile prendere pubblicamente posizione in un problema che è fondamentale per l’orientamento politico del Medio Oriente.

Poiché il problema, qualunque sia l’esito dell’attuale dibattito, non sarà certamente risolto dalle risoluzioni del Consiglio, e anzi, a mio parere, seguiterà a polarizzare, per molto tempo ancora, gli avvenimenti politici di una regione che ci interessa così da vicino, mi permetto di riassumerne brevemente i termini, quali è possibile vederli di qua.

In un certo senso nessuno ostacolo materiale viene frapposto alla navigazione del Canale. Il delegato egiziano ha detto, credo con esattezza, che soltanto «pochi bastimenti vengono trattenuti, e soltanto per pochi minuti». Il traffico del Canale, non solo non è diminuito, ma anzi è aumentato. In realtà si tratta di un blocco navale, che in altre condizioni verrebbe esercitato al largo dei porti nemici dalla flotta della potenza bloccante, in questo caso, non esistendo la flotta né, se ci fosse, la possibilità di usarla, si serve del Canale. Cioè l’Egitto, con un decreto che risale a tre anni fa, ha vietato il transito di certi materiali strategici destinati ad Israele. Primo fra tutti il petrolio diretto alla raffineria di Haifa. Per controllare il transito del petrolio non c’è neppure bisogno di visite prolungate e moleste; basta assicurarsi che le petroliere non siano dirette, o non portino materiale diretto, ad Haifa. L’ostacolo alla navigazione è ridotto al minimo perché è evidente che le petroliere che dovrebbero portare il materiale grezzo ad Haifa non si presentano neppure all’ingresso del Canale.

L’Egitto afferma (con copiose citazioni) che lo stato di guerra con Israele non è ancora terminato, che l’armistizio ha sospeso soltanto le ostilità sul campo di battaglia, che perciò il suo controllo non è in contrasto né con la Convenzione di Costantinopoli, né con il diritto internazionale. Israele e l’Inghilterra, e probabilmente vari altri membri del Consiglio allorché prenderanno la parola, lo contestano vigorosamente. Ma la realtà è un’altra. La realtà è che, secondo gli arabi, la raffineria di petrolio di Haifa, se funzionasse al pieno della sua capacità, aumenterebbe il potenziale economico ed industriale di Israele in misura tale da alterare, a favore di quest’ultimo, il rapporto di forze attualmente esistente (e che già lascia molto a desiderare) tra Israele e i paesi arabi.

Perciò gli arabi dicono, o quanto meno l’Egitto in pubblico dice: «non leveremo mai il blocco», in privato: «lo leveremo soltanto quando saremo sicuri che il rapporto di forze tra noi e Israele non sarà turbato». La posizione è ulteriormente complicata dal fatto che l’Iraq, sin dal 1948, ha tagliato la pipeline diretta ad Haifa; un’altra forma di blocco, altrettanto radicale, ma che ha la fortuna di passare più inosservata. L’Egitto non potrebbe cedere da solo; o capitola insieme all’Iraq, o resiste insieme a lui.

A quali, o per lo meno in quali, condizioni l’Egitto penserebbe di poter levare il blocco il suo delegato me lo ha detto senza perifrasi: soluzione delle questioni pendenti con l’Inghilterra, espansione delle raffinerie di Tripoli, nel Libano e di quelle egiziane.

Si può chiamarlo anche un ricatto politico, ma non si può negare però che abbia in sé una certa coerenza e forza intrinseca. Un punto almeno dovrebbe essere chiaro. Nel problema del Canale si cristallizzano i due contrasti fondamentali che dividono il Medio Oriente: il contrasto Israele-paesi arabi e quello Egitto-Inghilterra. Pensare che un problema che ha radici così intricate e profonde possa essere risolto con una serie di discorsi in Consiglio di sicurezza, è pazzia. Ma una risoluzione del Consiglio, se formulata imprudentemente, potrebbe aggravare la situazione. L’Egitto non ubbidirebbe. Si passerebbe allora alle sanzioni? E quali? Se inefficaci, la posizione dell’Egitto ne uscirebbe rafforzata, non indebolita. Se efficaci (ammesso che si trovi la necessaria maggioranza per deciderle in Consiglio e approvarle in Assemblea) il nodo potrebbe anche essere tagliato – ma con quali conseguenze per tutta la struttura politica del bacino orientale del Mediterraneo?

Vengo ora alla posizione dell’Italia, e prego V.E. di volermi scusare se, avendo eseguito con scrupolo le istruzioni impartitemi, esprimo ora con tutta franchezza il mio pensiero. L’Italia non è toccata direttamente dal blocco egiziano, lo è forse indirettamente perché il mancato funzionamento della raffineria di Haifa potrebbe ostacolare il nostro rifornimento di certi tipi di prodotti petroliferi. Comunque il punto non è questo. Noi siamo profondamente e direttamente coinvolti in un problema che è la manifestazione esterna, attualmente più vistosa, di alcuni contrasti fondamentali del Medio Oriente, ed è in un certo senso il perno sul quale gira l’orientamento politico di quella regione. Ora, per determinare quale debba essere la nostra posizione, bastano i dati geografici fondamentali. Il perimetro meridionale del Mediterraneo, a partire dal Golfo di Alessandretta sino allo stretto di Gibilterra, e oltre, è abitato da popoli arabi.Di questi una buona parte ha già acquistato l’indipendenza politica, altri si avviano ad acquistarla. È una facile profezia dire che fra dieci, venti, trenta anni tutti i popoli arabi del Mediterraneo saranno costituiti in nazioni sovrane e indipendenti. Si dice: «gli arabi sono deboli e divisi». È vero, ma sono anche molti e hanno molti problemi comuni. E sarebbe un errore, a mio parere, contare troppo sulle loro discordie interne. Il processo storico nel quale viviamo non consente più politiche nazionali in contrasto l’una con l’altra. Il movimento è in direzione opposta. Quello che vediamo ogni giorno più affermarsi è il raggruppamento di molti Stati in vaste regioni politiche: l’America latina, il mondo anglo-sassone, l’Europa occidentale, il mondo arabo, i paesi slavi. Ognuna di queste regioni è agitata da contrasti e rivalità interne, ma è tuttavia costretta dalla comunanza di alcuni problemi generali e dalla pressione di gigantesche forze esterne, e attraverso mille esitazioni e inciampi, ad agire di conserva, a vivere e a svilupparsi come un’unità politica superiore alle entità nazionali. Che gli arabi siano ancora deboli, che siano divisi, che soltanto alcuni siano «indipendenti», che quelli che già lo sono lo siano in buona parte soltanto sulla carta, non è detto che debba essere per noi un male. Il processo è in sviluppo, e lungi dall’essere compiuto; se lo fosse possiamo essere sicuri che non ci sarebbe più posto per noi. Se troviamo in tempo la posizione giusta, potremo inserirci in situazione dinamica dalla quale potremo un giorno, se lavoreremo con pazienza e tenacia, e in profondità, trarre un profitto che non sia soltanto contingente.

Potremo in ogni modo tracciare e attuare una politica che è, ancora oggi, la sola politica nazionale e originale consentita all’Italia, una politica cioè che trascenda, pur senza farvi contrasto, quella obbligata e collettiva del Patto atlantico, e la sola che risponda alla sua posizione geopolitica di cerniera tra l’Europa occidentale e il mondo arabo. In quali termini concreti può esprimersi una tale politica?

I problemi politici del Medio Oriente fanno centro, si è visto, sul contrasto tra gli arabi e Israele, e su quello tra l’Egitto e l’Inghilterra. Per quanto riguarda il primo mi permetto di dire che la scelta non dovrebbe essere difficile. Francamente non vedo a cosa ci serva una posizione di «neutralità» tra gli arabi e Israele. A differenza dell’America noi non abbiamo una minoranza ebraica potente, siamo liberi perciò da inibizioni di politica interna. A differenza dell’Inghilterra non abbiamo né interesse, né la possibilità pratica, o almeno per parte mia non riesco a vederli, a mantenere l’equilibrio, cioè in parole povere la discordia in Medio Oriente servendoci ora dell’uno, ora dell’altro. Abbiamo invece interesse a precostituirci una posizione chiara di fronte ai popoli arabi; non per averne la gratitudine che in politica non esiste, ma per stabilire in una regione che è la nostra, una rete di interessi politici ed economici, cioè una sfera di influenza nazionale, inquadrata naturalmente nella posizione politica dominante americana.

In queste condizioni la neutralità non può essere che dannosa, o quanto meno negativa. Nulla esige, e nessuno ci chiede, una presa di posizione drammatica; abbiamo dei rapporti economici con Israele che è interesse reciproco mantenere e sviluppare. Ma questo non ci obbliga affatto a mettere Israele sullo stesso piano degli arabi, a limitare la nostra azione politica verso gli arabi in considerazione dei riguardi che dobbiamo avere verso Israele, tanto meno a considerare Israele come un ostacolo insormontabile per il coordinamento politico del Medio Oriente.

Infinitamente più delicato è l’altro punto di riferimento, il contrasto anglo-egiziano. È chiaro che per questo non possiamo e non dobbiamo prendere posizione in favore dell’Egitto. Le nostre relazioni con l’Inghilterra sono per noi importanti, siamo riusciti a grande fatica a metterle su un piede di (relativa) fiducia e cooperazione, sarebbe follia compromettere questo risultato modesto ma tangibile per una posizione politica generale che si proietta nel futuro, ma non può dare frutti immediati. In un certo senso sarebbe persino imbarazzante prendere una posizione qualsiasi, anche una posizione di neutralità. Il contrasto, dunque, se non può essere affrontato deve essere ignorato e superato. Non mi sembra che questo sia impossibile. Noi possiamo proclamare il principio che la difesa del Medio Oriente è un problema politico e militare unico, che tutti i paesi interessati hanno il diritto e il dovere di prendervi parte come soggetti e non come oggetti, che per coordinare le forze politiche e militari è necessario creare un patto del Medio Oriente, legato, naturalmente, al Patto atlantico. Nessuno potrà negare che il problema si ponga, e con urgenza; altrimenti rischiamo, come dice l’ambasciatore Quaroni, di essere un giorno forti sull’Elba e di avere i russi al Marocco. Nessuno potrà negare neanche il nostro diritto a porre il problema e a prendere l’iniziativa. Evidentemente molti, l’Inghilterra compresa, non ne saranno felici, ma la nostra posizione sarà formalmente ineccepibile e, quel che conta assai di più, sarà inserita nel senso generale degli avvenimenti che portano fatalmente ad una sistemazione politica e strategica delle zone intermedie. Con il Patto del Pacifico si può dire anzi che soltanto il Medio Oriente è rimasto fuori da questo processo.

Del resto la difesa del Medio Oriente (intendendo con questa espressione il bacino orientale del Mediterraneo e il suo immediato retroterra) è un problema di cui americani e inglesi, come è noto, si occupano già attivamente e da qualche tempo. Se ne occupano, però, per ora almeno, da un punto di vista esclusivamente militare, predisponendo basi e mezzi, e sviluppando comunicazioni, e trattando l’intera regione come un territorio strategico. Questo modo di concepire il problema ha per effetto di mettere ogni paese al suo posto come una pedina su una scacchiera; nel caso nostro ha per effetto di confinare l’Italia nel suo limitato settore tattico e di escluderla, sia dalla cooperazione strategica che dall’azione politica, in una regione che è per noi il piano naturale dell’una e dell’altra. È una concezione contraria al nostro interesse. La via più diretta per rientrare nel piano strategico e politico di cui sopra mi sembra quella di farci, noi, banditori di un patto del Medio Oriente. D’altra parte l’idea non è affatto in contrasto con i necessari apprestamenti difensivi; ne è anzi la proiezione e cristallizzazione politica.

Certo sarebbe ingenuo immaginarsi che basti un discorso di questo genere per eliminare, o anche semplicemente avviare a pacifica composizione, i contrasti esistenti. Penso però che farebbe prendere all’Italia una posizione attiva di fronte a questi contrasti ed alla situazione di paralisi politica che ne deriva.


27 1 In pari data, con il quale Guidotti comunicava di aver svolto l’azione suggeritagli con il D. 12 e preannunciava l’invio del presente documento, segnalando l’intenzione inglese di ottenere in Consiglio di sicurezza la condanna egiziana.


27 2 Vedi D. 12.

28

IL MINISTRO A MANAGUA, SILVESTRELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 297/831. Managua, 3 agosto 1951(perv. il 14).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11177 del 17 luglio u.s.2.

In relazione al telegramma inviato in data odierna3 chiarisco innanzi tutto che la mia azione per interessare questo Governo alla revisione del nostro trattato di pace si è svolta in due tempi: in giugno, subito dopo l’apertura di questa legazione, con promemoria redatto sulla base delle istruzioni di cui al telespresso n. 20/4416/c. del 21 marzo u.s.4 e delle successive comunicazioni del 26 aprile, 2 maggio e n. 8737 del 7 giugno5; il 3 luglio con nota redatta sulla base delle ulteriori istruzioni impartitemi con telespresso n. 11/08740/c.6, datato pure del 7 giugno, ma pervenuto a me solo il 30 giugno.

Sulla prima fase ho riferito col telespresso n. 162/20 del 20 giugno u.s.7, mentre i telegrammi del 6 e del 19 luglio8 concernevano la seconda fase, e riferivano quindi sull’applicazione delle istruzioni impartite col telespresso del 7 giugno n. 8740.

Come ho riferito col telegramma n. 6, incrociatosi col telespresso in riferimento, il 19 luglio u.s. questo ministro degli affari esteri mi ha ufficialmente comunicato che, su istruzioni impartite dal presidente della Repubblica in adesione alle richieste formulate a mio mezzo dal Governo italiano, erano state impartite istruzioni alla delegazione del Nicaragua presso le Nazioni Unite di promuovere fra le delegazioni degli altri Stati dell’America latina la concorde formulazione di una mozione a favore della revisione del nostro trattato di pace secondo le linee da me suggerite con la nota del 3 luglio.

Tale comunicazione verbale mi è stata nel frattempo confermata da un promemoria e da una nota pervenutimi, con grande ritardo, solo negli scorsi giorni in risposta, rispettivamente, al mio promemoria dello scorso giugno ed alla nota del 3 luglio.

Nel promemoria mi viene comunicato che «il Governo del Nicaragua, in armonia con la sua tradizionale amicizia verso il Governo italiano, vede con simpatia la revisione del trattato di pace nel senso di consentire all’Italia di occupare con dignità il suo posto tra le nazioni libere e democratiche. Ispirato da tali sentimenti il Governo del Nicaragua ha impartito istruzioni alla sua delegazione presso le Nazioni Unite affinché appoggi le proposte che tendano ad attuare la revisione stessa».

Nella nota, che è datata del 19 luglio, questo ministro degli affari esteri mi comunica quanto segue: «Richiamandomi ai termini del nostro colloquio le confermo che, rendendosi ben conto dell’atteggiamento del Governo italiano in relazione al problema della revisione del trattato di pace, il mio Governo accoglie tale atteggiamento con simpatia ispirata alla sua tradizionale amicizia verso l’Italia, e che esso ha impartito istruzioni alla nostra delegazione presso le Nazioni Unite affinché esamini con le altre delegazioni latino-americane la possibilità di formare in seno alle Nazioni Unite un sol fronte che favorisca la tesi sostenuta dal Governo italiano».

Allego copia dei documenti sopracitati5.

Come pure ho riferito telegraficamente, il dott. Guglielmo Sevilla Sacasa, ambasciatore a Washington e capo della delegazione del Nicaragua alle Nazioni Unite, sembra particolarmente qualificato ad assolvere l’incarico affidatogli, oltreché per le sue spiccate attitudini personali, in considerazione della sua posizione di decano fra i capi missione latino americani a Washington.

Il predetto ambasciatore si trova attualmente qui in congedo con la famiglia, e non ho mancato di approfittare di tale circostanza per intrattenerlo sull’argomento. Dai colloqui che ho avuto con lui ho ricavato l’impressione che egli sia animato dalle migliori disposizioni nei nostri riguardi.

Mentre mi riservo, finché sarà qui, di continuare a caldeggiare tali sue disposizioni, mi permetto sottoporre alla considerazione di codesto Ministero l’opportunità di invitare gli ambasciatori Tarchiani e Guidotti a prendere contatto con lui quando alla fine del corrente mese egli farà ritorno negli Stati Uniti.


28 1 Indirizzato, per conoscenza, anche alla rappresentanza italiana presso l’O.N.U.


28 2 Richiedeva notizie sulla posizione del Governo del Nicaragua circa la revisione del trattato di pace.


28 3 T. 9712/7, con il quale Silvestrelli anticipava le notizie qui più diffusamente riferite.


28 4 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 312.


28 5 Non pubblicati.


28 6 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 462.


28 7 Ibid., D. 484.


28 8 Ibid., D. 569.

29

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. segreto 7267/46. Roma, 4 agosto 1951, ore 21.

Suo 1831.

Qualora sviluppi mediazione Harriman facessero riaffiorare possibilità gestione petroli da parte Ente internazionale, V.S. vorrà far presente a codesto Governo nostro interesse a parteciparvi oltre che con tecnici anche con limitato apporto capitali.

In conversazioni con suoi colleghi americano e britannico ed ove ne ravvisi opportunità potrà fare rilevare interesse che in detto Ente internazionale presenza paese neutrale e buon cliente petrolio persiano avrebbe per gli stessi anglo-americani.

Lascio a V.S. di agire in tal senso nel modo e nel momento che riterrà più conveniente.


29 1 Del 16 luglio, con il quale Cerulli chiedeva istruzioni per norma di comportamento nell’ipotesi di attuazione del progetto statunitense di un Ente internazionale per la gestione dei petroli.

30

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 7282/323. Roma, 4 agosto 1951, ore 22.

Stamane nel corso udienza capi missione ho intrattenuto Mallet problema elezioni T.L.T.

Ho nuovamente sottolineato conseguenze mancata applicazione sistema apparentamento, prospettando grave inasprimento lotta elettorale e ripercussioni sfavorevoli rapporti italo-jugoslavi. Ho vigorosamente insistito per rinvio ove apparentamento non fosse in alcun modo ottenibile, facendo presente assoluta necessità che egli intervenga in tal senso immediatamente e con ogni energia presso Governo britannico.

Prego S.V. voler fornire ogni possibile appoggio a tale linea di condotta tenendo presente ogni argomentazione a tempo fornita al riguardo.

31

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

L. 1470 segr. pol. Roma, 6 agosto 1951.

Mi riferisco alla tua lettera del 24 luglio u.s.1 ed al mio telegramma di risposta2 e ti spiego meglio il nostro punto di vista.

La revisione del trattato «in due tempi» quale risulta dai colloqui di Gallarati Scotti a Londra corrisponde, di massima, ad un nostro concetto che, se presenta degli inconvenienti, comporta anche degli indubbi vantaggi.

Anzi è forse improprio parlare di revisione «in due tempi», in quanto al primo tempo che dovrebbe consistere nella pubblica enunciazione delle volontà di rivedere il trattato, dovrebbe far seguito senza soluzione di continuità l’inizio di una concreta azione revisionista.

In sostanza noi diciamo agli Alleati: visto che siete decisi a far qualcosa, dichiarate pubblicamente decaduti causa ed effetti morali del trattato aggiungendo che vi metterete subito all’opera per la sua sollecita revisione.

Posta la questione in tali termini, essa non dovrebbe costituire causa di ritardo nella revisione effettiva, in quanto un impegno pubblico e solenne è almeno altrettanto vincolante di semplici assicurazioni diplomatiche, mentre rappresenterebbe una immediata soddisfazione, sia pure morale, per la nostra opinione pubblica. D’altro lato un impegno di tal genere, nel caso che le parole non fossero seguite dai fatti, potrebbe offrirci un giorno la giustificazione, se non giuridica almeno politica, per un nostro atto unilaterale.

Quanto al contenuto della dichiarazione, a mio avviso, non dovrebbe contenere clausole limitative o scendere a particolari, ma, constatata la «decadenza morale» del trattato, dedurne la necessità della revisione in termini di equità e giustizia e alla luce dell’esperienza fatta sino ad ora dell’applicazione del trattato stesso.


31 1 Riferimento errato: si tratta del D. 11.


31 2 T. segreto 7198/318 del 2 agosto, non pubblicato.

32

IL MINISTRO A PANAMA, ROSSET DESANDRÉ,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato urgente 892/352. Panama, 6 agosto 1951(perv. il 14).

Telespresso di codesto Ministero n. 11/08740/c. in data 7 giugno scorso1.

Ho avuto il 1° corrente un lungo e cordiale colloquio col dott. Ignacio Molino, ministro degli affari esteri, nel corso del quale ho illustrato il punto di vista italiano circa la revisione del trattato di pace, secondo le istruzioni impartitemi da codesto Ministero.

Al termine della nostra conversazione, il dott. Molino mi ha assicurato che il nostro paese poteva contare in linea di massima sul più caloroso e pieno appoggio del Governo del Panama e su quella che è ormai per questa Repubblica una direttiva di politica estera definitivamente stabile cioè: la difesa della giusta causa italiana.

Mi ha espresso però il desiderio di studiare a fondo la questione e di consultarsi col presidente della Repubblica prima di darmi una risposta ufficiale.

Questa mattina il dott. Molino mi ha convocato al Ministero degli affari esteri e mi ha «ufficialmente» dichiarato che il Governo di Panama avrebbe sostenuto nel modo più energico la tesi italiana per la revisione del trattato di pace e che a tal fine avrebbe dato istruzioni al suo rappresentante all’O.N.U. affinché:

1) appoggi e sostenga in seno alle Nazioni Unite qualsiasi iniziativa diretta alla revisione del trattato di pace con l’Italia;

2) si metta subito in contatto coll’osservatore italiano alle Nazioni Unite al fine di concertare con lui un’azione tempestiva ed efficace nel senso desiderato dal Governo italiano.

Il dott. Molino mi ha altresì comunicato che il Governo di Panama chiederà la cooperazione delle altre Repubbliche latino americane per un’azione da svolgere, di comune intesa, in favore dell’Italia.

Mi ha promesso infine di dar seguito alle sue dichiarazioni verbali con nota scritta, che mi riservo di far pervenire, non appena possibile, a codesto Ministero.

Ho manifestato al ministro degli affari esteri i sentimenti di gratitudine miei personali e quelli del Governo italiano per l’amichevole atteggiamento del Governo di Panama, pregandolo di rendersi interprete di tali sentimenti presso il presidente della Repubblica.

Ho l’onore di trasmettere, qui unito, un editoriale intitolato «Hacia la revisión del Tratado de Paz con Italia» che l’importante quotidiano bilingue la Estrella de Panama ha voluto dedicare in data 2 corrente alla questione della revisione del trattato di pace2, articolo con cui il sig. Tomás Gabriel Duque, proprietario e direttore del predetto giornale, col quale mantengo intimi rapporti di amicizia, ha voluto dare nuova prova dei suoi sentimenti di simpatia ed ammirazione verso il nostro paese.


32 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 462.


32 2 Non pubblicato.

33

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1168/513. Amman, 7 agosto 1951(perv. l’11).

Giovedì scorso ho avuto un lungo colloquio con l’emiro Naiev secondogenito del defunto re e attualmente reggente.

Il principe ha anzitutto detto che soltanto il giorno prima aveva disposto perché si ricominciassero le udienze per i ministri stranieri, e che egli aveva voluto vedermi fra i primi per sottolineare l’amicizia che la Giordania ha per l’Italia.

«Il corpo di mio padre non è più qui, ma il suo spirito è sempre fra noi, ed io continuerò a seguire la sua identica politica», ha aggiunto l’emiro.

Poi ha ricordato che pochi giorni prima dell’attentato, il re gli aveva mostrato con una certa fierezza la lettera che S.E. il presidente Einaudi gli aveva recentemente inviato per mio tramite1.

«Dica al presidente della Repubblica che io desidero ancora una volta ringraziarlo del telegramma che mi ha diretto in occasione del tragico evento, e nel tempo stesso assicurarlo che io avrò con l’Italia gli stessi rapporti che aveva mio padre».

E quasi a conferma di tale sua disposizione verso di noi, Naiev mi ha chiesto notizia dei vari progetti di collaborazione economica in corso fra i due paesi.

Gli ho così fatto il punto sulla situazione dei fosfati (di cui egli era al corrente nelle grandi linee), e gli ho parlato della nuova iniziativa in corso diretta a creare in Amman una grande fabbrica italo-giordanica per la raffineria dell’olio d’olivo e la fabbricazione del sapone, iniziativa presa dal genovese Asborno (genero di Gaslini) e che apporterà all’economia del paese un vantaggio di circa un milione di sterline per anno.

Gli ho anche accennato ad altri progetti allo studio (birrificio, conservificio di pesci, fabbrica di laterizi, ecc.).

L’emiro mi ha ascoltato con interesse e alla fine mi ha detto che – ove sorgessero difficoltà nelle trattative con i ministri – mi rivolgessi a lui, che egli cercherebbe di accomodare le cose, allo stesso modo del padre.

Nel prendere congedo, l’emiro mi ha invitato a recarmi da lui ogni settima-na, come facevo col re, affinché non sia nulla cambiato nelle relazioni fra i due paesi.

Che oggi si possa affermare che Naiev abbia la stessa personalità del re Abdallah, direi cosa non vera, anzitutto perché non si può paragonare un giovane di 34 anni con un uomo di 70.

E poi il defunto sovrano non ammetteva nessuno vicino a lui: i due figli (Talal e Naiev) erano da lui tenuti lontani dagli affari di Stato, e gli uomini politici trattati come marionette.

Abdallah preferiva dimenticare che il suo squisito senso politico si era formato ed affinato proprio perché fin dalla più giovane età egli si era attivamente occupato di politica vicino al re Hussein, ed appena ventenne era stato deputato nella Costantinopoli dei sultani.

Invece Talal si dedicava esclusivamente alla famiglia, e Naiev consacrava le sue ore oltre che alla famiglia ai cavalli, organizzando corse e partite di polo.

Anzi a tal riguardo ricordo che, conoscendo la passione dell’emiro lo feci invitare dal Polo Club di Roma a prender parte al Torneo internazionale dello scorso aprile al quale intervenne il duca di Edimburgo.

Naiev gradì molto il nostro invito, ma non potè parteciparvi perché fu obbligato in tale epoca a recarsi in Inghilterra.

Dice un proverbio tedesco: «Wem Gott gibt den Amt, gibt auch den Verstand» (A chi Dio dà un incarico, dà anche la capacità), e poi molto probabilmente Naiev avrà ereditato le squisite capacità intellettuali del padre ed infine egli è un arabo, cioè per natura intelligente, furbo, e munito di senso politico. E quindi – ove dovesse rimanere a lungo reggente o addirittura venisse nominato re – affinerebbe molto rapidamente queste sue capacità in fieri, in breve tempo sarebbe più o meno all’altezza di Abdallah.

L’anzidetto colloquio con il reggente è interessante per noi per due motivi:

1) perché spontaneamente Naiev ha voluto sottolineare che egli continuerà nei nostri riguardi la politica del defunto sovrano, politica che era improntata a viva cordialità;

2) perché si è molto interessato alle nostre iniziative economiche in corso e ci ha promesso il suo appoggio.

Ora noi stiamo facendo in Giordania un’attiva politica di penetrazione economica, azione che – come tutte le cose – incontra per mettersi in moto quelle difficoltà normali ad ogni piano di una certa importanza che si deve porre in movimento.

Avere perciò Naiev dalla nostra parte, come prima Abdallah, è di buon auspicio per noi.


33 1 Non pubblicato, ma vedi serie undicesima, vol. V, D. 557.

34

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 7380/256 (Londra) 329 (Washington). Roma, 8 agosto 1951, ore 21,30.

Pregola comunicare a mio nome codesto Governo quanto segue:

Deplorando vivamente ripetuto diniego per applicazione legge apparentamento a Trieste, basato su pretesa conoscenza situazione locale che invece nessuno è in grado esattamente valutare meglio del Governo italiano, insisto almeno per proroga, declinando sino da ora responsabilità per eventuali conseguenze di una campagna elettorale che non ritenevamo adesso necessaria e che fomenterà nuove tensioni.

35

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 9903/159. New York, 8 agosto 1951, ore 12,04(perv. ore 21).

Mi riferisco alla lettera di S.E. il segretario generale 14491.

Passo collettivo Stati latino-americani precedente e in coincidenza Conferen-za San Francisco mi sembra possibile ed opportuno. Non sono altrettanto sicuro che tale manifestazione possa concretarsi in una dichiarazione collettiva da farsia San Francisco; da punto vista formale potrebbe essere più facile (sebbene forse di minore effetto) passo identico di tutti gli Stati latino-americani da farsi presso Governi Washington, Londra e Parigi. Tanto in un caso che nell’altro mi sembra però impossibile organizzare tale azione attraverso delegati Nazioni Unite. Rappresentanti a San Francisco saranno probabilmente ministri affari esteri o ambasciatori a Washington ma non (salvo qualche possibile trascurabile eccezione) delegati New York. Ed in ogni caso questi non potrebbero mai concertare azione senza prima consultare rispettivi Governi, il che ritarderebbe anziché accelerare procedura.

Mezzo più celere e più efficace sembrami debba essere nostro intervento diretto nelle capitali latino-americane2.


35 1 Vedi D. 25.


35 2 Con L. 1495 segr. pol. dell’11 agosto Zoppi, comunicando che nuovi elementi rendevano non opportuno il passo collettivo latino-americano presso le tre capitali, suggerì di insistere con l’iniziativa di una mozione all’O.N.U. Per la risposta di Guidotti vedi D. 78.

36

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato personale 562. Parigi, 8 agosto 1951(perv. il 10).

Mi riferisco alla sua lettera n. 1438 del 2 corrente1.

Ho parlato oggi di nuovo della questione con Schuman a cui ho lasciato l’accluso appunto scritto2.

Schuman mi ha riconfermata la sua intenzione di trattare la cosa in modo da poter avere la dichiarazione dei Tre nella riunione che avrà luogo a Washington fra il trattato di pace giapponese e la Conferenza di Ottawa: egli si domanda soltanto se sia il caso che egli ne tratti prima per via diplomatica con Londra e con Washington, oppure se non sia meglio trattarne di persona a margine della Conferenza di San Francisco. È stato molto interessato di quanto gli ho detto circa la conversazione Gallarati-Morrison3 e di sentire che il collega inglese, in principio, condivideva il suo punto di vista circa i due tempi: mi ha detto però che nessun contatto in proposito ha ancora avuto luogo tra Parigi e Londra.

Ha trovato che la nostra idea di non legare la dichiarazione a tre a nessun articolo specifico del trattato è non solo giusta dal nostro punto di vista, ma dovrebbe anche facilitare la formulazione della dichiarazione da parte degli altri due: un riferimento preciso alle clausole militari avrebbe potuto sollevare obiezioni da parte jugoslava (dovrei supporre analogamente a quanto ha detto Gallarati che un passo jugoslavo effettivamente ci sia stato, anche qui: alla mia richiesta precisa Schuman è però sfuggito).

Accetta, per quello che lo concerne, l’idea dello «spirito punitivo» della «inadempienza alleata» e della non discriminazione: farà il suo possibile per farla accettare agli altri: non ha l’impressione che ci dovrebbero essere delle difficoltà maggiori.

Accetta l’idea della seconda fase «diplomatica» del processo: ha soltanto storta un po’ la bocca alla parola revisione: non si dovrebbe parlare di clausole da rivedere ma di clausole da considerarsi come sorpassate, e di studiare insieme la migliore maniera pratica di prendere atto di questo superamento. Non ho creduto di rilevare particolarmente la cosa, sebbene, dato lo spirito giuridico di Schuman, la riserva è importante e la dice lunga su di una certa diffidenza francese.

Mi ha precisato che non aveva mai pensato a subordinare l’applicazione pratica della dichiarazione ad un accordo preventivo con gli altri firmatari. Secondo lui passarla all’O.N.U. significava semplicemente notificarla come una decisione dei Tre, notifica che sarebbe stata in pratica un invito agli altri, eventualmente interessati ad associarsi ad essi, nello stesso spirito: allo stesso tempo questo avrebbe potuto servire per porre il caso italiano all’ordine del giorno dell’O.N.U. ed a sollevare, se possibile, un ampio dibattito sulla materia, dibattito che, se preparato, poteva risultare in una manifestazione solenne in nostro favore. Egli si proponeva anzi, solo che fosse possibile, di procedere per più stadi e cioè prima la dichiarazione dei Tre, poi, se possibile, ad Ottawa, se no a Roma una adesione alla dichiarazione da parte di tutti i firmatari del Patto atlantico; terzo, infine, la presentazione all’O.N.U.

Mi ha detto infine che ci saremmo rivisti prima della sua partenza per San Francisco per fare di nuovo un esame della possibilità della questione.

Nel frattempo sto cercando di ottenere un intervento, a nostro favore, nella Commissione parlamentare degli affari esteri.

Eseguite adesso le istruzioni di V.E. mi permetto, ancora una volta di attirare l’attenzione sulla delicatezza infinita, dal punto di vista nostro interno, di tutta questa questione.

Se noi teniamo a questa dichiarazione per avere una soddisfazione morale ed avuta questa mettere praticamente la cosa agli atti, salvo che per le clausole militari, va bene. Ma se noi dovessimo pensare che una volta ottenuta una dichiarazione dai Tre che riconosca la loro inadempienza del trattato, che il suo spirito punitivo è sorpassato, che deve cessare qualunque discriminazione ce ne potremmo servire come di una base giuridica per smantellare una clausola alla volta tutto il trattato, siamo completamente fuori di strada. È un giuoco che abbiamo già tentato sulla dichiarazione di cobelligeranza e sulla dichiarazione tripartita: non è riuscita nel primo caso, né nel secondo, ha ancora meno chances di riuscire nel terzo: ad un certo punto gli americani e gli inglesi ci diranno che loro non la interpretano così, punto e basta.

La formula «firma e revisione» è stata la più pericolosa eredità che ci abbia lasciata Nenni.

La verità storica, signor ministro, è che i trattati non si rivedono: si stracciano.

È possibile che ci dimentichiamo così facilmente di quello che è accaduto alla Germania? Tutti i Governi tedeschi, da Ebert a Bruening non hanno fatto per anni che appellarsi al buon senso, al senso della giustizia altrui, per ottenere delle recisioni, anche modeste del Trattato di Versailles: e non hanno ottenuto niente. È poi venuto Hitler che ha stracciato il trattato e tutti hanno più o meno accettato.

Ora chi ci dovrebbe accordare la revisione sono precisamente questi stessi inglesi, francesi ed americani: quali ragioni abbiamo di ritenere che siano più intelligenti, più magnanimi, più giusti di quanto non siano stati venti anni fa? Nessuna. Speriamo nell’O.N.U.? Ma la S.d.N. di buona memoria non è riuscita a far passare neanche la più piccola revisione dei trattati, nonostante l’articolo 19 che lo prevedeva espressamente. E l’O.N.U. ha dimostrato di essere infinitamente peggio della S.d.N.: almeno la Società delle Nazioni era nata nelle buone intenzioni, mentre l’O.N.U. è nata nel più sfacciato cinismo.

Se noi vogliamo realmente liberarci da alcune delle clausole del trattato di pace l’unica via effettiva è la azione nostra diretta e unilaterale. Per le clausole militari: facciamo una bella dichiarazione unilaterale che l’Italia non si considera più da esse tenuta: i Tre protesteranno, per la forma; forse in fatto ne saranno soddisfattissimi.

Vogliamo non pagare più riparazioni alla Grecia, alla Jugoslavia, all’Etiopia, domani? Vogliamo non pagare più i compensi ai danni di guerra od altre cose che restano da pagare ai sudditi degli Stati firmatari? Facciamo una bella dichiarazione unilaterale che per queste o per quelle ragioni noi smettiamo di pagare.

Qui le reazioni ci sarebbero e forti, anche da parte americana: se V.E. se la sente di tenere il paese in mano, senza aiuti americani di nessuna sorta per otto o dieci mesi, alla fine la cosa sarà perfettamente digerita.

Si tratterà di scegliere il momento opportuno. Ma mi creda quando le dico che trattando, negoziando, chiedendo otterremo poco o nulla.

Vorrei che V.E. si rendesse conto che quanto le dico è soltanto, da un punto di vista di politica interna e, se mi permette l’espressione, nel suo interesse in quanto presidente del Consiglio e ora ministro degli esteri. La prego di credermi quando le dico che purtroppo, nella migliore delle ipotesi di tutta questa nostra azione si dovrà dire: parturiunt montes ... con quello che segue: e quindi la questione che mi pongo, o meglio le pongo, è se le conviene di imbarcarsi in una azione il cui risultato non può essere che maggiori disillusioni, maggiori amarezze per noi. Noi possiamo, ripeto, avere questa dichiarazione, possiamo avere la liberazione dalle clausole militari ed economico-militari, punto e basta: il resto non lo avremo o lo avremo in misura così minima e così stentata da essere peggio che niente.

E se noi teniamo a questa dichiarazione, mi permetterei anche di consigliare di soprassedere all’invio alle varie capitali interessate dell’esame materia per materia delle clausole che ci legano le mani, di cui alla fine del dispaccio ministeriale n. 1353 del 24 luglio u.s.4. Per quanto modeste e poche possano sembrarci le clausole di cui noi domandiamo il superamento, se noi sveliamo, prima della dichiarazione, che cosa noi vorremmo rivedere, finiremo, temo, per non avere più nemmeno questa vaga dichiarazione.

Allegato

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

Promemoria 560. Parigi, 7 agosto 1951.

Le Gouvernement italien tient d’abord à vous remercier pour l’esprit très amical avec lequel vous vous êtes occupé de cette question.

Le Gouvernement italien est d’accord avec votre suggestion de commencer par une déclaration à trois: la date suggérée – la fin de la Conférence de San Francisco – conviendrait aussi parfaitement au Gouvernement italien.

Il serait souhaitable, si possible, que cette déclaration ne se réfère en particulier à aucune clause spécifique du traité: toute mention spécifique, notamment des clauses militaires, pourrait se prêter à des exploitations de la part de la propagande communiste que le Gouvernement préférerait, dans les circonstances actuelles, éviter.

Au point de vue du Gouvernement italien, il serait souhaitable que la déclaration fasse mention:

1) de l’esprit punitif du traité qui, à l’heure actuelle, devrait être considéré comme totalement surpassé;

2) que la seule clause «active» pour l’Italie, c’est-à-dire son acceptation aux Nations Unies, n’a pas pu être satisfaite et que les Trois le reconnaissent et le regrettent et que la présente déclaration est une expression de ce regret. Incidemment il serait utile de confirmer leur intention commune de continuer à faire tout le possible pour faire admettre l’Italie à l’O.N.U.;

3) que toute discrimination à l’égard de l’Italie, en tant qu’elle existe encore, doit cesser, une fois pour toutes, à partir de la présente déclaration;

4) les trois Gouvernements s’engagent à donner à cette déclaration une application pratique par des négociations ultérieures.

Après cette déclaration, les trois Gouvernements, ensemble avec le Gouvernement italien, et par la voie diplomatique, devraient s’entendre sur les clauses du traité qui peuvent être revisées et s’entendre aussi sur les moyens pratiques les meilleurs pour arriver à cette revision.

Par contre, le Gouvernement italien pense qu’il ne conviendrait pas de subordonner l’application pratique de cette déclaration à des accords préventifs avec tous ou la plupart des autres signataires du Traité. Ceci enlèverait toute valeur pratique à la déclaration puisque la difficulté de mettre d’accord un si grand nombre de pays sur des questions particulières n’est que trop évidente.

Le Gouvernement britannique qui a été pressenti à cet égard semble être d’accord sur l’idée de procéder par deux étapes successives.


36 1 Vedi D. 21.


36 2 Vedi Allegato.


36 3 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 550.


36 4 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 593.

37

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 565/439. Parigi, 8 agosto 1951(perv. il 10).

Schuman mi ha detto che il Governo francese, malgrado la sua non esistenza giuridica, aveva deciso di dichiararsi a favore dell’ammissione immediata della Grecia e della Turchia al N.A.T.O.: aveva dato già comunicazione di questo al suo collega turco a Strasburgo. La Francia stava adesso trattando con Londra e con Washington circa le modalità di questa ammissione.

La Francia voleva in primo luogo un riconoscimento del fatto che le comunicazioni nord-sud del Mediterraneo occidentale, che sono in fondo comunicazioni fra territori francesi, venissero riconosciute come competenza esclusiva della Marina francese.

Ma sopratutto la Francia voleva che l’ammissione della Turchia e della Grecia nel N.A.T.O. fosse piena e completa nel senso che esse dipendessero dallo Standing Group di Washington e da Eisenhower. Gli inglesi invece sostenevano la tesi dell’opportunità di uno Standing Group speciale per il Mediterraneo orientale. Il piano inglese era evidente anche se complesso. Essi cercavano in primo luogo di ottenere anche l’ammissione dell’Egitto al N.A.T.O.: in questa maniera essi speravano che le truppe inglesi stazionate sul Canale avrebbero cessato di essere giuridicamente inglesi, ma sarebbero diventate delle truppe atlantiche, facilitando così la questione dei loro rapporti con l’Egitto. Continuavano poi in ogni modo ad insistere sul Comando britannico del Mediterraneo orientale. L’attitudine degli inglesi era contraddittoria. Essi non avevano che due divisioni nel Vicino Oriente, non avevano né la possibilità né l’intenzione di mandarcene almeno subito delle nuove, ma nonostante questo lo consideravano come loro caccia riservata. Consta ai francesi che gli inglesi intendono far intervenire nel Vicino Oriente truppe australiane, neo-zelandesi e sud-africane e, valendosi di questo fatto, far entrare anche questi paesi non nel N.A.T.O., ma nel girone di questo Standing Group speciale.

L’atteggiamento francese – e Schuman mi ha detto sembrargli che questo coincidesse col nostro punto di vista – era invece il seguente. Grecia e Turchia dovevano entrare nel N.A.T.O. al più presto possibile ed in condizioni identiche a quelle di tutti gli altri membri. L’unica eccezione che la Francia riteneva si potesse fare forse, per diminuire le obiezioni dei paesi scandinavi e del Benelux: introdurre una formula di automatismo limitato nei riguardi dei due nuovi membri la quale lasciasse al Gruppo nord una certa libertà di azione. Era d’accordo con me che tutte queste riserve non avevano nessun valore: dati i mezzi moderni e le relazioni internazionali attuali, l’automatismo era nei fatti e non nelle formule, ma comprendeva che certi Governi potessero avere delle difficoltà di fronte alla loro opinione pubblica.

La Francia ritiene sempre che un patto regionale del Medio Oriente e del Vicino Oriente continua ad essere necessario: comprendeva che questo patto e le formazioni militari da esso dipendenti potessero forse dipendere da un Comando differente da quello di Eisenhower: non vedeva la necessità assoluta di uno Standing Group speciale, ma anche questo non era un ostacolo fondamentale. A questo patto avrebbe in un secondo tempo potuto aderire la Turchia, la Grecia, gli altri Stati interessati fra cui l’Italia ed anche tutti i Dominions britannici interessati alla difesa del Medio Oriente.

Schuman riteneva che gli americani fossero fondamentalmente d’accordo con questa formulazione e che quindi non sarebbe stato impossibile superare le resistenze inglesi. En passant, mi ha detto che se questo corrispondeva con il punto di vista italiano, avrebbe potuto essere opportuno che anche noi parlassimo in questo senso a Londra ed a Washington.

38

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 9057. Washington, 8 agosto 19511.

Questo addetto militare è stato convocato oggi al Pentagono, per sentirsi dire che:

1) il Governo americano sarebbe grato a quello italiano se volesse rendere effettiva l’offerta di un ospedale per la Corea;

2) l’ospedale anzidetto, pur non potendo, per dichiarazione del Governo italiano, essere impiegato al seguito delle truppe operanti, permetterebbe al Comando dell’Estremo Oriente di svincolare e mandare in linea una delle unità sanitarie americane, attualmente impegnate nella cura dei prigionieri e dei civili ammalati;

3) una nave americana (M.S.T.S. Langfitt) si troverà al Pireo fra il 15 e il 17 ottobre p.v. e potrebbe recarsi a Napoli a prelevare il personale e il materiale del promesso ospedale.

È mio dovere ricordare che più volte, anche recentemente, il Dipartimento di Stato si è informato sul seguito dell’offerta italiana, presentata ufficialmente fin dal settembre 1950.

È altresì mio dovere confermare che il suddetto appoggio simbolico all’azione americana in Corea, espresso in una forma umanitaria da cui non rifuggono neppure i paesi più scrupolosamente neutralisti, rappresenta il minimo indispensabile perché l’Italia non appaia estraniarsi, con suo danno, da quella solidarietà internazionale, alla quale fa costante appello2.


38 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


38 2 Con il T. 8257/78 (New York) 433 (Washington) dell’8 settembre Zoppi comunicò: «Noto ospedaletto Croce Rossa per Corea sarà pronto partire a datare 10 ottobre. Sarà imbarcato su nave americana destinazione Estremo Oriente qui di passaggio verso quell’epoca. Questa ambasciata americana suggerisce sia pubblicato costì un comunicato congiunto fra Governo italiano e Segretariato O.N.U. durante sosta presidente del Consiglio. Mi pare preferibile, per molteplici considerazioni, che comunicato preceda arrivo presidente. Lascio quindi a lei concordarlo eventualmente subito con codesto segretario O.N.U.».

39

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. personale 9050. Washington, 8 agosto 1951.

Ho compreso le preoccupazioni sorte costì in merito all’esercito europeo e, come tu desideravi, ho approfondito i sondaggi qui, allo scopo di accertare l’atteggiamento americano in proposito1.

Ti espongo qui di seguito, con una certa ampiezza, imposta dall’importanza dell’argomento, il risultato dei miei contatti, passati e recenti.

È esatto che il progetto francese sull’esercito europeo, nella sua prima e sommaria edizione, presentata al Defense Committee, a Washington nell’ottobre scorso, è stato accolto con molto scetticismo dagli americani, i quali l’hanno considerato un macchinoso espediente per ritardare il riarmo tedesco e, indirettamente, il riarmo della Comunità atlantica.

È parimenti esatto che l’atteggiamento americano è gradatamente cambiato. Ciò si deve, credo, a diverse circostanze.

Eisenhower, chiamato a tradurre in pratica la decisione americana di contribuire con forze terrestri alla formazione di un esercito «atlantico», si è subito reso conto che il suo compito richiedeva più tempo di quanto i dirigenti politici di Washington avessero supposto. Si è in particolare reso conto che la Germania, dovendo cominciare il suo riarmo ab ovo, non poteva recare il suo apporto alla forza «atlantica» contemporaneamente ai paesi del Patto atlantico, bensì soltanto in un secondo tempo.

In tal modo, la condizione alla quale la Francia subordinava l’assenso al riarmo tedesco perdeva in gran parte il temuto effetto dilatorio. Inoltre la Germania doveva rinunciare al suo atteggiamento larvatamente ricattatorio.

Eisenhower è partito da Washington con una opinione già formata in tal senso. Gli sviluppi del suo lavoro l’hanno soltanto confermato nelle sue idee. (Tu ricordi certamente che, al momento della sua partenza, questa ambasciata segnalò il suo atteggiamento nei riguardi del riarmo tedesco, col telegramma 17 del 7 gennaio e col telespresso 1313/663 del 31 gennaio; e che, quando le stesse impressioni furono raccolte da altra fonte, le confermammo ancora una volta da qui, col telegramma 127 del 6 febbraio2).

I fatti hanno dato ragione ad Eisenhower, nel senso che la formazione della forza atlantica nonché i lavori preparatori del riarmo tedesco hanno proceduto con ritmo tale da consentire che nel frattempo la conferenza per l’esercito europeo elaborasse un progetto concreto.

Questo progetto piace agli americani. Piace a tutti gli americani: al Dipartimento di Stato, al Congresso, al Pentagono, allo S.H.A.P.E. Piace per ragioni svariatissime, ma convergenti. Perché colpisce favorevolmente l’opinione pubblica, come un passo verso la federazione europea. Perché Eisenhower incontra molte difficoltà a maneggiare tanti organismi nazionali e pensa che il suo compito sarebbe facilitato se si trovasse di fronte ad un solo organismo per l’Europa continentale. Perché i francesi e i tedeschi, partendo da posizioni diverse, son riusciti congiuntamente a dimostrare che solo l’esercito europeo assicurerebbe una sincera ed efficace partecipazione germanica al riarmo dell’Europa. Perché gli americani, pensando al giorno, quantunque lontano, in cui il riarmo europeo sarà un fatto compiuto ed essi potranno ritirare le loro truppe dal continente, ritengono che riuscirà loro più facile mantenere la collaborazione strategica con un organismo internazionale già collaudato, piuttosto che coi diversi organismi nazionali. Perché, last but not least, la conferenza per l’esercito europeo ha smentito, col raggiungere un risultato positivo, lo scetticismo di coloro che la ritenevano votata all’insuccesso; e quindi ha fatto apparire sotto una luce favorevole ciò che dapprima era sembrato una perdita di tempo.

Sui singoli aspetti del progetto, gli americani ostentano indifferenza, dicendo che si tratta di dettagli, sui quali spetta agli europei mettersi d’accordo. Tuttavia essi hanno, anche in proposito, le loro opinioni. Ad esempio ho notato una netta preferenza per il commissario unico, rispetto all’organismo collegiale. (Dicono che «quando si tratta di amministrare, piuttosto che di impartire direttive politiche generali, un uomo solo è più efficiente di un gruppo internazionale»; e le frasi di questo genere hanno tanto maggior peso in quanto coloro che le pronunciano ci credono davvero e pertanto non si rendono conto dei motivi egoistici, spesso nascosti dietro di esse).

Queste mie impressioni non sono frutto di semplici illazioni. Non ho, pertanto, dubbi sull’esistenza della sopradescritta tendenza americana. Si tratta, però, di una tendenza generale. Per contro, quando da parte nostra temiamo taluni inconvenienti specifici, dobbiamo domandarci non solo quale sia la tendenza generale, ma anche quali probabilità vi siano di vederla concretizzarsi rapidamente. Su questo punto, tu hai probabilmente più elementi di me per fare un pronostico. Per parte mia posso dirti che gli americani si rendono conto di due difficoltà pratiche: la prima, consistente nel mettere in piedi organismi complessi e interamente nuovi, come quelli progettati; la seconda, consistente nel maggior costo unitario delle forze europee, rispetto a quelle nazionali.

Gli americani non vogliono che queste difficoltà ritardino il riarmo europeo. Pertanto si orientano verso una formula, che si può riassumere presso a poco così: firmare al più presto il trattato, fissando esattamente in esso l’obiettivo da raggiungere; delegare ai singoli Stati, in attesa che si formino i nuovi organismi internazionali, i compiti destinati ad essere poi assolti da questi ultimi.

Gli americani sanno che anche questa formula presenta una difficoltà: a quale organismo tedesco può essere delegata la frazione tedesca dei compiti anzidetti, visto che in Germania non ci sono organismi militari e visto che i francesi si oppongono alla creazione di tutti quelli occorrenti? Gli americani pensano che i poteri del futuro organismo internazionale europeo potrebbero essere provvisoriamente delegati in parte agli organismi nazionali (compresi quegli uffici tedeschi alla cui creazione i francesi sono già rassegnati) e in parte al Comando di Eisenhower. Quest’ultimo potrebbe quindi cominciare rapidamente a reclutare e addestrare forze tedesche. In tal modo si eviterebbe un ritardo pericoloso e si inizierebbe il riarmo tedesco sotto il duplice auspicio, atlantico ed europeo.

Con ciò mi sembra di aver risposto, nei limiti delle mie possibilità, al quesito contenuto nell’ultima parte della tua lettera.

Circa i pericoli cui la formazione dell’esercito europeo esporrebbe l’Italia, non ti farò la troppo facile obiezione che potevamo accorgercene prima. Non ti farò neppure l’altra, altrettanto facile, che si è federalisti o non lo si è; e che, se lo si è, bisogna accettare gli svantaggi, insieme ai vantaggi, della federazione. Constatato, per contro, che quei pericoli esistono realmente e che conviene premunirsi contro di essi. Come? Il ritardo che, di fatto, per le difficoltà sopraesposte, sarà imposto alla formazione dell’esercito europeo costituisce di per sé un parziale riparo. L’intervento diretto del Comando di Eisenhower (se le cose si svolgeranno secondo la sopradescritta formula americana) costituirà anche esso un parziale riparo.

Il riparo vero e permanente non può, però, consistere che nella acquisizione da parte nostra, in seno all’esercito europeo, di una posizione direttiva non inferiore a quella della Francia e della Germania.

Ritengo (e credo che sarai d’accordo con me nel ritenerlo) che in queste questioni le mezze misure sono le più dannose. Avremmo potuto, al pari di altri paesi, estraniarci fin da principio dall’iniziativa francese. Abbiamo invece (e, secondo me, giustamente) preferito collaborare alla sua realizzazione. È tardi per tirarci indietro del tutto. Potremmo tirarci indietro a metà; ma, molto probabilmente, perderemmo ogni funzione direttiva, senza riacquistare la nostra indipendenza.

Tutto, pertanto, mi sembra dipendere dalla posizione che riusciremo ad occupare in seno al nuovo organismo. Mi sorprenderebbe che non potessimo avere, in proposito, quel che ci spetta. L’Inghilterra, che ci ha ostacolato in altri campi, non è direttamente presente in questo. Il trattato non è firmato. Il progetto contiene ancora molte soluzioni alternative sulla cui scelta ci siamo già pronunciati e potremo insistere.

Per quanto concerne gli americani, la sola preoccupazione circa il loro atteggiamento mi sembra poter sorgere dalla eventualità che essi interpretino male qualche nostra resistenza su certe soluzioni pratiche e che, per dirla brutalmente, ci considerino «guastafeste» se la firma del trattato sarà ritardata da nostre obiezioni. Sarà mia cura evitare, per quanto possibile, tale eventualità. Ho già spiegato, con le cautele del caso, ma chiaramente, quali questioni sostanziali si celino dietro certi «problemi tecnici». Ho spiegato, in pratica, che non possiamo ammettere la formazione di uno Standing Group franco-tedesco in seno all’esercito europeo né la creazione di diaframmi tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ho spiegato che tale nostro atteggiamento risponde a esigenze generali, oltre che italiane. (Quantunque l’effettivo riarmo dell’Occidente sia ancora in una fase embrionale, le concezioni strategiche occidentali hanno fatto passi giganteschi da quando il Patto atlantico è stato firmato. L’attenzione non è più polarizzata nel settore nord-occidentale dell’Europa. Il panorama si è allargato, fino a comprendere la Grecia e la Turchia e addirittura il Vicino e Medio Oriente. Ogni riviviscenza dello spirito dell’Unione Occidentale sarebbe anacronistica).

Spero che ciò sia qui compreso. Aggiungo che gli americani si attendono già qualche ulteriore difficoltà, non solo da parte nostra, ma anche da parte di altri paesi. Essi si sono accorti che i Governi hanno seguito un po’ distrattamente i lavori degli esperti, cosicché oggi si trovano un po’ sorpresi da qualcuno dei risultati raggiunti. Aggiungo pure che, quantunque il riarmo tedesco stia per formare oggetto delle conversazioni tripartite che precederanno la riunione di Ottawa, il Pentagono dubita assai di fare in tempo a presentare proposte concrete alla riunione medesima e si propone piuttosto di presentarle a quella successiva, che avrà luogo a Roma alla fine di ottobre; ed anche questo appare lasciarci un certo margine di tempo.


39 1 Risponde alla lettera di Zoppi del 25 luglio pubblicata in serie undicesima, vol. V, D. 595.


39 2 Non pubblicati.

40

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. personale 9052. Washington, 9 agosto 1951.

Faccio seguito alla mia lettera n. 8712 del 2 corrente1.

Ho avuto qui confidenzialmente assicurazione che, se la questione della revisione del trattato di pace non avrà avuto nel frattempo sviluppi risolutivi, i ministri degli esteri americano, britannico e francese se ne occuperanno nella riunione tripartita, che precederà quella di Ottawa.

Ho, da parte mia, illustrato la possibilità di procedere in due tempi, formulando dapprima una dichiarazione tripartita, la quale non si limiti a constatare accademicamente la necessità della revisione, bensì impegni i dichiaranti ad effettuarla. Mi è stato confermato che gli Stati Uniti si orientano verso una revisione vera e propria, piuttosto che verso dichiarazioni generiche. Il Dipartimento di Stato è ancora restio a dire quali proposte specifiche abbia fatto a Londra e a Parigi, perché non ha ancora ricevuto né dall’una né dall’altra parte reazioni conclusive. Ho insistito per saperne di più, soprattutto perché nulla ha dissipato finora i timori di cui ai miei rapporti n. 7427/3927 del 29 giugno u.s. e n. 7649 del 5 luglio u.s.2, in merito all’orientamento del Governo americano.

Per quanto concerne l’eventuale visita del presidente De Gasperi a Washington ho fondato motivo di ritenere che non sarà comunque possibile effettuarla prima della riunione di Ottawa, ma soltanto, eventualmente, a seguito di essa. Naturalmente, prima di effettuare qui qualsiasi sondaggio, inteso ad accertare se la visita sarebbe ritenuta possibile da parte americana, attendo un tuo cenno3.


40 1 Non pubblicato.


40 2 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 506 e 521.


40 3 Con lettera segreta 1505 del 13 agosto Zoppi rispose: «Ti prego di seguire attentamente la questione. A Londra e Parigi sembrano marciare verso la soluzione a “due tempi”. Se invece dovesse venire fuori subito qualcosa di più concreto occorrerebbe poterlo sapere tempestivamente anche per poter dare qualche utile consiglio di sostanza e di forma in vista dell’effetto che la cosa avrebbe qui. Se infatti usassero qualche frase infelice per la mentalità italiana (che mostrano così spesso di non capire), o se si trattasse di far partorire un topo dalla montagna, le conseguenze sarebbero più dannose che vantaggiose!».

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. riservato urgente 510/c.1. Roma, 10 agosto 1951.

Riferimento: Telegramma min.le n. 512.

(Solo per Washington) A seguito del telegramma in riferimento trasmetto l’unito testo di progetto di scambio di note tra Italia e Giappone (con allegata traduzione in inglese)3 che codesta ambasciata vorrà sottoporre con ogni urgenza a codesto Governo facendo ad esso osservare come si tratta di uno strumento che ai fini di una rapida trattazione è stato redatto nei termini più semplici, e come allo stesso tempo esso sia inteso ad assicurarci, tenute anche presenti quelle che saranno le reazioni dell’opinione pubblica italiana, quel minimo di giusta soddisfazione sopratutto morale, per i gravi danni inflittici dal Giappone in violazione di ogni norma di diritto internazionale dopo l’8 settembre 1943.

Si allega altresì un progetto di testo di lettere riservate3 da scambiarsi fra Roma e Tokyo dopo che esso sarà sottoposto a codesto Governo, inteso ad uniformare l’entrata in vigore dello scambio di note fra i due Governi con l’entrata in vigore del trattato generale di pace con il Giappone.

Codesta ambasciata vorrà infine pregare codesto Governo:

a) di voler fornire assicurazioni perché l’Italia venga senz’altro esclusa, in quanto già in guerra con il Giappone, dal novero dei paesi «neutrali o già in guerra con gli Alleati» di cui all’art. 16 del testo del progetto del trattato, ed ammessa tra i paesi i cui cittadini già prigionieri di guerra in mani giapponesi godranno dei benefici da distribuirsi da parte della Croce Rossa Internazionale;

b) di voler assicurare che Tokyo, per la sua parte, entrerà in negoziati per la elaborazione dell’accordo previsto dallo scambio di note, in modo che questo possa entrare in vigore contemporaneamente con il trattato di pace.

(Per Londra e Parigi) Si pregano codeste ambasciate di interessare, ciascuna per la sua parte, i Governi britannico e francese a promuovere l’accoglimento da parte di Washington di quanto ora proposto dal Governo italiano4.


41 1 Diretto per conoscenza alla rappresentanza a Tokyo.


41 2 Del 2 agosto, con il quale venne ritrasmesso a Tokyo il D. 13.


41 3 Non pubblicato.


41 4 Lo scambio di note ebbe luogo il 27 settembre, vedi Ministero degli affari esteri, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXVI, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1985, pp. 90-92.

42

IL MINISTERO DEGLI ESTERIALLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA

Telespr. urgentissimo 22/02141. Roma, 11 agosto 1951.

Riferimento: Nota n. 33585 del 7 agosto corr.1.

1) Il nostro atteggiamento circa l’ammissione della Grecia e della Turchia al P.A. è stato fissato nel memorandum comunicato a tutti i membri del N.A.T.O., nel quale ci siamo espressi per l’ammissione immediata e senza condizioni dei due paesi. Tale atteggiamento è stato riservatamente comunicato ai Governi interessati.

2) Nel caso tuttavia che, manifestandosi l’impossibilità di superare le opposizioni di alcuni paesi del N.A.T.O., anche gli Stati Uniti ritirassero la proposta di cui al par. 1, l’alternativa suggerita di un patto fra le nazioni N.A.T.O., come un tutto unico (as a body), e Grecia e Turchia potrebbe eventualmente ridivenire di attualità, per quanto sia stata scartata sia dal Consiglio dei sostituti che dallo S.G., come inadatta politicamente e militarmente. E ciò in ordine alle difficoltà di attuazione relative ai vari problemi giuridici e politici che essa comporta: tra l’altro la necessità, anche in questo caso, della ratifica parlamentare, nonché le note resistenze di Grecia e Turchia ad essere inserite in un sistema che ne limita la posizione giuridica e di prestigio.

3) Se si dovesse ritornare all’idea di un Patto mediterraneo (strettamente collegato al P.A. e colla partecipazione dell’Italia) non sembra che da parte nostra esistano obiezioni di carattere fondamentale, quando sia assicurata una nostra congrua partecipazione ai Comandi relativi. Ciò in conformità al punto di vista da noi sempre sostenuto che il Mediterraneo deve essere considerato come un tutto unico.

Naturalmente la nostra evoluzione verso le soluzioni alternative dovrebbe avvenire soltanto a seguito della constatata impossibilità della soluzione di cui al par. 1, dato che dobbiamo comunque non dare ai greci ed ai turchi l’impressione di un nostro mutamento di attitudine.

I quesiti che il Consiglio dei sostituti ha posto allo Standing Group, per risposta entro il 20 agosto, sono i seguenti:

a) quale sarebbe l’organizzazione dei Comandi medesimi nel caso di piena ammissione della Grecia e della Turchia al N.A.T.O.;

b) quale sarebbe l’organizzazione dei Comandi medesimi nell’ipotesi della conclusione di un Patto mediterraneo;

c) in qual modo, dal punto di vista militare sarebbe stato in quest’ultimo caso possibile assicurare il collegamento (link) tra il N.A.T.O. ed il Patto mediterraneo.

Tutto ciò premesso, sembra opportuno che su questi quesiti tecnici, le cui soluzioni tuttavia avranno notevoli ripercussioni politiche, codesto Stato Maggiore dia istruzioni al gen. Frattini, perché faccia valere fin d’ora le nostre inderogabili esigenze in materia di partecipazione, in ordine a ciascuna delle soluzioni alternative, che verranno prese in considerazione.


42 1 Non pubblicato.

43

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA

T. 7500/53. Roma, 13 agosto 1951, ore 15,30.

Suo 951 e telespresso ministeriale 1462/c.2.

Con prossimo corriere aereo V.S. riceverà copia progetto scambio note che viene trasmesso a Luciolli.

È stato oggi telegrafato a Luciolli insistere perché Dipartimento Stato ottenga consenso preventivo Governo giapponese sul testo definitivo che concorderemo con Washington, in modo semplificare compito V.S. e consentire effettiva sincronizzazione pubblicazione con firma pace Giappone.


43 1 Dell’11 agosto, con il quale d’Ajeta aveva comunicato che il primo ministro ed il ministro degli esteri sarebbero partiti per San Francisco il 30 agosto.


43 2 Non rinvenuto.

44

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1503 segr. pol. Roma, 13 agosto 1951.

Ho letto i tuoi rapporti n. 4213/2390 del 31 luglio e n. 4237/2398 del 2 agosto1.

Mi sembra molto pericoloso addentrarsi sino da ora nello stabilire un ordine di priorità per le questioni da esaminarsi nel cosiddetto «secondo tempo» della revisione. E mi sembra ancor meno conveniente per noi il prestarci a far inserire come primo argomento la questione più difficile. Ciò equivarrebbe a rimandare il tutto alle calende greche. La questione di Trieste è fra tutte la più delicata, e appunto per questo non si può né stabilire a priori il preciso momento della sua trattazione, né subordinare alla sua soluzione quella di altre questioni che apparissero, e in realtà sono, più facili. La questione del T.L.T. è bensì compresa nel quadro della revisione del trattato, ma deve essere considerata alla luce della nostra partecipazione alla politica atlantica e a questa coordinata. Né va dimenticato che i destini della nuova democrazia italiana sono per molta parte collegati con questa questione.


44 1 Vedi DD. 16 e 22.

45

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL CONSIGLIERE A LONDRA, THEODOLI

L. 1506 segr. pol. Roma, 13 agosto 1951.

Mi riferisco alla lettera indirizzata dal presidente a Gallarati Scotti (segr. pol. 1503 in data odierna)1.

Ritenendo che questa mia giunga costà dopo la partenza dell’ambasciatore per il congedo, indirizzo a te questi miei brevi commenti a maggior chiarimento del nostro pensiero in proposito.

Il complesso delle informazioni che qui si hanno sulla revisione, fa sì che gli argomenti portati da Strang e da Davies al riguardo2, lungi dal convincerci, ci danno tutta l’impressione di trovarci dinanzi ad un’altra manovra inglese i cui scopi sembrano evidenti. Si tratta cioè di farci pagare lo scotto di un diritto alla revisione che noi consideriamo ormai acquisita, dopo anni di leale collaborazione con l’Occidente, e di forzarci la mano ad un accordo con gli jugoslavi, oppure bloccare, in caso di nostra riluttanza, tutto il meccanismo della revisione.

Si tratta anche, mi sembra, di una procedura illogica poiché è più naturale e direi politico, incominciare nella revisione delle questioni meno controverse per giungere solo in fine all’esame dei problemi di più difficile soluzione.

Occorre inoltre tener presente che l’inserimento proposto renderebbe praticamente impercorribile la via dell’accordo tra Roma e Belgrado, perché quando il maresciallo Tito avesse sentore di tale ordine di priorità – e ci sarebbe chi si incaricherebbe di portarlo al suo orecchio3 – egli logicamente diverrebbe ancora meno malleabile.

Quanto precede ci conferma quindi nell’opinione che il negoziato per Trieste deve essere lasciato da parte, in modo che quando ritenessimo venuto il momento opportuno di intavolare le trattative con la Jugoslavia, il che in buona parte – data l’incidenza del problema sull’opinione pubblica – costituisce anche una importante valutazione di politica interna, noi potessimo dare la sensazione di avere le mani libere di conchiudere o no l’accordo senza essere legati ad altri elementi attinenti ad esigenze politiche generali.

Questa autonomia nella scelta del momento dei negoziati per Trieste è l’unica speranza per poter addivenire un giorno ad una conclusione della questione che, se interessa l’Italia, rappresenta anche una spina per l’intero sistema della politica occidentale in un delicato settore4.


45 1 Vedi D. 44.


45 2 Vedi DD. 16 e 22.


45 3 Nota autografa di Zoppi: «Vedi l’allegato telespresso di Trieste a proposito di certa “fairness”!». Si riferisce al telespresso riservatissimo 5121/1301 del 7 agosto con il quale Paolucci aveva riferito circa le voci di contatti tra il partito comunista babiciano ed emissari britannici del G.M.A. su questioni relative alle elezioni a Trieste.


45 4 Per la risposta vedi D. 70.

46

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 14 agosto 1951.

Più ripenso alla questione triestina e più mi sembra che non abbiamo dinanzi a noi che tre alternative:

– cercare con gli jugoslavi – pronubi gli Alleati – una soluzione definitiva che ci consenta di incamerare in piena sovranità la Zona A e quella parte della Zona B che riuscissimo a strappare a Tito, pur sapendo in partenza che non sarà quella compresa nella «linea etnica»;

– cercare una soluzione provvisoria, che non pregiudichi, almeno sul piano giuridico, la questione della Zona B, ma che, nell’attesa che sia possibile una soluzione definitiva, ci consenta di incamerare la Zona A interrompendo il progressivo deterioramento che vi subiscono i nostri interessi1.

Una simile soluzione dovrebbe consistere nell’affidare all’Italia l’amministrazione della Zona A allo stesso titolo in base al quale lo esercitano gli anglo-americani e in base al quale gli jugoslavi la esercitano in Zona B.

Se gli anglo-americani intendono veramente aiutarci essi dovrebbero poter prendere in considerazione una soluzione del genere – sempre che sia ritenuta di nostro interesse. Una proposta in questo senso potrebbe essere formulata all’Assemblea delle Nazioni Unite dove, specie se gli anglo-americani non si oppongono, incontrerebbe una maggioranza favorevole. L’Assemblea, vista la Dichiarazione tripartita del 1948 che gli Alleati hanno ripetutamente confermato e che constata l’impossibilità di dar vita al Territorio Libero previsto dal trattato, vista la dichiarazione, che dovrebbe nel frattempo intervenire, per la revisione del trattato stesso, deciderebbe di affidare all’Italia, in attesa di una sistemazione definitiva della intera questione, l’amministrazione della Zona A come sopra indicato. Tanto l’Italia quanto la Jugoslavia risponderebbero all’O.N.U. della amministrazione delle due zone (in questo modo avremmo anche qualche maggiore garanzia per il rispetto delle libertà fondamentali in Zona B).

L’unico «impasse» in questa procedura – posto sempre che gli anglo-americani si inducano a favorirla – è il fatto che, in base al trattato di pace (art. 21), competente per le questioni triestine (a differenza di quanto l’art. 23 aveva stabilito per le colonie) è il Consiglio di sicurezza e non l’Assemblea. La risoluzione dell’Assemblea dovrebbe quindi venire approvata dal Consiglio di sicurezza dove l’U.R.S.S. può porre il veto. Potrebbe però anche astenersi e lasciare così approvare la mozione. Vi potrebbero essere infatti ragioni a favore di un tale atteggiamento: non opporsi al ritorno di Trieste all’Italia, interesse a veder partire gli Alleati da Trieste.

La terza alternativa è quella di lasciare le cose come stanno continuando in una lotta logorante e sempre meno efficace per difendere le nostre posizioni sia in Zona A che in Zona B, nell’attesa di qualche «fatto nuovo» che, mutando radicalmente la situazione jugoslava, consenta nuove possibilità. Questo «fatto nuovo», che per altro presenterebbe per noi altri aspetti negativi, potrebbe però anche non verificarsi. Ove poi si verificasse consentirebbe, mi sembra, di riaprire la questione, anche se avessimo nel frattempo adottato una delle due altre alternative che precedono.

La serietà della questione e l’ansia con cui la seguiamo, mi hanno indotto a farle parte di queste mie considerazioni per quell’utilità che possono presentare per lei2.


46 1 A margine di questo paragrafo De Gasperi annotò: «Responsabilità di fronte all’O.N.U. di due amministrazioni; vuol dire abbandono della B per la A».


46 2 Il documento reca in calce la seguente annotazione autografa di De Gasperi: «Meglio Bartole: occupare le due Zone con presidi misti, con prevalenza angloamericana, rappres. it. a Trieste, slava nel retroterra B (event. nei tre comuni di S. Dorligo ecc.). Cfr. articolo di Michele Serra sulla Gazzetta d. Popolo, 15.8. 1. La questione della sovranità resta impregiudicata. 2. Il T. L. è territorio di occupazione militare, colla legislazione ital. (in Zona B tanto che sarà ancora possibile). Truppe prevalentemente angloamericane, con gruppo di rappres. ital. a Trieste e slavo nel retroterra della Zona B (quando richiesto anche nei tre comuni slavi della Zona A)». Per la risposta, formulata in base a queste osservazioni, vedi D. 56.

47

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL CONSIGLIERE A LONDRA, THEODOLI

L. 1514 segr. pol. Roma, 14 agosto 1951.

Mi sono soffermato un momento sull’ultimo periodo del rapporto dell’ambasciatore Gallarati Scotti n. 4310/2441 del 9 agosto1. È una vecchia canzone che si canta qui continuamente: è l’Inghilterra che ha la colpa di tutto. Bisogna riconoscere che anche di questo, buona parte di responsabilità si deve addossare agli inglesi che si comportano in modo da giustificare questa impressione. Ho visto che l’ufficio di Tallarigo vi sta preparando una lista di questioni sulle quali gli inglesi hanno mancato agli impegni assunti, impegni che noi avevamo ottenuto come contropartite a rinuncie che da parte nostra abbiamo poi lealmente osservato. Tu sai quante volte abbiamo tirato un sospiro di sollievo pensando di aver chiuso un capitolo di lotte e malumori, convinti di averne aperto uno nuovo di collaborazione e amicizia: e quante volte questa fiducia è andata delusa! Del resto non siamo soli. Con questo modo di agire Londra non fa che aumentare – purtroppo, perché è l’Europa che poi ne soffre – le messi di odio che vanno crescendo rigogliose nei suoi confronti in tanti paesi! Veniamo al caso di Trieste. Non c’è fumo senza arrosto! Ora il fumo dice che a Trieste gli inglesi, molti inglesi, lavorano per rimanervi. Può darsi che questa non sia una direttiva del Foreign Office, ma ad un certo punto qualcuno crea delle situazioni locali per cui il Foreign Office è costretto a cambiare direttiva. L’impero inglese si è fatto in gran parte così. Ricordi quando Bevin diceva che non voleva in nessun caso rimanere in Tripolitania? Che non aveva né soldi, né soldati per mantenere l’occupazione? Che se non si veniva al più presto ad una soluzione l’avrebbe sgomberata con tutte le conseguenze del caso? Si arrivò allora al compromesso Bevin-Sforza2 che la B.M.A. fece in loco naufragare, e gli inglesi sono e resteranno in Tripolitania. Idem succederà in Eritrea. Non c’è da meravigliarsi che gli italiani siano preoccupati. Io stesso, che non sono un antinglese per partito preso, né un pessimista per natura, né un maniaco di persecuzione, non mi sento, sinceramente, di escludere che si stia sviluppando qualche subdola manovra. Gibilterra, Malta, Cipro, perché no Trieste? È una bella finestra sui Balcani. Non siamo del resto andati anche noi provvisoriamente a Valona, a Rodi e poi ci siamo rimasti? Non c’è quindi da sperare in un revirement nei rapporti italo-inglesi sino a quando Londra non darà alla nostra opinione pubblica la sensazione che la sua direttiva politica nei nostri riguardi è mutata. Qualche gesto isolato, seguito poi da atteggiamenti contrari o sospettati tali, non serve a nulla. Purtroppo è così.

Se si lamentano a proposito di Trieste (vedo che anche il Messaggero, come sai organo «codino», ha incominciato a rizzarsi) dì loro che per dissipare ogni sospetto farebbero bene a fare una dichiarazione che è loro intenzione andarsene al più presto, appena la questione fosse risolta3.


47 1 Non pubblicato.


47 2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 875.


47 3 Per la risposta vedi D. 70.

48

L’INCARICATO D’AFFARI A IL CAIRO, FERRERO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 3188/1151. Alessandria, 14 agosto 1951(perv. il 16).

Riferimento: Telespresso ministeriale (segr. pol.) n. 1473/c. del 7 corrente1.

Dopo il discorso di questo ministro degli affari esteri, su cui si riferisce a parte con lo stesso corriere2, l’atteggiamento egiziano alle Nazioni Unite di fronte alla questione delle restrizioni imposte al traffico del Canale di Suez è della più assoluta intransigenza.

Il capo di Gabinetto di Salah el Din mi ha detto che sono state date istruzioni a Fauzi Bey a New York di insistere su atteggiamento assunto sin dall’inizio. Mi ha soggiunto che in caso di un voto contrario alla tesi egiziana, Salah el Din ne subordinerà l’accettazione alla preventiva messa in esecuzione delle altre decisioni prese dalle Nazioni Unite nei confronti di Israele e rimaste finora lettera morta quali l’internazionalizzazione di Gerusalemme, l’indennizzo ai rifugiati palestinesi, il ritiro dalle zone occupate e non di pertinenza di Israele.

Questo ministro degli esteri, sempre secondo il suo capo di Gabinetto, cederà soltanto alla forza e accetterà che petroliere destinate a Haifa traversino il Canale solo se saranno scortate da navi da guerra.

In queste condizioni ritengo che qualsiasi azione conciliante da parte nostra a New York non sarebbe apprezzata dagli egiziani e non potrebbe neppure facilitare le possibilità di un accordo.

Salvo contrarie istruzioni, mi astengo pertanto dal fare qualsiasi passo presso questo Governo.

Aggiungo ad ogni buon fine, che a questa ambasciata d’Inghilterra si riconosce che gli egiziani hanno ragione dal punto di vista giuridico, e che Israele è stato mal consigliato a sollevare la questione al Consiglio di sicurezza.


48 1 Con il quale Zoppi ritrasmetteva una corrispondenza con la rappresentanza presso l’O.N.U. (vedi D. 12) e dava istruzioni di segnalare la disponibilità italiana a svolgere azione di mediazione nella questione del Canale di Suez.


48 2 Il riferimento è al discorso pronunciato da Salah el-Din alla Camera dei deputati e al Senato il 6 agosto 1951. Testo in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 33-34, p. 662. Ferrero ne riferiva con Telespr. 3187/1150 del 14 agosto, non pubblicato.

49

IL MINISTRO A SAN SALVADOR, BIANCONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. urgente 1137/02. San Salvador, 14 agosto 1951(perv. il 22).

Con riferimento al telespresso n. 11/11614/c. del 25 luglio u.s.1 si informa codesto Ministero che si è immediatamente portato a conoscenza del ministro degli esteri l’apprezzamento del Governo italiano per le disposizioni dimostrate dal Governo salvadoregno nella questione della revisione del trattato di pace. Nello stesso tempo si è insistito perché il Governo del Salvador sollecitasse i Governi dei paesi amici del Centro e Sudamerica per un’azione da svolgere in seno alle Nazioni Unite e desse istruzioni al suo rappresentante all’O.N.U.

Il ministro degli esteri aderendo con piacere al desiderio espressogli si è compiaciuto assicurare che avrebbe dato istruzioni telegrafiche nel senso da noi indicato anche perché il rappresentante del Salvador, analogamente agli altri rappresentanti dell’America latina all’O.N.U., prenda contatto col nostro rappresentante alle Nazione Unite.


49 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 528, nota 2.

50

L’AMBASCIATORE A L’AVANA, MASCIA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 1204/273. L’Avana, 15 agosto 1951(perv. il 28).

Sono andato a trovare ieri S.E. Ernesto Dihigo, ex ministro di Stato e recentemente nominato capo della delegazione cubana alle Nazioni Unite.

Egli era al corrente, nelle linee generali, dei nostri problemi e pertanto abbiamo potuto approfondire – più di quello che è stato possibile fare con il ministro Suarez Fernandez troppo assorbito dalla sua campagna presidenziale – le questioni che ci interessano (revisione, ammissione alle N.U.); ed ho approfittato dell’occasione per metterlo al corrente degli ultimi avvenimenti, dichiarazioni, articoli, stampa, ecc. anche nei riguardi della questione di Trieste, intimamente connessa con il problema della revisione.

Egli mi ha assicurato che avrebbe dato alla nostra causa tutta la sua più affettuosa collaborazione, tenendosi naturalmente in stretto contatto, a New York ed a Parigi, con il nostro osservatore presso le Nazioni Unite.

L’ho messo naturalmente al corrente dell’iniziativa presa dal ministro Suarez Fernandez di chiedere al Governo messicano di affiancarsi a Cuba nel proporre agli Stati latino-americani una linea concorde di azione. Abbiamo altresì parlato dell’eventualità che la questione della revisione venisse posta all’ordine del giorno della prossima Assemblea generale. L’ho, per di più, informato di un telegramma Associated Press che annunziava che la Francia aveva preso l’iniziativa di proporre formalmente la revisione del trattato di pace ai Governi di Washington e di Londra. Abbiamo entrambi constatato che la questione era ormai matura non solo nelle opinioni pubbliche dei vari paesi occidentali, ma anche e finalmente nelle cancellerie dei tre grandi che non potevano più obiettare rinvii cautelosi; se quindi una analoga iniziativa fosse nell’animo del Governo cubano, essa doveva essere soprattutto sollecita per non giungere troppo tardi, perdendo così quel vantaggio e prestigio politico che ne sarebbe derivato.

Egli ha convenuto interamente con me su ciò, ed ha aggiunto che non solo la questione doveva essere prospettata, con un passo collettivo a nome delle venti Repubbliche latino-americane, ai tre grandi – come era desiderio del Governo italiano – ma che si dovesse contemporaneamente porla al più presto all’ordine del giorno della prossima Assemblea.

Le due procedure non si escludevano, anzi si completavano a vicenda.

Egli mi ha assicurato che avrebbe parlato l’indomani con il ministro di Stato, dr. Miguel Suarez Fernandez, con il quale aveva già un appuntamento per parlare di questioni relative alle Nazioni Unite, ed avrebbe colto questa occasione per fargli premure nel senso da noi desiderato.

Alcuni giorni prima della conversazione anzidetta, l’ambasciatore del Messico, sig. Benito Coquet, di sua iniziativa, mi ha accennato alle conversazioni da lui avute con il ministro Suarez Fernandez e mi ha aggiunto di aver esposto al suo Governo il problema, nella forma più favorevole e pressante, chiedendo urgenti istruzioni per poter dare una risposta al Governo cubano.

Il sig. Coquet ha aggiunto essere sua impressione che la questione non doveva incontrare difficoltà a Mexico City e che egli attendeva quindi una risposta entro pochi giorni.

51

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 10195/423. Londra, 16 agosto 1951, ore 22(perv. stesso giorno)1.

Ho avuto oggi lunga conversazione con Strang cui egli ha inteso conservare per il momento carattere confidenziale e personale, essendo tuttora in corso consultazioni in argomento fra Washington e Londra. Non ho mancato illustrare concetti espressi da V.E. in dispaccio segreto 1503 del 13 corr.2. Strang ha tenuto a ripetermi ancora una volta sentimenti Governo inglese nei riguardi V.E. ed opera da lei svolta; ci si rende qui perfettamente conto come appoggio a tale opera sia migliore assicurazione destini nuova democrazia italiana e si è pertanto disposti a fare tutto il possibile per venire incontro nostre difficoltà nei limiti in cui fondamentali aspetti situazione internazionale lo consentono.

Ciò premesso, impressione manifestatami da Strang su «general approach» degli Alleati verso problema revisione è favorevole ma singole fasi attuazione processo revisione non costituiscono, secondo anglo-americani, avvenimenti a sé stanti bensì parti singole di un tutto unico. Ed è in questo quadro che la dichiarazione preliminare deve essere correlativa a sicurezza Alleati su nostra intenzione risolvere definitivamente e globalmente, d’accordo con loro, i problemi post-bellici italiani.

Quanto a rinvio elezioni amministrative Trieste, egli ha espresso personale impressione che nostra richiesta può anche essere accettata rimanendo inteso Italia sia pronta «to make an approach» presso Jugoslavia allo scopo avviare problema concreta [soluzione]. Rinvio potrebbe solo essere giustificabile se concepito come primo passo verso tale soluzione.

Secondo Strang Jugoslavia sarebbe pronta ad avere conversazioni con Italia per definizione questione T.L.T. In identici termini si è meco espresso su tutto il problema questo incaricato affari americano, ministro Holmes, che ha aggiunto essere in continuo contatto con Strang a tale proposito.


51 1 Manca l’indicazione dell’ora di arrivo.


51 2 Vedi D. 44.

52

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. s.n.d. personale 10219/850. Washington, 16 agosto 1951, ore 18,18(perv. ore 7 del 17).

Tuo 3361.

Ho avuto testé conferma ufficiale che Governo americano gradirebbe visita presidente De Gasperi. Accordi per invito ufficiale e data seguiranno, essendovi tuttora qualche incertezza a causa imprevedibili sviluppi Conferenza San Francisco.

Si raccomanda pertanto massima riservatezza.

Segue lettera dettagliata corriere aereo domattina2.


52 1 Dell’11 agosto con il quale Tarchiani aveva inviato da Roma le istruzioni relative al possibile viaggio di De Gasperi negli U.S.A. In particolare egli raccomandava: «… È indispensabile invito cotesto Governo che faciliti e assicuri massima solennità ricevimento cerimonia con Truman … tutto secondo cerimoniale adottato con Pleven. Inutile sottolinei esigenza assoluta soddisfazioni di forma (oltre sostanza colloqui …). Compia nel modo più opportuno necessari sondaggi Dipartimento mettendo viva luce importanza avvenimento italo-americano nella comune azione atlantica …».


52 2 Non rinvenuto, ma vedi D. 61.

53

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservatissimo 4413/2503. Londra, 16 agosto 1951(perv. il 20).

Ritengo mio dovere, mentre le tre potenze alleate stanno consultandosi sulle possibilità di una revisione del nostro trattato di pace, e con l’approssimarsi degli incontri che V.E. avrà con Acheson, Morrison e Schuman, esporre la situazione come la si vede da Londra nei confronti dei due scogli principali contro cui si urta il logico e naturale svolgimento della nostra politica estera: revisione del trattato di pace e Trieste.

Dal dispaccio di V.E. n. 1503 segr. pol. del 13 corrente1, sembra trasparire la considerazione che i tempi non siano maturi per la soluzione del problema del T.L.T. e che di esso si potrà riparlare, se mai, una volta concluso il processo di revisione del trattato di pace.

Che questo punto di vista possa temporaneamente consentire di evitare le non lievi difficoltà che l’affrontare ora la questione di Trieste per noi comporta, è cosa della quale sono indubbiamente convinto; ed ho anzi l’impressione che questo sia stato il motivo per il quale abbiamo ancora segnato il passo in attesa di tempi migliori.

Ma troppi elementi dell’attuale congiuntura internazionale concorrono nel determinare in me la ferma convinzione che oggi non ci troviamo di fronte alla scelta tra una soluzione immediata ed un rinvio ad epoca più propizia, bensì all’alternativa di affrontare il problema ora oppure di doverlo risolvere in un domani non di nostra scelta ed in condizioni assai peggiori di oggi.

Questo per ciò che riguarda gli interessi nostri.

Quanto poi alla sostanza della situazione e comunque alla valutazione che di essa hanno le principali potenze occidentali, revisione e Trieste costituiscono parti di un tutto che non può essere affrontato se non per essere globalmente risolto. La questione del T.L.T., anzi, per la sua importanza agli effetti della politica atlantica, viene in primo piano ed appare il vero nodo di tutta la revisione.

Non si tratta qui di un giudizio inglese ma di una valutazione comune anche agli altri: e ciò del resto è confermato anche da quanto codesto Ministero mi ha comunicato sul pensiero espresso da rappresentanti americani e francesi.

Ora, inutile nascondercelo, le possibilità di trovare in un accordo diretto fra Italia e Jugoslavia una soluzione di compromesso riguardo alle due Zone A e B sono certamente diminuite di molto, rispetto alle speranze e intendimenti degli Alleati dopo gli incontri del marzo scorso con l’E.V. ed il ministro Sforza2.

Alla riaffermazione della Dichiarazione tripartita il segretario di Stato era stato indotto, e non senza sforzo, nella speranza che essa potesse servire a mettere l’Italia in una posizione più forte per trattare con la Jugoslavia, che il Foreign Office aveva motivo di considerare pronta a segreti approcci. Ma nulla ne seguì effettivamente da parte nostra. Né potevamo attenderci che fosse la Jugoslavia, felice possidente di tutta la Zona B, a farsi parte diligente. D’altra parte non fu colta l’occasione per chiarire in qualche modo le idee al popolo italiano, ad evitare che gravassero sul futuro pericolose illusioni sulla effettiva portata della Dichiarazione tripartita. Tale dichiarazione era in sostanza una proposta di protocollo aggiuntivo al trattato di pace: non essendo stata raccolta dall’U.R.S.S., che del protocollo doveva essere parte contraente, ed essendo stata respinta dalla Jugoslavia – la cui adesione era necessaria – essa è giuridicamente inoperante.

Quello che rimane è il valore morale di questo atto compiuto in segno di solidarietà alla vigilia delle nostre elezioni del 1948: ma, come sempre accade, il peso politico di tale valore morale diminuisce col trascorrere degli anni e con l’evolvere delle circostanze. Talché sembrami che oggi due soli siano gli elementi che possiamo ricavare sul terreno pratico della Dichiarazione tripartita:

– per la Zona A il titolo a reclamare dagli anglo-americani una condotta del G.M.A. che sia pienamente in armonia con il carattere italiano del T.L.T.;

– per la Zona B un appoggio degli Alleati presso Tito, nello spirito della Dichiarazione tripartita, per la soluzione dell’intero problema.

Ma ciò riconduce ancora a quell’unica via d’uscita che è il trattare ossia, in parole povere, agire con la convinzione che qualsiasi compromesso – per quanto a noi favorevole – non sarà mai quella soluzione ideale (Zona A più Zona B) a cui l’interpretazione popolare della dichiarazione condurrebbe ed a cui sarebbe pericoloso che il Governo italiano legasse le sue sorti senza conservare possibilità di ripiegamento su una tesi di minore intransigenza. Possibilità queste che pur erano chiaramente emerse dal discorso del ministro Sforza a Milano3 e , ben più recentemente, dalle posizioni assunte da parte italiana nei colloqui londinesi dello scorso marzo4.

Le grandi difficoltà di carattere interno che si frappongono ad un accordo fra Italia e Jugoslavia non sono né ignorate né disconosciute in Inghilterra. Vi sono anzi alcuni settori politici inglesi in cui ci si domandava, qualche tempo fa, se di fronte a questo stato di cose non sarebbe forse meglio non cercare per ora una soluzione e lasciare che il tempo risolvesse le cose per conto suo senza rimuovere ciò che poteva sembrare un modus vivendi raggiunto. Ricordo, a tale riguardo, quanto ebbero recentemente ad esprimermi Eden e Macmillan in materia (mio rapporto n. 3859/2165 del 16 luglio u.s.)5.

Anche il Times, nel suo editoriale «Italy and the West» dell’11 agosto, menziona il perdurare dello statu quo come una possibilità: ma, mentre l’articolista esprime l’avviso che essa potrebbe essere forse tollerabile per gli Alleati, egli si domanda come potrebbe essere accettabile per l’Italia « dato che il tempo non lavora per lei».

E che il tempo non lavori per noi in questo settore, è stato purtroppo confermato dai fatti.

Si assiste insomma, in Inghilterra, a questo strano fenomeno: che coloro i quali meglio si compenetrano della nostra difficile posizione non escludono – per quieto vivere – la possibilità di mantenere lo statu quo, ma al contempo – come amici del nostro paese – avvertono tutto il danno che una simile stasi ci arrecherebbe.

Che da parte nostra si sia considerato ad un certo momento come preferibile un rinvio di ogni soluzione, mi è risultato dalle direttive impartite dal ministro Sforza al ministro d’Italia a Belgrado (vedasi telespresso ministeriale n. 15/11711 del 25 luglio u.s.)6: direttive che dovevano valere anche per me onde non continuassi inutilmente quelle conversazioni esplorative con Brilej7 che avevo condotto col pieno consenso di Sforza stesso e che da parte mia ritenevo potessero condurre a qualche risultato concreto se davvero da parte italiana si fossero intese come preparazione a trattative da concludersi poi a più alto livello.

Ma riterrei di mancare al mio dovere se non facessi presente a V.E. che, a mio parere e sulla base delle passate esperienze, il protrarsi della situazione attuale reca un grave pregiudizio ai nostri interessi sotto diversi aspetti:

– più il tempo passa e più l’amministrazione jugoslava si consolida in Zona B attraverso misure amministrative e un processo di slavizzazione e comunistizzazione della Zona stessa;

– il perdurare dell’amministrazione militare alleata a Trieste non può purtroppo che indebolire sia le forze che richiedono l’annessione all’Italia, sia quelle che si schierano dietro i partiti democratici. La somma degli interessi creati e consolidati dall’esistenza stessa di un’amministrazione militare alleata, lo stato di benessere economico attuale della Zona, a cui così largamente contribuiamo per far sentire la presenza della madrepatria, i rapporti sentimentali e morali tra truppe di occupazione e popolazione (matrimoni molto numerosi ecc.) tendono per forza di cose, più che per macchinazioni anglo-americane, ad aumentare il numero di coloro – e sono gli elementi moderati – che considerano con minor sfavore la possibilità di un protrarsi dell’attuale situazione e che finiscono a vedere nella soluzione indipendentista la miglior tutela dei loro interessi;

– il permanere del G.M.A. a Trieste, anche se riuscissimo ad avere soddisfazione sui punti in cui le nostre lagnanze sono più fondate, non potrà che creare continui dissapori e polemiche nella stampa, nella politica, nel Parlamento, coi Governi occidentali;

– questo elemento di frizione costituito dalla questione del T.L.T. continuerebbe perciò a fissare su un singolo problema – e non sul più importante agli effetti della futura posizione dell’Italia – tutta la nostra attività diplomatica incidendo negativamente sulla nostra libertà di azione e sulla possibilità di far valere i nostri più vasti e sostanziali interessi, come già avvenne nell’altro dopoguerra con la questione di Fiume;

– anche dal punto di vista della politica interna la questione di Trieste, perdurando aperta, non potrebbe che esercitare un’influenza negativa per l’evoluzione in senso democratico del nostro paese, costituendo un punto di incontro tra gli estremismi di destra e di sinistra, tanto più pericoloso in quanto, crescendo su questo punto la pressione delle demagogie pseudo-nazionalistiche, diminuirebbe sempre più, col passare del tempo, la possibilità di raggiungere un minimo di soluzione soddisfacente per noi.

A un dato momento si poteva aver pensato, soprattutto da parte inglese, a non turbare lo statu quo onde evitare brusche scosse in un settore così delicato; e non posso escludere che le sfere militari dalle quali il G.M.A. trae il suo personale si siano soffermate sul loro vecchio istinto britannico e conservatore che – dove vede piantata la propria bandiera – ama mantenervela.

Quanto alle disposizioni inglesi nei nostri riguardi è significativo ciò che ha detto l’ambasciatore americano Allen al ministro Martino (telespresso n. 1455/c. segr. pol. del 4 corrente)8, e cioè che – in precedenza – il Governo di Londra era stato desideroso di immettere gradualmente l’Italia nella Zona A: e soltanto considerazioni politiche avanzate dagli Stati Uniti d’America avevano impedito l’attuazione della proposta britannica.

Ora però la situazione è cambiata. Sta di fatto che i Governi di Gran Bretagna e – per quanto mi consta – degli Stati Uniti non ritengono che si possa attendere più oltre e sono ormai impazienti che la questione si decida il più presto possibile.

Il Foreign Office, me ne sono reso conto specialmente dopo il ritiro di Bevin, non ha più intenzione di continuare ad esaurirsi senza vantaggio in una politica in cui l’Inghilterra perde il suo prestigio è fatta bersaglio ai periodici attacchi dell’opinione pubblica e della stampa italiana e perde – sul ristretto settore del T.LT. – ciò che potrebbe essere guadagnato in più larghe sfere politiche, sia nei rapporti con l’Italia sia in quelli con la Jugoslavia.

Sono di fonte americana le espressioni a me manifestate della persuasione di Washington che «così non si può andare avanti», che qualche cosa «deve esser deciso e fatto presto», che se non si trova una soluzione le cose possono rapidamente peggiorare con pericolo della stessa compagine del N.A.T.O. Il che è tanto più spiegabile quando si tenga presente la preoccupazione delle potenze occidentali di dare consistenza e continuità al fianco sud orientale dello schieramento difensivo atlantico (ciò che coincide oltre tutto con il nostro sostanziale interesse). È in questo quadro che esse considerano della massima importanza che non si formi una soluzione di continuità, nella delicata regione di confine fra i due paesi di prima linea, come avverrebbe inevitabilmente ove non si realizzasse una cooperazione italo-jugoslava.

Vi è perciò il pericolo che, data questa crescente impazienza degli anglo-americani e data la nostra intransigenza e resistenza di fatto ad un accordo, essi cerchino pragmatisticamente una qualsiasi «scorciatoia», rivolgendosi magari alle Nazioni Unite per trovarla. Già Allen ne ha ventilato la possibilità a Martino: e quella che oggi ci sembra ancora una ipotesi assurda, domani potrebbe guadagnare terreno ove trovasse una Jugoslavia consenziente.

All’O.N.U. contiamo molti amici. Ma l’esperienza insegna che in consessi del genere è per lo più la volontà del più forte quella che predomina. E nei casi rari in cui ciò non avviene in sede di Assemblea, il processo di attuazione delle risoluzioni conduce a modifiche sostanziali di fatto. Lo abbiamo veduto già nel caso della Libia dove, come era prevedibile e nonostante gli sforzi ed il coraggioso intelligente lavoro della rappresentanza del Governo italiano a Tripoli, la formula astratta dell’indipendenza ha assunto il suo più vero carattere di protettorato britannico. Non vorrei che qualcosa del genere si verificasse per il T.L.T. a maggior beneficio di Tito, tenuto conto della sua posizione attuale e del fatto che troppe divisioni interne dei partiti e degli interessi triestini lavorano a nostro sfavore.

«A new approach is needed». Questa è ormai la parola che affiora: sir William Strang l’ha pronunziata per il primo parlandomi delle difficoltà da superare per la revisione del trattato di pace. Questa è la parola che mi ha ripetuto l’altro giorno l’incaricato d’affari americano Holmes che ormai da tre anni tratta gli affari che più ci interessano tra Washington e Londra. Ma in cosa consiste precisamente questo «new approach»? Dalle mie lunghe conversazioni al Foreign Office e da quelle con l’ambasciata di America e l’ambasciata di Francia appare come il bisogno vivamente sentito di uscire da una politica basata sulla polemica e sui rancori e di cercare un metodo nuovo in uno spirito nuovo per superare il punto morto su cui ci siamo fermati dalle due parti (mio rapporto n. 2884/1587 del 22 maggio u.s.)9 e da cui non riusciamo a muoverci più. In questo senso la proposta di revisione così come è stata impostata (mio rapporto n. 3855/2161 del 14 luglio u.s.)10 ha fatto in complesso buona impressione e ha lasciato qualche speranza di aver finalmente una base seria su cui esaminare i singoli punti superati e da superare di un trattato «moralmente estinto» nel suo ingiusto carattere punitivo.

Ma il Foreign Office, anzi direi, per personali notizie ed impressioni, gli anglo-americani (sia pure con diversa accentuazione) hanno dimostrato di non essere affatto disposti a farci delle concessioni puramente verbali o di carattere contingente e laterale, quanto a Trieste, se non sono ben persuasi che le nostre intenzioni non mirano a soddisfazioni di amor proprio contingente ma tendono, oltre la prima fase di una dichiarazione generica, verso una revisione risolutiva e globale della intera situazione italiana nel quadro della collaborazione atlantica.

Perciò essi ritengono che la soluzione di tutta la questione triestina trovi il suo posto più opportuno nel quadro della revisione in concreto del trattato di pace. Ciò anche in considerazione che una revisione che lasciasse in sospeso l’unica questione territoriale ancora aperta e concernesse soltanto le clausole militari ed economiche del trattato avrebbe poco valore agli occhi della nostra opinione pubblica, anzi, la lascerebbe più insoddisfatta di prima e ipnotizzata su quell’unico e principale punto non risolto. Ed anche perché, se pure non è né deve essere condizione necessaria per il loro appoggio, sarebbe certo più facile ai Governi occidentali venire incontro alle nostre richieste una volta che esse non sollevassero l’opposizione della Jugoslavia.

Ma per questo l’Inghilterra vorrebbe essere persuasa (e gli ultimi comportamenti della nostra stampa e certe mozioni e discorsi alla Camera ed al Senato non sono fatti per rassicurarla) che da parte nostra vi è leale riconoscimento che la soluzione del problema triestino è parte integrante della revisione del trattato e che, d’altra parte, se è giusto che noi invochiamo un’effettiva cooperazione atlantica degli Alleati, dobbiamo però renderci conto che anch’essa ha dei limiti obbiettivi nei confronti della Jugoslavia oltre i quali non può andare.

Se non saremo riusciti a convincere gli Alleati che la nostra insistenza per la revisione non è uno dei tanti accorgimenti per dare superficiali soddisfazioni al pubblico italiano, ma è un bisogno di liberarci veramente da un peso che inceppa tutte le nostre mosse per un’azione di più largo respiro e per collaborare in pieno – con tutte le nostre risorse – ad un’effettiva politica atlantica, noi avremo perduto un momento unico nella nostra storia indispettendo tutti e restando sull’uscio della grande politica delle nazioni occidentali.

È solo quando avremo dato il segno di una più chiara politica e di una nostra decisa volontà di muovere verso una risoluzione finale dei nostri problemi post-bellici che noi potremo pretendere seriamente, vigorosamente, che gli Alleati prendano la loro parte attiva e decisiva a nostro favore nei rapporti della Jugoslavia, dando alla Dichiarazione tripartita tutto il valore che realmente ha e chiedendo che anch’essi si mettano di fronte ai loro doveri di solidarietà atlantica, anziché limitarsi a stare alla finestra invitandoci a trovare noi stessi una soluzione con la Jugoslavia.

Quanto al loro intervento, esso mi sembra – e credo sembri a loro – facilitato dal fatto che ormai gli anglo-americani si vanno persuadendo che per le grandi questioni – e la nostra è una di quelle – le normali vie diplomatiche sono spesso troppo lunghe, e che certi nodi gordiani della politica mondiale non si snodano facilmente con i mezzi ordinari.

La missione Dulles per il trattato di pace col Giappone, la missione Harriman per la questione persiana, il volo del Lord Privy Seal a Abadan, indicano che nel mondo d’oggi il nuovo «metodo» americano di una diplomazia volante, di rapporti più umani e diretti ad alto livello, di rapido esame di questioni complesse non attraverso carteggi ma in un appassionato dialogo diretto, può servire alla causa della pace meglio che molte conferenze.

Non converrebbe certo a noi che l’intervento assumesse la forma di una vera e propria mediazione, né tanto meno di arbitrato, che potrebbe essere pericoloso. Meglio sembrerebbe piuttosto una missione di altissime personalità che riescano ad accertare, attraverso confidenziali contatti fra le due parti, se la nostra questione è solubile (per conto mio anche in base ai miei colloqui con Brilej direi che dovrebbe esserlo).

Riportando tutto il problema italiano più in alto, noi guadagneremo in senso di proporzione e la stessa nostra opinione pubblica finirebbe col comprendere che ciò che può essere sacrificato in una sfera, oserei dire provinciale (in gran parte si tratterebbe di territorio e di villaggi spiccatamente jugoslavi poiché sulle cittadine italiane della costa ci si dovrebbe battere strenuamente), ci sarebbe largamente ricompensato nella sfera delle garanzie della nostra difesa e nella più alta base politica raggiunta entro la comunità occidentale.

Per quanto poi riguarda i sentimenti e l’onore nazionale il giorno che le campane di San Giusto suonassero a festa su Trieste ritornata italiana e che le nostre truppe vi rientrassero per le vie imbandierate, le solite vociferazione finirebbero per tacere e le nostre coscienze potrebbero essere veramente tranquille.

Quando V.E. coraggiosamente affrontò l’impopolarità della firma del trattato di pace e sostenne poi la dura battaglia parlamentare per ottenere la ratifica, aveva di mira un obiettivo: chiudere con quella firma una parte del doloroso passato per poter far tornare l’Italia nel consesso delle libere nazioni. Nessuno può oggi, in buona fede, disconoscere i grandi benefici che l’Italia ha tratto da questo gesto di coraggio.

Il senso del processo di revisione ora impostato non può risiedere che nella volontà di liquidare – insieme alle clausole restrittive e punitive – anche il problema politico rimasto tuttora aperto, nonostante il trattato di pace, quale ultimo doloroso retaggio della guerra. Mi consenta V.E di dire che anche per questo problema si impone la stessa concezione, il medesimo coraggio. Diversamente altre soluzioni finiranno per maturare a nostro danno: noi potremo lavorare a furia di proteste e di pubbliche dimostrazioni, ma la verità è che la parte che avrà saputo prendere a tempo una iniziativa coraggiosa per la soluzione avrà una superiorità innegabile su chi sarà rimasto inattivo sulle proprie posizioni. Le circostanze sono tali che, se l’iniziativa non sarà italiana, non sarà purtroppo italiana la soluzione.


53 1 Vedi D. 44.


53 2 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 298, 307 e 330.


53 3 Si riferisce al discorso pronunciato da Sforza all’I.S.P.I. l’8 aprile 1950, ed. in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.


53 4 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.


53 5 Ibid., D. 556.


53 6 Non pubblicato, ma vedi serie undicesima, vol. V, D. 590.


53 7 Ibid., DD. 179, 184, 274, 375 e 496.


53 8 Non rinvenuto.


53 9 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 426.


53 10 Ibid., D. 550.

54

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. personale 9188. Washington, 16 agosto 1951.

Certamente non ti è sfuggito che, in materia di revisione del trattato di pace, si è creata una situazione paradossale: mentre gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa in proposito, Washington è l’unica sede in cui noi non siamo ancora riusciti a discutere il problema concretamente.

Tenuto presente ciò, a mano a mano che mi giungevano le notizie sulle conversazioni di Londra e di Parigi, premevo qui fortemente (pur senza fare uso delle notizie medesime) onde conoscere con esattezza cosa gli americani avevano proposto ai loro amici inglesi e francesi e quale reazione ne avessero ricevuto.

Il Dipartimento è stato e continua ad essere ostinatamente muto. Tuttavia ho appreso, in modo certo, quanto qui di seguito ti espongo.

1) Il Dipartimento di Stato considera la collaborazione anglo-francese alla revisione come una conditio sine qua non della revisione stessa e, per contro, si preoccupa assai poco delle reazioni degli altri paesi, le quali sono facilmente prevedibili, cosicché, raggiunto un accordo anglo-franco-americano, sarà facile sfruttare quelle favorevoli e … passar sopra a quelle sfavorevoli.

2) Il Dipartimento di Stato ha in vista la stipulazione di un accordo, inteso a modificare sia lo spirito del trattato che le clausole militari (a soddisfare, cioè, sia le esigenze psicologiche che quelle materiali).

3) Il Dipartimento di Stato, dopo il colloquio Acheson-Tarchiani, ha proposto a Londra e a Parigi la revisione, da farsi secondo le linee sopraddette e in un solo tempo1.

4) Londra e Parigi hanno reagito assai freddamente, proponendo la soluzione in due tempi (dichiarazione tripartita prima e revisione effettiva poi) e, per di più, subordinandola a condizioni (di cui non ho potuto appurare la natura) che gli americani ritengono inaccettabili.

5) Gli americani insistono ancora, tanto a Londra quanto a Parigi, per la procedura in un solo tempo. Sono, però, disposti a ripiegare su quella in due tempi, non solo perché disperano di vincere l’opposizione anglo-francese, ma anche perché hanno avuto la sensazione che il Governo italiano, ansioso di dare al più presto una soddisfazione all’opinione pubblica, accoglierebbe la soluzione meno buona. Sono tuttavia decisi a non cedere fino a quando non avranno la certezza che il «primo tempo» non sarà sottoposto a condizioni o modalità, tali da ritardare il «secondo tempo» fino alle calende greche.

6) Gli americani sono convinti che qualsiasi indiscrezione italiana a Londra o a Parigi, la quale destasse in quei Governi l’impressione che gli italiani conoscono la loro opposizione e si dispongono pertanto a dare soltanto agli americani il merito della revisione, farebbe naufragare l’intera iniziativa (mi è stato detto testualmente: «Stiamo lavorando come per fare uscire un topo da un buco; il topo sta a malapena sporgendo il muso; basta il più piccolo rumore per farlo rientrare nel buco, senza speranza di farlo uscire di nuovo»).

Ti ripeto che quanto sopra mi risulta in modo certo. Ti prego molto caldamente di farne uso tu solo e al solo fine di valutare convenientemente le notizie pervenute e che perverranno da Londra e da Parigi. È, infatti, evidente che ogni indicazione, oltre a scoprire in malo modo me, comprometterebbe irreparabilmente … l’uscita del topo2.


54 1 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 489, 506, 559 e 568.


54 2 Con T. s.n.d. personale 7852/362 del 27 agosto Jannelli rispose: «In assenza e per incarico Zoppi comunicoti siamo ugualmente favorevoli sia soluzione due tempi purché sia esplicitamente messo in chiaro che in secondo tempo si addiverrebbe a revisioni concrete che soddisfino opinione pubblica; sia soluzione unica purché questa non deluda per pochezza materia revisionata. A conferma dubbi da te espressi sono sopravvenute ora dichiarazioni portavoce Quai d’Orsay pubblicate senza nostra preventiva conoscenza e delle quali non (dico non) abbiamo finora preso nota ufficialmente».

55

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,CON L’INCARICATO D’AFFARIDEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, THOMPSON

Appunto. Roma, 17 agosto 1951.

Ho chiamato l’incaricato d’affari U.S.A. e l’ho messo al corrente del colloquio Gallarati Scotti-Strang del 16 u.s. relativo al rinvio delle elezioni a Trieste1. Gli ho spiegato nuovamente che il rinvio è stato da noi chiesto per evitare che la campagna elettorale, nella quale ovviamente gli italiani di Trieste e d’Italia si impegneranno in modo totalitario, possa provocare inasprimenti nei rapporti italo-jugoslavi e anche italo-britannici. Il voler legare questa questione a un nostro preventivo impegno a negoziare durante il periodo di rinvio un accordo con la Jugoslavia, mi pareva francamente un tentativo di pressione poco fair verso l’Italia, tanto più se si pensa che nessuna pressione del genere viene esercitata sulla Jugoslavia quando chiede armi e denaro. Ho sottolineato al signor Thompson l’importanza che ha per la stessa democrazia italiana la questione di Trieste e l’ho pregato di riferire tutto ciò ancora una volta al suo Governo: ciò che mi ha promesso di fare.


55 1 Vedi D. 51.

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L.1. Roma, 18 agosto 1951.

Ho letto la sua nota2 e vi ho meditato sopra.

Anche M. Serra nella Gazzetta del Popolo fa il pessimista e invoca il provvisorio. Ognuno che va a Trieste, ne ritorna sfiduciato; pare che colà si tema il peggio. Io non sono capace di persuadermene. Temo che si esageri, cioè lo spero fermamente.

Comunque provi a studiare un po’ questo espediente che le allego3.

Allegato

Appunto confidenziale segreto.

Parto dal presupposto che, dato lo schieramento attuale, gli anglo-americani non vogliano abbandonare Trieste. E allora non si potrebbe tentare il provvisorio di Bartole4?

1. Sovranità del T.L. impregiudicata.

2. Il T.L.T. è territorio d’occupazione in cui tolte ragioni di necessità, deve vigere la legislazione precedente. Ciò deve valere in senso pieno nella Zona A, in misura possibile nella Zona B.

3. L’occupazione è esercitata in prevalenza da truppe anglo-americane; ma a Trieste risiederà anche un gruppo di rappresentanza italiana, nel retroterra Zona B gruppi jugoslavi (e quando occorra anche nei tre comuni slavi della Zona A).

Il punto 2 dovrebbe essere ben precisato di fronte agli occupanti della Zona A, istituti, organismi amministrativi devono essere italiani, come si prevede per l’occupazione.


56 1 Autografo. Edito, unitamente al documento allegato, in Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, Trieste, Edizioni Lint, 1981, p. 99.


56 2 Vedi D. 46.


56 3 Per la risposta vedi D. 60.


56 4 Si tratta del piano di spartizione provvisorio proposto dall’on. Attilio Bartole alla Camera il 12 luglio 1951 che prevedeva l’occupazione provvisoria della parte italiana della Zona B da parte delle truppe anglo-americane dislocate nella Zona A.

57

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. segreta personale 614. Vichy, 19 agosto 1951.

Schuman mi ha mandato qui il suo capo di Gabinetto per farmi vedere il progetto di dichiarazione a tre1 che egli si propone in questi giorni di sottomettere ai Governi inglese ed americano, informandoli anche della sua intenzione di trattare con loro della questione nel corso della prossima riunione dei Tre a Washington.

Per mia parte ho obbiettato un po’ alla frase «sous réserve des droits acquis par les tiers» (pag. 2, par. 2). Il capo di Gabinetto mi ha detto che Schuman riteneva quella frase necessaria per evitare che, fin dal principio, Jugoslavia, Grecia ed Etiopia cominciassero a far chiasso per la questione delle riparazioni, il che avrebbe potuto far naufragare tutto.

Alla stessa pagina, par. 3, ho proposto che la parola «constatent» fosse sostituita con la parola «regrettent»: sostituzione a cui il capo di Gabinetto ha consentito.

Schuman mi ha fatto dire che prevede forti difficoltà da parte inglese, non alla dichiarazione in se stessa, ma in conseguenza al desiderio inglese di subordinare la dichiarazione stessa ad un nostro impegno di raggiungere al più presto un accordo ragionevole con gli jugoslavi sulla questione di Trieste: e che di questo si faccia espressa menzione.

Schuman comprende benissimo che qualsiasi menzione della questione di Trieste, soprattutto in questo senso, toglierebbe ogni valore alla dichiarazione stessa: gliene darebbe anzi uno negativo. Si propone quindi di essere fermissimo con gli inglesi a questo riguardo: e si propone di dire loro che la dichiarazione stessa, nel quadro dei negoziati diplomatici che dovranno ad essa seguire, permetterà agli inglesi o ad altri di incoraggiare ed aiutare dei negoziati diretti italo-jugoslavi. Riteneva però fosse bene che noi fossimo informati che la posizione degli inglesi su questo argomento si va facendo ogni giorno più rigida e decisa.

Ha tenuto a ripetere che farà del suo possibile per far passare la dichiarazione, ma che naturalmente non può prendere impegni per quello che sarà l’atteggiamento inglese ed americano.

Il capo di Gabinetto mi ha detto che Schuman, fino ad ora, non ne ha parlato né a Londra né a Washington: non vedo però bene come questa affermazione si concilii con la previsione che gli inglesi cercheranno di abbinare la dichiarazione stessa con una dichiarazione su Trieste.

Inutile che aggiunga che Schuman raccomanda la massima discrezione sia sulle informazioni relative all’Inghilterra, sia sui suoi propositi e sul testo della dichiarazione: mi ha fatto dire esplicitamente che si riserva, e tiene a riservarsi, egli stesso, al momento opportuno, il diritto di fare una eventuale indiscrezione sulla questione della dichiarazione2.

Allegato

Parigi, 18 agosto 1951.

PROJET DE DÉCLARATION DES TROIS MINISTRESDES AFFAIRES ETRANGÈRES SUR LE TRAITÉ DE PAIX ITALIEN

Les Ministres des Affaires Etrangères de France, de Grande Bretagne ed des Etats-Unis ont examiné quelle serait la meilleure façon de résoudre, dans l’intérêt du développement harmonieux de la coopération entre les nations libres, les problèmes posés par le traité de paix avec l’Italie.

Les trois Ministres ont constaté que l’Italie, nation co-belligerante à la fin de la dernière guerre, s’est loyalement conformée aux engagements qu’elle avait pris en vue d’instituer et de développer un régime pleinement démocratique et que, en toutes circonstances, elle a apporté aux nations démocratiques tout le concours qu’exige la solidarité des peuples libres.

Ils reconnaissent qu’une situation anormale se trouve crée du fait que l’Italie, bien qu’elle participe aux sacrifices qu’impose aux peuples libres la défense de leurs libertés, demeure soumise à certaines restrictions et discriminations inspirées par la méfiance.

Par la présente declaration, les trois puissances s’engagent à prendre, en ce qui les concerne, sous réserve des droits acquis par des tiers, toutes initiatives propres à faire disparaître les restrictions et discriminations permanentes qui sont totalement dépassées ou rendues sans objet dans les circonstances actuelles, et reconnaissent à l’Italie le droit d’assurer pleinement sa propre défense.

D’autre part, les Ministres des Affaires Etrangères regrettent que, contrairement aux dispositions du traité, l’Italie s’est trouvée dans l’impossibilité de devenir membre de l’Organisation des Nations Unies, par suite d’un veto systématique et injustifié. Les trois puissances s’efforceront donc de permettre à l’Italie de prendre la place qui lui revient au sein de la communauté des Nations Unies.

Les trois puissances espèrent que la présente déclaration recueillera la plus large approbation de la part des autres signataires du traité de paix.


57 1 Vedi Allegato.


57 2 Per le osservazioni di De Gasperi sulla bozza di dichiarazione vedi D. 66.

58

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segretissimo 7650/265 (Londra) 346 (Washington). Roma, 20 agosto 1951, ore 21.

(Per Washington) Ho telegrafato Londra quanto segue:

(Per tutti) Secondo più recenti comunicazioni di V.E. sembra ritenersi costì che mentre da parte jugoslava si continui dimostrare favorevole disposizione risolvere questione T.L.T. con nostra soddisfazione, da parte italiana si sia invece assunto atteggiamento intransigenza.

A dissipare tale erronea impressione conviene ella informi con la massima segretezza Strang che nelle scorse settimane si sono avuti a Roma contatti in forma privata fra personalità italiana e jugoslava1 scopo sondare eventuale possibilità accordo diretto. Tali contatti, autorizzati da ministro Sforza alla sola condizione che in caso indiscrezioni sarebbero stati ufficialmente smentiti dai due Governi, si sono svolti in forma amichevole ma senza porre in luce nessuna possibilità successo per eventuali trattative. In quattro lunghe conversazioni è risultato infatti che da parte Belgrado si prospetterebbe semplice spartizione Territorio Libero assegnando all’Italia Zona A e alla Jugoslavia Zona B, salvo eventuali modestissime rettifiche frontiera Zona B (San Nicolò) contro cessione noti villaggi a maggioranza slovena della Zona A. La personalità jugoslava che pur parve sincera dichiarò enfaticamente che sarebbe stata una impossibilità fisica per Tito di andare più in là.

(Per Washington) Faccia analoga comunicazione raccomandando massimo segreto.


58 1 Si riferisce ai quattro colloqui di Meli Lupi di Soragna con Ristić per i quali vedi serie undicesima, vol. V, DD. 566, 575, 594 e, in questo volume, D. 14.

59

L’AMBASCIATORE A SANTIAGO, BERIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 6724/601. Santiago, 21 agosto 1951(perv. il 1° settembre).

Riferimento: Mio telespresso n. 6494/592 del 17 agosto u.s.1.

Ho avuto stamane un nuovo colloquio con il sottosegretario di questo Ministero degli affari esteri circa la questione della revisione del trattato di pace. Non mi dilungo sui dettagli della conversazione, nel corso della quale sono stati ribaditi concetti ben noti. Desidero osservare, come mia impressione riassuntiva dei continui contatti avuti sull’argomento con questo Ministero degli affari esteri e con numerose personalità politiche locali, che la linea di condotta del Governo cileno in questa occasione è effettivamente caratterizzata da due sentimenti contraddittori ed egualmente fermi e cioè, da una parte, la tradizionale amicizia verso l’Italia e dall’altra la costante precisa preoccupazione di evitare l’affermarsi di tendenze revisionistiche. Tali sentimenti, secondo le persone e le circostanze, prendono di volta in volta più o meno rilievo e spiegano anche una certa contraddizione in alcuni atteggiamenti, come ad esempio quella, pure rilevata da codesto Ministero, fra le istruzioni date alle rappresentanze cilene nei paesi americani, e forse da talune di esse istintivamente interpretate nel modo a noi più favorevole, e la reticenza ad impegnarsi per un’azione collettiva presso l’O.N.U.

Comunque, nel corso del colloquio da me avuto con il signor García Oldini, questi, nel confermarmi le difficoltà del suo Governo, mi ha detto che dovrebbe trovarsi una formula la quale, pur dando soddisfazione all’Italia, non pregiudichi la questione di principio che tanto sta a cuore al Cile. A tale scopo, abbiamo anche convenuto che sarebbe forse utile una presa di contatto tra il delegato italiano e quello cileno presso l’O.N.U. onde esaminare sul posto come si presenti la situazione.

In questo senso, codesto Ministero potrebbe dare istruzioni al nostro delegato presso l’O.N.U. tenendomi poi al corrente affinché io possa regolare la mia azione ulteriore.

È superfluo che io assicuri V.E. che non mi stancherò di stimolare in questi ambienti responsabili, come ho fatto finora, i sentimenti a noi favorevoli allo scopo di facilitare, in tutta la misura del possibile, il raggiungimento di una soluzione soddisfacente.


59 1 Riferiva circa l’iniziativa presa dal Governo cileno di consultare gli altri paesi latino-americani incoraggiandoli a sostenere la revisione del trattato di pace.

60

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 23 agosto 1951.

Ho meditato sul suo appunto circa Trieste1. La proposta Bartole è quella che, come soluzione provvisoria, si avvicina di più ai nostri interessi anche perché aprirebbe la via ad una soluzione definitiva di nostra soddisfazione. È più o meno la soluzione accennata, come una delle alternative da tentarsi, nell’appunto2 che le diedi prima della sua partenza. Ma dubito possa realizzarsi, come è detto nell’appunto, senza una forte pressione alleata su Tito, pressione che gli anglo-americani non mi sembrano inclini ad esercitare. Ho poi l’impressione che se dovessero decidersi per una pressione essi lo farebbero più volentieri per una soluzione definitiva. Potrò sbagliare, ma ho la sensazione che gli anglo-americani non intendono rimanere a Trieste, almeno nella forma attuale. Essi ci chiederanno certo di poter continuare a servirsene: vorranno anche colà una Livorno, forse anche con più ampie possibilità di quelle loro concesse nel porto toscano, ma allo stato attuale delle nostre informazioni non sembra che si possa partire dal presupposto che essi intendano rimanervi. Altrimenti non si spiegherebbero le pressioni che ci vengono fatte, con poco tatto da parte inglese, ma con una certa evidenza anche da parte americana (e francese) perché si addivenga ad una definizione conclusiva del problema. Mi richiamo anche all’ultimo lungo rapporto di Gallarati Scotti3. Non sono mai stato tenero per questo nostro rappresentante a Londra, soprattutto per la debolezza della sua azione e i molti equivoci che ne sono derivati con gli inglesi, ma debbo riconoscere che in questo rapporto vi sono molte considerazioni che, a mio parere, non possono essere sottovalutate.

Ella avrà certo modo nei colloqui di Washington, di chiarire la situazione in tutti i suoi aspetti. Intanto un elemento di chiarificazione, in quanto potrà togliere agli inglesi qualche argomento di pressione nei nostri riguardi, sarà una netta affermazione di italianità nelle prossime elezioni in Zona A. Un esito dubbio ci obbligherebbe – come mira ad ottenere Tito – a consacrare tutte le nostre energie alla salvezza della Zona A. Un esito favorevole ci permetterebbe di continuare, e con maggiori possibilità, a concentrare il problema sulla Zona B.


60 1 Vedi D. 56.


60 2 Vedi D. 46.


60 3 Vedi D. 53.

61

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 9291. Washington, 23 agosto 1951(perv. il 26).

In occasione della sua prossima visita a Washington, V.E. potrà constatare il prestigio che l’Italia ha acquistato, dalla firma del trattato di pace a oggi, negli Stati Uniti e nel mondo. V.E. verrà a Washington in visita ufficiale, su invito del Governo degli Stati Uniti e discuterà su un piede di assoluta parità e di franca cordialità i gravi problemi internazionali del momento. Tanto basta per affermare che l’Italia non è più un paese vinto, bensì una potenza alleata degli Stati Uniti e attivamente partecipe dell’opera da questi intrapresa in difesa della pace. Se occorreva, per la nostra opinione pubblica, una solenne sanzione della mutata posizione italiana, il viaggio, di per sé, la fornisce e le dichiarazioni con le quali il segretario di Stato l’ha annunciato vi aggiungono una nota di personale simpatia.

Nelle prossime settimane occorrerà, ovviamente, adoperarsi affinché l’incontro non si limiti ad una manifestazione esterna e permetta invece un fruttuoso esame delle questioni pendenti. A tal fine, conviene preparare i colloqui con cura e con spirito realistico. Segnalerò, appena possibile, le idee americane sull’ordine del giorno dell’incontro. Frattanto, desidero prospettare alcune considerazioni di carattere generale, per contribuire da qui, nei limiti del possibile, agli studi che certamente sono in corso costà.

Revisione del trattato di pace. Non sappiamo se e quali sviluppi questa questione avrà avuto prima della visita di V.E. Può anche darsi che nel frattempo sia stata concordata la auspicata dichiarazione tripartita, pronunziante la «estinzione morale» del trattato e preannunciante la revisione di esso. Può anche darsi che le cose restino al punto in cui sono oggi. Nell’uno e nell’altro caso, converrà affrontare a Washington il problema della revisione vera e propria, della quale l’eventuale dichiarazione tripartita costituirebbe il preludio.

L’azione diplomatica, svolta dal Governo italiano negli ultimi mesi, si è proposta di ottenere due cose: un riconoscimento del torto commesso nei riguardi dell’Italia nel 1946 e l’emendamento di talune clausole del trattato. Mentre il raggiungimento di questi obbiettivi si sta avvicinando, occorre, naturalmente, definirli meglio di quanto sia stato fatto finora. Per quanto riguarda l’«estinzione morale», le tre principali potenze vi sembrano già disposte. Resta, però, da chiarire se il riconoscimento da noi voluto possa esaurirsi in una dichiarazione di quelle tre potenze soltanto o non debba invece assumere altri sviluppi, ad esempio con l’adesione di un più largo numero di paesi e con la stipulazione di un atto internazionale, modificativo del preambolo del trattato.

In merito alla revisione vera e propria, non abbiamo ancora indicato con precisione i nostri desideri. Innanzi tutto, non abbiamo ancora detto se l’abrogazione delle clausole militari, aggiunta all’«estinzione morale», basti a soddisfare le nostre pretese.

In caso affermativo, ci troviamo più o meno sulla linea dei Governi britannico e francese, i quali, a quanto mi sembra di capire, desiderano appunto la abrogazione delle clausole militari, perché giova al riarmo «atlantico», e son disposti ad aggiungervi l’«estinzione morale», perché noi la vogliamo. (L’atteggiamento americano è più complesso. Infatti, mentre non ci è stato ufficialmente comunicato nulla delle proposte fatte dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna e alla Francia, abbiamo motivo di ritenere ch’esse vadano, almeno formalmente, più in là delle intenzioni anglo-francesi).

In caso negativo, cioè nell’ipotesi che l’«estinzione morale» e l’abolizione delle clausole militari non esauriscano le nostre richieste, occorre che queste siano meglio precisate. Le clausole territoriali, ad eccezione di quelle relative al confine orientale, non sono modificabili. Le clausole economiche sono già praticamente eseguite, salvo per quanto concerne le riparazioni, che interessano precisamente i paesi ostili alla revisione del trattato. Di conseguenza, se vogliamo andare al di là della «estinzione morale» e dell’abolizione delle clausole militari, ciò significa, in pratica, che intendiamo affrontare apertamente due problemi: Trieste e l’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite.

Trieste. A Washington, naturalmente, si parlerà di Trieste, anche indipendentemente dalla revisione del trattato.

Per quanto concerne l’atteggiamento italiano al riguardo, escluderei che convenga concentrare la discussione sul contegno del Governo alleato di Trieste. Talvolta il Governo alleato non ha tenuto presente che Trieste, quantunque attualmente staccata dall’Italia, dovrà tornare a farne parte e che pertanto certi scrupoli giuridici sono politicamente ingiustificati. D’altra parte la stampa e l’opinione pubblica italiana hanno spesso accusato il Governo alleato per atti di scarsa importanza o addirittura inesistenti. Le polemiche, che ne sono seguite, non hanno giovato alla causa italiana. Riaccenderle nell’incontro di Washington sarebbe parimenti dannoso. Possiamo fare agli americani opportune raccomandazioni, tanto di carattere generale quanto sul modo di risolvere qualche problema specifico (ad esempio quello della Cassazione); ma dobbiamo tener presente l’opportunità di discutere la questione di Trieste e non già le questioni sorte a Trieste.

Escluderei anche che ci convenga chiedere una conferma della Dichiarazione del 20 marzo 19481. Tale dichiarazione significa due cose: che non si può costituire il Territorio Libero, previsto dal trattato, e che la soluzione ideale consisterebbe nella riannessione di esso all’Italia. La traduzione in pratica di questa soluzione ideale esige il consenso della Jugoslavia. Se il prezzo ch’essa chiede, in termini di territori da cederle, tanto nella Zona B quanto nella Zona A, è più alto di quello che l’Italia è disposta a pagare, la questione resta insoluta, ancorché la Dichiarazione tripartita venga confermata una volta di più.

Finora, il prezzo chiesto dalla Jugoslavia ha coinciso con quasi tutta la Zona B e con qualche villaggio della Zona A. Non so se possiamo sperare di vederlo scendere. Per quanto concerne gli Stati Uniti, direi che, mentre non corriamo il pericolo di sentirli premere su di noi, dobbiamo escludere che le probabilità di vederli premere sulla Jugoslavia aumentino col passare del tempo.

In queste condizioni, non possiamo formulare una proposta concreta; ma dobbiamo egualmente chiarire il nostro pensiero agli americani, affinché decidano se e quale azione convenga loro intraprendere. Ad esempio, possiamo dire il nostro parere sulla cosiddetta soluzione amministrativa, cioè su una eventuale modifica del limite amministrativo fra le due Zone, la quale, senza risolvere formalmente il problema, accosti il limite anzidetto ad una futura linea di confine, per noi accettabile. Possiamo anche pronunciarci sulla soluzione arbitrale, di cui la stampa britannica ha parlato recentemente. Se siamo ostili a iniziative di questo genere, possiamo limitarci ad indicare il limite massimo delle rettifiche di frontiera che saremmo disposti ad accordare, restando inteso che preferiamo lo status quo a qualsiasi soluzione più onerosa.

In tutti i casi, però, dobbiamo dire se vogliamo che il problema di Trieste sia inquadrato nella revisione del trattato e, in tal caso, come vogliamo inquadrarvelo. (Vogliamo che l’atto, modificativo del trattato, constati l’inapplicabilità della soluzione prevista dal trattato stesso e rinvii la decisione ad un accordo fra le due parti interessate? Vogliamo che detto atto stabilisca talune norme precise per l’amministrazione provvisoria della Zona A, onde evitare per l’avvenire gli incidenti sul genere di quello della Cassazione?).

Ammissione dell’Italia all’O.N.U. Questo non è un problema di revisione, ma piuttosto di applicazione del trattato. Poiché l’inadempienza è perfettamente riconosciuta da quelli fra i vincitori coi quali trattiamo la revisione, possiamo facilmente ottenere ch’essa sia menzionata, non solo nella eventuale dichiarazione tripartita, ma anche nell’atto successivo. Tuttavia, resta da vedere quale seguito debba avere questo riconoscimento. Non credo che il Governo italiano intenda chiedere una riparazione per l’inadempienza alleata, sotto forma di autorizzazione a riarmare. L’abrogazione delle clausole militari (al pari dell’«estinzione morale», del riacquisto di Trieste e di ogni altro aspetto della revisione) trova giustificazione nella mutata posizione italiana rispetto al 1946 e non già nella mancata ammissione all’O.N.U. Esclusa l’idea della riparazione, mi sembra esservi una sola alternativa: limitarsi alla constatazione dell’inadempienza alleata oppure premere per un nuovo e più energico sforzo americano a favore dell’ammissione dell’Italia all’O.N.U.

Problemi di politica generale. La revisione del trattato, anche se collegata con la questione di Trieste e con l’ammissione italiana all’O.N.U., non esaurisce necessariamente l’ordine del giorno dell’incontro. Questo, al contrario, offre un’occasione preziosa per uno scambio di idee più generale.

Gli obiettivi fondamentali della politica estera americana sono evidenti. Gli Stati Uniti intendono opporsi all’espansione sovietica e quindi accumulare al più presto possibile tutte le forze, militari e politiche, occorrenti per difendere effettivamente i paesi minacciati ed in primo luogo quelli europei. Gli Stati Uniti chiedono, a tal fine, l’attivo concorso degli altri paesi e in primo luogo di quelli europei.

Questa impostazione fondamentale (la quale, del resto, corrisponde all’interesse di tutto l’Occidente) non offre, naturalmente, materia di discussione.

I problemi che si prestano ad un esame sono piuttosto quelli relativi ai modi e al ritmo dell’organizzazione della difesa occidentale. Su di essi, l’Italia ha il diritto e il dovere di dire la sua opinione.

Molti aspetti della politica americana hanno giustificato in passato le nostre apprensioni. Basta ricordarne tre: l’atteggiamento assunto da Washington nei problemi dell’Africa e del Vicino e Medio Oriente; le simpatie manifestate verso la Jugoslavia; l’impostazione iniziale della collaborazione militare «atlantica».

In Africa e in Oriente, gli americani, spinti in parte da talune loro illusioni dottrinarie e in parte anche maggiore da interessi britannici, hanno patrocinato una politica di incoraggiamento delle forze locali. Da ciò hanno tratto poco vantaggio e molto danno. Infatti, in qualche zona hanno eccitato il nazionalismo, ostile a tutto l’Occidente anziché soltanto alle ex potenze coloniali; e altrove hanno favorito soluzioni, che sono soltanto apparentemente «progressiste». Da questa impostazione ha ricevuto grave danno l’Italia, che ha perduto le colonie senza che il suo sacrificio garantisse d’essere vantaggioso per la comunità dei paesi occidentali e per la pace. Su questo aspetto della politica americana, possiamo fare ben poco per riparare gli errori passati, ma possiamo dare qualche utile consiglio per l’avvenire. Son sicuro che, se esponessimo qualche idea precisa sul modo di rafforzare la collaborazione col mondo arabo, troveremmo un orecchio attento.

La politica americana verso la Jugoslavia è stata anch’essa fonte di preoccupazioni. Direi che attualmente le preoccupazioni sono, non già dissipate, ma almeno precisate. Per gli Stati Uniti, la Jugoslavia presenta una grande importanza da due punti di vista: in primo luogo, perché è il solo paese che si sia sottratto all’influenza sovietica, dopo averla subita pienamente per vari anni; in secondo luogo perché l’avvicinamento di essa all’Occidente consente la «saldatura» fra il fronte dell’Europa occidentale e quello balcanico e medio-orientale (attraverso la Grecia e la Turchia). Gli americani sono convinti che la Jugoslavia è definitivamente inserita nel blocco occidentale, quantunque il suo regime interno non consenta, né consigli, forme di collaborazione così strette come quelle stabilite fra i paesi democratici. Pertanto, gli Stati Uniti assisteranno la Jugoslavia in misura crescente, allo scopo di aumentare la sua capacità di resistenza. D’altra parte (e ciò costituisce per noi una garanzia, almeno di carattere negativo) gli Stati Uniti non intendono aggiungere agli aiuti economici e militari concessioni politiche. Da parte nostra, a prescindere da quel che potremo dire a proposito di Trieste, mi sembra che convenga insistere su due punti: sulla necessità che ogni passo avanti nella collaborazione con la Jugoslavia sia fatto di concerto con l’Italia; e sulla necessità di non sopravvalutare la saldezza dell’attuale regime jugoslavo in caso di attacco esterno.

L’impostazione strategica della difesa occidentale è il terzo dei punti da me menzionati più sopra. In proposito, le nostre passate preoccupazioni dovrebbero essere state dissipate almeno in gran parte. In sostanza, al momento della firma del Patto atlantico e nei mesi immediatamente successivi noi temevamo che, per la pressione esercitata dall’Unione Occidentale, l’attenzione americana si concentrasse sulla difesa del Reno e lasciasse l’Italia in una posizione, che chiamavamo «marginale». Il timore era, allora, fondato. Successivamente la situazione è migliorata.

Gli avvenimenti del Vicino e del Medio Oriente, la proposta di includere la Grecia e la Turchia nel Patto atlantico e il mutato atteggiamento jugoslavo hanno chiaramente allargato il quadro della strategia «atlantica», cosicché l’Italia è uscita dalla posizione «marginale» ed occupa piuttosto un’importante posizione di «saldatura».

Collaborazione italo-americana. Quegli aspetti della collaborazione italo-americana che non interessano soltanto l’Italia (revisione del trattato di pace, Trieste ecc.) e che, per contro, si inquadrano nella collaborazione fra le potenze del Patto atlantico, hanno, per necessità, un carattere prevalentemente economico.

Le esigenze economiche dell’Italia hanno fatto oggetto, anche recentemente, di comunicazioni dettagliate agli organi del Patto atlantico. Sono state altresì discusse bilateralmente con gli esperti americani, a Roma e a Washington. Sotto questo aspetto vi sono, da una parte e dall’altra, dubbi da chiarire.

È nota la tendenza di alcuni esponenti dell’E.C.A. a ritenere possibile che il Governo italiano adotti una politica più ardita, tanto nel campo degli investimenti militari e civili quanto nel campo delle riforme sociali. Nelle conversazioni «ad alto livello» questa tendenza apparirà probabilmente meno accentuata, perché i maggiori esponenti del Tesoro americano valutano più esattamente i rischi dell’inflazione e apprezzano meglio il successo ottenuto dal Governo italiano nel controllarla negli ultimi anni. Pertanto, quel che V.E. potrà dire qui per esporre la situazione italiana nei suoi giusti termini troverà ascoltatori obiettivi.

D’altra parte, il viaggio di V.E. coincide col periodo di massima apprensione del Governo americano, per quanto concerne l’atteggiamento del Congresso sugli aiuti all’Europa.

Quest’ambasciata ha segnalato, a suo tempo, che il risultato delle elezioni del novembre 1950, senza alterare le linee fondamentale della politica estera americana, avrebbe reso il Congresso vieppiù severo nell’accordare al Governo i fondi occorrenti. L’opposizione repubblicana, non trovando un’alternativa alla politica governativa, concentra i suoi sforzi sullo sfruttamento di episodi clamorosi (accuse di filo-comunismo, affare MacArthur ecc.) e sul vaglio severo delle spese, il quale si risolve in un indiretto ostruzionismo.

Questa opposizione, per la parte relativa agli aiuti all’Europa, ha trovato terreno favorevole anche presso una parte dei congressmen democratici ed ha dato i primi frutti con le decurtazioni, testè decise in sede di comitati parlamentari, al Mutual Security Act. L’entità delle decurtazioni ha sorpreso e impressionato gravemente il Governo. I problemi amministrativi, inerenti alla liquidazione dell’E.C.A. e alla formazione del nuovo organismo destinato a regolare gli aiuti all’estero, accrescono il turbamento negli uffici, finora preposti alla trattazione di questa materia.

L’opposizione si appoggia su taluni aspetti della recente evoluzione europea, che colpiscono l’opinione pubblica americana. Questa osserva che, quantunque gli indici della produzione e del consumo abbiano raggiunto o superato quelli dell’ante-guerra, molti paesi europei non hanno ancora stabilizzato la loro situazione politica, come è dimostrato fra l’altro dalla forte percentuale di voti comunisti in Italia e in Francia. Se ne deduce qui che gli aiuti americani sono stati usati senza un piano organico, atto a risolvere i problemi sociali ed a ristabilire l’equilibrio economico. Si osserva inoltre, a torto o a ragione, che i paesi europei appaiono più lenti degli Stati Uniti a compiere il massimo sforzo, consentito dalle rispettive possibilità, per organizzare la difesa militare.

Ciò induce il Congresso a colpire gli aiuti economici, tanto da sopprimerli in breve volgere di tempo. Il Congresso è ancora disposto ad accogliere le richieste del Governo in materia di aiuti militari, sempreché gli sia dimostrata l’efficacia di essi. Ne consegue, per l’Italia come per gli altri paesi europei, la necessità di documentare non solo le più ferme intenzioni in materia di riarmo, ma anche un principio di realizzazione del riarmo stesso.

In questa situazione, ogni discussione sull’entità degli aiuti richiesti dall’Italia si annuncia assai difficile. Se, prima della visita di V.E., il Governo non avrà maggiori elementi di quelli attuali per prevedere le decisioni finali del Congresso, sarà impossibile non solo che da parte americana si confermi la nota cifra di 275 milioni di dollari, ma anche che si dia qualche altra indicazione precisa. Per contro, allo scopo di informare il Congresso, si chiederà ogni possibile elemento sull’impiego dei fondi stanziati dal Governo italiano. In proposito, è necessario tenere presente che lo «slittamento» della nota somma di 250 miliardi su diciotto mesi è qui tuttora considerato contrario ai propositi a suo tempo da noi manifestati.

Il Governo italiano ha molti elementi per controbattere certe impostazioni semplicistiche americane. Oltre al problema dell’entità degli aiuti vi è il problema del metodo e del ritmo col quale gli aiuti vengono accordati (basta pensare alla lentezza nella fornitura di impianti industriali, che ostacola gravemente il riarmo). Quel che il Governo italiano può dire in proposito, è bene che lo dica chiaramente e, soprattutto, documentatamente.

Situazione politica italiana. Una esposizione della situazione economica italiana, qualora esauriente ed accompagnata da proposte concrete, si presta assai bene per prospettare agli americani le conseguenze politiche di un’eventuale riduzione degli aiuti.

Sulla situazione politica italiana, gli americani hanno idee piuttosto confuse o, per lo meno, non aggiornate. Essi tendono a vedere ancora i problemi sotto l’aspetto del contrasto democrazia-comunismo; e sono dolorosamente sorpresi che il contrasto, malgrado i miliardi profusi dal contribuente americano, non solo non sia superato, ma addirittura tenda ad aggravarsi, con un indebolimento dei partiti di centro, a vantaggio delle ale estreme, comunista e neo-fascista.

Nessuno nega che il contrasto esista e che esso costituisca il problema fondamentale della vita politica italiana. Tuttavia mi sembra che il quadro non sia completo, se non si tiene conto anche delle incertezze esistenti in seno ai partiti democratici. Il malcontento verso gli americani non è monopolio dei comunisti e dei fascisti. Oltre all’alternativa «collaborazione con l’Occidente o con l’Oriente» e a quella «collaborazione con l’Occidente o neutralità», ce n’è un’altra: «collaborazione massima con gli Stati Uniti o collaborazione minima; collaborazione attiva o passiva; collaborazione spontanea o forzata».

Il pericolo per l’Italia non consiste soltanto nel rafforzamento delle correnti di estrema sinistra. Consiste anche nel sorgere di una sfiducia verso la volontà o la capacità degli Stati Uniti di fare quel che affermano di voler fare. Questa sfiducia, quantunque non suggerisca nessuna linea di azione concreta, diversa da quella che il Governo italiano ha seguito finora, è insidiosa perché porta acqua al mulino comunista senza averne l’aria, cosicché può diffondersi anche fra coloro che non hanno nessuna simpatia per il comunismo.

Questo aspetto della situazione italiana è, ripeto, quasi ignorato dagli americani. Spiegarglielo può servire ad aprire loro gli occhi sulle conseguenze di certi atti o di certe omissioni e può spingerli a seguire più da vicino le vicende italiane2.


61 1 Vedi serie decima, vol. V, D. 468.


61 2 Con R. segreto 9693 del 30 agosto, Luciolli aggiunse alcune considerazioni circa il tema della partecipazione alla difesa europea della Germania, della Spagna e della Jugoslavia.

62

L’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 10562/34-35-36-37. Città del Messico, 24 agosto 1951, ore 19,55(perv. ore 7,30 del 25).

Iniziate trattative con delegazione messicana presieduta ministro affari esteri per la liquidazione questioni pendenti a seguito trattato di pace. Nei primi incontri tanto io che avvocato Lefebvre1 abbiamo avuto netta sensazione della intransigenza di massima da parte messicana e purtroppo della scarsa possibilità far trionfare nostre tesi giuridiche senza corrispondenti concessioni da parte nostra. Come precedentemente disposto ho creduto quindi autorizzare Lefebvre prendere contatti diretti mediante opera mio fiduciario con persone autorizzate da presidente della Repubblica anche direttamente interessate nella questione e cioè senatore Bermudez direttore generale petroli messicani. Oggi predetti sono giunti ad un compromesso che io ritengo non solo atto superare attuale divergenza, la quale esasperandosi avrebbe potuto compromettere ottime relazioni tra i due paesi ed affari già avviati, ma costituente promettente premessa per i futuri sviluppi commerciali industriali con questo paese.

Linee accordo sarebbero seguenti:

Consegna nave Pozarlle al Messico; compensazione crediti reciproci fra i due paesi salvo saldo due milioni di dollari e mezzo a favore Messico. Detto saldo dovrebbe pagarsi non in contanti ma con forniture merci da parte nostra. Più precisamente Messico ordinerebbe merce per ammontare 10 milioni di dollari; in occasione di ogni pagamento 75% in dollari sarebbe a carico Messico ed il 25% a carico dell’Italia. Messico pertanto pagherebbe in definitiva 7 e mezzo milioni di dollari su 10 milioni di dollari ordinativo. Merci che verrebbero acquistate sarebbero tutti prodotti manifatturati ai prezzi italiani correnti per esportazione. Convenienza accettare accordo predetto dipende dal considerare se nostro pagamento due e mezzo milioni di dollari, che sarebbe elemento nuovo di fronte terza ipotesi di cui riunione 29 maggio u.s., sia o meno compensato dall’acquisto merce per dieci milioni di dollari.

A mio avviso ed a quello Lefebvre esprimo parere favorevole poiché tale accordo oltre rendere più stabili iniziative già in corso (come fabbrica Fiat, progetto cantiere navale Vera Cruz, fabbrica cellulosa Snia e fabbrica tubi acciaio Techint), servirebbe senza alcun dubbio ad [...]2 altri affari in modo legare in qualche modo sviluppo di questo paese ad Italia. Aggiungo che anche progetti colonizzazione e immigrazione troverebbero più facile realizzazione.

A conferma di ciò informo che presidente della Repubblica che ha approvato personalmente accordo ha incaricato senatore Bermudez riferirmi che gli acquisti futuri merci italiane supereranno notevolmente predetta cifra 10 milioni di dollari che servirebbero quindi veramente avviamento grossi affari. Poiché questo presidente della Repubblica ha interesse di annunziare liquidazione tale annosa vertenza con l’Italia in occasione del suo discorso per l’apertura del Congresso primo settembre p.v. prego telegrafare con la massima sollecitudine, ove nulla osti, autorizzazione firmare sulla base linee predette, tenendo presente che fase esecutiva di tale accordo ci consentirà in ogni caso una certa elasticità poiché nostra prestazione è subordinata ad obblighi ben maggiori da parte Messico. Accordo predetto di massima sarà completato da clausole precisanti merci da acquistarsi dal Messico, modalità pagamento e prezzi, da concludersi susseguentemente.


62 1 Incaricato delle trattative per l’accordo relativo alla definizione delle questioni derivanti dal trattato di pace firmato a Città del Messico il 10 luglio 1952.


62 2 Gruppo mancante.

63

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. riservato 4539. Londra, 24 agosto 1951(perv. il 27).

Ho davanti a me il rapporto di Parigi dell’8 corrente e l’appunto dell’ambasciatore Quaroni per Schuman sulla questione della revisione del trattato di pace (telespresso ministeriale segr. pol. 1528/c. del 17 agosto)1.

Mi rendo naturalmente conto delle difficoltà da superare per ottenere che le cose «marcino» come desideriamo. Ma desideravo sottoporti alcune brevi considerazioni in argomento.

Nel promemoria di Quaroni si indica, al punto 4°, che i tre Governi si impegnano a dare alla dichiarazione una pratica applicazione attraverso ulteriori negoziati. Ora, siccome il resto della dichiarazione parla di spirito punitivo, di mancata nostra ammissione all’O.N.U., di cessazioni di discriminazioni, ma non fa il benché minimo cenno all’esistenza di «clausole» superate, ho l’impressione che la dichiarazione finirebbe col suonare in Italia come l’ennesima affermazione platonica di buona volontà anziché come un’assicurazione di qualcosa di più sostanziale.

È proprio ad evitare una simile impressione, che toglierebbe alla dichiarazione gran parte del suo valore psicologico (non destinato soltanto a solleticare l’amor proprio degli italiani ma soprattutto a tranquillizzarli lasciando quindi al Governo la possibilità di svolgere una efficace azione diplomatica senza dover continuamente rendere edotta l’opinione pubblica dei singoli sviluppi), che nel promemoria per Strang (rapporto n. 4213/2390 del 31 luglio)2 l’ambasciatore Gallarati Scotti precisava che la dichiarazione dovrebbe contenere «l’assicurazione da parte delle tre potenze che esse considereranno il modo ed i mezzi per adattare alla attuale situazione le clausole del trattato che appaiono ora superate». Si tratta cioè di una formula sufficientemente generica da potersi adattare alle riserve espresse da Schuman (che ha detto a Quaroni «non si dovrebbe parlare di clausole da rivedere ma di clausole da considerarsi come sorpassate»), ma anche abbastanza specifica per raggiungere l’effetto psicologico che ricerchiamo nella dichiarazione, da un lato, e per meglio legare gli Alleati all’attuazione della fase concreta, dall’altro.


63 1 Ritrasmissione a Washington e Londra del D. 36.


63 2 Vedi D. 16, Allegato.

64

IL MINISTRO A LA PAZ, GIARDINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 1262/330. La Paz, 24 agosto 1951(perv. l’8 settembre).

Riferimento: Precedente corrispondenza sull’argomento.

Già fin dallo scorso aprile, nel rapporto periodico mensile 528/1461, informavo codesto on. Ministero che il Governo boliviano continuava ad essere animato dalle migliori intenzioni nei nostri riguardi per quanto concerne la revisione del trattato di pace italiano.

In seguito a nuovi passi presso questo Ministero degli affari esteri ed a successive conversazioni sia con il cancelliere che con il sottosegretario, tali intenzioni mi sono state confermate.

Trasmetto ora per opportuna conoscenza di codesto on. Ministero copia della Nota n. 620 diretta a questa legazione in data 22 corrente dalla Cancelleria boliviana1 in cui è detto tra l’altro che «il Ministero degli affari esteri, in accordo con la politica di cooperazione e amicizia seguita dal Governo boliviano con il Governo e il popolo italiani, darà istruzioni alla propria delegazione alla O.N.U. di collaborare con tutti gli altri paesi, i quali sono interessati alla soluzione favorevole per l’Italia di questo fondamentale problema ecc.».

Mi risulta che sono stati immediatamente interessati alla questione sia il capo della delegazione boliviana alla O.N.U. che l’ambasciatore di Bolivia in Parigi Costa du Rels, che già sostenne nel passato la tesi della revisione del nostro trattato ed è buon amico dell’Italia.

Permettomi consigliare opportuni contatti sia del nostro osservatore alla O.N.U. con l’ambasciatore boliviano Bilbao la Vieja, che del nostro ambasciatore a Parigi con Costa du Rels, consigliere ascoltatissimo da questo Governo in questioni attinenti alla O.N.U.


64 1 Non pubblicato.

65

L’AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 10652/39. Buenos Aires, 27 agosto 1951, ore 20,48(perv. ore 7 del 28).

Colloquio odierno ministro Remorino confermatomi pieno appoggio argentino eventuale azione collettiva per ammissione O.N.U. e revisione del trattato pace qualunque forma tale azione possa rivestire. Assicurami verranno impartite istruzioni delegato argentino O.N.U. autorizzandolo accordarsi con Guatemala circa migliore procedura da seguirsi.

66

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Sella di Valsugana, 27 agosto 1951.

Sulla dichiarazione abbozzata da Schuman, Quaroni mi manda un dispaccio personale da Vichy 181, arrivato qui ieri. Egli dice di averne avuta copia confidenziale dal capogabinetto di Schuman e di aver proposta qualche correzione. Non ha ottenuto però che si escluda «la riserva dei diritti di terzi» perché, disse il c. Gabinetto si incontrerebbero obiezioni circa le riparazioni da parte di Jugoslavia e Grecia e Etiopia. Schuman avrebbe poi fatto sapere di temere che inglesi condizionerebbero loro adesione all’impegno di accordarsi noi sulla questione di Trieste; ma ch’egli resisterebbe a tale condizionamento. Spero che gli Uffici esaminino rapidamente e a fondo le conseguenze, i limiti, il tenore più o meno accettabile dell’abbozzo.

Si voglia sentire anzitutto il parere del conte Sforza.

Mia prima impressione:

la dichiarazione si propone «di risolvere i problemi posti dal trattato»: proposito ottimo ma forse troppo impegnativo, se si confrontano con esso le clausole più particolari che seguono.

Nel secondo comma trovo anacronistica la parafrasi della formula di Potsdam; si dovrebbe dire che l’Italia, conforme alle sue idee e istituzioni democratiche … ha apportato alla lotta dei popoli liberi tutta la sua solidarietà.

Nel quarto comma la riserva dei diritti acquisiti è troppo dura e illimitata: se trattasi veramente di riparazioni conviene specificarlo. Ma riparazioni non sono né restrizioni né discriminazioni. Che cosa vorrebbe dire poi in concreto «sforzarsi di permettere»?

E ancora: al 4° comma si dice «per ciò che le riguarda», anche questa limitazione mi pare renda vana la dichiarazione, perché i Tre lasciano la responsabilità di un’eventuale violazione del trattato all’Italia.

Ammetto che si è fatto un certo sforzo, ma converrà studiare bene e a tempo ogni lato e ogni possibilità d’interpretazione.

Non vedo come gli inglesi ci potrebbero porre condizioni circa il T.L.T. O le questioni territoriali sono totalmente escluse – ed è già questo per noi dura cosa – ovvero sono fra i «problemi posti dal trattato» o infine sono «fra i diritti acquisiti da terzi». Su ciò bisogna aver chiarezza.

Quando si parla di terzi non può trattarsi dei firmatari del trattato, né sopra tutto dei Tre. Il problema, posto dal trattato e rimasto insoluto, è veramente quello del T.L.T. e i terzi veri sarebbero l’O.N.U.: ma qui, deferendo all’O.N.U., si corre il rischio di annullare la Tripartita2.

Mi pare che il minimo che si possa chiedere è che nella presente dichiarazione non si annulli né implicitamente né surrettiziamente la Tripartita.

Non oso far proposte in questo momento; ma forse si potrebbe inserire al comma 1 oltre «lo sviluppo armonico della cooperazione ecc.»; «e delle dichiarazioni che l’esperienza fatta finora nell’applicazione del trattato hanno suggerito».

Meglio se si può specificare ancora. Questo è un minimo, parmi.


66 1 Del 19 agosto, vedi D. 57.


66 2 Si riferisce alla Dichiarazione tripartita sul T.L.T. del 20 marzo 1948, per la quale vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

67

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. per telefono 10679/434. Londra, 28 agosto 1951, ore 22.

Sottosegretario Mason mi ha dato stamane risposta per questione elezioni Trieste aggiungendo che analoga risposta ci veniva contemporaneamente data da Washington1.

Riassumo esposizione fattami.

Rinvio elezioni da noi richiesto creava difficile problema per G.M.A. date varie questioni di ordine amministrativo connesse. D’altra parte domanda proroga era stata fra l’altro motivata col fatto che elezioni avrebbero determinato nuovo inasprimento rapporti tra Italia e Jugoslavia. Problema era stato accuratamente vagliato dai due Governi anche sotto l’aspetto degli effetti che simile inasprimento avrebbe avuto su negoziati italo-jugoslavi per soluzione «questione principale». Ed è appunto in vista di ciò che i due Governi nonostante difficoltà connesse con decisione all’ultima ora avevano deciso venire incontro nostra richiesta e rinviare elezioni fino a dicembre (dico dicembre) ove da parte italiana venisse data «ferma assicurazione» che negoziati con Jugoslavia saranno avviati al più presto possibile. Qualora Governo italiano aderisse tale proposta, rinvio verrebbe giustificato con ragioni ordine amministrativo onde evitare che trasparisse vero motivo. Da parte anglo-americana si considera che ogni indiscrezione circa connessione fra negoziati e rinvio sarebbe assai dannosa. Mason mi ha detto che Governi alleati i quali hanno sempre sostenuto necessità nostre conversazioni dirette con Belgrado sperano che suggerimento odierno valga permettere intavolare negoziati in migliore atmosfera possibile. Sottosegretario ha sottolineato urgenza risposta italiana, data necessità impartire al più presto istruzioni Trieste dove si è già iniziata da qualche giorno preparazione elettorale2.


67 1 Vedi D. 68.


67 2 Vedi D. 71.

68

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segretissimo precedenza assoluta Washington, 28 agosto 1951, ore 22,1510698-10690/905-906. (perv. ore 8 del 29).

Dipartimento mi ha oggi informato che Governo britannico comunicherà nostra ambasciata Londra di essere disposto rinviare due mesi elezione Trieste purché Governo italiano si impegni entrare in trattative segrete con Jugoslavia onde cercare soluzione problema Territorio Libero1. Dipartimento ha altresì informato che Governo americano si associa a passo britannico.

Dipartimento ha aggiunto che recentemente Tito ha dichiarato ad ambasciatori Stati Uniti e Gran Bretagna di rendersi conto che Trieste costituisce principale problema rapporti fra Jugoslavia e Occidente e di desiderare pertanto risolverlo al più presto. Ciò ad avviso Dipartimento offrirebbe a Governo italiano favorevole spunto per aprire trattative.

Con piena riserva reazione V.E. ho fatto presente quanto segue: 1) connessione fra rinvio elezioni e trattative costituisce pressione su Italia, ingiustificata in se stessa ed aggravata da mancanza di corrispondente pressione su Jugoslavia; 2) non vi è motivo che Italia faccia primo passo, dopo che ripetutamente ha manifestato sue buone disposizioni ed indicato possibile base trattative, senza che Jugoslavia desse alcuna prova buona volontà; 3) non vi è indizio che Jugoslavia intenda ora moderare sue pretese. Al contrario, noti recenti segreti contatti2 (di cui a suo tempo ho informato Dipartimento) dimostrano che intransigenza permane; 4) in trattativa eventualmente impostata come da suggerimento britannico, cioè ad iniziativa italiana e con consapevolezza della intransigenza jugoslava, Tito si sentirebbe (e sarebbe effettivamente) il più forte.

A mie osservazioni ha fatto seguito lungo e talvolta vivace scambio idee personali che riassumo qui di seguito.

Dipartimento (dopo conversazione Zoppi-Thompson3 di cui a telespresso ministeriale 1569/c.4) si attendeva sfavorevole reazione italiana e si rende conto che questione ci viene presentata in modo tale da giustificare reazione stessa. Dipartimento afferma che connessione fra rinvio elezioni e trattative deriva da convincimento che non vi sarebbe fondato motivo rinviare elezioni se non quello di evitare tensione locale mentre due Governi discutono a fondo problema.

Dipartimento nega che si chieda a Italia fare primo passo. A suo avviso, Governo italiano potrebbe avvicinare quello jugoslavo prendendo spunto da dichiarazioni Tito ad ambasciatori americano e britannico e pertanto facendo ricadere iniziativa su di lui. Inoltre Governi americano e britannico potrebbero richiamarsi a dichiarazioni medesime ed a favorevole reazione italiana, invitando Tito a mostrarsi conciliante. Ad avviso Dipartimento, Tito è attualmente in posizione debole perché preoccupato da contatti anglo-franco-americani su revisione trattato pace.

Per parte mia ho detto chiaramente che, se si spera far recedere Italia da sua impostazione, (applicazione Dichiarazione tripartita, con lievi rettifiche frontiera a favore Jugoslavia in entrambe Zone lungo linea etnica) oppure se si pensa poter addossare Italia responsabilità fallimento qualora Jugoslavia non accettasse tale impostazione, si commette duplice errore. In altri termini, dato e non concesso che trattativa possa essere ingaggiata, deve essere chiaro che atteggiamento italiano è approvato da Stati Uniti e Gran Bretagna in base a Dichiarazione tripartita, cosicché se trattative fallissero responsabilità ricadrebbe su Jugoslavia. In pratica, quindi, si tratterebbe di vedere se Jugoslavia è disposta, sì o no, ad abbandonare parte principale Zona B, comprese tutte città costiere.

Mi è stato dato atto, a titolo personale, della correttezza mie osservazioni.

Ho quindi soggiunto che in queste condizioni Jugoslavia, anziché Italia, dovrebbe essere oggetto sondaggi o pressioni e che pertanto passo britannico, cui Stati Uniti hanno voluto associarsi, appare altamente sospetto. Ho altresì osservato che imminenza viaggio V.E. avrebbe dovuto sconsigliare iniziativa siffatta.


68 1 Vedi D. 67.


68 2 Si riferisce alle conversazioni di Meli Lupi di Soragna con Ristić per le quali vedi serie undicesima, vol. V, DD. 566, 575, 594 e, in questo volume, D. 14.


68 3 Vedi D. 55.


68 4 Non pubblicato, ritrasmetteva il D. 55.

69

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 28 agosto 1951.

È venuto a trovarmi l’ambasciatore di Turchia e, riferendosi ad una conversazione col segretario generale1, nel corso della quale l’ambasciatore Zoppi gli aveva chiesto di fargli conoscere gli eventuali desideri che il Governo turco tenesse fossero tenuti presenti dalla delegazione italiana alla conferenza di Ottawa in occasione della discussione sull’ammissione della Turchia e della Grecia al N.A.T.O., mi ha comunicato, su istruzioni del suo Governo:

1) che il Governo turco ringrazia per la prova di amicizia che ha molto apprezzato;

2) che il Governo stesso desidererebbe che la questione dell’ammissione al N.A.T.O. trovasse una definitiva soluzione durante la sessione di Ottawa;

3) che da parte turca si richiede che l’ammissione avvenga a piena parità di diritti e di doveri come per gli altri membri del N.A.T.O. e quindi che nessuna condizione venga fatta all’ammissione stessa;

4) che la Turchia non si oppone all’esame e discussione delle questioni concernenti il consolidamento della sicurezza nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente; ma ritiene che ciò debba aver luogo solo dopo che l’ammissione al N.A.T.O. sia stata decisa e quando tutti i membri del N.A.T.O. possono far valere le proprie vedute in proposito.

Ho preso atto della comunicazione dell’ambasciatore, assicurandogli che il nostro punto di vista collima con quello del suo Governo e che noi saremo lieti di adoperarci a Ottawa per la pronta ammissione della Turchia al N.A.T.O. Gli ho aggiunto, confidenzialmente, che da informazioni in nostro possesso risultava che pure il Governo americano era deciso ad adoperarsi ad Ottawa per una soluzione conforme ai desiderata turchi – il che l’ambasciatore Baydur mi ha detto risultava al suo Governo, anche per quanto concerne la Francia.


69 1 Dell’incontro con l’ambasciatore Baydur Zoppi aveva riferito con appunto in data 16 agosto, non pubblicato.

70

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata personale 4598. Londra, 28 agosto 1951.

Non credere che l’ambasciata, nel trattare con tanta insistenza il problema di Trieste, non abbia tenuto conto delle molte discordanti valutazioni che derivano dall’illogicità stessa della situazione e dalle difficoltà interne di carattere psicologico e politico che una soluzione del problema comporta. Non vorrei nemmeno che tu credessi che non ci rendiamo conto della fatica che devi quotidianamente sopportare per tenere le fila di un lavorio diplomatico che è tra i più delicati che si siano imposti alla diplomazia italiana.

Ed è appunto perché non sono insensibile a tutti questi elementi che ti scrivo con estrema franchezza in risposta alle tue due lettere n. 1506 e 1514 (segr. pol. del 13 e 14 corr.)1.

Che il Governo inglese, oggi come oggi, desideri tenersi Trieste, nel senso di fare permanentemente della Zona A un territorio sotto controllo inglese o anglo-americano, io lo escludo nel modo più assoluto.

Può darsi che inglesi ed americani – ed ancora più i secondi dei primi – vogliano conservare a Trieste una base navale (?) e dei reparti di truppa: ma, per far ciò non hanno certo bisogno, tanto più essendo noi membri del N.A.T.O., di lasciare insoluto il problema politico-territoriale che procura oggi agli Alleati più grattacapi che vantaggi.

Diversa è invece la questione nei riguardi dei militari e civili inglesi e americani facenti parte del G.M.A.: si tratta di tanti piccoli ras, qualunque sia il loro grado, che possono spadroneggiare a Trieste come mai potrebbero fare a casa loro. Vedi ad esempio il signor White, primo segretario americano (oggi consigliere commerciale a Madrid) il quale per due o tre anni nella sua qualità di capo del Finance Department ha potuto decidere a suo piacimento se si dovessero creare a Trieste industrie conserviere o del sapone, se andassero ampliate le raffinerie di petrolio o quante tonnellate dovessero impostare i cantieri. È ovvio che questa gente fa e farà di tutto perché la situazione attuale si prolunghi: e più si prolunga e più essi avranno titolo per ottenere dai rispettivi Governi l’autorizzazione ad adottare misure che diano carattere di maggior stabilità al G.M.A. (che, nato sotto l’insegna della provvisorietà, conta ormai sei anni di vita).

Ora, ritornando all’atteggiamento dei Governi, è verosimile che – continuando le cose come vanno oggi – essi finiscano col doversi tenere Trieste, volenti o nolenti; e che a un certo punto essi possano anche rimanere soddisfatti di una simile soluzione. In tal caso si griderà una volta di più, da parte nostra, al raffinato machiavellismo della perfida Albione (già lo si sente nell’aria) senza renderci conto che sarà proprio stato il nostro atteggiamento a rendere possibile una situazione del genere. E ciò, nonostante che siano ormai mesi che da Londra ci giunge una sola parola: «sbrigatevi a risolvere il problema di Trieste, mettetevi d’accordo con gli jugoslavi».

Ti dico questo perché mi sembra di rilevare nelle tue due lettere sopracitate una sostanziale contraddizione. Nella prima infatti tu concludi per la necessità che il negoziato per Trieste non avvenga ora, ma sia dilazionato ad un momento imprecisato. Nella seconda tu esponi il dubbio che col passare del tempo la situazione di Trieste possa peggiorare giacché «gli inglesi, molti inglesi lavorano per rimanervi».

E allora, se così è, se il tempo non lavora per noi ma contro di noi, se vi è il pericolo che «a un certo punto qualcuno crei delle situazioni locali per cui il Foreign Office è costretto a cambiare direttive», non appare indispensabile accelerare i tempi e intavolare subito quei negoziati con la Jugoslavia cui oltre tutto ci eravamo formalmente impegnati a Londra nel marzo scorso2?

Perché questo è un punto essenziale che in Italia è stato sempre passato sotto silenzio: e cioè che se a Londra Morrison aveva – contro il parere del Foreign Office e unicamente per dare al presidente De Gasperi una prova di amicizia e di appoggio concreto per la sua politica interna ed estera – riaffermato pubblicamente la Dichiarazione tripartita3, lo aveva fatto però ad una condizione esplicita: che noi ci mettessimo d’accordo con Belgrado.

Questo e non altro è il senso della frase del comunicato del 16 marzo: «With a view to settlement by conciliation». Ciò è documentato chiaramente dai verbali delle conversazioni e dalla serrata discussione – cui parteciparono personalmente De Gasperi e Sforza – per ottenere che si menzionasse Trieste nel comunicato finale. Mi permetto di ricordarti la frase testuale del ministro Sforza (segnata a verbale) nell’insistere per la conferma della Dichiarazione tripartita: «It would help the Italian Government to start talks with the dictatorial Government of Yugoslavia».

Col riportare in quel comunicato ufficiale la conferma della Dichiarazione del 20 marzo 1948, Londra aveva compiuto un gesto a nostro favore molto più risonante di quanto non avessero fatto Washington e Parigi (a Santa Margherita4 si confermò la dichiarazione, ma senza farne verbo nel comunicato); e aspettava quindi che da parte nostra si mantenesse l’impegno preso di intavolare i negoziati con Tito.

Viceversa dal marzo ad oggi sono passati oltre cinque mesi e si sono fatti più passi indietro che avanti.

Si è lasciato che l’opinione pubblica, la stampa, i partiti e perfino i portavoce governativi alterassero completamente la portata della Dichiarazione tripartita, dandole un contenuto giuridico, che era venuto meno dal momento in cui i russi non avevano accolta la proposta in essa contenuta e dimenticando le contingenze in cui nel marzo 1948 essa fu originariamente formulata, le mutate circostanze di fatto dopo il rivolgimento titino e infine la precisa condizione apposta alla sua recente riconferma; condizione che del resto è stata ribadita per l’ennesima volta da Washington pochi giorni or sono.

Questa impostazione non solo rendeva impossibile la soluzione del problema di Trieste, ma doveva fatalmente portare ad un nuovo inasprimento dei rapporti sia con la Jugoslavia che con gli Alleati.

Difatti mentre nel discorso del ministro Sforza a Milano5 era stato fatto un buon passo avanti, indicando con la linea etnica una possibilità di compromesso, ora invece a distanza di un anno siamo tornati indietro al punto di partenza, perdendo nei rapporti con Washington e Londra gran parte del vantaggio iniziale che avevamo rispetto alla Jugoslavia; la quale invece, avvicinandosi sempre più al blocco occidentale, ha avuto cura di sbandierare pubblicamente il desiderio di accordarsi con l’Italia (sincero o no).

Di qui nuovi attacchi della nostra stampa all’Inghilterra e al G.M.A. (ma non agli Stati Uniti che, seppur partecipano in piena parità con gli inglesi all’amministrazione di Trieste, sono coperti dell’immunità del piano Marshall). Che da parte non solo inglese, ma anglo-americana (il generale Blanchard, per esempio, capo dell’Ufficio affari civili di Trieste a noi ostile e recentemente sostituito, era americano) si siano commessi molti errori è innegabile: non solo gli errori in cui cadono i militari di tutti i paesi per mancanza di elasticità e di diplomazia, ma anche quegli errori che la poca comprensione della psicologia latina fa commettere assai spesso agli anglo-sassoni.

Ma la nostra campagna di stampa, appunto perché condotta dai giornali cosiddetti seri, ci ha posto dalla parte del torto; e mi rimetto al giudizio espressoti da Luciolli nella lettera del 12 luglio6 nonché a quello di Carrobio che nella sua lettera del 31 luglio6 parla delle «tante inesattezze e falsità della campagna di stampa».

In questa atmosfera sovreccitata è giunta la nostra richiesta per la revisione del trattato di pace. Tu dici che l’abbinare – come ha fatto Londra (e, aggiungo io, Washington) la questione del T.L.T. con quella della revisione del trattato è una manovra inglese «per farci pagare lo scotto di un diritto alla revisione che noi consideriamo ormai acquisito» e per «forzarci la mano ad un accordo con la Jugoslavia».

Che noi potessimo ritenere onestamente di aver acquisito molti titoli alla revisione è certo; ma non è altrettanto sicuro che gli Alleati ci riconoscessero un vero e proprio diritto. E poi essi pensavano che la revisione morale del trattato era avvenuta solennemente colla nostra partecipazione al Patto atlantico, che ci compensava ad usura della nostra mancata ammissione all’O.N.U.; e che le clausole superate avrebbero potuto essere lasciate cadere dopo il fallimento della Conferenza a quattro di Parigi e dopo la firma del trattato col Giappone.

Mi è parso sempre sintomatico della mancanza di comprensione e sensibilità della nostra stampa ed opinione pubblica il fatto che esse non abbiano mai capito l’importanza ed il significato della nostra attiva partecipazione a quel potente e ristretto (e perciò più eletto) sistema di alleanza, politica e militare, che è il Patto atlantico; ed abbiano invece voluto continuare a lamentarsi perché non facevamo parte di quella impotente e vuota Assemblea che è diventata ormai l’O.N.U. dove – senza un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza – ci troveremmo alla pari perfino con l’Honduras e la Liberia: mentre potremmo starcene fuori con molta più dignità, se fossimo noi a ritirare una domanda troppe volte respinta. (È un ottimo argomento di campagna anticomunista il sostenere, come giustamente facciamo, che è l’U.R.S.S. che ci impedisce di entrare all’O.N.U.; e Mosca, condizionando la nostra ammissione a quella di altri Stati, si è messa anche giuridicamente dalla parte del torto. Ma non è men vero che, se i nostri amici americani ci tenessero tanto ad averci nell’O.N.U., potrebbero anche tollerare l’ammissione della Bulgaria e compagni che – con la loro presenza – non disonorerebbero l’organizzazione in maggior misura di quanto lo facciano l’U.R.S.S., la Cecoslovacchia e via dicendo. E chiudo la parentesi).

Comunque, visto che ormai tutta la nostra opinione pubblica era stata «montata» per la revisione del trattato (e non faceva che rilucidare sulla propria fronte quella brutta parola tedesca «Diktat» che ormai nessuno vi leggeva più) i tre grandi sono entrati nell’ordine di idee di accettare anche questa nostra richiesta. Ma, per le ragioni esposte nel rapporto di questa ambasciata n. 4413/2503 del 16 corrente7, era logico che ci chiedessero contemporaneamente di risolvere la questione di Trieste, l’unica questione territoriale ancora sul tappeto. Non era difatti concepibile che, dopo averci accontentati a marzo colla riconferma della Dichiarazione tripartita, ci dessero anche la revisione del trattato, e nella forma da noi richiesta, senza pretendere almeno l’osservanza dell’impegno preso a Londra; per cercare di eliminare una controversia che, avvelenando i rapporti tra Italia e Alleati, tra Italia e Jugoslavia costituisce una grave falla nello schieramento atlantico.

Prevedo la tua obiezione: e cioè che noi abbiamo provato a parlare con Belgrado e che non vi è possibilità di intesa. Se i nostri tentativi si riducono all’unico approccio, indicato nel noto recente telegramma8, permettimi di dirti che è troppo poco; e che non può certo convincere gli Alleati delle nostre serie intenzioni. Washington, Parigi e Londra ci stanno ripetendo da un mese a questa parte che le intenzioni di Belgrado non sono così intransigenti come noi pensiamo. Ed ho l’impressione che questa sensazione non potremo raccoglierla eventualmente altro che dopo tentativi condotti più a fondo, oppure invitando loro a constatare – attraverso discreti ma precisi sondaggi – quale delle parti sia maggiormente disposta ad allontanarsi dalle proprie posizioni ufficiali di partenza (e cioè A + B per noi e A contro B per Belgrado). Io personalmente ritengo che in un negoziato ben condotto – nel quale avremmo certo l’appoggio inglese – vi è la possibilità di ottenere la linea della Dragona, ossia Capodistria e Pirano fino alla Punta di Salvore, che completerebbe così l’arco del Golfo di Trieste.

Mi rendo conto che nel clima attuale si considera a Roma preferibile rimandare le trattative a un momento più tranquillo. Ma verrà questo momento?

Voi avete certo gli elementi in mano per valutare la situazione nella sua interezza e siete meglio in grado di noi – che nel formulare un giudizio possiamo involontariamente essere portati a dar peso eccessivo al pensiero di questi ambienti – di guardar le cose da tutti i possibili angoli visuali. Quando tu parli di «momento opportuno» debbo quindi presumere che costì si pensi che tale momento verrà e che si abbia anche in mente a quali condizioni e in che circostanze. Mi sembrerebbe per lo meno utile che noi fossimo al riguardo informati su quello che pensa il Ministero. In mancanza di tali elementi, le prospettive che vedo sono le seguenti.

In caso di prossimo conflitto mondiale, poco conta che noi si abbia già ceduto poco o molto su Trieste, poiché, dopo tutto, saranno le nuove condizioni di pace che regoleranno l’avvenire in relazione al contributo che noi e gli jugoslavi avremo dato al successo della causa comune. E la nostra posizione geografica più arretrata potrebbe consentirci di fare meno brutta figura di loro!

Nell’ipotesi invece che un conflitto non vi sia – e mi pare che su questa occorra lavorare – tutto mi sembra indicare che:

a) il regime di Tito, lungi dall’indebolirsi agli occhi degli Alleati, sta sempre più affermandosi; e se minacciasse di vacillare penserebbero gli anglo-americani a tamponarlo o a sostituirlo con qualcosa che fosse ancor più vicino a loro di quanto non lo sia il nazionalcomunismo;

b) indipendentemente dalla vicenda interna jugoslava, i rapporti tra Belgrado e Occidente si vanno sempre più rafforzando fino al punto di non potersi escludere che, anche a non lontana scadenza, si giunga ad una associazione di carattere militare in conseguenza della quale la carta jugoslava divenga per gli anglo-americani ancora più importante di quanto non lo sia adesso. Non dimentichiamo che al momento attuale l’unica pedina dell’Occidente nei Balcani è la Jugoslavia nella quale viene ravvisato non solo un parziale ostacolo ad un primo urto sovietico, ma, nell’ipotesi di pace, la sola punta geograficamente e politicamente avanzata per ripenetrare nei paesi controllati dalla Russia.

Il tempo dunque lavora per gli jugoslavi, non per noi: e lavora nella sfera dei rapporti politici generali, così come nel ristretto settore del T.L.T. E non sto qui a ripetere le considerazioni più volte esposte dall’ambasciatore per indicare come la situazione a Trieste vada sempre più evolvendosi in senso a noi pregiudizievole.

E adesso un ultimo argomento: quello della nostra opinione pubblica. Mi rendo perfettamente conto delle sue esigenze e della necessità per il Governo di tenerne conto. Ma, dopo tutto, questa opinione pubblica va anche diretta e orientata e, quando si raggiunga il pieno convincimento che un certa linea politica corrisponde agli interessi permanenti e preminenti del nostro paese, occorre pure avere i mezzi – o comunque tentarli – per indirizzarla nella giusta direzione.

Non mi sembra che i fatti indichino che da noi si è agito in tal senso: anzi… Dopo il discorso di Milano, invece di porre gradualmente e sempre più l’accento sulla soluzione etnica, lo si è spostato con crescente forza sulla Dichiarazione tripartita, mettendo in sordina, quando non lo si è ignorato, l’impegno di svolgere trattative con la Jugoslavia. Talché oggi – per quanto riguarda l’opinione pubblica – la situazione è assai peggiorata: non essendosi moderate le speranze già eccessive, queste sono divenute legittime aspettative; le ansie non frenate sono state spinte verso insofferenti pretese. E ciò purtroppo mentre sappiamo che, anche nella migliore delle ipotesi, occorrerà fare sacrifici per poter risolvere il problema del T.L.T.

Quello che mi impressiona è che le tesi oltranziste sono esposte proprio da quei giornali e da quei giornalisti che un tempo attingevano una buona parte del loro senno dalle fonti governative; che tali tesi appaiano in note diplomatiche il cui tono e stile lascia pensare alla ispirazione ufficiosa, quando esse non figurano addirittura in bocca ad esponenti della maggioranza.

Quello che vale per Trieste vale anche per i rapporti italo-inglesi. Tu dici che «non c’è da sperare in un revirement sino a quando Londra non darà alla nostra opinione pubblica la sensazione che la sua direttiva politica nei nostri riguardi è mutata». Dovremmo, in altre parole, chiedere agli inglesi di calmare la nostra opinione pubblica, che essi viceversa potrebbero pensare debba essere indirizzata e moderata nei limiti del possibile dai nostri organi responsabili di governo.

Tanto più che purtroppo ci troviamo in condizione di inferiorità non solo perché l’Inghilterra è più forte di noi, ma anche perché noi abbiamo bisogno dell’Inghilterra molto più di quanto essa non abbia bisogno di noi. Non vorrei che un inasprimento dei nostri rapporti causato dalla questione del T.L.T. potesse ripercuotersi sfavorevolmente nel settore africano annullando gran parte di ciò che si è poco a poco riusciti a ottenere. Giacché un ricorso a Washington – che nella stampa italiana sembra la panacea per tutti i mali – ci ricondurrebbe ancora una volta alla constatazione che Stati Uniti e Gran Bretagna sono sostanzialmente in linea su tutte le questioni che ci riguardano.

Questa lettera è diventata molto lunga; spero vorrai perdonare la mole e la franchezza e considerarla come l’espressione del pensiero di un devoto collaboratore, più che come una lettera dell’incaricato d’affari al segretario generale9.

P.S. Questa lettera era già scritta quando ho ricevuto la comunicazione per il rinvio delle elezioni, che mi pare già implicitamente commentata nel testo della lettera.


70 1 Vedi DD. 45 e 47.


70 2 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 298, 307 e 330.


70 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


70 4 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.


70 5 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.


70 6 Non pubblicato.


70 7 Vedi D. 53.


70 8 Vedi D. 58.


70 9 Per la risposta vedi D. 86.

71

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI INCARICATI D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,E A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. s.n.d. 7925/272 (Londra) 369 (Washington). Roma, 29 agosto 1951, ore 21,30.

(Solo per Washington) Suoi 905-9061.

(Solo per Londra) Suo 4342.

Governo italiano condivide che rinvio può creare atmosfera di serenità ed è disposto a favorire con ogni possibile sollecitudine l’apertura di conversazioni segrete. Esso spera che recentissime dichiarazioni del maresciallo Tito fatte ai diplomatici anglo-americani, il cui tenore preciso ancora non conosce, offrirà punto di partenza che renda tali conversazioni efficaci e conclusive, restando bene inteso che – come Dipartimento nordamericano mostra ritenere (vedi telegramma 906 Washington) – non si chiede ad Italia fare primo passo. Governo italiano ritiene però che rinvio di soli due mesi non significherebbe altro che prolungamento campagna elettorale. Onde ottenere lo scopo che gli Alleati molto lodevolmente si propongono ed il Governo italiano condivide, di ristabilire atmosfera lontana da pressioni elettorali, è necessario che rinvio sia per termine posteriore (primavera) o almeno che non si prestabilisca fin da ora un termine così vicino. Riconosce ovvio che rinvio venga motivato con ragioni amministrative che esistono in realtà e Governo italiano ne prenderà atto con soddisfazione3.


71 1 Vedi D. 68.


71 2 Vedi D. 67.


71 3 Per le risposte da Londra e Washington vedi rispettivamente DD. 82 e 73.

72

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 29 agosto 1951.

L’iniziativa per l’inclusione della Spagna nel sistema difensivo occidentale, partita dal Pentagono, ha superato le ultime resistenze del Dipartimento di Stato.

2. Praticamente quasi tutti i paesi del Patto atlantico hanno ammesso, almeno sul piano militare, l’utilità di tale inclusione. La Francia e l’Inghilterra sembrano ancora opporsi, ma solo per salvare la faccia.

Le nostre preoccupazioni, che l’organizzazione difensiva del settore del Mediterraneo avvenga senza di noi e in danno dei nostri interessi in questo settore, sono sollevate da un appunto del S.O.A.

3. In realtà né Francia né Gran Bretagna possono tollerare di essere escluse, a causa di accordi diretti ispano-americani, dall’organizzazione difensiva di una zona che intercetta la linea di comunicazione fra i loro territori metropolitani e basi di grande importanza come Gibilterra ed il Marocco: la loro resistenza andrà quindi – come nel caso della Turchia e Grecia – affievolendosi sempre più.

4. Di fronte al fatto quasi compiuto, sembra consigliabile rivedere il nostro atteggiamento nei confronti della Spagna.

Non esistono fra Italia e Spagna fondamentali motivi di dissenso. Ma il ritiro del nostro ambasciatore nel 1947 ha creato in Spagna un certo risentimento; abbiamo, è vero, di nuovo un ambasciatore a Madrid, ma il risentimento non è ancora calmato, anzi non è certo affievolito dal nostro atteggiamento in occasione della recente urgente richiesta spagnola di un prestito di grano.

Vi sono in ogni modo basi per la ripresa di più cordiali rapporti con la Spagna, come è dimostrato fra l’altro dall’invito rivolto in primavera (e non accolto) dal Governo spagnolo al sottosegretario Brusasca a visitare Madrid.

5. Questa ripresa, se voluta, sembra corrispondere ai nostri interessi.

Prescindendo da ogni valutazione politica dell’attuale regime spagnolo e considerando in ogni modo che il risentimento di un popolo può avere maggiore durata di un regime; che un regime può forse più facilmente evolversi in una comunità democratica che non al bando di essa, sembra opportuno tenere presente che assumere un atteggiamento negativo secondo le linee apparenti e attuali della politica britannica mentre è danno per l’Italia presenta anche lo svantaggio di doverlo a breve scadenza rivedere, probabilmente a rimorchio di altri e in condizioni e circostanze sfavorevoli per il nostro prestigio in Spagna.

Una distensione dei nostri rapporti con la Spagna ci permetterebbe di coordinare con essa i nostri interessi nel Mediterraneo e nei paesi arabi con i quali la Spagna mantiene cordiali rapporti.

Se poi noi non crediamo eccessivamente alle possibilità di resistenza della Jugoslavia in caso di conflitto, ragioni militari ci dovrebbero indurre a vedere con piacere una partecipazione spagnola alla difesa atlantica in quanto le basi militari stabilite in Spagna servirebbero a coprirci le spalle.

6. Per quanto riguarda l’eventuale incidenza di una nostra evoluzione nei riguardi della Spagna sui nostri rapporti con l’Inghilterra, credo si possa dire che il «clima» delle nostre relazioni con Londra non deve indurci ad avere eccessive preoccupazioni.

Non siamo certo tenuti a seguire la Gran Bretagna sul terreno ideologico, terreno minato dal diverso linguaggio che la stessa Gran Bretagna usa nei confronti della Jugoslavia e della Cina popolare.

L’atteggiamento inglese nella questione Jugoslavia-Trieste ci è sostanzialmente ostile; altrettanto può dirsi nella questione di una nostra partecipazione alla difesa del Mediterraneo orientale, senza poi soffermarsi su manovre non ben chiare in Alto Adige.

Per quanto riguarda noi e la Francia, il fatto che essa sembra convinta di dover ormai fare buon viso a cattivo gioco (anche perché diversamente dovrebbe rassegnarsi ad una specie di soluzione di continuità con il Marocco ed altri territori africani) non deve farci attendere a compiere un gesto che ora può tornarci utile, mentre domani potrebbe perdere molto di valore.

7. Non possiamo in definitiva ignorare la Spagna nel quadro europeo.

Il pericolo di una guerra può sovrastare ancora per parecchi anni e gli Stati Uniti non sembra potranno per un indefinito periodo mantenere un esercito in Europa: occorre quindi che l’Europa con l’aiuto americano provveda alla sua propria esistenza, con l’integrazione di tutte le sue parti componenti e quindi anche con la partecipazione spagnola.

Questi presupposti potrebbero essere utilizzati per evitare che nell’ormai certa, anche se più o meno rassegnata, adesione di tutti i paesi del Patto atlantico all’inclusione della Spagna nel sistema difensivo europeo, l’Italia appaia trascinata a rimorchio degli altri paesi del Patto atlantico.

Un gesto del genere non dovrebbe necessariamente rivestire forme pubbliche e solenni, ma a dissipare l’atmosfera un po’ pesante degli attuali rapporti italo-spagnoli basterebbe forse, per esempio, una dichiarazione confidenziale all’ambasciatore di Spagna sul favore col quale l’Italia segue le attuali conversazioni fra Madrid e Washington.

Qualora una simile linea di condotta venisse approvata, si potrebbe, a Ottawa, ove se ne presentasse l’occasione, fare delle brevi dichiarazioni che l’Ufficio ha già preparate, per il caso che V.E. approvi le considerazioni di cui sopra, se il problema venisse in discussione.

73

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segretissimo 10811/920. Washington, 30 agosto 1951, ore 22,40(perv. ore 8 del 31).

Suo 3691.

Ho qui illustrato atteggiamento italiano.

Dipartimento ha mostrato condividere nostro punto di vista necessità motivare rinvio con ragioni amministrative nonché inopportunità annunzio termine così prossimo da prolungare ed inasprire campagna elettorale anziché determinare distensione. A conferma tuttavia Dipartimento ha ricordato insistenze G.M.A. per elezioni e si è riservato consultare Gran Bretagna. Ho chiesto precisazioni su dichiarazioni Tito. Dipartimento ha risposto che a quanto risulta Tito ha detto soltanto che Trieste è problema centrale rimanente tra Jugoslavia ed Occidente e che pertanto egli è ansioso risolverlo.

Ho fatto presente impossibilità Italia faccia primi passi, non solo per evidenti motivi generali ma anche per ragioni tattiche. Infine ho chiesto se potevo confermare V.E. quanto dettomi titolo personale cioè che Governo italiano può avvicinare quello jugoslavo prendendo spunto dichiarazioni Tito. Ho formulato riserve su decisione italiana anche nel caso affermativo, non (dico non) perché Italia non sia disposta trattare ma perché potrebbe chiedere che Tito gliene rivolga direttamente richiesta.

Mi è stato risposto che mio quesito richiedeva consultazione Governo britannico, tantopiù che questo Governo, effettuando passi presso ambasciata Londra, non (dico non) ha menzionato dichiarazioni Tito o almeno le ha menzionate vagamente.


73 1 Vedi D. 71.

74

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 9697. Washington, 30 agosto 19511.

Ho l’onore di far seguito ai telegrammi di questi giorni, relativi alle eventuali trattative con la Jugoslavia sulla questione di Trieste.

L’invito, a noi rivolto dal Governo britannico, con l’appoggio di quello americano, a trattare con la Jugoslavia autorizza alcune ipotesi sulle recenti consultazioni anglo-americane, concernenti non soltanto le elezioni a Trieste e il problema generale del Territorio Libero, ma anche la revisione del trattato di pace.

La connessione, stabilita a Londra, fra il rinvio delle elezioni e la disputa italo-jugoslava in merito al Territorio Libero tende evidentemente a promuovere un componimento (o, almeno, un tentativo di componimento) della disputa, facendo leva sul nostro interesse a ottenere il rinvio.

Oltre a tale connessione, potrebbe essercene un’altra, non esplicitamente ammessa, ma altrettanto importante: quella fra il componimento della disputa e la revisione del trattato di pace.

In passato ho accennato a talune condizioni, la cui natura era allora da me ignorata, cui la Gran Bretagna e la Francia subordinavano la revisione del trattato di pace. Non mi sembra, oggi, arrischiato supporre che, per quanto concerne la Gran Bretagna, una (o forse la principale) condizione consistesse appunto nella soluzione della questione di Trieste.

Se così è, la pressione, esercitata sull’Italia mediante le elezioni di Trieste, rischia d’essere seguita da un’altra, consistente nel dilazionare il passaggio del «primo tempo» al «secondo tempo» della revisione.

Non voglio sottovalutare la gravità di questa situazione. Tuttavia vedo in essa due elementi, che ne attenuano la pericolosità: l’imminente viaggio di V.E. ed il modo con cui l’invito a trattare con la Jugoslavia ci è stato presentato dagli Stati Uniti.

Di Trieste, si sarebbe comunque parlato a Washington. Se ne sarebbe parlato a fondo e non soltanto in relazione ai singoli incidenti locali degli ultimi mesi.

Il quesito, se ci convenisse connettere la questione di Trieste con la revisione, sorgeva spontaneamente. Supposto che l’iniziativa britannica lo risolva positivamente e quindi ci tolga la scelta, ciò non significa necessariamente che la scelta si risolva a nostra danno.

In pratica, si tratta di vedere quale valore si attribuisca qui e a Londra alle auspicate trattative italo-jugoslave. Si vuole che l’Italia compia un altro tentativo di composizione della disputa, nella speranza di condurlo a buon fine secondo le sue vedute e nell’intesa che, se fallirà, la colpa ricadrà sulla Jugoslavia, mentre la revisione del trattato procederà egualmente? Se è così non vi è nulla di male a tentare. Si vuole invece che l’Italia si accordi con la Jugoslavia, a costo di abbandonare le posizioni mantenute finora e sotto pena di vedere la revisione rinviata alle calende greche? Se è così, il massimo allarme è giustificato.

La presentazione del problema, quale è stata fatta a me dal Dipartimento di Stato, avvalora la prima ipotesi. Mi è stato detto, a titolo personale ma esplicitamente, che: 1) ci si chiede soltanto di fare un tentativo; 2) ci si autorizza a prendere lo spunto dalle dichiarazione di Tito agli ambasciatori americano e britannico, cosicché l’iniziativa appaia jugoslava; 3) non ci si chiede di fare proposte concrete e tanto meno di discutere su basi diverse da quelle che abbiamo altre volte indicato (applicazione della Dichiarazione tripartita, con lievi rettifiche di frontiera in entrambe le Zone, a favore della Jugoslavia, lungo la linea etnica; 4) si è pronti a darci atto dell’onestà del nostro tentativo, qualora la trattativa su queste basi fallisca.

Malgrado ciò e malgrado il calore, certamente sincero, col quale si è voluto qui dissipare le preoccupazioni da me manifestate (un amico mi ha detto: «you saw the ghost under the bed») esiterei a raccomandare di accogliere l’invito a trattare con la Jugoslavia, prima che le affermazioni suesposte siano confermate esplicitamente e ufficialmente, non solo dagli Stati Uniti, ma anche dalla Gran Bretagna e prima che sia eliminata ogni subordinazione della revisione del trattato di pace al successo delle trattative per Trieste.

Allora, e soltanto allora, le trattative potranno essere ingaggiate in condizioni favorevoli. Se avranno esito favorevole, il Governo italiano avrà risolto il più grave e il più doloroso problema del dopo guerra. Esso avrà con ciò eliminato un serio ostacolo alla pacificazione degli animi in Italia, oltre che una fonte costante di malintesi con le potenze occidentali.

È mia impressione che gli Stati Uniti si siano associati al passo britannico principalmente per togliere alla Gran Bretagna un’arma polemica contro l’Italia. Mi sembra altresì di comprendere che la Francia abbia avuto in quest’occasione un atteggiamento amichevole (amici francesi di qui si sono espressi sfavorevolmente, con persone estranee a questa ambasciata, in merito al passo britannico e all’adesione americana ad esso). Tuttavia la forma che il passo ha avuto a Londra, e soprattutto la mancata o incompleta menzione dell’iniziativa di Tito, denotano un indirizzo poco rassicurante; e molti precedenti, di quasi inconscio slittamento degli Stati Uniti verso le tesi britanniche, rafforzano la preoccupazione. Pertanto un chiarimento delle intenzioni anglo-americane, precedente l’inizio delle trattative con Tito, si impone.

Se il chiarimento non sarà avvenuto prima della visita di V.E., questa offrirà la possibilità richiederlo con tutta franchezza, al più alto «livello».


74 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

75

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segretissimo 10865/925. Washington, 31 agosto 1951, ore 21(perv. ore 7 del 1° settembre).

Sono stato incaricato portare a conoscenza personale V.E. quanto segue, nella precisa intesa che non ne sarà data notizia ad alcuno.

Ambasciatore jugoslavo ha sollevato con Acheson problema Trieste. È stato meno ancora aperto di Tito, limitandosi domandare quale fosse atteggiamento americano. Acheson risposto che problema Trieste, ultimo problema territoriale insoluto dopoguerra, sembra grave Stati Uniti perché nuoce ad organizzazione difesa Occidente e perché può offrire Russia pretesto intrighi. Ha detto che pertanto Italia e Jugoslavia debbono fare ogni sforzo per risolverlo, anche costo sacrifici. Ha concluso affermando non (dico non) poter formulare proposte concrete ma essere convinto soluzione può essere raggiunta soltanto attraverso accettazione principi etnici.

Ambasciatore jugoslavo non (dico non) ha reagito ed ha promesso riferire suo Governo.

Dipartimento di Stato attribuisce dichiarazione Acheson notevole importanza perché dovrebbe togliere Jugoslavia illusione che Stati Uniti possano appoggiare tesi ad essa più favorevole del principio etnico.

76

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. urgente 029. New York, 31 agosto 1951(perv. il 3 settembre).

Riferimento: Telespressi ministeriali nn. segr. pol. 1482 dell’8 agosto e 11/12942/c. del 17 agosto u.s.1.

Questo delegato del Brasile, che ho veduto ieri, mi ha detto che non aveva ancora ricevuto alcuna comunicazione da parte del suo Governo. Siamo rimasti d’accordo che avremmo ripreso la conversazione allorché tale comunicazione gli fosse pervenuta.

In questo primo contatto abbiamo, di comune accordo, passato in rassegna le varie ipotesi. Per quanto riguarda il progetto di far prendere all’Assemblea generale, presumibilmente per iniziativa delle tre grandi potenze, una decisione formale per la revisione del nostro trattato, 1’ambasciatore Muniz mi ha detto che, mentre egli non dubitava affatto dell’atteggiamento favorevole del suo Governo, e per parte sua sarebbe stato pronto ad appoggiarlo presso i suoi colleghi dell’America latina, tuttavia non lo riteneva di facile esecuzione. Mi ha ricordato, come già sapevo e a suo tempo ho riferito a V.E., che all’Assemblea di San Francisco, quando si gettarono le basi del presente Statuto, molti Stati si dichiararono contrari ad accordare all’Assemblea, o a qualsiasi altro organo dell’O.N.U., il potere di rivedere o riformare i trattati vigenti. La situazione è sostanzialmente identica. Vi sono ancora, tra gli Stati latino-americani e non soltanto tra quelli, paesi revisionisti e paesi anti-revisionisti. Sebbene egli, Muniz, non dubitasse dell’efficacia dell’azione persuasiva che dovrebbero svolgere in questo caso le grandi potenze iniziatrici del progetto, tuttavia temeva che in Assemblea e in sede di discussione si riproducesse la stessa situazione, con gli stessi contrasti, che alla riunione di San Francisco.

Molto più rimunerativa, a suo parere, sarebbe stata una procedura per la quale la revisione venisse decisa fuori dell’Assemblea dalle tre grandi potenze, lasciando poi all’Assemblea il compito di prenderne atto e di richiedere, se non addirittura decidere, l’ammissione dell’Italia nelle Nazioni Unite. Questo Muniz aveva l’aria di non ritenere del tutto impossibile.

È venuto a trovarmi nel frattempo il delegato di San Salvador il quale mi ha detto che il suo Governo gli aveva dato istruzioni di appoggiare qualsiasi iniziativa in questo senso, in favore dell’Italia, e di tenersi in contatto con me.

Per le ragioni che ho esposto oggi stesso in una mia lettera al segretario generale2 queste prime conversazioni, data l’incertezza circa la forma definitiva della procedura da adottarsi, mantengono un carattere principalmente esplorativo.


76 1 Il primo telespresso non è stato rinvenuto, il secondo riassumeva l’atteggiamento di 15 paesi latino-americani sulla revisione del trattato di pace.


76 2 Non rinvenuto.

77

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 2417. Bled, 31 agosto 1951(perv. il 3 settembre).

Facendo seguito al mio telegramma n. 231, mi onoro riferire a V.E. la conversazione avuta con questo ambasciatore degli Stati Uniti, signor Allen, in relazione al colloquio del signor Harriman con il maresciallo Tito sul problema di Trieste.

Harriman conosceva poco il problema e durante il viaggio in aereo tra Belgrado e Lubiana Allen ha cercato di illustrarglielo. Ma Harriman, mi ha detto Allen, era molto stanco. Non era quindi in condizione, anche se lo avesse voluto, di entrare in dettagli durante la conversazione con Tito.

Allen avrebbe anzi voluto che dopo Bled Harriman si fermasse almeno qualche ora a Trieste: ma questi non ne aveva il tempo e ha promesso ad Allen che avrebbe ... sorvolato il Territorio Libero due o tre volte prima di far dirigere l’aeroplano a destinazione.

Tra Harriman e Tito si è parlato piuttosto brevemente del problema ed i punti della conversazione in proposito sono stati riassunti da Allen nel rapporto riservato diretto al Dipartimento di Stato, e che egli mi ha cortesemente letto, nei termini da me comunicati nel suindicato telegramma.

Nel rapporto Allen ha omesso i punti relativi all’importanza ed all’urgenza della soluzione del problema di Trieste che, più o meno chiaramente, risultano dalle varie redazioni della conferenza stampa tenuta da Harriman.

Comunque Allen mi ha confermato che le dichiarazioni di Harriman ai giornalisti sono conformi al testo che ho inviato in lingua inglese, e che questa ambasciata degli Stati Uniti ha redatto e inviato allo stesso Harriman in base agli appunti stenografici presi durante la conferenza stampa da una segretaria della stessa ambasciata.

Quindi, in sostanza, si può concludere che da parte americana si sia fatta notare l’importanza della questione e di una soluzione della stessa, che Tito ne abbia convenuto: ma che da parte jugoslava, mentre si è mostrato il desiderio di risolverla, non si siano in realtà fatti passi per giungere ad una reale soluzione. Né risulterebbe in forma esplicita che Tito ed Harriman avrebbero convenuto sull’urgenza di risolvere la questione, come alcuni giornalisti presenti alla conferenza di Harriman hanno affermato.

L’unico punto interessante può quindi considerarsi soltanto quello che da parte americana si sia fatta presente a Tito la opportunità e la importanza che la questione di Trieste venga risolta.

Continuando la conversazione Allen mi ha detto di avere sulla questione intrattenuto Tito durante la sua recente visita a Brioni. Come, pure a Brioni, ha intrattenuto Tito sulla questione questo ambasciatore di Gran Bretagna, signor Peake.

Allen avrebbe sottolineato al maresciallo la opportunità di risolvere la questione anche perchè da essa possono dipendere altre questioni, quale quella della revisione del trattato di pace con l’Italia e la conclusione del trattato di pace con l’Austria, che l’Unione Sovietica vuole legare alla questione di Trieste.

Tito avrebbe dimostrato comprensione verso questo punto di vista aggiungendo che la questione di Trieste sarebbe l’unica vera controversia esistente tra Jugoslavia da una parte e Italia e Occidente dall’altra.

Successivamente Allen ha avuto un’altra conversazione con questo ministro aggiunto Vilfan.

Allo scopo di esplorare le reali intenzioni jugoslave, Allen avrebbe chiesto spiegazioni sul desiderio dimostrato dal Governo jugoslavo di risolvere la questione, dal momento che in definitiva lo statu quo sembra realizzare il desiderio jugoslavo di tenere per sé la Zona B lasciando eventualmente la Zona A all’Italia.

Vilfan ha risposto che il Governo jugoslavo desidera una soluzione sulla quale l’Italia sia d’accordo, perchè in tal modo si eliminerebbe la sola grossa questione che esiste tra i due paesi, e ciò permetterebbe uno sviluppo delle relazioni tra di essi. Ad Allen è sembrato che questo punto di vista fosse espresso con sincerità.

Sempre secondo Allen, le impressioni che egli avrebbe tratto da questi ultimi colloqui con esponenti jugoslavi sarebbero un po’ differenti da quelle che ne ha tratto Peake.

Allen pensa che gli jugoslavi potrebbero venire a qualche accomodamento attraverso scambi di comuni della Zona B con comuni etnicamente sloveni della Zona A. Peake invece penserebbe che da parte jugoslava non si voglia cedere praticamente nulla della Zona B.

E purtroppo la mia impressione è più vicina, nel momento attuale, a quella di Peake.

Le apparenze sono infatti nel senso che da parte jugoslava si sia fatto qualche passo indietro piuttosto che avanti rispetto a certi punti cui era giunto l’attuale ambasciatore a Londra, Brilej2. Ricordo infatti che l’anno scorso a Londra, sia pure in una conversazione amichevole, post prandium, Brilej aveva accennato che se l’Italia avesse accettato il punto di vista della spartizione del T.L.T. sulla base dello statu quo, si sarebbero potute concordare modifiche di frontiere attraverso scambio di comuni e senza tener conto rigoroso e proporzionale di quanto della Zona A fosse stato eventualmente ceduto alla Jugoslavia. In sostanza, la Jugoslavia avrebbe potuto cedere della Zona B più di quello che avesse avuto della Zona A.

Questa mia impressione è confermata dal maggiore pessimismo che mi pare di avere riscontrato in Davies e in Peake rispetto all’anno scorso.

Per concludere quanto mi ha detto Allen, aggiungo che egli mi ha confermato, quanto già dettomi altra volta, che egli ha istruzioni dal Dipartimento di Stato di sottolineare a questo Governo la importanza e opportunità di risolvere la questione di Trieste, ma non di entrare in dettagli di eventuali soluzioni, che può solo formare oggetto di conversazioni dirette tra Italia e Jugoslavia.

Politica prudente e, da parte nostra, apprezzabile perché conversazioni di tal genere con il Governo jugoslavo, senza il nostro intervento, potrebbero portare insensibilmente a soluzioni lontane dalle nostre aspirazioni.

Aggiungo ancora che Allen ha incidentalmente osservato che per la posizione eccentrica del porto di Trieste rispetto al resto dell’Italia l’economia triestina rischierà di soffrire quando Trieste passasse sotto la sovranità italiana. Il che potrà condurre ad una maggiore disoccupazione e quindi ad un maggior campo di azione per il comunismo.

Ho risposto che noi ci rendiamo conto che il porto di Trieste deve servire anche altri Stati come nel passato, e che ad alcuni di essi, compresa la Jugoslavia, si potranno accordare agevolazioni, che potranno così assicurare maggiore attività al porto con vantaggio dell’economia triestina.

Per concludere, mi permetto sottolineare che, allo stato attuale, la posizione jugoslava sul problema di Trieste resta quella espostami da Mates nel marzo del 19503 e che nessun passo avanti è stato fatto neppure dopo le dichiarazioni del ministro Sforza relative ad una possibile soluzione sulla base della linea etnica. Tale proposta rappresentava già un minus rispetto alla Dichiarazione tripartita del marzo del 1948. Tuttavia, da parte jugoslava non si è cercato di venire incontro, con qualche nuova proposta, al punto di vista del ministro Sforza.

A mio sommesso avviso mi pare quindi che a eventuali consigli e suggerimenti, per non dire pressioni, anglo-americani si possa rispondere che da parte italiana, nonostante il pericolo di infirmare la Dichiarazione tripartita, si era cercato di gettare un ponte per una intesa con la Jugoslavia, ma che questa non ha dimostrato altrettanta buona volontà, irrigidendosi su vecchie posizioni. È quindi essa che dovrebbe fare ora un passo verso di noi.

D’altra parte mi pare estremamente pericoloso, dato questo atteggiamento jugoslavo, abbandonare, avanzando nuove proposte, la via della linea etnica, che costituisce la base e l’argomento più equi e giusti per un eventuale accordo.


77 1 Del 30 agosto, con il quale Martino nel riferire sulla conferenza stampa di Harriman aveva tra l’altro comunicato: «… Inoltre in rapporto riservato mandato a Washington su conversazioni Harriman-Tito (di cui mi ha fatto leggere passo relativo questione Trieste) Allen ha riferito: 1) che Tito ha espresso sua irritazione su campagna stampa italiana contro Jugoslavia; 2) che Tito e Kardely hanno dichiarato di non poter concordare su restituzione Zona B all’Italia; 3) che Harriman dopo tali dichiarazioni rilevava estrema delicatezza soluzione della questione Trieste».


77 2 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 179, 184, 274, 375 e 496.


77 3 Ibid., D. 282.

78

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 1723. New York, 31 agosto 1951.

Rispondo alla tua lettera segr. pol. 1495 dell’11 corr.1, e ti assicuro che ho già iniziato i primi contatti con i miei colleghi latino-americani. Su questa parte dell’argomento riferiscono a parte2.

Non sono ancora ben sicuro di aver capito esattamente cosa ci proponiamo di raggiungere, con quali mezzi e in quale momento. È evidente che non si può stabilire oggi, quando ancora tanti elementi sono incerti, quale sarà il nostro programma d’azione; conviene, per necessità oltre che per tattica, tener presenti varie soluzioni, Quello che mi propongo di fare, il più brevemente possibile, è di prospettarti come le vedo io, queste varie ipotesi. Incidentalmente, sono stato l’altro giorno per servizio a Washington e ho veduto comunicazioni vostre, di Quaroni e di Gallarati Scotti di cui ero completamente all’oscuro. Non credi che sarebbe meglio che io fossi informato di tutto? Non lo dico per mania monopolistica, ma anzi in uno spirito di cooperazione.

Per ritornare alla questione in sé, mi sembra di poter individure di qua due ipotesi principali. La prima, quella prospettata nella tua lettera, (se ho ben capito) è che la revisione del trattato di pace venga portata, immagino per iniziativa delle tre grandi potenze, innanzi alla Assemblea generale. Mio compito sarebbe in questo caso di fiancheggiare con un’azione che dovrei svolgere presso i delegati alle Nazioni Unite (non soltanto, presso i latino-americani) l’azione principale che voi, Ministero, svolgereste attraverso le rappresentanze nelle singole capitali.

La seconda ipotesi è quella che, salvo errore, si prospettava Schuman nella sua conversazione con Quaroni (lettera di Jannelli n. 13252/43 del 22 corr.)3 cioé che le tre potenze comunichino all’Assemblea generale la loro dichiarazione per la revisione del trattato. L’Assemblea, sempre secondo questa ipotesi, ne prenderebbe conoscenza: e allora si aprirebbe la possibilità cui ha accennato Schuman di ottenere dalla stessa Assemblea «un’azione diretta ad ottenere una manifestazione in favore dell’ammissione dell’Italia pura e semplice». Si possono fare naturalmente varie sottoipotesi, ma queste due mi sembrano le principali.

Ora, la prima delle due mi sembra che ci conduca sostanzialmente a questo: ad ottenere una dichiarazione solenne per la revisione in cambio di ogni possibilità attuale di tentare l’ammissione nelle Nazioni Unite. La ragione è semplice. L’Assemblea ha poteri sovrani, e lo dimostra prendendo una così grossa iniziativa quale è, nell’ipotesi, la revisione del trattato. Ma l’Assemblea ha anche il potere di rivedere e modificare alcune clausole del trattato se l’Italia fosse membro dell’O.N.U. Naturalmente alludo alle clausole militari. Perché allora dovrebbe prendere questa strada, sulla quale incontreremo certo grosse difficoltà allorché la via maestra sarebbe quella di farci prima membri dell’O.N.U. e poi procedere alla revisione? Direi anzi che uno dei «considerando» essenziali di una risoluzione di questo genere dovrebbe essere: «visto che l’Italia non ha potuto essere ammessa all’O.N.U. e con ciò le è mancata la possibilità ecc.». Questo risulta chiaramente da una lettera di Quaroni che ho letto a Washington. Ma direi che risulta chiaramente da qualsiasi esame obiettivo della situazione. A titolo di esperimento mi son provato a buttar giù un progetto di risoluzione di questo genere, e te lo accludo4 con preghiera di leggerlo e di pensarci un momento su. Non vedo come si possa sfuggire a questa conseguenza.

La seconda ipotesi, invece, permetterebbe di realizzare fuori dell’Assemblea la revisione, in Assemblea di tentare, secondo lo stesso suggerimento di Schuman, la nostra ammissione all’O.N.U.

Ora vorrei fare un passo indietro e cercare di vedere e di valutare insieme a te quel che ci proponiamo di raggiungere. La revisione in sé stessa vuol dire tre cose: soppressione del Preambolo e dichiarazione morale che siamo delle brave persone (ho visto quel che ne pensa Quaroni5, e dal punto di vista teorico, diplomatico, non gli so dar torto; resta naturalmente il lato di politica interna); riconferma, per quel che vale e come semplice riferimento di carteggio, della Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 per Trieste6; libertà di riarmare oltre i limiti imposti dal trattato.

I due primi punti valgono quel che valgono, cioè il primo pochissimo, il secondo nulla. E il terzo? Con te non ho bisogno di spiegarmi con troppe parole. È quello che, forse, e anche in questo «forse» per ragioni prevalentemente di loro politica interna, preme piú agli americani. Ma per noi, dati i nostri umori e le nostre possibilità, è un regalo più che dubbio. Il prezzo di tutto questo sarebbe, come ho detto, la rinuncia a presentare, in un momento che potrebbe essere favorevole, la questione della nostra ammissione all’O.N.U. Non ti sembra un prezzo troppo alto? Debbo attirare la tua attenzione più seria su questo punto.

La seconda ipotesi, ripeto, permetterebbe di realizzare l’uno e l’altro obiettivo. Anche per questo mi sono provato a stendere un progetto di risoluzione che ti accludo.

Naturalmente vedo bene tutte le obiezioni che tu e Jannelli potete farmi. La prima è radicale. Se gli Alleati arrivano alla conclusione che non c’è altro modo di rivedere il trattato che attraverso una decisione dell’Assemblea tutti questi ragionamenti rimangono in piedi ma diventano inutili. La seconda è che forse non riusciremmo ad ottenere l’appoggio indispensabile di tutte e tre le grandi potenze, e la stessa maggioranza dell’Assemblea, per un’azione che sostanzialmente consiste nel rovesciare una disposizione dello Statuto (non che non sia stato fatto altre volte) e un parere esplicito della Corte Suprema. Riconosco anche la giustezza di quello che dice Quaroni quano sconsiglia di mettere troppa carne al fuoco. L’avevo detto io stesso, molto prima, in una mia lettera a Jannelli. Ma qui si rischia di fare confusione. Il problema della revisione è un problema globale e include naturalmente, deve includere, anche la nostra ammissione all’O.N.U. È questo anzi il solo pezzo d’arrosto in mezzo a tanto fumo. Ma si mette troppa carne al fuoco, anzi diviene impossibile di metterla, se si pretende di portare revisione e ammissione alla decisione dell’Assemblea. Non c’è affatto confusione se si tengono le due cose distinte, riservando la revisione ad una dichiarazione delle tre potenze, l’ammissione all’Assemblea. Il Governo, in modo particolare il presidente nei suoi colloqui di Washington, dovrebbe, se il mio ragionamento è esatto, porre il problema nel suo insieme e indicare le due differenti procedure per le due parti differenti.

Ritornando alla mia modesta azione locale, io, come ti ho già detto, l’ho iniziata. Ma mi sembra inevitabile che in questo primo tempo e sinché non sia risolto questo fondamentale dilemma, mi debba limitare a sondaggi generici.

Ti pregherei intanto di farmi sapere quel che pensi della questione generale; se possibile, dato che il tempo stringe, per telegramma7.


78 1 Vedi D. 35, nota 2.


78 2 Vedi D. 76.


78 3 Ritrasmissione del D. 36.


78 4 Non pubblicato.


78 5 Vedi D. 6.


78 6 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


78 7 Con il T. segreto 8088/77 del 4 settembre Zoppi rispose: «Tua lettera 1723. Questione revisione sembra attualmente avviata verso dichiarazione tre potenze e per tale eventualità abbiamo inviato Washington istruzioni del caso. Per questione ammissione O.N.U. tuo progetto risoluzione sembrami interessante. Preparane testo inglese. Pregoti anche provvedere per presidente del Consiglio breve riassunto storico, giuridico, politico tale ultima questione».

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 8039/388. Roma, 1° settembre 1951, ore 21.

Suoi 9201 e 9242.

Onde ottenere rinvio credo opportuno far capire di essere disposti a conversare richiamandosi a dichiarazione fatta da Tito a Harriman3 che questione va risoluta; ma poiché abbiamo previsto lungo periodo, ritengo ovvio che si svolgano prima le conversazioni mie a Washington. In caso contrario un immediato contatto che fosse negativo, anche se, come suppone Dipartimento Stato, si mantenesse confidenziale, porterebbe la mia missione a fallimento. Conviene quindi dare precedenza nel tempo a mie conversazioni costà anche richiamandosi al fatto che trattative non potrebbero farsi me assente.


79 1 Vedi D. 73


79 2 Dal 31 agosto, non pubblicato.


79 3 Vedi D. 77.

80

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. segreto 8042/394. Roma, 1° settembre 1951, ore 23,30.

Suoi 547-5481.

Nostra adesione a principio esercito europeo e a Conferenza per concretamento tale principio non (dico non) infirmata né attenuata. Tuttavia al punto attuale è necessario procedere con posizioni definite e precise che impegnino Governi. A tal uopo opinione Governo italiano sarebbe per ripresa conversazioni dopo riunione Ottawa. Comunque non è possibile per parte nostra che ripresa avvenga senza preventiva definizione del Consiglio ministri. Aggiungasi anche necessità nomina nuovo presidente delegazione in mia sostituzione. Proposta Alphand di inviare nostro esperto a riunioni Comitato direttivo darebbe impressione che continuiamo negoziati senza posizioni precise circa rapporto interinale e in stato permanente incertezza: proprio questo si intende evitare. Comunichi pure quanto precede al Quai d’Orsay.


80 1 Del 31 agosto, non pubblicati.

81

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 10858/194. Londra, 1° settembre 1951, ore 0,15(perv. ore 7).

Achilles venuto a vedermi mi ha detto che Acheson sotto il punto agenda Ottawa relativa «futuri sviluppi N.A.T.O. esclusi piani difesa» confermerà interesse e desiderio sempre più vivi Stati Uniti perché effettivi progressi vengano compiuti verso realizzazione comunità atlantica in qualunque campo possibile, indipendentemente comune sforzo difesa su cui paesi atlantici sono attualmente costretti concentrarsi sotto incombente gravissima minaccia aggressione. A tale scopo Acheson proporrebbe a Consiglio atlantico costituzione di uno «Steering Committee» permanente formato da un ristretto numero di ministri degli affari esteri con compito di studiare come e in quale settore tali effettivi progressi potrebbero essere realizzabili ed avanzare al riguardo precise proposte a Consiglio atlantico.

Acheson esprimerebbe inoltre desiderio Governo americano che scambio informazioni politiche venga continuato da Consiglio sostituti ed anzi intensificato in modo che Governi atlantici possano svolgere rispettive attività politiche tenendone presente risultato. Achilles ha insistito nel concetto che tale scambio informazioni non vincolava politica dei singoli paesi.

Ho chiesto ad Achilles come Washington immaginasse composizione dell’accennato «Steering Committee». Egli ha detto che si trattava di idea ancora molto generale ma che non era detto che di tale comitato dovessero necessariamente fare parte tre grandi accennando anzi a possibile partecipazione Canadà quale paese continente americano. A mia domanda circa numero Stati di cui secondo Washington comitato avrebbe dovuto essere composto, Achilles dopo una certa esitazione ha indicato, come propria idea, che Stati rappresentati avrebbero potuto essere 4 o 5.

Ho detto ad Achilles che non ero in grado di anticipargli reazioni V.E. ma che ero sicuro che avremmo considerato proposta americana con particolare interesse tanto più che qualora tale comitato fosse stato costituito non vedevo come non avremmo potuto non esservi compresi.

Passando a questione Grecia e Turchia Achilles mi ha poi detto che Dipartimento Stato riteneva per certo che ad Ottawa sarebbe stata decisa loro accessione a Patto atlantico, che questione Comando Medio Oriente era ormai virtualmente regolata nel senso che comandante supremo sarebbe stato inglese alle dipendenze di un comitato militare formato da capi Stato Maggiore paesi che forniranno forze, che detto comitato militare avrà come suo organo permanente Standing Group formato da medesime persone che compongono Standing Group N.A.T.O. le quali avranno quindi, come egli si è espresso, «due cappelli». Mi ha detto infine che era da prevedere che ad Ottawa anche paesi scandinavi e Olanda avrebbero finito per desistere da loro opposizione.

82

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. personale 10900-10891/437-438. Londra, 1° settembre 1951, ore 16,06(perv. ore 21).

Ho comunicato al sottosegretario Mason contenuto telegramma 2721. Circa punto partenza conversazioni Mason mi ha detto recenti colloqui Tito con ambasciatore d’Inghilterra ed ambasciatore Stati Uniti2 nonché Kardelj-Dajes hanno indicato chiaramente desiderio Tito iniziare conversazioni per trovare soluzione problema T.L.T.

Espressione tale desiderio costituisce quindi apertura che è sperabile sia da noi raccolta. Mason ha confermato che Governo inglese come Governo americano è molto interessato felice sviluppo trattativa e a tal fine non avrebbe mancato svolgere a Belgrado azione opportuna; del resto stessa apertura jugoslava costituisce prova della già discreta svolta.

Circa elezioni amministrative ho insistito vivamente perché data sia rinviata primavera.

Mason ha obiettato difficoltà giustificare amministrativamente rinvio oltre 31 dicembre. Ho fatto rilevare che termine così ravvicinato, mentre che rispecchierebbesi in prolungamento campagna elettorale, potrebbe offrire Jugoslavia occasione tirar in lungo negoziati e sfruttare poi imminente scadenza elezioni come mezzo indiretto pressione. Tale [esito] frusterebbe scopo stesso per cui rinvio viene deciso. Mason mi è sembrato nel complesso sensibile nostre argomentazioni e venire incontro a noi dopo necessarie consultazioni.

Mi ha promesso risposta al più presto.

Ho prospettato questione delicata anche a Dixon il quale sarà principale collaboratore Morrison in consultazioni a tre Washington. Egli ha mostrato apprezzare nostro atteggiamento ed ha espresso comprensione per nostra richiesta. Ha aggiunto certamente inizio trattative con Belgrado faciliterebbe prossima discussione Washington revisione trattato di pace.

Permettomi aggiungere anche in relazione telegramma ministeriale 2713 che quanto ci si chiede qui è solo iniziare contatti per la soluzione della questione T.L.T. in conformità intesa Londra marzo scorso4 e che mai ci è stato fatta alcuna pressione – nemmeno in conversazioni amichevoli – nei riguardi sostanza negoziati. Principio linea etnica ha trovato sempre comprensione questi ambienti; e quindi mi sembra che nostra adesione invito anglo-americano trattare in base asserite disposizioni manifestate da Belgrado, costituirebbe modo migliore dimostrare buona volontà ed eventualmente intransigenza jugoslava, ciò che ci porrebbe favorevole posizione a Londra e Washington.

Ho chiesto a consigliere americano cosa gli risultasse circa recenti dichiarazioni Tito ad ambasciatori Stati Uniti e Gran Bretagna menzionate da Dipartimento Stato a Luciolli. Egli mi ha detto che riteneva trattarsi due colloqui avuti da Tito separatamente con Allen e Peake. In ambedue maresciallo ha manifestato favorevoli disposizioni risolvere questione T.L.T. scopo chiarificare suoi rapporti occidentali. Ad Allen Tito ha dichiarato rendersi conto esigenze italiane riconoscendo specificatamente nel corso conversazione carattere italiano Capo d’Istria (dico Capo d’Istria).

Con Peake è stato più riservato limitandosi a riconoscere necessità soluzione accettabile due parti. Mio interlocutore mi ha confermato che sembragli momento ancora favorevole per negoziati. Informazione essendomi stata data a titolo confidenziale, pregherei non rivelarne fonte naturalmente.


82 1 Vedi D. 71.


82 2 Vedi D. 77.


82 3 Del 29 agosto, ritrasmetteva il D. 68.


82 4 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 298, 307 e 330.

83

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

Telespr. segreto 1615/c. segr. pol.1. Roma, 1° settembre 1951.

Riferimento: Telespresso n. 20/13127/c. in data 21 agosto 19512 di questo Ministero.

L’ambasciatore al Cairo ha comunicato in data 14 agosto quanto di seguito si trascrive in merito all’argomento in oggetto:

[…]3.

Le informazioni dell’ambasciata al Cairo confermano a quanto sembra il punto di vista di questo Ministero (v. telegramma del 30 luglio)4 circa l’opportunità per l’Italia di non svolgere un’azione di primo piano in una vertenza delicatissima, nella quale gli eventuali nostri interessi politici attuali sono in contrasto con il nostro punto di vista giuridico e con i nostri interessi economici permanenti, vertenza d’altra parte che non può essere isolata da quella più generale dei rapporti arabo-israeliani.

Il fatto d’altra parte che lo stesso Governo egiziano non gradisca una azione di mediazione e che nessun cenno sia stato fatto al Cairo alle eventuali concessioni che l’Egitto sarebbe stato pronto a fare sul terreno pratico per risolvere la vertenza conferma questo Ministero nella convinzione che il problema è assai più complesso di quello che può apparire nell’ambito del Consiglio di sicurezza e che convenga quindi a noi seguire la questione con estrema attenzione ma anche con la necessaria prudenza per evitare di allontanarsi da quell’atteggiamento nei confronti del conflitto arabo-israeliano che, ai lumi delle esperienze di questi ultimi anni, appare ancora il più opportuno.


83 1 Indirizzato anche alle legazioni ad Amman, Baghdad, Beirut, Copenaghen, Damasco, Gedda, Oslo, Pretoria, Sidney e Tel Aviv e alla rappresentanza presso l’O.N.U.


83 2 Ritrasmetteva il Telespr. 3056/1105 del 31 luglio dal Cairo, con il quale Ferrero aveva riferito sulle conseguenze che il fermo del piroscafo inglese «Empire Roach» in acque egiziane aveva determinato nei rapporti tra i due paesi.


83 3 Seguiva il testo della comunicazione citata, qui pubblicata al D. 48.


83 4 Vedi D. 12.

84

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1618 segr. pol. Roma, 1° settembre 1951.

Ti mando un appunto del presidente relativo al progetto francese (a quest’ora presentato anche costì) relativo alla questione della revisione del trattato1. Le osservazioni del presidente si riferiscono all’aspetto morale e a quello sostanziale della proposta francese e credo che anche tu concorderai con esse.

Elaborando le direttive del presidente mi pare si possano fare le seguenti considerazioni:

La parte relativa alla «questione morale» è redatta con una fraseologia insoddisfacente.

Il progetto sottolinea (para. 2) quella parte della dichiarazione di Potsdam da cui derivarono gli «impegni» di istituire e sviluppare un regime pienamente democratico, di cui alle clausole politiche (art. 15 e seguenti). È poi da tenere presente che certe «dichiarazioni di lode» perché siamo diventati dei bravi ragazzi, provocano qui più insofferenza che compiacimento.

Non è nemmeno felice il ricordo che certe restrizioni e discriminazioni furono «ispirate dalla diffidenza».

Si dovrebbe cercare di ottenere una diversa formulazione del para. 2; che per es. sviluppi il concetto che i ministri degli affari esteri della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti hanno constatato come l’Italia, nazione cobelligerante già prima della fine dell’ultima guerra, e conformemente alle sue tradizioni democratiche, ha apportato, in ogni circostanza, alla lotta dei popoli liberi tutta la sua solidarietà.

Per conseguenza, il para. 3 potrebbe per es. essere redatto nel senso che i ministri riconoscono che esiste una situazione anormale, venuta a crearsi in conseguenza del fatto che l’Italia, pur avendo partecipato ai sacrifici imposti ai popoli liberi dalla difesa della loro libertà, si trova oggi in condizioni incompatibili con la sua posizione di perfetta uguaglianza con i paesi associati agli scopi costruttivi delle nazioni libere.

È poi troppo generico e blando, in quanto espresso attraverso un mero «rincrescimento» (para. 5), l’accenno al fatto che, contrariamente alle disposizioni del trattato ed in conseguenza di un veto sistematico ed ingiusto, l’Italia non abbia avuto prima d’ora la possibilità di ottenere la revisione del trattato medesimo. Ancora più blanda è la frase secondo cui le «tre potenze si sforzeranno di permettere» il nostro ingresso all’O.N.U. Sapendo che col veto sovietico ciò è impossibile alla stato dell’esperienza sin qui fatta, la frase suona come una fiche de consolation senza pratiche conseguenze. Noi chiediamo alle tre potenze non di «sforzarsi di permettere» ma di svolgere una concreta azione perché l’impegno assunto verso l’Italia venga mantenuto.

Paragrafo 7. È preferibile una formula meno annacquata; per es.: «Le tre potenze s’impegnano ad esercitare i loro buoni uffici presso gli altri firmatari del trattato di pace perché aderiscano alla presente dichiarazione che, per le tre potenze, ha effetto immediato».

In considerazione delle disposizioni dei Tre, quali riferite dalle nostre ambasciate a Parigi, a Londra e Washington, relativamente alla parte morale del trattato, non dovrebbe essere difficile, mi sembra, arrivare, in questa materia, ad una redazione più soddisfacente.

A questo proposito riteniamo indispensabile che la formula venga concordata con noi allo scopo di evitare qualche frase che agli altri può anche parere ottima, ma che invece, potrebbe avere effetti controproducenti sulla nostra opinione pubblica; il che guasterebbe tutto.

Passando alla parte sostanziale:

I para. 3, 4, e la evidente connessione tra essi lasciano dubitare, o lasciano in chi legge la impressione che ci si voglia riferire esclusivamente alle clausole militari. Infatti l’unico accenno ad un elemento concreto è quello della «difesa». Ma anche a prescindere dai nostri interessi in materia di clausole economiche, occorre nuovamente prospettare che ovvie ragioni di politica interna non consigliano di centrare la revisione sulle sole clausole militari.

Pur mantenendo un tono «fluido» alla dichiarazione, per evitare che unanostra insistenza per maggiori precisazioni induca ad eccessive «prudenze» che limitino la portate della dichiarazione stessa, occorre lasciare la porta apertaanche alla revisione di altre clausole. Per darti una idea di come vediamo larevisione di quelle economiche, ti mando uno studio del S.E.T.2. Questo studio era stato fatto in vista di esporre, dopo la dichiarazione, il nostro punto di vista sulla applicazione alle clausole economiche della dichiarazione stessa. È da tenere presente che si tratta di un documento interno non ancora approvato dagli altri ministeri interessati.

Relativamente al para. 4 e alle frasi «per ciò che le riguarda» e «sotto riserva dei diritti acquisiti dai terzi» osserviamo che le tre potenze, con la dichiarazione, si impegnerebbero evidentemente solo in proprio e che quindi tale inciso è superfluo e poco felice. Mentre il loro impegno servirebbe di influente esempio agli altri contraenti perché si regolino nello stesso modo, la riserva implicita finirebbe col rafforzare l’opposizione eventuale dei terzi. Se tale dizione permane, riserve del genere potrebbero essere invocate anche per le clausole militari, di cui invece tutti i Tre sono d’accordo nel desiderare l’abolizione. Se è nelle intenzioni del ministro Schuman di salvaguardare i diritti dei terzi per le clausole economiche, non dovrebbe essere difficile arrivare ad una più soddisfacente redazione, ricordando che ancora recentemente noi abbiamo dato alla Grecia e alla Jugoslavia assicurazioni che non saremmo venuti meno agli impegni presi con tali paesi in base ad accordi bilaterali che già costituiscono una revisione del trattato. Quando nel quadro della dichiarazione, si venisse a trattare delle clausole economiche si vedrebbe comunque come salvaguardare i diritti dei terzi.

Il progetto non prende, naturalmente, in considerazione le clausole territoriali. Ciò tuttavia non dovrebbe menomamente significare che la questione di Trieste viene dimenticata. Dopo le parole (nel preambolo) «nel quadro dello sviluppo armonico della cooperazione tra le nazioni libere» dovrebbe essere fatto esplicito accenno anche «alle dichiarazioni (o alle constatazioni) che le esperienze fatte finora nella applicazione del trattato hanno suggerito».

Le osservazioni qui elencate seguono naturalmente la falsariga della proposta francese – l’unica che sino ad ora conosciamo. Non sappiamo se sia migliore quella che avranno studiato gli americani. Comunque le osservazioni stesse potranno servirti per seguire costì la questione e per avere presente il nostro punto di vista per quanto si riferisce alla impostazione della dichiarazione dei Tre nel suo aspetto tanto morale che sostanziale.

Concludendo: sotto l’aspetto morale affermare il superamento del trattato e dello spirito che lo aveva dettato, e la piena uguaglianza giuridica e politica tra l’Italia e i suoi Alleati. Auspicabile il richiamo alla cobelligeranza ed ai titoli che noi ci siamo da allora acquisiti nonché alla attuale nostra piena collaborazione con la Comunità atlantica; da evitare invece riferimenti alla nostra «buona condotta»!

Sotto l’aspetto sostanziale:

1) auspicabile il riferimento sia pure indiretto alle clausole economiche, militari e al Territorio Libero di Trieste, tenendo presente che l’accenno limitato ad uno di questi elementi del trattato può dare l’impressione che si escludano gli altri;

2) evitare la riserva dei diritti dei terzi. È ovvio – ripeto – che la dichiarazione impegna giuridicamente solo chi la fa. Anche il trattato fu fatto del resto esclusivamente dai Tre (più l’U.R.S.S.) e gli altri si limitarono ad approvarlo. In pratica i diritti dei terzi si concentrano ormai sulle sole clausole economiche per cui richiamo lo studio allegato.

P.S. Con ciò rispondo anche a quella parte del rapporto di Luciolli n. 9291 del 23 agosto3 relativa alla revisione del trattato di pace.


84 1 Vedi DD. 57 e 66.


84 2 Il promemoria fu consegnato al Dipartimento di Stato (vedi D. 143, nota 4) ed è edito, ad eccezione dei seguenti primi due capoversi, in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, Europe: Political and economic developments, Part 1,Washington, United States Government Printing Office, 1985, pp. 731-734: «Il Governo italiano aveva già nel passato espresso il parere che una revisione del trattato di pace non dovesse limitarsi alle sole clausole militari di esso. E ciò per evidenti ragioni. Sarebbe invero in un simile caso troppo facile alla speculazione politica svalutare un eventuale gesto di comprensione e amicizia degli Alleati verso l’Italia, prospettandolo solamente come un atto inteso a spingere il Governo italiano a nuovi aumenti di spese militari e ad accrescere la tensione internazionale. Vi sarebbero anche altre ragioni per sostenere tale necessità; e cioè ragioni di giustizia che la pubblicazione del progetto di trattato di pace col Giappone, nel frattempo avvenuta, ha ancora più posto in evidenza. Secondo lo spirito e la lettera della Dichiarazione di Potsdam, relativa all’Italia, non potrebbe infatti venir fatto al popolo italiano un trattamento meno favorevole di quello fatto al popolo giapponese. Quando il trattato di pace fu redatto, le clausole economico-finanziarie furono elaborate e discusse singolarmente prima che i compilatori potessero rendersi conto che esse, considerate nel loro insieme, avrebbero costituito un peso sproporzionato alle effettive capacità economiche dell’Italia: la loro esecuzione, per quanto non ancora completata, ha già imposto all’Italia gravissimi oneri che hanno influito anche sulle possibilità da parte del Bilancio di dedicare alle spese per la ricostruzione del paese e per il riarmo somme maggiori di quelle sinora stanziate».


84 3 Vedi D. 61. Tarchiani rispose (L. personale 9919 del 6 settembre) concordando con le osservazioni contenute nel presente documento e assicurando di seguire la questione con il Dipartimento di Stato.

85

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 10994/951. Washington, 3 settembre 1951, ore 19,17(perv. ore 7,30 del 4).

Mio 9471.

Per aderire desiderio Dipartimento di Stato abbiamo predisposto un elenco preliminare (non impegnativo) questioni che potrebbero essere toccate da V.E. durante conversazioni Washington. Ciò anche per organizzare tempestivamente ordine colloqui e riunioni.

Elenco comprende:

1) Questioni politiche (situazione internazionale; questioni di diretto interesse italiano; problemi solidarietà europea, compresi quelli relativi Germania Spagna Jugoslavia; azione psicologica contro propaganda totalitaria).

2) Questioni economiche (situazione economica italiana, politica finanziaria ed effetti riarmo; assistenza economica americana; commesse; materie prime).

3) Questioni militari.

4) Problema mano d’opera.


85 1 Pari data, comunicava la richiesta del Dipartimento di Stato di conoscere le proposte italiane circa gli argomenti principali da trattare nelle conversazioni di Washington.

86

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI

L. segreta 1626 segr. pol. Roma, 3 settembre 1951.

Ho ricevuto la tua lettera n. 4598 del 28 agosto1.

Sostanzialmente siamo d’accordo, come puoi vedere dagli uniti appunti e lettere scambiati fra me e Sella di Val Sugana nel corso di questo infocato agosto2.

Dove divergo è nel modo troppo disinvolto e urtante con cui gli inglesi agiscono. Noi cercheremo anche di tentare un accordo diretto, ma quel continuo insistere perché lo si faccia subito, ponendoci innanzi anche a situazioni ricattatorie è un modo di procedere che suscita indignazione. Del resto non siamo noi soli a fare questa amara esperienza e il senso di rivolta che purtroppo si manifesta in tanti paesi verso questi sistemi – e che nuoce a tutto l’Occidente – dimostra che il torto non è – o per lo meno non è che in minor misura – dalla nostra parte.

Una volta gli inglesi avevano molto più tatto e signorilità. Nei nostri confronti poi sembra provino un piacere sadico a fare cose sgradevoli od assumersi l’incarico di farle anche per conto altrui: e sono per es. sempre essi ad assumersi il compito di dirci cose antipatiche ad udirsi. Il che sembra dimostrare una deliberata decisione (potrebbe non essere così, ma il fumo fa l’arrosto) a non tenerci in alcuna considerazione e a infischiarsi solennemente dei guai che creano sia al Governo italiano sia agli stessi rapporti fra i nostri due paesi. È naturale che avendo essi dato – vera o no – questa impressione (dall’affare coloniale, alla inclusione nel Patto atlantico, alla titofilia, vedremo ora per il M.O., ecc., ecc.), l’opinione pubblica italiana sia irritata contro di loro e che quel qualunque Governo che si provasse a «moderarla» verrebbe sonoramente fischiato e lapidato. Anche il fatto da te rilevato che giornali seri si siano «commossi» dimostra la serietà della situazione: essi stessi non se la sono sentita di andare contro corrente. A parte gli Stati Uniti, che come dici sono protetti dal Marshall, la Francia è stata molto più abile e quasi nessuno più le rinfaccia Briga e Tenda e Moncenisio, o il Fezzan. Se avessero agito come i francesi o se si decidessero ad agire come essi, gli inglesi avrebbero creato e potrebbero creare ancora, appunto quella atmosfera cui alludevo scrivendoti di «direttiva politica mutata», ossia più amichevole.

Quando poi diciamo che Trieste e la revisione sono cose distinte non si dice cosa esatta: è chiaro che la questione del T.L.T. è la più importante fra quelle da «rivedere». Ciò che lamentavamo è il sentirci dire: revisione sì, ma a patto che si risolva per prima cosa Trieste. La solita pressione! Certo, anche Trieste, e se possibile anche prima del resto; ma non con queste forme di pressione che rischiano di farci abbordare il problema con l’acqua alla gola e di farcelo risolvere nelle peggiori condizioni. È stato un peccato che gli inglesi non abbiano mandato a Roma come ambasciatore un uomo politico. Non lo si potrebbe suggerire quando Mallet compirà i fatidici 60 anni?


86 1 Vedi D. 70.


86 2 Vedi DD. 46, 56 e 60.

87

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto segreto. Roma, 3 settembre 1951.

Ho ricevuto Blankenhorn al quale Adenauer ha affidato l’incarico di farci pervenire in via confidenziale – perché V.E. possa averne conoscenza in occasione delle prossime riunioni internazionali – il punto di vista del Governo di Bonn su due questioni che interessano in questo momento la Germania e cioè:

1) «Generalvertrag» che dovrebbe – pur non essendo ancora un trattato di pace – sostituire l’attuale statuto di occupazione.

2) Esercito europeo e partecipazione tedesca alla difesa dell’Europa.

Circa il primo punto, in seguito alle conversazioni che Adenauer ha avuto coi tre commissari e con Harriman è stato redatto un progetto che da parte americana con maggior calore e da parte anglo-francese senza fondamentali obbiezioni sarebbe stato considerato come costituente una buona base di discussione (v. all. A)1. In sostanza da parte tedesca si chiede la cessazione dello statuto di occupazione e la sua sostituzione con un accordo bilaterale che contenga:

– la conferma della Dichiarazione unilaterale di Washington del settembre 1950 in virtù della quale le potenze riconoscono che un attacco contro la Repubblica di Bonn sarebbe considerato come un attacco diretto contro esse stesse. Le tre potenze si impegnerebbero a mantenere in Germania le forze necessarie a fronteggiare un tale eventuale attacco «unitamente alle forze armate della Repubblica federale». Quest’ultima si impegnerebbe a fornire il proprio contributo militare per la difesa della Repubblica stessa, di Berlino e dell’Europa occidentale nel quadro di forze armate internazionali.

– Gli alleati rinuncerebbero ad esercitare la sovranità in Germania con quattro riserve: Berlino – il problema della Germania nel suo insieme – caso di emergenza – rivolte interne che il Governo di Bonn non riuscisse a fronteggiare.

– Tra le altre clausole proposte è importante quella secondo cui le parti contraenti si impegnerebbero a consultarsi in merito alle questioni che concernono le loro relazioni con gli Stati del blocco orientale (si intende in relazione al problema tedesco).

Il cancelliere raccomanda a V.E. se possibile, di appoggiare tale progetto. Adenauer ritiene che è indispensabile e urgente addivenire alla sostituzione dello statuto attuale con un nuovo trattato anche per ragioni di politica interna e per consentirgli di far fronte alle critiche della opposizione di destra e sinistra che lo accusa di essere troppo ligio agli Alleati e di nulla mai ottenere da essi. Adenauer aggiunge che gli sarebbe difficile – in mancanza di un successo in questo campo – ottenere il concorso popolare alla costituzione di forze armate tedesche.

2) Su quest’ultima questione Blankenhorn mi ha consegnato un documento che contiene le istruzioni con le quali il capo della delegazione di Bonn alla Conferenza dell’esercito europeo si è recato oggi a Parigi. Il documento – che Blankenhorn mi ha assicurato esser stato redatto prima che fosse noto il nuovo progetto olandese – si avvicina moltissimo a quest’ultimo. In sostanza – per guadagnare tempo e superare le evidenti molteplici difficoltà che il «rapport intérinaire» mette in luce – si propone che, mentre continuano le trattative sul progetto francese considerato il migliore «on the long run», si addivenga alla creazione di un Consiglio di ministri della difesa col compito di armonizzare in senso europeo lo spirito, l’educazione, l’addestramento, l’armamento, ecc. ecc. delle forze armate francesi, italiane, tedesche, ecc. Ogni Stato aderente mette a disposizione le sue forze armate – così come oggi si trovano – dell’esercito europeo. Quelle tedesche – unità base la divisione – si fonderanno con le divisioni alleate stazionanti in Germania per formare dei corpi d’armata misti. Ogni Stato conserva l’autorità amministrativa, finanziaria e disciplinare sulle sue unità (v. documento B).


87 1 Gli allegati si pubblicano.

88

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 8097/405. Roma, 4 settembre 1951, ore 16,45.

Suo 9511.

Sta bene per agenda proposta. Riterrei tuttavia preferibile lasciare trattazione questioni puramente militari (punto 3) a competenti organi N.A.T.O., mentre per quanto interessa loro aspetti economico-finanziari essi possono essere discussi nell’ambito punto 2, e per quanto interessa loro aspetti politici interni e internazionali essi rientrano nelle questioni di cui al punto 1.

È inteso che tra questioni interesse italiano (punto 1) rientrano anche questioni T.L.T., revisione trattato e nostra situazione O.N.U.2.


88 1 Vedi D. 85.


88 2 Con il T. s.n.d. 11102/963 del 5 settembre, Tarchiani assicurò che le tre ultime questioni citate erano comprese nell’ordine del giorno.

89

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11064/117-118-119. Tokyo, 5 settembre 1951, ore 5,40(perv. ore 10,15).

Mio telegramma n. 1051.

In questo momento informato che il Governo giapponese, come temevo (mio telegramma n. 112 2 e precedenti) ha presentato ora per conoscenza a Sezione diplomatica contro progetto che, secondo predetta Sezione, si allontana molto sensibilmente da nostri punti fondamentali pregiudicando nostre garanzie richieste.

Avrò testo da parte americana tra breve e telegraferò3.

Tale contro progetto sarà presentato ufficialmente da Yoshida oggi San Francisco.

Ho subito insistito e ottenuto questione venga subito comunicata da Sezione diplomatica alla delegazione americana per immediata trattazione. Uguale richiesta ha fatto missione britannica che, su istruzioni suo Governo, aveva offerto stamane suoi buoni uffici.

Vedrò anche oggi ambasciatore di Francia.

Riassumo punti fondamentali contro progetto giapponese.

1) esso fonda nel paragrafo A contenuto lettere confidenziali;

2) sostituisce ai paragrafi B e C un unico secondo paragrafo in cui si dichiara «intenzione dei due Governi concludere accordo dopo entrata in vigore Trattato San Francisco per regolare questioni sorte in conseguenza stato di guerra nonché risultanti da misure adottate da due paesi».

Verrà pertanto soprattutto a mancare qualsiasi riferimento principi trattato generale ed esplicito richiamo data 8 settembre 1943.

Data mancanza tempo e indubbio desiderio nipponico prendere parte attiva negoziati, che forse Foster Dulles ha sottovalutato, sembra difficile ormai raggiungere sincronizzazione San Francisco a meno massiccio intervento americano.

Ad ogni buon fine addito avere informato qui che non sono autorizzato a trattare.

Risulta chiaramente che la decisione è unicamente in mano di Yoshida. Qualora intervento alleato San Francisco non sortisse esito desiderato mi permetto prospettare a titolo confidenziale e strettamente personale possibilità soluzione compromesso su seguenti linee.

1) Insistere assolutamente per esplicito richiamo principi pace generale.

2) Eliminare possibilmente indicazione epoca nostri negoziati claims.

3) Accettare formulazione giapponese «anche per misure adottate da Autorità dei due paesi» richiedendo però scambio di lettere confidenziali con esplicito richiamo ad avvenimenti dopo 8 settembre.

Punto terzo permetterebbe salvare faccia ai giapponesi garantendo a noi la sostanza.


89 1 Del 27 agosto, con il quale d’Ajeta aveva richiesto istruzioni sottolineando l’opportunità di tentare una intesa almeno di principio prima della partenza del primo ministro giapponese per San Francisco.


89 2 Del 30 agosto, non pubblicato.


89 3 Vedi D. 97.

90

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A PARIGI

T. segreto 11118/446. Londra, 5 settembre 1951, ore 23,40(perv. a Roma ore 7,30 del 6).

Sottosegretario Mason mi ha fatto stasera seguente comunicazione. Ha ricordato anzitutto che il Governo britannico per venire incontro nostra domanda rinvio elezioni ci aveva chiesto «ferma assicurazione» che negoziati con Jugoslavia sarebbero stati avviati al più presto. In risposta Governo italiano aveva solo comunicato essere «disposto favorire apertura conversazioni con ogni possibile sollecitudine» ma a condizione:

1) che iniziativa italiana non apparisse primo passo;

2) che rinvio fosse per termine posteriore dicembre. D’altra parte non ha potuto riconoscere [...]1 chiaramente necessità motivare rinvio con ragioni amministrative.

Ciò premesso Governo britannico ha ritenuto che chiarimenti datici circa dichiarazioni Tito ad ambasciate inglese ed americana abbiano soddisfatto nostra prima condizione e che, con riserve da noi avanzate circa data dicembre, nostra risposta possa considerarsi sufficiente per concedere rinvio elezioni.

D’altra parte poiché ragioni amministrative per rinvio valgono solo entro dicembre (essendo state elezioni indette per 1951) Governo inglese ha deciso mantenere tale data in pubblico annunzio, ma assicura nel modo più formale che, se negoziati avranno avuto effettivamente inizio nel frattempo, sarà deciso ulteriore rinvio (per il quale, ha aggiunto, occorrerà trovare altra giustificazione).

Ho detto chiaramente a Mason che con rinvio dicembre continuano sussistere inconvenienti campagna elettorale da noi segnalati. Egli ha replicato rendersi conto che risposta inglese era per noi solo parzialmente soddisfacente ma che Governo britannico riteneva essere venuto incontro alle nostre richieste mercè rinvio in due tempi nella più larga misura consentita dalla situazione. Ha aggiunto che istruzioni erano già state inviate a Trieste data ormai decisione Londra rinviare comunque elezioni e necessità ciò fosse annunziato prima di domani. Washington veniva informato stasera. Telegrafato Roma e Parigi.


90 1 Gruppo mancante.

91

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A PARIGI

T. segretissimo 11120/965. Washington, 5 settembre 1951, ore 19,29(perv. a Roma ore 7,30 del 6).

Atteggiamento britannico, quale descritto dal Foreign Office alla nostra ambasciata Londra, non (dico non) corrisponde alle dichiarazioni ambasciata d’Inghilterra al Dipartimento di Stato.

Questi sono sempre stati contrari rinvio oltre 7 dicembre, cosicché unica risposta americana di cui Governo britannico fosse in attesa era costituita da adesione Dipartimento di Stato a tale punto di vista inglese. Adesione è stata data stamane, a causa necessità adottare immediata decisione.

Dipartimento di Stato conferma confidenzialmente essere favorevole a rinvio elezioni a tempo indeterminato se Governo britannico è d’accordo. Esso inoltre non (dico non) solleva questione dei motivi da addurre per rinvio, sembrandogli sufficiente che G.M.A. trovi esso stesso giustificazione, purché non (dico non) menzioni ragioni politiche ed in particolare le previste conversazioni italo-jugoslave. Telegrafato Roma e Parigi1.


91 1 Per la risposta vedi D. 92.

92

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 11133/554. Parigi, 6 settembre 1951, ore 12,40(perv. a Roma ore 13,55 del 6).

Suo 10461.

Di fronte alle decisioni Londra che ci mette innanzi fatto compiuto, dobbiamo confermare che brevità rinvio non (dico non) sarà in grado migliorare atmosfera psicologica, ciò non di meno dubitiamo che nostro buon volere trovi sollecita occasione di attuarsi. Accettando i fatti compiuti, partendo sempre dal nostro diritto solennemente riconosciuto dagli Alleati, rimaniamo convinti anche dell’importanza raggiungere rapporti di buon vicinato e collaborazione con Jugoslavia.

Prendo atto di buon grado comunicazioni confidenziali Dipartimento di Stato, e riservandomi di conferire costì a voce, richiamo l’attenzione vostra su paradossale situazione per la quale, allo scopo premere sull’Italia, si rischia appoggiare a Trieste il Cominform.

Presente telegramma per Washington è trasmesso anche Ministero esteri Roma.


92 1 Numerazione di protocollo per Parigi del D. 91.

93

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 9920. Washington, 6 settembre 19511.

Riferimento: Rapporto di questa ambasciata n. 9697 del 30 agosto u.s.2.

La contraddizione fra le dichiarazioni del Foreign Office alla nostra ambasciata a Londra e quelle dell’ambasciata britannica in Washington al Dipartimento di Stato non potrebbe essere più netta. A Londra si discute sulla data delle elezioni, destando speranza in un favorevole accoglimento della nostra tesi. A Washington, non solo si prende posizione contro tale tesi, ma si giunge fino ad affermare che la tesi opposta è stata da noi accettata.

Una contraddizione così netta non può spiegarsi con malintesi verbali. Non si tratta infatti di sfumature, ma di sostanza. Evidentemente il Governo britannico non vuole darci l’impressione di essere il solo ad opporsi alle nostre richiese; e, confidando in un atteggiamento di completo riserbo del Dipartimento di Stato verso di noi in merito ai contatti anglo-americani, guadagna tempo con dichiarazioni ambigue, in attesa di farci trovare di fronte ad una decisione comune.

La fiducia che il Dipartimento di Stato ci ha dimostrato (e che, per non essere affievolita in avvenire, ci impone il massimo riserbo verso il Foreign Office) permette di vedere chiaro in questo episodio, in verità poco edificante.

Il Dipartimento di Stato, nell’aderire all’ultima ora alla posizione britannica, contraria ad un rinvio di più di due mesi, ha desiderato espressamente far sapere a V.E. che la posizione americana era stata favorevole al rinvio indeterminato. Il Dipartimento di Stato ha aggiunto di non essersi preoccupato affatto dei motivi da addurre per spiegare il rinvio. A suo avviso, il Governo Militare Alleato poteva rimanere libero di scegliere esso stesso i motivi o anche di non darne nessuno. Essenziale era soltanto che non adducesse motivi politici e soprattutto non accennasse a eventuali conversazioni italo-jugoslave.

Da parte di questa ambasciata si è fatto constatare al Dipartimento di Stato l’evidente impossibilità che la nostra ambasciata a Londra, mentre continuava a discutere sulla data del rinvio, avesse già fornito senza riserve al Governo di Londra (come l’ambasciata britannica a Washington affermava esplicitamente e ripetutamente) l’assicurazione da esso richiesta, cioè l’assicurazione che l’Italia aprirà trattative con la Jugoslavia.

L’episodio, naturalmente, rende sospette anche le dichiarazioni britanniche in merito al «secondo tempo» della revisione del trattato di pace.


93 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


93 2 Vedi D. 74.

94

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1577/894. Istanbul, 7 settembre 1951(perv. il 13).

Ho visto ieri mattina giovedì 6 il ministro degli affari esteri Fuat Köprülü. Abbiamo parlato della ammissione della Grecia e della Turchia nell’Unione atlantica e dell’atteggiamento turco nei riguardi della costituenda organizzazione difensiva del Medio Oriente. Sostanzialmente il ministro mi ha ripetuto quanto mi aveva detto il segretario generale Akdur, come ho riferito nel rapporto n. 1525/857 del 3 settembre1, ma ha dato maggiore rilievo a taluni punti che ritengo opportuno segnalare.

In particolare Fuat Köprülü mi ha confermato il preciso intendimento della Turchia di non tollerare alcuna connessione tra la sua accessione al Patto e gli impegni da assumere nell’organizzazione difensiva per il Medio Oriente. Londra ha accolto questo suo punto di vista e Morrison, in una recente lettera a Fuat Köprülü, lo ha rassicurato al riguardo. La stessa cosa mi è stata detta da quest’ambasciatore britannico sir Noel Charles, il quale mi ha aggiunto che, nonostante le assicurazioni date dal suo Governo, nel senso che l’entrata della Turchia nell’Unione atlantica non sarà subordinata ad alcuna condizione, un certo nervosismo permane non solo nei circoli politici, ma nella stampa turca che continua a riprodurre notizie tendenziose e ad alimentare la preoccupazione del pubblico.

Così la recente proposta di Tito, riportata e commentata dall’Observer, di un’intesa militare tra Jugoslavia, Grecia e Turchia, è stata qui accolta con evidente malumore. I giornali l’hanno considerata intempestiva e non hanno nascosto il sospetto che si tratti di una manovra dei circoli britannici, più o meno autorizzati, per riaprire tutta la questione. Nei commenti della stampa non sono mancate, questa volta, delle riserve assai accentuate sulla combattività delle forze jugoslave il giorno che si trovassero a fronte di quelle sovietiche, alle quali sono state legate fino a ieri da una comunanza di ideali, senza parlare dell’appartenenza alla stessa razza slava.

In merito alla proposta di Tito, Fuat Köprülü mi ha detto che l’ammissione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico deve avere assoluta preminenza su ogni questione relativa alla Jugoslavia o comunque all’assetto dei Balcani.

La verità è che la Turchia rimane molto guardinga e diffida che, dietro tutte queste notizie di stampa e dietro le resistenze, non del tutto scomparse, dei paesi scandinavi, possa ancora nascondersi qualche insidia. Non meno diffidenti, a dir vero, sono gl’inglesi, che temono che la Turchia, una volta entrata nell’Unione atlantica, cerchi d’impegnarsi il meno possibile nella costituenda organizzazione mediorientale. Questa è l’atmosfera nella quale si svolgono attualmente i rapporti tra i due paesi. Ne ho avuto precisa impressione nel colloquio di ieri col ministro degli esteri: «Ci asterremmo dall’entrare nel Patto atlantico – mi ha detto – se dovessimo accettare delle condizioni».

Questo fermo atteggiamento dimostra l’importanza che la Turchia annette a negoziare liberamente. A mio avviso questa linea di condotta non è solo ispirata da motivi di prestigio e dal desiderio di essere ammessa nel Patto su un piede di perfetta uguaglianza con tutte le altre potenze atlantiche, alle quali non si chiese nessuna condizione al momento del loro ingresso, ma si spiega col fatto che la Turchia ha essa stessa una sua concezione dell’assetto politico e militare del Medio Oriente, che non intende ancora rivelare per non compromettere il primo passo che sta compiendo, e cioè l’entrata nel Patto atlantico. La fermezza che essa dimostra nel sottrarsi ad ogni pressione, non solo conferma l’abilità di questa diplomazia, ma lascia presumere che essa, una volta iniziatesi le trattative sull’organizzazione del Medio Oriente, insisterà tenacemente sul suo punto di vista e non se ne lascerà tanto facilmente rimuovere. Quindi una prima previsione è da farsi: trattative lunghe e difficili.

Il ministro Köprülü mi ha fatto qualche accenno su questo suo modo di vedere. Egli ha cominciato col dichiararmi il suo profondo scetticismo sulla politica svolta dagl’inglesi nel Medio Oriente. Essi accumulano errori su errori col risultato di scuotere la fiducia di tutti. Il ministro si è dichiarato fermamente convinto che non è concepibile una politica nel Medio Oriente senza la collaborazione dei paesi arabi. È difficile, egli mi ha detto, trattare con essi, perché sono infantili, fantastici, suscettibili; ma è indispensabile legarli alla causa occidentale per impedire che finiscano per cadere nell’orbita sovietica. Ora solo la Turchia ha la possibilità di farsi intendere da essi, di esercitare su di essi un’influenza persuasiva, per un’antica tradizione di vita politica e religiosa in comune, nonché per l’azione svolta dal Governo turco per guadagnarsene la fiducia. La Turchia è in grado di esercitare questa opera di attrazione non solo nei confronti dei popoli arabi, ma di tutto il mondo mussulmano grazie al prestigio di cui essa vi gode. Soprattutto in Asia, dove l’influenza del mondo occidentale è così scossa, l’unico paese che può efficacemente controbattere la propaganda sovietica è la Turchia. Questa è la funzione che essa si appresta ad esercitare.

Come si vede, gli obiettivi indicati dal ministro degli esteri sono di vasta portata. Il Governo turco intende attribuirsi, senz’altro, un ruolo di grande potenza, lusingato com’è di assidersi da pari a pari accanto all’America, all’Inghilterra e alla Francia nel costituendo «Near East Defence Board», dove si propone di svolgere una parte indipendente e di primo piano. Se l’Inghilterra si attende di trovare accanto a sé una Turchia disposta a una funzione subordinata, si illude. Oggi, come dimostra all’evidenza l’esempio dell’Iran e dell’Egitto, nessun paese del Levante si presta a ricevere la direttiva da terzi Stati per importanti che siano.

Fuat Köprülü mi ha dichiarato categoricamente che la Turchia non vuole essere coinvolta in una politica che le alieni le simpatie degli arabi. Mi ha citato, ad esempio di tale sbagliata politica, l’atteggiamento britannico nella questione del blocco del Canale di Suez. «È stato un errore, mi ha detto, averla portata dinanzi al Consiglio di sicurezza. La decisione che la Turchia ha dovuto votare in comune con le potenze occidentali l’ha messa in cattiva posizione di fronte all’Egitto e agli Stati arabi. Ci troviamo ora in un’impasse. Per l’avvenire la Turchia intende essere preavvertita della linea che s’intende seguire per concordare una condotta comune». Il ministro Köprülü mi ha aggiunto che su tale modo di vedere anche i francesi concordano. Dal tono col quale mi ha parlato della Francia, nei riguardi della quale in passato non tralasciava occasione per formulare acerbe critiche, avrei motivo di ritenere che dei chiarimenti sono corsi. Noto anche che la diplomazia francese si mostra in questi ultimi tempi assai più attiva presso questo Governo.

Il ministro, nel riassumere la posizione turca, mi ha dichiarato che l’entrata della Turchia nell’Unione atlantica ha soprattutto il significato di un avvertimento all’U.R.S.S. che, il giorno in cui il conflitto mondiale scoppiasse, la Turchia entrerebbe in guerra da quello stesso momento. L’attitudine del Governo taglia corto ad ogni illusione e ad ogni speculazione sulla possibilità di un neutralismo turco. La decisione è presa da ora e con essa si rafforza la causa della stabilità e della pace. La Turchia, ha continuato il ministro, per le sue forze armate, per il morale del suo popolo, per le sue posizioni strategiche, costituisce la minaccia più diretta contro la Russia. Il che è vero. Ma è probabile che proprio tale minaccia le attiri il peso della reazione sovietica e la obblighi perciò ad evitare un’eccessiva dispersione delle sue forze. Esiste un piano militare turco di utilizzazione di tali forze? Da accenni fattimi dal ministro su qualche divergenza tra le sue idee e quelle dei Comandi in merito alla funzione militare della Turchia sarei indotto a ritenere che questi piani si stiano rivedendo in conformità della posizione politica che la Turchia sta per assumere. È logico del resto ch’essi dovranno essere adattati ai criteri che prevarranno sia sull’organizzazione difensiva delle posizioni turche in Europa nel fronte atlantico, sia sull’organizzazione militare del Medio Oriente. Per quanto in particolare riguarda il Medio Oriente ho dei dubbi, in base alle critiche frequentemente udite sui criteri strategici e politici del generale Robertson, che la Turchia sia molto incline ad approvarne i piani.

Il ministro Köprülü ha insistito su due criteri che potrebbero dare una prima idea dei propositi di questo Governo. «Il nostro esercito – mi ha detto – è il più forte esercito del continente europeo». Dal che si deduce la pretesa di esercitare un’influenza preponderante sull’impiego di tali forze. L’altro concetto, sul quale il ministro si è notevolmente dilungato, è che la Turchia costituisce una base di fondamentale importanza per colpire la Russia e che in ciò è il grande apporto della Turchia al blocco occidentale. È questo un criterio sul quale, come ho più volte riferito, qui si torna di frequente. Non è perciò del tutto da escludere che, in contrasto coi piani britannici, puramente imperniati sulla difesa delle zone petrolifere e del Canale di Suez – in una zona cioè eccentrica che lascerebbe la Turchia lontana dai più importanti concentramenti delle forze britanniche e dei Dominî, con l’obbligo di concorrere con le sue forze alla difesa di quei remoti obiettivi e con la conseguenza di rimanere in tal modo sguarnita dinanzi alla minaccia sovietica – si pensi qui a un piano più dinamico, e cioè di portare la minaccia in punti vitali per il nemico, come la zona petrolifera del Caucaso. È diventato quasi un luogo comune il rilievo che l’unica volta che l’Occidente ha avuto ragione della Russia, è stato quando nella metà del secolo scorso inglesi, francesi, piemontesi e turchi osarono passare all’offensiva con la campagna diCrimea.

Evidentemente è troppo presto per precisare oggi le posizioni che inglesi e turchi assumeranno nel procedere alla discussione dei piani militari. Ma una divergenza di vedute nei riguardi di tali piani mi sembra già delinearsi. Resta anche da vedere quanto i criteri ora esposti rispondano a delle vedute personali del ministro il quale, è risaputo, trova resistenze e freni da parte degli altri colleghi di Governo e, come ho detto, da parte delle autorità militari. Ma è anche indubbio che, con l’entrata della Turchia nel Patto atlantico, l’influenza di Fuat Köprülü si va riaffermando. Comunque si tratta di orientamenti, che è interessante seguire dappresso per gli sviluppi che potrebbero avere. Resta da ultimo da vedere quali forze il «Near East Defence Board» avrà disponibili per la realizzazione dei piani militari, e soprattutto se queste forze saranno ad essi adeguate. Cercherò di approfondire questi punti e di tornarvi con maggiore precisione di elementi.


94 1 Non pubblicato.

95

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. urgente 1701/041. Tokyo, 7 settembre 1951(perv. l’11).

Mio telespresso n. 1689/1064 del 5 c.m.1.

Ieri sera, al ricevimento offerto dall’ambasciatore del Brasile in occasione della festa nazionale del suo paese, sono stato avvicinato dal direttore generale degli affari politici del Gaimusho, sig. Shimazu, il quale ha voluto spontaneamente dichiararmi:

1) che al Gaimusho si era rimasti assai sensibili alle argomentazioni da me svolte ieri l’altro in favore di una tempestiva elevazione ad ambasciata delle nostre rispettive rappresentanze a Tokio ed a Roma al momento della ratifica della pace giapponese;

2) che il Ministero degli esteri nipponico era pienamente favorevole al logico ritorno allo stato quo ante delle nostre missioni sia per motivi di tradizionale amicizia – pienamente sentiti dal Governo giapponese – che per reciproche necessità di una proficua e dignitosa collaborazione futura tra i nostri due paesi su vari problemi internazionali di comune interesse;

3) infine che le pubblicazioni giornalistiche sulla riorganizzazione della rete diplomatico-consolare giapponese erano «imprecise ed affrettate e per quanto concerneva l’Italia assolutamente inesatte», poiché le intenzioni del Governo giapponese erano di riaprire a tempo debito un’ambasciata presso il Quirinale.

Dimostrando di accettare in pieno la sua giustificazione e di non aver mai creduto alle pubblicazioni giornalistiche mi son dichiarato più che consenziente con le sue argomentazioni. Ho detto a Shimazu che avrei molto apprezzato se al momento opportuno avessi potuto ottenere un’assicurazione in proposito del tutto ufficiale che potesse essere pubblicizzata in Italia, date le recenti illazioni della stampa.

Il direttore generale mi ha risposto che si era già preso buona nota di questa mia richiesta e che potevo considerare la sua amichevole comunicazione fin da ora come del tutto fondata. Una comunicazione ufficiale e definitiva poteva però soltanto esserci fatta – in vista di una sua pubblicità in Italia – quando la Dieta, attraverso le sue commissioni parlamentari, avesse approvato il programma riorganizzativo presentato dal Gaimusho in questi giorni.

Il sig. Shimazu ha concluso la nostra conversazione dichiarando che era stata molto apprezzata al Gaimusho la tempestività con la quale il Governo italiano aveva acconsentito all’apertura della agenzia governativa giapponese a Roma. Nei prossimi tempi mi sarebbe stato comunicato il nominativo del suo titolare.


95 1 Non pubblicato.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata personale 674. Parigi, 7 settembre 1951.

Il colloquio De Gasperi-Pleven è andato bene, anche se non è stato un colloquio di quelli che sconvolgono la faccia del mondo.

1) Esercito europeo. De Gasperi ha detto che l’incidente di procedura era stato dovuto soltanto al fatto che il Governo italiano non aveva avuto il tempo di studiare il progetto (del resto la cosa non era stata drammatizzata dai francesi: Alphand alle nostre spiegazioni ha risposto: «J’ai bien compris: jusqu’ici le Gouvernement italien a cru que l’armée européenne c’était de la blague et maintenant il s’est aperçu que c’est sérieux»).

Il presidente ha aggiunto di essere favorevole al principio, ma che l’opinione pubblica italiana non era pronta ad accettare senz’altro come punto di partenza il passaggio del bilancio militare al fondo comune; ha toccato la necessità di far presto per incapsulare la Germania prima che vada al potere Schumacher, ed ha molto vagamente accennato alla possibilità di applicare per l’esercito europeo la formula austro-ungarica (Landwehr e Honved nazionali e Reichswehr comune). Ha per ultimo accennato all’idea di una federazione parziale la quale permetterebbe anche di avere una tassazione comune a scopi militari.

Pleven si è dichiarato in genere d’accordo: tutto è stato molto sulle generali: ha detto di essere adesso ancora più europeo che all’epoca di Santa Margherita1: di essere personalmente pronto ad accettare l’idea della federazione parziale, intendendo per federazione parziale che ci dovrebbero essere tre ministeri comuni: Difesa, Esteri e Finanze. Ha detto di essere pronto ad accettare tutte le transazioni di fatto e tutti gli accomodamenti e accelerazioni, a condizione che il primo soldato tedesco che esca fuori nasca con uniforme europea. Circa le dimensioni dell’unità base ha detto di evolvere piuttosto verso idea qualitativa che quantitativa: poco importava quali fossero gli effettivi della Divisione; bastava che essa non fosse in grado di combattere nazionalmente: ossia europeizzazione dell’artiglieria, carri, ecc. L’idea non è dispiaciuta a De Gasperi.

Sono rimasto d’accordo che una volta che le nostre idee siano a punto (il presidente è stato un po’ scherzoso sul comitato composto di ministri ... che non ci sono), noi ne discuteremo prima con i francesi, soprattutto per i punti su cui non siamo d’accordo.

2) Circa la grande idiozia (leggi «revisione del trattato»), De Gasperi ha ringraziato Pleven dell’atteggiamento del Governo francese e gli ha fatto le sue osservazioni ed ha soprattutto espresso la speranza che il testo non sarebbe stato reso pubblico senza consultazione preventiva con noi. Pleven ha detto che ne avrebbe informato Schuman ed ha invitato De Gasperi a mettersi in comunicazione telefonica con lui appena arrivato in America.

3) Per Trieste, Pleven è stato molto caloroso in appoggio al nostro punto di vista: non era al corrente delle trattative con gli inglesi ma si è associato ai nostri dispiaceri: ha detto che pensava sarebbe stata una buona cosa parlare a quattro della questione di Trieste prima, durante e dopo la Conferenza di Roma: l’idea è piaciuta a De Gasperi (ne abbiamo parlato anche dopo) e Pleven ha detto che la Francia era anche disposta a prenderne l’iniziativa.

Circa la situazione generale, Pleven gli ha detto soltanto che era molto soucieux perché gli americani erano estremamente montati. De Gasperi, parlandomene poi, si è meravigliato che Pleven si mostrasse preoccupato solo degli americani e non dei russi.

Per il resto della conversazione, échange de plaisanteries sulle crisi, sulla migliore maniera di risolverle ecc.


96 1 Incontro italo-francese di Santa Margherita Ligure, 12-14 febbraio 1951, per il quale vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.

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IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11291/125. Tokyo, 9 settembre 1951, ore 17,18(perv. ore 17,30).

Mio telegramma n. 1181.

Sezione diplomatica mi ha informato ora che la assoluta intransigenza giapponese a San Francisco2 circa punti per noi fondamentali impedisce scambio di note sincronizzato colla pace generale.

Dipartimento di Stato ha pertanto suggerito di venire possibilmente domani a scambio interlocutorio «dichiarazione di intenzioni» tra questa rappresentanza e Governo giapponese da diramarsi ufficialmente a Tokio ed a Roma.

Washington non ha fatto pervenire indicazioni sulla portata testo né indicato se Governo italiano lo autorizzi.

Attendo comunque eventuali urgentissime istruzioni3.


97 1 Vedi D. 89.


97 2 In pari data Lanza d’Ajeta riferì sulla firma del trattato di pace giapponese (Telespr. 9649/4899) comunicando tra l’altro: «… Nel corso dei lavori di San Francisco vi sono stati anche due accenni all’Italia; i quali però non sono stati riportati dalla stampa. Il primo, fatto da Gromyko in uno dei primi giorni della riunione, fu dovuto ad un raffronto tra la procedura seguita a suo tempo per il trattato di pace italiano e quella seguita invece per il trattato giapponese. In tale occasione il delegato sovietico ha posto in risalto le privilegiate clausole militari offerte al Giappone. Il secondo, fatto da Schuman, conteneva il voto che l’Italia fosse ammessa all’O.N.U. nella prossima sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite».


97 3 Con T. segreto 11293/127, pari data, d’Ajeta aggiunse: «Sezione diplomatica ha avuto successive istruzioni dare suo più completo appoggio per raggiungimento accordo italo-giapponese a Tokio su dichiarazione di intenzioni. Sezione mi ha informato che Governo giapponese avrebbe già pronto per negoziazione suo progetto comunicato». Per la risposta vedi D. 99.

98

L’AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 11310/244. Teheran, 9 settembre 1951, ore 23,30(perv. ore 14,45 del 10).

Questo presidente del Consiglio dei ministri mi ha oggi convocato e mi ha detto che, pur mantenendosi egli favorevole all’invio delegazione persiana in Italia per visita A.G.I.P., ritiene tuttavia utile per suo conto che visita in Italia sia procrastinata. Tale visita in Italia, egli mi ha detto, può avere carattere tecnico o politico. Se tecnico si può attendere qualche tempo. Se politico data urgenza situazione è inutile ricorrere fra venti giorni all’intermediario di una delegazione quando egli Mossadeq è sicuro che il Governo italiano accetterebbe amichevolmente di fare conoscere in via confidenzialissima a Londra alcune idee del Governo persiano. Tale azione del Governo di Roma sarebbe tanto più gradita quanto più difficili e rari sono ora i contatti non ufficiali tra Teheran e Londra. Egli quindi mi ha chiesto di telegrafare d’urgenza V.E. perché se crede aderire desiderio Governo persiano faccia conoscere Londra quanto segue: «Governo persiano non (dico non) invierà per ora al Governo britannico comunicazione ufficiale discorso presidente Consiglio cui mio telegramma n. 2411 che contiene termine due settimane per permanenza tecnici britannici Abadan; e quando sia costretto a farlo lo farà pel tramite Harriman lasciando anche Harriman arbitro di trasmettere subito o ritardare ancora a sua volta la comunicazione. Governo persiano è pronto riprendere contatti col Governo britannico nel modo che apparirà più conveniente per negoziare per tappe successive questione petroli. Primo negoziato da iniziare subito dovrebbe avere per oggetto:

1) questione liquidazione finanziaria proprietà e impianti Anglo-Iranian in territorio persiano;

2) questione liquidazione royalties arretrate;

3) obbligo Governo persiano fornire dieci milioni tonnellate petrolio bruto al Governo britannico nell’anno prossimo sulla base pagamento del 50% valore al fondo liquidazione Anglo-Iranian e 50% al Governo persiano. Governo persiano all’(manca) tali negoziati è pronto garantire permanenza ed equo trattamento tecnici Abadan. Altre successive tappe negoziati sarebbero concordate in seguito».

Presidente del Consiglio ha rinnovato espressioni suo vivo desiderio giungere intesa effettiva con Londra.

Presidente Mossadeq mi ha infine formalmente chiesto che quanto sopra venga da noi rappresentato ufficialmente a Londra non (dico non) come una proposta del Governo persiano, ma come il risultato di nostre informazioni sicure raccolte a Teheran. E nella stessa forma egli accetterà risposta Governo Londra come risultato nostre informazioni colà raccolte. Mi ha infine pregato sottolineare V. E. carattere massima urgenza tale sua comunicazione a me fatta2.


98 1 Del 6 settembre, non pubblicato.


98 2 Per il seguito vedi D. 103.

99

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA

T. segreto urgentissimo Roma, 10 settembre 1951, ore 14,45.precedenza assoluta 8316/66.

Suoi 125, 1271.

Trasmetta formula proposta relativa «dichiarazione di intenzioni». Ove dovessimo accettarla è da tener presente che tale dichiarazione non fa che spostare nel tempo, e per di più indebolendo nostra posizione, trattazione e soluzione questioni per noi fondamentali. Occorrerebbe quindi almeno che detta dichiarazione contenesse impegno trattamento nazione più favorita. Inoltre, sino al momento definizione varie questioni che rimangono insolute, occorrerà mantenere in nostre mani maggior numero possibilità pressione e riservarci negoziare future ulteriori richieste giapponesi in altri campi contro accettazione nostri punti di vista in sede applicazione «dichiarazione di intenzioni»2.


99 1 Vedi D. 97.


99 2 Con T. segreto 11422/131-132 del 22 settembre Lanza d’Ajeta rispose di aver dovuto respingere il progetto presentatogli come prima base dei negoziati e di aver avanzato una controproposta coerente con le istruzioni contenute nel presente telegramma. Per il seguito vedi D. 108.

100

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11358/206. Belgrado, 10 settembre 1951, ore 19,38(perv. ore 8 dell’11).

Riferimento mio telegramma n. 2051.

Prima impressione dichiarazioni Tito è che sua intransigente presa di posizione contrasta con desiderio raggiungere accordo diretto che da parte Jugoslavia ancora oggi si pretende sostenere.

Tito respinge anche possibilità esecuzione trattato di pace e persino eventuale estensione amministrazione italiana su Zona A.

Particolarmente grave appare dichiarazione finale circa possibilità pressioni occidentali su Italia in relazione aiuti economici. A mio avviso dichiarazioni Tito, se aggravano possibilità soluzione questione Trieste, forniscono all’E.V. argomento a Washington per accollare alla Jugoslavia responsabilità mancata soluzione della questione, di cui anche noi apprezzeremmo importanza ai fini più intima collaborazione per difesa Europa.


100 1 Pari data, con il quale Martino aveva anticipato le notizie sulle dichiarazioni rilasciate da Tito a giornalisti stranieri commentate nel presente telegramma.

101

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto urgente 11467/458. Londra, 12 settembre 1951, ore 22,15(perv. ore 7 del 13).

Riferimento lettera segr. pol. 1620 del 2 settembre1.

Ho avuto oggi lungo colloquio con sottosegretario Roberts su revisione trattato che – egli mi ha comunicato – formerà oggetto domani scambio vedute tre ministri Washington.

Roberts mi ha assicurato anzitutto che testo dichiarazione ci verrà sottoposto per nostre osservazioni e mi ha dato in via confidenziale lettura progetto preparato Foreign Office, ma non ancora comunicato Parigi e Washington.

Esso si differenzia da quello francese per maggior concisione. Prima parte contenente riconoscimento nostra mutata situazione morale e politica è redatta in termini più soddisfacenti senza accenni inopportuni («buona condotta » e «diffidenza»).

Ho ad ogni modo fatto presente anche circa questi ultimi nostro punto di vista di cui è stata presa buona nota.

Circa nostro ingresso O.N.U. testo inglese si limita constatare mancata realizzazione impegno trattato e non fa menzione azione da svolgere per superare difficoltà. Mi è stato spiegato che ciò è stato fatto per evitare dover usare espressioni generiche e scarsamente soddisfacenti per noi come quelle contenute testo francese, data difficoltà poter prendere seri impegni in questo campo.

Per quanto riguarda aspetto sostanziale, testo inglese riconosce fondatezza nostra richiesta revisione «particolarmente per quanto concerne clausole militari»: il che sembrami formula migliore. Comunque ho sottolineato nostro desiderio che venisse incluso riferimento sia pure indiretto anche clausole economiche e territoriali.

Anche testo britannico include «riserva diritti terzi». A mie osservazioni circa inopportunità tale espressione Roberts ha risposto facendo presente che Governo inglese contava in tal modo ottenere adesione numero maggiore possibile Stati firmatari temendo che viceversa omissione tale clausola provocasse esplicite riserve di molti di essi; il che avrebbe tolto molto valore dichiarazione stessa. Mentre ho ribadito nostro punto di vista ho tratto impressione che da parte Foreign Office vi sia molta comprensione nostra posizione e che talune nostre osservazioni non giungessero inaspettate (mio telegramma 443)2.


101 1 Con la quale Jannelli trasmetteva a Theodoli il documento qui pubblicato al D. 84.


101 2 Del 4 settembre, non pubblicato.

102

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 2196/719. Mosca, 13 settembre 1951(perv. il 22).

Miei telegrammi n. 210 del 23 agosto, n. 212 del 29 agosto, n. 215 del 3 settembre e n. 221 del 9 settembre1.

Coloro che si attendevano nella Conferenza di San Francisco qualche sensazionale novità da parte sovietica, sia nel senso di una violenta minaccia, sia nel senso di una proposta ragionevole tale da sconcertare e scuotere gli Stati europei ed asiatici meno solidi, sono stati ancora una volta delusi. Una eguale attesa e una eguale delusione vi era stata prima delle trattative di Parigi per la Germania. In realtà l’una e l’altra attesa dimostravano scarsa conoscenza del metodo e della psicologia sovietica, alieni di solito (salvo casi eccezionali ed eccezionali pericoli) da mosse teatrali, ed incapaci ugualmente di concessioni veramente abili, comprensive del punto di vista opposto.

A San Francisco i sovietici hanno portato le loro recriminazioni, le loro proteste, e una serie di proposte che nel loro complesso erano inabili perché mostravano troppo chiaramente il loro intento: di ridurre alla totale impotenza ed a loro disposizione i due ex nemici, Germania e Giappone, impedendo al mondo occidentale di farsene degli alleati.

Naturalmente ciò ha facilitato l’azione degli americani, la quale è stata del resto decisa, un po’ brutale ma efficace. D’altro canto essa è stata facilitata dal fatto che i sovietici avevano già ottenuto prima della conferenza quasi tutto ciò che potevano ottenere: l’astensione preventiva dell’India e della Birmania toglieva loro la possibilità di sbandierare il rifiuto alla firma di questi due paesi come un effetto e un successo del loro intervento.

Dimodoché, in sostanza, i sovietici hanno subito una delusione e uno scacco: la eco della loro azione è stata inferiore a quello che essi vorrebbero fare apparire. Lo si desume da talune loro manifestazione di stampa; ad esempio, Tempi nuovi nel suo editoriale sui risultati della conferenza (12 settembre) è ridotto a registrare come un successo il fatto che nella votazione sulla chiamata della Cina comunista, l’Indonesia e il Libano si siano astenuti. Ciò è evidentemente troppo poco, mentre i sovietici speravano forse di indurre l’Indonesia a non firmare, ed altri Stati asiatici, mediorientali, arabi a formulare delle precise obiezioni, ritardando quantomeno l’approvazione del trattato ed inducendo gli americani a delle modifiche. Nulla di tutto questo è stato ottenuto, e il senso della partecipazione sovietica a San Francisco si è ridotto ancora una volta alla ricerca di una tribuna di propaganda, come ha confermato ufficialmente Gromyko con parole che sono state letteralmente riprodotte in molti commenti sovietici:

«L’Unione Sovietica non avrebbe compiuto il suo dovere – ha detto Gromyko – se non avesse dichiarato fin d’ora pubblicamente ch’essa non solo rimane estranea a tali piani di preparazione di una nuova guerra in Estremo Oriente, ma ammonisce pure che coloro i quali impongono al Giappone un simile trattato di pace assumono su di sé di fronte ai popoli tutta la responsabilità per le conseguenze di un simile passo».

Si tratta, è vero, di una ammonizione solenne e vagamente minacciosa: ma in fin dei conti si tratta pur sempre e soltanto di parole, di un gesto cui non ha corrisposto un minimo successo concreto, né nel senso di prolungare una discussione, né nel senso di ridurre il numero degli aderenti.

2) Un riflesso del malumore sovietico per la sterilità dell’intervento a San Francisco si è avuto negli attacchi del partito comunista indiano contro Nehru, proprio nel momento in cui questi, rifiutando di recarsi alla conferenza, e facendosi paladino degli accordi di Yalta e di Potsdam a favore dei sovietici (Sakhalin e le Kurili) e contro gli americani (Riuku e Bonin) sembrava avere abbastanza dimostrato una posizione di neutralità benevola per Mosca.

In realtà, come mi osservò qui l’ambasciatore Radharkrishnan, l’India avrebbe fatto realmente il gioco dei sovietici partecipando alla conferenza e rifiutando il trattato. Dal momento che non intendeva firmarlo, era preferibile ch’essa non fosse presente, perché ciò avrebbe offerto ai sovietici un prezioso appoggio, mettendo realmente in pericolo la compattezza della maggioranza.

L’assenza dell’India deve quindi aver messo di malumore i sovietici, e forse ha contribuito a spiegare la strana, grande pubblicità data dalla stampa di Mosca agli attacchi dei comunisti indiani a Nehru, proprio in quei giorni. Il partito comunista indiano ha anzitutto attaccato Nehru per non avere richiesto limitazioni agli armamenti giapponesi e per avere ammesso la possibilità di alleanze difensive del Giappone; in ciò si manifesta, dicono i comunisti, la influenza dei reazionari.

Ma il brano più significativo dell’attacco comunista è quello che riguarda l’assenza da San Francisco, perché esso tocca il punctum dolens: «Invece di prender parte alla Conferenza di San Francisco e di condurre colà la lotta insieme agli altri paesi democratici per la conclusione di un trattato di pace giusto e democratico col Giappone – dice la dichiarazione del segretario del P.C. indiano – il Governo indiano dichiarò di non voler partecipare alla conferenza, e di voler conchiudere un trattato bilaterale col Giappone, quando esso diventerà uno Stato indipendente. Tale politica ostacola la manifestazione di una unità di iniziative delle forze che lottano per la pace; essa, di conseguenza, indebolisce tali forze». Sono parole chiare che esprimono anche la delusione dell’U.R.S.S. per essere rimasta a San Francisco senza alleati indipendenti ed autorevoli, subendovi indiscutibilmente uno smacco.

3) È mancato pure ogni diretto collegamento fra San Francisco e la Corea. Gromyko non ha legato le due questioni, non ha messo alternative né formulato minacce in tal senso. Le due azioni si sono svolte e continuano a svolgersi parallelamente. Naturalmente la situazione in Giappone può avere influenza sull’atteggiamento in Corea, ma con quale effetto rimane da vedere.

Per intanto la situazione in Corea appare sempre più delicata, le probabilità di una ripresa delle ostilità su larga scala sempre più imminenti.

Al riguardo l’atteggiamento sovietico consiste sostanzialmente nel riprodurre letteralmente, accanto ai comunicati cinocoreani sulle ostilità, anche le innumerevoli proteste o dichiarazioni polemiche dei varii generali cinesi e coreani sulle pretese provocazioni americane nella zona di Kaesong. Se vi è ancora un elemento che fa dubitare della decisione cinese di passare all’azione, è proprio questa eccessiva abbondanza di proteste verbali quotidianamente ripetute: il silenzio sarebbe forse più temibile di questo fiume continuo di parole.

In questi ultimi giorni poi, i sovietici hanno cominciato ad accusare gli americani di voler rompere le trattative per poter riprendere l’offensiva in Corea, ripetendo però preferibilmente opinioni coreane. Il commento più ampio al riguardo è consistito in una corrispondenza da Puonyang pubblicata su Pravda il 12 settembre, riproducente dichiarazioni dell’agenzia ufficiosa coreana. L’accusa è tuttavia stata formulata anche direttamente da giornali e da personalità sovietiche: ad esempio, l’ha espressa il maresciallo Socolovski nel suo discorso dell’8 settembre a Sofia.

Dunque i sovietici appoggiano, ed è logico, la posizione cinese; ma fino a che punto questo appoggio si tradurrà in un aiuto militare su larga scala, non è possibile, o sarebbe azzardato, prevedere.

Per intanto i sovietici si sono affrettati a smentire la notizia che truppe sovietiche «di razza bianca» si trovino in Corea. È stato facile agli occidentali rilevare che i sovietici non hanno smentito la presenza di reparti sovietici di razza gialla. Ma il comunicato rispondeva a una notizia che parlava di reparti bianchi, e rimane nei limiti della notizia; la sua portata politica è certo quella di evitare qualsiasi aperta compromissione sovietica nella guerra di Corea. Questa è stata finora la ferma linea sovietica, e non vi è alcun indizio che essa sia cambiata. La cura con cui i giornali sovietici si limitano a riprodurre in gran parte, su tale argomento, documenti ufficiali ed ufficiosi di fonte cinese e coreana lo conferma.

Perciò non vi è dubbio da un lato che la situazione coreana vada sempre peggiorando e possa riservare delle sorprese: ma le riserve circa la possibilità di diversi interessi e di una diversa intensità di sforzo dei due alleati in quel settore non hanno finora ricevuto dai fatti una sicura smentita.

4) È sopravvenuta intanto la nota del Governo sovietico al Governo francese, la terza in tema di riarmo germanico2. Alla vigilia della conferenza dei tre ministri occidentali a Washington, tale rinnovata protesta appare naturale e non può sorprendere.

Il suo contenuto corrisponde press’a poco alle precedenti proteste, aggiornate coi nuovi fatti; ed è sintomatica la coincidenza di argomenti e persino di parole fra essa e le manifestazioni recenti della stampa sovietica sull’argomento (vedi ad esempio il commento di F. Orekhov in Pravda dell’11 settembre dal titolo «La conferenza di Washington»).

Tale coincidenza non deve indurre a svalutare l’atto diplomatico ma a valutare invece opportunamente le manifestazioni di stampa. Ciò è del resto normale nei regimi dittatoriali, ove nessuno può né si permette di pubblicare un pensiero che non sia autorizzato; così avviene che le note diplomatiche echeggiano le parole di Pravda o di Isvestia, mentre poi i diplomatici sovietici nei loro colloqui ripetono più o meno quel che si è già letto sui medesimi giornali. Ciò deve convincere sempre più sulla necessità di prendere sul serio e di valutare attentamente questi ultimi, anche quando sembrano ripetere fino alla esasperazione quelle che sembrano frasi fatte e formule di propaganda prive di contenuto.

A conferma e in aggiunta al telegramma n. 226 del 13 settembre3 ripeto e completo quel che è sembrato, in questi ambienti, maggiormente notevole a riguardo della nota 11 settembre:

a) il fatto che non sia stata diretta all’Inghilterra, come era avvenuto in precedenza. Questo conferma che i sovietici contano ancora di scuotere l’opinione pubblica francese, ma non hanno più speranze almeno vicine per quel che riguarda quella inglese. L’ambasciata di Francia di qui, da qualche tempo va segnalando taluni atti più o meno benevoli dei sovietici nei riguardi del suo paese: larga pubblicità all’accordo di commercio e di stabilimento, restituzione di alcuni prigionieri, silenzio di Gromyko a San Francisco sul Viet Minh e sulla sua possibile partecipazione al trattato col Giappone. Vere o affrettate queste illazioni, sembra certo che i sovietici contano di poter efficacemente lavorare l’opinione pubblica di due soli paesi importanti europei: la Francia e l’Italia;

b) ancora una volta l’U.R.S.S. si indirizza all’opinione pubblica, non al Governo. Tutto il contenuto della nota è di carattere propagandistico; questo concorre pure (in parte) a spiegare la natura quasi giornalistica dei suoi argomenti. Il Governo dell’U.R.S.S. sa benissimo che i suoi moniti non influiranno per nulla sulla condotta di Schuman a Washington, ma sperano di creargli delle difficoltà a Parigi. In linea generale, questa tendenza dei sovietici a scavalcare sempre maggiormente i Governi per rivolgersi ai popoli è insieme un monito e un segno dell’accrescersi della tensione generale;

c) il contenuto della nota è una manifestazione della radicale ostilità sovietica a qualsiasi forma di organizzazione europea: piano Pleven o piano Schuman, anche se essi servono a controllare e legare la Germania in un quadro più ampio, non potranno mai avere la minima tolleranza da parte dei sovietici, i quali mirano a ogni costo a dividere e a indebolire l’Europa;

d) taluna delle espressioni della nuova nota è più forte di quelle delle precedenti; ad esempio, a proposito delle conversazioni di Petersberg per la formazione di 12 divisioni germaniche con 250 mila uomini, si dice che con ciò fu fatto un «passo decisivo» verso la rinascita in un esercito regolare tedesco e nella conclusione si ammonisce che il Governo sovietico «non può non fare i conti» colle conseguenze dell’attuale politica del Governo francese;

e) comunque, nemmeno questa volta il Governo sovietico ha ritenuto di denunciare il Trattato di alleanza del 10 dicembre 1944: esso si astiene tuttora dall’atto più clamoroso, e preferisce mantenere in vita il trattato, anche se sostanzialmente morto.

5) Infine, l’ultimo rilievo che scaturisce ovvio dall’esame della nota, è quello del parallelismo dell’azione sovietica contro il riarmo giapponese e contro il riarmo germanico. È un parallelismo imposto dalla stessa linea di azione alleata: alla Conferenza di San Francisco fanno immediato seguito quella di Washington e di Ottawa, ed è naturale che vi corrispondano le relative reazioni sovietiche. I sovietici fanno ogni sforzo per impedire il riarmo sia della Germania sia del Giappone, e sanno che al riguardo non possono contare su alcun accordo con gli Stati Uniti, perché non vogliono pagare il giusto prezzo di un tale accordo. Quindi essi agiscono in ogni altro modo indiretto: sulla opinione pubblica francese, su quella asiatica, sui Governi e sui popoli della Germania e del Giappone. È una azione che sotto la formula della pace, mira in realtà all’indebolimento e al disarmo, materiale e morale, degli avversari.

I sovietici sanno probabilmente che non riusciranno ad arrestare veramente tale riarmo, ma sperano quantomeno di ritardarlo, di renderlo più difficile. Tutta la loro azione politica ha oggi, a quanto sembra, questa funzione di inceppamento e di ritardo della preparazione morale e militare dell’Occidente. È una azione senza sbocco, perché non mira a un accordo, ma mira semplicemente a ritardare un conflitto. Un diplomatico sovietico parlando della situazione politica generale e segnalandone il progressivo peggioramento (vedi mio telespresso n. 633 del 1° settembre)3 l’ha qualificata besperspektivnoye: situazione senza prospettive. Si guadagna tempo, ma non si tende a una soluzione né si ha l’intenzione di trovare una soluzione. I sovietici non si rendono conto della loro propria determinante responsabilità in questo processo e ne accusano gli americani: ma indubbiamente la loro definizione non è priva di verità. Ed è significativo che me la sono sentita ripetere da un diplomatico filosovietico, quasi eco di una formula corrente negli ambienti comunisti.

6) Per intanto, sembra che i sovietici abbiano ancora realmente la speranza di esercitare una azione efficace col loro movimento per la pace, come mezzo per attirare le masse occidentali e stroncare ogni possibilità combattiva del mondo capitalista. In questi giorni è continuata, ininterrotta, la campagna relativa alla raccolta per le sottoscrizioni sovietiche a favore del patto a cinque. Da ogni parte dell’Unione Sovietica giungono le solite corrispondenze sulle manifestazioni solenni, i discorsi degli operai, l’usuale retorica sulla cui sincerità è arduo dare giudizi precisi.

In coerenza, i sovietici continuano ad esaltare le loro opere di pace: come hanno celebrato sui giornali l’anniversario dell’inizio della diga di Kuybiscev, e di quella di Stalingrado, così hanno fatto il 12 settembre per l’anniversario dell’inizio del canale Amu Daria-Krasnovodak nel Turkmenistan. Tutti i quotidiani ne hanno trattato nei loro editoriali (unisco l’esempio più tipico, quello dell’Isvestia del 12 settembre, allegato 4)4 ed hanno inoltre pubblicato notizie, fotografie, corrispondenze.

Anche qui è difficile stabilire in che misura i sovietici fanno, e in che misura vogliono far credere di fare. Ma l’impressione prevalente è che, malgrado tutto, finora essi insistono sul motivo della pace perché non vedono ancora imminente il pericolo della guerra, e forse sperano ancora di corrodere il fronte interno nemico prima che questo si consolidi pienamente. Questo spiegherebbe perché, pur vedendo l’aggravarsi del pericolo, essi per ora né fanno concessioni reali e sostanziali, né reagiscono con l’azione. La loro mentalità li porterà forse a fare qualche concessione soltanto in extremis, ma finora essi non si ritengono giunti a quel punto; né si rendono conto che allora potrebbe anche essere tardi.


102 1 Non pubblicati.


102 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 38, p. 737.


102 3 Non pubblicato.


102 4 Non si pubblica.

103

L’AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11547/254. Teheran, 14 settembre 1951, ore 13,30(perv. ore 16,45).

Ho veduto presidente del Consiglio il quale mi ha ringraziato trasmissione suo messaggio1. Mossadeq mi ha avvertito che dopo recente provvedimento britannico di cui al mio telegramma n. 2512 egli non ha potuto più esimersi dal mandar a Washington ad Harriman nota persiana già preparata col termine due settimane. Ciò per le vivaci pressioni del suo proprio partito cui egli ha dovuto necessariamente dare soddisfazione formale. Ma Harriman è stato informato a mezzo Grady che può fare conoscere sue obiezioni eventuali a consegna nota e che anche se egli non avesse obiezioni comunque nota non sarà qui pubblicata se non nel giorno che egli stesso Harriman indicherà. Mio collega americano mi ha detto a sua volta aver avvertito Harriman di tutto.


103 1 Vedi D. 98.


103 2 Del 13 settembre, con il quale Cerulli informava che il Governo britannico aveva ritirato la concessione alla Persia relativa alla conversione delle sterline in dollari.

104

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. segretissimo 11586/1008. Washington, 14 settembre 1951, ore 19(perv. ore 7,30 del 15).

In incontro tripartito è stata studiata seguente procedura per revisione trattato pace italiano.

1) Italia dovrebbe concordare con Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia testo di nota da inviarsi a tutti firmatari trattato per chiedere revisione di esso.

2) Dopo concordato testo tale nota (ma prima dell’invio di essa) suddetti tre paesi pubblicherebbero dichiarazione comune, constatante necessità rivedere trattato.

3) Appena pubblicata dichiarazione, Italia invierebbe a tutti firmatari nota di cui sopra.

4) Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia risponderebbero subito interlocutoriamente dichiarandosi in massima favorevoli e successivamente darebbero risposta vera e propria, la quale, liberando Italia da taluni obblighi previsti in trattato, costituirebbe di fatto revisione di esso.

5) Stessi tre paesi si adopererebbero anche affinché maggior numero possibile di altri firmatari dessero risposta favorevole.

Nota italiana dovrebbe basarsi su seguenti concetti:

1) Clausole militari impediscono Italia difendersi adeguatamente e contribuire adeguatamente difesa comune.

2) Clausole politiche (articoli da 15 a 18) sono in contrasto con attuale posizione italiana.

3) Preambolo non è più atto a regolare rapporti tra Italia ed altri firmatari.

4) Tali relazioni dovrebbero invece essere basate su spirito della Carta Nazioni Unite.

5) Revisione consensuale, prevista da articolo 46, è resa inoperante da opposizione sovietica ad ammissione italiana Nazioni Unite.

Procedura sopradescritta è stata già sottoposta, a titolo strettamente segreto, a presidente De Gasperi affinché faccia conoscere suo pensiero al riguardo in sue conversazioni a Ottawa e Washington1.


104 1 In risposta al presente telegramma Zoppi ritrasmise (T. s.n.d. 8503/457 del 15 settembre) a Washington la comunicazione inviata a De Gasperi ad Ottawa per la quale vedi D. 107, nota 1.

105

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AD OTTAWA

T. s.n.d. personale 11615/1010. Washington, 15 settembre 1951, ore 13,17(perv. ore 21,30).

Dipartimento di Stato gradirebbe conoscere appena possibile se V.E. è in massima favorevole a procedura per revisione trattato comunicatale ieri a New York1. In caso affermativo verrebbe costà sottoposto approvazione V.E. testo dichiarazione tripartita. Dipartimento di Stato confida che, a parziale emendamento suddetta procedura, dichiarazione tripartita potrebbe essere pubblicata anche prima che sia concordato testo richiesta italiana e precisamente al termine visita V.E. Washington o subito dopo. Dipartimento di Stato aggiunge, a titolo strettamente confidenziale, dichiarazione risulterà notevolmente migliorata rispetto proposta francese2. Infatti Governo americano ha presentato contro-progetto, che chiede emendamenti a suo tempo suggeriti da V.E.3 e impegna Stati Uniti Francia Inghilterra ad accordare revisione sostanziale.

Infine Dipartimento di Stato, sempre a titolo confidenziale, sottolinea che procedura per revisione è stata sottoposta a V.E.3 senza riferimento a conversazioni Jugoslavia cosicché, malgrado interesse che taluni paesi possono avere per tali conversazioni, questioni non vengono prospettate a Governo italiano congiuntamente4.


105 1 Vedi D. 104.


105 2 Vedi D. 66.


105 3 Vedi D. 84.


105 4 Con T. s.n.d. 8525-8526/458-459 del 16 settembre Zoppi ritrasmise a Washington il D. 107.

106

L’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11621/131. Atene, 15 settembre 1951, ore 20,15(perv. ore 22,10).

Venizelos e Politis mi hanno pregato segnalare ansietà Governo greco su prossime decisioni Ottawa e rivolgere presidente De Gasperi loro appello affinché voglia continuare sostenere necessità pronta decisione per piena ammissione Grecia e Turchia al Patto atlantico.

Essi fanno notare che il Governo greco non è stato mai informato, né ufficialmente né confidenzialmente, dei progetti di separati patti mediterranei di cui stampa va parlando. Dichiarano che pur comprendendo necessità giungere in questo settore a particolari intese essi subordinano tali intese a previa piena ammissione al Patto.

Ambedue attribuiscono atteggiamento Stati scandinavi a Gran Bretagna ed a suo intendimento tattico rinviare ammissione affinché siano prima risolte note questioni Medio Oriente, Comando mediterraneo, posizione in Jugoslavia ecc. Grecia è pronta trattare tali questioni con maggior spirito comprensivo ma solo dopo essere stata ammessa Patto.

Venizelos e Politis segnalano grave turbamento che opinione pubblica greca non mancherebbe risentire ove ammissione fosse ancora una volta rinviata ed assicurano presidente De Gasperi che è prossima formazione nuovo Governo (probabilmente basato collaborazione Venizelos Plastiras) atto dare Alleati e Italia garanzia, autorità e piena adesione causa occidentale.

107

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AD OTTAWA

T. s.n.d. urgentissimo precedenza assoluta Roma, 16 settembre 1951, ore 13,30.8523-8524/75-76.

Seguito telegramma 721.

Per il caso possa esserle utile, permettomi sottoporre V.E. progetto che abbiamo studiato qui e che potrebbe essere presentato come nostra base discussione:

«I Governi di Francia, Gran Bretagna e U.S.A. riconoscono che la situazione giuridica e politica dell’Italia quale risulta dal trattato firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e particolarmente dal suo Preambolo, è divenuta incompatibile con la piena partecipazione dell’Italia, in uguaglianza di diritti e doveri, alle comunità delle nazioni europee e atlantiche.

I tre Governi dichiarano in conseguenza che i rapporti fra di essi e l’Italia non sono più da ritenersi fondati né giuridicamente né politicamente su tale strumento, bensì sulla solidarietà e collaborazione che unisce i membri delle suddette comunità nella difesa della libertà e nella salvaguardia della pace, e sullo spirito della Carta delle Nazioni Unite.

I Governi di Francia, Gran Bretagna e U.S.A. adotteranno le disposizioni e faranno i passi necessari perché le clausole del trattato, che sono da considerarsi superate nello spirito della presente dichiarazione, nonché quelle che l’esperienza ha dimostrato inapplicabili, e quelle che pregiudicano la difesa dell’Italia, sul piano militare e sul piano finanziario, economico e sociale, siano senza indugio rimosse o revisionate».

Accordo fra noi e Alleati su tale dichiarazione potrebbe sostituire e comprendere punti 1 e 2 telegramma Tarchiani2. Sempre a mio subordinato avviso sembrerebbe infatti preferibile che principio revisione, già da noi pubblicamente sollecitato, risultasse ora come gesto spontaneo dei Tre. Una volta compiuto dai Tre tale gesto si potrebbero da parte nostra avanzare proposte (anche preventivamente concordate) su modalità e procedura per applicazione revisione a materie indicate nella dichiarazione.


107 1 Del 15 settembre, con il quale Zoppi aveva indirizzato a De Gasperi a Ottawa la seguente comunicazione: «Tarchiani ha qui trasmesso informazioni [vedi D. 104] avute circa decisione dei Tre per procedura revisione trattato pace. Noto mancanza qualsiasi accenno a clausole economiche e a quelle rivelatesi inapplicabili. Circa punto tre mi parrebbe più conveniente, dopo concordata Nota fra noi e i Tre, lasciare a loro iniziativa inviarla ad altri firmatari. Sembra infatti più conveniente, ai fini interni, che materie revisione risultino decise dai Tre anziché da noi proposte in quanto potremmo essere rimproverati di non aver chiesto di più. Sarebbe anche necessario, a mio subordinato parere, che revisione risulti impegnativa per i Tre, per quanto li concerne, sin dalla dichiarazione e indipendentemente dalla adesione altrui; altrimenti rischiamo inoltrarci e arenarci in una procedura inestricabile. Giungerò Nuova York 19 p.v. con Dunn».


107 2 Vedi D. 104.

108

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11634/136-137-138-139. Tokyo, 16 settembre 1951, ore 18,40(perv. ore 12,45).

Avendo Sezione diplomatica preparato terreno e raggiunto limite suoi buoni uffici, ho avuto stamane vivace ma amichevole colloquio vice ministro affari esteri a cui ho esposto fermamente desiderata italiani anche sviluppando concetto che nostre richieste se accettate con preveggenza potrebbero equamente sanare passato e promuovere nostra collaborazione ora utile in varie opere internazionali. Ho avuto impressione che franco colloquio abbia avuto qualche effetto ma che intera questione sia molto pregiudicata, anche secondo precisa affermazione vice ministro affari esteri, da quasi totale abbandono nostra tesi da parte americana con Yoshida a San Francisco dopo tassativa richiesta giapponese mantenere con l’Italia principio assoluta reciprocità distaccato da pace generale.

Comunque intransigente silenzio ufficiale sarà […]1 rotto con promessa presentazione nuove proposte di Yoshida formulate su linee che deriverebbero da intesa di massima nippo-americana San Francisco e tenendo presente odierna conversazione.

Ministero degli affari esteri inviatomi stasera direttore generale Ufficio Trattati Nishimura che è stato principale funzionario delegazione giapponese San Francisco.

È stato finalmente esposto punto di vista giapponese che riassumo:

1) Opinione pubblica giapponese che conserva per noi sentimenti tradizionale amicizia e memoria comune tragica esperienza non (dico non) ammetterebbe mai fosse concessa all’Italia posizione vincitrice quindi per il Governo giapponese è inammissibile specifico nostro collegamento pace San Francisco derivante armistizio anno 1943;

2) unica possibile base per tempestiva, e per motivi morali, reciproca utile intesa è quella assoluta reciprocità;

3) sotto questa etichetta assoluta reciprocità Tokio accetterebbe negoziare tutte le nostre fondate richieste, ha aggiunto, incluse quelle dopo 8 settembre anno 1943, riservandosi presentare anche alcuni modesti claims.

Dati soprattutto alcuni commenti fatti è seguita vivace discussione in cui anche da parte mia non ho (manca) alcun argomento anche scottante. Intelligenza mio interlocutore e suo desiderio cercare intesa hanno poi facilitato ulteriore corso conversazione assolutamente amichevole.

In corso conversazioni su primo progetto pubbliche dichiarazioni di intenzioni (mio telegramma 131)2 direttore generale Ufficio Trattati si è dichiarato disposto accettare dosato agganciamento San Francisco con la frase «nello spirito di riconciliazione e fiducia che ha ispirato trattato di pace San Francisco» ed estensione possibilità risarcimento dei danni dopo 8 settembre 1943 con la frase «questioni sorte tra i due paesi in conseguenza esistenza stato di guerra e come risultato misure adottate autorità due paesi». Ha invece fermamente escluso clausola della nazione più favorita.

Ho detto che non potevo trasmettere nemmeno questa nuova offerta per superiore esame se tenue agganciamento con San Francisco non fosse accompagnato da lettera confidenziale illustrante più preciso impegno, formalmente reciproco, ma di fatto unicamente giapponese, procedendo equa applicazione quei principi trattato di pace San Francisco i quali possono essere rilevanti alla luce delle speciali circostanze esistenti tra i due Governi (avevo considerato tale formulazione su precisi suggerimenti Sezione diplomatica la quale la riterrebbe assai conveniente per noi ma dubita sua accettabilità per giapponesi).

Dopo molte difficoltà egli ha accettato discutere tale linea con Yoshida e darmi risposta lunedì sera. Ho concluso riconfermando nessun mio impegno e mia attesa ricevere da loro basi più accettabili per prospettarle a Roma. Mi riservo telegrafare sviluppi. Sarei grato a V.E. precise ulteriori direttive vari nuovi aspetti intera questione.

Quale ulteriore elemento di giudizio circa stato d’animo giapponese segnalo che tra le prime richieste ieri mi è stata fatta anche quella del «colpo di spugna» reciproco in base particolari precedenti italo-giapponesi, nostra recente ripresa relazioni con la Germania e persino analogo trattato fra Italia Cuba 1947. Ho convenientemente risposto. Ad ogni buon fine informo V.E. miei interlocutori hanno fatto discretamente comprendere essere a conoscenza dopo San Francisco ogni dettaglio nostre trattative Washington ed attuale ben ristretto limite trattative appoggio americano3.


108 1 Gruppi mancanti.


108 2 Vedi D. 99, nota 2.


108 3 Per la risposta vedi D. 111.

109

L’AMBASCIATORE A LIMA, BOMBIERI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato urgente 2609/610. Lima, 16 settembre 1951(perv. il 24).

Iersera è partito per via aerea il dr. Vittorio Andrea Belaunde, presidente della delegazione del Perù alla prossima sessione a Parigi della Assemblea generale dell’O.N.U. Egli era diretto a Nuova York, per recarsi a Madrid a prendere parte al Congresso di diritto internazionale che si terrà nel prossimo ottobre in quella capitale. Proseguirà poi per Parigi.

Alla partenza Belaunde mi ha detto che riguardo all’Italia aveva ricevuto istruzioni dal cancelliere Gallagher di appoggiare qualsiasi proposta o progetto in favore della domanda italiana per il trattato di pace, purché nella formula sia evitata la parola «revisione», che potrebbe compromettere la posizione peruviana nella controversia confinaria coll’Equatore in relazione al Trattato di Rio de Janeiro del 1942, di nuovo portato in discussione in questi giorni dal Governo equatoriano. Secondo Belaunde dovrebbe essere impiegata una espressione corrispondente allo spagnolo «reajuste», cioè un aggiornamento del trattato corrispondente alle mutate situazioni ed esigenze internazionali. In quest’ordine di idee Belaunde mi ha assicurato l’incondizionato appoggio della delegazione peruviana e la prestazione della sua opera personale.

Riguardo alla nostra ammissione all’O.N.U. mi ha confermato l’appoggio peruviano. Anzi, d’accordo con Gallagher, egli sosterrà una sua interpretazione della Carta di San Francisco per cui, a termini della stessa, non vi può esser veto, quando la disposizione della Carta è obbligatoria e vincolativa. A suo parere la Carta è esplicita nello stabilire l’obbligatorietà dell’ammissione alla O.N.U. di ogni Stato che è democratico ed amante della pace. La U.R.S.S. deve prima dimostrare e provare che l’Italia non ha questo requisito. Mancando tale prova, il veto è inoperante e l’Assemblea deve decidere sulla domanda italiana in conformità del disposto della Carta. Fin qui il discorso di Belaunde, che in fondo non è nuovo a prescindere dal criterio politico che tanta prevalenza ha nell’organismo di Lake Success.

Il presidente della delegazione peruviana si presenta, come riferito tempo fa (v. relazione del mese di luglio)1 candidato alla Presidenza della Assemblea. Mi ha fatto comprendere che spera esser appoggiato dall’Italia presso i paesi europei in questa sua aspirazione.

Ove non ci siano altri e più convenienti impegni, l’aspirazione di Belaunde potrebbe esser presa in considerazione. Egli effettivamente è animato da sincere ed amichevoli disposizioni (per quel tanto che in politica ciò sia possibile) tanto da poter fare assegnamento che nella direzione dei dibattiti e nel lavoro di corridoio svolgerebbe opera utile a nostro vantaggio.

Avendo egli espresso desiderio di incontrarsi con il presidente on. De Gasperi nei prossimi giorni a Nuova York ove possibile, ho informato subito Guidotti di ciò ed in riassunto di quanto precede.


109 1 Telespr. 2130/511 del 3 agosto, non pubblicato.

110

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. segreto 11716/75. Ottawa, 17 settembre1951, part. ore 2,09 del 18(perv. ore 13,50).

Suo 10081.

Proposta americana può essere in massima accettata, nel senso che progetto dichiarazione mi sarebbe qui sottoposto per approvazione ed eventuale pubblicazione dopo mia visita Washington, restando d’accordo convenire successiva procedura da seguirsi e concretando misure per revisione trattato.

Telegrafato Roma e Washington.


110 1 Il riferimento è al D. 104 ma risponde al telegramma di Zoppi del 15 settembre per il quale vedi D. 107, nota 1.

111

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA

T. segreto 8574/71. Roma, 17 settembre 1951, ore 23.

Suoi 136-137-138-1391.

Approvo sua linea condotta. Sarebbe opportuno un preambolo che richiami tradizionali rapporti amicizia fra due paesi; a ciò potrebbe allacciarsi o seguire anche accenno spirito riconciliazione ecc. San Francisco. Impegno relativo danni causati dopo 8 settembre sembra accettabile ove non fosse possibile meglio precisarlo. È poi importante evitare, anche per nostra opinione pubblica, che tenore note possa lasciare anche se erronea impressione che da parte nostra si «chieda» por fine stato guerra e che da parte giapponese si «accondiscenda» a tale richiesta.


111 1 Vedi D. 108.

112

L’ONOREVOLE BRUSASCAAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AD OTTAWA

L. Roma, 18 settembre1951.

Ti invio a mezzo di Zoppi il mio cordiale e devoto pensiero ed i miei fervidi auguri per il miglior successo di cotesta tua missione.

Io sono tornato l’11 corrente dall’Africa dopo le varie tappe del mio viaggio in Somalia, a Nairobi, in Etiopia ed all’Asmara e sono lieto di poterti comunicare che dappertutto i risultati sono stati incoraggianti.

La politica di fermezza sui punti fondamentali del nostro onore e dei nostri interessi nazionali, di buon senso, di comprensione e di collaborazione che seguiamo da quattro anni nei problemi africani ci ha procurato la vicepresidenza della conferenza di Nairobi ed un’atmosfera di grande fiducia e di sincera amicizia in Etiopia.

Il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Addis Abeba è un fatto compiuto: ho avuto il gradimento per Tacoli e sono riuscito ad ottenere per la nostra ambasciata la Villa Italia, ex sede vicereale, che il Governo etiopico aveva deciso di non darci perché legata ai ricordi del periodo più critico del recente passato.

Non voglio intrattenerti più a lungo per non rubarti troppo tempo.

Zoppi ti potrà dire di più, se desidererai maggiori notizie: sarò a tua disposizione, al tuo ritorno, per farti una completa relazione su tutto il mio recente viaggio.

Desidero solo aggiungerti la preghiera di ringraziare il Governo americano per l’opera svolta dall’ambasciatore Child il quale si è adoperato nel modo più cordiale e più efficace per la riuscita della mia missione.

Egli è stato veramente interprete della migliore amicizia del popolo americano verso di noi.

Alla mia partenza Child mi dichiarò che aveva avuto parecchie preoccupazioni per la mia visita, ma che essa si era svolta e conchiusa con modi e risultati che avevano superato ogni più favorevole previsione.

113

RIUNIONE DEI MINISTRI DEGLI ESTERIDI FRANCIA, GRAN BRETAGNA, ITALIA E STATI UNITI D’AMERICA

Verbale1. Ottawa, 18 settembre 1951.

Schuman: Sono stato incaricato di presentare un progetto di dichiarazione che abbiamo elaborato a Washington. Noi siamo d’accordo sul segreto da dare alla dichiarazione. Questa pubblicazione sarebbe possibile quando ci saremo messi d’accordo sulla procedura. Questa dichiarazione ha per scopo di riconoscere che la posizione dell’Italia è incompatibile con la sua posizione attuale e la sua condotta dal 1943. Pensiamo che per completare i risultati che vogliono essere conseguenza di questa dichiarazione il miglior modo sarebbe che essa desse luogo ad una risposta del Governo italiano nella quale questi esprima i suoi desideri circa il seguito. Dovremmo partire mettendoci d’accordo su quello che voi chiedete e le vostre risposte costituirebbero l’inizio dei negoziati su quelli che dovrebbero essere accordi bilaterali per la revisione. Ciò eviterebbe le difficoltà che si incontrerebbero per una revisione da parte di tutti i firmatari.

De Gasperi: Ringrazia. Non ho difficoltà a concordare con voi la procedura ed anche il testo della risposta italiana ma in questo momento non ho visto la dichiarazione. Non comprendo bene perché abbiate voluto scegliere questo metodo. Forse perché ritenete che domanderemmo delle modificazioni alle clausole territoriali del trattato. Naturalmente non abbiamo alcuna intenzione di sostituire il trattato con un altro trattato e le questioni economiche sono state ...

Schuman: Avrete questa sera il testo della dichiarazione.

De Gasperi: Desidererei poterlo vedere oggi (si presume che in sede della riunione gli venga consegnato).

De Gasperi: (dopo averlo letto) Osserva che la frase «con riserva dei diritti dei terzi» ...

Schuman: Osserva che si tratta di persone.

Acheson: Osserva che si tratta di altri Governi.

Morrison: Osserva che ci sono amici e ci sono nemici e quindi non è possibile prendere impegni per i terzi.

De Gasperi: Ma se dite «per quanto ci riguarda» ciò basta.

Schuman: Insiste che De Gasperi ha ragione per quanto riguarda altri Stati, ma se si tratta di privati ci potrebbe essere il rischio che essi rimproverino i Governi di aver rinunciato ai loro diritti.

Acheson: Propone di non dire nulla alla stampa, di dire solo che ci sono state discussioni preliminari circa le conversazioni di Washington.

Morrison: Si richiama a precedenti e dice che ci sarebbero inconvenienti che metterebbero tutti in imbarazzo («put all in the soup») se ci fossero indiscrezioni.

De Gasperi: Accenna a voler parlare di Trieste.

Morrison: Solleva una questione procedurale («raise a point of order»). Osserva che tutto quello che si dovrebbe fare è di regolare nelle grandi linee la dichiarazione e che dopo di questa si sarebbe parlato di cose concrete e che per il momento bisognava limitarsi a discutere la dichiarazione e che il resto avrebbe dovuto essere regolato per via diplomatica.

Schuman: Propone di dire «e con riserva dei diritti dei suoi ressortissants».

Acheson: Osserva che ci sono due gruppi di nazioni e che noi siamo disposti ad esercitare azione presso nazioni amiche perché seguano la stessa via.

Schuman: Propone la formula ...

Acheson: Propone che De Gasperi rifletta e faccia conoscere le sue difficoltà perché si possa tenerne conto nella redazione definitiva.

De Gasperi: Passa al punto dell’Italia alle Nazioni Unite ed osserva che dire «sforzarsi di fare qualche cosa» non è sufficiente perché finora gli sforzi non hanno portato a nulla. A questo proposito consegna i due appunti.

Schuman: ...

De Gasperi: L’importanza della dichiarazione è l’effetto politico se l’annuncia subito. Forse sarebbe il caso che domani io vi dicessi quello che desideriamo chiedere.

Acheson: Qui ad Ottawa non abbiamo più tempo.

Morrison: La prima dichiarazione può essere fatta la settimana prossima e la nota italiana subito dopo ma non sono in grado di (regolare questa materia?) questa settimana. Non credo sia necessario.

De Gasperi: Accetta Washington.


113 1 Il verbale, redatto il 3 ottobre da Jannelli al suo rientro a Roma, ha ad oggetto: «Revisione trattato di pace. Seduta a quattro del 18 settembre 1951. Ottawa».

114

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 11846/151-152-153. Tokyo, 21 settembre 1951, ore 16,55(perv. ore 13,30).

Seguito telegramma n. 1501.

Trascrivo qui appresso traduzione testo proposto da giapponesi nota pubblica italiana che sarà indirizzata ad personam al primo ministro Yoshida:

«Ho l’onore di informarla che il Governo italiano ha la intenzione di porre termine allo stato di guerra ora esistente tra l’Italia e Giappone a datare dall’entrata in vigore trattato di pace con il Giappone recentemente firmato a San Francisco, del ripristino pieno ed amichevole relazioni fra i due paesi. Ho l’onore inoltre d’informarla che il Governo italiano ha anche intenzione concludere col Governo giapponese, dopo l’entrata in vigore trattato su menzionato, accordo relativo definizione, nello spirito riconciliazione e fiducia che hanno ispirato detto trattato di pace e della tradizionale amicizia che è esistita tra i due paesi, delle questioni sorte fra i due paesi in conseguenza esistente stato di guerra ed a seguito misure adottate autorità dei due paesi».

Trascrivo qui appresso testo proposto da giapponesi nota pubblica risposta giapponese:

«Ho l’onore accusare ricevuta della sua nota in data ..., con la quale V.E. mi ha informato dell’intenzione del Governo italiano porre termine allo stato di guerra ora esistente fra l’Italia e Giappone a datare dall’entrata in vigore trattato di pace con il Giappone recentemente firmato San Francisco, di ripristinare piene ed amichevoli relazioni fra i due paesi, ed inoltre di concludere con Governo giapponese, dopo l’entrata in vigore trattato su menzionato, accordo relativo definizione, nello spirito riconciliazione e fiducia che ha ispirato detto trattato di pace e della tradizionale amicizia che esiste fra i due paesi, delle questioni sorte fra i due paesi in conseguenza esistenza stato di guerra ed a seguito misure adottate autorità dei due paesi. A nome Governo giapponese ho l’onore dichiarare in risposta che il Governo giapponese molto cordialmente accoglie (heartly welcomes) su menzionata intenzione Governo italiano, in cui pienamente concorda (and is in full agreement with such intention)».

Trascrivo qui appresso traduzione testo proposto da giapponesi nota segreta italiana:

«Con riferimento nota scambiata in data oggi ho l’onore informarla che il mio Governo ritiene che la frase di quella nota “nello spirito riconciliazione e fiducia che ha ispirato detto trattato di pace e della tradizionale amicizia che è esistita fra i due paesi” debba interpretarsi avere seguente significato “con opportuna considerazione di quei principi enunciati in quel trattato che possano equamente essere adattati a speciali circostanze esistenti tra i nostri due paesi”. Sarei grato a V.E. se vorrà confermare che Governo giapponese, per quanto lo riguarda, concorda con quanto precede».

Trascrivo qui appresso infine traduzione testo proposto da giapponesi nota segreta di risposta giapponese:

«Ho l’onore di accusare ricevuta della sua nota riservata ... in cui V.E. ha dichiarato quanto segue: “...” Ho l’onore informare che il Governo giapponese concorda, per quanto lo riguarda con quanto sopra»2.


114 1 Pari data, con il quale Lanza d’Ajeta aveva commentato il testo qui trasmesso segnalando in particolare: «... Si è infatti ottenuto: 1) dosato agganciamento a San Francisco e richiamo a tradizionale amicizia in pubblica dichiarazione; 2) risposta assolutamente reciproca netta differenza di quelle indirizzate India; 3) lettera confidenziale che, sia pure con frase involuta, conferma tuttavia esplicito agganciamento a principi del trattato generale estensibili e valevoli anche, date le circostanze esistenti tra l’Italia e Giappone, per il periodo di tempo non coperto da pace San Francisco; 4) infine, con diretto negoziato che è stato qui dai rappresentanti esteri discretamente ma attentamente seguito, si è ottenuto dati delicatissimi precedenti anche qualche soddisfazione di prestigio ...».


114 2 Per la risposta vedi D. 115.

115

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA

T. segreto 8800/77. Roma, 22 settembre 1951, ore 22,30.

Suoi 151-152-1531.

D’accordo in linea di massima con progetto testo trasmesso per scambio note codesto Governo.

Tuttavia per motivi esposti ultima parte telegramma ministeriale 712, ritengo preferibile che conclusione risposta giapponese «il Governo giapponese accoglie molto cordialmente summenzionata intenzione del Governo italiano con la quale pienamente concorda» sia modificata come segue: «Governo giapponese ringrazia per la (cortese) comunicazione del Governo italiano e concorda pienamente con quanto forma oggetto di tale comunicazione» (The japanese Government thanks the italian Government for its (kind) communication and is in full agreement with its contents).

Trattasi di modificazione della quale si può fare presentazione sopratutto formale, e che quindi penso non dovrebbe determinare obiezioni.

Comunque testo proposto non è tassativo e si lascia S.V. concordare dizione migliore nel senso suddetto3.


115 1 Vedi D. 114.


115 2 Vedi D. 111.


115 3 Per risposta vedi D. 120.

116

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI

L. riservata 698. Parigi, 22 settembre 1951.

A quest’ora lei sarà già in possesso del progetto Cavalletti1.

Con riserva di qualche cosa che possa essere stata decisa in America e di cui non è ancora giunta notizia qui, mi sembra che nelle linee generali esso sia il meglio che si possa proporre.

Nel complesso si direbbe che gli americani hanno confermata la loro adesione al piano di esercito europeo, e gli inglesi hanno ufficialmente tolta la loro opposizione: quindi le chances che ci si arrivi a questo esercito, che prima di Washington erano per me 50%, sono ora un po’ di più: anzi praticamente non vedo altra possibilità di suo naufragio che una presa di posizione del Parlamento francese che dica: piuttosto che questo pasticcio meglio l’esercito tedesco tout court. È un po’ la posizione presa dai gaullisti, ed è una proposizione che, garantita la piena libertà e il segreto del voto, probabilmente incontrerebbe una larga maggioranza: però essendosi tutti più o meno scoperti in senso europeo, tutti hanno un grosso pudore a ritirarsi indietro. Dipenderà poi anche dalle pressioni dirette ed indirette che gli americani possono ancora fare sul Parlamento francese.

Questa ripeto è l’unica speranza che noi abbiamo che qualcuno ci liberi da questo pasticcio e che si ritorni quindi alla possibilità di progressi minimi, quindi anodini.

Ora resta di nuovo a riprendere la questione dell’atteggiamento nostro.

Per noi rimane sempre l’alternativa di dire che basta, che non ne vogliamo sapere: è una decisione possibile, purché si accetti contemporaneamente di non parlare più di Europa. Probabilmente è la decisione che risponde ai voti segreti della maggioranza degli italiani che si occupano di queste cose: si tratta di vedere se è possibile, di fronte all’interno e di fronte all’estero, di fare un voltafaccia così preciso.

Scartata questa ipotesi, per modificare il contesto del Patto non ci possiamo attaccare a questioni tecniche: il formato della Divisione, la sua composizione sono tutte questioni in cui, sotto l’influenza dello S.H.A.P.E., si finirà, sia pure gradualmente, per passare dallo stadio ideologico, a quello funzionale: potremo portare anche noi il nostro piccolo contributo tecnico, ma lì le cose andranno avanti per conto loro.

Mi sembra di intravedere una certa tendenza nostra a dire che noi versiamo sì l’esercito italiano nell’esercito europeo ma preferiremmo che le Divisioni italiane non venissero chiamate a partecipare a Corpi d’armata supernazionali. È una tesi che si può sostenere, a titolo transitorio, basandosi sul fatto che mandar soldati italiani altrove ci costerebbe più caro e far venire soldati stranieri in Italia creerebbe dei paragoni economici sfavorevoli a noi. Però è una tesi che, alla lunga, non può essere sostenuta, né ci conviene di sostenerla. Facendo banda a parte, riusciremmo solo a cumulare per noi gli inconvenienti di far parte dell’esercito europeo e di starne fuori; già di per sé l’esercito europeo avrà una forte tendenza a diventare un affare franco-tedesco: se noi ci tiriamo da parte, lo diventerà anche di più, con tutte le conseguenze dannose per noi e nessuna utile, salvo la possibilità di rimandare di x tempo la soluzione di certi gravi ed urgenti problemi nostri.

Dato questo, mi sembra che il punto che noi possiamo sostenere, e sostenere a fondo, perché pienamente giustificato, è che non si possono fare paragoni fra il piano Schuman e l’esercito europeo, che è inammissibile che ogni paese passi la maggior parte del suo bilancio militare ad una istituzione supernazionale, rinunciando praticamente ad ogni controllo sull’uso effettivo di questi fondi, e che l’unico mezzo di ovviare a questo inconveniente è di rinforzare considerevolmente il potere di controllo finanziario, e generale, dell’Assemblea. Bisognerebbe, secondo me, andare tanto avanti quanto è praticamente possibile sulla via di dare al commissario il carattere di un vero ministro responsabile di fronte all’Assemblea.

È questo un punto di grossa importanza, e giustificata. Se noi facciamo l’esercito europeo, in pratica facciamo il passo più importante che si possa fare verso la creazione di una confederazione piccolo-europea: se ci si decide a questo, tanto è decidersi anche a creare, per questo, il vero meccanismo confederale, ossia Assemblea confederale, e ministro confederale. È perfettamente assurdo pensare che il commissario, come che lo si voglia chiamare, sia un tecnico e non un politico: è assurdo pensare che mentre oggi praticamente tutti i ministri della difesa sono dei politici e non dei tecnici, si ricorra ad [un] tecnico per un organo supernazionale. Deve essere un politico ed i suoi rapporti con l’Assemblea debbono rassomigliare ai rapporti di ogni ministro con ogni assemblea.

Non credo ci sarà nessuno che obietterà al principio: né vale l’obiezione, che si potrebbe fare, che ciò ritarda il tutto per la necessità di studiare questa nuova sistemazione. Si può sempre rispondere che è meglio metterci un mese di più ed avere un organismo che funziona che metterci un mese di meno e creare un organismo che non sia in grado di funzionare.

Sotto questo punto di vista ci è stata messa l’idea di una Assemblea eletta direttamente: credo che sia un’idea che si può benissimo lanciare e fare, lanciandola, buona figura in tutto l’ambiente europeistico. In sé la cosa sarebbe più che ragionevole. Sarebbe però una di quelle idee che è bene lanciare e che è bene che siamo noi a farlo; ma senza attaccarcisi troppo.

Nel complesso, quello che è necessario oggi, sarebbe accettare da parte nostra, in massima, queste direttive (dico queste, perché, parlando in termini realistici e salvo questioni di dettaglio, non ne vedo altre di presentabili) e insistere perché il concetto fondamentale venga accettato. Quanto poi alla maniera in cui questi nostri concetti possono essere realizzati in pratica, bisognerà essere aperti a tutti i suggerimenti: una volta ammesso il principio, è veramente uno di quei casi in cui è bene che le migliori menti d’Europa collaborino per trovare la maniera di realizzarlo.

Per quello che riguarda i francesi ne ho parlato a Parodi a titolo personale. La sua reazione è stata molto esitante per l’idea dell’Assemblea eletta direttamente; ha però riconosciuto che il punto di vista nostro è giusto, le nostre obiezioni fondate ed il nostro approccio ai problemi centrali sano; mi ha promesso di studiare a fondo le nostre idee. La reazione dunque a questo livello è stata molto migliore di quanto si potesse temere.

Come le ho fatto dire da Cavalletti, terrei al più presto essere orientato sulle reazioni sue di massima: perché la settimana prossima vorrei parlarne, sempre a titolo personale, a Monnet e anche a Schuman appena sarà di ritorno qui2.


116 1 Vedi D. 135, Allegato.


116 2 Per la risposta vedi D. 121.

117

IL MINISTRO DEL BILANCIO, PELLA,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI

T. segreto 11939/1029. Washington, 23 settembre 1951, ore 23,52(perv. ore 7,30 del 24)1.

Mi riferisco alla decisione del Consiglio ad Ottawa di istituire un Comitato ministeriale, cui l’Italia partecipa, per lo sviluppo del N.A.T.O. per la parte non militare, fra cui cooperazione economica, finanziaria sociale più stretta nel N.A.T.O. od in altre organizzazioni, evitando doppi impieghi. Consiglio ha avallato contemporaneamente manifesto O.E.C.E. V.E. è pregata di farmi avere per il 1° ottobre a Roma un rapporto con le sue riflessioni e le reazioni di cotesto ambiente in relazione a linee di azione che dovranno essere seguite nell’applicazione del manifesto dell’O.E.C.E., delle raccomandazioni economiche del F.E.B., anche esse approvate ad Ottawa, ed in generale sugli sviluppi sostanziali e organizzativi delle decisioni nel campo economico di Ottawa. Mi risulta che Stikker consulterà al riguardo Marjolin. Prego V.E. volermi in pari tempo comunicare quanto possa emergere nell’ambiente F.E.B., comprese delegazioni nazionali, circa sostanza e procedura del lavoro affidato ad Ottawa al Comitato dei Dodici che dovrà effettuare riconciliazione fra apprezzamento realistico delle possibilità politico economiche e finanziarie dei paesi membri e necessità della sicurezza esterna. Le comunico, per sua norma, che noi abbiamo pienamente appoggiato soprariportate decisioni ed intendiamo partecipare in modo attivo ai lavori, mirando, nel quadro di un consolidamento e progresso della situazione interna economica e sociale, al maggior possibile sviluppo della difesa. Anche a nostro intervento è stata dovuta l’adozione della formula «a dodici». Originaria proposta prevedeva in pratica costituzione di un nuovo Standig Group politico economico nel quale abbiamo confidenzialmente dichiarato nostra volontà di entrare, ciò che sarebbe probabilmente riuscito, ma che avrebbe prodotto, specialmente da parte dei minori, reazioni che nell’interesse generale abbiamo ritenuto utile evitare.


117 1 Ritrasmesso da Roma a Parigi con T. segreto 8832/321 pari data.

118

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A WASHINGTON

L. Roma, 23 settembre 1951.

Rinnovo i più fervidi e devoti auguri per la tua missione.

Degli avvenimenti di qui sei direttamente informato dai telegrammi. Molte cose avrei da comunicarti, ma – siccome non interferiscono con gli oggetti della tua missione – mi riservo di parlartene a voce al tuo ritorno. Mi limito perciò a segnalarti solo quanto segue:

1) l’atteggiamento della stampa italiana nei riguardi della nota jugoslava, del discorso di Tito, della nostra nota di risposta è stato quanto mai riservato e prudente1. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che la manovra di stampa fatta da Palazzo Chigi ha inciso su condizioni particolarmente favorevoli: non ci si può illudere che tale manovra possa sempre avere eguale risultato.

2) Il ministro Ivekovic, a cui consegnai la nota di risposta, mi ha comunicato di essere stato sostituito nel posto di Roma, per normale avvicendamento. A titolo «del tutto personale» mi ha chiesto se non ritenevamo di cambiare il nostro capomissione a Belgrado. Non sono in grado di giudicare se le sue parole avessero una ragione politica o la ragione veramente personale di far apparire in buona luce il proprio trasferimento di fronte ai suoi connazionali.

Ivekovic ha insistito a lungo sui «65 mila sloveni» che sarebbero in Italia: ritengo che ciò riveli il loro gioco di puntare sulla «bilancia etnica» anziché sulla «linea etnica». Occorrerebbe – mi pare – far comprendere agli americani che non basta parlare di «principio etnico», ma bisogna precisare «linea etnica», escludendo la scappatoia della «bilancia etnica». (Per bilancia intendono questo: voi vi tenete gli slavi di Trieste, noi ci teniamo gli italiani della Zona B; alla nostra obiezione che ci sono già altri italiani in Jugoslavia essi controbattono con la precitata e cervellotica cifra di 65 mila sloveni entro gli attuali confini d’Italia).

3) Stamane il signor Anthony Eden ha fatto visite di cortesia a Roma. Ha avuto con me un colloquio di 40 minuti: abbiamo parlato un po’ di molte cose, senza alcun impegno specifico, come d’uso con un membro dell’opposizione all’attuale Governo del suo paese. In altri incontri, egli si è dimostrato sicuro e della vittoria conservatrice e della sua assunzione al Ministero degli esteri.

4) Per l’esercito europeo, procediamo sulle linee da te approvate. Credo che occorra ribadire con i nordamericani e con chiunque che le nostre perplessità non riguardano tanto nostre posizioni specifiche, quanto la pratica impossibilità di funzionamento d’un organismo come quello escogitato dal rapport intérimaire. La formula federativa dovrebbe essere la nostra carta migliore, anche per dimostrare le nostre oneste intenzioni a chi credesse invece di vedere in noi soltanto dei ritardatori. Mi parrebbe anche opportuno insistere che (assai più che nel piano Schuman) nell’esercito europeo noi abbiamo la nostra parte essenziale da svolgere: senza di noi esso non può farsi!


118 1 La nota jugoslava dell’8 settembre e quella di risposta italiana del giorno successivo sono pubblicate in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), rispettivamente n. 37, p. 716 e n. 39,pp. 755-756.

119

CONVERSAZIONI ITALO-STATUNITENSI DI WASHINGTON24-26 settembre 1951

I.PRIMO INCONTRO UFFICIALE1

Verbale2. Washington, 24 settembre 1951, ore 16,453.

Revisione del trattato di pace

Acheson: Legge la dichiarazione tripartita e annunzia che potrà essere pubblicata mercoledì 26. Fa però presente che il testo della nota italiana deve essere previamente accettato nella sostanza dalla delegazione italiana; altrimenti occorrerà consultare francesi ed inglesi ed averne l’approvazione, il che non potrebbe avvenire entro mercoledì.

De Gasperi: Osserva che pur accettando la sostanza della nota, ritiene opportuno che la parte concernente le questioni politiche preceda la parte concernente le clausole militari in modo che la revisione di queste ultime risulti essere una conseguenza della revisione in generale.

Jannelli: Illustra la necessità di inserire nella nota italiana la richiesta di revisione delle clausole economiche e di quelle giurisdizionali.

Acheson e Perkins: Fanno presente che, senza entrare nel merito della questione, una richiesta del genere dovrebbe essere comunicata agli inglesi e ai francesi e che non si riuscirebbe ad avere una loro risposta per mercoledì 26. Si rischierebbe pertanto di non fare in tempo.

De Gasperi: Distingue fra questioni di sostanza e questioni di procedura. La delegazione italiana è d’accordo sulla sostanza del progetto di nota ma deve fare delle riserve per quanto concerne la procedura.

Acheson: Ripete che è disposto a trasmettere a Londra e Parigi qualsiasi proposta italiana ma non garantisce che la risposta arrivi in tempo.

Zoppi: Osserva che se il Governo italiano desidera formulare in un secondo momento ulteriori richieste potrà naturalmente farlo.

De Gasperi: Precisa che appunto a ciò si riferiva parlando di procedura. Il Governo italiano approva, nella sostanza, l’attuale progetto di nota. Esso tuttavia potrà in un secondo momento formulare altre richieste. Tiene a chiarire questo punto perché sia evidente la lealtà dell’atteggiamento italiano. Propone quindi che una frase relativa alla procedura sia inserita nella nota italiana con la riserva di formulare successive richieste.

Perkins: Rileva che una tale aggiunta se riferita alle clausole economiche introdurrebbe un nuovo elemento nella nota.

De Gasperi: Conferma che la sostanza della nota viene accettata e che il Governo italiano vuole soltanto riservarsi il diritto di mandare successive comunicazioni ai tre Governi interessati.

Zoppi: Fa presente che, pur accettando la nota quale essa è, nulla vieta che, dopo la pubblicazione della dichiarazione delle tre potenze, queste ultime concordino con il Governo italiano qualche modifica. Si intende che se non si raggiungesse un accordo la nota resterebbe quale essa è attualmente.

Acheson: Concorda.

Ammissione dell’Italia all’O.N.U.

Zoppi: Chiede il parere del Governo americano sul memorandum presentato a Ottawa dalla delegazione italiana4.

Acheson: Informa che il memorandum viene ora studiato attentamente dagli uffici del Dipartimento di Stato. Fa presente tuttavia che le note difficoltà di carattere giuridico rilevate a suo tempo dalla Corte internazionale di giustizia persistono e che il memorandum italiano non sembra, almeno a prima vista, offrire mezzi giuridici per superarle. Resta dunque fermo il fatto che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non può prendere in considerazione la questione senza una raccomandazione del Consiglio di sicurezza e che in seno a questo il voto negativo del delegato russo è fattore determinante. Se i russi si astengono dal dare le ragioni del loro veto, non vi è appiglio per invalidare il veto stesso.

Hickerson: Conferma che comunque il memorandum italiano viene studiato ma ripete che sulla base di esso non si vede per ora la possibilità di una soluzione. Gli Stati Uniti continuano a studiare il problema e non mancheranno di cogliere ogni occasione propizia che si presentasse. Essi attribuiscono una grande importanza alla questione ed è per questo che non risparmieranno nessuno sforzo possibile e se necessario non mancheranno di consultarsi con gli altri Governi. Essi si rendono conto che l’Italia si trova in una posizione particolare anche per la sua qualità di potenza amministratrice della Somalia. Purtroppo il caso dell’Italia è quello che ha avuto maggior numeri di veti.

De Gasperi: Ricorda che l’ammissione alle Nazioni Unite costituiva una contropartita agli oneri imposti dal trattato di pace. Le assicurazioni della delegazione americana sono certo moralmente importanti in quanto esse confermano l’appoggio degli Stati Uniti ma non hanno alcuna portata pratica. Il risultato è che l’Italia si trova priva di un sostanziale aiuto in questa importante questione.

Acheson: L’Italia non è priva di aiuto in quanto gli Stati Uniti hanno fatto e faranno tutto il possibile a favore della causa italiana che riconoscono giusta.

De Gasperi: Insiste sulla necessità di compiere ogni sforzo possibile.

Zoppi: Suggerisce che il Dipartimento di Stato si mantenga in contatto col Governo italiano sulla questione attraverso sia l’ambasciata d’Italia a Washington sia il rappresentante italiano presso le Nazioni Unite, a New York.

Hickerson: Concorda.

Azione psicologica per controbattere la propaganda totalitaria

De Gasperi: Non si può sottostimare l’efficacia della campagna per la pace che viene condotta dai comunisti. Questi sanno trovare dei motivi psicologici che fanno presa sulla massa ed hanno altresì saputo costituirsi un’organizzazione che funziona bene. Un esempio della efficacia della propaganda comunista è costituito dal festival giovanile di Berlino. Con queste trovate e con questi mezzi i comunisti riescono a suscitare l’entusiasmo dei giovani che costituiscono la parte più attiva della pubblica opinione. Da parte nostra abbiamo opposto misure politiche e militari che sono certamente necessarie ma che non suscitano l’entusiasmo dei giovani. Infatti i problemi della difesa e della ricostruzione attirano l’attenzione degli uomini responsabili ma non escono fuori di questo ristretto circolo. Dobbiamo quindi adottare anche noi delle forme di propaganda realmente efficaci e prendere iniziative concrete come fanno i comunisti. La nostra azione propagandistica deve basarsi sopratutto sui principi democratici ed a questo riguardo occorre tener presente che se la Spagna e la Jugoslavia dovessero essere ammesse nel sistema occidentale di difesa, si verrebbe a perdere appunto questo sostanziale spunto ideologico. Occorre altresì tener presente che la propaganda deve basarsi su principi attivi e non semplicemente su elementi negativi come quello della difesa dall’aggressione russa. Il timore non può essere alla lunga considerato come un sufficiente fattore psicologico. Accanto ai motivi ideologici offerti dai principi democratici vi è un altro motivo che può entusiasmare i giovani ed è quello dell’unità europea. Il primo passo è stato compiuto ad Ottawa con la creazione del nuovo comitato. Occorre però che ogni governo dia il suo contributo fornendo all’organismo internazionale il risultato della propria esperienza e gli elementi adatti. Inoltre in ogni singolo paese la propaganda dev’essere svolta tenendo conto della psicologia locale e dei problemi del paese stesso. L’ideale della pace e il principio della solidarietà atlantica devono costituire la base comune per tale azione psicologica ma essi debbono essere presentati in modo da destare l’entusiasmo dei giovani. L’Italia desidera dare il suo contributo a quest’azione sia per mezzo del N.A.T.O. sia mediante dirette intese con gli Stati Uniti.

Barrett: Riconosce che i comunisti hanno saputo montare una buona macchina ma fa presente che la loro propaganda si avvantaggia del fatto che nei singoli paesi agiscono i comunisti locali che parlano in nome degli interessi locali mentre gli Stati Uniti non possono parlare che a loro nome. Occorre studiare la macchina di quest’azione da svolgere tenendo presente che è necessaria non solo la comune attività dei paesi membri del N.A.T.O. ma anche una diretta cooperazione fra i due Governi. Il problema della propaganda e sopratutto dei modi di svolgerla è effettivamente molto complesso.

Acheson: È evidente che qualcosa manca nella nostra propaganda. Stiamo studiando il modo di rimediarvi. Ci rendiamo conto della necessità di interessare i giovani e del resto anche gli adulti.

Barrett: Vi sono tre principi che possono interessare la gioventù: una vera e propria unione europea con istituzioni comuni; un ampliamento del principio della comunità atlantica in modo da non comprendere soltanto gli aspetti militari della comunità stessa; un ampio programma concreto per il mantenimento della pace. Su questi tre punti occorrerà sviluppare in avvenire la propaganda dei paesi democratici.

Dunn: Occorre formulare un programma di carattere generale e affidare poi agli organi predisposti dai singoli paesi il compito di svolgerlo.

Acheson: Resta inteso che ci manterremo in contatto sull’argomento.

Cooperazione europea

De Gasperi: Lasciando gli altri problemi specifici all’esame degli esperti, si sofferma brevemente sulla questione dell’esercito europeo. Rileva che si tratta di una questione molto complessa la cui soluzione integrale richiederebbe molto tempo. In realtà essa implica la formazione di una confederazione europea. Si prenda ad esempio il problema del finanziamento: se i fondi dovessero essere stanziati da organismi internazionali al di sopra dei singoli parlamenti nazionali, si verrebbe a sottrarre agli Stati interessati uno dei più importanti attributi della sovranità. Si tenga presente che in Italia le spese militari costituiscono il 40% dell’intero bilancio e che quindi per la corrispondente quota lo Stato italiano perderebbe ogni facoltà di controllo. D’altra parte il problema dell’esercito europeo è molto urgente in quanto esso è connesso col riarmo della Germania. Occorre quindi studiare per il momento una soluzione provvisoria che permetta l’immediato reclutamento dei contingenti tedeschi e lasci per un secondo momento la soluzione dei problemi più complessi.

Acheson: Concorda. Riferisce che anche il ministro degli esteri francese Schuman si rende conto della necessità di adottare queste soluzioni provvisorie specie per quanto concerne l’inquadramento dell’esercito europeo nello S.H.AP.E. In un secondo momento si potrà affrontare il problema nel suo insieme.

II.SECONDO INCONTRO UFFICIALE

Verbale5. Washington, 25 settembre 1951, ore 9,30.

Giappone6

Internal Security Act

Jannelli: Espone gli inconvenienti a cui dà luogo tuttora la procedura stabilita in materia di visti dall’Internal Security Act. Rileva in particolare che la prassi attualmente seguita è troppo lunga e complicata. Essa implica per gli interessati danni ed umiliazioni. Evidentemente i consoli americani in Italia hanno avuto istruzioni che lasciano loro un margine di discrezione eccessivamente ampio ed essi spesso seguono criteri che finiscono per aggravare la situazione. Probabilmente qualche volta sono andati oltre le disposizioni della stessa legge. L’Internal Security Act è comunque in contrasto col Trattato di amicizia commercio e navigazione vigente fra i due paesi. Le restrizioni applicate ai danni di cittadini italiani ledono gli interessi italiani anche dal punto di vista commerciale in quanto i rappresentanti di commercio che si trovano negli Stati Uniti e rientrano momentaneamente in Italia non sono poi sicuri di avere per il ritorno negli Stati Uniti il necessario reentry permit e debbono sottoporsi in ogni caso ad una lunga procedura. Dato quanto precede chiede il riesame della questione tenendo presente le disposizioni del Trattato di amicizia commercio e navigazione.

Perkins: Il Governo americano si rende conto degli inconvenienti provocati dall’Internal Sercurity Act e ricorda quello che l’Amministrazione ha fatto per prospettare al Congresso la necessità di ovviare a tali inconvenienti. Il Governo americano è il primo a desiderare che tale legge venga modificata ma non può naturalmente dare assicurazioni al riguardo. Comunica che si trova attualmente dinanzi al Congresso un progetto di legge inteso a stabilire una definizione autentica del termine «partito totalitario» e ciò allo scopo di limitare la portata dell’Internal Security Act. Secondo tale progetto, sarebbero definite «partito totalitario» solo le organizzazioni «tendenti ad instaurare negli Stati Uniti un regime totalitario». Se questa interpretazione restrittiva venisse accolta dal Congresso, l’Internal Security Act cesserebbe di ostacolare il movimento di persone tra gli Stati Uniti e l’Italia.

Dunn: I consolati americani in Italia stanno facendo tutto il possibile. Effettivamente è necessario molto tempo per istruire le pratiche ma ciò non dipende da quegli uffici.

Germania ed esercito europeo

Zoppi: Ricorda le dichiarazioni già fatte dal presidente del Consiglio nella seduta precedente. Ricorda altresì che fino dal primo momento il Governo italiano ha dato il suo pieno appoggio all’iniziativa per il riarmo della Germania come a quella per la formazione dell’esercito europeo. Rileva che naturalmente si sono incontrate delle difficoltà e che la soluzione di queste difficoltà richiede del tempo. Conferma pertanto l’opportunità di trovare una soluzione provvisoria.

Perkins: L’obiettivo principale degli Stati Uniti è quello di ottenere al più presto l’inclusione della Germania nel sistema difensivo dell’Europa occidentale. A questo riguardo l’esercito europeo costituisce un fattore importante. Infatti i due problemi sono strettamente connessi: gli accordi contrattuali con la Germania sono vicini alla conclusione. Essi implicano l’adesione della Germania alla difesa dell’Europa: occorre quindi che in pari tempo le intese per l’esercito europeo vengano avviate a conclusione. Pertanto il Governo americano è del parere che sia opportuno accantonare per il momento i problemi tecnici più complessi come quello del finanziamento ed arrivare subito ad un accordo sulla questione generale.

Zoppi: Concorda.

Spagna

Jannelli: Da un punto di vista generale osserva che sarà bene procedere con molta cautela nel processo d’integrazione della Spagna nella difesa europea. D’altra parte il rafforzamento dei rapporti tra l’Occidente e la Spagna può indurre quest’ultima ad assumere un atteggiamento più consono ai principi democratici, atteggiamento che a sua volta può facilitare il processo integrativo. Per quanto concerne l’importanza della Spagna come paese mediterraneo il Governo italiano è direttamente interessato e desidera quindi di essere ragguagliato sui contatti che hanno luogo fra il Governo spagnolo e quello americano.

Zoppi: Precisa che non è intenzione del Governo italiano sollevare obiezioni a questo riguardo. Esso desidera soltanto essere informato.

Perkins: Concorda sull’opportunità di procedere con la massima prudenza e riconosce d’altra parte l’importanza che ha il problema di incoraggiare la Spagna ad assumere un regime più democratico. Rivela che i progressi compiuti in tal senso sono molto limitati ma che comunque essi sono stati compiuti. Circa l’iniziativa americana fa presente che fu dovuta esclusivamente a considerazioni di carattere militare. La Spagna ha anzitutto grande importanza strategica per quanto concerne le comunicazioni marittime e specie data la possibilità che essa offre di ostacolare le operazioni subacquee di un eventuale nemico nonché data l’utilità di rifornimenti sulla costa spagnola. Uguale importanza nel settore dell’aviazione, specie data la necessità di sorvolo, atterraggio e rifornimento nei voli di trasferimento dall’America in talune zone dell’Europa. Il Governo spagnolo ha aderito in via di massima alle richieste americane e conversazioni sono in corso al riguardo fra esperti dei due paesi. In cambio gli Stati Uniti daranno alla Spagna una certa assistenza militare ed economica.

Zoppi: Conferma l’interesse che ha l’Italia per tale problema e suggerisce che in avvenire l’ambasciata a Washington continui a restare in contatto col Dipartimento di Stato sulla questione.

Medio Oriente

Il ministro Jannelli ha dichiarato che la situazione del Medio Oriente, quale vista dal Governo italiano, presenta due aspetti principali:

1) l’esistenza di contrasti fra i vari paesi;

2) la sfiducia dei paesi arabi nei confronti dell’Occidente.

Per ovviare a tali inconvenienti appare necessario quindi attenuare i predetti contrasti e svolgere una azione per riconquistare la fiducia dei paesi del M.O. e rendere possibile una cooperazione con loro. Ha poi esposto la posizione italiana sulla linee dell’allegato memorandum7.

L’ambasciatore Zoppi ha quindi preso la parola per ricordare come alcuni paesi seguano tuttora nel V.O. una politica di divide et impera che non è affatto consona alle realtà del momento.

L’assistente segretario di Stato McGhee ha salutato l’opportunità di questo scambio di vedute italo-americano ed ha quindi ricordato come l’interesse americano nel V.O. sia di data relativamente recente e comunque non risale al di là della prima guerra mondiale. Tale interesse è stato naturalmente accentuato dalle vicende palestinesi che hanno purtroppo avuto l’effetto di creare una certa impopolarità degli Stati Uniti in quel settore.

La necessità di assistere la Grecia e la Turchia hanno fatto sì che il Governo americano si interessasse sempre più a quel settore e oggi si può essere contenti dei risultati raggiunti sopratutto in Turchia.

Parlando del Vicino Oriente, l’aspetto più importante è senza dubbio quello politico, seguito da quello militare.

Per quanto riguarda il primo vi è indubbiamente una difficoltà a superare le tendenze neutraliste diffuse nella zona esacerbate dalla questione palestinese. Ha ricordato il problema dei rifugiati e si è augurato che l’Italia voglia contribuire in qualche modo ad alleviare la crisi di questi ultimi. Ha anche ricordato l’attuale Conferenza di Parigi per cercare una intesa tra arabi ed ebrei ma ha ammesso che l’andamento dei lavori della Conferenza stessa non è incoraggiante.

Ha poi dichiarato che l’attuale politica americana nei confronti dei paesi del Vicino Oriente ha aspetti senza dubbio più positivi: tra questi la possibilità di trasferire ad essi degli armamenti, nel quadro del Mutual Security Program, che possa aiutarli a superare il senso di insicurezza nel quale si dibattono. Un aiuto in tal senso dovrebbe venire anche dall’ingresso della Turchia nel N.A.T.O. che deve dimostrare ai paesi arabi come le potenze occidentali siano decise a intervenire per la difesa di quel settore.

Per quanto riguarda l’aspetto economico del problema ha ricordato la recente richiesta dell’Amministrazione per l’assistenza ai paesi del Vicino Oriente (157 milioni di dollari) sottolineando come con parte di tale somma si speri di venire incontro alle necessità dei rifugiati. (Ha accennato alle possibilità che vi sono in Siria).

McGhee ha quindi concordato con le dichiarazioni italiane che nel Vicino Oriente si tratta sopratutto di superare l’inferiority complex dei vari paesi arabi.

Per quanto riguarda l’organizzazione difensiva egli non era purtroppo in grado di dare delle indicazioni in quanto è prima necessario sentire quale sia l’opinione dei turchi. Comunque si pensa, in linea di massima, che a tale organizzazione potrebbero partecipare la Turchia e l’Egitto, in un secondo tempo i paesi arabi e quindi Israele.

Per quanto riguarda i rapporti con Israele, nel quadro di tale eventuale organizzazione, non si conta su una piena cooperazione economica e commerciale fra il nuovo Stato e i paesi arabi, ma vi potrebbe essere una specie di coordinamento superiore.

McGhee ha dichiarato di apprezzare l’aiuto italiano, particolarmente opportuno perché i paesi del V.O. sanno che l’Italia non ha mire imperialistiche e pertanto si fidano di essa. In tale quadro il Governo americano si augura che i rappresentanti italiani nei vari paesi del Vicino Oriente si adoperino per spiegare a quei Governi presso i quali sono rispettivamente accreditati come l’aiuto americano non celi mire espansionistiche o imperialistiche.

Eritrea

Il ministro Jannelli ha esposto il punto di vista italiano secondo le linee indicate nell’allegato memorandum8.

L’assistente segretario di Stato Hickerson ha risposto che il Governo americano era particolarmente lieto dell’avvenuta ripresa dei rapporti diplomatici tra l’Italia e l’Etiopia ed era molto sensibile ai ringraziamenti espressi dal ministro Jannelli a nome del Governo italiano per l’azione svolta a tale riguardo dal Dipartimento di Stato.

Hickerson ha sottolineato la necessità di mantenere l’Etiopia favorevolmente orientata verso le potenze occidentali ed ha menzionato, a dimostrazione di tale attuale orientamento, la partecipazione di forze armate etiopiche al conflitto coreano.

Hickerson ha poi dichiarato che il Governo americano concorda con quello italiano nella necessità che la risoluzione delle Nazioni Unite per l’Eritrea sia «fully implemented» e «strictly observed».

Egli ha aggiunto che il Governo americano non ha l’impressione che vi siano attualmente dei tentativi per sabotare la risoluzione delle Nazioni Unite. Ha ammesso che il commissario delle Nazioni Unite non ha potuto svolgere la sua azione con la rapidità che era da augurarsi, e che vi sono tuttora delle difficoltà. Ha però ripetuto che il Governo americano resisterà contro qualsiasi «departure from the resolution both in the letter and in the spirit». Ha riconosciuto la necessità di assicurare la protezione degli italiani e degli eritrei ed ha concluso affermando che il Governo americano «will support faithfully» l’applicazione della risoluzione.

Libia

Il ministro Jannelli ha esposto il nostro punto di vista sulle linee indicate nell’allegato memorandum8.

L’assistente segretario di Stato Hickerson ha risposto sottolineando il soddisfacente progresso compiuto nella evoluzione costituzionale libica, di cui ha dato credito al Consiglio dell’O.N.U. Ha dichiarato che anche il Governo americano si attende un attacco da parte delle delegazioni arabe e in particolare da quella egiziana alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma spera che tale attacco possa essere controbattuto e conta sull’aiuto italiano in tal senso.

Il Governo americano ritiene che l’Assemblea libica così come è composta sia legale e quindi legittime le misure da essa adottate. Vi è, è vero, la questione delle elezioni e se esse devono farsi prima o dopo la proclamazione dell’indipendenza, ma questa è una questione, secondo il Governo americano, che deve essere decisa dagli stessi libici.

La politica del Governo americano comporta il rispetto dell’indipendenza dei vari Stati e così anche di quella del nuovo regno libico. Per questo il Governo americano non ritiene che l’Ente permanente di coordinamento dell’assistenza alla Libia da noi proposto possa essere accettato da un Governo libico indipendente e ritiene quindi che esso sarebbe addirittura controproducente.

Hickerson ha confermato che il Governo americano riconosce le nostre necessità nel campo economico ma non può non confermare il consiglio altre volte dato di evitare il mantenimento o il ripristino di posizioni politiche ormai superate.

Per quanto riguarda poi l’opportunità di fare qualche cosa per soddisfare le aspirazioni egiziane, il Governo americano ritiene che l’Egitto non si contenterebbe di quanto da noi proposto e penserebbe ad altre richieste.

Hickerson ha dichiarato che il Governo americano apprezza la collaborazione data finora dai rappresentanti italiani in Libia sia mediante il voto favorevole alle proposte anglo-franco-americane, sia attraverso le astensioni.

Nulla impedirebbe al Governo italiano di presentare da solo la proposta della formazione dell’Ente di coordinamento di assistenza ma il Governo americano non potrebbe appoggiarla anche perché ritiene che una proposta del genere diminuirebbe il prestigio di Pelt in un momento in cui ci si avvicina alla fase conclusiva della di lui attività.

L’assistente segretario di Stato McGhee è intervenuto per sottolineare come dietro l’attività degli Stati arabi vi sia la spinta di Azzam Pasha.

Hickerson ha ripreso l’esposizione, sottolineando come sia speranza del Governo americano che la costituzione libica possa essere approvata prima che la questione della Libia venga in discussione alle Nazioni Unite, in modo da togliere ogni valore alle obiezioni dei paesi arabi sulla legalità dello sviluppo costituzionale libico.

III.TERZO INCONTRO UFFICIALE9

Verbale10. Washington, 25 settembre 1951, ore 16.

Azione comune contro il comunismo

Acheson: Illustra l’opportunità che i due Governi esaminino con ogni prudenza le eventuali misure da adottare contro l’agitazione comunista. I contatti potrebbero essere mantenuti sia a Washington sia a Roma attraverso le normali vie diplomatiche. Eventualmente presso le rispettive ambasciate potrebbero essere accreditati appositi addetti. Le misure da concordare dovrebbero mirare sopratutto allo scopo di evitare intralci nei porti e nelle fabbriche specie se queste lavorano per ordinazioni americane. Fra l’altro sarebbe opportuno che da tali centri venissero allontanate quelle persone che sono ritenute suscettibili di provocare scioperi ed altri intralci al lavoro nonché sabotaggi. Determinatasi nei centri stessi una tranquilla e redditizia attività lavorativa l’afflusso verso di essi di elementi fidati e desiderosi di lavorare diventerebbe automatico.

De Gasperi: Ritiene che tali misure possono essere prese dal Governo italiano. Del resto una collaborazione del genere è già in corso ed ha dato risultati favorevoli per quanto concerne il centro sbarchi di Livorno. Qualche cosa del genere viene anche fatta col Governo francese. Il problema è tuttavia molto delicato. Si può agire con energia nel senso desiderato ma è necessario avere una base per intervenire. Sarebbe quindi utile che le ordinazioni per il materiale di comune interesse venissero date al più presto all’industria italiana perché ciò giustificherebbe le eventuali misure da prendere per l’esatto e rapido svolgimento dell’attività produttiva. Insiste pertanto sulla necessità di risolvere al più presto il problema delle commesse.

Allegato I

Appunto11. Roma, 3 ottobre 1951.

CONVERSAZIONI ITALO-AMERICANE DI WASHINGTON(settembre 1951)

Questioni di carattere economico

Nel corso e nel quadro dell’azione svolta nella capitale americana, nel settembre 1951, da S.E. il presidente del Consiglio, on. De Gasperi, sono state ampiamente trattate le questioni relative alla vita economica italiana con particolare riguardo allo sforzo di riarmo ed agli aiuti americani.

L’opera della delegazione si è svolta, in questo settore, in due momenti: dapprima con una serie di contatti presi, in fase di preparazione, dal ministro del bilancio, on. Pella, ed in seguito in conversazioni ufficiali avvenute, sotto la direzione dello stesso presidente del Consiglio e del segretario di Stato, Acheson, nella sede del Dipartimento di Stato. Queste ultime hanno portato alla consegna alle Autorità americane di un documento italiano, qui unito in testo integrale, e contenente in dettaglio, anche se in brevi parole, i desiderata e le tesi del Governo di Roma sugli argomenti in questione.

Esposizione delle tesi italiane

Il ministro del bilancio, nel corso dei contatti su menzionati e che hanno avuto luogo principalmente e successivamente con il capo interinale dell’E.C.A., Bissell, assistito dai direttori delle principali sezioni di quella Organizzazione, con il sottosegretario del Dipartimento di Stato, Thorp, con il segretario per il tesoro, Snyder, ed infine con lo stesso segretario di Stato Acheson, nella seduta plenaria svoltasi al Dipartimento, ha potuto svolgere e sviluppare, in forma esauriente, le argomentazioni seguenti che si stima utile riprodurre qui appresso in dettaglio.

1. Il ministro Pella ha iniziato la sua esposizione dichiarando di voler dare una visione per quanto possibile completa, anche se sinteticamente, delle condizioni e dei problemi dell’Italia: condizioni e problemi che trovano il loro punto essenziale nei programmi di difesa militare alle frontiere del paese e di difesa sociale all’interno. Il Governo italiano intende infatti vincere, in una unica battaglia esterna ed interna, il pericolo del comunismo. Gli obiettivi da raggiungere possono, come venne già detto anche in seno al Parlamento italiano, riassumersi in quattro punti: 1) sforzo massimo del riarmo; 2) aumento della produzione e conseguentemente aumento del reddito nazionale; 3) una sempre migliore distribuzione del reddito stesso; 4) aumento della occupazione sia con opportune iniziative all’interno, sia con sforzi all’esterno nel campo dell’emigrazione.

2. Nel complesso – egli ha continuato – dobbiamo dichiararci soddisfatti dei risultati fino ad oggi raggiunti a mezzo dello sforzo del popolo italiano e del generoso aiuto del popolo americano. Se ricordiamo le conversazioni avute con gli amici di Washington nel 194912 possiamo dichiarare come l’azione svolta in questi anni, di comune accordo, non sia andata perduta. In tre anni e mezzo il reddito è aumentato del 36% in Italia nei confronti dell’immediato dopoguerra per quanto la popolazione sia aumentata del 10%. Gli obiettivi di produzione già indicati in relazione al programma dell’O.E.C.E. del 1948 sono stati quasi tutti completamente raggiunti, alcuni anche in anticipo, con la sola eccezione costituita dal campo dell’industria meccanica dove, specialmente per motivi di politica interna, si è dovuto constatare un rallentamento negli sperati sviluppi della riconversione.

Ciò detto dobbiamo sempre tener conto che il reddito medio italiano annuale pro capite è di soli 270 dollari lordi. Lungo quindi è il cammino che deve essere ancora percorso e le difficoltà del domani potranno essere anche maggiori di quelle incontrate finora. A Parigi nei giorni scorsi anche l’Italia si è impegnata ad un aumento del 25% sulla situazione attuale da raggiungersi entro cinque anni. Questo nuovo sforzo sarà compiuto a mezzo sopratutto di una politica di controlli sui consumi e ve ne è già la traccia nei programmi per il futuro. Chiederemo cioè ai consumatori di contrarsi dall’attuale 80% del consumo del reddito ad una cifra estrema che può calcolarsi fino al 74% ma evidentemente, dato il molto basso livello del reddito medio, non si potrà ottenere di più. Faremo ogni sforzo per progredire nella produttività tanto nel settore agricolo quanto in quello industriale ed allo scopo entra ora in funzione lo speciale Comitato della produttività del quale faranno parte anche i sindacati non comunisti: situazione indubbiamente delicata per quanto concerne il campo del lavoro e della quale si è dovuto tenere il debito conto con qualche inevitabile ritardo nella entrata in azione del Comitato.

Siamo inoltre sulla strada di una impostazione prioritaria. Come programma – e non sono mancati all’Italia gli opportuni consigli e suggerimenti della missione americana dell’E.C.A. – noi dobbiamo spingere la produzione in un ordine prioritario che tenga conto innanzi tutto delle necessità della difesa e poi dell’agricoltura, delle fonti di energia, dell’industria meccanica, dell’industria tessile, ecc. Inoltre si dovrà tener conto delle necessità dell’esportazione italiana ed infine della edilizia non di lusso con particolare riguardo alle condizioni del Mezzogiorno.

Circa la migliore distribuzione del reddito, il Governo italiano intende agire con la riforma fiscale la quale è stata effettivamente approvata dal Parlamento con un ritardo di un anno, ma ora, e precisamente con le dichiarazioni dei contribuenti il cui termine di presentazione è stato fissato alla data del 10 ottobre p.v., potrà entrare in pieno vigore. Altra azione in questo campo si avrà con la piena applicazione della riforma fondiaria che, è bene ricordarlo, ha sollevato molte polemiche ma sarà portata a fondo. Il Governo non si nasconde che dovrà attendere non poche reazioni ma esso è pronto a sostenere questa battaglia e confida, allo scopo, nell’aiuto dell’E.C.A. Così, tutto sommato, l’Italia potrà compiere un notevole passo in avanti.

3. Circa la lotta contro la disoccupazione – ha continuato il ministro Pella – non si pensa in Italia che sia sufficiente eliminare questo fenomeno preoccupante, per distruggere completamente il pericolo del comunismo. In Francia non esiste disoccupazione eppure vi è un forte comunismo, ma evidentemente la diminuzione della disoccupazione è un mezzo di notevole efficacia per evitare quella minaccia.

Le cifre italiane in tale materia sono evidentemente grosse e occorre ricordare come annualmente la nuova leva di lavoro dia ben 200 mila lavoratori. Prima della guerra si contavano in Italia 300 mila uomini sotto le armi mentre la sola industria aeronautica, che oggi impiega soltanto 5 mila operai, assorbiva in media oltre 200 mila persone. Il problema quindi resta nella sua pienezza ed occorre sempre non dimenticare come ci si vada avvicinando decisamente alle nuove elezioni politiche della primavera 1953. La disoccupazione infine potrà anche in via contingente segnare un aumento a causa del progressivo miglioramento dei mezzi di produzione.

Bisogna pensare ad un piano poliennale per l’assorbimento di tali disoccupati ed il Governo italiano è pronto ad imporre nuovi sacrifici con una revisione fiscale e con misure che potrebbero giungere anche a forme di assorbimento forzato del risparmio. Ma da sola l’Italia non potrà riuscire nel suo intento ed attende quindi una amichevole e generosa collaborazione perché le sue iniziative, quale ad esempio la Cassa del Mezzogiorno, trovino i sufficienti aiuti.

4. Circa i problemi delle priorità e dei controlli, il Governo italiano ha iniziato la sua azione con provvedimenti legislativi ed amministrativi. La «Legge di delega» non ha incontrato la simpatia parlamentare ed allora le difficoltà sono state girate e sormontate con la presentazione successiva e singola dei vari provvedimenti previsti e quindi i risultati desiderati potranno essere raggiunti. Questi provvedimenti riguardano: 1) il censimento delle materie prime scarse; 2) il coordinamento delle commesse statali civili e militari (frattanto le amministrazioni si sono opportunamente coordinate fra di loro intorno al ministro dell’industria che è stato investito dei sufficienti poteri); 3) l’emanazione di provvedimenti per rendere solleciti ed anzi immediati i pagamenti delle commesse militari; con questi provvedimenti il Tesoro viene autorizzato ad anticipare fino agli otto decimi dell’importo totale ed inoltre il Tesoro stesso e la Banca d’Italia sono autorizzati a finanziare, anche con l’impiego di riserve valutarie, l’acquisto di materie prime per le scorte di Stato fino al raggiungimento di un valore totale di 100 miliardi di lire pari a 160 milioni di dollari. Sono anche pronti, infine, i decreti per il divieto di impiego di alcuni metalli non ferrosi (rame, zinco, nichel, ecc.). Il ritardo nell’emanazione di questi provvedimenti è stato probabilmente utile perché attualmente i prezzi di tali materie prime sono in curva discendente e quindi non dovrebbe più presentarsi un pericolo inflazionistico. Tutta questa materia ha trovato un ulteriore completamento nel fatto che in Italia al ministro del bilancio è stato anche affidato l’incarico di dirigere il Comitato del credito e quello del controllo dei prezzi.

Circa il piano amministrativo delle priorità in Italia esistono problemi di carattere pratico di cui occorre tener conto per considerare come nel paese debbano essere fatte le limitazioni necessarie. Il Governo italiano intende procedere in tale settore: a) per le materie prime importate dallo Stato; b) per le materie prime prodotte da aziende di Stato; c) per tutto il campo delle importazioni soggette a licenza; d) per il settore creditizio nel quale si può opportunamente agire per affiancare la definizione delle priorità con taluni istrumenti: così le autorizzazioni per le emissioni saranno date in funzione delle priorità stesse.

Altro controllo inoltre è costituito dai finanziamenti statali e quindi il Tesoro potrà concederli tenendo presente la così detta «sigla prioritaria». Evidentemente per quanto concerne il credito privato il Governo non intende entrare singolarmente in ogni singola banca per disciplinarne e dirigerne l’attività ma sono già state date le opportune istruzioni atte a permettere un affiancamento del credito privato nel senso desiderato. Il ministro dell’industria, on. Campilli, è stato incaricato di provvedere per l’esecuzione pratica delle norme previste.

5. Circa il riarmo – ha continuato il ministro Pella – in Italia, come è noto, sono già stati «messi in cantiere» i 250 miliardi di lire dello stanziamento suppletivo votato dal Parlamento. Occorre camminare al più presto possibile e la prova della buona volontà del Governo per il raggiungimento dello scopo è costituita appunto dalla misura sopra accennata per cui il Tesoro è stato autorizzato ad effettuare pagamenti per la produzione per quote molto elevate che possono raggiungere persino gli otto decimi del valore totale.

Circa i tempi previsti per l’impiego di tale stanziamento suppletivo, 100 miliardi, come è noto, dovevano essere impegnati entro il 30 giugno ed il resto entro il 31 dicembre 1951. Sono stati previsti, per la vera e propria produzione militare, 207 miliardi per le tre forze armate, ed il competente Ministero della difesa ha assicurato che entro il 31 dicembre tutta la spesa sarà effettivamente collocata. Gli amici militari americani di Roma sono a loro volta pregati di sollecitare la necessaria azione di collegamento per l’approvazione dei progetti.

Il problema è di conoscere ora cosa altro si possa fare e qui occorre dichiarare come talvolta il desiderio e la buona volontà possano essere diversi dalle possibilità. L’Italia, data la vicinanza e la esistenza del pericolo comunista vuoi alle sue frontiere, vuoi all’interno, deve evidentemente compiere il massimo sforzo ma guai se, per misure intempestive e non corrispondenti alla realtà, l’equilibrio economico e finanziario dovesse «esplodere»: allora i russi sarebbero senz’altro in Italia senza entrarvi attraverso le frontiere.

Occorre sempre ricordare come l’Italia si sia trovata sull’orlo dell’abisso dell’inflazione. Dopo la Germania e la Grecia, essa vi è stata la più vicina. Ciò detto, e siccome il Governo italiano ha sempre dichiarato di voler difendere la lira ad ogni costo con l’innegabile risultato di aver effettivamente creato nel paese una tale psicologia, esso può oggi anche compiere qualche audacia. Ma la battaglia psicologica deve essere vinta ad ogni costo e con il suo raggiungimento sarà certamente raggiunto il 50% dell’obiettivo. In Italia occorre sempre tenere dinanzi agli occhi l’andamento vuoi della bilancia dei pagamenti, vuoi del bilancio dello Stato, vuoi della politica del credito e vuoi, infine, dell’andamento dei prezzi. Il problema della bilancia dei pagamenti non ha evidentemente trovato ancora la sua definitiva soluzione. Vi sono stati degli innegabili miglioramenti transitori con un aumento delle esportazioni. Ora però con i nuovi provvedimenti dovuti al riarmo, il così detto «moltiplicatore» non potrà non funzionare e si avranno quindi maggiori consumi. Il fenomeno comunque va visto in ciclo maggiormente largo di quello che si può fare con l’osservazione di un solo bilancio annuale. Questo ciclo dovrà essere vasto ed allora si vedrà come il diagramma della bilancia stessa non potrà non essere oscillante. Un miglioramento transitorio non può essere penalizzato ed occorre quindi concludere circa la necessità di un generoso aiuto esterno.

6. Nei riguardi del bilancio dello Stato italiano occorre ricordare come in Italia si abbia quello di «competenza» nel quale, per ogni capitolo, vengono inscritti gli stanziamenti per le spese previste. Esistono quindi, ogni anno, taluni «residui» che non sono debiti ma stanziamenti differiti e da utilizzare, ai quali la Tesoreria deve, di conseguenza, far fronte. Di ciò bisogna sempre tener conto per conoscere esattamente le necessità della Tesoreria stessa il cui deficit – e questo è il problema che deve essere risoluto ogni anno – deve essere riempito con il ricorso al risparmio privato volontario. Se ciò non avvenisse, il Tesoro dovrebbe ricorrere all’Istituto di emissione per un’ulteriore stampa di biglietti. Fino ad oggi fortunatamente il risparmio privato è venuto incontro a tale necessità e ciò dimostra in maniera evidente la fiducia di ogni singolo italiano che vede proprio nel bilancio dello Stato lo specchio migliore per considerare la sanità e la solidità del paese. Ne viene di conseguenza che occorre evitare ad ogni costo una crisi di tale fiducia perché altrimenti le conseguenze inflazionistiche sarebbero molto gravi.

Passando alle cifre, i tecnici hanno concluso che se il deficit del bilancio annuale dello Stato italiano si mantiene tra i 300 ed i 350 miliardi di lire, la situazione resta sopportabile perché la Tesoreria potrà coprire il deficit mensile di 30-40 miliardi. Il Governo quindi nelle previsioni di bilancio per il 1951-1952 ha dovuto necessariamente tener conto di una rinnovata concessione di aiuto americano. Se nel 1952-53 l’aiuto dovesse completamente saltare un ulteriore stanziamento suppletivo di altri 250 miliardi per la difesa non potrebbe non provocare una situazione insostenibile. Ciò detto, occorre aggiungere che il Governo italiano vuole fare il riarmo, e non accetta quindi supinamente l’alternativa suindicata ed intende quindi compiere ogni sforzo per ottenere la necessaria collaborazione americana.

7. Circa la politica del credito e la politica dei prezzi, si è visto che, in questo settore, vi è una certa flessibilità. In Italia si possono stampare biglietti di banca contro equivalenti depositi di dollari e ciò per motivi non tecnici ma prevalentemente psicologici. Si è visto inoltre, in Italia, come negli ultimi tre anni la circolazione abbia seguito la dilatazione del reddito nazionale. Si può fare di più purché vi sia un sostegno in dollari. Circa i prezzi, quanto è avvenuto in questi ultimi due anni, rende il Governo italiano abbastanza tranquillo.

8. L’Italia – ha concluso l’on. Pella – è il corpo di un malato che al 25 giugno 1950, grazie allo sforzo comune italo-americano, andava avviandosi verso la completa guarigione. Ora, nelle nuove circostanze, e per evitare pericolose ricadute occorre: 1) la permanenza di un aiuto economico dell’America sia per approvvigionamenti, sia per motivi valutari e sia per motivi di bilancio, con la creazione e l’uso del Fondo di contropartita; 2) un aiuto militare generoso in end-items per coprire le lacune che esistono nel programma di difesa del paese; 3) l’esistenza di commesse atlantiche. Qui vi sono talune preoccupazioni per cui la concessione di commesse all’Italia renderebbe meno facile la concessione del vero e proprio aiuto economico. Esiste evidentemente tra i due settori una connessione numerica ma non effettiva specie se si considera la bilancia dei pagamenti. Occorre però – sempre per comprendere bene tutti gli aspetti del complesso problema – non credere, nel caso di esecuzioni di commesse, in un grande miglioramento numerico nella disoccupazione italiana perché attualmente esistono già, nelle industrie italiane, operai che sono pagati interamente ma il cui lavoro è limitato o talvolta nullo. Le commesse servono comunque ai fini valutari ed economici e possono avere risultati benefici anche se esse non abbiano influenza positiva nei settori del bilancio e della tesoreria; 4) prestiti allo Stato italiano o ad enti parastatali o a privati italiani. Essi permetterebbero una maggiore dilatazione nel campo della circolazione senza pericoli, pur non risolvendo i problemi del bilancio dello Stato; 5) una intensificazione dell’emigrazione per cui occorrono una collaborazione ed uno sforzo dall’esterno perché lo sforzo italiano interno non sarebbe sufficiente. Allo scopo si potrebbe anche pensare ad opportuni «prestiti triangolari» che interesserebbero anche i paesi di immigrazione; 6) una particolare cura nei riguardi dei problemi dei prezzi con speciale riguardo al grano, ai noli, al carbone ed alle materie prime scarse che devono giungere dalla zona del dollaro.

Esistono inoltre taluni problemi specifici che sarebbe opportuno risolvere e cioè:

a) il problema dei noli, che molto incide sui prezzi in Italia e ciò agli effetti della difesa dei prezzi stessi;

b) il problema dell’approvvigionamento del grano, perché se l’Italia si vedesse obbligata ad eseguire importazioni da altre aree che non quelle del dollaro, la contabilità del grano si chiuderebbe per essa con un ulteriore deficit che può essere calcolato a ben 41 miliardi di lire con gravi conseguenze locali, perché o si dovrebbe provocare con l’aumento dei prezzi al minuto, un notevole disagio economico alla popolazione, o, con l’applicazione di prezzi politici, si dovrebbe inserire un nuovo colpo al bilancio statale;

c) il problema del carbone che ha aspetti analoghi a quello precedente.

Vi è infine la questione, oggi sorta a seguito di una recentissima decisione dell’E.C.A., della sospensione delle autorizzazioni a Roma per i prelevamenti dal fondo lire: questione che ha già sollevato molti interrogativi e che occorre risolvere con prontezza.

Risposte ed argomentazioni americane

1. Da parte americana è stato posto innanzi tutto in rilievo come l’esposizione italiana sia apparsa molto completa e tale da evitare la presentazione di molte delle domande che il Governo degli Stati Uniti, e particolarmente l’E.C.A., si proponevano di avanzare.

Ciò detto è stato confermato come il Congresso americano abbia eseguito, particolarmente nel settore dei veri e propri aiuti economici, importanti riduzioni sui programmi iniziali e sulle cifre proposte dallo stesso presidente Truman. Ciò non vuol dire però che non sia prevista in avvenire la continuazione, comunque, di aiuti, siano essi civili o militari, e quindi tutto fa prevedere che anche l’Italia potrà essere messa in condizione di continuare nel suo sforzo di riarmo nel 1952-53.

Non vi è dubbio ormai – e ciò è stato chiaramente confermato, nel corso della conferenza di Ottawa, dal ministro della guerra degli Stati Uniti, Pace – che alcuni fondi previsti per aiuti militari, ossia per fabbricazione di materiali militari, potranno essere spesi in Europa, e conseguentemente in parte in Italia, con versamenti in dollari. In questi giorni è ancora difficile, se non impossibile, poter indicare, con precisione, ordini di grandezza. Comunque ogni possibile sforzo di collaborazione sarà fatto perché il riarmo sia continuato.

Circa la procedura per la concessione degli aiuti in parola, è evidente che essa sarà collegata con la questione dello sforzo militare di ciascun paese europeo. Non si esclude che la trattativa finale per la fissazione esatta delle cifre possa aver luogo, come del resto è avvenuto nei primi anni del piano Marshall, tanto bilateralmente (ed in questo caso la sede sarà Roma) quanto multilateralmente (ed in questo caso l’azione e la coordinazione svolta in passato dall’O.E.C.E. potrebbero avvenire in seno al F.E.B.).

L’E.C.A. si è poi, per bocca del signor Bissell, dichiarata d’accordo in linea di massima con le osservazioni e le dichiarazioni italiane e sulla necessità di veder continuati in Italia gli investimenti civili nella speranza che lo sforzo di riarmo non debba intralciare ed annullare i sacrifici già fatti. L’E.C.A. inoltre condivide le preoccupazioni italiane circa le possibilità di inflazione prodotte da elementi psicologici oltre che tecnici ed è quindi decisa ad «osservare» con attenzione la situazione finanziaria italiana.

2. Da parte americana si è preparati alla applicazione di una maggiore «flessibilità» nella situazione attuale ma non vengono ignorate le difficoltà che oggi esistono per l’applicazione delle soluzioni migliori. Per quanto concerne i veri e propri aiuti economici, essi saranno continuati anche se in termini ridotti a seguito delle suindicate decisioni del Congresso ma è particolarmente alla possibilità di commesse in dollari per la produzione per il riarmo che occorrerà guardare nei prossimi tempi. Queste commesse costituiranno un elemento importante per l’andamento degli scambi italiani con l’estero. Purtroppo oggi – si è ripetuto – non si possono avanzare dati precisi circa queste possibilità off-shore dato che la procedura in materia è tuttora in fieri.

Circa le somme in dollari da spendere in Italia per le commesse occorre, inoltre, tener conto del fatto che tali generi di acquisti sono sempre a lungo termine e quindi nel presente anno fiscale i versamenti potranno essere di entità modesta. In questo campo le difficoltà americane sono simili a quelle italiane e ci si domanda in America se non sia possibile procedere ad anticipazioni nei pagamenti del genere di quelle previste in Italia e per le quali il Tesoro italiano può arrivare alla anticipazione degli otto decimi dei valori totali.

3. Per ritornare ai veri e propri aiuti economici, il signor Bissell ha dichiarato che non esistono oggi possibilità perché possa essere integralmente soddisfatta quella stima di 275 milioni di dollari che in un primo tempo era stata compiuta nei confronti dell’Italia per il 1951-52. Bisogna considerare, dato l’atteggiamento del Congresso, la situazione reale proprio per studiarne i correttivi. E qui non mancheranno certo la buona volontà e l’azione delle responsabili autorità americane per venire incontro a questa situazione mentre è evidente che anche da parte italiana dovrà essere compiuto ogni sforzo per il pieno impiego delle risorse locali. Naturalmente questo è un discorso di carattere generale e soltanto in seguito – ed in base a elementi precisi – potranno essere considerati gli aspetti positivi ed effettivi della questione dell’entità degli aiuti totali. Comunque occorre sempre tener presente come il Congresso tenga conto nelle sue decisioni dello sforzo effettivo di riarmo dei singoli paesi13.

Con ogni probabilità il problema finanziario americano nei confronti esterni potrà trovare una sua definizione nel corso del mese di ottobre, ed allora sarà possibile agli organi competenti fissare, in cifre, gli ordini di grandezze tanto per gli acquisti off-shore quanto per la fornitura degli end items. Circa le attrezzature si può dire fin da ora che la decisione finale per le ordinazioni in corso sarà favorevole e quindi il problema italiano connesso con le installazioni dell’industria siderurgica e termoelettrica potrà tra non molto trovare la sua desiderata soluzione. Nei riguardi delle navi esiste naturalmente un limite costituito dalla disponibilità del naviglio di riserva ma occorre ben sperare perché essa non costituisca un elemento negativo.

Circa infine le richieste italiane per i quantitativi di acciaio (400 mila tonn.) e di rame (80 mila tonn.) – questione che tocca il lavoro della Conferenza internazionale per le materie prime – non si mancherà da parte americana di favorire tali richieste. Per il rame proprio in questi giorni il Comitato speciale esistente in seno alla Conferenza ha stabilito per l’Italia, per l’ultimo trimestre dell’anno in corso, un quantitativo di 24 mila tonnellate.

4. Circa il problema degli approvvigionamenti di carbone ogni sforzo sarà compiuto da parte americana per favorire le richieste italiane per quanto il problema sia di non facile soluzione.

5. Nei riguardi dell’importante questione delle necessità emigratorie italiane il segretario di Stato Acheson ha posto in rilievo come lo stesso presidente della Confederazione, Truman, non abbia mancato di dimostrare il suo interesse personale al riguardo indicando come le necessità stesse debbano costituire uno dei principali elementi di studio, per possibili soluzioni, da parte del nuovo organismo internazionale che si spera di poter creare in tale settore. In sede internazionale, inoltre, e particolarmente in seno al nuovo Comitato dei dodici previsto per la Comunità atlantica, i problemi della mano d’opera saranno considerati con particolare attenzione nella speranza che essi possano compiere progressi per una sua migliore distribuzione ed impiego.

Il «sollecitatore» americano per i problemi dell’emigrazione, West, ha da parte sua ripetuto la volontà americana di sostenere uno sforzo per l’emigrazione e per patrocinare presso i paesi di immigrazione l’assorbimento di mano d’opera altrove eccedente, ma ha sottolineato le gravi difficoltà oggi esistenti, particolarmente nel campo legislativo, negli Stati Uniti, per un eventuale accrescimento delle quote di immigrazione. Circa gli organismi internazionali oggi esistenti egli ha espressamente indicato come il Governo degli Stati Uniti non intenda attualmente appoggiare l’accentramento di tali questioni nell’organismo ginevrino dell’I.L.O. Nei confronti infine dell’imminente Conferenza per l’emigrazione di Napoli non si mancherà da parte del Governo degli Stati Uniti di impartire istruzioni ai propri rappresentanti perché essi svolgano un’azione consona agli interessi italiani in questo settore.

6. In riassunto, ed a conclusione delle conversazioni, e dinanzi alla ripetuta affermazione italiana circa la necessità che, all’infuori delle cifre esatte e delle date precise, sia mantenuta e rinforzata quella atmosfera di reciproca fiducia che appare caratterizzare i rapporti politici ed economici tra i due paesi, le autorità americane, per bocca dello stesso segretario di Stato, Acheson, hanno confermato la loro buona volontà di compiere, a tale scopo, ogni possibile azione. L’America quindi non mancherà, per profondi motivi politici e psicologici, di dare all’Italia la sensazione che essa «non è e non sarà sola» nell’affrontare gli importanti problemi che sono attualmente sul tappeto.

Eventuali prestiti americani all’Italia

Come è sopra indicato l’azione italiana, nel campo economico, a Washington ha avuto come scopo principale la concessione di aiuti americani tanto nel settore civile, quanto in quello militare con un particolare riguardo alla desiderata fornitura di commesse da parte dell’industria italiana.

Parallelamente però altra azione è stata svolta per considerare la convenienza di prestiti americani, pubblici o privati, all’Italia.

In tale settore si è avuto, innanzi tutto, conferma della poca, per non dire nessuna, simpatia del Governo degli Stati Uniti di provvedere direttamente o indirettamente alla concessione di prestiti a paesi europei. Il sottosegretario Thorp ha, in proposito, apertamente dichiarato che in America si è del tutto «scettici» circa prestiti che finiscano per formare unicamente «depositi nelle banche». Nessuna precisa azione quindi – e ciò anche a seguito di molto utili e precise informazioni fornite dallo stesso presidente del Federal Reserve Board, Martin – è stata intrapresa presso le competenti autorità americane se non nel senso di vederle non osteggiare la concessione di prestiti da parte di altri organismi bancari, internazionali o privati, e cioè:

1. da tempo, come è noto, era in corso una trattativa per la concessione di un prestito alla Cassa del Mezzogiorno da parte della Banca internazionale per la ricostruzione, trattativa che aveva subito più soste e sollevato qualche difficoltà. A Washington, in conversazioni con gli esponenti della Banca, si è tratta la precisa sensazione che un fallimento della trattativa stessa avrebbe, con ogni probabilità, «chiuso le porte» di future attività della Banca a favore di iniziative italiane e si è quindi stabilito di riprenderle allo scopo preciso di portarle a favorevole conclusione. Si tratta di un prestito che dovrebbe raggiungere, in definitiva, la somma di 100 milioni di dollari divisibili in tranches annuali, la cui prima dovrebbe essere di 10 milioni. Così proprio durante il soggiorno a Washington della delegazione italiana si è proceduto a nuovi contatti concreti ed alla formulazione della bozza di accordo e di un comunicato atto ad informare le pubbliche opinioni dei due paesi.

La stipulazione di questo prestito avrà come conseguenza diretta di portare la Banca internazionale per la ricostruzione a considerare la possibilità di venire incontro alle necessità italiane di finanziamento a favore della piccola e media industria. Da parte della Banca è stato già fatto presente come essa penserebbe di provvedere a finanziamenti assommanti al 40% della somma indicata per ogni singolo progetto, mentre da parte italiana si dovrebbe provvedere per il rimanente 60%. Non sono, però, ancora state indicate con esattezza l’entità di tali eventuali prestiti né le modalità di esecuzione.

2. Alla delegazione italiana è stata inoltre fatta presente, anche da parte degli organi competenti italiani residenti in America, la possibilità della concessione di un prestito, da parte della Export-Import Bank, per favorire gli acquisti italiani di cotone negli Stati Uniti i quali hanno fino ad oggi, come noto, gravato particolarmente sugli aiuti del piano Marshall. Tale possibilità di concessione sarebbe favorita dal fatto che attualmente è previsto, negli Stati Uniti, un imponente raccolto di cotone per l’anno in corso: situazione questa che spinge gli uomini del Congresso americano appartenenti agli Stati meridionali a compiere ogni sforzo per facilitare gli acquisti dall’estero di tale materia prima e, conseguentemente, per mantenere i prezzi sul mercato. In tale settore nessuna decisione definitiva è stata presa anche perché la delegazione ha avuto sentore di talune difficoltà frapposte da organi competenti italiani, per motivi tecnici e valutari, alla stipulazione di un prestito di questa natura. L’iniziativa comunque non è stata lasciata cadere e formerà ora oggetto di nuovi studi.

Comunicato finale

In conclusione le conversazioni di carattere economico, su esposte in dettaglio, sono state così riassunte nel testo del comunicato finale congiunto emesso a Washington nel pomeriggio del 26 settembre 1951:

[...]14.

Allegato II

Promemoria italiano15. Washington, 25 settembre 1951.

LA DIFESA E I PROBLEMI ECONOMICI

Il Governo italiano è deciso a dare il massimo contributo alla difesa della Comunità atlantica ed è d’avviso che la mobilitazione delle risorse disponibili dovrebbe essere diretta a raggiungere, insieme, lo scopo di costituire una adeguata organizzazione difensiva e quello di rafforzare la struttura economica e sociale interna.

In questo spirito il Governo italiano vede con soddisfazione la decisione adottata a Ottawa di nominare il Comitato dei dodici per coordinare i bisogni militari con le necessità politiche ed economiche, e intende partecipare attivamente ai lavori di esso.

L’Italia ritiene che, oltre all’impiego di una notevole parte del suo reddito nazionale per scopi diretti di difesa (più del 7% di un reddito netto annuo pro-capite di soli $ 250), le seguenti possibilità italiane dovrebbero essere tenute nella dovuta considerazione nel quadro di uno sforzo congiunto di cooperazione:

a) capacità produttiva inutilizzata in importanti settori;

b) eccedenza di mano d’opera.

L’utilizzazione di tali fattori produttivi faciliterebbe la soluzione di seri problemi strutturali italiani e incrementerebbe il rafforzamento del paese tanto per quel che concerne l’azione interna contro il comunismo quanto sul fronte internazionale.

Le principali misure specifiche, che sono state esaminate in via preliminare nelle conversazioni delle ultime due settimane e circa le quali si auspica che possano essere presto trovate soluzioni definitive, sono le seguenti:

Aiuto militare

L’organizzazione delle Forze armate italiane, per la quale, come è noto, il Parlamento ha recentemente deciso un primo stanziamento supplementare di 250 miliardi di lire – in aggiunta al bilancio ordinario per la difesa di 361 miliardi di lire – comporterebbe che il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti assegnasse all’Italia un adeguato ammontare dei fondi per gli aiuti militari onde assicurare la rapida consegna dei materiali necessari per l’attuazione del programma italiano.

Tale assistenza non dovrebbe essere inferiore a 550-600 milioni di dollari per il 1951-52 e dovrebbe includere:

1) materiali militari (end-items) ed attrezzature;

2) materie prime necessarie ad assicurare l’attuazione del programma italiano di produzione militare;

3) macchinari, utensili ed altre attrezzature speciali;

4) progetti, modelli e disegni.

Per quel che concerne la ulteriore azione da svolgersi, il Governo italiano intende prendere attiva parte ai lavori del Comitato dei dodici e presenterà, tempestivamente, all’approvazione del Parlamento le misure atte ad assicurare la continuazione dello sforzo italiano di difesa.

Aiuto economico

Per quel che concerne l’aiuto economico per il 1951-52 nel quadro del Mutual Security Act, il Governo italiano ritiene indispensabile di attirare l’attenzione del Governo degli Stati Uniti sulla necessità che i bisogni essenziali italiani siano tenuti nella massima considerazione, nonostante le riduzioni globali decise dal Congresso degli Stati Uniti. In relazione a ciò è da sottolineare che, secondo i più recenti calcoli ufficiali fondati su bisogni minimi di generi alimentari e di materie prime basilari, il deficit della bilancia italiana dei pagamenti per il 1951-52, nei confronti dell’area del dollaro, viene valutato in 330 milioni di dollari.

Circa i problemi monetari e, ancor più, la posizione finanziaria, è da osservare che i pagamenti in dollari per ordinativi militari possono solo parzialmente compensare una insufficienza degli aiuti economici.

Acquisti all’estero (off-shore) da parte degli Stati Uniti

Il Governo italiano vede con soddisfazione la decisione adottata dal Governo americano in merito al piazzamento di commesse militari americane nell’Europa occidentale e spera vivamente che tale decisione sia per trovare pronta e adeguata applicazione per quanto concerne l’Italia, in modo che il potenziale industriale italiano esistente venga usato immediatamente per lo sforzo comune di difesa.

Il potenziale italiano in alcuni importanti settori è già stato illustrato al Governo degli Stati Uniti, particolarmente per quel che concerne i veicoli da trasporto, le costruzioni navali, le costruzioni aeronautiche, le munizioni, le armi da fuoco, i motori e i macchinari, il materiale elettronico, ecc. In complesso il potenziale economico e industriale italiano sarebbe in grado di eseguire, entro il 30 giugno 1953, commesse fino a 500 milioni di dollari.

È del tutto evidente che il successo di un tale programma dipenderà in larga misura dalla istituzione di un efficiente e adeguato meccanismo per la sua attuazione. Sembrerebbe pertanto estremamente opportuno di procedere immediatamente alla creazione di un gruppo congiunto americano-italiano per l’applicazione del programma, attraverso appositi organi dei due Governi.

Materie prime scarse

Il Governo italiano porta un grande interesse alla attività della Conferenza internazionale per le materie prime (I.M.C.) ed in genere alle misure intese a stabilire una adeguata disciplina internazionale della produzione, distribuzione e prezzi delle materie prime scarse.

L’Italia non ha praticamente materie prime; è necessario quindi che le sue esigenze vengano soddisfatte a prezzi ragionevoli per metterla in condizione di svolgere il programma di difesa e di commesse militari, pur mantenendo e rafforzando la stabilità economica e sociale interna.

È in questo quadro che le seguenti richieste specifiche vengono sottoposte all’attenzione del Governo degli Stati Uniti:

a) che le esigenze essenziali italiane di materie prime scarse siano soddisfatte. Meritano particolare menzione le necessità di acciaio e rame (rispettivamente 400 mila e 80 mila tonn. per il corrente anno fiscale);

b) che vengano prontamente concessi i Defense Orders necessari a completare i progetti industriali italiani finanziati dall’E.C.A. ed attualmente in corso di realizzazione (macchinari ed attrezzature per impianti siderurgici, termoelettrici, ecc);

c) che un numero sufficiente di navi della flotta di riserva (navi G.A.A.) siano rese disponibili per il trasporto in Italia di carbone e di altri grossi carichi. Si può calcolare che, per il trasporto marittimo di tali materie prime nel periodo fra il 1° luglio e il 31 dicembre 1951, siano necessarie circa 200 navi.

Esigenze finanziarie interne ed altri problemi per il 1952-53

Nel mese di gennaio 1952 il Governo italiano dovrà presentare al Parlamento il bilancio 1952-53, nel quadro delle esigenze della difesa e della politica economica generale.

Pertanto i problemi connessi con il programma di difesa, con gli acquisti all’estero (off-shore procurements), con gli aiuti militari ed economici e con la scarsità di materie prime dovranno necessariamente essere posti molto presto sul tappeto per quel che riguarda l’anno fiscale 1952-53. Anche sotto tale profilo quindi il problema finanziario interno si presenta serio ed urgente: la realizzazione dell’attuale programma straordinario di difesa per l’ammontare di 250 miliardi di lire incide gravemente sul bilancio statale; la pressione fiscale ha già raggiunto un livello massimo (più del 21% su un reddito netto annuo pro-capite di 250 dollari) mentre le spese nel settore civile non coprono molte esigenze essenziali. Nonostante questa situazione, il deficit per il 1951-1952 è valutato a 369 miliardi di lire, tenuto conto di un fondo di contropartita corrispondente ad una parte dell’aiuto americano. Il Governo italiano ritiene che tale deficit costituisca già di per sé un serio pericolo e che ogni eventuale maggior deficit provocherebbe indubbiamente una spinta inflazionistica. Chiede quindi che venga presa nella dovuta considerazione la vitale importanza del contributo dell’aiuto americano per la soluzione di questo problema, sia nell’attuale che nel prossimo bilancio, attraverso la disponibilità di un adeguato fondo di contropartita.

La mano d’opera italiana nel quadro della Comunità atlantica

Il Governo italiano dichiara che il pieno risanamento dell’economia italiana e la eliminazione della minaccia comunista sono strettamente legati alla liberazione generale nel mondo del movimento delle persone.

Il Governo italiano continuerà a fare il massimo sforzo affinché i 200 mila lavoratori che ogni anno vengono ad aumentare la popolazione attiva trovino impiego nell’interno del paese.

Ma nonostante tale sforzo e la normale emigrazione, l’Italia è oberata da una quantità eccezionale di disoccupati, accumulatasi per effetto delle conseguenze della guerra (mancanza di emigrazione, distruzioni e depressione economica, rifugiati, ecc.). Tale accumulazione costituisce un fattore anormale che può essere affrontato soltanto con misure straordinarie, una tantum anche considerando che il tasso di incremento annuo della popolazione italiana è in graduale diminuzione.

Fra le misure che è possibile prospettare a questo scopo, nessuna potrebbe essere più feconda di buoni risultati (anche e soprattutto da un punto di vista ideologico e politico) di un programma straordinario, simile a quello riguardante le Displaced Persons ora in corso di realizzazione. Tale programma dovrebbe consentire, per qualche anno, l’emigrazione verso diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, di un numero addizionale di persone.

Altre misure specifiche dovrebbero essere raccomandate:

1) la creazione di un organismo internazionale, con la partecipazione degli Stati Uniti, per il finanziamento e il trasferimento degli emigranti oltremare;

2) la istituzione di un gruppo congiunto americano-italiano che abbia lo scopo di promuovere un efficiente e vasto impiego di personale tecnico e di mano d’opera italiani nella costruzione di opere militari (aeroporti, strade, ecc.) specialmente nell’area del Mediterraneo. Tale programma dovrebbe comprendere anche la creazione di una organizzazione tecnica mista per iniziative di interesse militare. Ciò consentirebbe all’Italia di dare il suo pieno contributo di tecnici e di mano d’opera;

3) un maggiore sostegno da parte del Governo degli Stati Uniti alle risoluzioni adottate dalla N.A.T.O. e dall’O.E.C.E. per lo sviluppo dell’emigrazione italiana anche in Europa (Francia e Regno Unito) in relazione ai programmi di difesa e di sviluppo del potenziale economico dell’Europa occidentale.

In linea di principio, dati i problemi strutturali dell’Italia, il Governo italiano porta il massimo interesse a tutte le misure di carattere tecnico e finanziario intese a facilitare sviluppi economici tanto all’interno del paese quanto dovunque un aumento di impiego di mano d’opera possa essere realizzato.

L’esistenza in Italia di mano d’opera non utilizzata deve essere considerata come una debolezza e un pericolo per tutta la Comunità atlantica mentre essa diverrebbe un importante fattore positivo e una aumentata forza addizionale se impiegata ove esistono favorevoli condizioni.

IV.

Comunicato ufficiale16. Washington, 26 settembre 195117.

Il presidente degli Stati Uniti, il segretario di Stato e il primo ministro d’Italia si sono incontrati nei tre giorni scorsi e hanno avuto uno scambio di idee sulle questioni di interesse reciproco dei due paesi. Per i colloqui di carattere economico hanno partecipato anche l’amministratore dell’E.C.A., Bissell e il ministro del bilancio italiano, Pella.

I colloqui sono stati tenuti nello spirito di amicizia e di cooperazione che regolano le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Italia. Essi hanno rivelato una continuità di identità di vedute tra i Governi dei due paesi sui comuni obiettivi e sui mezzi per conseguirli.

Il segretario di Stato e il primo ministro hanno passato in rassegna la situazione internazionale nel suo complesso e si sono trovati d’accordo nell’affermare che entrambi i paesi con le altre nazioni libere devono devolvere le proprie energie per conseguire la pace con sicurezza. Essi hanno inoltre convenuto sulla necessità di un’azione positiva per riunire i popoli e i governi della Comunità atlantica. Il segretario di Stato e il primo ministro hanno passato in rassegna i passi già presi per effettuare una stretta associazione fra i paesi dell’Europa occidentale, compresa la Repubblica federale tedesca e le forze difensive europee e il primo ministro ha espresso al segretario di Stato la determinazione dell’Italia di svolgere la sua completa cooperazione in tal senso.

È stata pienamente riconosciuta la Organizzazione nord-atlantica quale mezzo per la difesa nazionale in base alla Carta delle Nazioni Unite e la sua particolare importanza nella stretta cooperazione politica ed economica tra i paesi dell’Europa occidentale e le nazioni del Mediterraneo.

Essi inoltre hanno riconosciuto che la zona del Mediterraneo è essenziale alla difesa comune e hanno accolto favorevolmente i provvedimenti presi alla recente riunione del Consiglio atlantico ad Ottawa.

Il segretario di Stato ha riaffermato la determinazione degli Stati Uniti di fare tutto quanto è possibile per ottenere l’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite perché l’Italia possa cooperare in forma completa al mantenimento della pace e alla rimozione delle cause di tensione internazionale.

Il segretario di Stato ha assicurato il primo ministro che la richiesta del popolo italiano a suo mezzo per la rimozione delle restrizioni e discriminazioni del trattato di pace italiano è stata presa in attenta considerazione dal Governo degli Stati Uniti.

Una dichiarazione da parte del Regno Unito, Francia e Stati Uniti su questo argomento è stata pubblicata18 e il segretario di Stato ha espresso la speranza che tutti i Governi firmatari del trattato diano la loro piena adesione a questa dichiarazione.

Riguardo Trieste sia il primo ministro che il segretario di Stato hanno concordemente affermato che una soluzione della questione rafforzerebbe grandemente la unità dell’Europa occidentale.

Come stabilito nei colloqui fra il primo ministro e il presidente la politica di entrambi i Governi per questa questione è ben nota, la soluzione dovrebbe tener conto delle legittime aspirazioni del popolo italiano.

Il primo ministro ha sottolineato l’urgenza dei provvedimenti per venire incontro ad una completa utilizzazione della mano d’opera italiana.

Il segretario di Stato ha espresso la sua completa comprensione dell’importanza di cooperare alla sua soluzione. Egli ha informato il primo ministro che gli Stati Uniti coopereranno con gli altri Governi che hanno interesse allo svolgimento di piani pratici per una organizzazione internazionale che prenda in considerazione e mandi ad effetto piani concreti per la soluzione del problema della super popolazione italiana e di altri paesi di Europa.

I problemi economici comuni ai due paesi sono stati passati in rassegna dettagliatamente dai rappresentanti dei due Governi. Da parte americana è stata espressa grande soddisfazione per i progressi fatti nel rafforzamento della situazione economica e finanziaria dell’Italia.

De Gasperi ha avuto assicurazione che è intenzione del Governo degli Stati Uniti di fornire, come per il passato, entro i limiti dei fondi stanziati a questo fine dal Congresso, aiuti militari ed economici necessari ad appoggiare gli sforzi dell’Italia a sviluppare la sua economia ed a rafforzare la stabilità sociale e la capacità difensiva per la sua libertà ed indipendenza.

Particolare attenzione è stata data alle possibilità esistenti in alcuni settori dell’industria italiana e alla possibilità che il Governo degli Stati Uniti commetta ordinazioni per la produzione e la difesa che contribuiranno ad accelerare e a rendere completa la partecipazione italiana allo sforzo produttivo dei paesi del N.A.T.O. e che aumenteranno il livello dell’impiego in Italia.

Gli Stati Uniti hanno dato assicurazione di voler dare la precedenza alla fornitura degli impianti necessari ad aumentare la produzione di energia elettrica e dell’acciaio in Italia.

Il segretario di Stato e il ministro Pella hanno firmato un accordo suppletivo al trattato di amicizia, commercio e navigazione del 1948 che provvederà ad un aumento del flusso degli investimenti tra i due paesi.

Questo amichevole ed esauriente scambio di vedute sia relativamente a problemi politici che economici conferma la determinazione dei due paesi di proseguire, di concerto con le altre nazioni democratiche, la loro stretta cooperazione al fine di risolvere in modo efficiente i problemi del benessere, della sicurezza e della pace.


119 1 L’incontro era stato preceduto da una conversazione privata che De Gasperi ebbe con Acheson lo stesso 24 settembre alle ore 15,30 sulla questione di Trieste. Zoppi, presente all’incontro insieme a Tarchiani, Perkins, Dunn e Byington, ne comunicò i punti principali a Gallarati Scotti, vedi D. 151. Il verbale statunitense è edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, 1, Europe: Political and Economic Developments, Washington, United States Government Printing Office, 1985, pp. 675-680.


119 2 A questo primo incontro formale di De Gasperi con Acheson erano inoltre presenti per la parte italiana Zoppi, Tarchiani, Jannelli, Venturini, Luciolli, Canali, Sensi e Pansa, per la parte statunitense Perkins, Barrett, Hickerson, Dunn, Byington, White, Greene, Christensen e Kirkpatrick.


119 3 Il verbale statunitense, edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 681-687, riporta l’orario delle 16,30.


119 4 Vedi D. 129, Allegato B.


119 5 All’incontro erano presenti per la parte italiana Zoppi, Jannelli, Luciolli, Catalano, Venturini, Sensi e Pansa, per la parte statunitense Perkins, McGhee, Hickerson, Dunn, Allison, Byington, Greene, Wallons, McClurkin, Mangano, White, Manfull e Kirkpatrick.


119 6 Manca la parte del verbale relativa a questa voce che è invece presente nel verbale statunitense edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 687-698.


119 7 Non pubblicato, ma vedi D. 269, Allegato.


119 8 Non rinvenuto.


119 9 De Gasperi ebbe un incontro con Truman lo stesso 25 settembre alle ore 12 alla presenza anche di Acheson, Harriman, Perkins, Dunn, Elsey, Short, Byington e Greene per la parte statunitense e di Tarchiani, Zoppi e Canali per quella italiana. Il verbale statunitense di tale incontro è edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 699-705, mentre quello italiano non è stato rinvenuto.


119 10 Il verbale documenta solo la parte relativa ad uno degli ultimi argomenti affrontati nell’incontro che aveva ad oggetto principale l’esame dei problemi economici italiani. Dell’andamento della discussione sul tema specifico delle questioni economiche fece stato Magistrati che redasse in proposito un dettagliato appunto qui pubblicato in Allegato I. A questo terzo incontro formale di De Gasperi con Acheson erano inoltre presenti per la parte statunitense Harriman, Bissell, Perkins, Dunn, Byington, Cleveland, Linder, Martin, West, White, Greene, Christensen e Kirkpatrick, per la parte italiana Tarchiani, Zoppi, Jannelli, Magistrati, Pella, Ortona, Luciolli, Sensi, Venturini, Canali, Pansa e Ferrari-Aggradi. Per il verbale statunitense vedi Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 706-713.


119 11 Con L. riservata 1238 del 3 ottobre Magistrati trasmise questo suo appunto a Taviani unitamente al promemoria presentato da De Gasperi durante il terzo incontro ufficiale per il quale vedi Allegato II.


119 12 Vedi serie undicesima, vol. II, Tavola metodica, I. Questioni, Viaggi di Sforza, New York-Washington, 28 marzo-25 aprile.


119 13 Nota del testo: «Esso ha inoltre immaginato una qualche flexibility tra gli aiuti militari e quelli civili per un totale prevedibile al 5% delle somme previste per quelli militari».


119 14 Seguiva la riproduzione, dal decimo capoverso alla fine, del comunicato ufficiale (punto IV del presente documento).


119 15 Presentato al Dipartimento di Stato durante il terzo incontro ufficiale, vedi nota 11.


119 16 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 715-717.


119 17 Lo stesso 26 settembre, alle ore 9,30, De Gasperi ebbe il quarto incontro ufficiale con Acheson per concordare il testo del presente documento. Erano inoltre presenti Harriman, Perkins, Dunn, Byington, Barnes, West, White, Greene, Christensen e Kirkpatrick per la parte statunitense e Tarchiani, Zoppi, Jannelli, Pansa, Sensi e Venturini per quella italiana. Il verbale statunitense è edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, cit., pp. 713-715 mentre non è stato rinvenuto quello italiano.


119 18 Vedi D. 124.

120

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 12058/160. Tokyo, 25 settembre 1951, ore 17,20(perv. ore 13,30).

Mio telegramma 1501.

Ministero affari esteri ha accolto ieri sera integralmente anche ultima nostra richiesta (telegramma di V.E. 77)2 pertanto frase finale della risposta pubblica giapponese suonerà come segue: «per incarico del mio Governo, ho l’onore notificare all’E.V. che il Governo giapponese ringrazia per la cortese comunicazione del Governo italiano e concorda pienamente con quanto oggetto di tale comunicazione». «On behalf of my Government, I have the honour to state in reply that the Japanese Government thank the Italian Government for their kind communication and are in full agreement with its contents».

Consiglio dei ministri di stamane ha approvato poi intero scambio di note pubblico e segreto. Con mio telegramma a parte riferirò circa accordo in corso per effettivi scambi e sincronizzata pubblicità a Roma e da Tokio radio e stampa. Rilievo giapponese sarà notevole.

Ministero degli affari esteri ha voluto infine amichevolmente assicurare che provvederà nei prossimi giorni (forse in occasione imminente nomina titolare nuova agenzia governativa a Roma) preannunziare pubblicamente futura riapertura ambasciata in Italia al momento ratifica del trattato di pace. Su questo argomento comunque mi riservo ritelegrafare3.

Dopo inevitabile vivo scontro nostre due tesi ma anche successivi passi equo compromesso di principi e di forme vari sintomi qui indicano ora costruttiva ripresa cordiali rapporti. Circa nostri claims è prevedibile che futuri negoziati saranno assai difficili ma abbiamo ora base sufficiente per amichevolmente appellarci, nei limiti del trattato generale, a qualche fondamentale principio S. Francisco e possibilità in parte avvalerci quelle che saranno consuete proficue concessioni ad Alleati.


120 1 Vedi D. 114, nota 1.


120 2 Vedi D. 115.


120 3 Vedi D. 122.

121

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 977. Roma, 25 settembre 1951.

Ricevo la sua lettera del 22 settembre1 e le rispondo immediatamente.

Le sue induzioni circa l’attuale stato della questione esercito europeo dopo gli incontri nord-americani mi sembrano le più verosimili, alla luce delle informazioni di cui disponiamo. Resta comunque il fatto che ciò che lei chiama «questo pasticcio» ha ancora da compiere un notevole percorso prima di giungere alla meta: e, se si tiene conto della situazione parlamentare e governativa francese, non si vede come sia possibile varare con tutti i sacri crismi costituzionali un progetto tanto sostanzioso, entro il breve tempo previsto. Mi permetterei, pertanto, di ritenere tutt’altro che superati sia il progetto olandese, sia il tedesco, sia quella delle nostre due soluzioni che abbiamo definito «modesta».

Peraltro, nulla di tutto questo ci conviene sostenere nel momento presente. Ci sono innanzi tutto ragioni di tattica. Ma ci sono anche ragioni di fondo. Sono convinto, come lei scrive, che, se fallisce l’esercito europeo, di Europa non se ne parlerà più per molto tempo; e, se così fosse, mi parrebbe inevitabile – nonostante anche i migliori e più ardenti sforzi dei nostri amici dell’O.E.C.E. – che i paesi europei finiscano per diventare «satelliti», per non dire peggio, dell’uno o dell’altro blocco. Mi pare dunque doveroso per l’interesse nostro e degli italiani di domani, che venga compiuto ogni sforzo affinché sorga qualcosa di veramente europeo.

Non è possibile accettare il «pasticcio» così com’è: non tanto per ragioni specificamente italiane, quanto per ragioni di pratica attuazione finanziaria. Che i Parlamenti, ogni anno, stanzino parecchie centinaia di miliardi, si assumano la responsabilità di tale stanziamento, e poi rinuncino a ogni diretto potere di controllo è cosa assurda non soltanto per chi conosce i parlamentari italiani ma ancora più per chi conosce i francesi. Oltre tutto, per quanto sia vero che la politica non deve né può essere sempre logica, tale impostazione è di stridente illogicità: significherebbe nel fatto la comunità delle spese, ma non delle entrate. È vero che noi potremmo lasciare che le cose vadano avanti così, sicuri che, senza essere noi a levare la castagna dal fuoco, non riuscirebbero ad andare in porto, senonché non credo che tale modo di agire sarebbe utile ai tentativi che dobbiamo in ogni modo compiere per realizzare l’Europa. D’altra parte, i francesi possono permettersi il lusso di firmare un trattato e poi non ratificarlo. Non credo che potremmo fare altrettanto noi, con la tradizione di machiavellismo che, immeritatamente, abbiamo dietro le spalle.

Mi pare quindi che, come ho detto a Lombardo e a Cavalletti, dovremmo essere radicali e spregiudicati nel far notare la pratica assoluta impossibilità di attuare il Rapport intérimaire così come esso è, per quanto concerne «le budget commun». La carta che noi abbiamo nelle mani è, e mi pare che lei concordi pienamente, quella federale. Ho letto il progetto del memorandum Cavalletti2, ho suggerito alcune modifiche non sostanziali, e sono d’accordo di procedere senz’altro e con disinvoltura su questa strada.

Per quanto concerne il suffragio universale diretto non insisterei troppo, pur essendo d’accordo sul principio. Quello su cui mi sembra bisognerebbe battersi è, ripeto, sull’impossibilità di realizzare la comunità delle spese, se non c’è una comunità di entrate.

Speravo di venire a Parigi il 7 ma ci sarà invece il Consiglio nazionale del mio partito; penso tuttavia che una mia puntata costì, in veste non ufficiale, potrebbe essere utile anche per un colloquio con Monnet.

Attendo tuttavia in proposito un suo parere3.


121 1 Vedi D. 116.


121 2 Vedi D. 135, Allegato.


121 3 Riferendo sul colloquio avuto con Schuman (L. riservata 714 del 28 settembre) Quaroni comunicò che da parte francese si condivideva l’impostazione italiana del problema.

122

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 12049/163. Tokyo, 26 settembre1951, ore 14,15(perv. ore 11).

Mio telegramma 1601.

In base direttive di massima circa futura elevazione rappresentanze italiana e giapponese ad ambasciata ho stamane concordato con il vice ministro degli affari esteri quanto segue salvo tempestivo parere contrario dell’E.V.:

1) nel consegnare domani nota italiana comunicherò verbalmente nostro gradimento nomina Inoue (mio telegramma n. 162)2;

2) allo stesso tempo informerò intenzione italiana elevare sua rappresentanza ad ambasciata al momento ratifica della convenzione;

3) vice ministro degli affari esteri mi risponderà ringraziando e comunicando da parte giapponese eguale decisione;

4) di quanto precede verrà data notizia pubblica contemporaneamente e a seguito nostra pubblicazione.

Per valutare significativa portata decisione giapponese informo V.E. che stamane Sezione diplomatica mi ha informato confidenzialmente rifiuto giapponese ad uguale richiesta Olanda che potrebbe costringere questo ambasciatore Olanda lasciare Tokio3.


122 1 Vedi D. 120.


122 2 Pari data, con il quale Lanza d’Ajeta aveva comunicato le informazioni relative a Inoue.


122 3 Con il T. segreto urgente 8898/82 pari data, Taviani rispose: «D’accordo per procedura che è stata proposta e per nomina di Inoue nella qualità di capo di agenzia giapponese a Roma».

123

L’AMBASCIATORE A CARACAS, VIDAU,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 1585/502. Caracas, 26 settembre 1951(perv. il 2 ottobre).

Riferimento: Telespresso di quest’ambasciata n. 445 in data 22 agosto u.s.1.

Dopo un mese e mezzo circa di ferie e di conseguente interruzione delle udienze al Corpo diplomatico, questo ministro degli esteri ha oggi di nuovo ricevuto i capi missione qui accreditati.

Ho ricordato a Gómez Ruiz la promessa di Gallegos Medina di farmi conoscere il pensiero del Governo venezuelano in merito all’azione promossa dal Governo italiano per giungere ad una revisione dell’attuale trattato di pace (v. telespresso in riferimento).

Gómez Ruiz mi ha confermato l’amichevole adesione del Venezuela a tale iniziativa formulando tuttavia due riserve:

a) il Venezuela terrebbe molto a che si evitasse, nella trattazione della questione, di dare l’impressione che si voglia favorire una rescissione unilaterale pura e semplice di un impegno internazionale, cosa questa che potrebbe venire interpretata come un precedente a favore della «caducità» dei trattati internazionali in genere ed, in particolare, di alcuni interessanti il Venezuela;

b) il Venezuela vorrebbe essere sicuro che la revisione del nostro trattato non implichi l’annullamento delle note clausole dello stesso concernenti la rinuncia da parte dell’Italia ad indennizzi per provvedimenti adottati dalle potenze alleate e associate – e da quelle che hanno rotto le relazioni diplomatiche – in conseguenza dello stato di guerra poiché ciò avrebbe direttamente inferito sulla questione delle note navi italiane qui sequestrate.

Circa il primo punto ho rassicurato Gómez Ruiz, facendogli presente che sarebbe stata certamente trovata una formula tale da evitare l’impressione da lui temuta di una pura e semplice rescissione del trattato, dato che a nessuno conviene inficiare la stabilità di trattati internazionali. Inoltre, nel caso specifico, erano gli stessi Stati vincitori i quali avevano «imposto» il trattato che si mostravano ora favorevoli alla sua revisione e che quindi ben difficilmente si sarebbe potuto vedere, in tale revisione, una pura e semplice rescissione da parte di uno dei due contraenti, contro la volontà dell’altra parte.

Circa il secondo punto ho chiarito a Gómez Ruiz che quello che l’Italia vuole – e che è giusto ed urgente che ottenga – è la revisione di alcune parti impor-tanti del trattato (Trieste, clausole militari, riparazioni esorbitanti, ecc.) da tuttiormai ritenute sorpassate o inattuabili: e che non appariva verosimile che potes-sero essere oggetto di revisione questioni quali quella che costituiva la sua preoccupazione, facendo in ciò chiara allusione alla questione delle navi italiane sequestrate.

È chiara la preoccupazione dei venezuelani di vedere riaprirsi, con più forti carte in mano nostra, la tutt’altro che pacifica questione dell’assenza di un nostro diritto, in virtù del trattato di pace, a reclamare l’indennizzo delle navi arbitrariamente confiscateci allo scoppio delle ostilità.

Mi sono peraltro riservato con Gómez Ruiz di tornare con lui, al momento opportuno, sulla questione di tale risarcimento, risarcimento che egli ha sin da ora tenuto a prevedere come «molto limitato».

Concludendo, nel mentre ritengo che si possa contare sull’appoggio di questo paese nella questione nel suo insieme, non escluderei che la delegazione venezuelana possa sollevare, in caso di eventuale dibattito in seno all’Assemblea dell’O.N.U., delle eccezioni del genere di quelle sopra ricordate. Sarebbe pertanto opportuno, a mio subordinato parere, che di tale circostanza venga debitamente informato, ad ogni buon fine, il nostro osservatore presso l’O.N.U.

Secondo quanto comunica questa stampa, la delegazione venezuelana all’Assemblea di novembre sarà presieduta dallo stesso Gómez Ruiz e così composta:

Delegati principali: dr. César González, delegato permanente del Venezuela presso l’O.N.U.; generale Antonio Chalbaud Cardona, ambasciatore del Venezuela a Parigi; dr. Eduardo Plaza A., consultore di politica internazionale del Ministero degli esteri; dr. V.M. Pérez Perozo, rappresentante supplente nella delegazione permanente venezuelana presso l’O.N.U.

Delegati supplenti: dr. Lorenzo Mendoza Fleury, rappresentante supplente ad honorem nella delegazione del Venezuela presso l’O.N.U.; dr. Victor Manuel Rivas e dr. Francisco Alfonzo Ravard, consiglieri della delegazione permanente venezuelana presso l’O.N.U.

Segretario: Héctor Sornes, secondo segretario della delegazione permanente venezuelana presso l’O.N.U.


123 1 Non pubblicato.

124

DICHIARAZIONE TRIPARTITASUL TRATTATO DI PACE ITALIANO

Washington, 26 settembre 1951.

The Governments of the United Kingdom, France and the United States have considered for some time how best to resolve, in the interests of the harmonious development of cooperation between the free nations, the problem presented by the Peace Treaty with Italy.

In accordance with the desire of the Italian people, Italy, which loyally cooperated with the Allies during the latter part of the war as a cobelligerent, has reestablished democratic institutions. In the spirit of the United Nations’ Charter Italy has invariably extended to other peaceful and democratic Governments that cooperation indispensable to the solidarity of the free world.

Nevertheless, although Italy has on three occasions received the support of the majority of member states voting in the General Assembly, it is still prevented by an unjustifiable veto from obtaining membership in the United Nations in spite of the provisions of the Treaty and the Charter.

Moreover, Italy is still subject under the Peace Treaty to certain restrictions and disabilities. These restrictions no longer accord with the situation prevailing today nor with Italy’s status as an active and equal member of the democratic and freedom-loving family of nations.

Each of the three Governments therefore declares hereby its readiness to give favourable consideration to a request from the Italian Government to remove so far as concerns its individual relations with Italy, and without prejudice to the rights of third parties, those permanent restrictions and discriminations now in existence which are wholly overtaken by events or have no justification in present circumstances or affect Italy’s capacity for self-defense.

Each of the three Governments hereby reaffirms its determination to make every effort to secure Italy’s membership in the United Nations. The three Governments trust that this declaration will meet with the wide approval of the other signatories of the Peace Treaty and that they will likewise be prepared to take similar action.

125

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 12143/[232]. Belgrado, 27 settembre 1951, ore 13,47(perv. ore 20,15).

Ambasciatori America Francia Inghilterra mi hanno informato confidenzialmente che Colli ha comunicato a Kardelj tenore dichiarazione anglo-francese-americana circa revisione trattato di pace con l’Italia.

Ambasciatori hanno spiegato ragioni che hanno determinato tre Governi a tale dichiarazione. Kardelj ha ringraziato per forma amichevole con cui comunicazione è stata fatta ed ha promesso che al più presto Governo Jugoslavia farà loro conoscere proprio punto di vista.

Durante conversazione Kardelj ha espresso suo disappunto per dichiarazioni fatte da V.E. davanti Congresso americano relative a Trieste e a Dichiarazione tripartita dell’anno 19481. Allen ha risposto che il Governo americano non è responsabile dichiarazioni fatte da ospiti Congresso americano invitati a parlare davanti al Congresso stesso.

Quotidiani di Belgrado pubblicano che il Governo jugoslavo ha ricevuto testo dichiarazione e che procederà a suo esame nello spirito interessi speciali Jugoslavia verso Italia.


125 1 Il discorso, pronunciato il 24 settembre, è edito in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 39, pp. 754-755.

126

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1671/693. Amman, 29 settembre 1951(perv. il 6 ottobre).

Dall’arrivo del nuovo re in Amman (6 corr.) ad oggi, avevo avuto occasione di avvicinarlo parecchie volte in varie occasioni, ed anche di intrattenermi con lui, ma le nostre conversazioni – come già riferito – svolgendosi in presenza di altre gente, avevano sempre un carattere di superficialità.

Stamane invece ho avuto un lungo colloquio con Talal.

Come era abitudine del padre, il re mi ha ricevuto al «Divano» nel suo studio.

Mi è venuto incontro sorridente, in costume arabo, con indosso un’elegante «abaya» bianca, e, dopo avermi fatto sedere, mi ha detto: «So che eravate un grande amico di mio padre, dovete ora avere per me la stessa amicizia e considerare come se egli fosse sempre presente qui».

Il tono con cui sono state pronunziate queste parole e lo sguardo con cui le ha accompagnate le hanno rese ancora più sincere e commoventi.

Poi mi ha detto che era molto contento di aver scelto come sua residenza il «Palazzo del Sorriso» cioè l’edificio fabbricato dal defunto sovrano per ricevervi gli ospiti illustri e che aveva fatto decorare e ammobiliare dall’architetto Venturi.

«Voi italiani avete un gusto raffinato per tutto ciò che è arte ed io sono lieto di vivere in mezzo a tante belle cose che mi parlano dell’Italia».

Talal non è mai stato troppo felice quando Abdallah viveva. Come avviene spesso alle Corti orientali, il vecchio sovrano non amava troppo il primogenito, forse ne era geloso, gli attribuiva delle idee politiche contrarie alle sue, gli preferiva palesemente il secondogenito avuto da altra moglie, lo teneva in disparte.

Infatti molti ritengono che la crisi nervosa da cui Tatal è stato colpito nel maggio scorso sia dovuta in gran parte proprio a questo stato di costante inferiorità, a questa compressione continua sulla sua personalità a cui era obbligato da anni e specie negli ultimi mesi, quando a tutti era noto che Abdallah, pur di realizzare l’unione con l’Iraq e diventarne re, era pronto a far fuori dal trono di Giordania il suo primogenito e far nominare erede al suo posto il giovane Feisal.

Anche la sua proclamazione a re, non è andata così liscia, come avrebbe dovuto essere in base alla Costituzione, che era molto esplicita sui suoi indiscussi diritti.

Basti pensare al suo ricovero in una casa di salute in Svizzera, alla Reggenza, ai continui intrighi dell’emiro Naiev per impadronirsi del trono, al tentativo di «putsch».

Ed è proprio perché le cose non andavano troppo bene alla Corte di Amman, che si è affrettata la guarigione ufficiale di Talal.

Già a pag. 5 del 1428/600 in data 4 settembre1 avevo segnalato a V.E. tale importante circostanza. Oggi essa mi viene confermata da autorevole fonte che sta molto vicina al ministro d’Inghilterra. Londra ha avuto timore che Naiev potesse significare l’«avventura», la possibilità di una rivoluzione di palazzo, il vedere stringersi intorno al trono hascemita delle forze musulmane xenofobe e forse anche terroristiche.

I britannici si sono preoccupati che un periodo di instabilità e di incertezza si potesse insediare in Giordania, proprio nel momento in cui essi hanno più bisogno che mai di calma e di tranquillità nella loro «ultima trincea» del M.O., e quindi hanno preferito affrettare la guarigione di Talal.

Avendo, poi, fatto subito nominare il di lui figlio come principe ereditario, gli inglesi hanno definitivamente sbarrato la via a futuri possibili colpi di testa, nel caso di morte o di una ricaduta di Talal nella sua malattia nervosa.

Nel corso del mio lungo colloquio, il re si è intrattenuto principalmente su due punti: sviluppo della nostra attività economica in Giordania e situazione internazionale.

1) Ho trovato Talal moto più al corrente di quanto ritenevo su quello che noi cerchiamo di fare in Giordania dal punto di vista economico.

Infatti mi ha parlato con competenza dei fosfati, mostrandosi dispiaciuto che la S.F.I.O.R. non avesse ancora definito ogni cosa. Naturalmente io ho dovuto prendere le difese del nostro gruppo, ho dimostrato come il ritardo non è imputabile a noi, ed infine l’ho assicurato che, non appena il primo ministro fisserà il giorno dell’inizio dei negoziati, la S.F.I.O.R. sarà in Amman e concluderà il contratto.

Il re ha messo in rilievo la necessità di far presto perché l’inizio dei lavori nelle miniere dei fosfati apporterà grandi benefici all’economica del paese.

Talal invece – data la sua assenza dal regno per vari mesi – ignora gli altri progetti in corso (saponificio, raffineria olio, ecc.), ed allora io gli ho brevemente accennato a tali nostre iniziative mettendogli in luce i vantaggi che ne deriverebbero alla Giordania ove arrivassero ad una realizzazione.

2) Il re è preoccupato della situazione internazionale. Al contrario di Abdallah che non credeva alla guerra, mi è sembrato che il nuovo sovrano fosse alquanto pessimista. Soprattutto quanto sta accadendo in Iran gli pare che possa essere causa di gravi complicazioni, specialmente per quanto concerne il M.O.

Infine il re mi ha detto tre cose:

a) che l’anno prossimo si recherà all’estero (si dice che andrà a Londra), e che nel corso del viaggio conta fermarsi da noi. «Ho visto Roma soltanto dall’alto venendo dalla Svizzera in aereo: è una bellissima città: spero visitarla presto», ha concluso;

b) che le relazioni fra in nostri due paesi devono essere sempre più strette, e che il presidente della Repubblica italiana deve essere sicuro che la Giordania sarà sempre l’amica dell’Italia, come lo è stata finora;

c) che io dovevo recarmi frequentemente da lui, come facevo col padre, perché desiderava continuare le tradizioni e le abitudini paterne.

Se Talal ricorda molto il padre nella figura, nei tratti del viso, nella nobiltà del porgere e dell’incedere, si differenzia da lui per il modo che ha nel discorrere.

Abdallah era brusco, agitato, parlava a scatti, movendo le mani, gli occhi, una ne diceva e cento ne pensava.

Talal invece – anche quando era principe ereditario – è sempre tranquillo, dolce, riflessivo.

Sono due temperamenti molto differenti, opposti addirittura, il che può spiegare perché non andavano d’accordo.

Altra cosa da porre in evidenza è la tendenza alla modernizzazione del paese di cui il nuovo re si vuol fare promotore, e di cui invece Abdallah non voleva neppure che se ne accennasse.

Molte riforme delle antiche abitudini sono, infatti, già in atto: ha abolito il baciamano, (il vecchio sovrano teneva moltissimo che i suoi sudditi ed i musulmani in genere gli baciassero la mano come discendente del Profeta); ha dispensato i notabili dal recarsi da lui in massa il venerdì per fargli il solito atto di omaggio; ha fatto partecipare giorni fa la regina, a viso scoperto benché musulmana, alla prima rivista a cui egli ha assistito; ha intenzione di abolire per le donne l’obbligo di velarsi il viso; si dice che vuol permettere l’apertura di dancings; ecc.

Ma la parte più importante verso cui si sta incamminando Talal è la riforma costituzionale.

Anticipando la modifica in parola che è ancora allo studio, il nuovo Parlamento ha già dato il suo voto di fiducia al Governo, ha eletto il proprio presidente il che finora era di esclusiva scelta regia, ha chiesto al Governo ed ottenuto la liberazione immediata di 53 persone inviate al confino per motivi politici, ecc.

Inoltre sembra che Talal voglia dare maggiore importanza ai suoi ministri. Con Abdallah chi comandava era lui; si interessava financo delle cose più piccole, interferiva in ogni questione, il che finiva per creare infiniti ostacoli ed inceppi nella macchina dello Stato. Il figlio invece pare che voglia riserbare alla sua decisione soltanto le grandi questioni.

Un punto ancora da porre in chiaro nella politica del nuovo re è il suo atteggiamento per quanto concerne i cristiani, cosa che a noi interessa in sommo grado come potenza cattolica e per la questione dei Luoghi Santi e dei nostri privilegi.

Su Talal correvano varie voci: anti-inglese, anti-cristiano, non ama gli stranieri, ecc.

Ora in Oriente non bisogna mai dar credito alla voci, pensando che un po’ di vero c’è sempre sotto ai «si dice». L’arabo è maestro nell’arte della insinuazione. E quindi poiché, vivente Abdallah, l’entourage di quest’ultimo voleva distruggere moralmente Talal, tutte queste voci erano inventate di sana pianta per rovinarlo di fronte all’opinione pubblica.

Come ho detto (a pag. 3 e seguenti dal mio n. 1516/648 del 19 sett.)1 mai – nella sua qualità di principe ereditario – Talal ha preso posizione di fronte ai cristiani o di fronte a qualsiasi problema politico, proprio perché il padre lo teneva sempre lontano dagli affari di Stato.

D’altra parte però il nuovo re non ha fatto ancora nessuna dichiarazione sul suo atteggiamento in materia di politica religiosa. Il che – mi sembra – sarebbe bene che avvenisse, anche per tagliar corto a possibili speculazioni.

Ne parlavo proprio l’altro giorno col vicario latino, il quale mi ha detto che sta organizzando una visita di S.B. il patriarca dal re, allo scopo di provocare una tale dichiarazione.

Comunque, come già segnalato in altra occasione (v. mio citato telespresso) il Governo giordanico è nettamente filo-cristiano, e ne ha dato la conferma nel recente caso di P. Hayath.


126 1 Non pubblicato.

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. segreto 9046/96. Roma, 1° ottobre 1951, ore 22,30.

Suo 1011.

Nel ringraziare codesto Governo prego informarlo sarebbe da noi particolarmente apprezzato se esso trovasse modo dare pubblicamente cordiale adesione dichiarazione tripartita senza attendere nostra comunicazione formale della medesima.


127 1 Del 28 settembre, il cui testo era il seguente: «Ambasciatori Stati Uniti Inghilterra e Francia hanno presentato Governo brasiliano testo dichiarazione sulla revisione nostro trattato. Mi risulta che Governo brasiliano ha assicurato sua adesione».

128

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI

T. segreto 9049/32. Roma, 1° ottobre 1951, ore 22,30.

Suoi 47-481.

Pregasi V.E. far comprendere costà che Dichiarazione tripartita troverà certamente adesione tutti i paesi firmatari incluso Brasile meno naturalmente paesi oltre cortina e che pertanto avrebbe risalto sfavorevole mancata adesione Messico.

V.E. può assicurare che Dichiarazione non è tale da modificare basi trattative per note questioni economiche particolari; anzi spontanea e sollecita adesione cotesto Governo senza attendere nostra comunicazione formale Dichiarazione stessa pur non pregiudicando interessi messicani migliorerebbe invece atmosfera amichevole nella quale trattative saranno proseguite e che progetto messicano su questioni pendenti sarà oggetto attento esame non appena pervenuto2.


128 1 Del 26 settembre, con il quale Petrucci aveva comunicato l’intenzione messicana di posticipare l’adesione alla Dichiarazione tripartita alla conclusione delle trattative economiche in corso (ved D. 62).


128 2 Con T. 12887/53 del 15 ottobre Petrucci riferì l’avvenuta adesione del Messico alla Dichiarazione tripartita e le spiegazioni fornite dal ministro degli esteri sul ritardo della stessa, dovuto esclusivamente all’assenza dal paese del presidente della Repubblica.

129

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,E A MOSCA, BROSIO

Telespr. 1771/c. segr. pol. Roma, 3 ottobre 1951.

Qui unito in copia si trasmette un documentato promemoria che è stato consegnato dal presidente del Consiglio ad Ottawa ai signori Morrison e Schuman e che ha formato oggetto di esame nelle recenti conversazioni italo-americane a Washington1.

Nel corso di tali conversazioni è stato convenuto che il Dipartimento di Stato avrebbe ulteriormente approfondito l’esame della questione col nostro osservatore all’O.N.U. in vista della azione da svolgersi alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Allegato A

Le Gouvernement italien a toujours été de l’avis que l’action qu’il a entreprise en vue de redresser la position internationale du pays, là où il était possible et juste de le faire, et d’éliminer les discriminations apportées par un traité de paix imposé en des circonstances politiques profondément différentes de celles d’aujourd’hui, devait viser trois objectifs principaux:

1) Une déclaration qui reconnaisse que le jugement exprimé dans le préambule du traité ne tiens pas compte du rôle joué par le peuple et le Gouvernement italien en renversant le fascisme et ne joignant ses forces à la lutte contre l’ennemi commun;

2) La suppression des limitations à l’armement de l’Italie et à sa production de materiel de guerre, limitations qui sont en contraste avec la position du pays en tant que signataire du Traité de l’Atlantique du Nord et les obbligations decoulant du Traité même;

3) Admission de l’Italie aux Nations Unies d’après l’engagement pris par les signataires du Traité de Paix.

Ces trois points constituent trois aspects different du même problème, qui est celui des discriminations dont l’Italie a été l’objet dans la période d’après la guerre. C’est seulement en réalisant ces trois aspirations dans leur ensemble et sur le même plan, que le Gouvernement italien aura le sentiment d’avoir interprété le sentiment profond et unanime de son peuple.

Il est inutile de rappeler ici que l’accès de l’Italie aux Nations Unies, ainsi que de nombreux autres pays démocratiques, a été barré jusqu’à maintenant par le véto sovietique. Bien que le Gouvernement italien n’ait pas de plus vif désir que de voir se réaliser l’admission des autres pays démocratiques injustement exclus en même temps que sa propre admission, il croit de devoir noter que la position de l’Italie est, à un point de vue technique différente de celle des autres pays. L’Assemblée a cru devoir interpréter jusqu’à maintenant l’art. 4 du Statut dans le sens qu’une recommandation favorable du Conseil de Securité, à savoir avec l’avis unanime de ses membres permanents, est une condition indispensable pour décider de l’admissione de nouveaux membres. Quoique on puisse penser de cette interprétation d’un texte qui est loin d’être clair, elle a été confirmé par un avis consultatif de la Court Internationale de Justice de la Haye emis le 3 mars 1950. Il est tout de même universellement admis que le vote négatif doit être basé catégoriquement et taxativement sur l’absence des conditions spécifiquement formulée à l’art. 4. Aucun autre motif n’est valable. Cette interprétation est confirmée par un avis consultatif de la même Court Internationale de Justice emis en date 28 mai 1948. Ors, le délégué sovietique a reconnu pleinement à plusieures reprises le droit de l’Italie d’être admise dans les Nations Unies, ce qu’il n’a jamais fait d’une façon explicite pour d’autres pays qui se trouvent dans les mêmes circonstances, tandis que pour quelques-uns d’entre eux il a positivement exprimé l’avis que ces pays ne remplissaient point les conditions de l’article 4. Le véto du délégué sovietique, au moins en ce qui concerne l’admission de l’Italie, est donc nul et illégal et justifie par là une action de la part de l’Assemblée Générale.

Dans le Mémorandum ci-joint les précedents de la question, les arguments juridiques et le plan pour une action visant à surmonter ces obstacles sont exposés d’une façon plus détaillée.

Allegato B

AIDE-MEMOIRE SUR L’ADMISSION DE L’ITALIE AUX NATIONS UNIES2

L’opposition que l’Union Soviétique a manifestée sans interruption dès 1947 dans le Conseil de Sécurité a empêché jusqu’à ajourd’hui l’admission de l’Italie aux Nations Unies. Les arguments utilisées par l’Union Soviétique comme justification de son attitude n’ont pas toutefois trouvé leur base sur la constatation que les trois conditions énoncées dans l’article 4 de la Charte n’existaient pas mais, bien au contraire, sur d’autres considérations d’ordre politique.

La délégation soviétique, en bref, a considéré son vote favorable à l’admission de l’Italie et des autres sept candidats non communists (Autriche, Finlande, Irlande, Portugal, Jordanie, Ceylon et Nepal) comme la condition pour l’admission contemporaine des cinq candidats communists (Albanie, Bulgarie, Mongolie Extérieure, Hongrie et Roumanie).

Toutefois le cas de l’admission de l’Italie, considéré dans ses propes termes, présente des caractéristiques particulières qu’on ne rencontre pas dans le cas des autres demandes d’admission. Deux éléments doivent être pris en consideration à ce sujet: le premier élemént est constitué par le “veto” soviétique et s’applique à tous les pays qui, jusqu’à présent, sont restés au dehors de l’Organisation des Nations Unies; le deuxième est constitué par la justification que l’Union Soviétique a donnée à son veto.

Il est vrai que, selon l’interpretation généralement acceptée, et qui a été réaffirmée par la Cour Internationale de Justice dans l’avis consultatif du 3 Mars 1950, pour admettre un Etat aux Nations Unies il est nécessaire une recommendation du Conseil de Sécurité adoptée conformément aux dispositions de la Charte qui règlent la votation du Conseil, c’est à dire une majorité qualifiée de sept voix et l’unanimité de cinq membres permanents. Mais il est vrai aussi que, selon une autre interpretation qui n’est pas moins authentique que la première et qui a été réaffirmée par la Cour Internationale de Justice dans l’avis consultatif du 28 Mai 1948, le veto d’un membre permanent du Conseil de Sécurité à l’admission d’un nouveau membre peut être justifié seulement avec l’absence d’une des conditions spécifiques fixées, d’une manière obligatoire et catégorique, par l’article 4 de la Charte.

L’avis consultative de la Cour International de Justice dit: «Un membre de l’Organisation des Nations Unies, appelé, en vertu de l’article 4 de la Charte, à se prononcer par son vote, soit au Conseil de Sécurité soit à l’Assemblée Générale, pour l’admission d’un Etat comme membre des Nations Unies, n’est pas juridiquement fondé à faire depéndre son consentement à cette admission de conditions non expréssement prévues au paragraphe I dudit article».

Le même avis consultatif affirme aussi que: «En particulier, un membre de l’Organisation ne peut, alors qu’il reconnaît que les conditions prevues par ce texte sont remplies par l’Etat en question, subordonner son vote affirmatif (à l’admission d’un nouveau membre) à la condition que, en même temps que l’Etat don’t il s’agit, d’autres Etats soient également admis comme membre des Nations Unies».

L’Italie se trouve dans une condition particulière à l’égard des autres sept candidats non communistes à cause du fait que, tandis que la délégation soviétique n’a jamais exprimé aucun jugement, où bien elle a exprimé un jugement défavorable sur les démandes d’admission presentées par les autres candidats (et ce jugement défavorable a été motivé sur la base des conditions de l’article 4 de la Charte), la même Délégation Sovietique, en ce qui concerne l’Italie, n’a jamais affirmé que l’Italie ne remplissait pas les conditions nécessaries pour être admise aux Nations Unies, mais, bien au contraire, elle a plusieurs fois déclaré que le Gouvernement de l’U.R.S.S. était, en principe, favorable à son admission.

Le délégué soviétique dans le Conseil de Sécurité, M. Gromyko a déclaré au cours de la séance du 29 Septembre 1947: «Le peuple et le Gouvernement italiens doivent savoir que l’U.R.S.S. appuie la demande d’admission dans l’Organisation des Nations Unies présentée par l’Italie. Cependant, ma delegation considère qu’une decision favorable ne peut être prise à l’égard de la demande de l’Italie que si celle-ci est prise simultanément avec les décisions favorables en ce qui concerne les demandes de la Bulgarie, de la Finlande, de la Hongrie et de la Roumanie».

Toujours Gromyko, dans la séance du 10 Avril 1948 du Conseil de Sécurité a affirmé: «Les italiens connaissent certainement l’attitude de l’U.R.S.S. à l’égard de l’admission de leur pays à l’Organisation des Nations Unies. Nous avons exposé notre attitude à plusieurs reprises, au cours des débats sur la demande d’admission de l’Italie. Je tiens à declarer une fois de plus que le Gouvernement de l’Union des Républiques socialistes soviétiques est en faveur de l’admission de l’Italie à l’Organisation des Nations Unies. Mais notre Gouvernement ne peut accepter que cette admission se fasse au détriment des droits légitimes de plusieurs autres Etats, qui se trouvent dans la même situation que l’Italie…».

Dernièrement le délegué soviétique au Conseil de Tutelle, M. Soldatow, au cours de la séance qui a eu lieu le 23 février 1951, lors de l’examen du problème posé par la participation de l’Italie aux travaux du Conseil de Tutelle, a declaré: «Le représentant du Royaume-Uni n’est pas fondé à imputer au veto de l’U.R.S.S. le fait que l’Italie n’a pas été admise à l’Organisation des Nations Unies… si l’Italie n’a pas encore été admise à l’Organisation des Nations Unies, la faute d’en est nullement à l’U.R.S.S., mais bien au bloc anglo-americain…».

Cette situation peut et doit être utilisée comme point de depart pour une action de l’Assemblée Générale visant à résoudre le problème de l’admission de l’Italie aux Nations Unies.

Le plan d’action purrait être envisagé de la façon suivante: l’Assemblée Générale constate d’abord que l’Italie, ainsi qu’il a été reconnu à plusieurs reprises et à l’unanimité par les cinq membres permanents du Conseil de Sécurité, remplit les conditions fixées d’une façon spécifique et obligatoire par l’article 4 de la Charte des Nations Unies; l’Assemblée Générale constate aussi que la délégation soviétique, en s’opposant à l’admission de l’Italie, a violé les dispositions de la Charte qui se referent a l’admission des nouveaux membres dans l’Organisation (article 4) ed n’a pas tenu compte de l’avis consultatif donné par la Cour Internationale de Justice le 28 Mai 1948; cela consideré, l’Assemblée, qui est l’organe le plus elevé, souverain et déliberatif, de l’Organisation et qui a la haute responsabilité d’assurer le respect et l’application de la Charte et de ses principes fondamentaux, ne peut pas admettre que la violation continuelle de la part de l’Union Soviétique des dispositions statutaires qui ont trait à l’admission de nouveaux membres, puisse annuler pratiquement un des principes inspirateurs de l’Organisation, à savoir que tous les Etats qui remplissent les conditions indiquées catégoriquement par la Charte de l’Organisation y soient admis (universalité qualifiée). L’Assemblée Générale, tout cela consideré, et à fin de porter remède à l’impasse dans laquelle se trouve le Conseil de Sécurité à cause de l’attitude de l’Union Soviétique, décide de procéder à l’examen direct de l’admission de l’Italie et de disposer definitivement de l’acceptation ou du refus de la demande que l’Italie a presentée dans ce but dès le 7 Mai 1947, à la majorité des deux tiers.

Cette action de la part de l’Assemblée Générale ne peut que se baser sur l’existence préalable d’une volonté politique des Trois Grands, qui n’a pas éxisté jusqu’à aujourd’hui, de sortir de l’impasse determiné par l’attitude soviétique dans le Conseil de Sécurité. C’est exactement cette volonté politique qui est la condition indispensable au succés du plan.

Toute une série d’initiatives realisées par l’Assemblée Générale pour détourner le veto (voir Annexe A) et qui démontrent une analogie très forte avec le problème de l’admission (voir réélection du Secrétaire Général) prouvent que l’action proposée ici peut être realisé pourvu qu’il existe les éléments qui sont manqués jusqu’à présent.

En effet si l’on examine les mesures adoptées dans le passé par l’Assemblée Générale dans le but de détourner le veto, on doit nécessairement conclure que deux conditions ont été indispensables et en même temps suffisantes au succès d’une telle initiative: d’un côté l’existence d’une unanimité solide en faveur d’une interpretation libre, mais logique, et constructive, de la Charte, de l’autre la constatation que le Conseil de Sécurité, à cause du sabotage et de l’attitude illégale de la délégation soviétique, avait manqué d’accomplir la tâche que la Charte lui avait confié.

Le deuxiéme de ces éléments existe incontestablement dans le cas de l’admission de l’Italie; le premier élément existe certainement à l’état potentiel et pourrai être renforcé et élargi davantage par une action efficace des amis de l’Italie dans l’Organisation des Nations Unies.

Annexe A

CAS DE DETOURNEMENT DU VETO

A) Réélection du Sécrétaire Général

L’article 97 de la Charte prescrit que le Sécrétaire Général doit être élu par l’Assemblée Générale sur la recommandation du Conseil de Securité, c’est à dire avec un procedure strictement analogue à celle qui doit être suivie pour l’admission des nouveaux membres. Le texte de la résolution adoptés par l’Assemblée Général au cours de sa première session est très clair à ce propos:

«D’après les dispositions des artiche 18 et 27 de la Charte il est clair que pour la nomination du Secrétaire Général de la part du Conseil de Securité une majorité de sept voix favorables sera nécessaire y compris les voix des cinq membres permanents et que, pour son élection de la part de l’Assemblée Générale, la majorité simple des membres présents et votants sera suffissante, à moins que l’Assembléé ne decide pas pour les deux tiers. Les mêmes dispositions s’appliquent pour la réélection; cela devra être bien clair…». Malgré les dispositions très claires de la Charte, et leur correcte interpretation par l’Assemblée Générale celle-ci, le 2 Novembre 1950, bien qu’elle était en présence d’un rapport du Conseil de Sécurité dans lequel on affirmait que le Conseil ne s’était pas mis d’accord sur aucun nominatif, a adopté une résolution qui a confirmé dans ces fonctions, pour une période de trois ans, Mr. Trygwe Lie; il est vrai qu’il s’agissait d’une prolongation de fonctions; néanmoins la lettre de la Charte et le texte de la resolution adoptée par l’Assemblée Générale dans sa première session ne pouvant faire surgir des doutes; on a dù recourir à une libre interpretation; dans le cas de l’admission de l’Italie on ne demanderait pas plus.

B) Union pour le maintien de la paix (Plan Acheson)

Le novembre dernier l’Assemblée a approuvé une resolution (Union pour le maintien de la paix) par laquelle on a transferé à la compétence de l’Assemblée Générale certains fonctions en matière de responsabilité pour le maintien de la paix et de la sécurité internationales, qui ressortent de la compétence spécifique du Conseil de Sécurité. La résolution prévoit dans le cas où le Conseil de Sécurité est empêché de fonctionner, la convocation d’urgence de l’Assemblée Général en session extraordinaire sur demande de sept membres quelconques du Conseil de Sécurité où bien de la majorité simple de l’Assemblée Générale, à fin d’examiner les menaces à la paix ou les actes d’agression et reconnait à l’Assemblée la compétence à inviter les Etats membres à adopter des mesures collectives de caractère militaire et économique.

Les délégations communistes qui dans cette occasion ont joué le rôle de tuteurs incorruptibles de la lettre de la Charte, ont soutenu que le paragraphe 2 de l’article 11 ne permettait pas de reconnaître à l’Assemblée Générale une compétence de ce genre car «l’Assemblée Générale – selon ce paragraphe – peut discuter toutes questions se rattachant au maintien de la paix et de la sécurité internationales», mais, «toutes questions de ce genre, qui appellent une action, sont renvoyées au Conseil de Sécurité par l’Assemblée Générale, avant ou après discussion».

Le délégué britannique, en soutenant la résolution, a expliqué que l’Assemblée Générale, en force de l’article 10 de la Charte («L’Assemblée Générale peut discuter toutes questions ou affaires rentrant dans le cadre de la présente Charte ou se rapportant aux pouvoirs et fonctions de l’un quelconque des organes prévus dans la présente Charte…») avait une faculté illimitée d’examiner, discuter et faire des recommandations sur n’importe quel argument et a affirmé que dans le cas où le Conseil de Sécurité n’accomplissait pas la tâche que la Charte lui avait confié d’une façon prééminente mais pas exclusive dans l’article 24 («Afin d’assurer l’action rapide et efficace de l’Organisation, ses Membres confèrent au Conseil de Sécurité la responsabilité principale du maintien de la paix et de la sécurité internationales…»), la limitation à la compétence de l’Assemblée Générale prévue par l’art. 11 paragraphe 2, ne devait pas s’appliquer.

La résolution «Union pour le maintien de la paix» n’a rencontré dans l’Assemblée Générale d’autre opposition que celle des cinq délégations communistes.

C) Sanctions à la Chine

Des discussions semblables ont eu lieu dans le mois de mai 1951 lorsque l’Assemblée Générale a approuvé l’application de sanctions collectives aux Territoires controlés par la Chine communiste et la Corée du Nord. Ces mésures, qui impliquent une «action», auraient du ressortir de la compétence spécifique du Conseil de Sécurité, selon les dispositions de l’art. 11, paragraphe 2, de la Charte.

D) Valeur de l’abstention ou de l’absence d’un membre permanent dans le Conseil de Sécurité

Toujours dans le but de détourner le veto, on a généralement admis dans le Conseil de Sécurité l’usage de ne pas reconnaître à l’abstention d’un membre permanent ou à son absence des séances du Conseil la possibilité de bloquer une recommandation de cet organe; cet usage est certainement une réinterpretation de l’art. 27 de la Charte qui, au paragraphe 3, prescrit que les décisions sur toutes questions qui n’ont pas de caractère procédurale seront prises «par un vote affirmatif de sept de ses membres dans lequel sont comprises les voix de tous les membres permanents».


129 1 Il promemoria, consegnato nella stessa occasione anche ad Acheson, è edito in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. II, The United Nations; The Western Hemisphere, Washington, United States Government Printing Office, 1979, pp. 335-341.


129 2 Estratto da un più ampio promemoria di Guidotti inviato a Gallarati Scotti con Telespr. 15448/188 del 4 ottobre.

130

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,[AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI]

Appunto1. Roma, 3 ottobre 1951.

Non ho letto ieri al Consiglio dei ministri il testo della richiesta (A e B)2; ma rileggendo la dichiarazione dei Tre a Washington3, molte obiezioni vennero espresse.

La prima: la Dichiarazione parla di problemi del trattato da risolvere. Se con ciò si intendono quelli che sono sospesi, l’unico importante è quello del T.L. Qualora si dovesse far propria la richiesta nel testo A o B, converrebbe in qualche documento annesso ricordare che il trattato fu imposto o subito e trovare modo di dire che le limitate domande di revisione non significano che tutto il resto del trattato sia ben accetto e giusto. Bisogna insomma evitare l’apparenza d’una richiesta a saldo; quindi trovare una formola di riserva, che eviti l’impressione di quietanza finale.

Del pari alcuni ministri sostennero che se nell’attuale momento lo stabilire fra la revisione e Trieste un nesso di concomitanza può essere, per le circostanze, pericoloso, tuttavia nel documento annesso converrà rifarsi alla Dichiarazione tripartita del ’484.

Da ricordare che nella conversazione di Washington rimase riservato il diritto di chiedere ai singoli Tre in via diplomatica alcune modificazioni procedurali per i problemi economici del trattato.

Prego di prendere atto di tali suggerimenti, di riflettere e poi di conferire.

Il testo A a me pare più riuscito5.

Allegato I

[IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,]AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 2 ottobre 1951.

Se si tratta di firmare, ne varietur, o la formula A o la formula B (quella più concisa), si suggerisce di escludere la prima per le seguenti considerazioni:

1) la formula A continua ancora una volta la già lunga serie delle scuse, spiegazioni e assicurazioni che noi diamo circa la nostra buona condotta in relazione agli impegni assunti.

La formula B esprime più succintamente gli stessi concetti e chiede che con i nuovi accordi previsti ci venga concesso quanto in pratica ci è stato promesso.

2) La formula A tende a provocare (par. 6) una nuova dichiarazione, un nuovo attestato di buona condotta da parte degli Alleati, preliminare ai nuovi accordi previsti.

Questa fase di continui attestati di buona condotta sembra debba essere decisamente superata.

La formula B evita questa nuova superflua dichiarazione, del resto implicita in ambodue le formule, perché entrambe prendono lo spunto dalla Dichiarazione tripartita del 26 settembre dove sono ampiamente illustrati i concetti di collaborazione, dello spirito della Carta delle Nazioni Unite, dell’ingiustificata esclusione dell’Italia all’O.N.U. e della partecipazione nostra alla comunità delle nazioni democratiche.

3) Per quanto le formule A e B siano, nella conclusione, identiche, quella A mette troppo in evidenza al principio che gli Alleati si sono preoccupati di togliere principalmente la clausola militare. La formula B, al principio, accenna allo spunto generale del trattato di pace, non più consono alla situazione prevalente oggi.

Quanto sopra si riferisce principalmente ai nostri interessi nel campo internazionale,

Ai fini invece della nostra politica interna, a prescindere dall’inconveniente di cui al n. 3, la formula A potrebbe forse riuscire più utile perché darebbe ancora risalto a vari risultati, invero encomiabili conseguiti in regime di democrazia e quindi dal Governo al potere.

Ciò premesso, mi permetto di fare un’ultima considerazione.

Non conoscendo i dettagli delle dichiarazioni penso che il ne varietur valga per la sostanza di quello che noi chiediamo; in altre parole valga a limitare e precisare le nostre richieste. Presumo che i Tre non vogliono imporci che noi si dia a noi stessi un attestato di buona condotta.

Se considerazioni di politica interna non sono determinanti in materia, penso che sarebbe assai più dignitoso, in vista dei relativi risultati conseguiti, di far dire al preambolo, uguale nelle due dichiarazioni e venire immediatamente alla parte conclusiva: la richiesta cioè di nuovi accordi.

Tutte le altre considerazioni accessorie storico-giuridiche, rimarrebbero comunque implicite nella formula che si vorrà scegliere, in quanto entrambe le dichiarazioni fanno, nel preambolo, esplicito riferimento alla dichiarazione del 26 settembre che le considerazioni stesse ampiamente illustrano.

Se poi si volesse sfrutare il risultato conseguito al fine della politica interna, mi domando se non si potrebbe ottenere una riunione in Italia dei rappresentanti dei 24 paesi firmatari e aderenti per la conclusione dei nuovi accordi previsti, invece che procedere per 24 vie diverse.

Gli italiani constaterebbero in quella occasione che il loro desiderio di riavere piena sovranità e di porre fine a restrizioni e discriminazioni varie appoggiate dalla gran parte dei firmatari e aderenti è ostacolato dai paesi di oltre cortina.

Allegato II

[Progetto di nota – Formula A]

I have the honor to refer to declarations repeatedly made by the Italian Government and to the declarations of September 26 made by the Governments of the United Kingdom, France and the United States, as well as to statements made by officials of other Governments regarding the anomaly created by the existence of the Italian Peace Treaty and the position which Italy occupies today. In fact the spirit reflected by the preamble no longer exists and has been replaced by the spirit of the United Nations’ Charter, certain political clauses are obsolete, and the military clauses are no longer consistent with Italy’s position as an equal member of the family of democratic and freedom-loving Nations.

It was contemplated by the Peace Treaty that Italy would be admitted to membership in the United Nations. The basic assumption was that universal adherence to principles of the United Nations’ Charter would assure the security of all the democratic family of Nations and therefore would also assure Italy’s status as an equal member of that family.

The above assumption on the basis of which the Italian Peace Treaty was negotiated, was signed, and was ratified has not been fulfilled. Even though the preamble of the Treaty contemplated that Italy would become a full member of the United Nations, Italy’s admission, although receiving on three occasions the support of the majority of member States voting in the General Assembly, has been prevented by unjustified vetoes in the Security Council on the four occasions when it was considered by that body. Therefore, the restrictions and discriminations, embodied in the Italian Peace Treaty, have remained in force.

Meanwhile, Italy has reestablished democratic institutions, participated in concert with other Nations in a number of international organizations working to establish peaceful and improved conditions on life for the peaple of the world and supports the efforts of the United Nations to maintain international peace and security. As far as the human rights provision of the Treaty are concerned, the Italian Government wishes to point out that not only is it the settled policy of the Italian Government to support the principles stated therein, but also that the Italian Constitution assures to all Italians the safeguards provided for in these provisions. In addition Italy fully supports the provisions on human rights and fundamental freedom contained in the United Nations’ Charter. As far as military clauses are concerned, since Italy has not been admitted into the United Nations, she is unable to avail herself of the procedure set forth by art. 45 of the Treaty, which provided means for revision of the military clauses by agreement between the Security Council and Italy.

In these circumstances, as it has been already stated, the spirit and certain restrictive provisions of the Peace Treaty no longer appear appropriate.

Italy, therefore, requests the Government of … and other signatories of the Peace Treaty to whom similar notes have been addressed to declare that the spirit reflected by the Preamble no longer accords with the situation prevailing today and has been replaced by the spirit of the United Nations’ Charter, that Articles 15-18 of the political clauses are no longer necessary and that the military clauses Articles 46-70 with the relevant Annexes are no longer consistent with Italy’s position among Nations.

Accordingly, the Italian Government proposes that all the signatories of the Treaty enter into new understandings with Italy on these matters and all signatories recognize that the spirit as reflected by the Preamble and Article 15 no longer exists, and waive Italy’s obligations to them under Articles 16 to 18 and Articles 46 to 70 with the relevant Annexes of the Italian Peace Treaty.

The Italian Government will appreciate confirmation from the Government of … of their concurrence in these proposals.

Allegato III

[Progetto di nota – Formula B]6

I have the honor to refer to declarations repeatedly made by the Italian Government and to the declaration of September 26 made by the Governments of the United Kingdom, France and the United States, as well as to statements made by officials of other Governments regarding the anomaly created by the existence of the Italian Peace Treaty and the position which Italy occupies today.

Italy’s status as an active and equal member of the democratic and freedom-loving family of nations has been universally recognized. The spirit of the Peace Treaty, therefore, no longer accords with the situation prevailing today.

It was contemplated by the Peace Treaty that Italy would be admitted to membership in the United Nations. The basic assumption was that universal adherence to the principles of the United Nations Charter would assure the security of all the democratic family of nations and therefore would also assure Italy’s status as an equal member of that family.

The above assumption on the basis of which the Italy Peace Treaty was negotiated, was signed, and was ratified has not been fulfilled. Even though the preamble of the Treaty contemplated that Italy would become a full member of the United Nations, Italy’s admission, although receiving on three occasions the support of the majority of member states voting in the General Assembly, has been prevented by unjustified vetoes in the Security Council on the four occasions when it was considered. Since Italy has not been admitted into the United Nations, she is unable to avail herself of the procedure set forth by Article 46 of the Treaty, which provided means for revision of the limitations on Italian armed forces by agreement between the Security Council and Italy. Therefore, the restrictions and discriminations, embodied in the Italian Peace Treaty, remained in force.

Meanwhile, Italy has reestablished democratic institutions, participates in concert with other nations in a numer of international organizations working to establish peaceful and improved conditions of life for the peoples of the world and supports the efforts of the United Nations to maintain international peace and security.

In these circumstances, as it has been already stated, the spirit and certain restrictive provisions of the Peace Treaty no longer appear to be appropriate.

Italy, therefore, proposes that the Government of … and other signatories of the Treaty, to whom similar notes have been addressed, enter into new understandings with Italy which will recognize that the spirit reflected by the Preamble no longer exists, and has been replaced by the spirit of the United Nations’ Charter, that the political clauses, Article 15-18, are no longer necessary and that the military clauses Articles 46-70, are no longer consistent with Italy’s position as an equal member of the democratic and freedom-loving family of nations.


130 1 Autografo.


130 2 Risponde alle osservazioni di Zoppi contenute nell’appunto del 2 ottobre (vedi Allegato I) relative ai progetti di nota per la richiesta di revisione del trattato di pace predisposti da parte statunitense a seguito degli accordi preliminari intercorsi durante le conversazioni di Washington (vedi D. 119). I due documenti, qui pubblicati in Allegato II e Allegato III, non erano acclusi al presente documento ma furono consegnati direttamente alla delegazione italiana presente alle suddette conversazioni.


130 3 Vedi D. 124.


130 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


130 5 Per il seguito vedi D. 136.


130 6 Formula prescelta con la richiesta di alcune modifiche, vedi D. 136.

131

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. 12451/79. Ottawa, 4 ottobre 1951, ore 18,29(perv. ore 7,45 del 5).

Lettera 22 settembre1 giunta 1° corrente. Intervenuto subito presso Pearson. Questi oggi ha cominciato conferenza stampa con speciale «dichiarazione» che il Governo canadese concorda dichiarazione tripartita revisione del trattato e che ogni nostro approccio sarà considerato simpatia. Egli ha inoltre richiamato espressamente precedente dichiarazione Patto atlantico Ottawa.

Mi risulta che odierna dichiarazione Pearson è stata approvata ieri sera da Consiglio dei ministri.

Trasmetto in chiaro con telegramma avente numero successivo2 riassunto comunicazione fatta giornalisti da questo ministro degli affari esteri. Informato con dettagli Ansa New York.

Dichiarazione sarà trasmessa rappresentanze diplomatiche canadesi.

Pearson e Governo saranno indubbiamente sensibili segno apprezzamento nostro Governo e commenti favorevoli stampa italiana «iniziativa».


131 1 Non rivenuta.


131 2 T. 12441/80, pari data, non pubblicato.

132

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 10632. Washington, 4 ottobre 1951(perv. il 7).

Nel riferire, per corredo degli atti ufficiali, in merito alla visita di V.E.1, mi asterrò dal descrivere la parte formale della visita stessa, già documentata ampiamente dalla stampa e dai comunicati. In proposito; mi basta ricordare che è stato accordato a V.E. ogni possibile onore, in un’atmosfera di calda simpatia e di deferente ammirazione, quale raramente si è qui vista nei riguardi di un capo di Governo straniero.

La visita mi sembra aver prodotto ogni possibile benefico effetto anche dal punto di vista dei problemi concreti, su ciascuno dei quali mi soffermerò il più brevemente possibile.

Revisione del trattato di pace. L’azione diplomatica italiana per la revisione del trattato di pace era stata impostata, nei mesi precedenti la visita di V.E., su due direttive principali: da un lato, annullamento dello spirito col quale il trattato era stato stipulato; dall’altro, abrogazione di talune sue clausole. Entrambe le direttive miravano non già a recuperare quel che l’Italia ha perduto di territori o d’altro (che ciò sarebbe stato, ovviamente, impossibile) bensì ad abolire ogni traccia delle discriminazioni, morali e pratiche, sancite contro l’Italia dal trattato. Alla revisione del trattato nel suo complesso si opponeva un ostacolo giuridico apparentemente insormontabile: la prevedibile resistenza di alcuni suoi firmatari, e principalmente dell’U.R.S.S., della Polonia e della Cecoslovacchia, senza voler contare la Jugoslavia anch’essa oppositrice per le ben note ragioni. All’abrogazione di clausole determinate si opponevano ostacoli politici, consistenti sopratutto nel fatto che le sole clausole, alla cui revisione fossero favorevoli le principali potenze occidentali, erano quelle militari, mentre l’Italia era giustamente restia alla abrogazione di esse soltanto.

Queste difficoltà sono state completamente superate. Per la parte giuridica, si è convenuto che il consenso della maggioranza (anziché della totalità) dei firmatari basta a liberare l’Italia degli obblighi impostile. Per la parte pratica, si è riconosciuta la necessità di abrogare non soltanto le clausole militari, ma anche quelle che imponevano all’Italia di rispondere della sua condotta politica ai paesi vincitori e che suonavano come una permanente condanna del popolo italiano.

Con ciò gli Stati Uniti, che fin da principio si erano tenacemente opposti ad una platonica dichiarazione, non seguita dalla revisione vera e propria, hanno avuto partita vinta ed hanno così reso all’Italia un inestimabile servizio.

Nell’incontro di Washington si è dunque concluso un accordo non soltanto sulla pubblicazione di una dichiarazione anglo-franco-americana, ma anche sulla procedura da seguire per la revisione. Tale procedura consiste in una richiesta italiana a tutti i firmatari, alla quale seguiranno espliciti accordi bilaterali sull’abrogazione di determinate clausole del trattato. Sarà cura degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia, oltre che dell’Italia, far sì che il maggior numero possibile di firmatari aderisca alla richiesta italiana.

Della richiesta italiana è stata già concordata la sostanza, con una sola riserva: quella concernente le clausole economiche. La riserva è stata sollevata da parte italiana ed è stata accolta da parte americana, subordinatamente all’assenso anglo-franco-americano sulla natura delle nostre pretese. È stato, cioè, stabilito che la nostra richiesta verterà anche sulle clausole economiche, soltanto se in proposito sarà raggiunto un preventivo accordo con i Governi americano, britannico e francese. Altrimenti, la richiesta conterrà soltanto gli argomenti previsti nel progetto di nota, che è stato qui sottoposto a V.E.

A quanto è risultato dalle conversazioni di Washington la possibilità di raggiungere siffatto accordo dipende dalla natura delle clausole di cui chiederemo la revisione. Se pensassimo di ottenere nel campo economico quel che non abbiamo ottenuto né chiesto nel campo politico (cioè la restituzione di ciò che abbiamo perduto: riparazioni, indennizzi, ecc.) non vi sarebbe nessuna speranza di intesa. Abbiamo, invece, buone possibilità di successo se ci limitiamo, anche nel campo economico, all’abrogazione delle clausole che pongono l’Italia in condizioni di permanente inferiorità. Di tali clausole, ne ricordo una, a titolo di esempio: quella che omette di fissare un termine alla presentazione delle pretese verso l’Italia. Non so se ne esistano altre, che si prestino ad essere abrogate in base allo stesso principio (quella relativa alle Commissioni di conciliazione mi sembra difficilmente trattabile, in mancanza di una efficace legislazione interna italiana, su cui le potenze firmatarie possano fiduciosamente appoggiarsi).

Oltre alla questione delle clausole conomiche, resta da definire quella della forma (cioè del testo preciso) da darsi alla richiesta italiana. In proposito, avendo già ricevuto un progetto anglo-franco-americano, siamo impegnati a presentare una controproposta e siamo interessati a presentarla molto presto, anche perché, a quanto apprendo dalla stampa, diversi paesi hanno già preso lo spunto dalla Dichiarazione tripartita2, per manifestarci le loro disposizioni favorevoli alla revisione.

Su questa questione, la visita di V.E., a Washington ha dunque avuto pieno successo. Essa ha coronato felicemente i lunghi sforzi del suo Governo, intesi a ricollocare l’Italia su un piede di perfetta parità con le altre nazioni democratiche e pacifiche.

Trieste. Malgrado la diversa impressione, imposta all’opinione pubblica italiana da certe malconsigliate polemiche, l’atteggiamento americano nella questione di Trieste è sempre stato rettilineo.

Gli Stati Uniti mantengono il convincimento, espresso nella Dichiarazione del 19483, che il Territorio Libero debba essere restituito all’Italia. D’altra parte non possono (e non potevano neppure prima che la Jugoslavia si staccasse dall’U.R.S.S.) tradurre questo convincimento in un’azione pratica, tale da strappare la Zona B, alla Jugoslavia. Auspicano, pertanto, un accordo diretto fra Roma e Belgrado.

In queste condizioni, l’Italia non può (né poteva mai) sperare in altro che nel rimanere libera di scegliere fra il mantenimento dell’attuale regime provvisorio ed un accordo tale da modificare soltanto i margini riconosciuti slavi del Territorio Libero e particolarmente della Zona B. In altre parole l’Italia può pretendere soltanto di non essere sottoposta a pressioni, tendenti a farle accettare un accordo, che si discosti dal principio etnico.

Quando V.E. stava per partire da Roma, si profilava la minaccia di una duplice e forte, quantunque indiretta, pressione. In primo luogo, si subordinava il rinvio delle elezioni all’apertura di trattative con la Jugoslavia. In secondo luogo, meno esplicitamente ma altrettanto chiaramente, si subordinava alla stessa condizione la revisione del trattato di pace.

Questa minaccia è stata pienamente sventata. Malgrado che questa ambasciata non avesse fornito al Governo americano nessuna assicurazione circa l’apertura di trattative (della qual cosa il Dipartimento di Stato le ha dato esplicitamente atto) le elezioni sono state rinviate. Il rinvio, teoricamente, è stato di due mesi. Peraltro, il Governo americano, al termine della visita di V.E., ha fatto chiaramente intendere a quello britannico di non desiderare che si facciano a Trieste preparativi per elezioni a breve scadenza. Inoltre, a Washington è caduta ogni connessione fra la revisione del trattato di pace e la questione di Trieste.

C’è di più. Durante la permanenza di V.E., il Governo americano si è impegnato a confermare a quello jugoslavo il suo convincimento che la soluzione del problema di Trieste possa essere trovata soltanto sulla base etnica. Pertanto le pressioni (se di pressioni si può parlare) vengono esercitate non già sull’Italia bensì sulla Jugoslavia.

In queste condizioni il Governo italiano affronta le trattative con la Jugoslavia, alle quali si dichiara liberamente disposto, nelle migliori condizioni possibili: cioè sapendo che, se non potrà concluderle sulla base da esso stesso indicata, non riceverà alcuna pressione per concluderle su base diversa; e sapendo che, in proposito, non sarà lasciata alla Jugoslavia alcuna illusione.

Non credo che V.E. avrebbe potuto ottenere a Washington un risultato migliore.

Ammissione dell’Italia all’O.N.U. Su questa questione, V.E. ha presentato a Washington una proposta precisa4. Non era possibile che in proposito il Governo americano si pronunciasse immediatamente. Esso peraltro ha promesso di studiarla, malgrado la prima impressione di perplessità circa la sua attuabilità pratica, nonché di rinnovare, anche indipendentemente da essa; ogni sforzo per ottenere che l’Italia sia ammessa all’O.N.U.

È mia impressione che, in merito all’ammissione dell’Italia all’O.N.U., il Governo americano si trovi oggi nella posizione in cui si trovava sei mesi fa rispetto alla revisione del trattato di pace; sa che qualche cosa deve essere fatta, ma non riesce ancora a vedere precisamente cosa possa farsi. Approfondirà, pertanto, i suoi studi e, soprattutto, consulterà gli altri paesi favorevolmente disposti verso l’Italia. La questione, in ogni modo, non sarà lasciata languire, ma agitata con vigore ad ogni possibile occasione favorevole.

Situazione politica generale. La visita di V.E. ha permesso di constatare un sostanziale accordo nella valutazione della situazione politica generale. È mancato il tempo (e, forse, la preparazione), per approfondire le discussioni in proposito. Tuttavia nessun contrasto è affiorato sui vari argomenti trattati: collaborazione europea, Germania, Spagna, Vicino e Medio Oriente, ecc.

Questioni economiche. Riferirò a parte sulle questioni economiche, le quali, prima e durante la visita di V.E., sono state qui trattate anche dai ministri Pella e La Malfa e dal segretario generale del C.I.R.

Lo stadio attuale dei lavori del Congresso non permetteva che da parte americana fossero assunti impegni precisi circa l’ammontare degli aiuti da accordare all’Italia nel corrente anno finanziario. Tuttavia, durante la visita di V.E. sono stati confermati alcuni punti essenziali della collaborazione italo-americana in materia economico-finanziaria.

In primo luogo, il Governo americano ha ribadito il suo apprezzamento per la politica finanziaria seguita dal Governo italiano e per gli sforzi già fatti nel campo del riarmo, nonché la promessa di non far mancare all’Italia gli aiuti che le occorrono per intensificare la sua azione nell’immediato futuro.

In secondo luogo V.E. ha ottenuto seri affidamenti circa un nuovo orientamento americano, favorevole al collocamento di importanti commesse negli altri paesi del Patto atlantico, e, in particolare, dell’Italia. È questo, un orientamento manifestatosi solo di recente, e pertanto alquanto vago, ma che promette buoni sviluppi per l’avvenire.

In terzo luogo la questione della sovrapopolazione italiana è stata trattata al più alto «livello» e su di essa sono state ottenute assicurazioni di interessamento concreto sul piano della cooperazione internazionale.

Al di fuori, ed al di sopra, delle conclusioni raggiunte sulle singole questioni, il viaggio di V.E. ha avuto primaria importanza dal punto di vista politico generale.

Il presidente del Consiglio italiano si è presentato a Washington, forte dei risultati conseguiti dalla sua politica nel corso di molti anni burrascosi. Si è presentato come il capo di un Governo che, erede di una situazione fallimentare e minacciato al tempo stesso dalla rovina finanziaria e dalla rivoluzione comunista, ha ricostruito e difeso le istituzioni democratiche del paese ed ha, con l’aiuto degli Stati Uniti, posto l’economia italiana sulla via del risanamento. Queste credenziali, morali e politiche, sono state pienamente riconosciute dal Governo americano. Ad esse si deve l’unanime attestazione di stima e di deferenza, che V.E. ha qui raccolto.

D’altra parte, il presidente del Consiglio italiano si è presentato a Washington in un momento in cui le esigenze del riarmo, quantunque inderogabili, minacciano di compromettere i risultati fin qui ottenuti. Ha quindi dovuto sottolineare fermamente che l’Italia non può addossarsi i nuovi oneri, imposti dalla difesa della pace, senza sentirsi moralmente sostenuta nel suo sforzo, mediante una soddisfacente soluzione dei suoi problemi di politica internazionale, e senza che le siano accordate da parte americana adeguate garanzie di assistenza economica.

L’una e l’altra cosa sono state esplicitamente promesse, e, per la parte politica, hanno avuto un inizio sostanziale di applicazione, con le decisioni adottate per la revisione del trattato di pace. Inoltre il discorso pronunciato dal presidente Truman all’inaugurazione delle statue del Memorial Bridge5 contiene spunti preziosi per lo sviluppo della futura politica americana nei riguardi dell’Italia. Di tali spunti tengono ora il massimo conto gli uffici che studiano i nostri problemi.

Pertanto, la visita di V.E. a Washington costituisce un punto di partenza assai più che un punto di arrivo. È un punto di partenza per gli Stati Uniti, che debbono vedervi l’inizio di una più stretta collaborazione con l’Italia e di una più alta partecipazione italiana alla cooperazione internazionale. È un punto di partenza per l’Italia che deve trarne la forza per affrontare i suoi problemi interni con visione più ampia e con più ferma energia, al fine di portarsi all’altezza della funzione alla quale, giustamente, aspira di essere chiamata nel mondo libero.


132 1 Vedi D. 119.


132 2 Vedi D. 124.


132 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


132 4 Vedi D. 129.


132 5 Si tratta del discorso pronunciato da Truman il 26 settembre durante la cerimonia per lo scoprimento dei gruppi statuari equestri sull’Arlington Memorial Bridge donati dall’Italia, edito in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 40, pp. 773-774.

133

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 2025. New York, 5 ottobre 19511.

Vorrei fare il punto sulla questione della nostra ammissione alle Nazioni Unite. Naturalmente il quadro è ancora tutt’altro che completo; per ora bisogna contentarsi di disporre nel modo più coerente possibile gli elementi, non tutti coerenti, che possiamo considerare già acquisiti.

La prima cosa da notare è che il problema è stato letteralmente «risuscitato» dai colloqui di V.E. a Ottawa e a Washington. Voglio dire che la questione, prima di questi incontri, si era gradatamente ristretta ad una aspirazione platonica da parte nostra, una simpatia altrettanto e più platonica da parte dei nostri amici. Persino l’opposizione degli avversari era in un certo senso platonica, tanto il problema appariva definitivamente classificato e accantonato. Oggi, l’impasse può essere altrettanto difficile che ieri; quello che c’è di nuovo, però, è che questa impasse è divenuta un problema che bisogna abbordare, non un ostacolo che basta contemplare con facile rassegnazione. Questo mutamento, che considero per il momento il più importante, era anche il più necessario; perché, come ho già scritto e riscritto, l’immobilità e l’inerzia erano e sono in questa materia più pericolose che qualsiasi ostacolo.

Quali sono gli elementi principali della nuova situazione? Abbiamo da una parte la Dichiarazione tripartita con la sua forte formula di impegno ad aiutarci, abbiamo il comunicato di Washington2 e le dichiarazioni di Truman3. Mi è stato detto che in conferenza l’atteggiamento americano era piuttosto negativo. Se ciò vuol dire che agli americani e agli altri farebbe molto piacere di vedere l’Italia nell’O.N.U. ma che non hanno intenzioni di fare per noi più di quel pochissimo che hanno fatto per il passato, allora confesso che non capisco più il linguaggio diplomatico. Di questo platonico desiderio fanno già fede, e la dichiarazione di Potsdam e il trattato di pace; la nuova dichiarazione, le parole del comunicato e quelle di Truman bisogna pure, per far senso e se fanno senso, che significhino qualcosa di nuovo, che rappresentino un passo in avanti sulla posizione di Potsdam e del trattato. Che almeno Schuman, dei tre grandi, la intenda così risulta evidente dal colloquio sul quale ha riferito ieri l’ambasciatore Quaroni4; e aggiungo che così la intendono anche le delegazioni amiche con le quali ho avuto occasione di parlarne in questi giorni. Ora è chiaro, che se questa è l’interpretazione degli altri, a maggiore e più forte ragione deve essere la nostra. Con questo voglio dire che, qualunque sia l’animus degli americani, e anche se veramente è molto negativo, è nostro elementare interesse, ed è norma di elementare tecnica diplomatica, ignorare l’animus negativo e tenersi invece alla lettera positiva dei documenti. Ammettiamo pure che questi nel loro insieme non siano più di una seconda dichiarazione in tutto simile a quella del 20 marzo 1948 per Trieste che apparentemente ha lasciato le cose al punto di prima ed è stata poi fonte di grandi amarezze e di delusioni senza fine. In realtà quel documento, come giustamente osserva l’ambasciatore Quaroni, salvò Trieste, che era perduta, per l’Italia; la nostra insistenza per la sua piena e letterale esecuzione può aver creato una situazione difficile ma ha, almeno, sinora impedito un riconoscimento diplomatico formale della perdita della Zona B. Il risultato di un eventuale negoziato con gli jugoslavi, se per altri versi fosse accettabile, ci darebbe poco, ma sempre qualcosa di più della semplice Zona A.

Ma in realtà la dichiarazione odierna, specialmente se messa in relazione con le parole del presidente, è più impegnativa di quella per Trieste. Invece di enunciare semplicemente un punto di vista, ed annunciare che questo punto di vista sarà sottoposto alla Russia, le tre grandi potenze prendono come punto di partenza l’irriducibile opposizione sovietica ed è da questa posizione che si parla di «determinazione», e di «sforzi» diretti ad «assicurare» l’ammissione dell’Italia. Non mi sembra che si possa, o almeno non mi sembra che si debba, leggere in questi testi semplicemente il desiderio che la Russia si ravveda.

Proseguendo nell’esame della nuova situazione; abbiamo dall’altro lato, coincidendo nel tempo ma in buona parte indipendente dai documenti di Washington, il cosidetto piano Belaunde. Trattandosi di argomento tecnico sul quale mi è necessario avere il parere del nostro Contenzioso, ne riferisco a parte. Qui basta prenderlo in considerazione come un elemento del gioco. Belaunde potrebbe essere domani presidente dell’Assemblea generale, (è un autorevole candidato, e il suo progetto è in buona parte una manovra elettorale). In questo caso sarebbe in grado di fare molto bene e molto male per la nostra causa, e le possibili interferenze del suo progetto con il nostro, o con qualsiasi altro che possa essere concordato con le grandi potenze, dovranno essere studiate con attenzione.

In breve, il piano può essere così riassunto. L’art. 4 dello Statuto dice che possono divenire membri dell’O.N.U. quegli Stati che, «a giudizio dell’Organizzazione» posseggano certi requisiti. L’argomento è tutto nelle parole messe tra virgolette. Egli sostiene: se vi deve essere un giudizio dell’Organizzazione come tale, questo vuol dire che il semplice veto di uno Stato membro non è sufficiente a escludere un candidato. Infatti: o il veto è basato su altre ragioni che sulla mancanza dei requisiti di cui all’art. 4; oppure è basato sull’asserita mancanza di quei requisiti. Nell’un caso come nell’altro, l’unico criterio ammissibile essendo il possesso o meno dei requisiti, il candidato deve avere il diritto di sottoporre al «giudizio dell’Organizzazione» le prove della sua capacità giuridica e politica a entrare nell’O.N.U. Naturalmente il giudizio può essere dato soltanto dall’Assemblea, dove non c’è veto.

Sin qui tutto relativamente bene, sempre a patto che le grandi potenze siano disposte a seguire Belaunde su una strada che porterebbe inevitabilmente a istituire in piena Assemblea dei chiassosi «esami» politici per i quattordici esclusi, tra i quali gli occidentali sarebbero sicuri di essere tutti promossi con la lode, gli altri tutti bocciati senza possibilità di dare esami di riparazione.

Senonché Belaunde non ha avuto neppure il coraggio di andare sino in fondo al suo ragionamento, e invece di istituire l’Assemblea giudice e attrice al tempo stesso, il suo piano prevede che l’Assemblea decida non di passare senz’altro al giudizio delle prove, ma di chiedere alla Corte di giustizia se può farlo. Ora su questa strada vedo ancora maggiori difficoltà che nella cosa in sé stessa. La Corte, sull’art. 4, ha già detto in realtà tutto quello che poteva dire. Ha detto che un veto non basato sull’assenza dei requisiti votati dallo Statuto è nullo e invalido; ma ha detto anche, purtroppo, che l’Assemblea non ha il diritto di decidere da sola sull’ammissione dei candidati e che ci vuole anche la raccomandazione del Consiglio di sicurezza. Come si può chiederle ora di contraddirsi e di sostenere il contrario di quello che ha sostenuto sinora? Belaunde dice che può benissimo farlo, se il quesito che le verrà posto sarà convenientemente formulato e, suppongo che pensi privatamente, se la Corte sarà opportunamente «lavorata». Può darsi, ma il tentativo è estremamente rischioso, un nuovo diniego della Corte non lascerebbe le cose come stanno, le lascerebbe naturalmente molto peggio di prima. Ho scritto una lunga lettera a Belaunde che è in viaggio per Parigi, ma per il momento si trova a Lisbona, per esporgli queste obiezioni.

Comunque teniamo presente: 1) gli americani per ora sono contrati al piano Belaunde (un delegato ha detto che per far entrare l’Italia ci vuole ben altro, e che stanno studiando una formula); 2) il piano è però già stato ufficialmente presentato e iscritto all’ordine del giorno dell’Assemblea (mio telegramma n. 177)5; 3) se Belaunde dovesse essere eletto presidente dell’Assemblea potrebbe evidentemente fare molto per la presentazione del suo piano, anche se osteggiato dalle grandi potenze; 4) a noi non conviene di scartarlo a priori, non foss’altro perché ci può servire come pungolo ai riluttanti o come un’alternativa sempre aperta, anche se non ideale, se gli altri non vogliono far nulla.

Passo infine alle idee che Schuman ha espresso all’ambasciatore Quaroni. Non sono sicuro di averle ben capite (la proposta di scambiare l’Italia contro un satellite più pregiato degli altri immagino non sia più di una boutade, è in ogni modo completamente fuori della realtà), ma ne traggo la constatazione consolante che Schuman è ben deciso, per parte sua, a rimettere la questione alla Assemblea. Questa è la premessa di tutto, e su questa, evidentemente, dobbiamo appoggiare tutta la nostra azione.

Mi consenta ora V.E. di concludere. Abbiamo un documento diplomatico che impegna le grandi potenze a «fare ogni sforzo», abbiamo i francesi decisi a «fare qualcosa», i latino-americani, come al solito, compatti dietro di noi, gli inglesi probabilmente contrati, gli americani, o tiepidi, o perplessi, o contrari. La lotta sarà lunga, aspra, e incerta. Può darsi benissimo, ad esempio, che non si ottenga nulla in questa Assemblea. Ma a mio avviso possiamo e dobbiamo vincere la nostra battaglia a condizione che il Governo si mostri deciso a mantenere la questione sul piano politico sul quale la Dichiarazione tripartita e l’azione di V.E. a Washington l’hanno posta. Voglio dire con questo che è necessaria un’azione di Governo e sul piano di Governo; la semplice azione diplomatica corrente, come quella che io vado svolgendo e ancora più svolgerò a Parigi, sarebbe del tutto insufficiente. Su questo punto è bene non farsi la minima illusione.

Il nostro memorandum6, se non altro, ha conseguito questo primo effetto: ha fornito la prova che il veto russo all’Italia è stato nullo ed invalido. Facendo perno ad un tempo su questa constatazione e sull’impegno trapartito dobbiamo premere sulle grandi potenze perché producano una formula e la discutano con noi. Questa è la prima fase. La seconda infinitamente più facile se la prima ha successo, consisterà nel raccogliere dietro a questa formula il massimo dei consensi. È l’azione che dovremo svolgere a Parigi, e contemporaneamente in tutte le capitali interessate.

Vedo dai giornali italiani che le nostre prospettive di successo vengono presentate con il più grande ottimismo. Lo interpreto come una conferma di ciò di cui non ho mai dubitato e cioè che l’argomento ha grande ripercussione sulla nostra opinione pubblica ed ha perciò un valore notevole in termini di politica interna, forse maggiore che la revisione del trattato. Questo linguaggio della nostra stampa può anche essere utile, sino a un certo punto, se sfruttato sul terreno diplomatico come una prova che l’opinione pubblica è compatta dietro al Governo italiano nella sua azione; per altri versi, è superfluo dirlo, ha l’inconveniente di creare in Italia delle aspettative che la situazione di oggi, ancora, non giustifica.


133 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


133 2 Vedi DD. 124 e 119.


133 3 Vedi D. 132, nota 5.


133 4 Non pubblicato.


133 5 Del 4 ottobre, non pubblicato.


133 6 Vedi D. 129.

134

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 10750. Washington, 8 ottobre 1951(perv. il 14).

Riferimento: Mio telegramma 1042 del 28 settembre u.s.1.

Il rinvio, praticamente sine die, delle elezioni amministrative nella Zona A del Territorio Libero di Trieste costituisce indubbiamente il primo tangibile risultato dell’azione qui svolta da V.E. circa la questione di Trieste. Mi risulta che anche i nostri amici del Dipartimento di Stato interpretano in tal senso la recente decisione del generale Winterton.

Mi risulta altresì che, subito dopo le conversazioni con V.E., Acheson ha impartito istruzioni agli uffici perché si informassero gli inglesi, nel modo più chiaro e preciso, del desiderio americano di evitare ulteriori scosse alla situazione triestina ed in particolare quelle che sarebbero inevitabilmente derivate da eventuali, prossime elezioni.

Ho avuto cura di accertare se il Dipartimento di Stato avesse approfittato della presenza di Velebit negli Stati Uniti per far pervenire, anche per tale tramite, al Governo jugoslavo l’esortazione americana a risolvere, tenendo realisticamente conto della posizione italiana, la questione di Trieste. Mi risulta che ciò è stato fatto e che il Dipartimento di Stato ha ricevuto da Velebit la stessa impressione che Acheson aveva ricevuto da Popović: cioè che gli jugoslavi comincino a considerare la situazione con maggiore realismo che in passato. (In particolare, Velebit non ha fatto alcun tentativo di impostare il problema sulla base dell’assegnazione delle due Zone rispettivamente all’Italia e alla Jugoslavia).

Circa il tramite e la sede delle auspicate trattative il Dipartimento di Stato non ha formulato nessun suggerimento. Ho, peraltro, l’impressione che esso sconsigli di aprire le trattative negli Stati Uniti. Ho chiesto quando si preveda che Velebit sarà a Roma. Mi è stato detto che, a quanto sembra, egli pensa di essere costà verso la metà di novembre.


134 1 Non pubblicato.

135

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI1AL MINISTRO SFORZA

L. Parigi, 8 ottobre 1951.

Leggo sul Monde di oggi il riassunto di un suo articolo, pubblicato in Italia, sul pool aereo. Questo mi fa pensare, con gioia, che ella si sia già soddisfacentemente ristabilita e stia riprendendo la sua attività politica. Mi permetto quindi di informarla sugli sviluppi dell’esercito europeo, essendomene finora astenuto per non importunarla durante la sua malattia.

La questione dell’esercito europeo ha fatto, almeno per quel che riguarda la posizione dell’Italia, considerevoli progressi, dall’ultima volta che venni a vederla.

Tornato a Parigi mi resi conto che, se non volevamo essere praticamente obbligati a continuare a lavorare sulla base del noto Rapporto interinale, che le altre delegazioni avevano nelle grandi linee approvato e che per noi invece non era integralmente accettabile, era necessario da parte nostra di presentare immediatamente delle proposte concrete, in altre parole un nostro progetto.

Sulle direttive datemi dall’onorevole Taviani, ho preparato un progetto di Memorandum (per cui ho avuto anche la utilissima collaborazione di Sforzino) che ho portato a Roma per sottoporlo al Ministero. Con qualche modifica, non di sostanza, il Memorandum è stato approvato e nell’ultima riunione del Comitato di direzione ne ho esposto le idee principali. Ora è arrivato l’onorevole Lombardo e se ne inizierà quanto prima la discussione in Conferenza.

Invio a V.E. una copia di questo Memorandum. Vedrà che la posizione da noi presa è molto conforme ai suoi desideri. È una impostazione seriamente e francamente europea del problema, che appunto solo sul piano europeo può trovare una soluzione.

È ancora presto per poter dire quali siano le reazioni delle altre delegazioni alla nostra presa di posizione; il nostro coraggioso punto di vista ha un po’ sorpreso e impressionato, ma da parte di alcuni e in particolare degli americani vi sono stati dei primi accenni assai favorevoli. Alphand mi ha detto che concorda con noi sulla necessità di dare alla Assemblea dell’esercito europeo uno sviluppo e una autorità adeguata al suo compito che è evidentemente importantissimo.

Sul fronte del Consiglio europeo non c’è molto di nuovo. La riunione del Comitato dei ministri non avrà luogo prima di dicembre o gennaio. E quindi ella avrà tutto il tempo di rimettersi, se vi volesse intervenire.

Allegato

Promemoria2. Parigi, 8 ottobre 1951.

La Délégation italienne a été informée que les Délégations allemande, belge, française et luxembourgeoise, au cours de la séance du Comité de Direction du 3 septembre dernier, à laquelle elle n’a pu prendre part pour les motifs qui ont été expliqués à ce moment-là, ont fait savoir que leurs Gouvernements, tout en se réservant d’exprimer une décision définitive sur l’ensemble du projet à une phase ultérieure, leur avaient donné des instructions pour continuer le travail de la Conférence sur la base du premier Rapport intérimaire, base considérés, en principe, comme satisfaisante.

Le Gouvernement italien a examiné, de son côté, le Rapport intérimaire avec la plus grande attention et tient à rendre hommage à cette importante contribution à l’étude et à la solution d’un problème aussi vaste et aussi complexe que celui de la création d’une Communauté européenne de la Défense.

Toutefois le Gouvernement italien ne saurait accepter intégralement les principes indiqués dans le Rapport intérimaire, et croit nécessaire, soit de formuler quelques observations, soit d’avancer de nouvelles propositions qui pourraient, à son avis, aboutir à des résultats plus complets sans toutefois préjuger la rapidité des travaux.

D’un point de vue général, la Délégation italienne observe que la Communauté européenne de la Défense, tout en présentant certains aspects qui la rapprochent de la Communauté européenne du Charbon et de l’Acier, diffère de celle-ci sur des points très importants; en effet, il ne semble pas possible d’appliquer, par analogie, à la Communauté européenne de la Défense, toutes les solutions auxquelles on est parvenu pour l’organisation de la Communauté du Charbon et de l’Acier.

Le Gouvernement italien, ayant soigneusement examiné la question, s’est aussi rendu compte que, toujours d’un point de vue général, certains problèmes de caractère économique et financier qui se posent pour la Communauté de la Défense, ne peuvent trouver leur solution que dans le cadre d’une organisation dont le caractère supranational et, disons le mot, confédératif, serait suffisamment développé.

C’est pour cette raison que la Délégation italienne sera amenée, au cours des prochains travaux, à prendre une position précise ayant pour but l’intégration de l’organisation des Pays membres dans un sens confédératif. Ce n’est en effet – on le verra – que dans une étroite association que les problèmes fondamentaux de la finance, sont susceptibles de trouver leur solution.

Abordant l’étude du problème dans ses détails, la Délégation italienne doit déclarer que son Gouvernement n’est pas en misure d’accepter, tel qu’il est envisagé dans le Rapport intérimaire, le système concernant la formulation et l’approbation du budget européen.

A vrai dire, toutes les Délégations avaient, au cours des précédents travaux, manifesté quelques doutes sur le système proposé dans le Rapport intérimaire. Ce probème est certainement d’une difficulté très considérable. C’est d’ailleurs sur la matière financière en particulier – plus que sur toutes autres – que les Délégations, dans le Rapport intérimaire, ont attiré l’attention des Gouvernements et ont sollicité leurs instructions.

En relation à cette réserve formelle, la Délégation italienne croit de son devoir d’indiquer ci-après certains inconvénients qui découleraient du système financier envisagé par le Rapport intérimaire. La Délégation italienne tient à souligner qu’il ne s’agit pas là d’inconvénients concernant seulement la position de l’Italie, mais au contraire de difficultés qui seraient également partagées par tous les membres de la Communauté et par l’Organisation elle-même. En effet, même si les Gouvernements, par un effort de bonne volonté, acceptaient un Traité basé sur ce système, ce même Traité, très probablement, ne serait pas ratifié par les Parlements Nationaux et n’aurait partant aucun résultat pratique.

Le système en question présente, de l’avis de la Délégation italienne, les inconvénients suivants:

a) il est tout à fait contraire à l’esprit de la responsabilité et aux règles fondamentales du système parlementaire. Les Parlements se verraient en effet obligés d’approuver des dépenses les yeux fermés, car ils seraient responsables du montant de la dépense, c’est-à-dire des lourdes charges que ce montant représente pour les contribuables, sans pouvoir exercer aucun contrôle détaillé.

Chaque année les Parlements seraient obligés de renoncer à une partie de leur souveraineté et – ce qui plus est – de manière toujours différente, puisque ce serait en fonction de la somme requise par le Commissaire, variable d’année en année, sans être à même d’évaluer d’une manière directe et sûre le bien fondé des différentes demandes annuelles.

b) au cas où un Parlement ne serait pas disposé à accepter la part des dépenses prévue pour son Pays, et déjà approuvée par son Ministre au sein du Comité de Ministres, toute l’organisation se trouverait en crise. Étant donné que pour le système de répartition des frais entre les Pays membres le principe envisagé par le Rapport est celui des pourcentages, l’attitude d’un des Parlements déterminerait l’attitude des autres, bloquant ainsi la contribution même de ceux qui seraient prêts à payer.

La Délégation italienne estime qu’au lieu d’une renonciation partielle et chaque année renouvelée de la souveraineté nationale et des attributions parlementaires, il faudrait demander aux Parlements Nationaux une fois pour toutes, une charge ayant un caractère définitif et constitutionnel. Ce système aurait l’avantage d’éliminer, une fois le Traité ratifié, toutes responsabilités des Parlements en ce qui concerne soit la gestion des fonds alloués au budget européen, soit leur montant. Les Parlements renonceraient ainsi à s’intéresser d’une tranche fixée à l’avance des ressources nationales et cette tranche serait administrée dans sa totalité sur un plan européen par les organismes spéciaux de la Communauté.

Il s’agit donc d’établir dans le Traité que la contribution de chaque Pays au budget européen soit constituée par un montant correspondant aux possibilités de chaque Pays et de l’adapter à celles-ci automatiquement, d’année en année, au fur et à mesure qu’elles varient.

Plusieurs formules pourraient être envisagées dans ce but.

Par exemple:

1) la contribution de chaque Pays serait calculée d’après un pourcentage à établir sur son budget national total;

2) la contribution de chaque Pays serait calculée d’après un pourcentage à établir sur ses recettes fiscales annuelles;

3) la contribution serait calculée sur la base d’un pourcentage à établir sur le revenu national moyen par habitant de chaque Pays, avec un système équitablement progressif;

4) ou enfin la contribution serait calculée en adoptant un impôt européen de la défense, à exiger directement de chaque citoyen.

Quelle que soit la formule qui sera adoptée, le Gouvernement italien estime qu’elle devrait assurer une équitable répartition des charges financières de façon à consentir un effect maximum en rapport aux possibilités économiques des contribuables. A cet égard le Gouvernement italien estime que les principes dont au rapport du Bureau Economique Financier du N.A.T.O. adopté par le Conseil Atlantique à Ottawa, constitue la base la plus utile de discussion, aussi en vue des étroits liens qui doivent relier la Communauté européenne de Défenne au N.A.T.O.

La Délégation italienne reconnaît qu’une renonciation à la souveraineté, comme celle prévue ci-dessus, ne pourrait être effectuée par les Gouvernements, ni acceptée par les Parlements Nationaux, sans créer en contre-partie, sur le plan fédéral, un organisme auquel seraient confiés les pouvoirs dont les Assemblées Nationales se déssaisiraient et qui auraient l’autorité de les exercer au même titre que les Parlements Nationaux.

En effet le projet envisagé dans le Rapport intérimaire prévoit un Commissaire qui exercerait le pouvoir exécutif, mais qui ne serait pas appuyé par un pouvoir législatif européen.

L’organisme jouissant de tels pouvoirs devrait être, selon la Délégation italienne, l’Assemblée Européenne. Cette Assemblée devrait remplacer les Assemblées Nationales dans le domaine de la Défense, et exercer sur le plan européen la partie du pouvoir souverain qui n’appartiendrait plus aux Etats Membres.

Pour permettre à l’Assemblée d’accomplir cette tâche, il est évidemment nécessaire qu’elle jouisse d’un très grand prestige et d’une très grande autorité; en un mot, qu’elle soit vraiment représentative.

Pour cette raison la Délégation italienne croit devoir proposer que l’on envisage, dès à présent, que l’Assemblée de la Communauté pour la Défense soit composée de représentants directement élus par suffrage universel.

Toutefois l’extrême urgence de l’organisation de la Défense commune ne permettra pas d’attendre, pour créer la Communauté Européenne de la Défense, que soit convoquées une Assemblée élue à suffrage universel, car cette convocation exige l’élaboration préalable d’une loi électorale appropriée ainsi que la préparation et l’organisation des élections.

Par conséquent, comme il est prévu pour les autres organismes de la Communauté Européenne de la Défense, on pourrait envisager aussi pour l’Assemblée une solution transitoire; l’Assemblée Européenne pourrait être formée au début par des représentants élues par les Parlements Nationaux. L’Assemblée ainsi formés aurait aussi la tâche de préparer la convocation de l’Assemblée définitive, élue par les suffrages des peuples européens.

Une Assemblée élue par le suffrage universel européen pourrait aisément exercer d’amples pouvoirs de contrôle politique sur le budget européen et sur toute la gestion du Commissaire. Le Commissaire serait responsable vis-à-vis de l’Assemblée dans la même mesure qu’un Ministre est responsable vis-à-vis d’une Assemblée Nationale. L’Assemblée devrait avoir tous les moyens pour suivre même dans les détails l’administration du Commissaire, en formant des Commissions et à l’aide d’interpellations et de votes.

L’Assemblée pourrait naturellement, comme il est également prévu dans le Rapport intérimaire, provoquer par une motion de blâme la révocation du Commissaire. Mais ce pouvoir de l’Assemblée devrait être intégré par un autre pouvoir qui en serait le complément logique: l’Assemblée devrait avoir aussi le droit de nommer le Commissaire. Il n’est pas, en effet, entièrement logique que le Commissaire puisse être révoqué, comme il est proposé dans le Rapport intérimaire, par une autorité qui ne l’a pas nommé, tandis que l’autorité qui l’a nommé (le Conseil de Ministres) n’aurait pas ce pouvoir; il y a là une contradiction évidente.

L’élection du Commissaire par l’Assemblée pourrait avoir lieu sur proposition du Présidentde cette dernière, après consultation et sur avis du Conseil de Ministres.

Les attributions de l’Assemblée qui seraient d’abord limitées à la nomination du Commissaire, à sa révocation et au contrôle de sa gestion, devraient être, par la suite, si l’expérience le conseillera, élargies. Par example, l’Assemblée pourrait être autorisée, le moment venu, à établir une loi fiscale européenne pour les impôts de la défense; elle devrait aussi pouvoir donner son avis sur les questions concernant la loi sur le recrutement et les plans de production de l’armement. Mais il s’agit là de mesures à prendre au fur et à mesure qu’elles apparaîtront opportunes.


135 1 Membro supplente della delegazione italiana alla Conferenza per la C.E.D.


135 2 Distribuito alle delegazioni presenti alla Conferenza per l’organizzazione dell’esercito europeo e trasmesso (Telespr. 22/2543 del 13 ottobre) alle ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington ed alle legazioni a Copenaghen, L’Aja, Lussemburgo ed Oslo.

136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 9248/510. Roma, 9 ottobre 1951, ore 14,15.

In relazione accordi costì presi, prego informare State Department che nota prescelta per richiesta revisione trattato è quella di cui formula B1 (dico B) che si rinvia ad ogni buon fine in copia, a conferma, con corriere aereo.

Si prega far presente State Department che nota non (dico non) conterrà, al quarto capoverso, la parola «negotiated» essendo ovvio che Governo italiano non possa affermare che trattato è stato «negoziato» con Italia.

Si propone inoltre di sostituire, nell’ultimo capoverso, all’espressione «le clausole politiche non sono più necessarie» e «le clausole militari non sono più compatibili, etc.», quella «le clausole politiche non sono necessarie» e «le clausole militari non sono compatibili etc.»2.


136 1 Vedi D. 130, Allegato III.


136 2 Con T. s.n.d. 12747/1077 dell’11 ottobre Tarchiani rispose: «… Non appena pervenuto, esso sarà qui discusso collegialmente (Dipartimento, questa ambasciata, ambasciate Francia Gran Bretagna) come controproposta italiana senza menzionare a francesi e inglesi conversazioni e intese preliminari che hanno qui avuto luogo in proposito durante visita V.E. Per altro, in base a tali intese, accettazione americana nostro testo (compresi emendamenti di cui a sopra citato telegramma V.E.) è virtualmente assicurata». Vedi D. 177.

137

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 5182/2961. Londra, 9 ottobre 1951(perv. il 12).

Ho avuto oggi occasione di incontrarmi con Brilej dopo un lungo periodo durante il quale i contatti con lui erano stati praticamente interrotti.

Al primo accenno fattomi da Brilej al problema del T.L.T., ho osservato che non avevo alcuna possibilità di entrare in argomento con lui, poiché non avevo istruzioni da Roma e non ero neppure informato degli ultimi sviluppi della situazione. Ma egli ha desiderato egualmente espormi la situazione così come gli risulta dagli ultimi contatti avuti a Belgrado, da dove è da poco rientrato. Brilej anzi intendeva darmi «in forma non ufficiale la spiegazione di quelle che erano le posizioni ufficiali jugoslave sulla questione».

«Qualche mese fa ci lasciammo – egli ha detto – su due domande: la mia era quella di sapere quali fossero le reali intenzioni del Governo italiano nei riguardi di possibili trattative con la Jugoslavia; la vostra di sapere quali fossero le reali intenzioni del Governo jugoslavo riguardo alla linea etnica (mi riferisco in proposito al mio rapporto n. 2206/1220 del 24 aprile 1951)1.

Oggi con la riserva di ufficiosità sopra enunciata, sono in grado di rispondere alla vostra domanda: il Governo jugoslavo è giunto ad ammettere che una ragionevole linea etnica possa formare la base di discussioni fra Roma e Belgrado. Con questa ammissione esso intende superare, beninteso, il proprio irrigidimento sulle posizioni originarie che erano quella della Zona A all’Italia contro la Zona B alla Jugoslavia. Naturalmente se Belgrado ha fatto questo sacrificio, è necessario che Roma, da parte sua, non si irrigidisca sulla Dichiarazione tripartita. Con questa prospettiva (che Brilej ha detto essere la terza via ammessa da Kardelj e, ho aggiunto io, l’originaria proposta di Sforza nel discorso di Milano2) si viene a creare una situazione nuova che dovrebbe offrire la possibilità di un compromesso sulla controversa questione del T.L.T.

Per il momento, ha concluso Brilej, non mi consta che vi sia alcun contatto, né esplorativo né ufficiale, tra i due Governi su questo argomento; ma so che un tale contatto è vivamente desiderato tanto da Washington che da Londra. Per parte nostra siamo pronti in qualsiasi momento ad aprire le conversazioni: tocca ora al Governo italiano, se lo desidera, di corrispondere ai propositi jugoslavi sia in via ufficiale, sia in via non ufficiale o in via esplorativa; ovunque e comunque lo ritenga più utile».

Riferisco quanto precede a V.E. sottolineando che da parte mia mi sono astenuto dal manifestare alcun segno di condiscendenza o ricezione alle aperture di Brilej.


137 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 375.


137 2 Dell’8 aprile 1950, edito in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.

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IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 1500/1069. Londra, 9 ottobre 1951(perv. il 12).

Per documentazione riassumo brevemente, qui di seguito, come si sono svolti i lavori del Consiglio atlantico nella sessione tenutasi ad Ottawa dal 15 al 21 settembre 1951. Le specifiche questioni trattate e le decisioni prese fanno infatti oggetto di separati rapporti.

Il 15 settembre scorso, alle 12.30, si è iniziata negli edifici del Parlamento di Ottawa la VII Sessione del Consiglio atlantico, con la partecipazione dei ministri degli affari esteri, della difesa e delle finanze dei 12 paesi N.A.T.O.

La seduta inaugurale pubblica ha avuto luogo nell’aula parlamentare ed è stata aperta dal primo ministro del Canada, signor St. Laurent, che ha rivolto ai ministri colà convenuti un indirizzo augurale e di benvenuto.

Ha quindi preso la parola il presidente del Consiglio atlantico, signor Van Zeeland, ministro degli affari esteri del Belgio, il quale, dopo avere ringraziato il primo ministro canadese, ha dichiarato aperta la sessione del consiglio. Dopo di che la seduta pubblica ha preso termine.

Al momento di approvare l’agenda il signor Acheson ha dichiarato che il suo Governo annetteva grande importanza all’articolo 6 dell’ordine del giorno (futuri sviluppi del N.A.T.O. nelle materie non militari) ed ha suggerito pertanto che tale argomento venisse discusso subito dopo il punto 3 e che venisse istituito un Comitato di studio con il compito di riferire al Consiglio.

Punto III dell’agenda. Scambi di vista sulla situazione mondiale.

Secondo la procedura, proposta dal Consiglio dei sostituti, i ministri degli affari esteri hanno fatto delle dichiarazioni di carattere generale sulla situazione mondiale. I seguenti ministri hanno preso la parola nell’ordine: Pearson, Canada; Kraft, Danimarca; Schuman, Francia; Morrison, Gran Bretagna; Acheson, Stati Uniti; Lange, Norvegia; Cunha, Portogallo; De Gasperi, Italia.

Gli specifici argomenti toccati dai vari oratori sono stati soprattutto i seguenti tre: Germania, Corea e Medio Oriente.

Quanto al problema tedesco, cui in particolare il ministro Morrison ha dedicato vasta parte della sua esposizione, riferendo sulle trattative che si sono svolte tra gli Alti Commissari delle potenze occupanti e i rappresentanti della Repubblica federale tedesca, nonché sui rapporti fra tali conversazioni e la Conferenza di Parigi sull’esercito europeo, il Consiglio ha deciso che nella prossima riunione di Roma discuterà a fondo la questione della partecipazione della Germania alla difesa dell’Europa occidentale in connessione con quello della creazione dell’esercito europeo, dato che lo stadio di avanzamento dei due problemi non consente ancora di farlo. In linea generale sulla base delle dichiarazioni fatte possono essere dedotte le seguenti considerazioni:

1) La presente tensione mondiale è nata dal rifiuto dell’Unione Sovietica e dei satelliti di procedere a trattative per una pacifica soluzione del problema. Questo atteggiamento svela la intima natura del sistema comunista che si propone obiettivi a lunga scadenza, cercando di evitare per quanto possibile aggressioni armate e che è suscettibile di pronto adattamento al mutamento di circostanze contingenti.

2) Il sistema sovietico tende con un processo di penetrazione politica e propagandistico, altrettanto pericoloso quanto l’aggressione armata, a infiltrarsi nelle democrazie occidentali cosicché appare palese la necessità di mantenere elevato e di migliorare il livello di vita dei popoli occidentali in modo da evitare condizioni economiche che favoriscano tale processo.

3) Il pericolo di aggressione armata continuerà a permanere fino a quando il potenziale militare dei paesi atlantici non avrà raggiunto quello del blocco orientale ed anzi il pericolo sarà tanto maggiore quanto più la distanza tra i due si andrà riducendo. Concetto questo che finora non era mai stati apertamente espresso.

4) Poiché il supremo scopo che il mondo occidentale si prefigge è il mantenimento della pace, dovrà sempre essere presa in esame ogni possibilità di procedere a negoziati e tenuta presente la necessità di evitare misure che possano essere considerate provocatorie dai sovietici. I paesi occidentali non debbono mostrare segni di debolezza che potrebbero avere pericolose conseguenze e pertanto è auspicabile che Governi e Parlamenti procedano rapidamente nella esecuzione delle decisioni internazionalmente adottate e che i piani militari vengano rapidamente tradotti in atto in modo da poter far fronte ad ogni improvvisa emergenza.

5) I pericoli derivanti dalla situazione presente non debbono essere tenuti nascosti alle pubbliche opinioni dei paesi N.A.T.O. Inoltre la conoscenza del progresso del riarmo in corso va considerato come un fattore positivo di fronte al morale delle pubbliche opinioni.

Le dichiarazioni del presidente De Gasperi sono qui allegate nella versione francese (all. A)1.

Punto VI. Discussione sulle attività del N.A.T.O.

Tali attività hanno fatto oggetto dei rapporti presentati dallo Standing Group, dal Defence Production Board, dal Financial Economic Board e dal Consiglio dei sostituti. Nel riferire, gli organi predetti hano preso in esame i lavori compiuti e le decisioni raggiunte nel periodo intercorso fra il Consiglio atlantico di Bruxelles e quello di Ottawa. Ai suddetti rapporti è da aggiungere un rapporto fatto da Spofford, nella sua qualità di presidente del Consiglio dei sostituti.

Come in precedenza riferito, il rapporto dello Standing Group (la cui presentazione al Consiglio atlantico venne decisa all’ultimo momento) così come i rapporti del D.P.B. e del F.E.B. sono stati presentati, a causa della scarsezza del tempo, direttamente al Consiglio atlantico, senza che fossero stati sottoposti alla previa approvazione del Consiglio dei sostituti, come deciso in un primo tempo.

Dopo un’ampia discussione il Consiglio atlantico ha esaminato ed approvato un progetto di risoluzione con cui, in relazione anche ai rapporti presentati alla settima sessione del Consiglio dalle Agenzie del N.A.T.O., il Comitato militare veniva richiesto di includere nel rapporto che presenterà alla prossima riunione del Consiglio un raffronto fra le forze e il potenziale del N.A.T.O. e le forze e il potenziale del Blocco sovietico nel momento attuale e nel prossimo futuro, nonché di avanzare proposte per la riorganizzazione della struttura militare del N.A.T.O.

La risoluzione prevedeva inoltre che da parte sua il Consiglio dei sostituti avrebbe dovuto fare al tempo stesso un raffronto simile nel campo industriale ed economico. Il Consiglio dei sostituti è peraltro ritornato sulla questione e, come ho riferito, ha deciso di affidare allo Standing Group anche la redazione del documento concernente il potenziamento economico ed industriale del Blocco sovietico affinché i due aspetti, e cioè quello industriale-economico e quello militare, del medesimo problema vengano armonizzati e coordinati in un solo documento.

Per quanto concerne il Defence Production Board, è da notare che esso è stato invitato, nell’esaminare i progressi di difesa, a tenersi al corrente dei progressi compiuti da ciascun paese nel piazzamento di ordini di produzioni e nelle consegne di materiali finiti, nonché esplorare e sviluppare i mezzi atti ad ottenere l’integrazione dei programmi di produzione per la difesa, adottati dai paesi membri.

Parimenti il F.E.B. è stato richiesto, nell’analizzare gli sforzi finanziari ed economici relativi alla difesa di ciascuno dei Governi membri e degli stessi nel loro insieme, di tenersi al corrente dell’attuale esecuzione dei programmi finanziari e di bilancio e specialmente degli impegni presi e dei pagamenti effettuati.

Punto V. Ammissione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico.

Nelle riunioni del Consiglio tenute in data 18 settembre, si è avuto un primo esame della questione relativa all’ammissione della Grecia e della Turchia con dichiarazioni americana, inglese, francese ed italiana apertamente favorevoli all’ingresso puro e semplice della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico quali membri di pieno diritto. È stato anche fatto cenno alla seconda alternativa, e cioè la formazione di un Patto mediterraneo, di cui si sono messi in vista i vantaggi e gli inconvenienti. Infine tutti i rappresentanti, ad eccezione di quello della Danimarca, si sono trovati d’accordo (in parte per convinzione, in parte per uniformarsi al volere della maggioranza e ottenere così l’unanimità), sulla opportunità che alla Grecia e alla Turchia venga rivolto invito a partecipare al Patto.

Avendo il ministro degli affari esteri danese, signor Kraft, fatto presente la necessità di consultare il suo Governo prima di aderire alla decisione del Consiglio, la discussione del punto V venne rinviata di qualche giorno, in modo da dar tempo al rappresentante danese di procedere a tale consultazione.

Il presidente del Consiglio atlantico, rispondendo ad un’obiezione del ministro degli affari esteri di Olanda, signor Stikker, ha infine assicurato che ogni intesa avente carattere politico o anche soltanto attinenza all’aspetto politico del problema avrebbe dovuto essere discussa o dal Consiglio dei sostituti o da altro organo competente, escludendo così la possibilità che intese a carattere militare potessero intervenire singolarmente con greci e con turchi senza che gli organi del N.A.T.O., e pertanto tutti i membri del Patto, ne fossero al corrente e potessero intervenire nelle trattative.

L’ammissione della Grecia e della Turchia tornò quindi ad essere oggetto di discussione nella seduta del giorno 20. In tale occasione il ministro Kraft dichiarò, riprendendo il motivo già espresso dal rappresentante norvegese, che il suo Governo era in favore dell’ammissione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico, purché l’ingresso di questi due paesi avvenisse su di un piede di perfetta uguaglianza tanto per quanto concerneva gli obblighi quanto i diritti. Il ministro Kraft aggiunse inoltre che il suo Governo subordinava tale ammissione alla condizione che delle soddisfacenti intese per i Comandi venissero raggiunte.

In seguito all’adesione danese il Consiglio atlantico approvò una risoluzione nella quale, preso nota della proposta di ammettere Grecia e Turchia al Patto atlantico, nella convinzione che la sicurezza dei paesi del N.A.T.O. ne sarebbe stata migliorata, e riconosciuta la possibilità di apportare degli emendamenti al Patto, raccomandava:

1) che ciascun Governo prendesse tutte le misure necessarie per procedere all’invito da rimettere alla Grecia e alla Turchia e che quindi notificasse al Governo degli Stati Uniti il suo consenso: e che pertanto Grecia e Turchia divenissero membri del Patto alla data di deposito dei rispettivi strumenti di accessione presso il Governo degli Stati Uniti;

2) che al momento del deposito dello strumento di accessione della Turchia entrasse in vigore un’opportuna modifica dell’art. VI del trattato.

Avendo inoltre convenuto che tali scopi si sarebbero potuti raggiungere nel migliore dei modi attraverso un protocollo aggiuntivo, il Consiglio ha raccomandato che tale protocollo, di cui venne presentato un progetto nel testo inglese e francese, venga redatto e firmato quanto prima possibile dai membri del Consiglio dei sostituti, debitamente autorizzati dai rispettivi Governi.

Tale protocollo, la cui redazione definitiva non è stata ancora compiuta, si compone di 4 articoli. Nel primo si prevede che al momento dell’entrata in vigore del protocollo stesso il Governo degli Stati Uniti per conto di tutti i membri del Patto trasmetterà l’invito alla Grecia e alla Turchia di accedere al Patto atlantico. A seguito di tale invito, la Turchia e la Grecia diverranno membri del Patto atlantico a partire dalla data del deposito dei rispettivi strumenti di accessione presso il Governo degli Stati Uniti.

Per l’art. II del protocollo, qualora la Turchia divenga membro del Patto atlantico, l’art. 6 del trattato verrà modificato nel senso di includere, ai fini dell’art. 5, il territorio nazionale turco in quell’area nel cui ambito un attacco armato mette in moto il meccaniscmo difensivo previsto dal Patto.

L’art. III prevede che il protocollo entrerà in vigore quando tutti i membri del Patto avranno depositato presso il Governo degli Stati Uniti gli strumenti di ratifica.

L’art. IV stabilisce che il protocollo nel suo testo inglese e francese, egualmente autentici, venga depositato presso gli archivi del Governo degli Stati Uniti.

Punto VI. Futuri sviluppi del N.A.T.O. in materie diverse dai piani militari.

Su proposta del signor Acheson, il Consiglio ha deciso di formare un Comitato con il compito di riferire al Consiglio sulle possibilità di sviluppo del N.A.T.O. in campi diversi dai piani di difesa. Tale Comitato, a seguito delle decisioni del Consiglio, è risultato composto dai rappresentanti del Belgio, del Canada, dell’Italia, della Norvegia e dei Paesi Bassi, con la partecipazione inoltre del presidente del Consiglio dei sostituti, signor Spofford, come membro di diritto.

I termini di mandato del Comitato sono i seguenti:

a) consultare gli altri membri del Consiglio in conformità ai desideri del Consiglio stesso e alle esigenze dei lavori del Comitato;

b) sottomettere un primo rapporto al Consiglio durante la sessione di Ottawa;

c) continuare i lavori nell’intervallo tra le Conferenze di Ottawa e di Roma, in modo da poter prendere delle decisioni o da dare delle direttive al momento della riunione di Roma;

d) orientare i suoi lavori secondo i punti di vista espressi dai ministri durante le discussioni e tenere presenti due obiettivi: evitare duplicazione del lavoro degli organi già esistenti e sforzarsi, principalmente, di trovare soluzioni pratiche ed obiettive.

I lavori del Comitato hanno dato come risultato una dichiarazione, che è stata resa nota al termine della sessione, ed un documento che servirà di base per i futuri lavori del Comitato a cinque.

Nella prima vengono messi in rilievo gli scopi dell’Alleanza atlantica e l’intendimento di giungere ad una più stretta collaborazione diretta a rinforzare la comunità atlantica. Tutti gli ostacoli che si frappongono ad una simile cooperazione su di un piano di eguaglianza dovranno essere rimossi (conformemente alle dichiarazioni del presidente De Gasperi che hanno provocato tale precisazione – all. B)2. Dal verbale delle sedute risulta che tale frase si riferisce alla necessità unanimamente riconosciuta di rimuovere gli ostacoli costituiti dalla esistenza del trattato di pace con l’Italia che impedisce a quest’ultima di partecipare al Patto atlantico su di un piede di piena eguaglianza con gli altri Stati membri.

La dichiarazione mette inoltre in rilievo la inutilità dei tentativi volti a dividere i popoli della comunità atlantica e al tempo stesso la intenzione di questi ultimi di non rigettare mai offerte sincere di distensione e sottolinea particolarmente il contenuto dell’art. 2 del trattato che si riferisce allo sviluppo delle pacifiche relazioni internazionali.

Sulla base del documento presentato dal Comitato, nell’intento di sviluppare i legami esistenti tra i membri della comunità atlantica, il Consiglio ha approvato che il Comitato si applichi a studiare, assistito dal Consiglio dei sostituti, le seguenti questioni, sulle quali dovrà presentare delle raccomandazioni al Consiglio stesso:

a) Coordinamento e consultazioni frequenti fra i paesi membri sulle questioni di politica estera, tenendo particolarmente conto delle misure suscettibili di promuovere la pace.

b) Cooperazione economica, finanziaria e sociale più stretta nell’ambito dell’organizzazione N.A.T.O. o a mezzo di altri organismi.

Punto VII. Rapporto dei paesi membri sullo stato dello sforzo di difesa.

Su proposta del ministro Shinwell, i ministri della difesa si sono riuniti in comitato ristretto per studiare i rapporti presentati da ciascun paese relativi allo sforzo di difesa, e per far quindi un rapporto dei lavori al Consiglio atlantico, riunito in seduta plenaria.

A seguito della riunione del comitato, il col. De Greef presidente del Consiglio dei ministri della difesa, ha raccomandato al Consiglio atlantico:

1) di trasmettere i rapporti sullo sforzo difensivo dei paesi N.A.T.O. allo Standing Group e al comitato dei rappresentanti militari perché vengano da questi inoltrati a S.H.A.P.E. e agli altri comandi del N.A.T.O.;

2) di domandare allo Standing Group di dare a S.H.A.P.E. e agli altri comandi del N.A.T.O. le seguenti istruzioni:

a) sottoporre al comitato militare, in vista della prossima riunione di Roma, il proprio apprezzamento sullo stato di preparazione e di efficacia delle forze contribuite o riservate per il N.A.T.O. e che a loro giudizio potrebbero essere immediatamente disponibili in caso di conflitto;

b) proporre le misure militari da prendere per migliorare la immediata disponibilità delle forze armate.

Le raccomandazioni di cui sopra, assieme ad una terza raccomandazione (che il gen. Eisenhower partecipi alla riunione di Roma, apportandovi il suo contributo personale), sono state adottate dal Consiglio atlantico.

Punto VIII. Piani di difesa del Nord Atlantico – Proposte per un’azione coordinata delle agenzie del N.A.T.O. particolarmente in preparazione della riunione di ottobre del Consiglio atlantico.

Questo punto dell’Agenda è stato studiato da un comitato ristretto dei ministri i cui lavori hanno portato alla redazione di un documento contenente la istituzione ed i termini di mandato del Temporary Council Committee, la cui prima riunione è prevista a Parigi il 9 corrente.

Il comitato, di cui fanno parte tutti i paesi alleati, ha, quale compito specifico, l’analisi delle questioni poste dalla necessità di conciliare le esigenze della sicurezza esterna e le possibilità reali politico-economiche dei paesi membri. Si tratta, come dice la risoluzione, di studiare l’utilizzazione più efficace delle risorse dei paesi del Patto, per la creazione di forze difensive adeguate, su basi economiche sane. Compito, come si vede, essenziale per uscire urgentemente dalla stasi che i problemi economico-finanziari avevano imposto negli ultimi tempi allo sviluppo dei piani dell’Alleanza. La risoluzione prevede che il comitato prepari un rapporto provvisorio per la prossima riunione del Consiglio atlantico e completi quindi la sua analisi e comunichi le sue conclusioni al Consiglio, non oltre il 1° dicembre 1951.

Punto IX. Varie.

Sotto questo punto dell’Agenda, il Consiglio atlantico ha preso nota dell’accordo raggiunto in seno al Consiglio dei sostituti sulla ripartizione delle spese di talune infrastrutture (aeroporti e telecomunicazioni) del settore centrale S.H.A.P.E.

È stato inoltre deciso che la prossima riunione ordinaria del Consiglio atlantico sarà tenuta a Roma alla fine del mese di novembre, presumibilmente il 24 od il 26.

Punto X. Comunicato stampa.

Il Consiglio atlantico ha approvato il comunicato stampa preparato da un apposito gruppo di lavoro, e di cui allego il testo.

L’organizzazione e la sistemazione degli uffici provveduti dal Governo canadese non potevano essere migliori e l’ospitalità più generosa. I servizi di sicurezza molto severi ed efficienti.

Mi consenta infine V.E. di chiudere questa breve rassegna segnalando l’opera dei funzionari e degli impiegati addetti alla delegazione i quali hanno adempiuto con senso di dovere, ed in modo particolarmente efficiente e lodevole, al loro compito molto spesso gravoso e svoltosi sempre sotto la pressione dell’urgenza.

Allegato I

DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE DE GASPERISULLA SITUAZIONE MONDIALE(17 Settembre 1951 – Ottawa)

En tant que représentant d’un Pays situé dans la zone immédiate du danger et qui, même si l’aide extérieure avait pu rémédier en partie aux faiblesses de sa structure économique, trouverait toujours des limites artificiellement créées par les restrictions du Traité de Paix, je suis naturellement disposé plus que d’autres à admettre l’insuffisance des moyens de défense de l’Europe occidentale, par rapport aux programmes envisagés comme necessaires par les experts.

Je voudrais néanmoins souligner, par le témoignage direct de ce qui s’est passé aussi dans mon pays, les déclarations faites par M. Acheson sur les grands succès remportés en Europe à la suite de la politique d’assistance dont l’Amérique a pris l’initiative. En effet, par la collaboration des pays libres, le Pacte Atlantique a eu, avec le plan Marshall, le résultat décisif de solliciter, encourager, rendre possible la résistance du front intérieur et l’établissement d’un front défensif de la démocratie. Sans cet acte de solidarité, surtout de la part du Continent américain, la première ligne du front anticommuniste en Europe aurait été déjà enfoncée sans aucune résistance possible. Nous sommes donc devant un succès préliminaire de la plus grande importance.

Il n’est certainement pas nécessaire de rappeler ici que ceux qui ont formulé l’art. 2 du Pacte Atlantique avaient bien en vue les deux aspects de la menace bolchévique: l’invasion armée des frontières et le renversement, par l’action intérieure, des institutions libres. La défense contre l’agression armée est devenue, dans le Pacte Atlantique, une responsabilité commune pour la sécurité commune; la défense contre l’érosion intérieure reste la responsabilité immédiate de chaque gouvernement libre; mais le Pacte prévoit que les Nations associées suivent une politique générale en vue du développement de la démocratie à travers la coopération internationale ainsi qu’à travers un effort commun vers la justice sociale. Il était clair, à ceux qui ont rédigé le Traité, qu’à l’engagement commun d’une sécurité garantie par la force des armes, dût correspondre l’intérêt commun de combattre le communisme dans ses racines mêmes.

Ainsi que le Président Truman l’a dit:

«The best way to stop subversion by the Kremlin is to strike at the roots of social injustice and economic disorder».

Il est clair cependant que la tâche principale et la responsabilité directe restent, dans ce domaine, à chaque gouvernement national.

En ce qui concerne mon Gouvernement, je tiens à souligner que le problème de la redistribution des biens a un tout autre aspect dans un pays dont le revenu annuel pro capite se chiffre, par exemple, à 670 dollars, et un pays dont le revenu annuel pro capite est seulement de 248 dollars brut. En outre, le plein emploi pose un problème bien plus difficile pour un pays qui, comme l’Italie, a un accroissement annuel de sa population de 450 mille personnes, une demande sur le marché de travail qui s’accroît chaque année de plus de 200 mille unités et que, enfin, ne possède pas les matières premières et doit compter toujours sur l’exportation de l’excès de main-d’oeuvre.

Le Gouvernement italien n’épargnera aucun effort pour multiplier les possibilités de travail. Mais ne serait-il pas dans l’intérêt commun que les chômeurs italiens puissent trouver une occupation, ne fût-elle que temporaire, dans les pays dont la main-d’oeuvre est déficitaire, spécialement dans le secteur de la défense et de la production militaire qui nous occupe aujourd’hui? Ne serait-il pas possible et souhaitable que les chantiers italiens, qui sont actuellement presque abandonnés, ou que les industries mécaniques obligées de congédier leurs ouvriers, travaillent pour les États Atlantiques et donc pour l’effort commun? L’offre de travail, bien sûr, est plus efficace et décisive que la contribution financière, car elle fait augmenter la production des moyens de défense, tout en encourageant les ouvriers à la résistance contre la subversion communiste.

Je ne voudrais pas m’attirer le reproche de parler seulement de mon pays, bien que celui-ci représente un secteur de la défense commune, qu’on ne saurait pas laisser ébrécher sans danger pour les autres, et je ne voudrais pas non plus que vous pensiez que je pose des conditions au devoir commun de la défense. Mais l’expérience historique nous prouve que la résistance du front intérieur est indispensable pour tenir le front extérieur.

Vous me permettrez à ce propos quelques remarques que me suggère le communiqué publié à la fin des conversations anglo-franco-américaines qui ont eu lieu, tout dernièrement à Washington. Le communiqué a mentionné en effet la contradiction existante entre certaines clauses du Traité de Paix italien et la position actuelle de l’Italie au sein des Nations libres. Les trois Gouvernements envisagent avec sympathie la possibilité d’éliminer cette contradiction. Pourrait-il y avoir de meilleure occasion que celle-ci, qui nous réunit tous autour de cette table, pour mettre fin a une discrimination tout à fait injustifiable et incompatible avec la pleine souveraineté de l’Italie et sa participation, sur un plan d’égalité de droits et de devoirs, à la communauté atlantique? Je vous crois tous d’accord sur le fait que les relations entre les Nations Alliées et l’Italie peuvent être basées seulement sur la collaboration loyale de nous tous, pour la défense de la liberté et de la paix, dans l’esprit de la Charte des Nations Unies.

C’est dans le même esprit que la Délégation Italienne a pris acte avec satisfaction que les trois Puissances-Occupantes ont décidé de parvenir à un accord avec le Gouvernement Fédéral de l’Allemagne sur une nouvelle base contractuelle apte à sauvegarder en grande partie sa liberté constitutionelle et sa souveraineté nationale. Je souhaite que les négotiations à cet effet soient entamées au plus tôt, car une action retardée pourrait être dangereuse pour tous nos pays.

D’autre part, M. Schuman a exprimé le voeu – il a même exprimé la certitude – que la Conférence pour l’armée européenne puisse terminer ses travaux d’une manière favorable et rapide. M. Morrison a assuré l’intérêt et la sympathie de la Grande-Bretagne aux futurs dévelop-pements techniques de la Conférence et M. Acheson, au nom des États-Unis, a donné son plein appui à l’initiative, en considération du fait qu’elle permet d’assurer à la défense occidentale la contribution allemande et qu’elle constitue un pas en avant vers la création d’une communauté européenne unifiée et renforcée autant que possible.

L’Italie a donné dès le début son adhésion à l’initiative en question, en tenant surtout compte qu’une armée européenne unifiée peut constituer la base d’une organisation fédérale parmi les pays européens. Nous avons la ferme intention de faire de notre mieux pour tâcher de surmonter les difficultés de caractère constitutionnel, administratif et financier qui, on ne peut le nier, se présentent. Il faut avant tout trouver une solution au problème des dépenses communes, qui ne peut être abordé sans une attitude favorable de la part des Parlements nationaux. Ce qui est important, c’est que, tout en poursuivant l’étude des questions structurelles, on puisse trouver un système provisoire qui permette à l’Allemagne de commencer à donner tout de suite sa contribution à la défense commune. Le mot d’ordre des «partisans de la paix», c’est que la militarisation de l’Allemagne constitue le «casus belli». Il faut opposer à cela l’argument que, si un réarmement massif et incontrôlé pouvait répandre la crainte et la suspicion, ici il s’agit au contraire de sauver une république libre par des moyens défensifs limités, dans le cadre d’une armée européenne. Il faut souligner qu’au fur et à mesure que cette Répubblique se développe et atteint ses libertés constituionnelles, elle développe aussi la possibilité de les défendre avec le concours de ses forces armées. Quelques mots encore sur le problème psychologique, qui a été touché par M. Morrison et d’autres.

Vous me permettrez de remarquer que l’élargissement du Pacte Atlantique et les intégrations qui se rendent nécessaires, au delà même des formules du Pacte, pour des raisons d’opportunité stratégique et pour l’extension inévitable de la ligne de défense, ne font que rendre encore plus indispensable une directive constante de la propagande psychologique et une tactique plus efficace et plus appropriée pour faire face aux problèmes de l’opinion publique européenne. Le tissu connectif qui réunit les États Libres d’Europe, c’est le sentiment de la liberté politique et l’expérience commune du régime démocratique. Nous avons fait la propagande du Pacte Atlantique au nom de la démocratie et nous continuons à la faire en y comparant les régimes communistes au delà du rideau de fer, parmi lesquels nous n’avons pu faire jusqu’ici des discriminations en faveur de l’un ou de l’autre. Nous souhaitons qu’une distinction puisse être faite, au fur et à mesure que leur régime évolue vers des principes de tolérance politique, au moins pour les pays qui commencent à se rapprocher de l’Occident. Mais ces distinctions ne doivent pas, à mon avis, se justifier seulement par une politique discriminatoire qui s’inspire uniquement à l’intérêt militaire, car autrement, nous encourrions le risque de retomber dans l’illusion dans laquelle on tomba au début de la deuxième guerre mondiale vis-à-vis de l’Union Soviétique. Qu’il soit bien clair que je ne me fais pas l’avocat d’une interférence indue dans le régime intérieur des différents pays. Je crois néanmoins que la propagande du Pacte Atlantique doit suivre une ligne constante de défense et de valorisation de la démocratie, car tel est l’esprit qui pousse les peuples libres de l’Europe aux sacrifices nécessaires pour la défense et telle doit être l’idée suggestive que nous devons faire pénétrer dans l’esprit des peuples satellites.

On ne peut pas nier que les campagnes bolchéviques pour la paix ont eu du succès: notre propagande, décousue, et parfois contradictoire, a pu à peine préserver nos peuples de la contagion épidémique. Il faut passer à l’offensive dans la propagande, mais celle-ci ne peut se fonder, en Europe, que sur l’idée de la liberté et de la civilisation et doit être faite sur des directives établies d’accord par toutes les forces démocratiques, tout en laissant à chaque pays de trouver l’expression plus conforme à son propre génie national.

Ce sont les problèmes de la tactique politique que j’ai cru devoir mettre en relief, et pour cause.

Vous connaissez, par votre profonde expérience, que toute grande évolution historique, même si elle a été déterminée dans une de ses phases par la force, puise son origine au dynamisme d’une idée fondamentale. Aucun de nous ne pense que le communisme – je veux dire son expansion en Europe – soit simplement le fait de l’expansion sociale, à savoir qu’il épuise ses effets dans un changement de la structure sociale. Au contraire, malgré son fondement économique et ses origines matérialistes, le communisme est capable de séduire la jeunesse par une exploitation habile des idées universelles de paix, de justice internationale, de dignité et d’indépendance des peuples. Il se pose en promoteur de toutes les revendications, y compris les revendications les plus outrées d’un nationalisme exagéré. C’est à nous de montrer que le bolchévisme, dans les problèmes de l’après-guerre et dans ceux de la paix, est l’ennemi de toute détente et de tout compromis et que, dans les questions territoriales, qu’elles soient grandes ou petites, la politique soviétique vise à l’exaspération des conflits, à l’exclusion des compositions équitables, au maintien de sanctions de guerre contre les nations qui renaissent à l’indépendance.

Pourquoi, en effet, la Russie s’oppose-t-elle opiniâtrement à l’admission de l’Italie aux Nations Unies, quand cette admission revient de droit à mon Pays, mais bien plus encore par son régime démocratique, sa tradition de civilisation, sa contribution à la culture et au progrès à travers les siècles?

C’est à vous, Représentants de pays libres et amis, que je demande de ne pas vous plier à cette action d’ostracisme injustifiable, qui est en même temps une violation ouverte et réitérée du Traité de Paix et une condamnation morale qu’aucun Membre du Pacte Atlantique ne peut tolérer. Je vous demande aussi pourquoi l’Union Soviétique a refusé, lors des négociations de paix, d’accepter l’une ou l’autre parmi les différentes lignes éthniques proposées par les Etats-Unis, le Royaume Uni et la France comme frontière entre l’Italie et la Yougoslavie et a imposé le compromis du Territoire Libre en refusant toute solution basée sur des considérations éthniques, qui auraient pu éventuellement être vérifiées par des plébiscites. Il s’agit là d’une politique qui vise à la discorde entre les peuples et qui en empêche la collaboration et la coexistence pacifique.

Je vous prie de croire que nous ne pratiquons pas l’intransigeance par principe. Non. Nous insistons pour créer un voisinage qui par sa structure rationnelle puisse assurer la pacifique collaboration entre deux pays contigus et résoudre ainsi cette question dans l’intérêt de la défense occidentale. Voilà un cas où ce que M. Morrison nous a dit samedi dernier devrait trouver son application: c’est-à-dire qu’il faut soutenir la foi des masses dans les principes de morale et de justice si l’on veut leur demander de faire de lourds efforts et de se soumettre à de durs sacrifices.

Il faut qu’à la stratégie soviétique, qui est encore animée par un esprit de guerre, la communauté atlantique oppose, non seulement son effort d’organisation défensive, mais aussi une politique de liberté, de paix, de justice sociale et internationale et, en ce qui concerne mon continent, d’unification européenne: voilà les idéaux qui ranimeront encore les esprits dans la vieille Europe, qui réchaufferont le coeur des jeunes gens et créeront à l’arrière des armées, le front des hommes libres3.

Allegato II

DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE DE GASPERISUL PUNTO VI DELL’AGENDA

Mr. De Gasperi (Italy): Mr. Chairman, I have only one amendment to propose, and I should like to make a general declaration. I take note that the affirmation of principle which corresponds to our desires and our concepts is expressed in the first paragraph where it is said:

«They will continue to work together closely to consolidate the North Atlantic community. All obstacles which hinder such cooperation on an equal footing should be removed».

I take note also of the declaration so complete and so satisfactory of the Chairman of the committee as to the interpretation of the final sentence of the first paragraph of the resolution, that the reference to the abolition of all obstacles to cooperation on an equal footing by all members of the community refers also and particularly to the situation created by the Treaty of which Italy is the object. I do not insist on the text in view of the fact that the discussion has given me the exact sense of the spirit and the substance of the question, the spirit which animates my colleagues of the North Atlantic Council.


138 1 Vedi Allegato I.


138 2 Vedi Allegato II.


138 3 Il 18 settembre Sforza faceva pervenire a De Gasperi il seguente messaggio: «Mi congratulo teco. La linea italiana ed europea da te formulata ci sarà comunque utile» (T. 8593/84 per Ottawa).

139

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1808 segr. pol. Roma, 10 ottobre 1951.

L’altro giorno ha chiesto di vedermi l’ambasciatore di Spagna Sangroniz. Ritenevo venisse – come sono venuti altri – a chiedere qualche notizia del nostro viaggio in U.S.A., un po’ per curiosità professionale e un po’ per fare qualche rapporto al suo Governo. Seppi invece che aveva ricevuto istruzioni di venire a protestare per quanto da noi detto al Dipartimento in tema «Spagna»1. Gli feci quindi dire, prima che venisse, che non avrei accettato alcuna protesta e che l’avrei respinta con indignazione. Trovai contemporaneamente modo di fargli sapere quanto in realtà noi avevamo fatto costì.

L’ambasciatore è poi venuto a farmi visita ugualmente e mi ha raccontato che a Lequerica era stato riferito da funzionari del Dipartimento che da parte nostra si era:

1) detto che in Italia vi è molto feeling antispagnolo;

2) fatta ogni riserva nei confronti delle conversazioni avviate dal defunto ammiraglio Shermann;

3) chiesto che tali conversazioni non venissero sviluppate.

Sangroniz ha ammesso con me che Lequerica – che conosco da un pezzo, che non ebbi tempo di vedere costì – possa essersi un poco rimbambito; ma comunque insinuato che potrebbe anche esservi al Dipartimento, fra tanta gente, qualcuno che abbia interesse a mettere male (ha detto «divide et impera» il che in verità non mi pare nello stile americano!).

Jannelli ha convocato Thompson al quale ha narrato l’episodio e fatto, ad ogni buon fine, qualche rimostranza. Suppongo che Thompson abbia riferito costì e ho quindi voluto mettere al corrente anche te.


139 1 Vedi DD. 119 e 140, Allegato.

140

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI

L. segreta 1809 segr. pol. Roma, 10 ottobre 1951.

Ad ogni buon fine ti allego:

1) copia dell’Appunto che ha servito di base alle nostre conversazioni a Washington in tema spagnolo1;

2) copia di una mia lettera odierna a Tarchiani2.

Il tutto per tua opportuna conoscenza ma con preghiera di non farne verbo costì data la facilità di malintesi che su tale questione possono sorgere e la necessità di evitare, per ovvie ragioni, che la stampa se ne occupi.

Allegato

SPAIN

The Italian Government is convinced that Western Europe must provide its own defence sooner or later through the integration of all its member parts. The Italian Government is therefore of the opinion that within the framework of European defence, it is not possible on the long run to ignore Spain.

The American Government has no doubt noticed that the Italian Government has shown no preconceived hostility to the American recent initiative vis-à-vis of Spain. Nevertheless it is to be expected that some opposition will be voiced in certain sectors of public opinion in Italy. Also in order to overcome such opposition, in Italy as well as in other countries, it would be desirable that the Spanish regime might find its way towards democracy in order to facilitate a form of association with the common task of defending Western civilization of which Spain is such an ancient representative.

Bearing in mind, both its attitude in this matter and the great interest that any Mediterranean question must necessarily arise in Italy, the Italian Government is anxious to be able also on the subject of Spain, to keep in the closest contact with the American Government. It would therefore greatly appreciate it if American Government would inform the Italian Government of further developments, in the same way as they have done with the French and British Governments.


140 1 Allegato ma vedi anche D. 119.


140 2 Vedi D. 139.

141

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 12734/187. New York, 11 ottobre 1951, ore 18,15(perv. ore 7,10 del 12).

Si svolgono in quesi giorni attive consultazioni tra delegazioni tre grandi potenze su ammissione Italia O.N.U. Sono state interrogate anche varie delegazioni minori. Riassumo impressioni:

1) sarebbe stato deciso avvicinare Russia «ad altissimo livello» per sondare sue disposizioni per sola Italia. Idea francese proporre scambio Italia contro un satellite incontra scarso favore. Tuttavia non (dico non) è esclusa. Ho osservato che sondaggio poteva avere qualche (scarsa) probabilità successo soltanto a condizione di far capire che grandi potenze decise comunque far entrare Italia con o senza accordo con Russia.

2) Al di là di questo assai poco promettente tentativo (che potrebbe anche aver l’aria di essere fatto unicamente per fornire prova buona volontà) conclusioni sono per ora nettamente pessimiste. Grandi potenze temono che azione di forza da parte Assemblea o Consiglio porterebbe colpo mortale al veto cui tutte sono attaccate. Ho fatto presente d’altra parte che ricerca di una formula giuridica pura che faccia a meno azione di forza è vana. Tale formula non esiste; se esistesse saremmo già da anni nelle Nazioni Unite.

3) Si tratta però, mi è stato assicurato, conclusioni provvisorie raggiunte su piano delegazioni cui non (dico non) sono ancora giunte istruzioni rispettivi Governi. Consultazioni proseguono qui e continueranno Parigi. Per mantenere contatti sono stato pregato anticipare mia partenza.

Pur dimostrando massima fiducia buone disposizioni tre grandi e risultato finale loro consultazioni, mi sembra ora necessario svolgere azione diplomatica interlocutoria alto livello nelle tre rispettive capitali. È evidente che Dichiarazione tripartita non (dico non) può intendersi come impegno ricercare inesistente corretta soluzione giuridica né può esaurirsi in platonico tentativo accordo con Russia. D’altra parte non è la prima volta che grandi potenze «interpretano» liberamente Statuto. In questo caso «violazione» sarebbe di portata molto limitata; sia perché circoscritta ad Italia, e tre grandi sono concordi sollevare soltanto nostro caso, sia perché veto ad Italia è illegale e perciò nullo. Mi sembra che queste cose vadano dette chiaramente e tempestivamente.

Per mia norma di linguaggio sarò grato V.E. informarmi telegraficamente eventuale azione.

142

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

Telespr. 1818/c. segr. pol.1. Roma, 11 ottobre 1951.

Come è noto il 26 settembre u.s. è stata emessa una Dichiarazione comune anglo-franco-americana relativa alla revisione del trattato di pace di cui si allega il testo2. Alla dichiarazione stessa hanno già dato la loro adesione di principio, nell’attesa che si svolga la procedura prevista con l’invio di una nosta Nota ai singoli Governi firmatari del trattato, il Belgio, la Cina, la Grecia, l’Olanda, il Sud Africa, il Canada e il Brasile.

Tra i paesi della Lega araba, il solo che abbia firmato il nostro trattato di pace è l’Irak. La nostra legazione a Bagdad è già intervenuta sollecitando l’adesione di quel Governo. Tenuto conto degli amichevoli rapporti esistenti fra l’Italia e gli Stati arabi, la pronta adesione del Governo irakeno alla Dichiarazione di cui trattasi, sarebbe particolarmente apprezzata in Italia. Sarebbe utile che in appoggio all’azione della nostra legazione in Irak, e prospettando a quel Governo le considerazioni politiche suaccennate, intervenisse opportunamente anche la Lega araba e per essa il suo segretario generale Azzam pascià.

Voglia pertanto prendere al più presto contatto con quest’ultimo esprimendosi nel senso suindicato.


142 1 Inviato per conoscenza anche alle legazioni ad Amman, Baghdad, Beirut, Damasco e Gedda.


142 2 Vedi D. 124.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 45/479. Roma, 11 ottobre 1951.

Come è noto a V.E., nell’esame dei progetti preparati costà per una risposta alla Dichiarazione tripartita1 circa la revisione del trattato di pace, si è lasciata aperta la via ad un’ulteriore azione da parte nostra nei confronti di talune clausole economiche del trattato. Come ella ricorderà infatti è stata da me fatta presente al segretario di Stato la necessità di esaminare anche tale questione e mi riservai, data la ristrettezza del tempo, di tornare sull’argomento. Tale riserva è stata costì accolta come è cenno anche nel suo rapporto n. 10632 del 4 ottobre2.

Converrebbe pertanto prendere contatti amichevoli e confidenziali col Dipartimento di Stato per stabilire di comune accordo su quali clausole economiche si possa ulteriormente discutere, con particolare riguardo a quelle clausole che sono in stridente contrasto con il trattamento fatto al Giappone e con quello che si progetta per la Germania, e che hanno quindi per noi quel carattere discriminatorio cui si riferisce anche la dichiarazione del 26 settembre.

A maggiore intelligenza dei nostri punti di vista in materia, allego un documento interno sostanzialmente corrispondente a quello già trasmesso a codesta ambasciata con il telespresso ministeriale n. 45/0435 del 12 settembre u.s.3.

Di tale documento ella potrà valersi per indicare costà il quadro entro il quale noi pensavamo che si potesse trattare la questione durante le recenti conversazioni. Non ho difficoltà a che il documento stesso venga tradotto e dato ai nostri amici del Dipartimento, beninteso in via non formale e con l’avvertenza che si tratta di uno studio interno delle Amministrazioni italiane4. A nostro parere converrebbe esaminare con gli americani, partendo dal contenuto dell’appunto, sin dove si possa arrivare nel proporre e ottenere modifiche che dovrebbero ovviamente venire concordate costà prima di essere ufficialmente presentate e proposte5.


143 1 Vedi D. 124.


143 2 Vedi D. 132.


143 3 Vedi D. 84, nota 2. Il telespresso di trasmissione non si pubblica.


143 4 Il promemoria venne consegnato in via informale il 29 ottobre.


143 5 Per la risposta vedi D. 188.

144

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 12754-12792/255-2561. Mosca, 12 ottobre 1951, ore 9,23(perv. ore 22,30)..

Questa sera Vyshinsky ha consegnato agli incaricati d’affari Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna risposta1 dichiarazione riguardante revisione trattato Italia2 non aggiungendo alcun commento. Dichiarazione componesi di tre parti: la prima nega che revisione possa servire sviluppare collaborazione fra paesi liberi affermando servire riarmare l’Italia in rapporto sua partecipazione Patto atlantico. Aggiunge che l’Italia dovrà diventare fornitrice di forze concrete all’Alleanza, conclude che tale politica di sfruttamento territorio italiano e risorse nulla ha in comune interessi italiani. La seconda riguarda O.N.U. ripete che U.R.S.S. non è contraria all’ammissione Italia a condizione parità con altri Stati ex nemici. La terza ricordando che U.R.S.S. ristabilì per il primo relazioni diplomatiche con l’Italia afferma non essere contraria rivedere che vengano (manca) limitazioni stabilite trattato di pace purché ugualmente avvenga per Bulgaria Finlandia Romania Ungheria con ammissione di tutte O.N.U. Aggiunge inoltre che revisione deve servire alla pace e non attirare Italia in un patto aggressione compromettendone indipendenza. In conclusione la nota dichiara che U.R.S.S. è disposta alla revisione soltanto caso Italia esca dal Patto atlantico non consentendo basi e forze militari straniere sul suo territorio. Quest’ultimo punto merita considerazione per vedere se implichi soltanto posizione polemica o non rientri nella preparazione di ulteriore proposta sovietica. La prima ipotesi sembra più attendibile riservandomi ulteriori notizie.

La pubblicazione della nota avvenuta stamane sui quotidiani sovietici conferma una finalità essenzialmente polemica. Trattasi influire sulla opinione pubblica e dare nuovo materiale di propaganda ai comunisti italiani pretendendo dimostrare che U.R.S.S. vuole pace e benessere per l’Italia non opponendosi alla revisione trattato. In realtà le condizioni poste e specialmente quella della uscita dell’Italia dal Patto atlantico sono manifestamente assurde e escludono ogni volontà di seria discussione. Anche la posizione riaffermata nei riguardi ammissione all’O.N.U. dimostra ancora una volta che U.R.S.S. non darà mai suo consenso all’ingresso isolato dell’Italia. Tali sono d’opinione questi ambasciatori Stati Uniti ed Inghilterra. È probabile che la nota sarà certo commentata dalla stampa; di che mi riservo riferire3.


144 1 Il testo della nota sovietica dell’11 ottobre è edito in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 42, pp. 808-809.


144 2 Vedi D. 124.


144 3 Con R. 2401/822 del 15 ottobre Brosio inviò la traduzione della nota sovietica ed un articolo della Pravda del 13 ottobre di commento alla stessa.

145

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 5246/2983. Londra, 12 ottobre 1951(perv. il 15).

Sono stato nei giorni scorsi a fare la mia (probabilmente ultima) visita al Lord Cancelliere dopo il suo ritorno dal lungo viaggio in Australia. Dati i nostri rapporti di amicizia egli ha fatto con me un sincero confidenziale giro di orizzonte sulla politica inglese. La conversazione fu portata naturalmente anche sui rapporti italo-britannici.

Egli mi ha chiesto espressamente di mettere a parte V.E. della nostra conversazione per quanto riguarda tali rapporti, quasi in forma di messaggio a pochi giorni dalle elezioni che potranno portare all’allontanamento dell’attuale Governo.

Lord Jowitt desidera anzitutto ricordare a V.E. con quale animo in questi quattro anni egli abbia dato la sua spontanea e piena collaborazione ad ogni iniziativa suscettibile di giovare ai rapporti dei nostri due paesi: dalla sua visita in Italia all’indomani di Mogadiscio, fino alla preparazione dell’incontro di V.E. e del ministro Sforza con Attlee e Morrison1 e alla cordiale accoglienza fatta ai ministri italiani dal re.

«Non so – disse Lord Jowitt a questo proposito – se S.E. De Gasperi si è reso pienamente conto del successo della sua visita in Gran Bretagna: successo non solo personale ma dell’Italia. Dopo Londra, noi tutti, al Governo, sentimmo che un capitolo nuovo si apriva nelle relazioni tra i due paesi. Quello che ha fatto qui impressione è stata la personalità del presidente; e dopo i contatti avuti con De Gasperi siamo convinti che, appoggiandolo, noi appoggiamo una delle forze più sane in Europa ed un baluardo spirituale contro il comunismo. Così pure nei contatti con lui abbiamo riconosciuto i meriti e le necessità di un forte partito democratico cristiano in Italia e i vantaggi della stabilità del suo Governo basato su una solida maggioranza. (E, aggiungo io, ben ricorderà V.E. come in passato non siano mancate a questo proposito difficoltà ed incomprensioni da parte inglese). Indipendentemente quindi dai risultati raggiunti nei singoli problemi in discussione (e il tempo purtroppo fu breve per approfondire ciascuno), questa è la più sostanziale partita attiva che De Gasperi da Londra ha riportato con sé in Italia».

Che cosa è successo dal marzo scorso? Si domanda Lord Jowitt. Egli si rende conto che nei rapporti fra i due paesi, e date le differenze di carattere tra le due opinioni pubbliche, possono verificarsi diversità di vedute e talora anche frizioni di risentimento popolare. Dopo tutto questo è nella logica delle cose e simili screzi non sono mancati certo con la Francia e con gli Stati Uniti, in un periodo di transizione come l’attuale in cui, insieme agli interessi generali della pace, esistono tuttora tanti interessi più specificamente nazionali da regolare. Ma egli non vede che cosa sia accaduto per giustificare una così forte irritazione nell’atteggiamento verso l’Inghilterra, non solo della stampa e dell’opinione pubblica italiana.

Avendo a questo punto cercato di spiegargli le reazioni italiane a certi atteggiamenti britannici particolarmente per quanto riguarda Trieste, egli mi ha detto di ammettere che errori possono esservi stati da parte inglese ma sembrargli tuttavia che tra causa ed effetto non vi fosse proporzione tanto più che nel caso di Trieste, per quel che gli risultava, dal marzo ad oggi non vi era stato nulla di profondamente mutato nell’atteggiamento britannico: fiducioso allora come oggi in un regolamento diretto della questione tra Roma e Belgrado. E che io stesso d’altronde potevo essere testimonio dello spirito con cui era stata accolta a Londra la proposta di una revisione del nostro trattato.

Esistono poi molti settori nei quali la collaborazione italo-britannica si svolge in modo proficuo e si tratta di settori di interesse preminente per l’Italia. Mi ha citato la collaborazione industriale nata da un nostro colloquio, come l’ambasciatore Grazzi ben sa. Mi ha citato quindi le difficoltà superate per l’accoglimento dei minatori italiani e le recenti dichiarazioni del ministro del lavoro Robens, improntate alla massima buona volontà nei riguardi di una più larga emigrazione dei nostri lavoratori in questo paese.

In questi settori, gli sembrava che dalle due parti si lavorasse con successo e con vantaggio reciproco, doveva quindi essere anche possibile lavorare sul piano politico con eguale fervore e pari successo e per questo appunto desiderava trasmettessi queste sue considerazioni al presidente del Consiglio italiano.

Da parte sua egli desiderava confermare che, al Governo o no, avrebbe continuato a svolgere un’azione costante per la realizzazione di un progressivo miglioramento nei rapporti fra i nostri due paesi.

Ho tenuto a riferire per esteso questa conversazione, non solo per la personalità da cui provengono le considerazioni sopra riportate, ma anche perché in questa occasione Lord Jowitt si è espresso con la franchezza dell’uomo che si sente ormai distaccato dalla carica di responsabilità che ricopre e che giudica pertanto situazione ed avvenimenti con una sincerità non attenuata da considerazioni di opportunità politica contingente.

Debbo aggiungere, del resto, che i concetti svolti da Lord Jowitt rispondono anche al pensiero di molte altre personalità sia laburiste che conservatrici con le quali vengo giornalmente a contatto2.


145 1 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.


145 2 Per la risposta vedi D. 164.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 9420/516. Roma, 13 ottobre 1951, ore 15,10.

Converrebbe secondo noi, sviluppando eventualmente polemica con U.R.S.S. su questione revisione trattato e nostra ammissione O.N.U. manifestare atteggiamento favorevole ammissione O.N.U. anche Ungheria, Bulgaria, Romania purché risulti e sia provato che questi Stati abbiano o si siano dato regime democratico. Per Finlandia ciò appare incontestabile, per gli altri Stati verrebbero richieste libere e democratiche elezioni.

Italia trovasi evidentemente in condizioni particolari essendosi riconosciuto fin da Potsdam carattere democratico suo regime. Tale riconoscimento fu riconfermato poi nel trattato e da stessi delegati U.R.S.S. all’O.N.U. che hanno ripetutamente dichiarato non potersi contestare carattere democratico regime italiano.

Pregola esprimere tali concetti e suggerimenti a Dipartimento di Stato.

147

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A SAN SALVADOR, BIANCONI

Telespr. 15900/c.1. Roma, 13 ottobre 1951.

Con telespresso del 2 corrente la S.V. ha informato di aver ricevuto comunicazione da codesto Ministro degli affari esteri che il Salvador, seguendo la linea già adottata nelle recenti discussioni all’O.N.U., ha deciso di proporre alla prossima riunione dell’Assemblea generale l’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite. Tale iniziativa sarà corroborata dall’appoggio delle altre Repubbliche del Centro America di modo che la proposta stessa sia fatta con maggiore autorità e contemporaneamente dai cinque paesi.

La S.V. vorrà provvedere a ringraziare codesto Governo per le sue buone disposizioni e per i sentimenti di amicizia verso l’Italia espressi nella nota del 1° ottobre a lei diretta.

2. Anche il Perù ha chiesto la iscrizione nell’ordine del giorno della prossima Assemblea delle Nazioni Unite della ammissione dei nuovi membri.

3. Come già comunicato in precedenza è necessario coordinare le varie iniziative dei paesi latino-americani tendenti a favorire la nostra entrata all’O.N.U. affinché l’azione riesca di più efficace sostegno a quella che i firmatari della Dichiarazione di Washington del 26 settembre hanno intrapresa. Ed è per questo che le varie rappresentanze nel Centro Sud America furono pregate di ottenere che i vari Governi dessero istruzioni ai propri rappresentanti alle Nazioni Unite di concertarsi possibilmente con l’ambasciatore Guidotti.

4. A proposito della proposta de El Salvador il nostro rappresentante all’O.N.U. ha telegrafato in data 9 corrente quanto segue2:

«Questo delegato San Salvador mi annuncia che suo Governo unitamente agli altri America centrale avrebbe deciso chiedere iscrizione ordine del giorno argomento “ammissione nuovi membri”.

Ho naturalmente fatto presente che iscrizione era già stata fatta su iniziativa Perù, e che ripetizione sarebbe superflua. Non sono però sicuro di averlo convinto tanto più che potrebbe trattarsi di iniziativa personale ambasciatore Urquia. Comunque egli mi ha assicurato che San Salvador non (dico non) penserebbe a soluzione intermedia del genere di quella presentata anno scorso ma soltanto ad ammissione in piena parità».


147 1 Il telespresso era indirizzato per conoscenza anche alla rappresentanza italiana presso l’O.N.U. e alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington.


147 2 T. 12631/183 da New York.

148

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

L. 1826 segr. pol. Roma, 13 ottobre 1951.

Mi riferisco al telegramma a firma Orlandi n. 2191.

Come tu sai meglio di me, ad Ottawa fu costruito il Comitato dei Cinque il quale tra l’altro dovrebbe interessarsi per una «politica estera comune». Una politica estera comune della comunità atlantica è certo un programma suggestivo però dobbiamo stare attenti che essa non divenga un mezzo per obbligare nove o dieci paesi a fare, con danno per loro e per tutti, la politica estera degli altri due o tre, tanto più se tale politica è sbagliata.

L’Alleanza atlantica è alleanza per la difesa della libertà, della democrazia e della civiltà; è alleanza per il progresso sociale, economico, culturale dei suoi membri. Non potrebbe trasformarsi in una «Santa Alleanza» a carattere conservatore per difendere dei privilegi superati, senza situarsi contro la storia e contro il progresso e quindi essere sconfitta in partenza.

Per esempio nella questione oggetto del telegramma sopra riferito, le nostre idee divergono sostanzialmente da quelle inglesi e francesi. Può essere di interesse generale che si parli negli organi del N.A.T.O. della situazione in Medio Oriente perché tale situazione si riflette sulla sicurezza di tutto il sistema nord-atlantico. Ma non potremmo accettare che ciò venga fatto per coprire interessi particolari di questo o quel membro dell’Alleanza, ma se mai per esaminare gli errori commessi e proporre rimedi.

La nostra opinione in proposito è che la politica inglese ha commesso in quel settore una serie di sbagli ormai irreparabili e le cui conseguenze si stanno rivelando dannose per noi tutti. È quindi necessario un mutamento sostanziale di politica. Non si può essere progressisti all’interno e conservatori all’estero. Occorreva trattare con la Persia quando ancora si poteva farlo con successo senza pretendere di resistere alla inevitabile evoluzione dei tempi. Occorreva prendere coraggiosamente atto della situazione araba ed egiziana ed evitare tutto ciò che poteva irritare e insospettire quei paesi che hanno delle suscettibilità e dei complessi di inferiorità, esagerati se vogliamo, ma che non possiamo cambiare e con cui quindi è indispensabile fare i conti. Adesso è troppo tardi per mezze misure o compromessi che le opinioni pubbliche di quei paesi, ormai agitate, respingerebbero facendo precipitare delle situazioni divenute sin troppo instabili. Occorre dar loro le soddisfazioni che reclamano e chiamarli a collaborare su piede di parità e senza sospetti col mondo occidentale. Ogni diversa situazione è secondo noi gravida di conseguenze pericolose, farebbe il gioco del Kremlino e ci riserverebbe le più amare delusioni.

Su questo punto – che come hai visto abbiamo anche segnalato a Washington – bisognerà essere estremamente chiari2.


148 1 Del 10 ottobre, con il quale Orlandi aveva riferito le dichiarazioni del sostituto britannico relative alla possibilità che la Gran Bretagna potesse chiedere l’appoggio dei paesi N.A.T.O. nella sua controversia con l’Egitto.


148 2 Per la risposta vedi D. 161.

149

L’ONOREVOLE LOMBARDO1AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 10/123. Parigi, 13 ottobre 19512.

Ho succintamente riferito a V.E. con il telegramma 6253 le prime reazioni che il nostro Memorandum4 ha sollevato presso le delegazioni della Conferenza per l’esercito europeo. Ritengo ora opportuno di dare a V.E. maggiori indicazioni circa gli atteggiamenti che stanno prendendo le varie delegazioni nei confronti della nostra importante e tempestiva presa di posizione.

Il documento che abbiamo presentato contiene, senza dubbio, proposte assai logiche e pone, direi per la prima volta nel corso dei lavori della Conferenza, l’accento sui vari problemi che solleva la creazione di un vero e proprio esercito europeo (quale la necessità del riarmo tedesco e le relative preoccupazioni francesi impongono) e non di una qualsiasi coalizione di forze militari di diversi paesi sotto un Comando unico.

Passato un primo momento di sorpresa per il noto cambiamento del nostro atteggiamento, mi sembra che da parte di tutti si sia in via di massima riconosciuta la serietà e la fondatezza delle nostre proposte. Nelle conversazioni confidenziali, nei contatti non solo miei ma anche dei nostri esperti con gli altri delegati, questi si sono espressi apertamente in termini assai favorevoli e di sincera simpatia per la nostra presa di posizione, perfettamente intonata a quella che è stata la politica europea espressa dal Governo italiano dalla fine della guerra in poi.

Se questo è il tono dei discorsi non impegnativi dei miei colleghi, evidentemente il linguaggio è differente e assai più prudente quando si tratta di prese di posizione in seno alla Conferenza. Qui, come ho accennato col telegramma sopra citato, pur avendo le delegazioni mostrato di apprezzare la lungimiranza del progetto, e avendo pronunciato parole di viva simpatia per le nostre idee, emergono, come era attendersi, timidezze e preoccupazioni; e ciò con una gradualità che corrisponde alle tendenze già note delle varie delegazioni.

Così la delegazione tedesca, che ha sempre, come a suo tempo fu riferito, tenuto un atteggiamento largamente ispirato a criteri europeistici, ha preso, anche nella riunione del Comitato di direzione e non solo nelle conversazioni private, un atteggiamento assai favorevole alle nostre proposte per quel che rigurda la parte che chiamerei costituzionale (formazione e poteri dell’Assemblea). Blank ha parlato di «simpatie ohne Grenze» per le nostre idee, non si è però pronunciato per quel che riguarda le nostre proposte di carattere finanziario.

Alquanto più indietro è la posizione dei francesi. In via generale ho l’impressione che i francesi hanno qualche preoccupazione di essere presi al loro stesso giuoco, giuoco che li sta portando più lontano di quello che essi avevano in un primo tempo immaginato. Com’è noto, in seguito alle proposte di Grotewohl si è manifestata una certa fluttuazione nell’opinione pubblica francese, nel senso che certi settori, di fronte alla eventualità di una unione delle due Germanie in un unico corpo smilitarizzato, preferirebbero questa alternativa al riarmo dalla Germania, sia pure imbrigliato in un esercito europeo. Queste incertezze devono aver creato gravi preoccupazioni di politica generale in seno agli ambienti del Quai d’Orsay e talune perplessità nei confronti dell’esercito europeo. Alphand, che prima, assai coraggiosamente, impegnava la delegazione francese e il Governo, è diventato molto più prudente, riservandosi sovente di consultarsi col suo ministro e rinviando le decisioni. Nel retrobottega della delegazione francese vi è tutto un lavoro di riunioni interministeriali, di contatti con lo Stato Maggiore che fa pensare che Alphand si senta alquanto meno sicuro.

D’altra parte Alphand in un colloquio con me ha espresso la preoccupazione del Quai d’Orsay per certi tentennamenti dell’opinione pubblica francese che potrebbe adagiarsi beatamente e compiacentemente in una valutazione di convenienza di avere una Germania smilitarizzata senza tener presente che ciò vorrebbe dire la zona di difesa dell’Europa occidentale enormemente arretrata, non superlativamente difendibile (vedasi il risultato delle manovre sul Reno) e pertanto suscettibile di crea-re motivi di profonde perplessità nelle menti degli strateghi del N.A.T.O. Tutto ciò – infatti – potrebbe portare lontano in fatto di conseguenze: una Europa scarsamente difendibile, neutralisteggiante, uno spazio strategicamente vuoto ma sostanzialmente riempito dagli agenti dell’imperialismo sovietico potrebbero creare grosse sorprese. Le incognite e gli elementi negativi potrebbero indurre gli americani a pensare in termini di difesa solo della portaerei inaffondabile: le isole britanniche.

Questo è il linguaggio confidenziale di Alphand; ciononostante la sua presa di posizione in Conferenza nei confronti delle nostre proposte è stata abbondantemente prudente. Ha detto in seduta che riteneva il sistema finanziario da noi proposto essere assai difficilmente accettabile dal Parlamento francese (Alphand teme, fra l’altro, che tale sistema dovrebbe necessariamente comportare un emendamento della Costituzione francese, mentre egli si illude che il sistema previsto dal rapporto interinale non lo renda necessario). Anche per quel che riguarda l’Assemblea, Alphand, dopo aver ammesso che quanto abbiamo noi proposto è la mèta cui si deve pervenire, ha subito aggiunto che tale mèta deve essere raggiunta gradualmente e ha molto insistito sul fatto che noi stessi, nel Memorandum, abbiamo ammesso che era necessario iniziare con un’Assemblea designata dai Parlamenti e rinviare a più tardi l’elezione di quella a suffragio universale.

Vi può essere quindi da parte francese la tendenza non solo a opporsi alle proposte economiche, ma anche a sospingere nel vago la creazione della vera Assemblea che noi, viceversa, riteniamo necessaria per dare alla comunità quell’organo politico di cui essa ha bisogno per amministrare in forma sopranazionale la parziale cessione di sovranità che, con la costituzione della Comunità di Difesa Europea, ogni paese fa.

Da parte del Benelux non c’era da aspettarsi grande entusiasmo per le nostre proposte. Il delegato belga ha pagato anche lui un tributo di simpatia al Memorandum, ma ha detto che non gli sembrava essere ancora la situazione sufficientemente matura per passi così giganteschi. Il delegato olandese ha taciuto nel Comitato di direzione; in contatti privati con me e con Cavalletti si è profuso in espressioni di apprezzamento per le nostre proposte, aggiungendo, ma senza troppo impegnarsi, che non era affatto alieno di offrirci un appoggio. A tale proposito mi permetto molto di dubitare che il delegato olandese possa essere un elemento motore nella Conferenza, e riterrei che, malgrado le sue parole, i Paesi Bassi, che sono stati costretti ad intervenire alla Conferenza sotto le fortissime pressioni che gli americani hanno fatto ad Ottawa, seguitino a ritenere che il noto loro progetto «minimo» sia la formula migliore per l’esercito europeo.

Il Lussemburgo si illude forse di poter, in sede di redazione di articoli dello strumento, assicurarsi sempre – attraverso la formula dell’unanimità in seno al Consiglio dei ministri – del diritto di veto che potrebbe essere comodo per il Lussemburgo, ma gravemente pericoloso per gli Stati che tanto apporto di forze e di sacrifici finanziari intendono dare per la salvezza dell’Europa alla Comunità di Difesa.

Quanto agli americani, che sempre più – pur nella loro veste ufficiale di osservatori – vanno prendendo una parte preponderante nella Conferenza, il nostro Memorandum ha avuto senz’altro una ottima accoglienza di stima e di apprezzamento. Ci è stato più volte ripetuto che questa è la via su cui ci si deve mettere, che le nostre proposte sono perfettamente logiche e che tutto quello che faremo per sviluppare il carattere confederale dell’Organizzazione troverà in America una eco favorevole. Scendendo però ai dettagli, gli americani non hanno pronunziato parole impegnative sulle nostre proposte, soprattutto per la parte finanziaria. Questa ambasciata d’America ha telegrafato a Washington il testo del nostro Memorandum ed è in attesa di conoscere l’opinione dello State Department, che a tutt’oggi non è pervenuto a Parigi.

A tale proposito riterrei molto utile che il nostro Memorandum venga opportunamente illustrato e appoggiato a Washington, affinché se le nostre idee sono bene accette al di là dell’Atlantico (e tale dovrebbe essere se si tenga conto delle parole del presidente Truman ad Arlington5 del discorso magistralmente europeistico di Eisenhower, delle convinzioni che in proposito vanno facendosi strada fra funzionari di alto livello dello State Department, accompagnate queste, anche da pubblicazioni e prese di posizione di persone influenti), l’osservatore americano qui, ché oramai di osservatore ha solo il nome, possa compiere un’azione di persuasione nei confronti delle varie delegazioni.

Stimo inutile di riferire in dettaglio a V.E. quanto ho fatto e farò per spiegare le nostre tesi e cercare di convincere le altre delegazioni che solo in un quadro confederale il problema dell’esercito europeo potrà essere soddisfacentemente risolto. V.E. potrà bene immaginare che la mia azione, sia in sede di conferenza, sia nelle conversazioni confidenziali, non lascerà nulla di intentato per affermare il nostro punto di vista. I contatti cordialissimi che ho stabilito con Alphand e con Blank, l’atmosfera di sincera collaborazione che si è fin dal principio creata con loro, avranno senza dubbio utilità.

In generale, riassumendo, come già Cavalletti ha scritto a suo tempo a Venturini, non si può – né si poteva – sperare che le nostre proposte siano de plano accettate dalle delegazioni. Vi è da fare un grosso sforzo per scuotere timidezze e modificare perplessità. Le difficoltà saranno alquanto minori per la parte relativa all’Assemblea, poiché tutti sembrano d’accordo che l’Assemblea debba essere potenziata. Si tratta però di curare che non vengano adottate formule troppo platoniche e che nel trattato vi siano chiari e precisi impegni a che l’Assemblea, anche se non subito, sia costituita come riteniamo noi necessario. Difficoltà maggiori vi saranno per la parte finanziaria, data la rinunzia così importante di sovranità che il nostro progetto contempla.

Se però noi riuscissimo ad ottenere sufficienti soddisfazioni per quel che riguarda la parte confederativa e cioè per la formazione e i poteri dell’Assemblea, penso che questo importantissimo elemento sarebbe comunque di grande utilità anche per la risoluzione dei problemi finanziari. In altre parole quali che siano le decisioni a cui la Conferenza arriverà per la parte finanziaria, anche se eventualmente queste decisioni si avvicinassero alle proposte del rapporto interinale, la creazione di una vera Assemblea, con effettivi poteri apporterebbe al sistema quell’insieme di controlli parlamentari europei che, a nostro avviso, sono necessari per convincere i Parlamenti nazionali ad abbandonare certi loro fondamentali poteri.


149 1 Presidente della delegazione italiana alla Conferenza per la C.E.D. dall’8 settembre.


149 2 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


149 3 Riferimento errato.


149 4 Vedi D. 135, Allegato.


149 5 Vedi D. 132, nota 5.

150

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

T. s.n.d. 9480/112. Roma, 15 ottobre 1951, ore 21,30.

Suo telespresso 9141 e telegramma 1442.

Nel quadro collaborazione dei lei prospettata, ella può far sapere costì che condividiamo opinione codesto Stato Maggiore dover Grecia esser compresa nel Comando Eisenhower e che in tal senso ci siamo espressi anche noi in sede competente e siamo disposti insistere se Stato Maggiore greco lo desidera. Per sua conoscenza e norma nostro punto di vista è che, nel quadro Comando Eisenhower, Grecia venga compresa in settore sud-Europa (amm. Carney). Questione Comando italiano si porrebbe indirettamente in quanto, mentre settore terrestre greco sarebbe ovviamente sottoposto a comandante greco, e settore italiano a comandante italiano, amm. Carney avrebbe un italiano per coordinamento operazioni terrestri. Quest’ultimo potrebbe avere come collaboratore un greco3.


150 1 Dell’8 ottobre con il quale Alessandrini, nel preannunciare una riunione ad Atene dei capi di Stato Maggiore statunitense, britannico e francese nella quale si sarebbe discussa la questione del ruolo ellenico nell’ambito del Patto atlantico, aveva comunicato: «... Quanto ai desiderata ellenici, Venizelos mi ha detto che la Grecia non intende assolutamente mandare i propri soldati a battersi nel Medio Oriente e che, qualunque sia il compito affidato alla Turchia, la Grecia “dovrà essere inclusa nel quadro della difesa europea, e non medio-orientale, e quindi sottoposta al Comando del generale Eisenhower e non a quello, progettato, del generale Robertson” ... ritengo opportuno, per quanto riguarda il settore greco, segnalare a V.E. la sensazione, derivatami dai quotidiani contatti con gli ambienti responsabili ellenici, che mentre ogni forma di dipendenza da Comandi italiani sarebbe qui avversata, qualunque forma invece di collaborazione militare sarebbe considerata con favore ...».


150 2 Con tale telegramma del 12 ottobre Alessandrini aveva riferito circa gli esiti della riunione dei capi di Stato Maggiore confermando il desiderio ellenico circa l’inclusione nel Comando Eisenhower.


150 3 Per la risposta vedi D. 153.

151

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. segreta 3/644. Roma, 15 ottobre 1951.

Poiché tardano a venire da Washington i verbali delle recenti conversazioni italo-americane colà svoltesi1, ti metto al corrente di quella parte di esse che riguarda la questione del T.L.T., come risulta da noi registrata.

La questione è stata trattata nel primo incontro nell’ufficio di Acheson il 24 pomeriggio al quale hanno partecipato da parte italiana il presidente De Gasperi, il sottoscritto e Tarchiani e da parte americana il segretario di Stato, l’assistente Perkins, l’ambasciatore Dunn e il sig. Byngton.

Il presidente ha subito abbordato il problema triestino insistendo sui sacrifici impostici dal trattato di pace nella Venezia Giulia e in Dalmazia e spiegando la delicatezza, anche dal punto di vista interno, della questione. Gli argomenti ti sono noti perché sono gli stessi già esposti costì. Ha anche ricordato che, quando fu stabilita la linea Morgan, al Governo italiano, che aveva protestato, fu risposto formalmente che quella linea aveva puramente un carattere militare senza alcuna influenza sul tracciato del futuro confine. Ha aggiunto che la questione deve essere considerata come una questione territoriale rimasta insoluta dopo la guerra il che impegna gli Alleati, responsabili dei trattati di pace, a contribuire a risolverla. Ha infine detto che il Governo italiano non potrebbe in alcun caso rinunciare alla Dichiarazione tripartita del 19482 pure essendo disposto a considerarla come base per la ricerca di una soluzione del problema anche attraverso negoziati con la Jugoslavia.

A questo punto Acheson lo ha interrotto per dichiarare che nessuno ci chiede di rinunciare alla Dichiarazione del 1948 cui gli Stati Uniti tengono fede. Ha aggiunto che, a quanto gli risultava, la Jugoslavia era desiderosa di risolvere il problema per poter stabilire amichevoli rapporti con l’Italia e disporsi con maggior sicurezza a resistere alla pressione cui è sottoposta all’Est. All’ambasciatore jugoslavo che gli aveva esposto questi concetti alcuni giorni prima sottolineando contemporaneamente la difficoltà di risolvere la questione, egli (Acheson) aveva risposto che, secondo lui, un criterio logico sarebbe quello della «linea etnica»3. Il presidente ha espresso il proprio compiacimento di constatare che il suo pensiero e quello del segretario di Stato erano alquanto vicini. Ha precisato – con la carta grafica alla mano – che la linea etnica comprende le città costiere della Zona B. Ha accennato alla possibilità di considerare la situazione dei comuni slavi della Zona A, se necessario. Ha attirato l’attenzione del segretario di Stato – che ha annuito – sulla necessità che sia ben chiaro che le conversazioni debbano essere limitate al T.L.T. essendo da prevedersi anche la possibilità che da parte jugoslava si tenda, almeno in un primo momento, ad allargare il terreno della discussione.

Il presidente ha concluso esprimendo il suo desiderio di por fine allo stato di tensione che esiste nel settore adriatico ciò che consentirà una serena collaborazione della comunità occidentale e atlantica anche in quella parte d’Europa.

Si è quindi venuti a parlare del modus procedendi. Il presidente ha detto che, per quanto sia nota attualmente una generica disposizione dei due Governi a conversazioni dirette, egli non intendeva fare il primo passo e d’altra parte era da tener presente che, se al termine di una prima presa di contatto si dovesse constatare una rigida resistenza jugoslava, le trattative fallirebbero subito e la situazione verrebbe a trovarsi peggiorata. Nel corso delle considerazioni a cui questa dichiarazione del presidente ha dato luogo, è stata riconosciuta da parte americana l’opportunità di un approach americano a Belgrado. Tale azione è attualmente in corso.

Al momento di redigere il comunicato finale delle conversazioni il 26 mattina sono state manifestate al Dipartimento di Stato le nostre perplessità per l’accoglienza che l’opinione pubblica italiana avrebbe fatto al passo del comunicato, progettato da parte americana, relativo a Trieste, e si è proposta una redazione più esplicita a nostro favore. Il segretario di Stato ha replicato che egli non aveva difficoltà a venire incontro a nostre insistenze in questo senso, ma ci ha pregato di considerare che ciò gli avrebbe reso più difficile l’azione che egli ci aveva promesso di condurre presso gli jugoslavi: nel che abbiamo convenuto. Si incluse tuttavia nel comunicato l’accenno, già contenuto nel comunicato relativo alla conversazione col presidente Truman, migliorando così sensibilmente la primitiva redazione americana.


151 1 Vedi D. 119.


151 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


151 3 Vedi D. 75.

152

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’INCARICATO D’AFFARI A CANBERRA, CIRAOLO

T. 9560/46. Roma, 17 ottobre 1951, ore 22,15.

Tutti Stati europei e sudamericani firmatari trattato, e tutti Dominions ad eccezione Australia hanno pubblicamente dichiarato loro adesione dichiarazione tripartita per revisione. A nostra richiesta questo ministro Australia ha già da vari giorni sollecitato suo Governo secondo nostra richiesta. Nonostante notizia di cui suo 691, nessuna comunicazione è qui ancora pervenuta2.


152 1 Del 13 ottobre, con il quale Ciraolo aveva riferito essergli stata assicurata l’adesione australiana alla dichiarazione tripartita.


152 2 Con T. 13084/70 del 19 ottobre Ciraolo informava che Casey aveva intenzione di rilasciare alla stampa la dichiarazione di adesione in occasione della sua visita a Roma, prevista per i primi di novembre.

153

L’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 12994/147. Atene, 17 ottobre 1951, ore 20,45(perv. ore 6,36 del 18).

Suo telegramma 1121.

Venizelos mi incarica ringraziare l’E.V. per l’appoggio dato a desiderata di Atene in questione relativa inquadramento Grecia nel Patto atlantico. Egli ha l’impressione che principio dipendenza greca da Eisenhower sia considerato con favore da Stati Maggiori alleati, ma sarà grato se, ad ogni buon fine, Italia continuerà ad appoggiare domanda greca.

Per quanto concerne collaborazione militare italo-greca ha detto essere pienamente favorevole con codesto Ministero affari esteri conversazioni bilaterali fra Stati Maggiori nostri due paesi analogamente quelle che si dovranno tra breve iniziare fra autorità militari elleniche e turche. Ha aggiunto Stato Maggiore greco si accinge anche a prendere contatto con Stato Maggiore jugoslavo. Mentre però – ha continuato – Atene non può non considerare con scetticismo reale portata future intese militari con Ankara e mentre non è senza riserve e sospetti che si iniziano qui contatti militari con Belgrado, Governo ellenico è invece pienamente fiducioso nella sincerità e nell’importanza delle intese che potranno essere realizzate con l’Italia. Ha concluso dicendo che collaborazione militare tra Roma e Atene si potrà facilmente e felicemente concretare e sviluppare attraverso Comando ammiraglio Carney con invio Napoli di appositi rappresentanti greci.


153 1 Vedi D. 150.

154

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 12996/196. New York, 17 ottobre 1951, ore 20(perv. ore 7,15 del 18).

Ho avuto ieri sera con Hickerson, a Washington, conversazione che confermato previsioni di cui mio rapporto 2025 del 5 ottobre e tel. 1871. Assistevano anche Luciolli e due funzionari Dipartimento.

Riassumo quanto egli mi ha detto:

1) Governo americano avrebbe intenzione proporre ancora una volta in Consiglio sicurezza ammissione Italia e soltanto Italia. Si prevede naturalmente veto U.R.S.S.

2) Si propone inoltre chiedere diritto voto cioè piena partecipazione Consiglio tutela. Altro sicuro veto.

3) Potrebbe anche chiedere, se noi fossimo d’accordo, ammissione Italia senza voto ad Assemblea e tutti Comitati.

4) Dopo veti russi Governo americano non (dico non) si propone di far niente «almeno in questa sessione» per la semplice ragione che «nonostante migliore volontà non è riuscito a trovare formula giuridica per aggirare veto senza azione di forza».

5) Mi ha confermato opposizione americana a piano Belaunde2.

6) Desidera conoscere pensiero Governo italiano su primi tre punti non volendo intraprendere nulla senza nostro consenso.

È seguita lunga discussione. Prima di rispondere quesiti ho fatto due osservazioni:

I) Ero sorpreso si fosse giunti a tale decisione e motivazione allorché esperienza di questi anni aveva dimostrato fuori ogni dubbio che soluzione giuridica pura non (dico non) esiste e che per superare punto morto è indispensabile azione di forza in Assemblea o in Consiglio, esattamente come è stato fatto altre volte per questioni che interessavano grandi potenze; e tale situazione doveva essere ben nota al momento di Dichiarazione tripartita.

II) Ancor più incomprensibile mi appariva tale atteggiamento all’indomani ricatto politico Unione Sovietica che con sua nota3 pone sostanzialmente sullo stesso piano ammissione e revisione trattato e subordina l’una e l’altra ad uscita Italia da Pattoatlantico. Con accettare passivamente veto russo si sarebbe avallata una manovra inaudita. Hickerson ha ammesso validità questo punto vista ed io lo ho pregato farlo presente a segretario di Stato.

Per quanto riguarda ammissione senza voto ad Assemblea e Comitati ho detto non risultarmi fosse mutato atteggiamento nettamente negativo Governo italiano.

Per quanto riguarda azione in Consiglio per ammissione e piena partecipazione Consiglio tutela ho assicurato che avrei riferito V.E. e fatto avere risposta quanto prima a delegazione americana a New York. Temevo però proposta avrebbe messo in imbarazzo Governo. A mio avviso ripetuto veto russo senza alcuna reazione da parte grandi potenze, oltre aggravare situazione senza uscita, avrebbe fatto pensare a tutti compresa opinione pubblica italiana […]4 e Dichiarazione tripartita erano espressione platonico desiderio già vanamente espresso in tante altre occasioni. D’altra parte, mentre ora tutti si aspettavano in Italia e fuori grande dibattito a Parigi, silenzio sarebbe ugualmente incomprensibile e forse, in vista varie iniziative latino-americane, materialmente impossibile.

A mio avviso se Governo americano è irrevocabilmente deciso a non fare nulla, dovrebbe almeno far chiaramente capire dopo veto che prossima volta questione sarebbe stata risolta con o senza accordo russo. Ho insistito con forza su questo punto: non è escluso che abbia fatto breccia.

Prego telegrafarmi d’urgenza istruzioni tenendo presente mia partenza fissata martedì prossimo 23 corrente. Sarebbe anche utile doppiare mia azione con chiaro intervento al più alto livello con codesta ambasciata Stati Uniti5.


154 1 Vedi DD. 133 e 141.


154 2 Vedi D. 133.


154 3 Vedi D. 144.


154 4 Gruppi mancanti.


154 5 Per la risposta vedi D. 158.

155

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 11131. Washington, 17 ottobre 19511.

Guidotti riferirà direttamente a V.E. sul colloquio da lui qui avuto ieri con Hickerson (a richiesta di questi) in presenza di Luciolli, soprattutto per quanto concerne gli aspetti generali del problema dell’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite2.

Per quanto concerne specificatamente l’atteggiamento americano in questa questione, ritengo di poterlo riassumere come segue.

Il Dipartimento di Stato non ritiene di poter seguire la procedura additata nel memorandum, redatto da Guidotti e consegnato da V.E. ad Acheson in Ottawa3. La prima impressione negativa, data dallo stesso segretario di Stato e da Hickerson a V.E. nel corso dei colloqui di Washington e da me segnalata col rapporto n. 10632 del 4 ottobre4, risulta, pertanto, confermata.

Il Dipartimento di Stato ritiene, infatti, che quella procedura non abbia quel minimo di base legale, necessario per permettere di adottarla con buona probabilità di successo. Ho motivo di ritenere che questo atteggiamento americano non sia stato scosso dai sondaggi fatti a Londra e a Parigi.

D’altra parte il Dipartimento di Stato concorda con noi su due constatazioni fondamentali. Primo: la promessa contenuta nella dichiarazione anglo-franco-americana sulla revisione del trattato di pace5 non va intesa come un semplice voto platonico, ma comporta invece l’impegno di intraprendere qualche azione concreta. Secondo: nel perdurare dell’ostilità sovietica, è impossibile ottenere un risultato positivo senza «forzare» lo Statuto delle Nazioni Unite, cosicché la divisata azione concreta non può essere condizionata da una interpretazione strettamente legale dello Statuto.

Tra questi due punti (da un lato, l’impossibilità di seguire la procedura suggerita dal Governo italiano; dall’altro il proposito di dare un seguito pratico alla promessa fatta all’Italia) il Dipartimento di Stato non ha ancora trovato un orientamento se non sotto forma di tre iniziative, alle quali si è dichiarato disposto, sempreché vengano da noi accettate. Le tre iniziative sono le seguenti.

Primo. La proposta d’ammissione dell’Italia verrebbe ripresentata al Consiglio di sicurezza, nella speranza che l’U.R.S.S. non ponga un’altra volta il veto. La presentazione avverrebbe come un «caso speciale» (secondo l’espressione di Hickerson) per il fatto che l’Italia amministra la Somalia e che è inconcepibile che un paese, ritenuto adatto ad amministrarne un altro in base ai principi delle Nazioni Unite, sia esso stesso tenuto lontano dalle Nazioni Unite. Il Dipartimento di Stato si rende conto che, soprattutto dopo la nota sovietica sulla revisione del trattato di pace con l’Italia6, vi sono scarse possibilità che l’U.R.S.S. non ponga nuovamente il suo veto.

Secondo. L’Assemblea potrebbe deliberare di ammettere l’Italia ai suoi lavori, senza diritto di voto.

Terzo. Si potrebbe proporre una modifica dello Statuto, atta a permettere che l’Italia partecipi con diritto di voto al Trusteeship Council.

Dirà Guidotti quali probabilità vi siano che le sopradescritte iniziative abbiano successo. V.E. deciderà se e quali di esse siano meritevoli di essere da noi approvate (sulla seconda ci eravamo pronunciati, in passato, in senso negativo).

Per parte mia ritengo che il Governo americano, pur non ritenendosi in grado di fare di più nell’imminente sessione dell’Assemblea, evolverà lentamente verso decisioni più ardite, soprattutto se troverà conforto in analoghi propositi franco-britannici e se avrà la sensazione che eventuali più energiche iniziative raccoglieranno i suffragi di una forte maggioranza dei membri delle Nazioni Unite (praticamente: l’unanimità meno il blocco sovietico e pochi altri paesi).

Si tratta quindi per noi, non soltanto di continuare a premere affinché quelle più ardite decisioni vengano adottate al più presto possibile, ma anche di formulare qualche proposta affinché, in attesa di una soluzione completa del problema, sia compiuto qualche gesto, atto a far comprendere che l’U.R.S.S. non potrà ostacolare all’infinito l’ingresso dell’Italia all’O.N.U.

Tenuto conto della situazione sopradescritta, non ho creduto di esprimermi qui nel senso indicato nel telegramma di V.E. 5167, non solo perché il nostro suggerimento sarebbe in contrasto col pensiero americano, ma anche perché leggo sul New York Times che V.E., parlando al Senato, si è pronunciato senza riserve contro la connessione, imposta dall’U.R.S.S., per l’ammissione dell’Italia e quella dei satelliti.

So che Guidotti non ha ricevuto per conoscenza il telegramma sopracitato. D’altra parte io non ho ricevuto il telespresso 18168, citato nel telegramma di V.E. 9424/c.9 (il quale pertanto mi risulta incomprensibile) né le comunicazioni da Parigi, cui accenna Guidotti nel suo rapporto 2025 del 5 corr.10.


155 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


155 2 Vedi D. 154.


155 3 Vedi D. 129.


155 4 Vedi D. 132.


155 5 Vedi D. 124.


155 6 Vedi D. 144.


155 7 Vedi D. 146.


155 8 Dell’11 ottobre, diretto alle ambasciate a Parigi e Londra, ritrasmetteva il rapporto di Guidotti, qui pubblicato al D. 133, insieme ad altre comunicazioni dalla stessa rappresentanza all’O.N.U. e dall’ambasciata a Parigi.


155 9 Del 13 ottobre, diretto a Londra, Parigi e Washington, ritrasmetteva la seguente comunicazione di Guidotti relativa al punto di vista di Maurice Schuman, contrario a sottoporre direttamente all’Assemblea generale la questione della nostra ammissione all’O.N.U.: «Non ho nulla da obiettare in quanto nostra insistenza per evitare Consiglio di sicurezza certamente sarebbe destinata insuccesso e parmi altresì interesse nostro agevolare in ogni modo azione Schuman che può favorevolmente influire su atteggiamento altri due».


155 10 Vedi D. 133. Per la risposta vedi D. 169.

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATA A IL CAIRO E ALLE LEGAZIONI AD AMMAN, BEIRUT E DAMASCO

T. s.n.d. 9579/c. Roma, 18 ottobre 1951, ore 17,30.

Codesto Governo avrà certamente rilevato riserbo sino ad ora mantenuto da Governo italiano in merito divergenza anglo-egiziana e simpatia con cui opinione pubblica italiana considera, non solo da oggi, aspirazioni popoli arabi ad indipendenza e a collaborazione con altre nazioni su piede parità ed eguaglianza. Governo italiano non (dico non) tralascerà alcuna occasione favorevole per prospettare in sede internazionale necessità venire incontro tali legittime aspirazioni. Consideriamo infatti tale politica come la migliore per stabilire fra tutte nazioni cooperazione fiduciosa e costruttiva per progresso civiltà.

Paesi arabi possono quindi contare su nostra comprensione e su nostro appoggio.

Nessuno di noi può tuttavia perdere di vista il fatto che ci troviamo tutti (paesi arabi compresi) ad attraversare un periodo internazionale particolarmente difficile e che tutti dobbiamo trovare base solidarietà per assicurare la pace e per difendere, se necessario, insieme nostra comune antica civiltà. Dobbiamo quindi tenere presente tale imperativo e fare da ogni parte necessari sforzi comprensione perché attuale crisi Medio Oriente sia risolta in modo soddisfacente e onorevole e tale da consolidare compagine popoli civiltà occidentale fra i quali noi consideriamo anche nazioni arabe esposte stessi pericoli che ci minacciano.

Ogni ragionevole tentativo in questa direzione, sia che promani da paesiarabi stessi sia che venga avanzato da altre parti troverà pertanto nostro cordiale appoggio.

Pregola esprimersi nel senso suindicato in codesti ambienti responsabili.

157

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

T. s.n.d. 9641/120. Roma, 19 ottobre 1951, ore 24.

Nostro Stato Maggiore sarà lietissimo avere immediati contatti con quello ellenico e resta in attesa conoscere, tramite V.E., data in cui rappresentante greco grado elevato ritenga poter venire Roma. Da parte nostra qualsiasi data sta bene1.

Circa fondo questione e per sua norma linguaggio, Stato Maggiore italiano è d’avviso che Settore Sud Europa dovrebbe essere organizzato come dirò in appresso e ne fa in certo qual modo questione pregiudiziale circa la quale esso si ripromette insistere decisamente anche in prossime riunioni Comitato militare e Consiglioatlantico.

1) Sta bene che comandante in capo e comandante forze navali sia ammiraglio americano Carney.

2) Sta bene che comandante forze aeree sia generale americano Schlatter.

3) Sta bene che forze terrestri Grecia (cioè Settore balcanico) siano comandate da generale ellenico e che forze terrestri Italia (cioè Settore italiano) siano comandate da generale italiano.

4) Nostro Stato Maggiore chiede però di conservare il posto di comandante forze terrestri Settore Sud Europa, presso Carney e che ovviamente continuerebbe dipendere da quest’ultimo, ed aggiungo, a titolo personale, potrebbe eventualmente avere un vice comandante ellenico.

Confidiamo che codesto Governo e codesto Stato Maggiore siano d’accordo su tali linee e noi saremmo ben lieti di sostenere Grecia sul suo desiderio essere inclusa nel Settore Sud Europa piuttosto che nel Comando Medio Oriente. Collaborazione sarebbe così pienamente assicurata.

Pregola compiere al più presto sondaggi del caso e telegrafare2.


157 1 Con L. 34767, pari data, Marras aveva comunicato il punto di vista dello Stato Maggiore della Difesa sul ruolo della Grecia nell’organizzazione militare del Patto atlantico.


157 2 Alessandrini rispose (T. s.n.d. 13146/150 del 20 ottobre) che avrebbe ripreso le conversazioni su questo argomento dopo la formazione del nuovo Governo ellenico.

158

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,E AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

T. s.n.d. 9643/527 (Washington) 103 (New York). Roma, 19 ottobre 1951, ore 23.

(Per Italnation) Ho telegrafato a Washington quanto segue:

(Per tutti) Guidotti riferito sua conversazione con Hikerson cui ha assistito Luciolli1.

In sostanza Dipartimento di Stato sembra intenda riproporre, senza varianti, procedura che ha già avuto esito negativo altre volte, e su cui conclusione, anche nel caso presente, non vi possono essere dubbi. Faccia osservare costì che dopo dichiarazioni 26 settembre2 e dopo discorso presidente Truman3 opinione pubblica italiana si attende da parte americana più concrete iniziative condotte con maggiore energia e con precisa volontà superare veto sovietico. Non ci siamo mai fatte illusioni che, date imperfezioni Statuto, potesse trovarsi soluzione meramente giuridica. Questione fu sempre e rimane essenzialmente politica. Promessa dei Tre deve quindi concretarsi su piano politico e condurre a risultati tangibili che non lascino insoluto problema.

Se la tesi sovietica è illegale, essa deve potersi superare; se invece, pur essendo ingiusta, non si ritiene dichiararla improponibile e illegale, converrà allora lasciar che si segua altra via. Opinione pubblica italiana troverebbe infatti difficoltà, alla lunga, rassegnarsi a nostra esclusione dall’O.N.U. solamente perché da parte taluni paesi non (dico non) si vogliono ammettere altri Stati, tanto più considerando posizione Jugoslavia che è addirittura membro Consiglio sicurezza pur essendo Stato comunista. Paesi amici potrebbero sollevare problema sotto altra veste, magari con proposta contemporanea ammissione di quegli Stati sinora esclusi, in nome anche di quel principio di universalità che trova già autorevoli assertori. Ci rendiamo conto difficoltà Stati Uniti votare essi stessi tale proposta, ma questa potrebbe essere avanzata da sudamericani o da gruppo arabo. Tanto più che raccomandazione Consiglio non è determinante e Stati Uniti potrebbero astenersi da voto favorevole a Consiglio sicurezza permettendo così inoltro raccomandazione ad Assemblea dove è pur sempre necessaria maggioranza due terzi. Ne intrattenga Dipartimento di Stato con molta franchezza.

(Per Italnation) Si esprima anche lei con Gross e altri costì nello stesso senso.


158 1 Vedi D. 154.


158 2 Vedi D. 124.


158 3 Vedi D. 132, nota 5.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE DEL MESSICO A ROMA, OJEDA

L. 3/662. Roma, 19 ottobre 1951.

Ho l’onore di rispondere alla lettera del 16 corr.1 con cui V.E. ha voluto comunicarmi il testo della dichiarazione del Ministero degli affari esteri del Messico che fa conoscere, a seguito della Dichiarazione di Washington del 26 settembre2, la posizione del suo Governo relativamente alla revisione del trattato di pace con l’Italia e l’ammissione di questa alle Nazioni Unite.

È con rinnovato compiacimento che il Governo italiano ricorda, in questa occasione, le precedenti manifestazioni di solidarietà e di simpatia che il presidente degli Stati Uniti del Messico, signor Don Miguel Aleman, ha fatto a favore della revisione del trattato e l’appoggio dato dal Messico per ottenere l’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite.

Mi è pertanto maggiormente gradito pregarla, signor ambasciatore, di trasmettere al presidente e al Governo del Messico l’apprezzamento mio personale e del Governo italiano per la cordiale adesione data dal Messico alla Dichiarazione tripartita di Washington del 26 settembre u.s.

Desidero anche ringraziarla, signor ambasciatore, per il contributo che ella ha personalmente dato a quest’azione tendente a rendere sempre più cordiali i rapporti tra i nostri due paesi.


159 1 Non pubblicato.


159 2 Vedi D. 124.

160

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 5377/3063. Londra, 19 ottobre 1951(perv. il 22).

Mio telespresso n. 5254/29881 e mio telegramma del 12 corrente2.

Il Foreign Office ha ormai definitivamente deciso di non rispondere alla nota sovietica relativa alla revisione del nostro trattato di pace. Tale tendenza era affiorata sin dal primo momento ed anzi, nella prima redazione delle dichiarazioni che il portavoce del Foreign Office avrebbe dovuto fare alla stampa in merito alla nota russa (dichiarazioni che vennero preventivamente sottoposte a questa ambasciata), era espressamente indicato che la nota stessa era di carattere tale da non meritare alcuna risposta ufficiale. La frase fu peraltro cancellata, sia per ragioni di opportunità, sia perché probabilmente si preferiva a Londra di conoscere anche il punto di vista di Washington e di Parigi al riguardo, dato che nota era stata inviata anche agli Stati Uniti e alla Francia.

Secondo quanto ci è stato fatto presente sin dal primo momento, la decisione di non rispondere è determinata da un complesso di elementi, e più precisamente:

– la nota russa non richiede risposta, in quanto è essa stessa una risposta – sia pur insoddisfacente ma comunque già scontata in precedenza – alla dichiarazione tripartita del 26 settembre u.s.3;

– ove si rispondesse da parte occidentale a tale nota, si darebbe inizio ad una di quelle interminabili polemiche che non conducono ad alcun risultato positivo ed offrono anzi all’U.R.S.S. lo spunto per intensificare la sua propaganda anti-occidentale;

– per quanto riguarda la questione di sostanza, e cioè le condizioni che l’U.R.S.S. pone alla revisione del trattato, qui si ritiene che il Governo britannico – ove rispondesse ufficialmente ai russi che si tratta di condizioni inaccettabili – si sostituirebbe al Governo italiano in un settore quanto mai delicato come quello delle nostre prerogative sovrane.


160 1 Del 12 ottobre, trasmetteva il testo della nota sovietica a Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, vedi D. 144.


160 2 T. 12796/499, riportava un commento ufficioso del Foreign Office sulla nota sovietica dell’11 ottobre di cui al presente documento.


160 3 Vedi D. 124.

161

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 1589/1138. Londra, 19 ottobre 1951.

Mi riferisco alla tua lettera segr. pol. n. 1826 del 13 ottobre1 e al telegramma n. 1662.

Non potrei essere maggiormente d’accordo con te sulla necessità di evitare che gli sviluppi dell’Alleanza atlantica verso una politica estera comune possano risolversi nell’indiscriminato prevalere della politica e degli interessi di uno o due paesi su quelli degli altri.

Ancora qualche giorno fa in sede di Working Group del Comitato dei Cinque, ho riaffermato il principio che ogni paese ha facoltà di sollevare qualunque questione in qualunque momento e di ottenere su di essa le più ampie informazioni dagli altri paesi. Ciò in contrasto con una proposta canadese diretta a lasciare l’iniziativa unicamente ai maggiori paesi.

Per quel che attiene alla disputa anglo-egiziana, sono egualmente d’accordo con te che il Foreign Office ha commesso una serie di errori nell’impostare la sua politica post-bellica nei confronti del Medio Oriente. Del resto, il mio pensiero a questo riguardo, come pure la necessità che l’Inghilterra offrisse alla Persia condizioni accettabili, vennero da me ripetutamente espressi, come ti è noto, allo stesso ambasciatore britannico, ancora molto prima che lasciassi Teheran.

Quanto all’aspetto pratico della questione generale, quale si presenta ora nel quadro del N.A.T.O., vorrei tuttavia esprimerti alcune considerazioni.

Può essere superfluo ricordare in qual modo l’Italia sia giunta a far parte del Patto atlantico. Sta di fatto che noi siamo presentemente legati alla Gran Bretagna da un’alleanza alla quale abbiamo aderito liberamente, riconoscendo che la somma dei nostri interessi permanenti ci porta a gravitare decisamente con il resto del mondo occidentale, del quale siamo parte integrante.

Riconoscendo la preponderanza di quanto abbiamo in comune sul piano degli idea-li democratici, delle rispettive libertà politiche da difendere e degli interessi comuni, abbiamo superato i molteplici motivi del nostro giusto risentimento verso di essa.

In quanto membri di questa comunità, noi abbiamo oggi l’interesse, oltre che il dovere, di evitare ogni indebolimento di qualunque paese atlantico. In particolare, la stabilità e l’efficienza delle forze che assicurano la difesa del Mediterraneo, della massima importanza per tutti i paesi del Patto, è per l’Italia assolutamente vitale.

In presenza di un evento della portata della attuale crisi egiziana (il primo evento che mette alla prova – sia pure su di un piano per ora puramente morale e generico – quella solidarietà atlantica che è a fondamento del Patto e alla quale noi abbiamo fatto appello ancor ieri a Ottawa per la modifica del trattato di pace) la Gran Bretagna si attende che tutti i membri del Patto – noi compresi – diano prova di spirito amichevole o, quanto meno, di favorevole disposizione.

Ciò non menoma affatto, naturalmente, la nostra facoltà di parlare realisticamente alla Gran Bretagna, in conversazioni dirette, qui a Londra o altrove, e ciò anzi può essere forse il solo modo di esprimere, nello spirito dell’Alleanza, tutti quei consigli e quegli avvertimenti che per la nostra speciale posizione geografica e conoscenza dei problemi mediterranei potessimo dare utilmente per facilitare il superamento della presente crisi, con conseguente rafforzamento della comunità di cui non possiamo dimenticare di essere parte.

È bensì vero che noi non possiamo avallare ogni manifestazione della politica estera della Gran Bretagna nel Vicino Oriente, ma è altrettanto vero che ogni giuoco ha le sue regole e che anche l’Alleanza atlantica ha le sue.

Ora è certo che la mancanza dei nostri buoni uffici e, ancor più, di una semplice espressione di solidarietà sarebbe qui considerata non amichevole.

Anche gli Stati Uniti, del resto, di cui è nota la decisa e antica avversione verso ogni superstite espressione del colonialismo britannico, non hanno esitato a dichiarare la loro solidarietà con la Gran Bretagna, quando si è trattato della sicurezza del Canale.

Le dichiarazioni del presidente De Gasperi3, riportate oggi da questa stampa, mostrano che tali esigenze hanno anche da noi prevalso. E devo dirti che me ne rallegro, non per una qualche forma di astratto sentimentalismo filobritannico, di cui davvero non sarei capace, ma perché non vedo quale vantaggio avremmo potuto avere a rimanere assenti in questa occasione – la prima che ci si offre – di dimostrare all’Inghilterra che uno spirito nuovo lega i paesi della Alleanza atlantica; che come noi rispettiamo alcuni principii che sono alla base del Patto, così ci attendiamo che tali principii vengano rispettati in futuro dagli altri e che quindi se chiediamo, come abbiamo chiesto, di offrire le nostra collaborazione in quello che sarà il futuro sviluppo del continente africano e del Vicino Oriente, lo facciamo per dare un contributo costruttivo e comunque utile a tutti, e non per speculare sulle altrui divergenze.

È in questo spirito che continuo a credere che una nostra azione a Londra e al Cairo potrebbe essere utile e costruttiva nell’interesse di tutti.

Può darsi che veda il problema con una deformazione atlantica ma non lo credo. Lo spirito della solidarietà atlantica è quello per cui siamo entrati a fare parte dell’Alleanza e su di esso, entrando nell’Alleanza, abbiamo basato la tutela del nostri interessi nazionali ed occidentali.


161 1 Vedi D. 148.


161 2 Del 16 ottobre, con il quale Zoppi evidenziava l’inopportunità di un intervento italiano nella controversia anglo-egiziana.


161 3 Si riferisce alle dichiarazioni del 18 ottobre di De Gasperi al Senato durante il dibattito sul bilancio del Ministero degli esteri, in Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1948-1951, vol. XXIV, seduta del 18 ottobre, pp. 27396-27398.

162

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 13169/264. Mosca, 20 ottobre 1951, ore 22,30(perv. ore 23,45).

La replica sovietica1 alla risposta francese del 26 settembre scorso2 sui piani Pleven e Schuman consegnata ieri da Vyshinsky a Brionval è pubblicata oggi stesso da tutti quotidiani con prevalente impressione che essa va collegata agli altri recenti atti diplomatici sovietici: dichiarazione di Vyshinsky agli U.S.A., nota alla Norvegia circa il Patto atlantico e Spitzberg, risposta sovietica circa revisione trattato italiano3, dichiarazione atomica di Stalin. Questi atti confermano e sviluppano il processo di irrigidimento della politica sovietica che ebbe inizio dopo il rigetto delle proposte fatte da Shvernik in risposta al messaggio Truman e si intensificò dopo San Francisco. Si confermano quindi premature le aspettative di coloro che sperano una ripresa di iniziativa diplomatica sovietica mediante una allettante offerta di compromesso. È pure impressione comune che nello stesso tempo sovietici stiano preparando il loro dossier per la Assemblea O.N.U. tendente a dimostrare che da ogni parte li minaccia la politica aggressiva dei regimi capitalistici. Per ciò che riguarda in particolare la dichiarazione Vyshinsky agli americani, questi ultimi mal celano loro disappunto e loro indignazione. Sovietici hanno effettivamente silurato un tentativo di vera e propria azione diplomatica segreta mettendo in pubblico una iniziativa confidenziale e facendo apparire gli americani come postulanti di un accordo Corea in vista supposte difficoltà militari. Inoltre confrontando lo statement di Kirk or ora pubblicato e riassunto fattone da Vyshinsky è chiaro che questo lo ha deformato. Infatti mentre Kirk proponeva anzitutto un accordo Corea e solo di riflesso un possibile principio di distensione più generale, Vyshinsky ha sdoppiato la sua dichiarazione quasi essa comprendesse una proposta parallela di trattative e per la Corea e per la situazione generale. Del resto nella loro risposta sovietici sembrano voler dire che un accordo limitato alla Corea non sarebbe sufficiente ma dovrebbe estendersi ampiamente a tutti grossi problemi della Germania, Giappone, arma atomica, disarmo generale, Patto a cinque. La situazione di Parigi si sarebbe dunque rovesciata: i sovietici proponevano trattare Germania soltanto e gli occidentali estendevano la discussione, qui sarebbero sovietici fare opposto nei riguardi Corea. Questa la impostazione che sovietici propongonsi dare alla discussione dell’Assemblea O.N.U.; sembra evidente che essa non potrà dare alcun risultato pratico. Sotto questo aspetto il risentimento americano appare giustificato e pur non drammatizzando affatto situazione bisogna confermare che ogni speranza di una prossima fruttuosa iniziativa sovietica di distensione appare per ora illusoria.


162 1 Del 19 ottobre, ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 43, pp. 830-831.


162 2 Ibid., n. 40, p. 775.


162 3 Vedi D. 144.

163

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON L’AMBASCIATORE D’EGITTO A ROMA, BADR BEY

Verbale. Roma, 20 ottobre 1951.

Ringrazia per le parole cortesi dette alla Camera1 e per il pensiero di simpatia che le ispira. Il Governo egiziano le ha molto apprezzate; così certamente tutte le nazioni arabe.

Chiede se avevo proposte concrete.

Rispondo che si tratta di gesto di buona volontà, spontaneo, non ispirato da altre potenze. Non conosco i termini esatti della situazione costituzionale e giuridica e le possibilità di sviluppo. Ho incaricato Prunas d’informarci. Saremo felici se in qualche modo voi o l’Inghilterra credete che possiamo essere utili alla soluzione pacifica. Da una parte la nostra esperienza risorgimentale ci abilita a comprendere ogni movimento d’indipendenza nazionale, d’altro canto siamo membri leali e convinti del P.A. Sentiamo che bisogna trovare una via che non metta in pericolo la sicurezza collettiva e vi dia tuttavia soddisfazione.

Mi chiede se avevo particolari informazioni su pensiero americano. Dichiaro di non aver comunicazioni, ma di ritenere che America si preoccupa soprattutto della difesa collettiva e quindi della sicurezza del Canale. Se posso dare un consiglio è quello di venire incontro a tali preoccupazioni, che sono comuni agli Stati atlantici; ma che in modo particolare sono assolutamente determinanti per gli U.S.

Conclude con nuovi ringraziamenti e colla preghiera d’informarlo sopra l’impressione che la mia dichiarazione avrebbe fatto a Londra e a Washington e in genere sulle potenze.

Rispondo che pregherò il segretario generale di farlo2.


163 1 Vedi D. 161, nota 3.


163 2 Un riassunto del colloquio fu trasmesso a Londra, Parigi, Washington e Il Cairo con T. segreto 9733/c. del 22 ottobre con le seguenti istruzioni: «Solo per Washington e Il Cairo: Pregasi riservatamente appurare se e quali commenti abbiano determinato in codesti ambienti politici dichiarazioni governative in Parlamento circa Medio Oriente».

164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. Roma, 20 ottobre 1951.

Ho potuto leggere appena oggi il tuo rapporto sull’interessante colloquio con Lord Jowitt1. All’occasione ti pregherei di fargli sapere che valuto in tutta la sua importanza il contributo che egli ha dato alle migliorate relazioni italo-inglesi e che apprezzo assai la sua promessa di volere operare in tal senso anche per l’avvenire.

Dal marzo in qua, ch’io sappia, non è accaduto nulla di grave; ma bisogna pur convenire che alcuni episodi dell’Amministrazione militare di Trieste hanno fatto nascere nei triestini, estremamente suscettibili e attraverso loro nei circoli più sensibili italiani, l’impressione che prevalentemente da parte inglese si tentasse di rendere permanente l’attuale situazione di Trieste.

La campagna giornalistica avviata dal Grazzini sul Corriere è probabilmente dovuta alla circostanza che il G.M.A. volle indire le elezioni amministrative, senza tener conto dell’avviso del Governo italiano. Io intervenni poi contro le elezioni non per attizzare ma per spegnere il fuoco, e fu davvero una disgraziata tattica del Governo inglese quella di non recedere che all’ultimo momento, sotto la combinata pressione di altri. Fu questa ostinazione che sembrò dar ragione alle supposizioni che accennai più sopra e che io credo infondate. Meno infondata fu forse l’altra ipotesi che si volesse premere sulla Zona A, per renderci più morbidi nella Zona B ove si riteneva che gli intransigenti fossimo noi.

Anche l’aver ripetuto a Washington il tentativo di vincolare la revisione alle trattative di Trieste ci è parso poco simpatico.

Ora spero che molte cose saranno chiarite e si chiariranno. L’importante è che il G.M.A. abbia istruzioni di non stuzzicare la suscettibilità triestina – talvolta forse esagerata – in modo da non lasciar dubbi sul destino di Trieste. Questo senso di sicurezza restituirà la calma e ci permetterà di cogliere ogni occasione per risolvere la questione dell’altra Zona.

Ad ogni modo si può star certi ch’io non ho nessun preconcetto contro la Gran Bretagna, della quale apprezzo debitamente il ruolo che svolge e che niente più desidero che di alimentare relazioni di sincera cooperazione.

È vero, non sempre la stampa italiana di informazione rispetta questa linea di condotta; ma non si può dire qualcosa di simile anche per quella inglese?

E ricordando con riconoscenza che su questa via di riavvicinamento tu hai camminato con notevole successo, esprimo la speranza che codesta positiva esperienza tu possa ancora in altre guise mettere a profitto nell’interesse del nostro paese.


164 1 Vedi D. 145.

165

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

Verbale1. Parigi, 22 ottobre 1951.

Inizio della conversazione: ore 18.

I. Taviani dice a Schuman di essere stato incaricato dal presidente del Consiglio di informarlo dei risultati delle sue conversazioni a New York, in conformità degli impegni presi fra i due Governi alla Conferenza di Santa Margherita2.

a) Le impressioni che il presidente De Gasperi ha riportato dei dirigenti americani, per quanto concerne la politica generale, coincidono con quelle riportate a suo tempo dal ministro Schuman. Gli americani sono convinti di essere sulla buona strada.

Per quello che riguarda l’impostazione della loro politica, non intendono fare solo una politica di forza: essi non vogliono perdere alcuna occasione che sia possibile per negoziare. Il presidente De Gasperi nel suo discorso alla Camera3 ha detto – e non era un’affermazione politica – che ha inteso parlare molto meno di guerra negli Stati Uniti che in Europa.

b) Circa la questione di Trieste, il presidente De Gasperi ha spiegato agli americani che si tratta di una questione di tale importanza per la politica interna italiana che, né lui, né nessun altro uomo di Stato potrebbe fare accettare al Parlamento una soluzione, che non fosse conforme alle legittime aspettative italiane. Gli americani lo hanno capito ed hanno capito anche che è necessario che essi esercitino una pressione sulla Jugoslavia: e lo hanno già fatto. Schuman si felicita di questo risultato. La tesi che ha sostenuto la Francia con gli inglesi e gli americani è sempre stata quella che gli Alleati debbono astenersi con ogni scrupolo da qualsiasi gesto, che possa dare l’impressione che si eserciti una pressione qualsiasi sull’Italia. Una soluzione della questione di Trieste non può essere che una soluzione italiana. A sua impressione, le pressioni americane sugli jugoslavi hanno già dato buon effetto: in conversazioni recenti, che egli ha avuto con loro, essi gli hanno fatto capire – cosa che non hanno fatto fino adesso – di essere disposti ad accettare una soluzione basata sulla linea etnica.

Taviani osserva che non ritiene di poter essere così ottimista: esistono due concetti, quello italiano della linea etnica il quale intende che almeno tutte le cinque città del litorale della Zona B debbano andare all’Italia, riconoscendo la possibilità di fare una concessione agli slavi, per quanto riguarda la montagna che è prevalentemente slava. L’idea jugoslava è viceversa quella dell’equivalenza etnica: ossia una linea, la quale lasci tanti slavi sotto dominio italiano, quanti italiani sotto dominio jugoslavo. Secondo questa interpretazione jugoslava, gli slavi presenti a Trieste e Duino costituiscono già un equivalente per gli abitanti italiani della cittadina della costa. Resta comunque inteso che l’Italia – come lo dimostra anche un recente o.d.g. effettuato dalla Camera dei deputati – è sempre disposta a intavolare trattative dirette sulla base della Dichiarazione tripartita.

c) Taviani ringrazia il ministro Schuman a nome del presidente del Consiglio per quanto la Francia ha fatto per la revisione del trattato di pace.

Schuman accenna alle difficoltà, che ha avuto a questo riguardo con gli inglesi, che volevano abbinarla con la questione jugoslava. Accenna anche che probabilmente gli inglesi saranno ora delusi per il fatto che gli jugoslavi, nonostante tutte le loro avances, li hanno abbandonati al Consiglio di sicurezza.

d) Ammissione dell’Italia all’O.N.U. Taviani dà comunicazione a Schuman delle ultime informazioni di Guidotti circa l’atteggiamento americano. Schuman aveva le stesse informazioni. Taviani ricorda a Schuman tutta l’importanza politica e morale che la questione ha per l’opinione pubblica italiana specie di fronte all’ultima nota ricattatoria della Russia. Non è possibile restare sul piano di una semplice ripresentazione della cosa al Consiglio di sicurezza. Occorre che si trovi una maniera di portare il dibattito all’Assemblea ed avere una netta presa di posizione dell’Assemblea in nostro favore. Qualora i Tre non ritenessero adesso il momento opportuno per fare, nei riguardi della Russia, un colpo di forza analogo a quanto è stato fatto a San Francisco, bisognerebbe almeno che, dopo la manifestazione dell’Assemblea, si avesse una dichiarazione che la questione sarà ripresa alla prossima riunione. Schuman dice di comprendere perfettamente ed assicura che questa è l’intenzione del Governo francese e che egli sta studiando con i suoi tecnici la migliore maniera di realizzare il desiderio nostro che è anche desiderio del Governo francese4. Schuman accenna alla possibilità di far accettare alla Russia l’ammissione dell’Italia come contropartita dell’ammissione di uno o due dei suoi Stati satelliti. A richiesta di Taviani, se egli ritiene che questa proposta sarebbe accettata dagli americani, Schuman dice di non aver avuto ancora occasione di sondarli sull’argomento, ma che si riserva di farlo. Secondo Schuman la nota sovietica è un’indicazione della posizione, che la Russia intende assumere in Consiglio di sicurezza: invece di riconoscere, come aveva fatto finora, che l’Italia ha i requisiti per entrare all’O.N.U. e che il veto è solo condizionato all’ammissione anche dei candidati della Russia essa motiverà adesso il suo veto con il fatto dell’adesione dell’Italia al Patto atlantico che è una minaccia per la pace, negando cioè i requisiti dell’Italia.

e) Taviani espone, nelle somme linee, i risultati economici della missione De Gasperi in America. Schuman se ne compiace.

II. Taviani dice a Schuman ritenere suo desiderio, come ebbe occasione di farlo per il piano Schuman, di chiarire francamente la posizione dell’Italia nei confronti dell’esercito europeo.

Il punto di vista italiano per quello che riguarda i poteri dell’Assemblea è stato già sufficientemente chiarito: ma c’è un altro punto che egli desidera ancora precisare. Secondo il rapporto intérimaire i Parlamenti dovrebbero ogni anno votare i fondi che ogni paese mette a disposizione della Comunità europea di difesa: quale che sia la decisione del Governo, nessun Parlamento italiano accetterà mai di ripetere ogni anno questa rinuncia parziale alla sovranità: occorre che la rinuncia alla sovranità venga fatta una volta per tutte. Il problema non è difficile, perché si tratterebbe per noi dell’applicazione di uno speciale articolo della Costituzione. Questo lo si può ottenere: l’atto formale no. Taviani tiene a fargli presente con tutta franchezza: il Governo italiano potrebbe essere portato a firmare, ma il Parlamento non ratificherebbe. Il Governo francese potrà magari firmare e il suo Parlamento non ratificare; il Governo italiano invece ritiene, per un complesso di ragioni, di non poterlo fare: si tratta di un punto quindi che la delegazione italiana e il Governo italiano dovranno difendere con la massima energia e sul quale non possono cedere. Schuman dice che le stesse considerazioni gli sono state fatte da Van Zeeland, anche se la conclusione a cui arriva il Governo belga è che bisognerebbe accontentarsi di un esercito integrato. Taviani ribadisce a questo riguardo che l’Italia vuole invece una soluzione confederale, ma non può accontentarsi di una soluzione che lo sia di fatto senza esserlo anche espressamente. I criteri adottati per il piano Schuman non possono essere adottati per la Comunità europea di difesa. Schuman osserva che questo è anche il suo pensiero: attira l’attenzione di Taviani sul fatto che Pleven, nel suo discorso di Marsiglia, ha preso una posizione nettamente federalista, così come egli, Schuman, l’aveva presa ad Ottawa. Aggiunge che, a suo avviso, c’è anche un’altra questione, che si presenta ed è quella di stabilire chi ha il diritto di decidere l’impiego dell’esercito europeo. Quello che Taviani dice delle obiezioni che potrebbero incontrarsi al Parlamento italiano vale anche per il Parlamento francese. Quaroni osserva che, anche dalle sue precedenti conversazioni, gli risultava che Schuman condivideva le obiezioni ed il punto di vista italiano: doveva però fargli presente che la delegazione francese alla Conferenza restava ferma o quasi sulle posizioni del rapporto intérimaire: aveva dato, sì, la sua adesione alla nostra proposta sul carattere confederale dell’Assemblea, ma non aveva mostrato di volerci seguire sul terreno finanziario. Taviani ha tenuto a ripetere a Schuman, perché non ci fosse equivoco, che il Governo italiano non aveva accettato il rapporto intérimaire. Schuman dice che questo punto è perfettamente chiaro. Ringrazia Taviani della sua franca spiegazione e si compiace di vedere che il pensiero suo e del presidente De Gasperi su questo argomento evolve nella stessa direzione.

III. Circa la Conferenza dei Dodici, Taviani ripete che il Governo italiano continua a non essere favorevole alla soluzione, sia di diritto che di fatto, dei Tre: fintanto però che essa esiste, chiede a Schuman, sulla base degli accordi di Santa Margherita, che la Francia assuma, nel gruppo dei Tre, la rappresentanza e la difesa degli interessi italiani. Schuman si dichiara senz’altro d’accordo e chiede se noi abbiamo dei punti speciali da far rivalere fin da adesso. Taviani dice che si tratta soltanto di riaffermare una questione di principio. Schuman risponde che va bene e che, a mano a mano che si presenteranno delle singole questioni, prega che, oltre che parlarne personalmente a Monnet, ne venga informato egli stesso per le necessarie istruzioni a Monnet da parte del Governo francese. Fa osservare sorridendo che, teoricamente, Monnet non è il rappresentante del Governo francese, ma un delegato dei Dodici, e che Monnet ha delle idee sue: assicura comunque che l’Italia, per tutte le questioni che la interessano, può contare sull’appoggio del Governo francese.

IV. Per quello che concerne il traforo del Monte Bianco, Schuman dice che, dopo aver ricevuto un appunto dell’ambasciatore, ne aveva parlato col ministro dei lavori pubblici. Questi è d’accordo ma pensa che sia meglio far presentare la richiesta di fondi dal Governo francese da parte del Comitato francese, cosa che sarà fatta nei prossimi giorni.

V. Circa la Commissione mista per l’emigrazione, Schuman dice di non essere ben documentato sull’argomento, ma di aver inteso all’ultimo Consiglio dei ministri la fine di una relazione del ministro della ricostruzione circa un programma di immigrazione di lavoratori edili, che sarebbe stato un principio dell’eliminazione delle difficoltà opposte dal Ministero del lavoro. Quaroni prenderà contatto con il ministro della ricostruzione e ne riparlerà con Schuman.

VI. Circa lo scambio di informazioni anticomuniste, Schuman è d’accordo per portare la questione alla prossima riunione del Consiglio atlantico. Taviani accenna, sul piano italo-francese, al desiderio del Governo italiano di una coordinazione anche dell’azione dei due Governi circa i provvedimenti da assumere in occasione di riunioni culturali, propaganda od altro. Si resta d’accordo che Quaroni presenterà al più presto a Schuman un promemoria dettagliato sull’argomento.

VII. Schuman promette di interessarsi alla questione dei profitti illeciti di guerra.

VIII. Schuman chiede a Taviani se è esatto che l’Italia ha ora offerta la sua mediazione fra Egitto e Inghilterra.

Taviani spiega la posizione del discorso De Gasperi5. Spiega anche che l’Italia, che si preoccupa della difesa del Medio Oriente, come si preoccupa di quella della frontiera europea, non può disinteressarsi della politica che viene seguita nei riguardi dell’Egitto e degli Stati musulmani in genere, politica che non vuole tenere sufficiente conto delle aspirazioni nazionali dei paesi e della situazione interna di essi.

In dettaglio poi l’opinione pubblica italiana ed il Governo italiano non possono accettare l’idea che alla difesa del Canale di Suez venga chiamata a partecipare la Nuova Zelanda e non vengano chiamati due paesi mediterranei come la Grecia e l’Italia. Su questo argomento Schuman evita una risposta diretta e si limita a scindere la responsabilità del Governo francese da quella che è stata ed è la politica egiziana dell’Inghilterra, dicendo che la Francia non era stata previamente consultata dall’Inghilterra sulle differenti fasi delle trattative e delle proposte. Si limita in complesso ad esprimere il desiderio di restare su questo argomento in contatto con noi.

IX. Taviani spiega, con qualche dettaglio, a Schuman la maniera con la quale si sono svolti i recenti dibattiti parlamentari in Italia, analizzando e mettendo in rilievo il successo politico del presidente De Gasperi di cui Schuman si compiace.

Il colloquio ha termine alle ore 19,25.


165 1 Al colloquio era presente Quaroni che redasse il presente verbale.


165 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.


165 3 Si riferisce alle dichiarazioni di De Gasperi relative al viaggio negli Stati Uniti d’America, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1951, vol. XXIII, seduta del 5 ottobre, pp. 31028-31038.


165 4 Vedi D. 175.


165 5 Pronunciato al Senato il 18 ottobre, vedi D. 161, nota 3.

166

IL MINISTRO A DAMASCO, NATALI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 2207/843. Damasco, 22 ottobre 1951(perv. il 30).

Riferimento: Suo telegramma S/9579/c. del 18 corrente1.

Ho intrattenuto oggi questo ministro degli affari esteri dr. al Atassi, in relazione alle istruzioni impartitemi col telegramma indicato a riferimento.

Ho illustrato in modo particolare la politica di collaborazione che il Governo italiano intende attuare con la Siria e con gli altri paesi arabi del Medio Oriente, nell’interesse generale della pace e della difesa della nostra comune civiltà mediterranea.

Il dr. al Atassi si è dimostrato particolarmente sensibile alla nostra amichevole comprensione, che considera fattore importante per il Medio Oriente e mi ha pregato di rendermi interprete presso l’E.V. dei suoi sentimenti di sincera gratitudine, che è certo saranno condivisi dal Governo siriano, a cui riferirà subito le mie dichiarazioni.

Circa le effettive possibilità di un nostro intervento nel conflitto anglo-egiziano, non mi ha nascosto una certa perplessità, non vedendo bene, almeno per il momento, come si possa giungere ad una distensione dei rapporti attuali e ad un regolamento pacifico dei medesimi. Egli stesso non saprebbe cosa proporre di concreto. Ciò nonostante non dubita che il concorso ed il sostegno dell’Italia, qualificata più degli altri paesi ad intervenire, possano avere benefici effetti.

La crisi egiziana è considerata molto grave e l’esercizio di una mediazione oltremodo difficile.

Come avvicinare infatti le parti e conciliarne onorevolmente le esigenze? Egli spera tuttavia che il buon senso e la misura inspirino per l’avvenire l’azione degli uomini responsabili, nell’intento di evitare un ulteriore pericoloso peggioramento della situazione.

Gli avvenimenti provocati dall’improvvisa decisione egiziana, in merito alla quale i paesi arabi non furono presentiti, hanno determinato un’atmosfera di viva inquietudine.

Il Governo siriano, che non aveva previsto l’ampiezza e l’importanza delle reazioni delle parti in conflitto, è disorientato e non sa veramente cosa decidere.

Inutile continuare a parlare di Lega, di fronte unico e di unità araba; sono, ormai, espressioni prive di contenuto. La realtà si è imposta anche a molti di coloro che ubriachi di nazionalismo, rifiutavano di conoscerla.

Nei primi giorni del prossimo mese di novembre, il Comitato politico tornerà a riunirsi ad Alessandria. I rappresentai degli Stati arabi sanno in anticipo che non concluderanno nulla perché la Lega, organismo nato inoperante, non ha la possibilità di assolvere utilmente le sue funzioni.

Alcuni paesi sono ormai decisi a fare separatamente la politica che riterranno più confacente alla tutela dei loro interessi nazionali.

Questa possibilità è stata ammessa dallo stesso ministro degli affari esteri.

Ad una mia domanda circa l’atteggiamento che la Siria riserverebbe all’invito delle potenze occidentali a partecipare, indipendentemente dall’Egitto, alla organizzazione della difesa del Medio Oriente, il dr. al Atassi mi ha risposto che la possibilità di ricevere tale invito è stata presa in esame, ma che il suo Governo non ha adottato ancora alcuna decisione.

«Noi siamo un paese indipendente che ha diritto di decidere, in piena libertà, del proprio destino. Ciò nonostante non ci facciamo soverchie illusioni; le potenze, anziché trattare, ci metteranno presto con le spalle al muro per obbligarci a servire la loro causa. È una situazione tragica! Come potrà il Governo siriano assumere, contro la volontà del paese, la responsabilità di accettare una simile imposizione?».

Egli ha aggiunto che in Siria la maggioranza non crede al pericolo russo; tutti credono invece al pericolo ebraico. «Israele è il nostro vero nemico. Contro di lui armatissimo, noi Stati arabi, siamo stati lasciati deliberatamente inermi. Il giorno in cui la sua popolazione, che aumenta di continuo, sarà raddoppiata, cercherà sulle nostre terre lo spazio vitale di cui avrà bisogno.

Anche ammesso che le grandi potenze vogliano darci delle garanzie, quale valore potremmo attribuire alle medesime, visto che non hanno fatto rispettare da Israele le decisioni prese in nostro favore dall’O.N.U.?».

Riferendomi alla possibilità, da lui stesso ammessa, della partecipazione di alcuni paesi arabi alla difesa del Medio Oriente, il ministro mi ha così espresso il suo pensiero:

L’Arabia Saudita, legata da accordi con gli Stati Uniti d’America, accetterà l’invito che le sarà rivolto. Le centinaia di milioni di dollari che Ibn Saud percepisce annualmente attraverso l’Aramco, sono fattore determinante.

La dichiarazione dell’emiro Saud, secondo la quale lo schieramento della … democratica Arabia Saudita a fianco delle potenze democratiche, sarebbe dettato dalle comuni idealità, è ingenua e divertente.

Lo Yemen non conta. Non ha esercito e le potenze occidentali, in caso di bisogno, disporranno liberamente del suo territorio.

La Giordania finirà, senza troppe resistenze, per sottomettersi alla volontà della Gran Bretagna.

Difficile a decidere potrà essere invece l’Irak che, in relazione all’epilogo del conflitto anglo-iraniano, si considera ormai a contatto diretto con le frontiere della Russia.

Il Governo iracheno dovrà inoltre tenere presente l’opposizione di alcuni circoli politici e dell’opinione pubblica che sarebbero nettamente contrari a qualsiasi accordo con la Gran Bretagna.

Su queste difficoltà, come sull’unico appiglio possibile, la Siria farebbe ancora qualche assegnamento per non rimanere isolata e per resistere.

Il Libano occidentalizzato ha, a suo giudizio, una situazione completamente diversa da quella degli altri paesi arabi. La sua posizione geografica, i suoi interessi politici, gli stretti legami con l’Europa e l’America, la sua cultura e l’alta percentuale di cristiani, indurranno molto probabilmente quel paese a considerare con simpatia l’invito che potrà essergli rivolto.

Nell’insieme l’esame della situazione fatta con me da questo ministro degli affari esteri, conferma le ipotesi e le argomentazioni che ho avuto l’onore di esprimere col precedente rapporto n. 2167/831 del 16 corrente2.

La Siria, sorpresa e sgomentata dallo sviluppo impensato degli avvenimenti, dovrà rivedere la sua politica per adattarla utilmente alle diverse eventualità prospettate. Non ha tempo da perdere.

Se terrà debito conto di tale imperativo potrà forse superare bene la sua crisi interna e concorrere a risolvere quella della comunità degli Stati arabi cui appartiene.

Non so se questo Governo ricorrerà alla nostra collaborazione per essere sostenuto ed aiutato in sede internazionale. La soddisfazione dimostratami al riguardo dal ministro al Atassi porterebbe a ritenerlo. Occorrerà tuttavia attendere che gli uomini responsabili recuperino la calma e la serenità che dimostrano di aver completamente perdute.


166 1 Vedi D. 156.


166 2 Non rinvenuto.

167

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 13329/515-516. Londra, 23 ottobre 1951, ore 21,30(perv. ore 7,30 del 24).

Ho oggi avuto lunga conversazione con Strang dopo suo ritorno congedo. Mio interlocutore mi ha detto molto francamente come fossero state qua registrate con vivo rammarico dichiarazioni V.E. a Senato relative controversia con Egitto1, dichiarazioni che fortunatamente stampa britannica aveva solo parzialmente riportato. Quello che era stato rilevato con sorpresa da ambienti responsabili inglesi non erano parole simpatia verso Egitto (data cordialità nostri rapporti con paesi arabi) ma assenza ogni accenno solidarietà atlantica in questione che, a differenza quella persiana (dove pur avevamo mostrato comprensione entrambi punti di vista), non riguarda solo rapporti bilaterali anglo-egiziani bensì investe problemi difesa e prestigio mondo occidentale in settore quanto mai delicato. Piena solidarietà americana e francese in questa occasione aveva ancor più posto l’accento su nostra presa di posizione.

Ho fatto rilevare a Strang notevole errore commesso nell’ignorarci in occasione di un passo riferentesi settore per noi vitale Mediterraneo: ciò era stato vivamente sentito da popolo italiano.

Avendo io poi illustrato concetti espressi da V.E. ad ambasciatore egiziano (telegr. 9733/c.)2 ho notato in Strang la più favorevole delle reazioni. Egli ha osservato con evidente apprezzamento come in tale occasione V.E. abbia effettivamente valutato problema in termini atlantici, mostrandosi nella sua visione della situazione l’uomo di Stato che aveva così vivamente impressionato personalità politiche inglesi in occasione colloqui londinesi scorso marzo3.

Sottosegretario permanente ha lealmente riconosciuto errore commesso in questa occasione. Questione difesa Medio Oriente, già da lungo tempo sul tappeto, era venuta così improvvisamente a maturazione in seguito misure preannunziate da Governo egiziano che da parte occidentale si erano dimenticate alcune posizioni e «tali dimenticanze, egli ha soggiunto, in politica sono delle colpe» e, ho aggiunto io, tanto più quando si dimentica l’Italia nel Mediterraneo.

Strang teneva a sottolineare che tale dimenticanza, per quanto riguarda Inghilterra, non era preconcetta e che d’altra parte conversazioni avevano avuto carattere militare e non politico. Ha promesso tenerci informati d’ora innanzi ogni successivo sviluppo questione Medio Oriente.

Passando all’aspetto generale rapporti italo-britannici Strang ha affermato non vedere assolutamente questioni sulle quali con buona volontà entrambe parti non ci si potesse mettere d’accordo. Per revisione trattato non gli sembravano esserci ragioni dubitare piena collaborazione britannica. Per Trieste, pur essendo fiducioso soluzione questione, ha mostrato comprendere sensitività nostra opinione pubblica su problema che è così vivo nell’animo tutti italiani. Sulle altre questioni egli era convinto potersi trovare concordi soluzioni in clima amichevole senza che anch’esse diano spunto a reazioni polemiche fra due paesi.

«Lei sa – egli ha detto – quanto importanti e quasi quotidiani siano i punti di frizione tra noi, americani e francesi, eppure riusciamo sempre a superarli in atmosfera di oggettiva se pur ferma discussione. È su questa base, ha concluso sottosegretario permanente, che contiamo e speriamo impostare i rapporti fra Gran Bretagna ed Italia»: e ciò dicendo mi parve che egli lasciasse chiaramente intendere – quale responsabilità della continuità della politica estera britannica – come questa fosse la linea sulla quale desiderava si incamminasse Governo che si formerà dopo le imminenti elezioni.


167 1 Vedi D. 161, nota 3.


167 2 Vedi D. 163, nota 2.


167 3 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.

168

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, ATENE, IL CAIRO, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

Telespr. segreto 1882/c.1. Roma, 23 ottobre 1951.

Riferimento: Telespresso di questo Ministero n. 1857 del 20 u.s.2 [per le ambasciate a Londra, Parigi e Washington e la rappresentanza presso il Consiglio atlantico];n. 9579 del 18 u.s.3 e n. 1857 del 20 u.s.2 [per l’ambasciata a Il Cairo]; n. 1866 del 22 u.s.4 [per le ambasciate ad Ankara e Atene, le legazioni ad Amman e Beirut e la rappresentanza presso l’O.N.U.].

A maggior chiarimento di quanto contenuto nei documenti citati in riferimento si espone qui di seguito per opportuna norma di linguaggio il pensiero del Governo italiano in merito alla questione indicata in oggetto5. Già da molto tempo questo Ministero, sulla scorta delle dettagliate informazioni pervenute dai nostri rappresentanti nel Medio Oriente, aveva segnalato – particolarmente al Dipartimento di Stato – il progressivo deterioramento della situazione politica nel Medio Oriente e le preoccupazioni che da ciò derivavano per l’assetto generale di quel settore, per la sua stabilità politica e per l’organizzazione difensiva del mondo libero nel Mediterraneo orientale.

I perturbamenti verificatisi, e dei quali era facile sin da allora prevedere gli sviluppi, dipendono in gran parte dal risveglio nazionale dei popoli arabi e dalle esuberanze nazionaliste che tali fenomeni sempre traggono seco. Di tale risveglio era ed è indispensabile tener conto, tanto più oggi che i problemi della vita interna di ogni nazione tendono a confondersi e a riflettersi sui suoi stessi rapporti internazionali, sicché ben può dirsi che non esista per alcuna nazione questione internazionale che non faccia sentire le sue conseguenze anche nella vita interna, come non esiste alcuna questione interna che non abbia anche ripercussioni di indole internazionale.

Era quindi necessario – a nostro avviso – che in una fase di rapporti internazionali così delicata e complessa come quella che attraversiamo, si prestasse ogni attenzione all’evolversi della vita nazionale dei paesi del Levante e si facessero da tutte le parti i necessari sforzi per addivenire tempestivamente ad una chiarificazione ed una comprensione reciproca. E ciò anche per evitare, nei rapporti fra il mondo arabo e quello occidentale, ogni tensione e ogni conflitto, le cui conseguenze non possono che essere dannose per gli interessi occidentali in genere e in più grande misura per gli stessi paesi che hanno nel Levante maggiori interessi da tutelare. Era anche necessario, a tal fine – e l’Italia può esprimere questo concetto con tranquilla coscienza – che venissero compiuti, con chiara visione della realtà, quei sacrifici che la evoluzione del tempi rende inevitabili, ed era necessario altresì che ciò fosse fatto prima che l’alternativa di dover cedere alla pressione degli avvenimenti, determinasse l’insorgere di questioni di prestigio destinate ad aggravare la situazione, ed a rendere più difficile la soluzione delle controversie. È appunto perché a tale delicata situazione disgraziatamente si è giunti che ho ritenuto indispensabile, nell’interesse medesimo dei nostri alleati atlantici e dei rapporti fra l’Occidente ed il mondo arabo, di dover esprimere, del resto in termini responsabili e misurati, il punto di vista del Governo italiano sulla controversia, nel corso della discussione sul bilancio degli Esteri al Senato6. Noi non mettiamo in dubbio la necessità di assicurare la sicurezza del Medio Oriente e la libertà di transito nel Canale, sicurezza e libertà che sono fondamentali per tutti i paesi della Comunità atlantica ed in particolare per un paese mediterraneo come l’Italia. Ma riteniamo che tale scopo sarà efficacemente raggiunto soltanto con la fiduciosa collaborazione delle stesse nazioni del Levante, chiamandole cioè a collaborare su di un piano di parità e di uguaglianza alle comuni opere di civiltà e di pace; aiutandole nella soluzione dei loro problemi economici e sociali e togliendo ad esse l’impressione, per quanto errata essa possa essere, ma che tuttavia permane ed ha una non trascurabile rilevanza psicologica e politica, che si intenda trar profitto dalle presenti contingenze per ripristinare o consolidare influenze o regimi ormai superati. È nostro convincimento infatti che non si possa né sottovalutare né condannare – senza mettersi contro la storia e contro la stessa nostra esperienza nazionale – l’aspirazione di questi paesi al loro pieno sviluppo autonomo. Una tale politica farebbe delle popolazioni arabe dei nemici del mondo occidentale che ha invece il legittimo desiderio e la politica convenienza di conservarle amiche.

Una volta riconosciute queste necessità e partendo da queste premesse non dovrebbe essere difficile creare una distensione, trovare una soluzione ai problemi ora aperti, e ottenere la libera e fiduciosa collaborazione delle nazioni arabe alla difesa di una civiltà che è, a noi e ad esse, comune.

Il Governo italiano non intende avanzare proposte di merito e ogni illazione in tale senso sarebbe infondata. Sarà tuttavia sempre disposto ad appoggiare, nell’interesse della collaborazione e della pace tra l’Occidente e il mondo arabo, ogni costruttiva possibilità di accordo.


168 1 Indirizzato anche alle legazioni ad Amman e Beirut e alle rappresentanze presso il Consiglio atlantico e presso l’O.N.U.


168 2 Non pubblicato, ritrasmetteva il D. 163.


168 3 Vedi D. 156.


168 4 Non pubblicato.


168 5 L’oggetto del documento era il seguente: «Situazione in Medio Oriente».


168 6 Vedi D. 161, nota 3.

169

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. personale 1875 segr. pol. Roma, 23 ottobre 1951.

In merito al contenuto del tuo rapporto n. 11131 del 17 ottobre1, desidero chiarire che il telegramma 5162, redatto e firmato dal presidente, aveva lo scopo di dare al Dipartimento di Stato, in relazione alla nota sovietica relativa alla revisione del nostro trattato3, qualche suggerimento polemico e ciò per non limitarci, come il più sovente accade, ad opporre alla dialettica russa dei semplici rifiuti senza, a nostra volta, contromanovrare. Si suggeriva pertanto, in una eventuale replica all’U.R.S.S., di tener presente la convenienza di dire che sta bene per l’ammissione all’O.N.U. di tutti gli Stati purché abbiano il regime previsto dallo Statuto. Il contenuto del telegramma era stato da noi comunicato a questa ambasciata U.S.A. che si era mostrata d’accordo e lo aveva telegrafato al suo Governo. Dato lo scopo che aveva fu mandato solo a te e non a Guidotti.

La questione è ora in parte superata dal nostro successivo telegramma n. 5274 col quale, se non altro a fine tattico, vorremmo far sapere agli americani che se essi non credono di poter svolgere una più efficace azione per la nostra ammissione, non debbono nemmeno credere che noi ci si rassegni a subire in eterno le conseguenze del loro diniego ad ammettere i tre satelliti balcanici dell’U.R.S.S. In fondo noi subiamo il danno di questa loro presa di posizione: tocca a loro rimediare a questa conseguenza per noi dannosa. Se non se la sentono, sarà nostro interesse ad un certo momento far leva sul principio della universalità, che vedo del resto nuovamente ribadito nel rapporto alla prossima Assemblea di Trigwe Lie. Altrimenti – alla lunga – giustificheremmo le critiche di coloro che ci accusano di adattarci a rimanere fuori dell’O.N.U. unicamente per compiacere gli Stati Uniti nella loro attitudine verso i satelliti, e senza esserne nemmeno compensati da una risoluta azione U.S.A. per farci entrare.

Quanto al telegramma 94245, purtroppo il telespresso 18166, cui esso fa riferimento, è rimasto vari giorni in attesa della partenza del corriere e, pur avendo la data dell’11 ottobre, è partito soltanto il 18.

Le comunicazioni da Parigi cui accenna Guidotti nel suo rapporto 20257 risultano regolarmente diramate anche a Washington e comprese nello stesso telespresso n. 18168.


169 1 Vedi D. 155.


169 2 Vedi D. 146.


169 3 Vedi D. 144.


169 4 Vedi D. 158.


169 5 Vedi D. 155, nota 9.


169 6 Vedi D. 155, nota 8.


169 7 Vedi D. 133.


169 8 Con T. s.n.d. 13621/1133 del 29 ottobre, personale per Zoppi, Tarchiani comunicò che il «problema dell’ammissione all’O.N.U. devoluto delegazione Parigi che deciderà in base contatti con noi ed anglo-francesi … ».

170

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,CON IL DELEGATO FRANCESEPRESSO IL COMITATO DEI DODICI, MONNET

Verbale. Parigi, 23 ottobre 1951, ore 15.

L’incontro ha luogo al Commissariat au Plan, Rue Martignac e ha inizio alle ore 15.

Monnet parla a Taviani della lunga battaglia che ha dovuto sostenere in seno alla Presidenza dei Dodici per far prevalere il suo punto di vista circa la necessità di non puntualizzare i piani atlantici esclusivamente sul giugno 1954, ma di conoscere, al contrario, con estrema esattezza, la effettiva situazione odierna degli armamenti e dello sforzo economico dei suoi paesi, nonché la situazione che si prevede al giugno 1952 e al giugno 1953. Noi possiamo pretendere che la Russia – dice Monnet – attenda che tutti i nostri piani siano compiuti; se si muovesse prima di allora, quale sarebbe la nostra situazione? Nessuno ne sa niente.

Monnet spiega a Taviani i questionari che sono stati inviati in proposito ai dodici paesi e sottolinea che anche gli U.S.A. dovranno ora dare intorno al loro sforzo economico e militare quelle notizie coordinate che finora mancano. Guai se si lasciasse la compilazione di tali questioni ai militari: bisogna che gli uomini politici responsabili ne curino la compilazione e garantiscano l’esattezza.

Taviani si compiace dell’allargamento dell’art. 2 del P.A. operato ad Ottawa e dice che due vie si presentano alla Francia come all’Italia se non vogliono, tosto o tardi, divenire dei satelliti: 1) istituzionalizzare il P.A. trasformandolo da patto militare a comunità economica e politica; 2) costruire, all’interno dell’unione atlantica, l’unione europea. Ambedue le vie – secondo Taviani – devono essere perseguite.

Monnet – pur ritenendo che un certo allargamento dell’unione atlantica sul piano economico e politico è non solo opportuna, ma necessaria – non crede nella maniera più recisa che sia possibile una «istituzionalizzazione» dell’insieme atlantico. Non lo permetteranno – egli dice – né l’America né l’Inghilterra con il Commonwealth. Se si vuole evitare la sorte dei satelliti non resta altra via che unificare l’Europa continentale.

Taviani parla dell’esercito europeo e spiega le note tesi italiane. Monnet le comprende appieno e si dichiara convinto della solidità delle obbiezioni di Taviani alla soluzione del rapport intérimaire e circa la convenienza di insistere sul progetto della delegazione italiana1. Dice che occorre stringere i tempi nella costruzione della federazione europea. È al corrente di quanto in proposito De Gasperi ha detto a Pleven e domanda a Taviani se non debba incontrarsi col presidente del Consiglio francese. Taviani risponde che nel quadro dei motivi del suo viaggio a Parigi l’incontro fondamentale ha già avuto luogo con il ministro Schuman e un altro avrà luogo oggi stesso con il ministro Bidault2. Monnet mostra allora a Taviani il discorso nettamente federalista di Pleven a Marsiglia e suggerisce che sia lo stesso presidente De Gasperi a scrivere una lettera a Pleven prendendo lo spunto di quel discorso e insistendo sulla necessità di una rapida evoluzione dell’unificazione europea in senso federale.

A proposito del piano Schuman, Monnet non mostra di avere dubbi circa la sua approvazione alla Camera francese. Taviani dice che la ratifica in Italia non può aver luogo prima che essa avvenga in Francia o in Germania.

Il colloquio, che si è protratto per un’ora e mezza, si chiude alle 16,30.


170 1 Vedi D. 135, Allegato.


170 2 Vedi DD. 165 e 171.

171

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,CON IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIOE MINISTRO DELLA DIFESA DI FRANCIA, BIDAULT

Verbale1. Parigi, 23 ottobre 1951, ore 17.

Taviani dice a Bidault che è venuto a vederlo nella sua qualità di ministro della difesa per spiegargli il punto di vista italiano sulla questione dell’esercito europeo. Gli spiega il punto di vista italiano negli stessi termini adoperati con Schuman2.

Purtroppo non abbiamo avuto la fortuna di capitare in una giornata buona per Bidault, evidentemente turbato da un forte raffreddore. Egli ha esposto il suo pensiero come segue: noi ci troviamo di fronte a due alternative, o continuare per la strada attuale e accettare di avere un esercito tedesco, più o meno vagamente inquadrato nell’esercito atlantico il quale sarebbe disposto a fare la guerra per scopi esclusivamente tedeschi, scopi i quali alla fine dei conti finirebbero per trascinarci tutti: oppure rischiare tutti gli inconvenienti interni di quella rivoluzione che è l’esercito europeo. In favore di questa ultima soluzione sta anche il fatto che gli americani i quali sono seccati di aver a che fare con i vari eserciti francese, italiano, tedesco ed altri, darebbero a questi eserciti nazionali un contributo molto minore di quello che darebbero ad un esercito europeo. Ha trovato all’inizio molta opposizione fra i militari francesi: generali e colonnelli sono adesso convinti della necessità e dell’opportunità dell’esercito europeo: l’opposizione comincia al grado di capitano.

Taviani risponde che il Governo italiano condivide le apprensioni francesi. Forse un anno fa il Governo italiano non era completamente di questo punto di vista. A Washington c’è stato un certo divario fra le due tesi, ma da allora a oggi ha visto la situazione interna tedesca, il rinascere del nazionalismo tedesco che è ben altra cosa che il possibile nazionalismo italiano ed è quindi pienamente convinto dell’opportunità e della necessità dell’esercito europeo. Ripete peraltro il punto di vista italiano sulla impossibilità pratica di accettare la soluzione del rapport intérimaire e sulla necessità di marcare però il suo carattere federalistico sopratutto nel settore finanziario.

Bidault risponde chiarendo la situazione come segue: noi abbiamo fin qui lavorato su varie colonne. Da una parte i militari di tutti i paesi hanno addizionato i loro bisogni di armi, munizioni, uomini, ecc. Dall’altra i ministri delle finanze hanno addizionate le loro possibilità. La differenza fra le cifre dei militari e le cifre dei ministri delle finanze si è manifestata astronomica. Lui, Bidault, ad Ottawa si è assunto l’incarico spiacevole di segnalare con tutta chiarezza questa discrepanza. Ne è uscito il Comitato dei saggi il quale deve trovare la maniera di risolvere il problema posto da questa discrepanza, problema che non può essere risolto che con un aumento del contributo americano che gli americani sono molto riluttanti a dare. Francia, Italia e anche Germania non sono in grado di produrre delle armi, debbono quindi dare degli uomini. L’Inghilterra è riluttante a mandare uomini, l’America è riluttante al di là di certi limiti a mandare in tempo di pace i suoi militari in Europa. È invece disposta a mandare armi. Fra un anno, un anno e mezzo, quando la produzione americana sarà in pieno sviluppo, di armi ce ne saranno in quantità tale da non sapercene che fare; non saranno magari delle ottime armi, ma sarà una grande quantità di armi. Il problema per noi è quello di come superare questi dodici mesi di fronte a possibili reazioni russe: la migliore garanzia sta nel fatto che Stalin ha 71 anni e alla sua età non è probabilmente disposto a rischiare tutte le sue carte.

Taviani si dichiara perfettamente d’accordo con Bidault su questo punto e per la terza volta3 espone con tutta chiarezza il punto di vista italiano.

Questa volta finalmente Bidault capisce la portata delle osservazioni italiane e dice che dal momento che siamo d’accordo sugli scopi essenziali e siamo insieme per fare un lavoro comune e non per darci fastidio, bisogna evidentemente tener conto anche delle difficoltà interne dei vari paesi. Non si sente in grado di dare immediatamente una risposta a quello che è il nostro punto di vista, pur apprezzandolo e non avendo contro di esso obiezioni di principio: si riserva di studiarlo, di vedere come lo si può realizzare in pratica. Quando avrà chiarito le sue idee in proposito, ne parlerà con l’ambasciatore e con Lombardo.

Taviani rivolgendosi non più al ministro della difesa ma a un membro influente del Parlamento francese gli raccomanda la questione dell’ammissione dell’Italia all’O.N.U. Bidault risponde scusandosi della situazione in cui si è trovato durante i negoziati per il trattato di pace, ma rivendica a sé l’onore della dichiarazione di Torino del 1948 in favore della restituzione integrale del Territorio Libero all’Italia. Le sue idee su questo punto non sono cambiate, egli non si lascia sedurre da Tito e tiene ad assicurare il Governo italiano che farà tutto il suo possibile in questo senso.

Taviani lo ringrazia e torna a raccomandargli la questione dell’ammissione dell’Italia all’O.N.U. Bidault lo assicura che farà il suo possibile in seno al Governo francese.

La conversazione ha termine alle ore 17,50.


171 1 Al colloquio era presente Quaroni che redasse il presente verbale.


171 2 Vedi D. 165.


171 3 Vedi DD. 165 e 170.

172

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 13371/120. Rio de Janeiro, 24 ottobre 1951, ore 20(perv. ore 7 del 25).

Sottosegretario Andreotti1 avuto una cordiale conversazione con questo ministro affari esteri Neves da Fontoura, il quale ha tenuto a confermargli i sentimenti di viva amicizia esistenti fra i due paesi.

Circa problemi generali di politica estera che direttamente ci riguardano gli ha riconfermato l’appoggio del Governo brasiliano alla revisione nostro trattato di pace ed a nostra ammissione all’O.N.U.

Gli ha aggiunto che gradirebbe conoscere appena possibile la forma procedurale prescelta per concretare nostra ammissione.

Seguirò questione presso questo Ministero esteri, e pregherei farmi conoscere tempestivamente quali eventuali particolari istruzioni dovrebbero essere al riguardo da qui impartite a delegazione brasiliana O.N.U.


172 1 Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Andreotti aveva presieduto la delegazione italiana al Congresso dell’Unione latina (Rio de Janeiro, 14-19 ottobre).

173

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 13375/518. Londra, 24 ottobre 1951, ore 21,30(perv. ore 7 del 25).

Telespresso ministeriale 11/16001/c. del 15 corrente1.

Nel manifestare le più favorevoli disposizioni per nostra ammissione O.N.U., Foreign Office ha sottolineato importanza ottenere che nostro caso venga esaminato isolatamente. Infatti, se altre domande venissero considerate insieme, perderemmo i vantaggi derivanti da nostra posizione giuridicamente più favorevole, tanto più che in tale ipotesi Gran Bretagna non potrebbe non dare appoggio altrettanto pieno ad alcuni altri candidati quali sopratutto Ceylon. E lo stesso potrebbe verificarsi da parte di altri a favore Portogallo, Irlanda, ecc.

Foreign Office, che a piano Belaunde muove stesse obiezioni avanzate da Guidotti2, considera che non si possa «saltare» Consiglio sicurezza, ma ritiene sarebbe per noi più vantaggioso se nostro caso venisse esaminato da tale organo soltanto dopo che Assemblea abbia a grandissima maggioranza approvato per parte sua nostra ammissione poiché in tal caso U.R.S.S. troverebbesi in Consiglio in posizione più imbarazzante per ripetere veto.

Comunque, allo scopo appoggiarci nel modo che riterremo migliore, Foreign Office gradirebbe conoscere con quali argomenti nostro caso verrebbe anzitutto presentato isolatamente al Consiglio di sicurezza e quale linea s’intenderebbe seguire dopo prevedibile veto sovietico: va tenuto presente che, se nuovo veto si fondasse su accusa bellicismo (come potrebbe dedursi da recente nota sovietica per revisione trattato3), rimarrebbe annullato precedente riconoscimento U.R.S.S. nostra rispondenza a requisiti statutari, su cui principalmente si fonda nostro caso.


173 1 Non rinvenuto.


173 2 Vedi D.133.


173 3 Vedi D. 144.

174

L’AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, RULLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 3407/776. Montevideo, 24 ottobre 1951(perv. il 3 novembre).

Faccio seguito al mio telegramma n. 471.

Ho presentato oggi a questo presidente della Repubblica le mie lettere credenziali. La cerimonia, che si svolge qui nella forma più semplice possibile e senza scambio di discorsi, ha avuto luogo alla Casa di Governo: all’uscita ho deposto, secondo le abitudini, una corona al monumento del generale Artigas.

La conversazione che ha fatto seguito alla cerimonia della consegna delle lettere si è aggirata sui temi convenzionali: amicizia fra i due paesi, scambi culturali e commerciali, ecc. Il presidente ha tenuto a farmi notare che nella sua famiglia l’attaccamento all’Italia è tradizionale, e che sua moglie, figlia di italiani, usa correntemente la nostra lingua per le sue relazioni familiari.

Meno formale e molto cordiale era stata, in precedenza, la mia prima visita a questo ministro degli esteri, signor Dominguez Cámpora. Egli ha tenuto a riaffermarmi quanto aveva già dichiarato al mio predecessore al momento della sua partenza2. E che cioè il Governo uruguayano è sempre pronto ad appoggiare – sia in seno all’O.N.U. che in altra sede – le giuste richieste italiane per eliminare tutto quanto possa essere da noi considerato come diminuzione della nostra sovranità nazionale, o come conseguenza di una situazione postbellica oramai completamente superata dagli avvenimenti. Ciò specialmente per quanto riguarda il trattato di pace e la ammissione all’O.N.U. Che al momento in cui il mio predecessore era intervenuto presso di lui nel luglio scorso per la revisione del trattato di pace egli aveva potuto rispondergli che il Governo di Montevideo aveva prevenuto la nostra richiesta ed aveva già fatto conoscere a Washing-ton il proprio parere favorevole alla revisione stessa. Che egli sperava di poter dare, anche in avvenire all’ambasciatore d’Italia, la stessa risposta per qualsiasi quistione questi dovesse sottoporgli a nome del Governo di Roma.


174 1 Pari data, con il quale Rulli comunicava di aver presentato le lettere credenziali.


174 2 Vedi D. 3.

175

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 13415/666-667. Parigi, 25 ottobre 1951, ore 22,30(perv. ore 23,20).

Conformemente promessa fatta a Taviani1 Schuman mi ha fatto comunicare oggi piano francese azione per nostra ammissione O.N.U. Francesi partono dal presupposto necessità utilità separare caso Italia. Essi intenderebbero:

1) Proporre ufficio Assemblea iscrizione ordine del giorno quarta Commissione (tutela) ammissione Italia come pieno membro Consiglio tutela.

2) Fare rappresentare da quarta Commissione ad Assemblea necessità che Italia sia ammessa quale membro pieno e intiero Nazioni Unite per poter svolgere sue mansioni tutela.

3) Assemblea approva, a maggioranza richiesta, necessità ammissione Italia ed incarica Comitato esecutivo fare raccomandazione.

4) Comitato esecutivo non potendo fare raccomandazione richiesta a causa veto russo fa rapporto all’Assemblea su discussioni Consiglio sicurezza.

5) Assemblea ripete sua dichiarazione a favore ammissione Italia constatando che mancanza questa ammissione impedisce regolare funzionamento importante organo Nazioni Unite.

Questo naturalmente non (ripeto non) significa che noi entreremo O.N.U. Perché questo sia possibile occorrerebbe:

a) improvviso cedimento russo;

b) cedimento americano a favore ammissione tutti postulanti;

c) o decisione americana fare colpo di forza.

Nessuna di queste tre alternative essendo oggi prevedibile si tratta ottenere per noi soddisfazione morale massima possibile e affermazione che questione verrà riesaminata prossima Assemblea. Se piano francese funziona avremmo due votazioni solenni nostro favore: constatazione difficoltà funzionamento Consiglio tutela fornisce ottima ragione per dichiarare necessità ripresentare questione. Nessuno toglie poi che questione Italia venga durante questa stessa Assemblea discussa ancora terza volta in occasione dibattito su proposta Belaunde2.

Perché piano francese possa funzionare occorre:

1) Che esso sia approvato Washington Londra. Per questo Quai d’Orsay appena ricevuta nostra approvazione si propone telegrafare due capitali e prega noi di fare altrettanto per appoggiare piano francese.

2) Che latino-americani consentano discutere ammissione Italia su queste basi prima (ripeto prima) che venga in discussione proposta Belaunde. Mi si è fatto notare che piano francese non (ripeto non) esclude discussione proposta Belaunde e risponde quindi opportunità non urtare certe suscettibilità latino-americane. Per questo ci si domanda azione combinata con francesi su latino-americani: questo potrà essere concordato fra Guidotti e francesi nel corso incontro che avrà luogo non appena Guidotti sarà Parigi.

Pur non conoscendo meccanismo O.N.U. proposta francese mi sembra ingegnosa: Schuman l’ha studiata e approvata personalmente. D’altra parte, visto che francesi sembrano disposti ad agire, conviene, mi pare, seguire loro consiglio. Per cui, salvo istruzioni in contrario di V.E., mi proporrei domani nel pomeriggio comunicare Quai d’Orsay che siamo d’accordo.

Ripeto: non si tratta entrare O.N.U. perché questo, nelle circostanze attuali, è fuori questione, ma di tirarcene fuori con massimo possibile onore ed evitare, come mi sembra da temere in note intenzioni americane (di cui ad informazioni Guidotti), che solenni dichiarazioni Washington vadano a finire in niente. È quindi sotto questo punto di vista, e non sotto quello di argomentazioni giuridiche, che possono essere magari ottime ma che non hanno nessun valore pratico – questione essendo politica e non giuridica – che piano francese dovrebbe essere esaminato3.


175 1 Vedi D. 165.


175 2 Vedi D. 133.


175 3 Con T. s.n.d. 9886/484 del 26 ottobre De Gasperi rispose: «Pur non riscontrando inconvenienti che Governo francese presenti per conto suo Washington Londra piano da V.E. comunicato, noi desidereremmo astenerci dal pronunciarci su di esso, prima che l’impostazione dell’azione per nostra ammissione O.N.U. sia stata concretata in progettata riunione 2 corrente alla quale gradiremmo che Quai d’Orsay invitasse anche rappresentanti americano ed inglese, in modo da giungere ad una proposta concordata, suscettibile di ottenere il massimo di appoggi». Per il seguito vedi D. 195.

176

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 11486. Washington, 25 ottobre 19511.

L’annuncio, dato il 20 corrente dalla Casa Bianca, della nomina del gen. Mark Clark ad ambasciatore presso la Santa Sede ha costituito lo svolgimento, in parte scontato, della situazione creatasi dopo il definitivo rimpatrio di Myron Taylor. Come ebbi a riferire in data 28 febbraio dello scorso anno2, il Dipartimento di Stato aveva da tempo affrontato e studiato il problema ed era giunto alla conclusione che lo stabilimento di normali relazioni diplomatiche con la Santa Sede fosse effettivamente necessario. Il presidente era anche personalmente giunto alla stessa conclusione. Si trattava pertanto di studiare la tattica più conveniente, tenuto conto della particolare delicata situazione religiosa di questo paese. La decisione di Truman è stata evidentemente presa e annunziata con le precauzioni suggerite da tale situazione.

Nel valutare il problema occorre infatti tener presente che esso ha in sostanza due diversi aspetti: uno internazionale (importanza della Santa Sede come punto di osservazione, necessità di collaborare con tutte le forze anticomuniste ecc.) ed uno interno che ha riflessi non solo religiosi ma anche politici.

Mentre il primo aspetto costituisce, accanto alle pressioni degli ambienti cattolici americani, l’impulso alla soluzione del problema, il secondo ne rappresenta una remora e impone un’estrema cautela. Evidentemente il presidente ha ritenuto opportuno prendere egli stesso l’iniziativa in modo da creare un fatto compiuto, sia pure a metà, e facilitare il compito del Senato. È infatti ovvio che, mentre i senatori che avessero preso l’iniziativa avrebbero dovuto scontare l’ostilità dell’elettorato protestante, la situazione si è ora rovesciata e saranno i senatori che intendano opporsi alla decisione presidenziale che dovranno mettere in bilancio l’eventuale perdita dei voti cattolici.

Il calcolo non era errato, come è provato dal fatto che nessun parlamentare si è finora espresso in pubblico contro la proposta del presidente, al punto che i giornalisti si sono visti negare finanche l’anodina formula no comments.

Le critiche mosse da Connally sono state dirette contro la persona di Mark Clark, per considerazioni del tutto estranee al problema dei rapporti con la Santa Sede. Questa prudenza degli ambienti parlamentari costituisce dunque un primo successo di Truman; successo, per dir così, tattico e non strategico in quanto l’atteggiamento del Senato dipenderà dall’importanza che verrà man mano assumendo la reazione dei protestanti e dall’eco che tale reazione avrà presso l’opinione pubblica.

A giudizio di numerosi osservatori, l’azione del presidente è stata invece difettosa nella scelta del momento, poiché l’annunziare una decisione di tale importanza a poche ore dalla chiusura del Congresso poteva dare (e ha dato) l’impressione che si volesse forzare la mano al potere legislativo e creare una situazione di fatto. Tale considerazione è stata confermata del resto dal fatto che la Casa Bianca ha dovuto precisare che essa non intendeva effettuare un recess appointment cioè una nomina durante la sospensione dei lavori del Congresso. È sintomatico a questo riguardo che perfino in taluni ambienti cattolici si è riscontrato un certo malcontento per la tattica seguita dal presidente, rilevandosi che una questione di fondo così importante avrebbe dovuto essere trattata con minore preoccupazione dei suoi immediati riflessi politici.

Comunque, dopo l’accennata precisazione della Casa Bianca ogni decisione definitiva è rinviata alla riapertura del Congresso che avrà luogo, com’è noto, ai primi del gennaio prossimo.

L’attesa levata di scudi dei protestanti c’è stata; essa è stata violenta e si è estesa a tutte le più importanti sette (episcopaliani, presbiteriani, battisti, metodisti, luterani). È tuttavia presto ancora per poter giudicare se essa si trasformerà in una campagna organizzata sul terreno politico (il che non mancherebbe di avere i suoi riflessi nel Senato in vista delle prossime elezioni) oppure resterà limitata agli ambienti direttamente interessati e vada quindi necessariamente perdendo di vigore. Comunque, dato che finora gli ambienti parlamentari si mostrano estremamente cauti, non può per ora farsi alcuna fondata congettura sugli sviluppi ulteriori della questione sul terreno politico.

Il problema è uno di quelli che più appassionano quest’opinione pubblica non solo perché solleva questioni di principio e si ricollega a situazioni storiche fondamentali nella vita nazionale degli Stati Uniti ma anche perché tocca in modo particolare la sensibilità e la psicologia di larghi strati del paese.

Per trovare un avvenimento che abbia avuto echi maggiori occorre risalire alla destituzione di McArthur. La stampa, come sempre, costituisce uno specchio fedele di tale situazione e va dibattendo il problema con un vivissimo interesse.

Nel complesso, a giudizio di seri osservatori, la reazione negativa è stata minore di quella che poteva prevedersi. Lo stesso presidente Truman lo ha rilevato nella conferenza stampa odierna. Non è mancata inoltre la serena e obbiettiva valutazione di tutti gli aspetti politici e giuridici della questione da parte di autorevoli organi privi di qualsiasi connessione con la Chiesa cattolica.

L’atteggiamento delle gerarchie e degli ambienti cattolici rimane molto prudente. Nessun attacco è stato peraltro rivolto loro ed il dibattito è rimasto in sostanza imperniato su questioni di principio come quello della separazione della Chiesa dallo Stato. Nulla è infine trapelato circa l’eventuale erezione a nunziatura di questa delegazione apostolica ma è opinione prevalente in questi ambienti politici e diplomatici che un provvedimento del genere non debba considerarsi come un automatico corollario dell’apertura dell’ambasciata americana presso la Santa Sede, tanto più che esistono precedenti in senso contrario (Londra).

Nelle conversazioni che in questi giorni sono inevitabilmente cadute sull’argomento non ho mancato di rilevare l’importanza che ha per tutto il mondo occidentale il fatto che fra gli Stati Uniti e la Santa Sede si stabilisca un regolare e sistematico contatto. Ho avuto modo di constatare che tale opinione è condivisa da buona parte del Corpo diplomatico qui accreditato.


176 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


176 2 Non pubblicato.

177

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 11487. Washington, 25 ottobre 1951(perv. il 29).

Riferimento: Mio telegramma n. 1118 di oggi1.

Come annunciato col telegramma sopracitato, ho l’onore di trasmettere qui unito il testo del progetto di nota sulla revisione del trattato di pace, emendato secondo le proposte anglo-franco-americane2. Ne unisco altresì la traduzione francese, fornita dall’ambasciata di Francia2.

Dei tre emendamenti, uno (quello che menziona gli annessi del trattato, riferentisi alle clausole militari) appare ovvio.

L’altro, contenente la riaffermazione dei propositi pacifici dell’Italia, costituisce un suggerimento, più che una proposta o una richiesta. Ho l’impressione che gli Stati Uniti e la Francia non intendano insistervi e che anche la Gran Bretagna, quantunque ne abbia preso l’iniziativa, non ne farebbe una conditio sine qua non. Forse si potrebbe, se V. E. desiderasse venire incontro al desiderio delle tre potenze, formulare lo stesso concetto, con altre parole, più brevemente, in altra parte della nota, ad esempio alla fine del paragrafo successivo.

Il terzo emendamento sul quale tutte e tre le potenze appaiono ferme, non riveste, a mio avviso, importanza sostanziale. Dal punto di vista politico, non mi sembra mutare nulla. Può avere un qualche valore dal punto di vista giuridico, in quanto, evitando la frase «enter into new understandings», la quale farebbe pensare a veri e propri impegni giuridici, evita la necessità di richiedere una formale ratifica da parte del Congresso. Peraltro questa variazione formale era già insita nella decisione di V.E.3 di rinunciare alla formula «each of the Allied and Associated powers waive Italy’s obligations to it under articles etc.» a favore di quella: «will recognize that the political clauses … are not necessary and that the military clauses … are not consistent etc.»4.


177 1 Con tale telegramma Tarchiani aveva comunicato le modifiche apportate da parte anglo-franco-statunitense al progetto di nota italiana per la revisione del trattato di pace: «… 1) fra quarto e quinto paragrafo, inserire seguente nuovo paragrafo (ripreso da progetto originario anglo-franco-americano): “Italy does not intend to devote its resources to built armies for aggression or territorial aggrandizement, but to develop forces sufficient to defend its frontiers and to contribute more fully to the growth and development of collective security; this, Italy cannot do under … restrictions”; 2) ultimo paragrafo sostituire frase “enter into new understandings with which will” con parole “should aggree to”; 3) ultimo paragrafo dopo “articles 46/70” inserire “with the relevant annexes” …».


177 2 Non pubblicato.


177 3 Vedi D. 136.


177 4 Per il seguito vedi DD. 179 e 181.

178

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 11502. Washington, 26 ottobre 1951.

Faccio seguito al mio telegramma n. 1106 del 22 corrente1 ed alla lettera n. 11336 del 23 corrente2.

Oggi il Dipartimento ci ha informati della lettera inviata dal presidente del Consiglio ad Acheson3, il cui testo è stato telegrafato da Dunn con commenti favorevoli. Il telegramma è qui giunto dopo la partenza di Acheson per Parigi, ma mi è stato assicurato che esso ha destato qui molta impressione e che gli uffici stanno esaminando la questione con molta attenzione.

Mi è stato pure detto che sulla base del Memorandum presentato qui dal presidente4 non si vede per ora alcuna possibilità di concreto sviluppo, ma che l’intero problema verrà nuovamente sottoposto agli esperti giuridici non perché essi diano un parere puramente legale ma perché cerchino qualsiasi soluzione che possa permettere di raggiungere il fine politico che si persegue.

Ogni nostro suggerimento sarà gradito ed esaminato con lo spirito più favorevole. Comunque nessuna decisione circa le iniziative da prendere a Parigi verrà adottata prima delle consultazioni che sono previste colà con noi ed i francesi, nonché, eventualmente, gli inglesi ed altri.


178 1 Con il quale Tarchiani aveva comunicato: «… Circa possibilità proporre ammissione anche altri Stati finora esclusi, Dipartimento si è riservato studiare questione, pur rilevando sin da ora pericoli inerenti a cosiddetto principio universalità (in base al quale fra l’altro U.R.S.S. chiede ammissione Mongolia esterna) nonché derivanti da connessione, anche indiretta, tra posizione italiana e posizione satelliti».


178 2 Con la quale Tarchiani aveva comunicato l’assenso statunitense alla proposta di una riunione al Quai d’Orsay per esaminare il problema dell’ammissione italiana all’O.N.U.


178 3 Edita, unitamente alla risposta di Webb, in Foreign Relation of the United States, 1951, vol. II, cit., pp. 365-367.


178 4 Vedi D. 129.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. s.n.d. 9910/329. Roma, 27 ottobre 1951, ore 18.

Telespresso di questo Ministero n. 1840 del 16 u.s.1.

Ambasciatore Washington telegrafa2 che testo nostra nota per revisione è stato approvato con tre modifiche. Seconda e terza modifica sono da noi senz’altro accettabili. La prima consiste nell’inserzione fra quarto e quinto paragrafo seguente frase che già figurava nel primo progetto redatto dai Tre e che noi avevamo soppresso: «L’Italia non intende dedicare proprie risorse ad organizzare forze armate a scopo aggressione o per espansione territoriale ecc.». Ragione per cui avevamo chiesto soppressione detta frase è sopratutto di politica interna in quanto, mentre è ovviamente superflua, apparirebbe qui come dettata da stesso spirito diffidenza che ispirò trattato.

Secondo informazioni Washington reinserimento detta frase sarebbe stato proposto da Gran Bretagna, U.S.A. e Francia non (dico non) vi insisterebbero e stesso Governo inglese si rimetterebbe giudizio finale Governo italiano.

Pregola quindi rappresentare Foreign Office opportunità, per le suesposte ragioni, lasciar cadere frase proposta3.


179 1 Diretto a Parigi e Londra, trasmetteva il draft della nota italiana per la revisione del trattato di pace, definito nel corso delle conversazioni di De Gasperi a Washington (vedi D. 119) e le proposte italiane di modifica (vedi D. 136).


179 2 Vedi D. 177, nota 1.


179 3 Per il seguito vedi D. 200.

180

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. segreto 9915/226. Roma, 27 ottobre 1951, ore 18,20.

Ci è stato comunicato da Dipartimento di Stato – in relazione alle intese che intercorsero a Washington durante la mia visita1 – che il Governo di Belgrado è pronto a contatti diretti con noi per un tentativo di accordo sulla questione del Territorio Libero di Trieste.

Voglia dare a codesto Governo comunicazione verbale che noi pure siamo disposti a contatti di tale natura e suggeriamo che durante l’assemblea dell’O.N.U. a Parigi abbia luogo un primo incontro colà, ciò che faciliterebbe il mantenimento intorno alle conversazioni della necessaria segretezza. Ci sarebbe gradito anche di conoscere la persona che, per questa presa di contatti, viene designata da codesto Governo2.


180 1 Vedi D. 119.


180 2 Con il T. s.n.d. 13669/278 del 30 ottobre Martino rispose: «Kardely si è dichiarato di accordo. Ha tuttavia raccomandato massima segretezza. Sarà designato probabilmente Bebler o Mates. Kardely si è riservato comunque comunicarmi nominativo fra qualche giorno. Desidera conoscere nostro rappresentante». Per il seguito vedi D. 194.

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 9917/537. Roma, 27 ottobre 1951, ore 21,30.

Suo 11181.

Sta bene per modifiche di cui punti 2 e 3. Circa punto 1 telegrafiamo Londra2 chiedendo possibilmente non (dico non) insistere.

Gradirei altresì conoscere se e quale azione V.E. abbia svolto in merito contenuto mia lettera n. 45/479 dell’11 ottobre3 relativa clausole economiche che, come avrà anche notato dai resoconti stampa, sono state più volte evocate nel corso recente dibattito parlamentare4.


181 1 Vedi D. 177, nota 1.


181 2 Vedi D. 179.


181 3 Vedi D. 143.


181 4 Con il T. s.n.d. 13579/1130 del 28 ottobre Tarchiani comunicò che la questione sarebbe stata esaminata dopo la presentazione della nota italiana avvertendo che: «… Dipartimento riservato suo giudizio ma fatto intendere chiaramente che per quanto concerne sostanza art. 78 non vede alcuna effettiva possibilità». Vedi D. 188.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 9950/175. Roma, 29 ottobre 1951, ore 14,30.

Suo 2301.

Circa punto 2 perverrà costì prossimo corriere riassunto nostre vedute su unificazione Germania. Per punto 1 segue prossimi giorni dispaccio riassuntivo.

Con riguardo punto 3 è ovvio interesse N.A.T.O. ed in particolare Italia che esistano sul piano pratico rapporti quanto più efficienti possibile di attuale o potenziale collaborazione con la Svizzera. Si tratta di un paese che non fa parte del N.A.T.O. esclusivamente per sua tradizionale posizione neutralità ma cui principi politica interna ed internazionale sono del tutto consoni quelli dei dodici Stati: quanto può essere fatto ai fini di un lavoro concorde nel campo pratico senza chiamare in causa il principio della neutralità sarà utile per tutti. In tale ordine di idee Italia ha proposto comunicare Svizzera quanto riguarda Shipping Authority; analogamente può mostrarsi utile o necessario concertare piani strategici, collaborare in settori produzione, per comunicazioni ecc.

Iniziativa Consiglio sostituti tale campo potrebbe assumere carattere politico controproducente, ma una sua decisione e constatazione di massima potrà togliere perplessità ad organi tecnici per agire in tale senso quando se ne presenti opportunità pratica.


182 1 Del 22 ottobre, con il quale Rossi Longhi aveva riferito circa la proposta di Spofford che i sostituti discutessero sui seguenti punti: «1) Rappresentanze diplomatiche presso paesi satelliti e misure ritorsione noti provvedimenti limitativi; 2) Unificazione Germania; 3) Relazioni tra N.A.T.O. e paesi liberi europei (Spofford ha mostrato riferirsi piuttosto a Svizzera e Svezia)».

183

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON L’AMBASCIATORE D’EGITTO A ROMA, BADR BEY

Verbale. Roma, 29 ottobre 1951.

Riferisce che il suo Governo sta preparando un Libro Bianco per la documentazione del conflitto con l’Inghilterra e prima di avere terminato questo lavoro non intende presentare proposte concrete. Personalmente crede di dover incoraggiare il presidente De Gasperi a continuare nella sua opera conciliativa per la ricerca di proposte che risolvano o attenuino il conflitto. Conviene che, specialmente per gli Stati Uniti e per gli altri Stati membri del Patto atlantico, la questione che più li interessa è quella della sicurezza. Crede che il Governo italiano farebbe opera utile a consultare gli esperti militari per vedere se la garanzia delle basi militari non possa essere trovata anche senza l’attuale occupazione di tutto il Canale da parte delle truppe inglesi.

Richiesto se queste misure militari dovessero essere prese accanto ad un Egitto neutrale, egli risponde che l’Egitto non avrebbe avuto difficoltà a partecipare a un patto di sicurezza collettiva e comunque dichiara che Governo e popolo sono assolutamente contrari al comunismo; infine rileva però che parallelamente alla soluzione della questione internazionale debbasi anche risolvere quella dell’indipendenza totale dell’Egitto; ed egli esprime la speranza che circa il Sudan l’America e in genere gli atlantici non creino inesistenti connessioni con il problema della sicurezza internazionale. Aggiunge di dire tutto ciò dal punto di vista personale; però di poterlo dire con conoscenza di causa conoscendo l’opinione del suo Governo e in modo particolare quella del re di cui ricorda di essere stato ciambellano.

Lo licenzio dicendo che trovavo difficile formulare delle proposte, tuttavia farò studiare il problema tecnicamente e lo terrò informato dei risultati. Egli ripete che personalmente sarà a disposizione per dare il suo parere circa eventuali proposte.

184

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON L’AMBASCIATORE DELL’IRAN A ROMA, MANSOUR

Verbale. Roma, 29 ottobre 1951.

Mi comunica un telegramma di Mossadeq da Washington nel quale egli esprime riconoscenza per le dichiarazioni fatte al Senato1 e mi assicura il vivo desiderio di sviluppare relazioni di amicizia.

Per l’occasione, egli dice, si permette attirare l’attenzione sulla proposta di vendita di petrolio, di cui si è parlato con la Sezione economica e che egli considera non importante in sé ma una buona apertura per le forniture avvenire.

Aggiunge che Mossadeq è fermo nella questione principale della nazionalizzazione, ma che per la questione dei tecnici della distribuzione e della vendita, egli sta trattando a Washington con criteri di larghezza.


184 1 Si riferisce al discorso pronunciato da De Gasperi al Senato il 18 ottobre per il quale vedi D. 161, nota 3.

185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

Telespr. segreto 1927 segr. pol. Roma, 29 ottobre 1951.

Riferimento: Suo telegramma n. 230 del 22 u.s.1.

Si fa riferimento al telegramma n. 230 per la parte riguardante il secondo argomento proposto dal sig. Spofford per uno scambio di vedute, quello cioè dell’unificazione della Germania.

2) Nell’unito Appunto2, che viene trasmesso per riservata conoscenza di codesta rappresentanza, sono riassunte le tendenze dei paesi che, nella questione, hanno fin qui manifestato un più diretto interesse.

Allo stato attuale converrebbe a noi conoscere quali siano i pratici suggerimenti che abbiano da fare le potenze occupanti.

3) Per quel che ci concerne converrà che V.E. tenga presente che in ogni caso è auspicabile che premessa della unificazione siano considerate le garanzie democratiche. Diversamente potremmo trovarci di fronte a sviluppi della questione tedesca contrari alla sicurezza dell’Occidente.

Nell’interesse stesso dell’Occidente riteniamo anche desiderabile che premessa per l’unificazione della Germania siano considerati la progressiva integrazione europea ed euroatlantica della nazione germanica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche della Germania occidentale: il che costituirebbe già di per sé una garanzia di solidità di fronte ad eventuali processi di unificazione.

Naturalmente, se questa è la sostanza del problema, occorre altresì nonperdere di vista l’aspetto propagandistico e psicologico, e quindi di notevole rilevanza politica, dell’azione di Grotewohl e la necessità che, tanto da parte di Bonn, quanto da parte degli occidentali, si manovri con abilità e prontezza per contrastare l’offensiva sovietica opponendovi adeguate e costruttive impostazioni del problema tedesco. Per parte nostra approviamo l’azione condotta a tale scopo da Adenauer e riteniamo necessario rafforzare la posizione politica del cancelliere, consentendogli di poter dimostrare ai tedeschi dell’ovest, ed anche a quelli dell’est, che la sua politica è la più consona agli interessi germanici, anche ai fini dell’unificazione.


185 1 Vedi D. 182, nota 1.


185 2 Del 25 ottobre, non pubblicato.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. s.n.d. 9997/189. Roma, 30 ottobre 1951, ore 16,30.

Suoi 2431-2442.

Sarò molto lieto di vedere il ministro Gruber nel caso che egli intenda venirea Roma, accogliendo invito Palazzetto Venezia. Appare tuttavia opportuno chevisita non assuma carattere politico nei confronti situazione interna Alto Adige.Nostra leale applicazione accordi Parigi, nella cui esecuzione può al massimo soltanto riscontrarsi qualche lieve ritardo burocratico in questioni accessorie e secondarie dovuto in parte anche ad autorità austriache, non giustificherebbe un’impostazione del genere; si darebbe anzi così corpo alle ombre rischiando raggiungere effetti contrari quelli che Gruber si prefiggerebbe sul piano della sua politicainterna.

Ciò premesso, ripeto, sarà per me un particolare piacere rivedere il ministro Gruber e di avere con lui utile scambio idee su situazione generale.


186 1 Del 27 ottobre, con il quale Cosmelli comunicava a Zoppi: «Per tua norma ritengo che il ministro Sforza abbia a suo tempo autorizzato l’invito. Per comprensibili ragioni, Schwarzenberg paventa l’ipotesi che la Conferenza ora venga rimessa sine die o che, ad esempio, Gruber non venga ricevuto. Sono ovvie le finalità tattiche, di politica interna, prevalentemente, che si ripromette Gruber. Rimane da esaminare se a tale sua manovra ci convenga o meno prestarci».


186 2 Del 27 ottobre, con il quale Cosmelli informava che Gruber, venendo a Roma in forma privata, avrebbe gradito essere ricevuto da De Gasperi in visita di cortesia. Riferiva inoltre che Schwarzenberg avrebbe preventivamente rimesso al ministro un elenco delle questioni che Gruber intendeva trattare.

187

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 806. Parigi, 30 ottobre 19511.

Mentre sta per iniziarsi la sessione di Parigi delle Nazioni Unite, mi sembra opportuna qualche precisione sulla questione della nostra non ammissione all’O.N.U. Noi parliamo di azione concordata con francesi, inglesi ed americani: ma è difficile metterci d’accordo, se non si ha chiaro lo scopo da raggiungere.

Durante la mia recente permanenza a Roma ho inteso insistere, da molte parti, su argomentazioni eccellenti, dal punto di vista giuridico, per fissare il nostro buon diritto. Purtroppo si tratta di una questione che non è giuridica, ma politica: il che significa che gli argomenti giuridici possono, sì, servire, ma nel senso in cui Federico II, dopo avere conquistata la Slesia colle armi, invitava i suoi giuristi a fornirgli argomenti per giustificare la sua poco giuridica conquista.

Noi potremmo entrare nell’O.N.U.:

1) se la Russia improvvisamente ritira il suo veto;

2) se l’America ritira il suo veto di fatto all’ammissione di tutti i postulanti.

Né l’una né l’altra delle due ipotesi mi sembrano probabili: la seconda, se mai, è anche più complicata di quello che fosse qualche tempo addietro, poiché oggi un calderone dovrebbe includere anche la Cina. Ci vorrebbe un improvviso cambiamento di tutto lo scenario politico. Non si può negare a priori che questo possa accadere: V.E. ammetterà però con me che, oggi come oggi, le chances di questo sembrano ben poche.

Non credo sia nostra intenzione di farlo, ma, comunque mi permetterei di segnalare l’opportunità che ci astenessimo dal consigliare agli americani, anche sul piano stampa (almeno quella controllata, direttamente o indirettamente, dal Governo) o Parlamento (per lo meno per il settore Governo e opposizione addomesticata) questa sanatoria generale: rischieremmo, temo, di togliere loro anche quella voglia che hanno – e che non è molta – di aiutarci ad avere un successo morale.

Resta praticamente solo l’ipotesi che gli americani si decidano ad un colpo di forza.

La Corte dell’Aja ha ammesso che la Russia con il suo veto all’ammissione dell’Italia (pur riconoscendo che essa ha i requisiti richiesti) ha commesso una violazione dello Statuto. Ma la Corte dell’Aja ha anche ammesso, esplicitamente, che per l’ammissione di un nuovo membro è indispensabile la raccomandazione del Consiglio di sicurezza, raccomandazione che, con il veto russo, non si può avere.

Il colpo di forza dovrebbe dunque consistere in questo: indurre l’Organizzazione ad opporre alla violazione dello Statuto commessa dalla Russia con il suo veto, un’altra violazione, facendo ammettere l’Italia alle Nazioni Unite senza la raccomandazione del Consiglio di sicurezza, in base ad una votazione, a maggioranza di due terzi, dell’Assemblea.

Ora nulla mi sembra che possa farci supporre che gli americani abbiano l’intenzione di fare questo colpo di forza.

Dubito anche che, volendo, potrebbero farlo. Per farlo ci vorrebbe una votazione in nostro favore, alla maggioranza di due terzi dell’Assemblea. Ora per una manifestazione tanto solenne quanto platonica, a nostro favore, credo si possa raggiungere questa maggioranza dei due terzi. (Dico credo, perché l’esperienza che ho già avuto di un’Assemblea delle Nazioni Unite a Parigi mi ha mostrato come, all’approssimarsi di ogni voto, i nostri più fedeli amici abbiano una manifesta tendenza a squagliarsi, anche materialmente). Ma il giorno che si sapesse che questa manifestazione servirà di base ad un colpo di forza contro la Russia, col rischio di vedere la Russia uscire dalle Nazioni Unite, tutti i terzaforzisti dell’Assemblea – e sono parecchi – si tirerebbero indietro e noi non raggiungeremo mai la maggioranza dei due terzi. Anche fra i sud-americani che sono per definizione i nostri migliori amici, almeno tre si tirerebbero indietro.

Noi facciamo il parallelo con San Francisco: ma il caso è del tutto differente: a San Francisco si trattava di violare, al più, un impegno dei capi dei tre Governi di non concludere pace separata: ora, gli impegni fra capi di Governi, si sa quello che valgono da che il mondo è mondo: era poi un impegno che si riferiva ad un periodo di guerra e di alleanza che si perde ormai nella notte dei tempi. Nel caso dello Statuto delle Nazioni Unite, si tratta invece di un impegno pubblicamente sottoscritto e munito di tutti i crismi costituzionali: sono due violazioni del tutto differenti. Gli americani, del resto, hanno seguito a San Francisco con una meticolosità interessante, il precedente stabilito dai russi in occasione della Conferenza di Belgrado sul Danubio.

Ma, ed è quello che più conta, nella questione del trattato di pace col Giappone era in giuoco un interesse specifico americano: la possibilità di riarmare il Giappone e di dare una sistemazione più stabile a tutto il loro dispositivo militare in Estremo Oriente.

E V.E. non dimenticherà quanto, sia qui che a Londra, si sia tremato di fronte alla decisione degli americani di spingere a San Francisco le cose a fondo; né sono mancati saggi consigli agli americani. Anche se gli americani fossero mezzo decisi a fare un colpo di forza alle Nazioni Unite, inglesi e francesi, per non parlare di altri, farebbero tutto il possibile per dissuaderli: anche noi, se non fosse in giuoco una questione che ci interessa, e se ne avessimo la possibilità, non saremmo fra gli ultimi a tirarli per la coda.

Che un giorno gli americani si decidano a fare anche questo colpo di forza è forse possibile: ma non credo oggi. Comunque, siccome nello stato attuale del mondo occidentale, la cui forza militare è ancora in larghissima misura in potenza e solo in potenza, qualsiasi atto di forza può avere delle conseguenze imprevedibili, e poco gradevoli, non mi permetterei mai di consigliare il Governo italiano a spingere proprio adesso in questa direzione.

Parliamoci chiaro: non credo sia probabile, ma con i russi non si sa mai: ammettendo che, come conseguenza dell’imposizione dell’Italia contro il suo veto, la Russia ed i suoi si ritirassero dalle Nazioni Unite. Non sarebbe il disastro immediato, ma l’effetto sul mondo sarebbe tutt’altro che riconfortante. Ora non so quale sarebbe la situazione del Governo italiano, di fronte, non dico ai comunisti, ma a quella importante sezione della nostra opinione politica che raccomanda la prudenza e la conciliazione, quando si dovesse dire che questa nuova rottura fra Est ed Ovest è dovuta ad insistenze italiane.

E colpo di forza ci vuole, la prego di credermi. Di argomentazioni e di cavilli per trovare una maniera di girare l’ostacolo del veto, se ne possono certo trovare: ma essi valgono, come argomento giuridico, solo se anche i russi li accettano: e siccome i russi, come cavillatori sono capaci di battere tutti gli avvocati partenopei messi insieme, così non c’è altro mezzo che quello ad un certo momento di imporre ai russi la nostra interpretazione dello Statuto: e questo è il colpo di forza.

Cedimento americano o russo, o colpo di forza americano essendo assai poco probabile a meno di una rivoluzione nei rapporti fra i Grandi che non si può prevedere oggi, e quindi sulla quale si può anche meno contare, bisogna arrivare alla conclusione che all’O.N.U. noi anche questa volta non ci entreremo. Quindi la nostra azione non può mirare che ad avere un successo morale. E il massimo di questo successo morale non può essere che una nuova ripresentazione della nostra ammissione, un nuovo veto russo, ed una deliberazione solenne quanto platonica dell’Assemblea, in favore della nostra ammissione. Il tutto coronato da una dichiarazione dei Tre che … riprenderanno la questione alla prossima sessione, dove, a meno che le circostanze di fatto non siano cambiate, la questione si ripresenterà esattamente negli stessi termini.

È quindi sotto questo aspetto più modesto, ma più realistico che, secondo me, bisogna che l’azione nostra osservatrice, ed i nostri eventuali piani di azione, siano considerati.

Il piano proposto dai francesi, sotto questo punto di vista non mi sembra cattivo: non conosco sufficientemente lo Statuto per dire che non se ne possano trovare dei migliori. Mi permetterei soltanto di consigliare di andarci piano nel criticarlo, anche se riteniamo di avere delle idee migliori; siccome mi sembra che, fino ad oggi almeno, sono i francesi i più disposti di tutti ad agitarsi, credo sarebbe bene, prima di raffreddarli, essere sicuri che c’è qualcun altro, fra i cosiddetti Grandi che è disposto ad agitarsi in nostro favore più di loro. I francesi si agitano per questo affare, perché è un’occasione, a buon mercato, di mostrarci che la loro amicizia ci serve a qualche cosa. Se non reagiamo con il minimo necessario di buona grazia la questione perde ogni interesse per loro ed è per questo, mi pare, che noi si dovrebbe incoraggiarli con qualche riconoscimento sulla stampa.

Resta naturalmente il problema di come presentare all’opinione pubblica italiana il fatto che noi continueremo a restar fuori dall’O.N.U.

Indiscutibilmente la situazione italiana in questo problema è migliorata in paragone all’anno scorso, quando si temeva, ed a ragione, che nell’entusiasmo di un’eventuale ammissione della Cina, ci si dimenticasse di far entrare anche l’Italia: timore questo più che reale. Guidotti temeva, e forse non del tutto a torto, che uno di questi giorni gli americani facessero uno sforzo massiccio per farci entrare il Giappone e non noi. Oggi questo pericolo è evitato: se c’entrano Cina per appeasement o Giappone per colpo di forza, ci entriamo anche noi: resta forse solo l’eventualità che c’entri la Libia e non noi. Questa naturalmente è tutta roba che non si può dire, né nella stampa né al Parlamento. Non so nemmeno fino a che punto si possa sfruttare la manifestazione di simpatia, e fare ancora del chiasso intorno al veto russo.

Nell’estrema ipotesi mi domando se, ai fini interni, non sarebbe ancora meglio per noi prendere il toro per le corna: dire che siamo noi che preferiamo che non si abbia un colpo di forza, e quindi un peggioramento delle relazioni fra Oriente e Occidente, per un interesse specificamente nostro, far finta cioè che siamo noi che rinunciamo ad un nostro vantaggio politico, per amore della pace. Vorrei però attirare la particolare attenzione di V.E. sulla necessità, visto che sappiamo come le cose vanno a finire, di non dare eccessive speranze all’opinione pubblica italiana, attraverso la stampa: i dibattiti qui saranno rumorosi, ci saranno dei momenti in cui le nostre possibilità sembreranno grandi: tutto ciò può generare delle illusioni a cui seguirebbero delle delusioni ancora più grandi.

Per quello che concerne i francesi, a mia impressione, possiamo contare su di loro – in quanto non saranno troppo assorbiti dalla necessità di parare il colpo marocchino e tunisino, che per il Governo francese, ed a Parigi, non è uno scherzo – per un successo morale, per continuare a tenere aperta la questione. Ripeto, parimenti, però, che i francesi sono gli ultimi su cui possiamo contare per indurre gli americani ad un colpo di forza. Anzi il giorno in cui gli americani fossero decisi non sarà facile ottenere che essi non si buttino troppo a dissuaderli. Ma finché si tratta di farci avere un successo di facciata, i francesi saranno ragionevolmente al nostro fianco.


187 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

188

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 11621. Washington, 30 ottobre 1951(perv. il 2 novembre).

Ho riferito con il telegramma n. 11301 sulla comunicazione fatta, in ottemperanza alle istruzioni di cui al dispaccio di V.E. n. 45/479 e telegramma n. 5372, al Dipartimento di Stato relativamente all’esame da effettuare circa le possibilità della revisione delle clausole economiche del trattato di pace.

Tale nostra azione, o meglio tale inizio di azione, mirava ad un obiettivo ben preciso, per quanto anche ben circoscritto: sciogliere cioè la riserva formulata dalla E.V., nel corso delle conversazioni di Washington3, di tornare, appena possibile, sull’argomento della revisione anche delle clausole che, per ristrettezza di tempoe per l’esigenza manifestata dagli americani che fossero presentiti in merito anche i Governi di Londra e Parigi, non fu possibile discutere in occasione della sua visita.

Tale obiettivo è stato raggiunto con i passi svolti da questa ambasciata in due distinte fasi: una cioè nella quale si è ritenuto opportuno ricordare al Dipartimento di Stato la summenzionata riserva dell’E.V., e la susseguente accettazione da parte americana, e l’altra nella quale si è proceduto alla consegna dello studio allegato al prefato dispaccio dell’E.V. Nel precisare la natura e la portata di esso questa ambasciata ha naturalmente illustrato le ragioni della richiesta, richiamando al riguardo gli argomenti già svolti dall’E.V., nell’incontro di Washington, circa l’esigenza di non presentare all’opinione pubblica italiana una revisione del trattato limitata alla parte politico-militare.

Che tale suddivisione in due tempi della nostra azione fosse opportuna è stato dimostrato dal fatto che, al primo parlare dell’argomento, si è tenuto da parte del Dipartimento a ribadire le note intese circa il carattere puramente informativo di questo primo contatto. Il Dipartimento di Stato, riconoscendo tuttavia la fondatezza della riserva di cui alla lettera di V.E., ha quindi aderito alla nostra richiesta di accogliere il documento, con la promessa di farne oggetto di studio.

Mi pare al riguardo opportuno segnalare intanto che nel ricevere il documento il Dipartimento ha espresso la speranza che, a causa dei noti imbarazzanti precedenti della questione, non venisse da parte italiana sollevato il problema degli obblighi derivanti al nostro Governo dall’esecuzione dell’articolo 78 per quanto concerne il soddisfacimento dei singoli claims dei cittadini americani.

Sembra comunque doversi rilevare che non possono attendersi dall’azione da noi così impostata presso gli americani ulteriori sviluppi, qualora non si realizzi la condizione posta da questo Governo, in rapporto alla surricordata riserva di V.E., e cioè che anche da parte di Parigi e di Londra si manifesti favorevole disposizione all’esame della revisione delle clausole economiche. Aggiungo che, oltre alla realizzazione di tale condizione, occorrerà anche che da parte nostra si passi alla formulazione concreta dei punti dello studio predisposto dalle nostre Amministrazioni sui quali si intendesse concentrare, in relazione alle esigenze italiane più delicate e alle possibili previsioni di successo, il negoziato.

A tal fine, riterrei utile, sia per aver modo di far risultare gli aspetti più spiccatamente politici dei punti sui quali insistere sia per poterli meglio inquadrare nelle conversazioni con il Dipartimento di Stato, di cominciare a fare una distinzione fondamentale tra il complesso delle clausole economiche e quelle giurisdizionali, comprendendo tra queste ultime l’articolo 83 relativo alle Commissioni di conciliazione e l’Annesso XVIII A circa la revisione delle sentenze sulle prede.

Per quanto concerne in particolare tali clausole giurisdizionali, un approfondito ed esauriente studio del Contenzioso diplomatico sulla loro stessa natura ed il loro contrasto nei riguardi della sovranità nazionale e dei principi in base ai quali si sta procedendo alla revisione della parte politico-militare del trattato, potrebbe anche rivelarsi di grande utilità.

Mi riprometto di segnalare ulteriormente quelle indicazioni che sarà possibile cogliere nei contatti che continueremo ad avere in materia con il Dipartimento di Stato e che servissero ad orientare maggiormente sulle soluzioni da proporre a questo Governo.

Ho ritenuto intanto che il riferire circa lo svolgimento dei primi passi e le relative reazioni, per ora, tutto sommato, non troppo impegnative, del Dipartimento di Stato potesse servire a codesto Ministero in relazione all’ulteriore messa a punto delle nostre richieste in argomento.


188 1 Vedi D. 181, nota 4.


188 2 Vedi DD. 143 e 181.


188 3 Vedi D. 119.

189

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 31 ottobre 1951.

1. Il 29 ottobre1 l’ambasciatore d’Egitto a Roma ha precisato che il Governo egiziano:

a) durante la preparazione del Libro Bianco non presenterà alcuna nuova proposta;

b) riconosce l’interesse dell’Occidente alla difesa del Canale di Suez;

c) non respinge l’idea di partecipare su di un piede di parità ad un accordo internazionale collettivo;

d) è anti-comunista.

2. Se si accetta l’idea della opportunità di una qualche immediata proposta italiana, prima di procedere alla sua formulazione, oltre a tenere presenti le indicazioni fornite dall’ambasciatore d’Egitto a Roma ed i limiti indicati dal Dipartimento di Stato a Tarchiani2, occorre individuare i requisiti ad essa necessari affinché possa risultare accettabile per il Governo del Cairo. Tali requisiti potrebbero essere così elencati:

a) differenziarsi sostanzialmente dal progetto affrettatamente presentato dagli anglo-franco-turco-americani all’indomani della denuncia del Trattato anglo-egiziano e già respinto dal Cairo;

b) non mettere esclusivamente l’accento sul profilo militare del problema, il più ostico per gli egiziani per la presenza di truppe inglesi sul loro territorio, ma conseguirne 1’auspicata soluzione su di un piano superiore politico, economico e sociale;

c) soddisfare ragionevolmente certe esigenze di prestigio del Governo egiziano;

d) evitare nella massima misura possibile che gli impegni militari relativi alla difesa del Canale ed alla concessione di basi alle forze armate straniere vengano presentati – come tali – dinanzi al Parlamento egiziano.

3. Ciò premesso e rinviato ad un paragrafo successivo l’esame del problema del Sudan, sembra che una proposta italiana potrebbe utilmente portarsi sul suggerimento di un invito ad ammettere 1’Egitto nel Patto atlantico previo un impegno del Governo del Cairo in base al quale, in tale eventualità, 1’Egitto:

a) analogamente a quanto già praticato da altre potenze atlantiche ed in particolare alle intese americano-canadese e franco-americana, procederebbe dopo la sua ammissione, ad accordi per la messa a disposizione del N.A.T.O. di basi militari alle stesse condizioni in cui ciò avviene in altri paesi N.A.T.O. per garantire le libertà di comunicazione e di rifornimento nel Canale e per la difesa del Medio Oriente.

b) analogamente a quanto fatto dall’Italia il 4 marzo 1949 per le ex colonie alla vigilia dell’ingresso nel Patto atlantico3, l’Egitto dovrebbe anche impegnarsi a non prevalersi della posizione di alleato per chiedere la soluzione a proprio favore delle questioni del Sudan e di Israele.

D’altra parte, nel periodo fra la decisione di ammissione dell’Egitto al N.A.T.O., e l’inizio delle intese militari, la Gran Bretagna dovrebbe allontanare dal Canale le forze eccedenti i limiti (10 mila uomini) previsti dal trattato del 1936 in modo da consentire agli egiziani di dire che gli inglesi stanno andandosene e, agli inglesi di non essersi ritirati.

4. Procedendo ora ad analizzare il contenuto e i motivi di questa proposta si osserva da un punto di vista generale:

a) l’ammissione dell’Egitto nel Patto atlantico è, da un punto di vista militare, coerente con la recente decisione di ammettervi la Turchia. Con l’ingresso di questa ultima si è inteso assicurare la difesa dell’accesso al Mediterraneo dal Mar Nero: con quello dell’Egitto si assicura la difesa dell’accesso al Mediterraneo dal Mar Rosso;

b) agli Stati Uniti d’America non si chiederebbe l’assunzione di nuovi oneri militari oltre a quelli che Washington, con il progettato Patto di difesa del Medio Oriente e con le proposte quadripartite respinte dal Cairo, si è già dichiarata disposta ad assumere;

c) si potrebbe prescindere dalla faticosa elaborazione di un Patto mediterraneo o per il Medio Oriente che, per il momento almeno, si presenta foriero di complicazioni piuttosto che strumento costruttivo per l’impossibilità di includervi e di escludervi lo Stato d’Israele;

d) con l’occasione si favorirebbe un’interpretazione – del resto legittima anche in base al Patto – di una esecuzione non automatica del Patto atlantico. Ciò permetterebbe di guadagnare più facilmente il consenso di alcuni membri (ad es. Canada e Norvegia) consentendo ai singoli Stati di non prendere immediatamente misure militari di intervento nell’eventualità di incidenti bellici in zone periferiche del Patto: quanto più infatti, questo si estende tanto più tale interpretazione viene facilitata.

5. Venendo ad esaminare la posizione egiziana in relazione ad un invito ad aderire al Patto atlantico subordinato ai preventivi impegni di cui al punto 3, la sua accettabilità dovrebbe sembrare possibile per il fatto che in primo luogo sarebbero pienamente soddisfatti tutti i requisiti precedentemente indicati come necessari per qualsiasi nuova proposta da avanzare.

Le decisioni di Ottawa, sottolineando le finalità economico-sociali del Patto atlantico, consentono di prospettare al Cairo che non ci si preoccupa unicamente di un interesse militare, ma che anzi quest’ultimo ha un carattere meramente accidentale e contingente. La Comunità atlantica intende in primo luogo aiutare l’Egitto a risolvere quei problemi sociali e di elevazione dello standard di vita che, ove restassero aperti nei termini attuali, potrebbero compromettere seriamente ogni suo sforzo per l’indipendenza ed aprire la via all’affermarsi del comunismo.

Con questa impostazione della questione delle relazioni dell’Occidente con il Cairo il problema della difesa del Canale, pur essendo nella sostanza risolto nel modo auspicato, non verrebbe in prima linea nelle discussioni al Parlamento, ma troverebbe la sua sede nelle già accennate Convenzioni esecutive militari nell’interno del Patto.

Le suscettibilità di prestigio dell’Egitto sarebbero pienamente e sostanzialmente salvaguardate non solo assicurandogli una posizione di parità con le altre potenze del Patto, ma anche chiamandolo a collaborare sul piano militare in forma analoga a quella già consentita sul proprio territorio per esigenze uguali, dal Canadà, dalla Francia e da altri paesi. D’altra parte, mentre la durata del Patto atlantico va oltre la scadenza del trattato anglo-egiziano, il Governo del Cairo non si troverebbe di fronte ad una richiesta di concessioni indeterminate nel tempo. Inoltre l’Egitto non avrebbe l’impressione di ridare da una parte quello che gli sarebbe restituito dall’altra (come era il caso della proposta quadripartita) in quanto si darebbe vita ad una situazione non solo giuridicamente ma anche sostanzialmente (per il profilo economico-sociale) nuova.

6. Le maggiori difficoltà sono logicamente da prevedere da parte britannica. Il pericolo più grave discende naturalmente dalla possibilità che a Londra ci si fermi prevalentemente sulla questione di prestigio. Il che non è da escludere, sebbene il fatto che il Foreign Office abbia ritenuto di poter procedere alla presentazione di nuove proposte al Cairo proprio all’indomani della denuncia unilaterale del trattato, sembra indicare il desiderio di guardare piuttosto alla sostanza che alla forma delle cose.

Comunque il mantenimento nel periodo transitorio dei 10 mila uomini previsti dal trattato anglo-egiziano salverebbe pur sempre il prestigio inglese. E, se non si può nascondere che la difesa del Canale non sarebbe più un monopolio inglese, non va scordato che una trasformazione analoga era pure implicita nelle proposte quadripartite.

D’altra parte, anche la Gran Bretagna non può che auspicare un sollecito regolamento della controversia ed a tal fine dovrà pur essere disposta a pagare un qualche prezzo più o meno grande.

7. Resterebbe ora da accennare alla questione del Sudan che la progettata proposta lascerebbe insoluta. Il suo regolamento definitivo formale potrebbe, secondo quanto il ministro degli esteri egiziano ebbe a dichiarare a Prunas, essere rinviato ad un plebiscito da effettuarsi sotto il controllo dell’O.N.U. Intanto, nella fase preparatoria, non dovrebbe riuscire impossibile trovare un modus vivendi provvisorio.

8. Al termine della presente esposizione preme sottolineare che nel caldeggiare la proposta di inclusione dell’Egitto nel Patto atlantico non se ne sottovalutano le difficoltà e gli inconvenienti. Preminenti ad essi (ed a prescindere dai vantaggi politici che un successo potrebbe offrire al nostro paese) sembrano però dover essere le considerazioni relative alla opportunità per il Governo italiano di non lasciar cadere l’ouverture egiziana ed alla necessità di non permettere il prolungarsi di una situazione che potrebbe presto sfociare in una nuova crisi in un altro settore arabo (ad es. il Marocco) ugualmente delicato per la Comunità atlantica.

Nell’impossibilità di arrestare certe forze in movimento, occorre approntare tempestivamente quei sacrifici necessari per contenerle e dirigerle verso posizioni non del tutto antitetiche.

10. Il generale Marras sta studiando gli aspetti tecnici della difesa del Canale4.


189 1 Vedi D. 183.


189 2 Con il T. segreto 13423/1117 del 25 ottobre Tarchiani aveva comunicato: «McGhee conferma che Dipartimento: 1. È grato a Governo italiano per suo desiderio contribuire a soluzione crisi egiziana; 2. Ritiene che contributo potrebbe praticamente realizzarsi soltanto col persuadere Egitto a presentare contro-proposte ragionevoli; 3. “Controproposte ragionevoli” significa tali da variare dettagli o forma piano politico andatura di quelle quadripartite, le quali sono basate praticamente su esigenze della difesa collettiva del Canale di Suez; 4. Nessuna azione appeasement può riuscire gradita Stati Uniti d’America, i quali sono e resteranno irremovibili circa suddette esigenze».


189 3 Annotazione autografa di De Gasperi a margine: «Mai saputo».


189 4 In calce al documento De Gasperi appose la seguente annotazione: «L’idea d’invitare al P.A. può essere coltivata, per quanto l’assenso degl’inglesi possa risultare difficile. Converrebbe sapere da Marras 1) quante siano le forze inglesi sul canale 2) se sia possibile spostamento delle forze, pur mantenendo posizioni di sicurezza verso l’esterno 3) quali e quanti dovrebbero essere i contingenti per internazionalizzare la sicurezza. È chiaro che bisogna trovare un provvisorio prima di parlare di P.A., perché l’opinione egiziana vede ovunque un tentativo di mantenere gl’inglesi. Per ora non parlerei del Sudan. L’amb. mi diceva: il canale si può difendere anche spostando le truppe. Non ho creduto di chiedere chiarimenti, ma eventualmente si potrebbero chiedere spiegazioni. 1.XI.1951».

190

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 31 ottobre 1951.

È venuto l’ambasciatore Mallet a portarmi il messaggio di Eden per V.E.1.

Ha poi tenuto ad informarsi sulla visita fatta avanti ieri a V.E. dagli ambasciatori egiziano e persiano2. Gliene ho dato conto negli stessi termini telegrafati a Gallarati Scotti3. Mi ha detto che in un primo momento le dichiarazioni fatte al Senato4 avevano suscitato a Londra una certa perplessità e si è raccomandato di non dare l’impressione che l’Italia mantiene un «atteggiamento neutrale» in una questione che interessa tutta la comunità atlantica e sulla quale tutti i membri di questa comunità debbono dimostrarsi solidali. Mi ha ripetuto, contro l’Egitto, i noti argomenti inglesi: violazione del trattato del 1936 con la denuncia unilaterale di esso, misure prese contro le truppe inglesi nel Canale, ecc. ecc. Ha sottolineato che non è il caso di parlare di mediazione. Non sa ancora quale posizione assumerà il nuovo Governo britannico.

Gli ho risposto che non siamo «neutrali» perché riconosciamo l’importanza che ha per tutti la sicurezza del Canale e siamo molto preoccupati della piega che vanno prendendo le cose nel Medio Oriente.

In tutti quei paesi il rancore e l’ostilità verso il mondo occidentale va aumentando; poiché pel momento noi italiani non siamo oggetto di tale ostilità e anzi siamo ancora considerati amici, riteniamo conveniente, nell’interesse di tutti mantenere tale amicizia che potrebbe divenire, se la situazione si aggravasse, l’unico legame tra le nazioni arabe e la comunità atlantica. Vi sono, gli ho detto, due modi di superare la crisi attuale: uno è quello di affidarsi alla forza, e certamente non manca la possibilità di metterlo in atto. La situazione verrebbe rapidamente ristabilita, ma quali ne sarebbero poi le conseguenze politiche? Un altro modo è quello di rendersi conto della evoluzione dei tempi e di ottenere la fiduciosa collaborazione di quei popoli in una questione per noi vitale come la sicurezza del Medio Oriente, riconoscendo quello che può esservi di giusto nelle loro aspirazioni: a noi sembra questa la via migliore, altrimenti si può correre il rischio di averli sempre più ostili e di compromettere proprio quello che vogliamo salvare. A questi concetti erano appunto ispirate – ho concluso – le parole dette dal presidente del Consiglio al Senato.

Mallet non mi è parso del tutto convinto: secondo lui, con le proposte quadripartite era stata offerta all’Egitto tutta la soddisfazione che poteva desiderare. Per parte sua ha insistito perché non si tentino in questo momento, «non ancora maturo», mediazioni.


190 1 Ministro degli esteri nel Gabinetto Churchill in carica dal 26 ottobre 1951, Eden inviava a De Gasperi un messaggio di saluto e di augurio di proficua collaborazione al prossimo Consiglio atlantico di Roma.


190 2 Vedi DD. 183 e 184.


190 3 T. segreto 10017/332 del 30 ottobre a firma De Gasperi, informava sul contenuto dei colloqui di cui ai DD. 183 e 184.


190 4 Vedi D. 161, nota 3.

191

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto urgente. Roma, 31 ottobre 1951.

In relazione all’esame della questione «riarmo» attualmente in corso ritengo doveroso prospettare a V.E. gli aspetti di politica estera della questione stessa.

È probabile che gli americani non ci farebbero ulteriori e gravose pressioni per indurci a maggiori spese qualora decidessimo non farle o di ridurle rispetto ai preventivi prospettati, sia pure – per ovvie ragioni – in forma di ipotesi. Ne sarebbero certo delusi perchè tali ipotesi hanno formato il substrato, mi pare, delle stesse conversazioni di Washington1. Ma ciò a cui ci esponiamo è di essere «classificati» per quello che facciamo. A parte quindi l’aspetto «difesa» che potrà meglio essere illustrato dai competenti militari, quella che è in gioco è la nostra posizione anche politica nella Comunità atlantica. Noi ci battiamo per cercare a poco a poco di farci una situazione di maggior rango tra le nazioni. Facciamo capire che questi incontri a tre non ci garbano, ci lamentiamo perché in molte questioni (che ci interessano anche da vicino) non veniamo interpellati, chiediamo che si facciano pressioni su Tito perché ceda nella questione della Zona B., lottiamo proprio in questi giorni per conservare il Comando terrestre del settore sud che ci sta sfuggendo (ci siamo sentiti dire che i greci hanno 10 divisioni e non possono quindi essere sottoposti a un Comando italiano), vediamo la Turchia prendere una posizione di maggior rilievo della nostra nelle questioni del Mediterraneo, cerchiamo di convincere gli Alleati a non fidarci troppo della Jugoslavia la quale intanto offre di mettere in piedi più di 40 divisioni. Anche gli aiuti economici e le commesse, che chiediamo (e premiamo perché siano portate al maggior ammontare possibile), saranno in misura condizionata al nostro sforzo di riarmo: dubito quindi che possano essere mantenuti al livello prospettatoci qualora il nostro sforzo venisse ridotto. Purtroppo mi sembra che il metro con cui oggi si misurano la posizione politica di ogni membro della alleanza, gli aiuti da dargli, il credito da prestargli, ecc., sia quello del suo sforzo di riarmo. Ed è quindi anche di questo aspetto del problema che dobbiamo tener conto2.


191 1 Vedi D. 119.


191 2 Annotazione in calce di De Gasperi: «Visto dal di fuori e dal di dentro».

192

L’AMBASCIATORE A NEW DELHI, PRINA RICOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto urgente 2446/030. New Delhi, 31 ottobre 1951(perv. il 6 novembre).

Riferimento: Mio telespresso urgente n. 2329/027 del 20 corrente1.

Per la revisione del nostro trattato di pace, di cui al mio telespresso urgente in riferimento, sir Girja Shanker Bajpai convocavami stamane anzitutto giustificandosi del ritardo dovuto all’eccessivo lavoro dato dalle visite di Thakin-Nu e Casey.

Mi comunicava che Governo indiano avrebbe appoggiato senz’altro la nostra ammissione all’O.N.U., ma, per quanto riguardava i limiti all’armamento e le clausole militari contenute nel trattato stesso, India riteneva disinteressarsene. Così lontana dall’Italia, non era certo essa ad averle volute ed imposte. Non pensava d’altronde che il disinteresse dell’India in affari che non la riguardavano potesse in alcun modo influi-re sulle relazioni italo-indiane. Mi ricordava essere stati gli indiani a voler per primi il riallaccio delle relazioni diplomatiche con l’Italia e lo scambio di ambasciatori ed anzi consentiva ora a riprendere le trattative per il patto di amicizia senza più subordinarlo all’eternità della conclusione di un accordo commerciale (mio telespresso n. 4154/550 del 3 luglio 1950)2.

Obbiettai che nemmeno la Russia – pur ponendoci come condizione d’uscir dal Patto atlantico – aveva voluto, come firmataria, negarci la revisione dell’ingiusto trattato. E questo la Russia per la quale tutto quanto essa faceva era: pace e tutto quello che gli altri facevano era: guerra!

Nella lunga conversazione che ne seguì, mi resi conto essere la linea politica indiana legata a pregiudiziali che divengono sempre più rigide con l’aggravarsi della crisi nel Medio Oriente. Il nostro passo li ha posti in serio imbarazzo. Vorrebbero accontentarci, d’altra parte, né vogliono in alcun modo apparire ai comunisti come favoreggiatori dell’armamento atlantico, né possono apertamente condannare l’Organizzazione atlantica senza ferire i nostri alleati. Cercano perciò di sfuggire al dilemma, disinteressandosene. Ritengo doveroso far presente sin d’ora (nonostante le più miti previsioni del mio collega inglese) che tale atteggiamento non muterebbe quando l’India fosse formalmente posta dinanzi alla richiesta ufficiale dell’Italia di una revisione del trattato.

Del resto sin dall’inizio del conflitto coreano ho scritto in tutte le possibili occasioni che Nehru, o serve un’intesa coi comunisti, o agisce spontaneamente come se la servisse; certo, quando l’India è forzata a prendere un atteggiamento, l’India, con la scusa di starsene a cavallo, è sostanzialmente dalla parte opposta, sin dove è ad essa possibile e sia pure in modo equivoco. Ultimo esempio il trattato di pace con il Giappone (mio rapporto n. 2387/1001 del 21 corrente)2 e così l’India sempre continuerà a meno che, con l’avvento in Inghilterra dei conservatori, ora non cambi. Non lo credo però affatto, perché tutt’al più farà le viste, anche per incassar dollari dagli americani, ma, all’atto pratico, al momento buono, nella guerra fredda, sempre sguscerà dall’altra parte, specie in questioni che riguardino il riarmo europeo e più ancora mentre è aperto il grave conflitto del Medio Oriente, punto di frizione così delicato per l’India, persino coi suoi particolari sostenitori: i laburisti inglesi (mio rapporto n. 2447/1032 del 27 corrente)2.

C’è da domandarsi sino a quando converrà agli americani elargire danaro per finanziare quello che in fin dei conti risulterà la più pericolosa delle speculazioni russe contro l’Occidente3.


192 1 Riferiva una conversazione con Bajpai sulla possibile adesione indiana alla Dichiarazione tripartita di Washington.


192 2 Non pubblicato.


192 3 Per la risposta vedi D. 210.

193

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 13828/532. Londra, 2 novembre 1951, ore 22,42(perv. ore 7,30 del 3).

Suo 3271.

Foreign Office ha ora indicato a questa ambasciata quella che sembragli migliore procedura da seguire nei riguardi ammissione Italia O.N.U. e che consiste nel progetto britannico – che risultami esser già stato comunicato a V.E. dai francesi – che parte dalla richiesta Consiglio tutela e, attraverso Assemblea, giunge infine a Consiglio di sicurezza.

Foreign Office, discutendo con questa ambasciata sul problema (mio telegramma 518)2 non aveva ritenuto – per ragioni correttezza – poterci rendere note tali sue proposte: esisteva già infatti un diverso progetto Schuman e l’Inghilterra avrebbe ritirato il proprio se fosse mancato assenso francese. Solo ora è pervenuta adesione franco- americana. Progetto in questione, ispirato a considerazioni di cui a mio 518, è inteso ad evitare tra vari pericoli – cui anche ieri mi accennava Jebb – i due che qui si consideravano maggiori. Giacché il fatto che iniziativa parta da Consiglio tutela rende possibile mantenere come isolato nostro caso; e auspicata larga presa di posizione a nostro favore da parte Assemblea dovrebbe mettere U.R.S.S., in sede Consiglio sicurezza, in situazione più imbarazzante per rinnovare veto su vecchie e nuove basi.


193 1 Del 26 ottobre, con il quale Jannelli informava di aver trasmesso a Quaroni, anche per l’ambasciatore Guidotti in arrivo a Parigi, il D. 173.


193 2 Vedi D. 173.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. segreto 10165/232. Roma, 3 novembre 1951, ore 21.

In risposta al suo telegramma n. 2781 si comunica che ambasciatore Guidotti, nostro osservatore O.N.U., che trovasi a Parigi per seguire lavori dell’Assemlea, è stato incaricato per un primo sondaggio. La S.V. quando confermerà che Kardelj ne è stato informato, potremo dare ambasciata Parigi istruzioni di porsi in contatto con lui. Massima segretezza viene da noi raccomandata: sono ritenute dannose indiscrezioni come quelle contenute nell’intervista concessa dal maresciallo Tito2.


194 1 Vedi D. 180.


194 2 Con il T. s.n.d. 13973/282 del 5 novembre Martino comunicò di aver informato Kardelj secondo le presenti istruzioni.

195

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 13841/694/1-2/pa. Parigi, 3 novembre 1951, ore 9,47(perv. ore 12,15).

Mi riferisco al telegramma Quaroni 6661.

Ho avuto oggi stesso, in presenza anche Perassi e Francisci, colloquio con capo servizio francese Broustra.

Riassumo punti rilevanti:

1) piano francese, nello spirito suo autore, che è lo stesso Broustra, è semplicemente procedurale. Mira cioè ad isolare caso italiano dagli altri e a fornire in varie sedi e livelli occasione per dibattito ed eventuale decisione questione;

2) di qui necessità impostare azione di partenza su argomento specifico piena partecipazione italiana Consiglio tutela;

3) questo schema procedurale non (dico non) preclude, anzi, secondo Broustra, tecnicamente potrebbe rendere più facile «azione di forza» da parte Assemblea cui possibilità pratica dipende però unicamente da volontà grandi potenze;

4) in questo modo tale azione potrebbe essere motivata non tanto da diritto generico Italia essere ammessa N.U. quanto da esigenza assicurare funzionamento organo fondamentale N.U. quale Consiglio tutela. Ciò, secondo Broustra, ridurrebbe in un certo senso anche portata violazione Statuto, trasferendo centro di gravità dell’azione di forza dell’Assemblea da ammissione nuovi membri ad esigenze funzionamento organizzazione.

Inoltre, sempre secondo Broustra, allo scopo di limitare ancor più «violazione» cui sopra, Assemblea potrebbe decidere ammettere Italia ad O.N.U. con piena parità di diritti ma a titolo provvisorio per un periodo da determinarsi, salvo naturalmente riconferma al termine di questo.

Mio interlocutore mi ha promesso che esporrà queste idee (che sono per il momento solo idee personali) allo stesso Schuman, ed ha aggiunto che sarebbe molto utile se gliene parlasse anche Quaroni.

Per parte mia ho assicurato che avrei riferito a V.E. Naturalmente, in questi termini, piano «procedurale» francese può costituire ottima piattaforma; esso rende però ancora più necessario chiarimento reali intenzioni politiche di ciascuna delle tre grandi potenze a livello più alto.

In questo ordine di idee mi permetto suggerire:

1) accettazione, sotto riserva aspetti politici, piano procedurale francese, ciò che del resto è già stato fatto da Quaroni;

2) immediato invio a Eden e Schuman lettera analoga (cioè eguale, meno allusione a conversazioni Washington) a quella inviata ad Acheson2;

3) istruzioni rispettivi ambasciatori per azione uniforme presso Governi tre grandi potenze3.


195 1 Vedi D. 175.


195 2 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. II, cit., pp. 365-367. Vedi anche D. 178.


195 3 De Gasperi rispose (T. s.n.d. 10207/507 del 5 novembre): «Accettiamo piano procedurale francese con riserva che questo deve essere accompagnato decisa azione politica...». Per il seguito vedi D. 212.

196

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 3177/1535. Belgrado, 3 novembre 1951(perv. l’8).

Mi onoro allegare il testo pubblicato da questi giornali della conferenza stampa tenuta dal maresciallo Tito a circa 120 rappresentanti della stampa estera ed jugoslava.

La nota saliente della conferenza stampa è l’intonazione nettamente «occidentalistica» delle dichiarazioni del maresciallo.

Si ha l’impressione che egli abbia parlato sotto l’influenza delle conversazioni con il generale Collins, che lo stesso maresciallo Tito ha dichiarato essere state soddisfacenti. Qui infatti non si dubita che presto l’America si appresti a fornire alla Jugoslavia armi pesanti, carri armati e aeroplani. Sintomatiche sono infatti le dichiarazioni del maresciallo Tito che il Patto atlantico è una logica conseguenza della politica sovietica e che la Jugoslavia collaborerà con i paesi del Patto atlantico nelle questioni internazionali che non siano in contrasto con i principi sostenuti dal Governo jugoslavo; nonché quella che il problema dell’aggressione dell’Europa è indivisibile e che non si può concepire che in caso di guerra un paese resti neutrale.

A chi gli domandava che cosa la Jugoslavia dà in cambio all’America per la fornitura di armi il maresciallo ha risposto offrendo i petti dei suoi soldati a difesa dell’Occidente, aggiungendo che l’America ha dalla sua parte un paese amico sul quale può contare nel caso che in qualche luogo si dovesse verificare una aggressione.

Il maresciallo ha aspramente criticato il Patto a cinque proposto dalla Russia che non sarebbe altro che un tentativo di incrinare l’O.N.U., e non ha nascosto la sua preoccupazione che le grandi potenze occidentali non siano abbastanza decise nel respingere una tale proposta che, secondo Tito, tende a dividere il mondo in zone di influenza a tutto scapito dei piccoli paesi.

Altra nota occidentalizzante è stata la dichiarazione della necessità dell’armamento della Germania e della necessità che questa nazione riprenda il suo posto di parità con gli altri paesi.

Sotto la stessa luce devono riguardarsi le sue dichiarazioni circa i buoni rapporti esistenti con la Grecia e con l’Austria, il suo desiderio di migliorare i rapporti con l’Italia attraverso la soluzione del problema di Trieste, che sembrano fatte a fugare la preoccupazione che le armi fornite alla Jugoslavia possano in un futuro servire per rivendicazioni territoriali nei confronti degli altri paesi. È noto, ad esempio, che fino a poco tempo fa, era viva la dichiarazione che la Jugoslavia non intende rinunciare alla Carinzia, mentre il maresciallo a questo proposito ha evocato il trattato di pace con l’Austria (che d’altra parte non è perfezionato) per concludere che quello che è stato è stato.

Ancora più sintomatica è stata la dichiarazione circa il desiderio di migliorare i rapporti con il Vaticano con il quale, secondo Tito, non esisterebbe nessuna grave questione pendente.

In un certo senso egli ha anche cercato di tranquillizzare l’Occidente per quello che riguarda la politica interna jugoslava, ripetendo che in Jugoslavia esiste la libertà di critica, che non vi è il comunismo ma che essa sta soltanto attraversando una fase socialista, che d’altra parte il comunismo jugoslavo è ben diverso da quello russo in quanto permeato di umanità e di adattamento alle reali condizioni del paese.

Infine, mentre ha cercato di difendere il principio delle cooperative agricole, egli ha riconosciuto che le difficoltà sono sorte da una cattiva applicazione della politica agricola da parte degli uomini, assicurando che, almeno per il momento e fino a che il Governo non potrà provvedere i mezzi necessari, si rinuncerà ad ogni pressione per la costituzione di nuove cooperative.

Concludendo, il maresciallo ha dichiarato quel tanto che poteva soddisfare in questo momento l’Occidente ed in particolare gli americani, tanto più che le sue dichiarazioni hanno dato l’impressione di essere del tutto spontanee in quanto fatte su domande improvvisate dai giornalisti che sono stati convocati qualche ora prima alla presenza del maresciallo.

197

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. segretissimo 10176/233. Roma, 4 novembre 1951, ore 15.

New York Herald Tribune pubblica in corrispondenza da Belgrado che in ambienti autorevoli costì ci si attende delegazione jugoslava Assemblea O.N.U. stabilisca contatto con rappresentanti italiani Parigi scopo negoziare questione Trieste. Pregola deplorare costì tali indiscrezioni e far osservare quanto esse possano essere nocive. Faccia presente necessità Governo jugoslavo ne attenui subito portata dichiarando, come già abbiamo fatto noi, che tali notizie sono per lo meno premature. Aggiunga che, ove non si stabilisse indispensabile zona silenzio attorno a tale questione, sarà impossibile auspicata presa contatto1.


197 1 Con T. s.n.d. 13998/285 del 5 novembre Martino assicurò circa l’esecuzione delle presenti istruzioni.

198

IL MINISTRO A BAGHDAD, ZAMBONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 13917/20. Baghdad, 4 novembre 1951, ore 10,40(perv. ore 12,40).

Telegramma ministeriale 181.

Ministro affari esteri mi ha dichiarato che Governo irakeno, riconoscendo ben fondati diritti Italia revisione del trattato di pace, si conformerà a dichiarazione tripartita Washington, salvo chiedere, al momento della nostra domanda formale, garanzie che in caso di un eventuale ritorno di regime dittatoriale in Italia, le nostre aumentate forze militari non assumano carattere aggressivo verso paesi arabi.

Egli mi ha inoltre raccomandato vivamente che non venga data pubblicazione alcuna alle sue dichiarazioni perché, data attuale tensione opinione pubblica locale, notizia presterebbesi ad essere sfruttata da opposizione in Parlamento e nell’ipotesi stampa per attaccare Governo, già troppo pressato da vivace azione opposizione stessa per altre note questioni.


198 1 Del 2 novembre, con il quale Jannelli chiedeva informazioni sulla questione oggetto del presente telegramma.

199

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 13978/538. Londra, 5 novembre 1951, ore 13,40(perv. ore 20,30).

Mi sono incontrato sabato con Brilej e ho avuto lunga conversazione con lui. Circa situazione inglese Brilej si espresse favorevolmente sui risultati elezioni, tanto più dati suoi personali antecedenti rapporti con Churchill e conoscendone pensiero, come pure quello di Eden, riguardo politica anglo-jugoslava che non ritiene sarà variata dai conservatori. Concorda meco nel ritenere che nuovo Governo non abbia una maggioranza sufficiente per fare all’interno una politica fortemente differenziata da quella dei laburisti; mentre ha tutto il prestigio per una politica estera originalmente costruttiva. Con Churchill al potere poi diventano più probabili conversazioni cui partecipi anche Russia sovietica, ciò che (mi ha lasciato intendere) non dispiacerebbe alla Jugoslavia in quanto possono allontanare e rinviare pericoli di un conflitto.

Brilej condusse quindi discorso su Trieste.

Ben inteso non lasciai trasparire nulla di quanto comunicatomi da codesto Ministero in proposito.

Ma egli stesso accennò vagamente a possibili conversazioni «non a Roma e non a Belgrado». Io gli risposi di aver letto quanto Tito aveva detto in intervista 31 ottobre u.s.1 circa prossime aperture, ma sembrarmi ciò non fosse né prudente né opportuno, in quanto simile notizia poteva mettere all’erta dalle due parti gli elementi più eccitati e contrari a una intesa diretta.

Avendomi inoltre accennato come una soluzione su Trieste avrebbe facilitato una presa di posizione jugoslava a favore della revisione del nostro trattato e per l’ammissione dell’Italia all’O.N.U., gli dissi lealmente, a titolo personale, il mio pensiero in proposito: che cioè il pericolo maggiore sarebbe stato di permettere da parte jugoslava condizioni o discussioni polemiche estranee al problema, sotto pretesto di voler chiarire i precedenti rapporti fra le due nazioni; mentre a mio parere bisognava procedere a esame realisticamente oggettivo della base etnica e topografica su cui le intenzioni e le possibilità reciproche potevano saggiarsi.

Brilej parvemi consentire pienamente ed espresse sue speranze che si giungesse a trovare presto un accordo per risolvere questo grosso problema «europeo», sistemato il quale molti altri problemi si risolvevano da sé. Parlò caldamente delle qualità e della comprensione dell’ambasciatore Velebit, concludendo che a situazioni nuove occorrono uomini nuovi. Mi chiese di Guidotti e gli risposi esprimendo tutto il bene che ne pensavo.


199 1 Vedi D. 196.

200

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. 1984/c. Roma, 5 novembre 1951.

Riferimento: Telegr. di codesta ambasciata n. 530 del 30 ottobre1; telespr. n. 1840 del 16 ottobre2; rapporto di codesta ambasciata n. 11487 del 25 ottobre3.

Qui unito in copia si trasmette, in lingua italiana, inglese e francese, il testo definitivo4 della Nota da inviarsi ai Governi firmatari del trattato di pace conformemente alle intese di Washington.

Il testo ha subito qualche lieve modificazione di forma, a richiesta del presidente del Consiglio che lo ha sottoposto ad un nuovo esame, in vista anche della eventuale pubblicazione di esso.

In tutti e tre i testi, dopo consultazioni col Governo britannico, è stato concordato di sopprimere la frase (inserita in un primo tempo a richiesta di quel Governo) dopo il periodo IV e che diceva: «Italy does not intend to devote its resources to build armies for aggression or territorial aggrandizement, but to develop forces sufficient to defend its frontiers and to contribute more fully to the growth and development of collective security; this, Italy cannot do under existing restrictions».

Il V capoverso (Since Italy ecc. …) è stato modificato come segue: «Poiché l’Italia non fa parte delle Nazioni Unite, essa non può contribuire allo sviluppo delle relazioni internazionali assieme alle altre Nazioni né farsi valere in seno alle stesse Nazioni Unite per una revisione delle clausole del trattato nella maniera in esso prevista». In tal modo il riferimento all’art. 46 è implicito senza essere detto articolo esplicitamente citato evitandosi che la nota appaia su di esso esclusivamente centrata.

Al paragrafo VI è stato aggiunta all’accenno relativo alla partecipazione italiana alle organizzazioni internazionali, anche la menzione che l’Italia amministra la Somalia per conto delle Nazioni Unite.

In tutti i testi, al principio dell’ultimo periodo, per motivi meramente formali, la frase «L’Italia perciò propone ecc. …» è stata sostituita con la frase «Su istruzioni del mio Governo perciò ho l’onore di proporre ecc. …». Nel testo francese l’inciso, contenuto nell’ultimo periodo, che diceva «….et les autres signataires du Traité, auxquels des notes analogues ont été envoyées, soient d’accord pour reconnaître ecc.» è stato sostituito, per le parole sottolineate, con la semplice parola «reconnaissent». Ciò per evitare si possa ritenere che il riconoscimento di ogni Governo sia subordinato ad un accordo fra tutti i Governi, il che non sarebbe esatto in quanto abbiamo avuto a Washington l’assicurazione che la Dichiarazione del 26 settembre5 diverrà operante non appena la maggioranza degli Stati firmatari avrà risposto favorevolmente alla nostra Nota. Nel testo inglese che usa semplicemente le parole «should agree» evidentemente riferite al solo Governo cui la Nota viene indirizzata, tale dubbio non può sorgere. Il testo italiano dice «riconosca».

Nello stesso ultimo periodo la parola «non necessarie» è stata sostituita con la parola «superflue» e dopo le parole «clausole militari» è stato aggiunto l’inciso «limitative del diritto e della capacità di provvedere alla propria difesa».

Prego telegrafare con la maggiore urgenza l’accordo definitivo di codesto Governo su tali testi. Non appena in possesso di tale conferma questo Ministero autorizzerà l’E.V. a presentare la Nota (testo italiano con allegata traduzione) e provvederà a farla recapitare agli altri Governi interessanti.


200 1 Da Londra, non pubblicato.


200 2 Per Parigi, vedi D. 179, nota 1.


200 3 Da Washington, vedi D. 177.


200 4 Il testo definitivo della Nota è pubblicato al D. 258, Allegato. La versione trasmessa col presente documento venne modificata al 5° o 6° capoverso, vedi D. 231.


200 5 Vedi D. 124.

201

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1978 segr. pol. Roma, 5 novembre 1951.

Mi sembra sia da tener presente la possibilità che i russi, anche per bloccare la revisione del trattato, qualora abbiano un maggiore interesse a ciò che far entrare all’O.N.U. i loro satelliti o tutti i loro satelliti, si inducano improvvisamente ad accettare qualche formula che ci consenta di entrare all’O.N.U. Infatti in questo caso per la revisione delle clausole militari – che altrimenti viene decisa a maggioranza di risposte favorevoli alla Dichiarazione di Washington del 26 settembre1 – si dovrebbe applicare l’art. 46 del trattato di pace sulla cui inapplicabilità (per essere noi fuori dall’O.N.U.) è fondato il ragionamento esposto nella Nota2 che, sempre in base alle intese di Washington, stiamo per inviare ai firmatari del trattato. L’U.R.S.S. potrebbe poi mettere il veto in Consiglio di sicurezza.

In questo caso la revisione potrebbe aver servito come «manovra» per evitare un quinto veto russo. Ma la revisione rischierebbe di venire risospinta in alto mare. Non so quando verrà in esame la questione della nostra ammissione: cercheremo di spedire la Nota per la revisione al più presto.


201 1 Vedi D. 124.


201 2 Vedi D. 258, Allegato.

202

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1985 segr. pol. Roma, 5 novembre 1951.

All’azione dei Tre in appoggio alla loro dichiarazione del 26 settembre per la revisione del trattato, abbiamo fatto seguito noi stessi con una azione nostra che ha portato sino ad ora ad ottenere l’adesione di massima dei seguenti paesi: Australia, Canadà, Cina nazionalista, Belgio, Grecia, Olanda, Sud Africa, Nuova Zelanda, Brasile, Messico.

Abbiamo svolto anche altrove opportuna azione. Per l’Iraq ti accludo un telegramma da Bagdad1, un nostro telegramma al Cairo e la risposta di Prunas2. L’Iraq è sovente un po’ estroso, e forse, per darsi dell’importanza, anche un po’ ingenuo: non vedo come potremmo dargli noi la garanzia che chiede! È invece nota – e ci viene quasi quasi rimproverata – la politica di amicizia che abbiano svolto verso le nazioni arabe.

Ti pregherei di avvicinare il capo della Delegazione irakena o chi meglio crederai, per fargli presenti queste cose perché – anche da costì – le telegrafi a Bagdad3.


202 1 Vedi D. 198


202 2 Rispettivamente T. 10139/142 del 3 novembre e T. 13935/133 del 4 novembre, non pubblicati.


202 3 Per il seguito della questione vedi D. 214.

203

L’AMBASCIATORE A SANTIAGO, BERIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 9257/801. Santiago, 5 novembre 1951(perv. il 17).

Riferimento: Rapporto n. 8876/760 del 22 ottobre u.s.1.

L’appoggio della delegazione cilena che interverrà all’Assemblea dell’O.N.U. a Parigi alla nostra ammissione in seno a detto organismo internazionale mi è stato confermato dal sottosegretario di Stato agli affari esteri, col quale ho avuto modo, di recente, di tornare a parlare della questione.

Tale atteggiamento è stato reso di pubblica ragione attraverso il seguente trafiletto apparso sulla stampa di ieri:

«La Cancelleria ha comunicato ufficialmente la propria reiterata determinazione, nel senso che sono state impartite istruzioni ai delegati presso la prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel caso venga esaminata l’ammissione dell’Italia in tale organismo, il Cile voterà favorevolmente per l’ingresso di tale nazione.

D’altra parte, questa posizione coincide con quella adottata da vari membri del Blocco Regionale americano, di modo che quel paese comincerebbe a usufruire della pienezza dei propri diritti per quanto riguarda decisioni di ordine internazionale, e principalmente quelle che lo concernono in forma diretta, come i problemi europei e mediterranei».

In proposito il locale quotidiano El Debate pubblica oggi un simpatico commento, che mi onoro qui unito accludere2.


203 1 Riferiva circa le favorevoli disposizioni cilene relativamente all’ammissione dell’Italia all’O.N.U.


203 2 Non si pubblica.

204

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 4464/1048. Vienna, 5 novembre 19511.

Riferimento: Miei telegrammi 251 e 2562.

Come ero rimasto d’accordo con i suoi collaboratori, ho ora visto il ministro Gruber, rientrato più stabilmente a Vienna dopo numerose e prolungate assenze.

Mi ha subito detto che, come già sapevo, aveva dovuto rinunciare pel momento alla sua conferenza perché essa avrebbe coinciso o quasi con la riunione a Roma del Consiglio del N.A.T.O. La sua presenza a Roma in tale occasione o subito dopo si sarebbe prestata a chissà quale sfruttamento da parte dei sovietici, i quali già accusano l’Austria di riarmo e di volersi inserire di fatto nel Patto atlantico. Avrebbe potuto anche risultare di serio pregiudizio ai tentativi che si stanno ora facendo per rimettere a galla il trattato di pace. Si potrà quindi riparlare della sua conferenza in dicembre e magari gennaio, se non sorgono nuove complicazioni.

Gli ho fatto rilevare che ad ogni modo le osservazioni che erano state fatte3 e che gli ripetevo restavano attuali, se e in quanto anche più tardi egli si fosse recato a Roma per l’invito di Palazzetto Venezia e avesse fatto visita a V.E.

Ha risposto che si era reso conto di quelle osservazioni, e di massima ne conveniva: era appunto per un analogo ordine di preoccupazioni che aveva preferito, del resto, di approfittare di una circostanza privata come quella offerta dalla conferenza por incontrarsi con V.E. Altrimenti avrebbe dovuto intraprendere un viaggio ad hoc, il che aveva preferito evitare. Era d’accordo che la visita non potesse né dovesse impostarsi, specialmente nei confronti delle rispettive opinioni pubbliche, sotto il segno specifico del problema dell’Alto Adige, ma egli sentiva di dover essere sincero e aperto con noi e non pensava che le osservazioni di V.E. significassero che gli fosse vietato di toccare in uno scambio di idee generale i problemi dell’Alto Adige. Non potevansi chiudere gli occhi alla realtà che quei problemi costituiscono un elemento importante nel quadro dei rapporti tra i due paesi.

Il ministro che ha assunto progressivamente un tono di molta serietà, quasi anzi di preoccupazione, ha quindi proseguito facendomi la esposizione che qui sotto riassumo.

In sostanza egli ha detto:

Egli si trovava, e con lui il Governo austriaco, in una posizione personale e politica difficilissima. Finora era sempre riuscito a impedire che la discussione venisse portata apertamente in Parlamento, ma la pressione dell’opinione pubblica era ormai a stento contenibile. Egli divideva la questione in due settori.

Il primo era quello che chiamerebbe «di merito». Egli aveva ricevuto da Innsbruck e dai deputati e senatori alto-atesini un lungo elenco di reclami, di punti cioè in cui noi saremmo inadempienti.

Questa lista è ora sotto esame: ha incaricato Schwarzenberg e vari funzionari competenti di procedere ad un esame coscenzioso e approfondito di tale elenco. Non ha ancora al riguardo delle opinioni personali: non è in grado di dire se quei reclami sono giustificati o meno; anzi spera e si augura che tale esame faccia concludere che molti di quei reclami e magari tutti siano infondati. Tiene appunto tanto ai buoni rapporti con l’Italia che si farebbe scrupolo di farsi eco di reclami di cui sia convinto che non hanno fondamento. Non poteva anticiparmi nulla, anche perché si tratta di questioni tecniche e amministrative complesse: poteva però assicurarmi che appena tale esame fosse stato compiuto, e solo dopo tale esame, avrebbe fatto rimettere da Schwarzenberg a Roma quei reclami che fossero risultati, almeno a parere di qui, fondati. Eguale lista sarebbe stata comunicata anche a me. Occorreva però ancora qualche tempo.

Ma questo era solo un lato del problema. Ve ne era un altro di carattere generale, anche forse più importante, che poneva lui e il Governo austriaco in una posizione anche più spiacevole e delicata. Ormai l’evolversi della situazione, il progressivo realizzarsi dell’accordo di Parigi gli aveva fatto concepire la speranza di sollevare il Governo di Vienna dall’onere di presentarsi sempre come il garante di ufficio di quell’accordo: ormai la sua applicazione, appunto in quanto si andava realizzando, doveva diventare questione che riguardava esclusivamente gli alto-atesini. Contenti loro, il Governo di Vienna non aveva voce per occuparsene. In questi ultimi due anni, egli ha sempre personalmente spinto tutti i rappresentanti alto-atesini a rivolgersi direttamente a Roma per risolvere direttamente a Roma e con il Governo di Roma i problemi che li interessavano: dall’autonomia a tutte le altre questioni regionali. Ma negli ultimi mesi è intervenuto un cambiamento radicale della situazione, in quanto che i rappresentanti parlamentari alto-atesini gli hanno fatto presente che la via da loro tentata secondo i suggerimenti di Vienna si era dimostrata assolutamente sterile e inefficace. Ne era quindi risultata una crisi di fiducia nel metodo che egli aveva patrocinato: tutti ora premono su di lui e su Vienna perché intervengano, richiamandosi a lui come firmatario del trattato di Parigi, al Governo austriaco come parte di quell’accordo internazionale, e quindi in un certo senso garante della sua leale esecuzione.

Di qui era sorta l’idea di un abboccamento con V.E. e di una franca spiegazione con il Governo italiano, anche indipendentemente dalla circostanza del viaggio per la nota conferenza.

Gli ho risposto che, per quanto riguardava le questioni di merito, non potevo che ripetergli quanto già avevo detto recentemente e testé ripetuto.

In relazione appunto alla sua progettata visita: per quanto mi constava, e constava alle nostre istanze competenti, la quasi totalità dei problemi esecutivi degli impegni assunti in materia di Alto-Adige aveva trovato la loro equa soluzione: per alcuni questa era in corso e vi era in ogni momento l’onesta intenzione di superare le inevitabili difficoltà che all’atto pratico insorgono sempre quando si tratta di organizzare tutto un nuovo regime così complesso e delicato. Se ritardi vi erano stati, questi erano sorti in rapporto a situazioni non prevedibili e su certi problemi, del resto di rilievo non fondamentale; vi era poi per alcuni punti per lo meno una reciproca e bilaterale responsabilità e con questo non volevo aprire una polemica su chi in realtà fosse il più responsabile. Ero sicuro che all’atto pratico il famoso elenco di cui aveva parlato si sarebbe dimostrato o infondato o enormemente gonfiato. È inutile nascondersi che vi sono gruppi e persone che hanno interesse a tenere aperte le questioni, perché solo così giustificano la propria attività e sorreggono la propria posizione personale e politica.

Per quanto riguarda il problema di metodo su cui aveva posto l’accento come presunto elemento determinante della presente attuale difficile posizione sua e del Governo austriaco, non avevo elementi positivi per ribattere le sue del resto generiche affermazioni, ma dovevo ritenere che fosse una supposizione infondata e un’accusa immeritata verso le nostre autorità politiche e amministrative, e certamente avanzata dalle note e medesime persone e gruppi di persone a cui mi ero poc’anzi riferito: ci chiedevano cose impossibili, sempre in un atteggiamento polemico e credo raramente cooperativo, forse per poi appunto provocare e giustificare l’intervento di Vienna, con tutte quelle conseguenze che ciò alla lunga non può non provocare nei rapporti tra i due paesi. Si creava così un circolo vizioso basato su una posizione sofistica e non sincera. Il che è poi quello che probabilmente si ripropongono appunto certi gruppi e certe persone, che traggono la loro ragion d’essere precisamente dal perdurare di questioni aperte.

Il ministro Gruber ha commentato che quanto gli dicevo poteva forse avere qualche base di esattezza, ma che questa era la realtà della vita politica, che i deputati sono anche per istituto chiamati ad occuparsi dei loro elettori e che era egualmente un fatto concreto che gli alto-atesini, e credo volesse dire gli onorevoli deputati e senatori alto-atesini, erano giunti alla convinzione che Roma preferiva chiuder loro le porte, non avere rapporti cooperativi con loro, non raccogliere la mano tesa. Egli non comprendeva, ha poi aggiunto, le ragioni di una tale politica, la cui conseguenza immediata era che gli alto-atesini si rivolgevano a Vienna invece di andare direttamente a Roma e mettevano quindi lui Gruber e il Governo austriaco nel più grave imbarazzo, tanto più grave in quanto che era ferma sua intenzione, fino ai limiti del possibile, di liquidare virtualmente la questione Alto-Adige e avere con l’Italia i più cordiali e amichevoli rapporti senza nubi che li offuschino.

Questo era quanto aveva in animo di dire all’incirca a V.E. e che ora anticipava.

Dalla sua conversazione ho tratto le seguenti ulteriori impressioni:

a) In fondo la prima informazione confidenziale ricevuta dal ministro Schwarzenberg era nel suo complesso più genuina e vicina alla realtà delle intenzioni e dello stato d’animo del ministro, nel suo primo fervore ed impulso, di quanto non sia risultata la versione officiosa che successivamente me ne hanno dato i suoi collaboratori diretti, evidentemente intenti a presentare la situazione in termini più diplomatici, e che d’altra parte dovevo riferire.

b) È intenzione del ministro in un modo o nell’altro di aprire con noi una discussione, preferibilmente appoggiandola con un contatto personale diretto con V.E., non fosse altro per potere dire ai suoi critici e avversari che egli si occupa con impegno del problema.

c) Non mi è apparso che il ministro agisca con grande entusiasmo e ferma convinzione nel merito, ma spinto prevalentemente da preoccupazioni e inquietudini politiche personali, il che però gli impone una certa fermezza di iniziativa e di condotta.

d) Per il momento, il ritardo del viaggio finisce per fare in complesso il suo giuoco e quindi non gli torna sgradito perché, pur senza rinunciarvi, rinvia per intanto l’incontro con V.E. e si giova nei confronti del suoi avversari di un argomento valido per guadagnare tempo. Se nel frattempo si dovessero annodare sul serio delle nuove trattative per il trattato di pace, penso che il suo viaggio e la sua conferenza ne potrebbero risultare ulteriormente rinviati.

e) L’attuale iniziativa del ministro Gruber si identifica in sostanza con l’azione che da varie fonti assai attendibili mi era stata più o meno preannunciata già da vario tempo, e che appunto avevo segnalato da scontarsi per l’autunno.

Circa le questioni specifiche a cui ha alluso il ministro e per alcune delle quali ha già precisato di che cosa presumibilmente si tratta (vedi mio telegramma n. 244 del 27 ottobre u.s.)4, sembra che per il momento non vi sia che da attendere la comunicazione dettagliata che ci è stata preannunciata.

Per la questione poi generale, per così dire di metodo, che il ministro ha egualmente sollevata, essa esorbita naturalmente di gran lunga la mia competenza: essa investe un delicato problema di politica interna. È peraltro evidente che specialmente finché la Südtiroler Volkspartei mantiene, specie con i suoi uomini di punta, il noto atteggiamento di intransigenza e di organizzata opposizione, non vi è da parte nostra alcun interesse a valorizzare quel partito e soprattutto quegli uomini con concessioni che d’altra parte, giusta anche recentissime esperienze, vengono poi fatte sistematicamente valere come dovute esclusivamente alla loro azione e anzi pressione.

Aggiungerò infine che in questi ultimi e più recenti sviluppi della situazione alto-atesina, dal noto passaggio all’opposizione del gruppo parlamentare alto-atesino fino all’attuale iniziativa del ministro Gruber, l’uomo di punta, è stato, se le mie informazioni sono, come ritengo, esatte, l’on. Vollger: già messo piuttosto da parte, in complesso in ribasso e con scarsissime simpatie anche qui, come riferii a suo tempo, egli viceversa negli ultimi mesi avrebbe finito per riprendere quota, fino ad imporsi e trascinare gli altri parlamentari assai più cauti e prudenti.

Circa i suoi precedenti, la sua mentalità e attività, non ho bisogno di dilungarmi, perché sono ben note alle nostre autorità competenti5.


204 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


204 2 Rispettivamente del 31 ottobre e del 2 novembre, non pubblicati.


204 3 Vedi D. 186.


204 4 Vedi D. 186, nota 2.


204 5 De Gasperi intrattenne il giorno successivo Schwarzenberg sulla questione alto-atesina, vedi D. 205.

205

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO D’AUSTRIA A ROMA, SCHWARZENBERG

Verbale1. Roma, 6 novembre 1951.

Ho ripetuto a Schw[arzenberg] nella maniera più insistente che il far credere ai rappresentanti politici dell’A[lto] A[dige] che la salvezza loro sta nel rivolgersi al Governo austriaco è fare e alimentare l’irredentismo più pericoloso. Nulla in contrario a ricevere Gruber; ma guai se in pubblico apparisse come intervento estero nella nostra politica. Mi ha lasciato un giornale di Salisburgo che dimostra l’insistenza su Gruber e Figl, accusati di tradimento nazionale. Penso che converrà prendere a tempo atteggiamento risoluto. Dire essere ovvio che Gruber, per quanto riguarda i rapporti coll’Austria, s’interessi dell’esecuzione dell’accordo; ma non ammettere l’illusione che i deputati sudtirolesi si rivolgano come in appello all’Austria e ne facciano colpa al Governo austriaco. Hanno Parlamento e Assemblea regionale; tutti i mezzi di sollecitare il Governo. Ma la strada d’oltre alpe è sbagliata. Il Governo italiano non potrebbe incoraggiarla, senza creare guai e reazioni legittime pericolose.


205 1 Trasmesso a Cosmelli, per «opportuna riservatissima conoscenza», con Telespr. riservatissimo 2057 segr. pol. del 14 novembre.

206

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, IVEKOVIĆ

Verbale. Roma, 6 novembre 1951.

Mi lagno della pubblicità a sondaggi preliminari che possono non concludere e quindi pericolosa1.

È d’accordo, ma scusa.

Evita di entrare in merito, ma egli tenta ripetutamente di farlo. Dice se si vuole integralmente la linea etnica, ammesso che le cittadine costiere sono italiane, noi dovremo sacrificare il contado? Ci saranno degli accomodamenti.

Mi oppone ancora: slavi ci sono anche al di qua. Volete risollevare tutto il trattato?

Infine mi parve ammettere che una parte della Zona B dovrà venire a noi; ma non tutto il golfo. «Impossibile» dice2.


206 1 Si riferisce ai sondaggi ufficiosi italo-jugoslavi che avrebbero avuto luogo a Parigi durante la sessione dell’Assemblea generale dell’O.N.U. Vedi DD. 180, 194 e 197.


206 2 Sugli sviluppi dei sondaggi in argomento vedi D. 245.

207

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

R. 9157/2596. Bad Godesberg, 6 novembre 1951(perv. il 16).

Ho fatto visita oggi al Cancelliere federale che avevo fatto informare del mio prossimo viaggio a Roma.

Egli mi ha accolto con la consueta cordialità e mi ha subito parlato della progettata visita di V.E. in Germania e mi ha anzi testualmente chiesto sorridendo «se V.E. si era dimenticata della promessa di venire a Bonn».

Gli ho ricordato una nostra conversazione di quest’estate e di quanto io stesso gli avevo detto circa le difficoltà che presentava questo viaggio in autunno sia per gli impegni che lo stesso cancelliere aveva in quel periodo, tra i quali l’invito di Londra, sia per quelli del presidente De Gasperi che già aveva in progetto la sua visita in America, sia la convenienza poi di aspettare la fine dello Statuto di occupazione. Egli mi ha risposto di ricordare perfettamente questa nostra conversazione e di condividere pienamente tale punto di vista. Gli ho detto allora che a mio giudizio, date le previsioni che si facevano (ed alle quali Adenauer ha annuito) sulla fine dello Statuto di occupazione, più o meno a febbraio, si poteva pensare ad un viaggio del presidente De Gasperi in Germania nell’entrante primavera. Ho naturalmente sottolineato che si trattava per ora di una mia idea, non sapendo nemmeno quali fossero gli impegni futuri di V. E.; che si trattava quindi di un progetto che io le avrei sottoposto in occasione della mia prossima venuta a Roma.

Il cancelliere federale mi ha allora incaricato di pregare V.E. affinché voglia interessarsi per un nostro appoggio all’iniziativa che le tre potenze occidentali sottoporranno alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite per l’istituzione di una Commissione di inchiesta nel territorio della Repubblica federale, a Berlino e nella Zona orientale per stabilire se vi fossero le condizioni necessarie per poter addivenire a libere elezioni in tutto il territorio tedesco. Questa richiesta di Adenauer è stata da me già riferita telegraficamente. Adenauer mi ha aggiunto che non è affatto sicuro che la Russia sia disposta ad accettare una tale Commissione; se però si opponesse, il suo veto fornirebbe ugualmente un argomento molto solido per le democrazie occidentali per controbattere la propaganda sovietica in materia di unificazione. Gli ho ricordato che l’Italia non faceva parte delle Nazioni Unite proprio per l’opposizione dell’Unione Sovietica, ma gli ho assicurato ad ogni modo che avremmo agito certamente nei limiti delle nostre possibilità nel senso da lui desiderato.

Il cancelliere Federale mi ha allora incaricato di portarle notizie sull’andamento delle trattative con gli Alti Commissari. Egli, confermandomi le difficoltà su altri punti da me già segnalati quali l’ammontare del contributo finanziario tedesco, e i limiti di produzione bellica, mi ha detto che il punto più difficile al quale oggi le trattative si incontrano è quello costituito dalla natura della permanenza in Germania delle attuali truppe di occupazione. Gli Alleati vorrebbero in altri termini, ed è questa una questione che è stata sollevata venerdì scorso, che la presenza delle truppe alleate in Germania conservasse il proprio fondamento giuridico nella capitolazione incondizionata della Germania e ciò, mi ha spiegato il cancelliere federale, allo scopo di evitare che un Governo diverso da quello attuale, che dovesse sorgere dalle prossime elezioni, potesse richiedere sulla base di una qualsiasi convenzione oggi conclusa, la decadenza dell’accordo ed il ritiro delle truppe stesse. Adenauer non ammette la possibilità di una denuncia unilaterale ed aggiunge che, ad ogni modo, la stessa presenza di queste truppe, che assumeranno il nome di forze di difesa, consentirà di imporre l’osservanza di un accordo liberamente concluso.

È questo il punto che mi è parso preoccupasse sopratutto il Cancelliere federale. Egli mi ha anche detto che se gli Alleati hanno veramente interesse di vedere tornare al potere alle prossime elezioni del ’53 un Governo poggiato sulle stesse basi dell’attuale e di non vedersi soverchiare essi stessi da una vittoria dell’opposizione, devono fare al presente Governo quelle concessioni che Adenauer ritiene indispensabili per non incontrare il disfavore della pubblica opinione.

Passando poi a parlare della prossima Conferenza atlantica il cancelliere si è dimostrato fiducioso di poter arrivare alla conclusione degli accordi, in tempo per recarsi a Roma per la firma del protocollo. Gli ho chiesto che cosa egli pensava sulla possibilità di ammissione della Germania al Patto atlantico. Ha esitato un momento a rispondermi e ha finito col dirmi che gli americani si erano in certo modo già impegnati con lui in questo senso, ma che non ritenevano ancora giunto il momento di parlarne agli inglesi ed ai francesi e prega perciò di mantenere questa notizia di carattere strettamente confidenziale. Da parte mia osservo che la questione dell’ammissione della Germania al Patto atlantico mi sembra già entrata nelle concezioni francesi ed inglesi o per lo meno francesi, come mi è risultato dalla mia ultima conversazione con François-Poncet e da me riferita1. Adenauer ha terminato il nostro colloquio pregandomi di trasmettere a V.E. i suoi saluti e l’espressione dei suoi sentimenti più cordiali2.


207 1 Non è stata rinvenuta documentazione relativa a tale conversazione.


207 2 Con successiva L. 2955 a Zoppi del 14 marzo 1952 Babuscio Rizzo suggeriva, essendo slittata la fine dello statuto di occupazione, di rinviare la visita di De Gasperi all’estate, quando preferibilmente gli accordi sarebbero stati firmati e gli alti commissari avrebbero lasciato la Germania. Con R. 593 segr. pol. del 9 aprile 1952 Zoppi rispondeva informando che De Gasperi era d’accordo nel rinviare il viaggio.

208

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1995 segr. pol. Roma, 7 novembre 1951.

Riterrei conveniente – se non altro per pensare tempestivamente al modo di ovviarvi – tenere presenti sino da ora gli sviluppi cui potrebbe condurre la iniziativa per la revisione del trattato di pace, concretatasi nella Dichiarazione del 26 settembre1 cui sta per far seguito, da parte nostra, l’invio della Nota concordata, a tutti i Governi firmatari2.

La politica sovietica sembra tesa, attualmente, ad allontanare il più possibile il momento in cui l’Occidente potrà considerarsi più tranquillo e sicuro di fronte ad eventuali minaccie di aggressione. E ciò è comprensibile poiché quel giorno la pressione che Mosca sta esercitando da dopo la guerra sull’Occidente si troverà automaticamente annullata da un ristabilito equilibrio di forze.

L’azione dei partiti comunisti in Italia e in Francia contro il riarmo, le iniziative del Governo della Germania orientale per l’unificazione tedesca, il continuo rinvio del Trattato di pace con l’Austria, l’attitudine adottata a San Francisco, appaiono nettamente orientati a quel fine. Per servire il quale la politica sovietica, coerente nei risultati cui tende, dà sovente prova di una notevole incoerenza nei metodi di cui si vale, mutandoli, con apparente disinvoltura, quando più non le sembrano appropriati agli scopi.

Per quanto ci riguarda dobbiamo anche tener presente che nella revisione del trattato, che per noi ha un valore essenzialmente morale e politico (riacquisto della piena sovranità), l’U.R.S.S. vede invece la possibilità dell’illimitato risorgere di forze armate italiane: è vero che non abbiamo i mezzi per fare ciò, ma i russi possono pensare che dato il nostro potenziale demografico, gli americani quando lo credessero, supplirebbero essi alla nostra deficienza di mezzi.

Può quindi avvenire che l’U.R.S.S. trovi adesso maggiore interesse ad evitare o a procrastinare la revisione del nostro trattato che non a far entrare all’O.N.U. i suoi satelliti, e che quindi, improvvisamente, si induca a qualche compromesso, per la nostra ammissione : perché in questo caso la procedura per la revisione, ora iniziata, potrebbe venire automaticamente riportata nella competenza dell’art. 46 del trattato, e l’U.R.S.S. potrebbe porre il «veto» in Consiglio di sicurezza. Quid agendum in tale caso ?

Può anche accadere che, al ricevere la nostra Nota, e senza mutare atteggiamento circa la nostra ammissione all’O.N.U., l’U.R.S.S., rimetta la questione al Consiglio di sicurezza. In questo caso non dovrebbe però essere difficile rimbalzarle il colpo, opponendole che dal momento che non facciamo parte dell’O.N.U. non si può far appello ad una disposizione che fa esplicito riferimento a tale partecipazione.

Ma vi è anche una terza possibilità che secondo noi va tenuta presente. Da un punto di vista strettamente giuridico, è dubbio che la revisione delle clausole che chiamerei «indivisibili» di un trattato multilaterale possa avvenire a semplice maggioranza. Se si trattasse delle clausole economiche, ognuno essendo libero di accettare o respingere la nostra richiesta, la revisione varrebbe nei confronti di quelli che l’hanno accettata e gli altri non avrebbero nulla a ridire. Idem per certe clausole territoriali che possono interessare taluni firmatari e non tutti. Ma nel caso delle clausole politiche e di quelle militari la situazione si presenta diversamente in quanto il loro annullamento ha efficacia pratica nei confronti di tutti. Qualche Governo potrebbe quindi voler chiedere, su questo punto specifico, il parere della Corte dell’Aja.

Ti ho prospettato queste possibilità perché mi sembra conveniente in proposito uno scambio di idee col Dipartimento di Stato per non essere eventualmente colti di sorpresa.


208 1 Vedi D. 124.


208 2 Vedi D. 258, Allegato.

209

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

L. 3/726. Roma, 8 novembre 1951.

Ti ringrazio per la tua lettera del 6 novembre n. 42171 che ho ricevuto oggi e subito mandato al presidente.

Qui allegato ti unisco due studi che, su istruzioni del presidente (il quale è incline a tentare qualche cosa), sono stati preparati, il primo dal Ministero2 e il secondo da Marras3. Puoi tenere presente il loro contenuto per eventuali aperture a titolo personale e nello stesso tempo mi sarà gradito conoscere il tuo pensiero in proposito.

I due appunti sono stati da me mandati a Tarchiani4 esponendogli la delicatezza della nostra situazione fra gli egiziani, che non sembrerebbero (sempre stando a questo ambasciatore d’Egitto) contrari a qualche nostro tentativo e gli inglesi che sembrano invece paventarlo5.

Allegato

NOTE CIRCA IL PROBLEMA ANGLO-EGIZIANO

Nelle presenti note si vogliono unicamente indicare alcuni elementi ai quali potrebbe appoggiarsi un tentativo di conciliazione dell’attuale conflitto anglo-egiziano.

La questione è considerata particolarmente nei suoi aspetti militari, ma essa è di carattere essenzialmente politico.

L’Egitto ha ritenuto di cogliere una buona occasione per denunciare il trattato del 1936 che, pure ponendo termine alla occupazione militare inglese, consentiva che truppe britanniche permanessero nella zona del Canale di Suez in forze prestabilite; e per proclamare la sua sovranità nel Sudan ponendo fine al condominio con gli inglesi.

L’Inghilterra, di fronte a queste iniziative, ha voluto fare una affermazione di forza, non soltanto per garantire la zona del Canale, ma anche per riaffermare il proprio prestigio.

Allo stato attuale, mentre da parte dell’Egitto sembra si faccia affidamento sulla resistenza passiva, l’Inghilterra continua a rinforzare le proprie truppe che hanno raggiunto i 100 mila uomini circa.

Non mancano in Egitto correnti che sembrano dubitare dell’esito della iniziativa contro gli inglesi, e che sarebbero inclini a trovare una via di conciliazione; la parte inglese sembra risoluta a mantenere la situazione di forza.

Sarebbe nel comune interesse delle nazioni atlantiche comporre il dissidio e garantire non soltanto la zona del Canale, ma anche l’inclusione dell’Egitto nel campo occidentale. Occorre d’altra parte ricordare che il persistere dell’azione di forza inglese potrebbe avere sfavorevoli ripercussioni di lunga portata nei riguardi del mondo arabo.

Dato però che sono in gioco problemi di prestigio, una composizione del contrasto appare molto difficile e in ogni caso non immediata.

Comunque, se una soluzione può essere tentata, essa deve orientarsi ad un quadro più ampio di quello offerto soltanto dai due contendenti Inghilterra ed Egitto.

Si prescinde per il momento dal problema del Sudan: la soluzione di questo postula la soluzione della questione del Canale o quanto meno potrebbe essere elemento di contrattazione per facilitare il buon esito dei negoziati circa il problema del Canale.

Tutto ciò premesso, per non perdere di vista il quadro unitario della situazione occorre considerare che, una volta assicurato il concorso dell’Egitto, la vera e propria difesa del Canale contro minacce provenienti da Oriente non può essere fatta nella zona stessa del Canale, la quale anzi non dovrebbe essere coinvolta nell’eventuale teatro di operazioni.

La vera e propria difesa del Canale deve essere fatta assai più ad Oriente, ossia nella regione del Sinai; nella zona del Canale deve però essere in atto un dispositivo controaereo e antiparacadutisti, oltre che una difesa contro sabotatori.

Emergono quindi due compiti distinti:

– una difesa a distanza

– una difesa in posto.

Ove l’Egitto venisse incluso in una organizzazione collettiva, potrebbe assumersi la difesa in posto, mentre alle truppe britanniche potrebbe essere affidata la difesa a distanza.

Data la composizione e l’armamento delle forze egiziane sarebbe evidentemente necessario, ora e per un tempo praticamente assai lungo, concorrere al compito affidato all’Egitto con elementi di cui l’Egitto stesso non dispone, o con integrazione alle sue forze: precisamente, forze aeree ed artiglierie contraeree che dovrebbero essere fornite dagli Stati Uniti.

Quanto si indica (forze inglesi per la difesa a distanza, forze egiziane completate ed integrate da forze americane per la difesa in posto), assicurerebbe certamente la complessiva difesa del Canale in modo migliore dell’attuale, pur considerando che in caso di guerra parte delle attuali forze inglesi nella zona del Canale potrebbe essere spinta ad Oriente.

Questa visione della difesa a distanza del Canale è stata già applicata dagli inglesi nel 1917, durante la prima guerra mondiale.

La soluzione pratica della questione potrebbe ottenersi dislocando le forze britanniche al margine orientale del territorio egiziano: al riguardo sarebbe da prendere in esame anzitutto la zona di Gaza la quale, pur essendo in territorio palestinese, è tutt’ora occupata dagli egiziani. Quindi, la zona di Aquada (Giordania): attualmente presidiata da truppe inglesi; ed inoltre le due zone El Auja - El Quseima, El Kuntilla - Bir Gatta - ai margini del Sinai.

Sarebbe anche possibile dislocare a conveniente portata forze aeree tattiche.

Occorrerebbe poi definire le posizioni da occupare in caso di emergenza, sia in territorio egiziano che in territorio israeliano le quali in ogni caso sembra possano essere raggiunte rapidamente e facilmente dalle dislocazioni sopra indicate.

Nella zona del Canale si potrebbero dislocare senza difficoltà le unità aeree e contraeree americane che concorrerebbero con le forze egiziane.

Questa soluzione comporta ancora la permanenza di unità britanniche in territorio egiziano, ma si tratterebbe di zone marginali, ben diverse dalla zona del Canale per la quale l’opinione pubblica egiziana è particolarmente sensibile ed inasprita; inoltre, tale soluzione realizzerebbe migliori condizioni di protezione dell’intero territorio egiziano.

Posto il problema in questi termini, la composizione si dovrebbe tentare in un complesso di accordi tali da portare alla inclusione dell’Egitto nel Patto e nella attuazione graduale degli spostamenti di forze indicati; sarebbe anche certamente possibile una riduzione di forze rispetto a quelle attualmente esistenti, incrementate per l’emergenza. Gli accordi del 1936 limitano le forze consentite agli inglesi per la protezione del Canale a 10 mila uomini.

Quanto sopra implica, come accennato, il concorso degli Stati Uniti; sembra possa avere possibilità di sviluppi favorevoli, che per ora non possono essere precisati. Potrebbe comunque essere vantaggiosa una azione che si proponesse di raggiungere anche gradualmente i risultati anzidetti, con guadagno di tempo ed erosione dell’irrigidimento delle due parti6.

Nota del presidente del Consiglio: La cosa mi persuade. Potrebbe essere un germe. Si potrebbe forse dire che qualche esperto militare avrebbe suggerito, nel presupposto che l’Egitto aderisca alla sicurezza collettiva occidentale, di distinguere lo schieramento di difesa contro eventuali attacchi dall’Oriente in due linee: difesa interna ed esterna. Precisarle, come dal rapporto. Parlare d’una difesa interna affidata all’Egitto e temporaneamente a forze egiziane e atlantiche, che, trattandosi specialmente di difesa antiaerea, sarebbero statunitensi, e della difesa esterna, affidata agl’inglesi.


209 1 Non rinvenuto.


209 2 Vedi D. 189.


209 3 Vedi Allegato. Marras aveva inviato il suo studio a Zoppi il 5 novembre con la seguente lettera: «Ecco l’appunto riguardante la questione del Canale. L’atteggiamento britannico non mi pare finora lasci possibilità di sollecita soluzione. La forza è dalla loro parte, ma le ripercussioni nel mondo arabo possono condurre a un bilancio negativo. Così restando le cose, l’organizzazione del Medio Oriente rimane in aria. Ecco perché, a mio avviso, il componimento del dissidio si deve trovare nel quadro di detta organizzazione, nel quale l’Inghilterra può salvare il prestigio e l’Egitto la faccia. Se una soluzione potesse trovarsi sulla base degli appunti, essa richiederebbe una organizzazione preventiva e un’applicazione graduale. In sostanza quindi lungo tempo. E se noi riuscissimo a far capire agli altri che il Medio Oriente interessa anche noi, sarebbe una cosa ottima. Vero è che spesso i nostri amici sono sordi. Mercoledì parto per Parigi, su richiesta del ministro Pella. Tornerò al più presto, per il noto incontro. Sapremo intanto qualche cosa di preciso circa la data delle riunioni atlantiche».


209 4 Con L. segreta pers. 3/700 del 3 novembre Zoppi aveva chiesto a Tarchiani di sondare in via riservata il Dipartimento di Stato sulla proposta italiana di cui al D. 189.


209 5 Tarchiani aveva risposto con L. segreta 11880 del 6 novembre esponendo le sue perplessità sia sull’eventualità di una reazione positiva di Washington e Londra sia sulla possibilità di mantenere riservata la proposta. Per la risposta di Prunas vedi D. 221.


209 6 Il testo di Marras si concludeva qui. La nota che segue venne aggiunta come parte integrante del documento per la ritrasmissione a Prunas ed è la trascrizione di un appunto autografo di De Gasperi, diretto presumibilmente a Zoppi e datato 6 novembre, con l’omissione delle seguenti due ultime frasi:«Ma non suppone tutto ciò l’adesione della Giordania e anche d’Israele? La prego di esaminare la questione politico-economica del Canale».

210

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A NEW DELHI, PRINA RICOTTI

L. 17203/22. Roma, 8 novembre 1951.

Mi riferisco al tuo telegramma 761 e al tuo telespresso urgente 0302.

La questione sta in questi termini: i tre grandi hanno comunicato a tutti i Governi firmatari del trattato di pace la loro dichiarazione del 26 settembre relativa alla revisione esprimendo la speranza che vi avrebbero aderito. Sino ad ora dieci paesi (oltre ai Tre) hanno in forme varie (note scritte ai Tre, comunicazioni verbali o scritte fatte a noi, dichiarazioni di portavoci alla stampa o dei ministri nei Parlamenti) dato la loro adesione, e precisamente; Cina nazionalista, Belgio, Grecia, Olanda, Sud Africa, Australia, Canadà, Nuova Zelanda, Brasile, Messico.

Siamo d’accordo coi Tre che la dichiarazione del 26 settembre diverrà operante non appena la maggioranza avrà risposto formalmente alla Nota che noi invieremo. La maggioranza è quindi già acquisita, ma è, sin a questo momento (13 su 24) una maggioranza di stretta misura. Di quei 24 saranno certamente contrari 6 (U.R.S.S., Bielorussia, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Albania). Sono dubbi 2 (Jugoslavia ed Etiopia). Sono per ora agnostici India, Pakistan e Iraq.

Che l’India se ne disinteressi va bene, ma la nostra nota, concordata coi Tre, è redatta in modo che ad essa ci si risponda, ripetendola e dichiarandosi d’accordo. Te ne allego copia per tua anticipata conoscenza. Quando verrà il momento, bisognerebbe almeno, se non si potesse ottenere nulla di più, che l’India ci rispondesse in modo che il suo «disinteresse» possa da noi venire interpretato come non opposizione.


210 1 Del 5 novembre, ribadiva quanto già esposto nel D. 192 circa l’appoggio indiano alla revisione del trattato di pace.


210 2 Vedi D. 192.

211

IL MINISTRO A BAGHDAD, ZAMBONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. 1175. Baghdad, 8 novembre 19511.

Il 3 corrente ho esposto ed illustrato al sig. Shakir al-Wadi, ministro degli affari esteri a.i. e ministro della difesa il contenuto della tua lettera segr. pol. n. 1901 del 25 ottobre u.s.2.

Non ho avuto alcun bisogno di convincerlo, che la «visione» delle nazioni arabe di poter realizzare una politica di neutralità, sarebbe stata una grave illusione, che avrebbe potuto avere conseguenze fatali per esse, perché egli ne era completamente persuaso e pienamente cosciente delle necessità di far tutto quanto era possibile.

Egli mi ha, in sunto, detto quanto segue:

1) non abbiamo alcun dubbio sulla pericolosità dell’attuale situazione internazionale e siamo consapevoli della grave minaccia che incombe sull’Iraq e tutti gli altri paesi del Medio Oriente, i quali, essendo strategicamente molto importanti e non avendo una efficace difesa organizzata, potrebbero essere, in caso di ostilità, la prima zona investita dalle armate sovietiche.

2) Una politica di neutralità non ha alcun serio fondamento, data l’ampiezza e il carattere ideologico dell’eventuale conflitto. Si tratta poi di scegliere fra due mondi e soltanto chi è un convinto comunista può pensare alla neutralità. È anche un evidente illusione ritenere che l’occupazione russa senza resistenza del territorio iracheno abbia conseguenze diverse da quella in seguito a guerra combattuta. Una occupazione russa, pacifica o a causa di eventi bellici, avrebbe sempre gli stessi effetti, e cioè il completo cambiamento della struttura sociale della popolazione e del suo stesso spirito ciò che renderebbe impossibile una ricostruzione della compagine nazionale così come era prima, dopo un’eventuale liberazione.

3) Tale è l’orientamento del Governo iracheno, ma ben diverso è quello dell’opinione pubblica. Se oggi io mi presentassi al Parlamento per esporre queste idee, sarei subito investito dall’opposizione e mi verrebbe rinfacciato che, pur avendo i paesi arabi combattuto due guerre a fianco degli Alleati occidentali, questi per ricompensa hanno fatto installare gli ebrei in Palestina ed io non avrei modo di ribadire tale accusa. La questione ebraica ha nel gioco un grande peso e occorre tenerla sempre presente per comprendere la situazione attuale nel Medio Oriente.

4) Il Governo iracheno ha in programma di fare tutto il possibile per contenere la pressione dell’opinione pubblica e spera di poterla a poco a poco orientare verso una visione più chiara dei fondamentali interessi del paese.

5) Noi siamo convinti di essere «in the same boat» come dicono gli inglesi, ma occorre anche che si faccia qualche cosa da parte degli altri per mantenere fra i passeggeri la buona armonia e non lasciare soltanto a noi la parte del sacrificio. Le grandi potenze – e per grandi potenze intendo gli Stati Uniti di America – dovrebbero fare finalmente qualche cosa di concreto per aiutare l’azione del Governo e contribuire così alla creazione di quella situazione che è nel nostro comune desiderio ed interesse; l’America non ha ancora grande pratica della politica nel Medio Oriente e non sempre si può rendere conto di tutti i suoi diversi aspetti e del modo più adatto per affrontare le diverse difficoltà.

6) Ha scusato l’azione del Governo egiziano, dovuta anche essa a necessità di politica interna, mostrandosi ancora ottimista sulle possibilità di una soluzione, se da parte inglese e da parte egiziana si farà il possibile per evitare incidenti; incidenti che hanno profonda ripercussione nell’opinione pubblica. Ha aggiunto che se la proposte quadripartite fossero state fatte a suo tempo e non nel momento meno adatto della denuncia di patti avrebbero avuto con ogni probabilità ben altra accoglienza.

Non ho mancato di portare a conoscenza dell’ambasciatore d’America, sig.Crocker, il contenuto della conversazione da me avuta.

Il sig. Crocker mi ha confermato l’orientamento di questo Governo, che è conforme a quello dell’Arabia Saudita e della Giordania. Egli non si rende esattamente conto da chi sia montata l’opinione pubblica ed esclude che tale «montatura» possa doversi all’opera diretta di Mosca. Secondo lui la chiave di volta della situazione rimane l’Egitto, ma nello stesso tempo non vede come la situazione egiziana possa essere risolta.

In conclusione il Governo iracheno è già completamente orientato nel senso da noi desiderato, mentre l’opinione pubblica è tutta orientata verso la non collaborazione con le potenze occidentali e preme fortemente per l’adozione delle soluzioni più estremiste in qualunque questione. In tale situazione il Governo si sente molto a disagio e vorrebbe allargare la sua composizione, per rafforzarsi, ma finora nessuno dell’opposizione ha voluto aderire all’invito. Non è escluso che Nuri Pascià debba ancora una volta ritirarsi fra le quinte, ma data la sua forte personalità, la funzione in Parlamento e l’appoggio degli inglesi che qui hanno ancora molti mezzi a disposizione, anche in tal caso continuerebbe ad esercitare un’azione direttiva. I capi politici sono per ora dominati dalla paura di qualche attentato e Nuri Pascià certamente è fra i primi a correre tale pericolo. L’ambasciatore d’America mi diceva che lo stesso re Ibn Saud non si sente sicuro e teme fortemente di cadere un giorno o l’altro vittima di qualche fanatico.

Non sarà facile poter modificare l’attuale orientamento dell’opinione pubblica. Tuttavia, il tempo e qualche avvenimento favorevole potrebbero far diminuire sensibilmente l’attuale tensione e lasciare così al Governo quella maggiore libertà di azione sulla quale esso conta.

Non ritengo comunque, come mia prima impressione, che il successo della politica di neutralità debba attribuirsi a motivi tattici e di ricatto; ritengo invece esso debba attribuirsi al diffuso ed acuto risentimento verso le potenze occidentali per l’atteggiamento fino ad ora da queste assunto nei riguardi delle aspirazioni dei popoli arabi. Questa politica di neutralità costituisce la cornice più adatta per opportunamente inquadrare tali risentimenti e per meglio giustificare il desiderio di non collaborazione col mondo occidentale, nell’illusione che essa serva anche a tener lontano il pericolo russo. E gli amici politici d’opposizione seguono tale tensione per accattivarsi il favore dell’opinione popolare.

Non mancherò di svolgere nella forma migliore che mi verrà dettata dalle circostanze, opportuna azione diretta a far sì che questi ambienti governativi conservino quella visione dell’effettivo interesse del paese alla collaborazione difensiva dell’Occidente che mostrano di possedere, e non mancherò di segnalare immediatamente ogni elemento che valga a far comprendere e seguire l’orientamento dell’opinione pubblica irachena di fronte a questo problema essenziale.


211 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


211 2 Non rinvenuto.

212

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 14190/725. Parigi, 9 novembre 1951, ore 8,45 (perv. ore 9,55).

Stasera Comitato ordine giorno ha approvato inclusione in ordine giorno Assemblea questione ammissione Italia sia sotto aspetto generale (ammissione nuovi membri) che specifico (piena partecipazione Consiglio tutela).

Rappresentanti tre grandi potenze mi hanno detto che intendono discutere questione italiana fra le prime in modo da iniziare subito procedura di cui al mio 6941. Ho rinnovato note riserve circa necessità decisa azione politica. Atteggiamento a livello tecnico prescinde da azione politica che potrà essere decisa soltanto in fase finale procedura.

Discorso Vyshinsky che chiede dichiarazione incompatibilità fra appartenenza Nazioni Unite e N.A.T.O. sta ad indicare una opposizione russa ancor più decisa di quella presa nella nota di risposta alla Dichiarazione tripartita.2 Alleati mi chiedono di insistere fortemente presso latino-americani perché non sollevino questione Italia prima che procedura da loro escogitata sia esaurita. A parte che non (dico non) sarebbe affatto facile ottenere ciò, dubito, in vista atteggiamento americano e inglese, che ciò sia nel nostro interesse. È chiaro che Alleati, isolando nostro caso senza tuttavia forzare questione in Consiglio sicurezza e Assemblea, tentano così giustificare loro inazione di fronte a specifico impegno preso con Dichiarazione tripartita, sfuggendo alle pressioni che potrebbero essere esercitate su di loro in Assemblea da latino-americani. Per questo sembrami opportuno non precluderci fin da ora questa altra strada3.


212 1 Vedi D. 195.


212 2 Vedi D. 124.


212 3 Per il seguito vedi D. 224.

213

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 5726/3263. Londra, 9 novembre 1951(perv. il 12).

Ho letto con interesse, in attesa di ricevere i verbali delle conversazioni di Washington1, quanto l’ambasciata in quella sede ha riferito – con rapporto del 4 ottobre2 – sulla visita di V.E. negli Stati Uniti.

Una precisazione peraltro mi sembra doverosa e necessaria, non solo per una questione di esattezza, ma anche per evitare che possano nascere equivoci su un importante problema ancor vivo e tuttora in fase di risoluzione.

Nel citato rapporto è detto, a proposito della revisione del trattato di pace: «Con ciò gli Stati Uniti, che fin da principio si erano tenacemente opposti ad una platonica dichiarazione, non seguita dalla revisione vera e propria, hanno avuto partita vinta ed hanno così reso all’Italia un inestimabile servizio».

Non riesco, francamente, a comprendere contro chi gli Stati Uniti avrebbero «avuto partita vinta». Non certo contro la Francia se si ricordi che il progetto iniziale di dichiarazione tripartita è della penna del ministro Schuman. Tanto meno poi con l’Inghilterra che alla revisione autentica – e non solo a parole – è sempre stata favorevole.

V.E. ricorderà anzi come, dopo i miei colloqui col segretario di Stato Morrison e con Eden3, sia stata questa ambasciata a prospettare l’opportunità di effettuare la revisione in due tempi, cominciando da una pubblica dichiarazione tripartita che legasse le potenze interessate a procedere successivamente ad una concreta modifica delle clausole del trattato (mio rapporto n. 3855/2161)4; e ciò mentre sembrava ancora dibattersi, nelle diverse capitali, l’alternativa fra una pubblica dichiarazione di decadenza morale ed una concreta (ma silenziosa) revisione delle clausole. La soluzione prospettata fu accolta da codesto Ministero che impartì istruzioni in tal senso alle nostre ambasciate a Washington e Parigi (telespresso ministeriale segr. pol. 1353 del 24 luglio)5.

Ed è appunto su tale linea che si è proseguito giungendo dopo la proficua visita di V.E. negli Stati Uniti, alla dichiarazione tripartita del 26 settembre6 che rappresenta appunto la prima fase (pubblica) a cui deve far seguito la revisione concreta.

Anche successivamente abbiamo trovato presso il Governo inglese pieno appoggio nella questione della revisione. V.E. ricorderà anzi come il progetto inglese di dichiarazione fosse formulato in modo per noi più soddisfacente che non quello francese (telegrammi di quest’ambasciata nn. 443 e 458 del 4 e 12 settembre)7. E le dichiarazioni pronunziate alla radio il 26 settembre dal sottosegretario agli esteri Ernest Davies8, a commento della dichiarazione tripartita sulla revisione, hanno superato di molto, come calore di accenti, quelle che sono le normali pubbliche manifestazioni di membri del Governo inglese in analoghe circostanze.

Desidero sottolineare infine come, anche in queste ultime settimane, il Foreign Office si sia costantemente interessato alla questione della revisione, offrendo la propria collaborazione affinché le rappresentanze britanniche nelle varie capitali affianchino l’opera di persuasione svolta dalle nostre missioni.


213 1 Vedi D. 119.


213 2 Vedi D. 132.


213 3 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 546, 550, 551 e 556.


213 4 Ibid., D. 550.


213 5 Ibid., D. 593.


213 6 Vedi D. 124.


213 7 Vedi D. 101.


213 8 Testo in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 40, p. 774.

214

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. riservato 847. Parigi, 9 novembre 1951(perv. il 12).

Ho visto stamattina il ministro degli esteri d’Iraq sulla questione di cui alla tua lettera n. 1985 del 5 corrente1.

Jamali mi ha detto che Zamboni non ha parlato con lui, ma con il suo sostituto, il ministro della guerra, il quale ha fatto le obiezioni di cui tu mi scrivi partendo dal punto di vista del ministro della difesa. Avrebbe telegrafato subito a Bagdad, perché l’accettazione del nostro punto di vista sulla revisione del trattato di pace fosse senza condizioni. Mi ha detto che aveva fede completa nella politica pacifica ed amichevole del Governo italiano e che non c’era mezzo di coprire l’eventualità, che lui non voleva nemmeno prendere in considerazione, che l’Italia ridiventasse dittatoriale.

Per parte mia gli ho detto che la politica che noi facevamo verso gli arabi non poteva essere più esplicita e più chiara: che le osservazioni che ci venivano fatte a Bagdad ci avevano messo in un certo imbarazzo, non per la sostanza, ma per la difficoltà di formularla: Jamali è stato d’accordo con me e mi ha parlato molto vagamente della possibilità di un patto di amicizia, di commercio e di un accordo culturale, con particolare accento su questa ultima parte: gli ho detto che, indipendentemente dalla questione della revisione, ritenevo che il Governo italiano avrebbe preso in benevola considerazione un desiderio del genere da parte del Governo iraqueno.

Mi ha chiesto poi della situazione generale che gli ho dipinto in colori piuttosto foschi, per la parte che concerneva i russi – era stato molto impressionato dalla risposta di Vyshinsky ad Acheson –, delle necessità della difesa e di lì siamo venuti a parlare della questione egiziana. Mi ha detto quanto l’Iraq sia stato commosso dal nostro atteggiamento e mi ha chiesto a che punto ne fosse la nostra azione di mediazione. Gli ho detto che era troppo presto adesso per parlare di mediazione: che stavamo studiando la situazione per vedere quello che eventualmente si poteva fare. Le difficoltà erano dalle due parti: noi avevamo, già prima della crisi, avvertiti i nostri amici della cecità di certi atteggiamenti; bisognava però che anche da parte egiziana si tenesse conto delle necessità militari, difesa del Canale di Suez, che in questo momento erano la preoccupazione principale degli americani e a cui noi stessi non potevamo essere indifferenti.

Avendomi lui fatto delle dichiarazioni relativamente ottimiste sulla situazione generale, gli ho esposte le mie preoccupazioni sugli sviluppi della situazione persiana. Mossadeq aveva fatto il suo giuoco alla perfezione: ma adesso, ottenuta la sua vittoria, era ben necessario che si trovasse un accordo per lo sfruttamento e la vendita del petrolio, altrimenti il beneficio per l’economia persiana sarebbe stato negativo. Siccome questo accordo, anche se si riuscisse ad eliminarne del tutto gli inglesi, il che era comunque difficile, sarebbe sempre stato un accordo con l’Occidente, era da temere che i comunisti e questa enigmatica persona di Abdullah Kashani, che, coscientemente o no, fa pure il giuoco dei russi – Jamali mi ha detto a questo proposito che ha ragione di ritenere che abbia effettivi contatti con i russi –, gridassero al tradimento e scatenassero una rivoluzione interna che Mossadeq poteva non essere in grado di maîtriser. Jamali mi ha detto che la mia ipotesi, data la debole situazione interna persiana, era tutt’altro che da escludere.

Allora, gli ho detto, l’ipotesi che l’Iraq si trovi domani a confinare con uno Stato comunista persiano è tutt’altro che da escludere: quindi il problema della difesa del Canale e di tutto il Medio Oriente contro una offensiva diretta od indiretta dei russi era tutt’altro che da considerarsi come una eventualità lontana: ed era un insieme di considerazioni che bisognava pure tenere nel debito conto.

Noi avevamo sempre sostenuta e sostenevamo la tesi che difendere il Medio Oriente senza, e, ancor meno, contro la opinione pubblica degli Stati interessati era un assurdo: ma bisognava anche tener conto del fatto che attualmente nessuno degli Stati arabi aveva le forze per difendersi e che quindi avevano bisogno della presenza, reale, di truppe, non locali, per la difesa della zona.

Jamali mi ha detto che tutto quanto gli dicevo era esatto: che era colpa degli inglesi i quali avevano trascurato, e più che trascurato, ogni forma di build up delle forze arabe: avevano negato materiale, istruttori, tutto: avevano esposte le truppe degli Stati arabi a questa ridicola guerra contro gli ebrei, impreparati, in modo da dare un colpo terribile al loro prestigio specie per il caso egiziano (qui poi ha aggiunto un’altra puntata contro la politica ebraica degli americani stessi).

Gli ho risposto che tutto questo era giustissimo; che bisognava evidentemente interessarsi ad armare gli eserciti arabi e sul serio in modo che essi potessero assicurare almeno la prima difesa, con rinforzi vicini e pronti ad intervenire: ma che il processo di messa a punto di un esercito era un processo lungo e che bisognava trovare una maniera di provvedere alla situazione «transitoria».

Dopo lunghe giravolte all’orientale, Jamali ha finito per dirmi che forse questa avrebbe potuto essere una soluzione: un impegno ad organizzare sul serio le forze militari degli Stati arabi (colla intenzione di servirsene come prima cosa per una rivincita contro Israele, aggiungo io) e la presenza a titolo transitorio di forze internazionali che avrebbero dovuto o potuto essere ridotte a mano a mano che le forze indigene sarebbero state riconosciute in grado di assicurare la prima difesa della zona.

A mia richiesta mi ha poi autorizzato a trasmettervi queste sue idee come punto di vista personale: per conto suo si riservava di parlarne con gli altri Stati arabi che, seppure d’accordo sul fondo con l’Egitto, sono convinti della necessità di trovare una soluzione.

Jamali, pur essendo una persona senza dubbio intelligente, non mi ha fatto l’impressione di essere quello che noi chiameremmo una persona seria: tipo levantino, mi capisci. Comunque, la formula a cui ha accennato mi sembra di difficile realizzazione, sì, data la complessa situazione egiziana e le probabili reazioni inglesi, ma l’unica su cui, forse, si potrebbe trovare un terreno d’accordo. È comunque un discorso che con molta prudenza un giorno si potrebbe tenere agli americani, perché, mentre tiene conto delle necessità della difesa del Canale, e quindi di una posizione atlantica che noi stessi non possiamo rinnegare, può anche permetterci di continuare su di una posizione ragionevole di sostegno di certe tesi arabe.

Se gli americani fossero suscettibili di essere orientati in questo senso – ne dubiterei, se è esatto quello che ha detto Washington, che essi non intendono per ora prendere commitments, leggi dare soldi e materiale per il Medio Oriente – si potrebbe arrivare ad una posizione nostra che, anche se non del tutto gradita agli inglesi e ai francesi, potrebbe ragionevolmente essere sostenuta, salvando, in quanto ciò è possibile, capra e cavoli.

È per questo che mi sono affrettato a dartene comunicazione.


214 1 Vedi D. 202.

215

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 1771/1262. Londra, 9 novembre 1951(perv. il 12).

Con la decisione di mantenere ferma la data del 24 novembre, è possibile forse farsi ora un’idea di quello che potrà essere il corso dei lavori della prossima sessione del Consiglio atlantico. L’agenda non è ancora del tutto definita: da una parte, infatti, gli inglesi hanno proposto un diverso raggruppamento delle varie questioni, variazione puramente di forma questa, ed il Segretariato sta lavorando a sistemare i vari argomenti in un nuovo ordine che tenga conto delle idee inglesi; dall’altra, è probabile che qualche nuovo punto venga aggiunto all’ordine del giorno a richiesta del Comitato militare, che si riunirà a Roma con qualche giorno di anticipo sul Consiglio; non è, infine, neanche da escludere che le discussioni all’Assemblea delle Nazioni Unite – alle quali il Patto atlantico, a giudicare almeno da questi primissimi indizi, sembra debba fornire abbondante materia, direttamente ed indirettamente – offrano qualche nuovo argomento di consultazione fra i Dodici.

Tuttavia, anche se l’agenda è tuttora né definita né chiusa, è possibile in linea di massima di individuare quelli che saranno i gruppi principali di questioni. La sessione di Ottawa, a parte la decisione sull’ammissione della Grecia e della Turchia, anche essa del resto non conclusiva, è stata in fondo una riunione interlocutoria. Il più che ha fatto è stato di mettere meglio a fuoco taluni problemi, di istituire una machinery per studiarli e per suggerire le eventuali soluzioni, e di rinviarne l’ulteriore esame e possibilmente le relative decisioni alla sessione di Roma.

I tre principali ordini di questioni ereditate da Ottawa sono:

a) l’aggiustamento dei fabbisogni accertati in sede militare alle effettive capacità economiche e finanziarie accertate in sede civile. È questo in sostanza l’insieme di tutte quelle questioni che, nella loro interdipendenza, costituiscono il problema fondamentale contro il quale si è urtato l’intero programma di rafforzamento della difesa della Comunità atlantica, ed il cui studio è stato affidato al Temporary Council Committee;

b) l’inserimento della Germania nello schieramento difensivo del N.A.T.O., direttamente o per il tramite della Comunità europea di difesa;

c) l’organizzazione dei Comandi, con particolare riguardo al settore Medio Oriente e Mediterraneo orientale.

A queste vanno aggiunte altre due questioni, anche ereditate da Ottawa, ma di cui, la prima di importanza minore rispetto alle altre e la seconda – per quanto formalmente di importanza certo non minore e forse anche maggiore – in una fase tuttora poco concreta, e cioè:

d) la riorganizzazione della struttura militare del N.A.T.O.;

e) l’approfondimento e l’estensione della cooperazione atlantica (questione deferita allo studio dell’Atlantic Community Committee).

L’agenda di Roma è infine completata: f) da un certo numero di argomenti ricorrenti (questioni di procedura, rapporti dei varii organismi N.A.T.O., ecc.); g) dall’ormai consuetudinario scambio di idee sulle questioni politiche di comune interesse (che si è acquistato negli ambienti del N.A.T.O. una certa patente di indulgente concessione alle esigenze di propaganda interna ed esterna); h) da uno studio puramente teorico del rapporto comparativo tra le risorse del blocco sovietico e quelle del gruppo occidentale.

A parte gli argomenti dal d) all’ h), che mi sembrano, come ho detto, o minori o di natura piuttosto teorica, c’è da domandarsi che cosa il Consiglio di Roma possa fare di concreto e di definitivo sui primi tre, che sono di gran lunga i più importanti, comparativamente, e pregiudiziali per l’ulteriore sviluppo del N.A.T.O.

Il T.C.C. non solo non avrà completato per il 24 il suo rapporto finale, ma, mi si dice, non sarebbe neanche in grado di presentare per iscritto il previsto rapporto interinale, limitandosi ad una specie di relazione orale.

Circa l’organizzazione dei Comandi, non so quali progressi siano stati eventualmente fatti da Ottawa in poi in sede militare. Il Consiglio dei sostituti non ha ricevuto nessun rapporto al riguardo dallo Standing Group (eccetto una breve e molto generica esposizione orale di Slim sul viaggio dei tre ad Atene ed Ankara) e non ha mai finora trattato direttamente della questione, che è restata quindi tutta nelle mani dei militari. Ma essa ha troppe connessioni e ripercussioni politiche perché si possa pensare ad una decisione finale sulla sola base di accordi tecnici. D’altra parte, la situazione locale, voglio dire nel Vicino e Medio Oriente, è quella che è. Mi domando allora cosa potrà fare il Consiglio a Roma se non vi è stata – come non vi è stata, a quanto mi risulta – una sufficiente preparazione in sede politica.

Né, mi pare, si è molto più avanzati sul problema della partecipazione tedesca alla difesa atlantica. La situazione psicologica in Germania non appare migliorata; non so poi quanti francesi non preferirebbero (purché lo credano possibile) una Germania unificata e smilitarizzata ad una Germania occidentale riarmata, sia pure in uniforme europea; né si può affermare che alcuni settori della politica americana abbiano effettivamente e definitivamente superato la loro iniziale sfiducia verso il complicato congegno dell’esercito europeo e qualche loro timore di eventuale residuo di terzaforzismo che possa tuttora essere restato aggrappato al progetto della Comunità europea di difesa. La Conferenza di Parigi non sembra comunque, in base a quello che si sa qui, arrivata ad uno stadio tale da consentire al Consiglio atlantico di prendere decisioni concrete.

Ho detto tutto questo per arrivare alla conclusione che il Consiglio atlantico di Roma mi pare che rischi, a meno di novità dell’ultima ora, di perdere molto della importanza che sembrava dovesse avere visto da Ottawa o, anzi, da prima di Ottawa, quando si pensava cioè che, sgombrato ad Ottawa il terreno dalle questioni minori ed impostati concretamente i problemi, si potessero prendere a Roma quelle decisioni coraggiose (quel «new bold approach») che tutti ritengono indispensabili, che sono previste ad ogni riunione del Consiglio e che sono state finora ogni volta invariabilmente rinviate alla successiva sessione. Del resto già ora si comincia a parlare di una nuova riunione del Consiglio a febbraio-marzo o anche prima, che dovrebbe decidere quelle questioni che rimarranno insolute a Roma.

Le cose sarebbero state se non del tutto, forse parecchio diverse se fosse stato deciso di rinviare la riunione di Roma a metà dicembre o a gennaio. Devo dire che quasi tutti hanno lavorato in questo senso più o meno apertamente e discretamente, tranne gli americani, non perché questi non siano anch’essi convinti che le questioni più importanti non saranno mature per Roma, ma perché, a parte il desiderio molto fermo di Acheson e di Lovett di essere a Washington immediatamente prima ed al momento della riapertura del Congresso, sono persuasi che il riunirsi anche per far poco è sempre meglio che non riunirsi affatto, come è accaduto tra la riunione di Bruxelles e quella di Ottawa nell’attesa sempre prolungata che i varii problemi venissero a maturazione.

Il rovescio della medaglia, a mio avviso, del ragionamento che fanno gli americani – non ho mancato di farlo sentire amichevolmente a Spofford – è che, se si continua così, si corre il rischio di scuotere la fiducia dei Governi e delle opinioni pubbliche dei paesi atlantici sulla effettiva capacità del N.A.T.O. a fronteggiare i gravi problemi della presente situazione, ed è questo un fattore psicologico che non va sottovalutato.

Se Churchill, nella sua qualità di ministro della difesa, decidesse di partecipare alla sessione di Roma, potrebbero esservi delle sorprese dato che, a quanto si dice, egli ha molta fretta di fare qualche cosa, ed è certo uomo che non manca né di immaginazione né di coraggio. Sarebbe questa la prima volta che si presenta in sede atlantica e potrebbe non voler lasciare passare questa occasione per dire la sua.

Per quanto poi ci riguarda più direttamente, potrebbe essere anche per noi questa opportuna occasione per rinnovare il nostro pressante appello per una più stretta cooperazione tra i paesi atlantici, al di là della sfera puramente militare, quale mezzo per tentare di risolvere su una base più permanente, le attuali difficoltà.

216

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 10383/192. Roma, 10 novembre 1951, ore 13,30.

Suoi telegrammi nn. 234 e 2371.

Il Governo italiano considera che la Conferenza economica internazionale sia strettamente connessa con la nota campagna pacifista svolta dall’Unione Sovietica. Ritiene pertanto opportuno di assumere, d’accordo con i Governi del Regno Unito e della Francia, un atteggiamento negativo cercando possibilmente di dissuadere dal parteciparvi quelle personalità italiane che vi saranno invitate.

Nel sottolineare l’opportunità che i Governi dei paesi aderenti al Patto atlantico adottino in proposito una identica linea di condotta, si suggerisce che potrebbe essere utilmente affidato all’O.E.C.E. lo studio delle misure di contropropaganda accennate da Spofford.


216 1 Rispettivamente del 25 e 29 ottobre, con i quali Rossi Longhi riferiva sulla discussione svoltasi su proposta di Spofford in Consiglio dei sostituti circa la prossima conferenza economica di Mosca.

217

IL CAPO DELL’UFFICIO III DEGLI AFFARI POLITICI, TALLARIGO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Roma, 10 novembre 1951.

Il ministro Giustiniani ha redatto l’appunto di cui si acclude copia1 ad ogni buon fine e per comodità di consultazioni, ma che è già certamente a conoscenza dell’E.V.

In proposito l’Ufficio si permette di esprimere il subordinato parere che mentre da un lato una visita del ministro Sharett a Roma sarebbe ora intempestiva, dall’altro lato non convenga respingere e scoraggiare completamente l’apertura fattaci dagli israeliani.

Anche in questo caso il nostro atteggiamento dovrebbe ispirarsi a quella politica di equilibrio e di realismo che sembra la più consona ai nostri interessi.

Equilibrio: si può anche pensare che la creazione di Israele sia stata un errore dato che la questione palestinese è forse oggi la origine dell’avvelenamento dei rapporti tra Occidente e Stati arabi. Ma visto che oramai Israele esiste, esso può compiere in determinate circostanze una utile funzione di contrappeso a quegli eccessi nazionalistici – dannosi per tutti, e che vanno ben oltre le giuste aspirazioni di un popolo a un reggimento autonomo – dei quali alcuni Stati arabi minacciano di cadere preda.

Realismo: abbiamo tuttora con Israele numerose questioni pendenti, prima fra tutte quella dei nostri beni tuttora bloccati, questioni la cui soluzione è estremamente ardua sul piano giuridico. Non dovremmo perciò scoraggiare completamente l’attuale proposta israeliana che fa intravedere la possibilità di condizionare la nostra adesione alla soluzione di alcune delle questioni pendenti o almeno ad un gesto sostanziale da parte israeliana in quella direzione2.


217 1 Del 27 ottobre, con il quale Giustiniani aveva riferito circa un colloquio avuto con il segretario generale avente ad oggetto lo sviluppo dei rapporti tra Italia e Israele. In tale occasione era stato manifestato il desiderio israeliano di realizzare un incontro tra Sharett e De Gasperi a Roma.


217 2 Per il seguito vedi D. 247.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI, A PARIGI

Telespr. 11/17415/c.1. Roma, 12 novembre 1951.

Come è noto a V.E. le nostre rappresentanze nelle Repubbliche dell’America latina si sono attivamente adoperate per mantenere vivo in quei paesi l’interesse per la questione in oggetto2 ed hanno ricevuto da quei Governi assicurazioni che il loro appoggio ad ogni iniziativa a nostro favore non sarebbe mancato.

Alcuni paesi hanno inoltre richiesto spontaneamente l’iscrizione della questione «ammissione nuovi membri» nell’ordine del giorno della VI Assemblea dell’O.N.U. in termini che, peraltro, sono risultati in parte discordi dall’azione che l’Italia va perseguendo (suo 2030/252 del 5 ottobre u.s.)3.

Questo Ministero ha ripetutamente raccomandato alle nostre rappresentanze nell’America latina di ottenere che – senza urtare le suscettibilità di quei paesi che hanno già preso o possano eventualmente ancora prendere iniziative al riguardo – ogni azione fosse concordata tra i delegati dei vari paesi all’O.N.U. e V.E., onde evitare in tal modo una dispersione di forze e rendere più efficace l’azione medesima.

2. V.E. ha osservato (telespresso 1309 del 19 ottobre)3 come si vada facendo strada l’impressione secondo cui tutte le manifestazioni, le proposte e le iniziative dei paesi latino-americani, pur senza essere determinanti al fine di ottenere l’ammissione, siano destinate a creare un movimento di opinione pubblica nei singoli paesi, con diretta ripercussione nell’Assemblea, costituendo così la base necessaria per l’azione che stiamo concordando con la Francia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

3. Sia nel caso che questa azione pervenga a una positiva soluzione, sia nel caso meno auspicabile che non dia per ora il frutto che se ne attende, è importante tener presente l’opportunità che il totale o il parziale risultato apparisca in qualche modo come dovuto anche al valido contributo offerto dalle Repubbliche dell’America latina.

Sarà interessante per V.E., a questo proposito, conoscere un tratto di una lettera dell’on. Andreotti da Rio de Janeiro in data 22 ottobre, che, ad ogni buon fine, si trascrive:

«Tutti chiedono che sia subito definita la formula tecnica per il nostro ingresso all’O.N.U. prescindendo dal veto. Non desiderano essere messi dinanzi a fatti compiuti e vogliono sapere prima su quale formula debbano concretare l’appoggio.

Attenzione: il ricordo del compromesso Bevin-Sforza e delle ritenute intese con gli americani del Nord senza tenere conto dei “veri amici” è molto vivo e non bisogna suscitare reazioni».

4. A parte la convenienza di dare rilievo alle amicizie che contiamo nell’America latina e al nostro desiderio di sviluppare in forma concreta i nostri rapporti politici con quei paesi, occorre quindi preoccuparsi di non urtare le loro suscettibilità, e di non nuocere così – con quella che potrebbe apparire poca considerazione dell’appoggio che da tali paesi ci vien dato – alla posizione da noi acquisita nei loro riguardi.

Prego V.E. di voler tenere presente anche questa esigenza e confido nell’opera che vorrà svolgere al riguardo.


218 1 Indirizzato, per conoscenza, anche alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington e alle rappresentanze diplomatiche in America latina.


218 2 L’oggetto del documento era il seguente: «Ammissione Italia O.N.U.».


218 3 Non pubblicato.

219

COLLOQUIO DEL CAPO DELL’UFFICIO IDEGLI AFFARI POLITICI, GRILLO,CON L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET

Appunto. Roma, 13 novembre 1951.

L’ambasciatore Mallet mi ha con insistenza intrattenuto sulla questione di Trieste.

Ha cominciato col dire che gli inglesi vorrebbero che essa fosse presto risolta perché desiderano ritirare le truppe. Ho risposto che mi sembrava una ragione non determinante il voler ritirare una brigata.

Dopo avermi accennato ai vari impegni militari in Malesia, Egitto, ecc. e alla necessità di economie, Mallet ha ammesso che è Eden che tiene moltissimo alla soluzione; che è la questione che più lo interessa oggi (sic!). Eden, per il caso di un conflitto, vorrebbe chiuso il gap alla frontiera orientale.

Montgomery avrebbe riferito entusiasticamente sulle qualità combattive dell’esercito jugoslavo; sulla decisione di Tito di rimanere neutrale «se possibile», sulla sua volontà di combattere con gli Alleati in caso di necessità.

Ho accennato alla passata insoddisfazione italiana per il flirt laburista-jugoslavo e Mallet mi ha detto che ora, con Eden, la situazione è ben diversa; che comunque bisogna essere realisti e che Tito ha il paese in mano ed è decisamente schierato da questa parte.

Gli ho esposto le note idee sulla situazione interna jugoslava; su quanto dicono i rifugiati che vengono in Italia, sul cominformismo in Jugoslavia, ed ho aggiunto che essi non verrebbero da noi se fossero pro-Tito.

Mallet non crede a quello che dicono i rifugiati.

Eden, secondo lui, si basa sul rapporto Montgomery.

220

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 13 novembre 1951.

È venuto stamane l’ambasciatore d’Egitto a portarmi due note: una per attirare l’attenzione del Ministero su di una vignetta offensiva per re Faruk, pubblicata dal Daily American, l’altra per comunicare ufficialmente l’avvenuta assunzione da parte di re Faruk del titolo di «re del Sudan».

Ho colto l’occasione per portare la conversazione sulla situazione generale nel Medio Oriente e sulla controversia anglo-egiziana.

Ho chiesto all’ambasciatore se e quali reazioni fossero da attendersi dalla nuova dichiarazione anglo-franco-turco-americana1. Egli mi ha risposto che il suo Governo non ha motivo di mutare attitudine: la nuova dichiarazione appare contraria alla Carta dell’O.N.U. la quale ammette accordi regionali purché conclusi con l’accordo dei paesi interessati. Invece la dichiarazione si limita a far nota la determinazione delle quattro potenze di creare un’organizzazione difensiva per il Medio Oriente senza l’accordo dei paesi medio-orientali, sottolineando anzi che questi non sono obbligati a parteciparvi se non lo desiderano.

Gli ho poi accennato all’atteggiamento dei vari paesi arabi che appare, secondo le nostre informazioni, piuttosto incerto. Mentre infatti formalmente tutti sono solidali con l’Egitto, in pratica la sola Siria risulta sinora animata da propositi intransigenti, mentre Transgiordania, Irak e Libano non appaiono inclini a staccarsi dai paesi occidentali. L’ambasciatore mi ha risposto essere notorio che l’Irak e la Transgiordania sono governati da «amici dell’Inghilterra», mentre diverso è l’orientamento della pubblica opinione di quei paesi. Comunque l’atteggiamento degli Stati arabi non influirà, a suo modo di vedere, su quello dell’Egitto.

Nel corso della conversazione gli ho chiesto come, secondo lui, si vedrebbe in Egitto lo stabilimento di basi alleate anziché sul Canale, nella zona di frontiera tra l’Egitto, la Palestina e la Transgiordania.

Mi ha detto, parlando a titolo personale, che questa sarebbe la vera soluzione del problema: una difesa cioè appoggiata ai due capisaldi di Akaba sul Mar Rosso e di Gaza sul Mediterraneo, e scaglionata tra questi due punti al limite orientale della penisola del Sinai. Gli ho fatto osservare che comunque bisognava assicurare la difesa del Canale contro attacchi aerei, o calate di paracadutisti: ne ha convenuto pur dicendo che tutto ciò si sarebbe potuto concordare dopo che fosse stata risolta la questione principale della presenza di un corpo di occupazione inglese in pieno Egitto, come è attualmente. Gli egiziani sono persuasi che la difesa del Canale non si fa sul Canale e che il permanere di una così ingente massa di truppe inglesi in quella zona ha il solo scopo di mantenere sull’Egitto una influenza britannica a fini imperialistici. Infatti gli inglesi approfitterebbero da tempo ormai della loro presenza colà per dominare praticamente il paese in tutti i campi, da quello politico a quello economico. Invece una soluzione che spostasse le basi permanenti più ad est anche in territorio egiziano, oltreché in territorio transgiordanico e palestinese assumerebbe un diverso carattere. L’ambasciatore mi ha detto che, pur parlando a titolo personale, poteva assicurarmi che qualora fossero state avanzate proposte in questo senso, egli si sentiva in grado di agire anche in ambienti diversi da quelli del suo Ministero (evidente allusione alla Corte) per poterle fare accogliere.

Alla fine mi sono lamentato col mio interlocutore perché il suo ministro degli esteri ha dato un’intervista al corrispondente dell’Unità. Pur essendo l’intervista ineccepibile, gli ho detto, per quanto si riferisce ai rapporti tra il Governo egiziano e il Governo italiano, l’avere scelto un giornale comunista poteva rendere difficile l’azione che andiamo svolgendo per persuadere gli occidentali che il suo paese è e rimane anti-comunista. L’ambasciatore si è scusato dicendo che probabilmente altri giornalisti non avevano chiesto interviste prima del corrispondente dell’Unità e mi ha soggiunto che l’Egitto, pur trovandosi solo contro l’Inghilterra, non dirà mai quello che ha detto e fatto Churchill durante la guerra e cioè: «Per vincere sono disposto ad allearmi anche col diavolo». Gli ho fatto osservare che, mentre non dubitavo di questi propositi del suo Governo, non potevo tuttavia non esprimere qualche dubbio sulle conseguenze che un prolungarsi della crisi attuale potrebbe avere anche sulla situazione interna egiziana. Infatti a questa lotta contro l’Inghilterra partecipano persone di sentimenti nazionali animate solo dal proposito di fare sì che l’Egitto possa partecipare con dignità e indipendenza alla difesa della civiltà occidentale, ma partecipano anche, e sono generalmente le più accese in questi casi, masse di individui che mirano ad altri scopi. In una lotta contro il cosiddetto «oppressore» (posto che lo sia), ci si trova facilmente tutti uniti, come è accaduto in Europa sul finire dell’ultima guerra, ma poi può venire il momento in cui, mentre gli uni ritengono di avere ottenuto le soddisfazioni che desideravano, gli altri restano in campo per perseguire i loro fini: e l’Egitto, gli ho detto, è un paese nel quale vi sono strati sociali in condizioni facilmente permeabili alla propaganda sovietica: è questa una preoccupazione che dovrebbe essere tenuta presente.


220 1 Del 13 ottobre, relativa alla proposta di partecipazione dell’Egitto al piano di difesa del Medio Oriente. Testo in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 42, p. 815.

221

L’AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 4325. Il Cairo, 13 novembre 1951(perv. il 14).

Tua 3/726 dell’8 novembre1.

Il re mi prega di pazientare qualche giorno. Due grosse dimostrazioni percorreranno oggi e domani le strade di Alessandria e del Cairo. Si paventano disordini, che potrebbero anche essere gravi, benché le misure di polizia siano imponenti. Gli animi sono comunque tesi e sospesi. Il 15 sarà poi letto in Parlamento il discorso del Trono. Re Faruk mi vedrà subito dopo.

Ho letto i due studi, molto sennati e ragionevoli, acclusi alla tua lettera. Tutti e due postulano l’inserimento dell’Egitto in qualche sistema di sicurezza occidentale. Naturalmente è la strada migliore e la più agevole, ma non è precisamente quella che gli egiziani vorrebbero attualmente battere. Ora, io non dubito che codesta contrarietà abbia, come già scrissi, anche le sue buone ragioni tattiche. Comunque, oggi come oggi, esiste e bisognerà tenerne conto. Bada poi che il vento del neutralismo è mosso, non soltanto dalla sciocca persuasione che i paesi arabi possano restare fuori dalla bagarre, se questa dovesse davvero scoppiare, ma anche dal convincimento che gli occidentali non sono in grado di effettivamente proteggerli da un’eventuale aggressione sovietica. Ciò che è un’altra cosa certo più prossima alla realtà. Gli arabi sono cioè portati a ritenere che l’Occidente, tentando di associarli alla coalizione atlantica od altro, finisca, volente o nolente, con l’attirare su di essi pericoli estremi. Bisognerà fare opera lenta di persuasione.

L’idea del generale Marras (difesa a distanza e difesa sul posto) è buona. L’evacuazione della zona del Canale da parte degli inglesi è ciò che gli egiziani esigono. E all’evacuazione appunto si arriverebbe. Che poi la difesa a distanza, a Gaza per esempio, resti affidata ai britannici, non solleverebbe qui, credo, obiezioni di sorta. Occorrerebbe tuttavia sapere che cosa Londra precisamente pensi di una sistemazione siffatta.

Ho l’impressione che una proposta analoga sia stata già dibattuta e che lo stesso Nahas Pascià ebbe a formularla, or è circa un anno, al maresciallo Slim, capo dello Stato Maggiore imperiale. Ciò che avrebbe formato oggetto di uno scambio di vedute fra i due Governi, non so precisamente con quali risultati. Sono punti che bisognerebbe forse accertare.

Tu vedi poi che i propositi occidentali per quanto concerne queste regioni sono orientati oggi verso il Comando comune del Medio Oriente. Le dichiarazioni dei quattro sui principi generali cui l’organizzazione di codesto Comando dovrebbe ispirarsi, pubblicate ier l’altro, sono, nonostante una certa fumosa nebulosità, concepite e redatte abilmente. Nonostante le vivacissime prese di posizione sia dell’Egitto, sia di Azzam Pascià, molti degli Stati arabi sarebbero infatti, a quanto pare, disposti a discuterle in modo più approfondito, e, probabilmente, ad accettarle con qualche, piccola o grossa, variante. Sono comunque incerti e perplessi. Il tentativo egiziano e della Lega araba di opporre alle proposte quadripartite il patto di difesa firmato or sono dieci mesi (salvo l’ancora attesa ratifica dell’Irak e della Giordania) dagli Stati arabi, ponendolo sotto l’egida dell’O.N.U., non mi par d’altra parte destinato a far molta strada.

Assicura, ti prego, il presidente che terrò presente le idee di cui ai detti appunti per tutte quelle aperture e sondaggi personali che mi parranno tempestivi e opportuni. Tieni naturalmente conto che moltissimi dei principali protagonisti sono oggi – e vi resteranno ancora per qualche tempo – a Parigi: cioè fuori del cerchio del mio orizzonte.

Tutto sommato – ripeto – gli inglesi mi sembrano oggi fermamente decisi, dopo i tentennamenti e le esitazioni laburiste, a piantare i piedi. È un atteggiamento adottato naturalmente in primo luogo nei confronti dell’Egitto, ma, anche, in generale, nei confronti di tutto il mondo esterno. Che dovrebbe con ciò persuadersi che una fase della politica britannica è giunta a conclusione e un’altra, di maggior polso e energia, ha avuto inizio.

In quanto agli egiziani, prevalgono oggi evidentemente i violenti e gli intransigenti. Bisognerà che essi si scontrino e cozzino contro la dura realtà, che sola potrà intiepidirne gli ardori.

Credo che quando gli inglesi avranno la sensazione di aver dato all’Egitto ed al mondo una probante dimostrazione di polso fermo e gli egiziani avranno battuto, senza apprezzabili risultati, le strade dell’intransigenza, credo, ripeto, che allora e non prima, salvo circostanze e avvenimenti imprevisti, potrà giungere il momento di utili interventi e di ragionevoli componimenti.

Salah-el-Din messo fuori oggi rischierebbe di diventare campione dell’indipendenza e idolo popolare. Messo fuori domani, l’imprevidente rappresentante di un atteggiamento che non ha portato che frutti amari.


221 1 Vedi D. 209.

222

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

T. segreto 10516/130. Roma, 14 novembre 1951, ore 16.

Suo 1631.

Partecipazione Stati non ancora membri riunioni Consiglio atlantico, che giuridicamente non è sostenibile e solleverebbe opposizione Stati minori, non è mai stata prospettata nelle varie fasi che hanno condotto a firma protocollo. Intervento Grecia e Turchia riunione Roma sarebbe stato certo desiderabile oltre che particolarmente gradito a noi: non è però possibile.

Senato americano attualmente in vacanza non potrà, com’è noto, approvare protocollo prima seconda metà gennaio: invito non verrà quindi esteso prima fine gennaio. Da parte nostra sollecitiamo per quanto possibile perfezionamento che verrà portato prossimo Consiglio ministri.

V.E. nel chiarire quanto sopra potrà se lo crede aggiungere che siamo disposti, ove codesto Governo lo desideri, farne conoscere vedute e desideri in Consiglio atlantico2.


222 1 Del 12 novembre, con il quale Alessandrini riferiva che lo Standing Group aveva espresso l’avviso che Grecia e Turchia non dovessero partecipare alla prossima riunione del Consiglio atlantico non essendone ancora membri.


222 2 Con T. 131 del 15 novembre Zoppi comunicava ad Alessandrini la possibilità, emersa in sede di Consiglio dei sostituti, di invitare Grecia e Turchia come osservatori alla prossima sessione del Consiglio atlantico. Per il seguito vedi D. 229.

223

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 14415-14427/742-743. Parigi, 14 novembre 1951, ore 13,15(perv. ore 17).

In colloquio privato Alphand mi ha ieri dichiarato che secondo il Governo francese esistono oggi per l’Europa soltanto tre alternative: riarmo unilaterale della Germania, neutralizzazione dell’Europa occidentale od esercito europeo.

Secondo Alphand non è possibile oggi trovare in Parlamento francese maggioranza per approvare riarmo unilaterale Germania, anzi eventuale tentativo di riarmare i tedeschi contro parere Francia potrebbe costringere Governo a uscire da Alleanza atlantica.

Quanto a neutralizzazione della Germania, è evidente che finirebbe per avere per conseguenza neutralizzazione Europa occidentale, il che equivarrebbe a consegnare i nostri paesi in mano sovietica. Perciò Alphand ritiene, parlando anche a nome maggior parte Governo, che esercito europeo è oggi unica soluzione possibile che permetta inserimento tedeschi in difesa europea e lo stesso Parlamento francese si sarebbe al momento opportuno convinto che non ci fosse altra soluzione. In riunione giovedì occorrerà, secondo Alphand, far capire a Belgio, Olanda e Lussemburgo che Italia, Francia e Germania sono fermamente decise arrivare esercito europeo persino a costo dover rinunciare partecipazione paesi Benelux.

Secondo Alphand tale deciso atteggiamento dovrebbe convincere paesi Benelux su opportunità marciare insieme agli altri con rapida creazione esercito europeo.

Circa sviluppo lavori Conferenza Alphand mi ha detto che intenderebbe arrivare ad accordo su linee generali per Conferenza Roma per poter poi predisporre trattato per fine anno per poterlo presentare ai Governi in gennaio.

Dato quanto precede riterrei assolutamente necessario assumere in riunione giovedì atteggiamento decisa solidarietà con Francia e Germania.

Qualsiasi incertezza o tepidezza da parte nostra incrinerebbe fronte comune tra Italia, Francia e Germania col grave rischio di convincere rappresentanti Benelux ad opporsi decisamente creazione organo supranazionale e Assemblea, provocando così definitivo fallimento Conferenza, il che, secondo Alphand, costituirebbe crisi estrema gravità per mondo occidentale con ripercussioni enormi ed imprevedibili.

224

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto urgentissimo Parigi, 14 novembre 1951, ore 20,50

precedenza assoluta 14440/747. (perv. stessa ora).

Sabato o lunedì prossimo si inizierà dibattito in Quarta Commissione per ammissione Italia secondo progetto anglo-franco-americano1. È essenziale per sviluppi futuri che progetto risoluzione (che impernierà questione su qualità Italia paese amministrante territorio sotto tutela) raccolga massima votazione.

Delegazioni peruviana e Repubbliche centro-americane hanno presentato per conto proprio due diversi progetti risoluzione per «ammissione nuovi membri» che ora si tenta di unificare.

Queste risoluzioni verranno in discussione soltanto più tardi e dinanzi alla Prima Commissione anziché alla Quarta. Nulla perciò impedisce a che delegazioni latino-americane votino compatte per progetto anglo-franco-americano in Quarta Commissione.

Svolgo energica azione locale in questo senso, ma in vista importanza questione (presa di posizione in Quarta Commissione determinerà naturalmente anche quella in Assemblea nei futuri dibattiti) mi permetto suggerire diramazione immediate urgentissime istruzioni telegrafiche nostre rappresentanze America latina.

Altrettanto dicasi paesi arabo-asiatici che pur non essendosi fatti iniziatori di una risoluzione per ammissione generale nuovi membri, potrebbero, dati loro umori attuali, essere tentati dissociarsi da azione grandi potenze per sola Italia2.


224 1 Vedi DD. 175, 195 e 212.


224 2 Per la risposta vedi D. 228.

225

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. precedenza assoluta 10581/c. Roma, 15 novembre 1951, ore 22,45.

Lunedì prossimo 19 corrente avrà inizio dinanzi IV Commissione Assemblea O.N.U. dibattito su progetto franco-anglo-americano per ammissione Italia.

È necessario che progetto risoluzione che impernia questione su posizione Italia amministrante territorio sotto tutela, raccolga massima votazione. Prego far dare urgentissime istruzioni in tal senso a delegazione O.N.U. codesto Stato.

Tenga presente e chiarisca in caso obiezioni derivanti presenza di altri progetti Repubbliche Centro-America e Perù per «ammissione nuovi membri» che voto su progetto sopra citato non pregiudicherà discussione generale su questione «ammissione nuovi membri» in Prima Commissione.

Prego assicurare1.


225 1 I rappresentanti presso gli Stati latino-americani risposero di aver avuto assicurazioni che istruzioni nel senso richiesto erano state impartite alle rispettive delegazioni all’O.N.U. Soltanto da La Paz e Assunzione non risulta pervenuta risposta telegrafica.

226

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 2764/935. Mosca, 15 novembre 1951(perv. il 25).

Il discorso iniziale di Vyshinsky all’Assemblea dell’O.N.U. è venuto a confermare, in modo clamoroso, le previsioni fatte da questa ambasciata circa la posizione rigida che i sovietici avrebbero presumibilmente assunto all’assemblea di Parigi. Il discorso di Berija del 6 novembre1 non lasciava più dubbi sulla linea forte che la politica sovietica aveva assunto: Vyshinsky vi ha aggiunto il suo mordente, la sua insolenza, toccando un diapason di acredine che raramente era stato finora raggiunto.

A parte il tono, il contenuto del discorso di Vyshinsky non sembra lasciare alcun spiraglio ad un possibile riavvicinamento, ed è specialmente intransigente in due punti:

a) là ove afferma la incompatibilità fra lo statuto dell’O.N.U. e il Patto atlantico, pretendendo che quest’ultimo sia annullato, ossia formulando deliberatamente una proposta impossibile;

b) là ove tratta in modo insultante e derisorio (aggravato dalle spiritosità più o meno felici di Vyshinsky in conferenze stampa) il piano di controllo e di disarmo proposto dalle tre potenze occidentali, sulla base del discorso di Truman.

Bastano questi due punti a far capire che la prossima Assemblea è destinata ad essere un nuovo campo di battaglia polemica, e non un punto di incontro e di trattative. Non è nemmeno il caso di accennare alla questione coreana, ove del resto i sovietici hanno fatto un passo indietro, ritornando alla base del 38° parallelo, quando ormai i cinocoreani e gli americani stanno discutendo sulla base della linea attuale di operazioni.

Non rimarrebbe quindi che constatare ancora una volta la già enunciata fase di irrigidimento sovietico.

Ma in base alle opinioni scambiate ed alle informazioni assunte da varia fonte in questi giorni, vorrei ancora aggiungere una più chiara interpretazione delle origini e degli scopi di questo cambiamento di rotta sovietico.

Due fatti sono certi: l’Unione Sovietica, a suo modo, ossia concedendo poco, male e troppo tardi come sempre, ha tenuto un atteggiamento relativamente conciliante nelle primavera e nell’estate del 1951: i due episodi culminanti di tale atteggiamento furono la proposta di conferenza per la Germania (fallita a Parigi) e la proposta di Malik per la Corea2. Successivamente, l’indirizzo sovietico è cambiato: e il mutamento ha avuto inizio al tempo dello scambio dei messaggi Truman-Shvernik – il quale fu accompagnato, notisi, dalla legge americana contraria agli scambi economici coi paesi del mondo comunista.

Seguirono a quei fatti varie manifestazioni polemiche fra i due paesi, fino ad arrivare alla conferenza di San Francisco, che segnò il clou dell’urto fra americani e sovietici, e fu seguito dalla nota serie di mosse diplomatiche sovietiche decisamente ostili, dirette contro la Francia, l’Italia, la Norvegia, la Turchia ecc.

Il discorso di Berija e la posizione di Vyshinsky all’O.N.U. costituiscono il coronamento, fino ad oggi almeno, di questa fase di forza della diplomazia sovietica. Le conclusioni che qui ne traggono i più attenti osservatori sono le seguenti:

1) i sovietici, a torto o a ragione, si sono convinti nell’estate del 1951 che ogni tentativo di compromesso con gli americani era inutile. L’esito della Conferenza di Parigi – la Conferenza di San Francisco – la legge sugli scambi economici col mondo comunista – talune manifestazioni oratorie di Truman sul valore degli impegni sovietici – gli accordi di Washington e di Ottawa sulla Germania – questi ed altri analoghi fatti li hanno convinti della decisione degli americani di camminare decisamente sulla strada intrapresa, al fine di creare la situazione da loro desiderata: di negoziazione assistita dalla forza;

2) i sovietici non intendono piegarsi a questa situazione, e vogliono far intendere agli occidentali, e agli americani sopratutto, che tale impostazione è sbagliata. Il discorso di Berija, con le sue dichiarazioni sulla forza e preparazione militare dell’Unione Sovietica, è anzitutto un incoraggiamento al mondo comunista, ossia ai cittadini sovietici, agli alleati, ai satelliti, ai simpatizzanti di tutto il mondo; ma è insieme anche un monito al mondo occidentale, nel senso di far intendere chiaramente agli americani che se essi sperano di arrivare un giorno ad imporre ai sovietici, grazie alla loro superiorità militare, le loro condizioni, si sbagliano: i sovietici si tengono pronti, o vogliono far apparire di tenersi pronti, a resistere ad ogni imposizione;

3) quindi, le direttive essenziali della politica sovietica rimangono le medesime: si tratta sempre di evitare la guerra, e di agire contro il mondo occidentale cercando di spezzarlo, utilizzandone le debolezze morali, le contraddizioni politiche, le crisi economiche e sociali. Fermo rimanendo il fine, il metodo soltanto è cambiato, almeno in questa fase: dopo avere impiegato (male, come al solito) l’arma della conciliazione e del compromesso, l’Unione Sovietica è costretta quasi, dalla fermezza americana ad impiegare il metodo della voce grossa e della minaccia. Mentre in tal modo essa dimostra di non avere paura, mentre esalta ed incoraggia gli amici, essa tende ad impaurire gli avversari tiepidi ed a convertire gli esitanti e potenziali amici.

4) Trattandosi quindi di cambiamento tattico, non strategico, esso è suscettibile di ulteriori revisioni, anche brusche: dipenderà sopratutto dallo sviluppo degli avvenimenti, specialmente in Europa e in Germania, l’insistenza dei sovietici sull’attuale linea di condotta. Ma finora nulla indica che questa fase tattica debba mutare così presto: si tratta di una pura possibilità astratta, che finora non ha dato segni di tradursi in realtà.

Qualcuno ha voluto vedere tali segni in una certa supposta moderazione delle conclusioni del congresso della pace di Vienna. Per me questo è ancora wishful thinking. Sul contenuto di tali deliberazioni riferisco con questo stesso corriere, osservando tuttavia: se è vero che il movimento della pace, dato il suo presunto carattere non comunista ed universale, può avere bisogno di una certa moderazione di formule per non spaventare la parte più moderata dei suoi adepti, questo non vuol dire affatto che una simile moderazione tattica di propaganda sia indizio di una volontà di compromesso. Si tratta sempre di metodi di lotta, di mezzi per conquistare la simpatia delle masse; e in questa guerra per la pace, naturalmente, i sovietici mirano all’obiettivo finale, impiegando freddamente le armi e le mosse che loro sembrano più convenienti.

All.: La traduzione integrale di una corrispondenza alla Pravda del 12 corrente dal titolo: «Dopo il fallimento di un atto diversivo», caratteristica manifestazione della stampa sovietica sul piano di disarmo americano3.


226 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 45, p. 871.


226 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 493.


226 3 Non si pubblica.

227

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 12369. Washington, 15 novembre 1951(perv. il 19).

Ho fatto notare, con tutti i noti argomenti, a Matthews, specie in coincidenza con l’accordo per l’armamento della Jugoslavia firmato ieri a Belgrado, che una serie di azioni americane in favore di Tito potevano facilmente indurre lui e i suoi prossimi collaboratori ad una più rigida posizione di resistenze e di pretese nel trattare la questione di Trieste e specialmente della Zona B.

Matthews ha risposto col noto argomento che il riarmo della Jugoslavia, sotto la supervisione americana, non poteva che giovarci, aiutandoci a tener lontana la minaccia russa dal nostro confine. D’altronde gli Stati Uniti avevano, prima e contemporaneamente alle ultime trattative, spinto Tito a mostrarsi ragionevole, ad accettare negoziati con noi sulla base della linea etnica per la Zona B, a considerare la soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste come il principio, estremamente importante per la Jugoslavia, di una vera collaborazione con l’Italia e con tutta la coalizione atlantica.

Ho insistito dicendo che trattando con balcanici tutto quello che è passato e acquisito non conta più nei calcoli riguardanti l’avvenire. Che perciò gli Stati Uniti debbono fare ora sentire a Tito che la cooperazione militare che si deve iniziare deve svolgersi in un’atmosfera rasserenata e di collaborazione attiva e fiduciosa, sicché la Jugoslavia senta che il buon vicinato e il comune sforzo con l’Italia sono elementi essenziali della difesa dell’Occidente. Sì che la soluzione per Trieste sia connessa con la possibilità reale di un’azione comune.

Matthews ha riconosciuto che gli Stati Uniti erano di questo parere e che si sarebbe continuato a far sentire a Belgrado che l’accordo italo-jugoslavo era parte viva dell’intesa e del sistema difensivo europeo. Per di più l’America considera che tale accordo debba essere raggiunto presto parendogli la situazione attuale particolarmente favorevole.

Ho insistito perciò che non si tralasci di spingere Belgrado proprio ora, a dimostrare le sue favorevoli disposizioni verso un compromesso che arrivi a toccare la linea di massimo sforzo di conciliazione che l’Italia può fare e che è stato sommariamente definito a Truman e ad Acheson dal presidente De Gasperi1.

Matthews mi ha assicurato che la politica da noi desiderata e già in corso sarà proseguita dagli Stati Uniti che considerano di suprema importanza la fine delle controversie tra Roma e Belgrado nell’interesse dei due popoli e dell’intera difesa europea.

Ho accennato al fatto che una soluzione onorevole del difficile problema sarebbe anche, in questo momento di confusione e di difficoltà, un notevole successo dell’Occidente sopra l’U.R.S.S. che desidera e cerca d’impedire un’intesa italo-jugoslava a rafforzamento del Patto atlantico.

Matthews ha ripetuto che non mancherà di tener conto di tutti gli argomenti sui quali è d’accordo per continuare l’azione intrapresa dal Governo americano.

Anche per l’opera di persuasione sull’Etiopia e sulla Jugoslavia in tema di revisione ha mostrato interesse e comprensione, sebbene fosse meno al corrente del problema che gli ho spiegato.

È scettico sulle possibilità pratiche di una nostra ammissione ora all’O.N.U. per le note ragioni. Crede che una nuova manifestazione dell’Assemblea che metta i russi al muro, abbia una notevole importanza morale ed apra la via a sviluppi, se nel prossimo futuro si fosse costretti ad un’azione di dubbia legalità che oggi le circostanze non consentono.

Per l’Iran e per l’Egitto Matthews si è mostrato insoddisfattissimo, ma fiducioso che il tempo convinca l’uno e l’altro paese dell’errore in cui è caduto. Mossadeq vuole dagli Stati Uniti un premio di 120 milioni di dollari per aver espropriati gli impianti anglo-persiani. Non l’avrà. L’Egitto che intende violare un accordo con gli inglesi, rifiuta un compromesso internazionale che è di universale interesse. Aspettando che le cose maturino, senza mollare, si arriverà forse ad una soluzione accettabile dei due problemi.

Per l’esercito europeo Matthews conviene che si debba preparare subito tutte le forze organizzabili sulla base delle divisioni nazionali; si perfezioneranno poi in esercito europeo quando le molte condizioni necessarie saranno maturate.

Mi ha confermato che Eisenhower pensa che l’esercito europeo unificato è la sola soluzione possibile per giungere in seguito all’unione e ad una efficiente difesa europea.

Mi ha domandato se pensavo che Churchill sarebbe rimasto, ora che è al potere, un campione dell’Unione Europea.

Gli ho detto che la mia personale opinione era che Churchill, in realtà anche se non in apparenza, si sarebbe raffreddato. In ogni modo era mio parere che l’Unione Europea non potesse essere vitale, equilibrata e operante senza la compartecipazione dell’Inghilterra e legami molto stretti con l’America, sì da formare la forza centrale e preponderante nel mondo.

A proposito dell’eventuale sostituzione di Eisenhower e della conseguente perdita di prestigio del Supremo Comando, mi ha detto che in ogni modo un comandante americano di notevole influenza ci sarebbe sempre, perché gli Stati Uniti non pensano di ritirare per molto tempo le loro forze dall’Europa.

Gli ho parlato della dichiarazione odierna del generale Vandenberg (mio telegramma 1192)2 accennandogli alle indiscrezioni che sono trapelate in questi giorni sulla debolezza delle formazioni di bombardieri americani in Corea rispetto ai cacciatori di fabbricazione russa. Lo ho messo sull’avviso circa l’importanza politica e di propaganda avversaria di una simile informazione, che può spargere dovunque l’impressione che l’U.R.S.S. con la sua difesa aerea non ha più nulla o quasi da temere dall’aviazione da bombardamento americana, grande atout finora degli occidentali. Occorrerà reagire con statements persuasivi.

Mi ha risposto che si rendeva conto del pericolo. Però la situazione non era così nera. I B36 non sono stati adoperati in Corea, ove solo i B29 hanno subito perdite nei voli diurni. I nuovi bombardieri a reazione sono tali da non temere le difficoltà ora incontrate dai B29.

Gli ho in ogni modo ribadita l’idea che una leggenda che corra in questo momento sull’impotenza offensiva dell’aviazione americana può avere grosse conseguenze sull’opinione delle masse in Europa occidentale. Ne ha convenuto.

Abbiamo quindi parlato di Churchill e del possibile incontro a quattro.

Secondo Matthews, Churchill, anche per ragioni di politica interna, potrà andare a Mosca. È convinto di poter molto col suo fascino e la sua abilità personale. Naturalmente parlerà per suo conto. Matthews ha quindi aggiunto: «Potrà portare dopo negli Stati Uniti impressioni che non coincidono con quelle nostre. In tal caso non mancheremo di dirglielo. Non crediamo che il pericolo sia troppo grosso. Non intendiamo andare ad un convegno a quattro e tanto più che Stalin per nessuna ragione uscirà dai limiti dell’U.R.S.S., satelliti, o Germania orientale. Per ora non abbiamo nessuna istruzione di comprare biglietti di viaggio al presidente, la cui posizione è nota. Non sappiamo nulla del programma economico-finanziario che Churchill porterà qui quando verrà e sarà finalmente orientato sulla reale situazione britannica. In ogni modo è chiaro che non intendiamo sacrificare gli interessi e il diritto alla difesa delle altre nazioni. Il problema britannico sarà studiato da questo punto di vista».


227 1 Vedi D. 119.


227 2 Del 15 novembre, con il quale Tarchiani aveva comunicato: «Associated Press riferisce generale Vandenberg di ritorno viaggio ispezione Corea dichiarato ad Honolulu aviatori americani essere abbastanza bene preparati per quanto riferiscesi controllo cieli Corea ma situazione potrebbe divenire seria».

228

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI, A PARIGI

T. 10585/543. Roma, 16 novembre 1951, ore 15.

Suo 7471.

Governi latino-americani sono stati interessati urgentemente secondo sua proposta2. Quanto a Stati arabo-asiatici, data recente esperienza in tema revisione trattato e visto che ministri affari esteri Egitto Israele Pakistan ed altri trovansi attualmente Parigi penserei che più proficua azione possa svolgersi costì. Prego telegrafare3.


228 1 Vedi D. 224.


228 2 Vedi D. 225.


228 3 Guidotti rispose (T. segreto 14762/771 del 19 novembre): «I delegati dell’Iraq e dell’Egitto mi assicurano che voteranno in favore del progetto della risoluzione francese. Proseguo nei contatti».

229

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14525/260. Londra, 16 novembre 1951, ore 4(perv. ore 8).

Sostituto inglese informato Consiglio sostituti che questo ambasciatore Grecia fatto qui passo chiedendo formalmente che Grecia venga invitata partecipare quale osservatore a Consiglio atlantico Roma e che Governo britannico è da parte sua favorevole. Ha aggiunto ritenere che analogo passo fatto anche presso altri Governi N.A.T.O. Spofford chiesto allora sostituti se potessero indicare posizione rispettivi Governi in relazione detto invito a Grecia e Turchia.

Sostituti canadese e francese dato senz’altro formale assenso.

Da parte mia ho detto che anticipavo accordo Governo italiano che informavo. Analoga posizione è stata presa da sostituto belga. Spofford dichiarato non avere istruzioni Washington ma che risultavagli che Dipartimento di Stato pensava che ambasciatori Grecia e Turchia Roma avrebbero potuto essere invitati a seduta inaugurale: avrebbe quindi chiesto istruzioni in relazione attuale richiesta greca.

Avendo fatto presente che mi sembrava opportuno che intanto fosse discusso in quale modo invito avrebbe potuto essere formulato, sostituti, con eccezione danese, islandese, lussemburghese, norvegese e portoghese si sono espressi, convenuto che, qualora generale consenso di principio avesse potuto essere raggiunto, Grecia e Turchia avrebbero dovuto essere invitate ad inviare «un osservatore a riunioni plenarie del Consiglio». Con tale formula intendesi restringere a un solo osservatore partecipazione Grecia e Turchia ed escludendone presenza in eventuali comitati di ministri1.


229 1 Facendo seguito al presente telegramma, lo stesso 16 novembre Straneo comunicava: «Pearson ha telegrafato a ministri esteri greco e turco che, in attesa ratifica protocollo da parte vari Stati per accessione Grecia e Turchia al N.A.T.O., li invitava ad inviare un rappresentante del loro Governo come osservatore alle sedute plenarie del Consiglio atlantico Roma» (T. segreto 14771/265).

230

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 14534-14535/756-757. Parigi, 16 novembre 1951, ore 10(perv. ore 12,10).

Trasmetto testo progetto risoluzione che Francia sottoporrà a Quarta Commissione: «Assemblea, vista risoluzione 310 (ottava Consiglio tutela concernente posizione Italia); notando che ad Italia è stata affidata da Nazioni Unite Amministrazione fiduciaria Somalia e che essa ha verso Nazioni Unite la responsabilità propria potenza amministrante, quali zone definite ai capitoli dodici e tredici Statuto; considerando che Italia deve essere posta in grado esercitare tali responsabilità con piena efficacia; ritenendo necessario a tal fine che Italia divenga membro Consiglio tutela e quindi che sia ammessa nelle Nazioni Unite; raccomanda a Consiglio sicurezza di esaminare d’urgenza la presente risoluzione al fine raccomandare immediata ammissione Italia nelle Nazioni Unite».

Con telegramma 7561 trasmetto progetto risoluzione, sottoposto oggi, che Francia, a nome anche Stati Uniti e Inghilterra, presenterà in Quarta Commissione. In sé esso non preclude, come già riferito, possibilità di sviluppi ulteriori dopo inevitabile veto russo, anche se in colloqui odierni con ambasciatore Quaroni tanto Schuman quanto Acheson hanno escluso possibilità azione di forza. Anche con riferimento a considerazioni espresse pagine 4 e 5 mia lettera n. 7 del 3 novembre al segretario generale2 sarei del parere di non opporci a che azione venga così impostata inizialmente con riserva di ulteriori consultazioni nelle fasi successive del procedimento; ciò anche in riferimento ad eventuali sviluppi azione indipendente dei latino-americani. Nostra risposta dovrà essere data entro lunedì3.


230 1 La prima parte del presente documento.


230 2 Non rinvenuto.


230 3 Per la risposta vedi D. 235.

231

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14597/1198. Washington, 16 novembre 1951, ore 15,16(perv. ore 7,30 del 17).

Mio 11881.

Dipartimento, d’accordo ambasciate Gran Bretagna Francia, ha approvato nostro ultimo testo2 con seguenti modifiche: Quinto paragrafo. Sostituire da «contribute» a «nations» con «contribute fully to the peaceful development of international relations on a basis of equality with other nations».

Sesto paragrafo. Sostituire «Somaliland» con «a trust territory». Tale seconda modifica è dettata, secondo Dipartimento, da motivi di armonia nella forma, perché tutta la frase è redatta in termini generici.

Modifiche anzidette non costituiscono vere e proprie richieste bensì suggerimenti a Governo italiano che resta libero accoglierli o no.

Dipartimento resta in attesa conoscere decisione italiana in proposito nonché data consegna Nota. Inoltre, per comunicazioni alla stampa qui, gradirebbe conoscere quando testo potrà essere pubblicato.

Apparirebbe pertanto opportuno che Governo italiano, seguendo prassi applicata a casi analoghi da Stati Uniti, stabilisse con congruo anticipo giorno e ora della pubblicazione ed impartisse tempestive istruzioni ad ambasciate interessate affinché comunicazione potesse essere effettuata poco prima della pubblicazione.

Per controllo, invio con corriere aereo domattina testo finale proposto da tre Governi3.


231 1 Del 13 novembre, con il quale Tarchiani aveva comunicato: «Dipartimento concorda su nuove rettifiche testo. Ambasciata Francia ricevuto da Parigi approvazione di massima e ne attende conferma».


231 2 Vedi D. 200.


231 3 Per la risposta vedi D. 236.

232

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segretissimo 14598/1199. Washington, 16 novembre 1951, ore 20,50(perv. ore 7,30 del 17).

Suo 5711.

Ho esposto confidenzialmente a Mc Ghee idee di cui a comunicazione di V.E.

Mc Ghee mi ha fatto presente:

1) ammissione Egitto Patto atlantico (dato e non concesso che fosse desiderata da Egitto) aumenterebbe fermento paesi arabi solleverebbe candidatura Israele e susciterebbe in Gran Bretagna e paesi nordici reazioni assai [più] forti di quelle lentamente e faticosamente superate per Grecia e Turchia;

2) impiego forze americane sul Canale sarebbe difficile perché Stati Uniti, oltre a non voler dare l’impressione di cercare sostituire Gran Bretagna, non avrebbero attualmente forze disponibili.

Mc Ghee ha aggiunto però che idea spostare parte se non tutte truppe una parte da Canale verso Gaza Sinai gli appare meritevole di attento studio.

Egli parlerà confidenzialmente con inglesi e mi terrà informato. Frattanto si dichiara grato al Governo italiano per suoi sforzi che sono certamente utili alla ricerca di una soluzione anche se incontrano difficoltà aumentate forse insormontabilmente.


232 1 Del 16 novembre, con il quale De Gasperi dava istruzioni a Tarchiani di consultare in via riservata il Dipartimento di Stato su quanto oggetto dell’appunto di Marras (vedi D. 209, Allegato). Qualora l’ipotesi in esso delineata fosse stata valutata positivamente, De Gasperi ne avrebbe intrattenuto Eden in occasione della sua prossima venuta a Roma per l’VIII sessione del Consiglio atlantico.

233

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

Telespr. 17738/c.1. Roma, 16 novembre 1951.

A seguito delle comunicazioni pervenute dalla nostra legazione a Karachi e riportate nel telespresso n. 1924 del 7 novembre u.s.2, si acclude copia del telespresso di quella rappresentanza in data 8 corrente3.

In relazione alle critiche rivolte dal Pakistan agli occidentali, riferite dal nostro ministro a Karachi, sembra superfluo suggerire che cotesta ambasciata – nel compiere il richiesto intervento presso Zafrullah Khan – tenga presente e spieghi la nostra particolare posizione nei riguardi del mondo musulmano.

Se anche si vuol parlare di una politica occidentale verso i popoli dell’Oriente, è pur giusto si riconosca che noi, in seno al nostro stesso mondo occidentale, ci siamo assunti il compito di sostenere presso i Governi dei paesi amici l’opportunità di dare il giusto valore alle aspirazioni e ai sentimenti dei popoli musulmani, nonché di cercare di ottenere che essi partecipino su di un piano di assoluta parità e di collaborazione fiduciosa alla difesa dei comuni interessi.

Voglia pure codesta ambasciata informare Zafrullah Khan dell’adesione data da un altro paese musulmano, l’Iraq, alla Dichiarazione di Washington.

La considerazione fatta dal nostro ministro a Karachi che il Pakistan non è firmatario del trattato potrebbe forse indurre a pensare, in via subordinata, ad una diversa soluzione; il Governo italiano potrebbe cioè astenersi dall’inviare a quel Governo la Nota contenente la richiesta di revisione. Ciò tuttavia, se da una parte ci eviterebbe un rifiuto di accedere alla revisione, non avrebbe dall’altra alcuna utilità pratica in quanto i paesi che «aderirono» al trattato sono considerati «come potenza associata per l’applicazione del presente trattato».


233 1 Inviato per conoscenza anche alle ambasciate a Londra e New Delhi e alla legazione a Karachi.


233 2 Non pubblicato.


233 3 Telespr. riservato 3625/646, con il quale Formentini aveva riferito circa la conversazione avuta con il segretario generale agli esteri Baig per sollecitare un’adesione del Pakistan alla Dichiarazione tripartita di Washington.

234

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. 22/28551. Roma, 16 novembre 1951.

Riferimento: Seguito telespr. 22/02543 del 13 ottobre u.s.2.

Dopo la presentazione del rapporto interinale del 24 luglio e una lunga interruzione estiva, da circa due mesi la Conferenza per la comunità europea della difesa ha ripreso i suoi lavori.

Gli aspetti più salienti di questa nuova fase della Conferenza sono stati:

a) un sempre maggiore interessamento americano, in favore dell’esercitoeuropeo;

b) una più stretta partecipazione del Governo inglese alla Conferenza di Parigi, in qualità di osservatore;

c) la decisione del Governo olandese di prendere parte in pieno alla Conferenza, trasformando la sua posizione di osservatore in quella di partecipante;

d) la presentazione del nostro Memorandum (telespresso succitato).

I lavori della Conferenza hanno ulteriormente approfondito l’esame dei tre gruppi di problemi: militari, istituzionali e finanziari.

Questioni militari. Si è giunti ad un accordo sul livello dell’integrazione: «gruppo di fanteria» o «gruppo corazzato», nazionali, con effettivi da 12.500 a 14.500 uomini; inserzione di essi in corpi d’armata internazionali, che provvedono al comando e ai servizi logistici e tattici. Tutte le truppe nazionali sono incluse nella Comunità europea della difesa salvo quelle assegnate alla difesa dei territori oltremare, i rincalzi delle stesse, le forze di polizia e le forze usate per missioni internazionali collettive (O.N.U.).

È stato inoltre raggiunto un accordo circa il contributo in truppe. Ammesso in via di massima il principio della parità per i tre maggiori paesi, le cifre effettive dei contributi sono state previste come segue: Italia e Germania 12 gruppi ciascuno, Francia 14, Belgio e Lussemburgo 3, Olanda probabilmente 3. Il timing dell’apprestamento dei «gruppi» tedeschi è ancora in discussione. Da parte tedesca si è assicurato di poter disporre dei primi 60 mila volontari sei mesi dopo la ratifica del trattato; il resto a tappe progressive per giungere entro il 1954 ad avere i 12 gruppi previsti.

Per la retribuzione alle truppe è stato accolto il principio della uniformità della paga per i militari. Mentre la delegazione italiana insiste sul principio della parità anche per gli ufficiali e i sottufficiali, da parte francese e tedesca si vorrebbe invece applicare loro il trattamento del paese di destinazione.

Questioni istituzionali. La nostra proposta di istituire un’assemblea direttamente eletta dai popoli dei paesi membri ha incontrato notevoli difficoltà: riserve sono state avanzate dalle delegazioni dei paesi del Benelux, quella francese ha dato un consenso di massima con riserve sulle possibilità pratiche, quella tedesca ha appoggiato blandamente.

In buona sostanza, constatato che tale misura costituirebbe un passo decisivo verso la federazione europea, si è riconosciuto che una decisione di tale portata non poteva essere presa negli stretti limiti della Conferenza. Si è tuttavia concordato che l’assemblea prevista dal rapporto interinale abbia come suo compito anche quello di studiare in quali condizioni l’Assemblea «diretta» potrà essere costituita e quali poteri essa avrà. Le relative proposte dovrebbero a suo tempo essere sottoposte ai Governi ed una speciale conferenza verrebbe convocata per tradurre in trattato questo ulteriore passo verso la federazione europea.

Questioni finanziarie. L’Italia aveva proposto una diretta relazione fra Comunità e cittadini mediante un’imposta europea: malgrado le opposizioni incontrate, si è ottenuto che siano demandati all’Assemblea gli studi per tale proposta.

È indubbio che il problema finanziario potrà essere pienamente risolto solo quando esisterà un’Assemblea federale con potere di stabilire il bilancio, tenendo conto e delle necessità del riarmo e delle possibilità contributive dei paesi, e di fissare, in maniera definitiva ed esecutiva, sia pure secondo criteri predeterminati, i vari contributi. Finché non esisterà tale autorità il sistema proposto dal progetto interinale presenta gli inconvenienti rilevati dal Memorandum: il bilancio verrebbe preparato da un organo, il commissario, cui in gran parte mancherebbe una visione integrata (cioè anche politica ed economica) della materia e la effettiva realizzazione del bilancio rimarrebbe alla mercé dei Parlamenti nazionali, i quali dovrebbero poi votare ogni anno dei contributi ingentissimi.

Comunque non si è ancora abbordato, né sembra che in sede di conferenza sia possibile farlo, il problema più grave di tutti: come stabilire un criterio per fissare la quota parte di ogni Stato alle spese della Comunità. Nessuno vuole accettare criteri automatici, per non legarsi a priori a contributi che potrebbero essere elevatissimi e perché nessuno sa che cosa farebbe di anno in anno il proprio Parlamento. D’altra parte il lasciare a trattative annuali la fissazione del contributo finanziario rischierebbe, evidentemente, di dare alla costituzione e funzionamento dell’esercito europeo uno sviluppo «a singhiozzo».

Se questa fase ha dunque fatto avanzare i lavori, essa ha fatto risaltare ancora di più le difficoltà insite nel rimanere a metà strada fra la coalizione e la federazione.

Le differenze di opinioni sono tuttora notevoli per quanto riguarda il primo periodo (transitorio). Si ha però l’impressione che, se le idee per l’organizzazione definitiva si concretassero nel senso suaccennato, ciò non mancherebbe di influenzare anche il modo di considerare i problemi immediati e di porre la base per una loro soluzione funzionale.

In questi ultimi giorni il rappresentante belga ha fatto presenti le vive perplessità del suo Governo ad incamminarsi su una via che conduce alla federazione europea (v. telespresso 22/02802 dell’11 novembre corr.)3: dalla discussione del Comitato di direzione è emersa la necessità di discutere gli indirizzi generali della Comunità europea della difesa (decisione dell’alternativa: federazione o coalizione). È stata perciò convocata una riunione dei ministri degli esteri che ha luogo in questi giorni4.


234 1 Diretto anche alle ambasciate a Bonn e Bruxelles, alle legazioni a L’Aja e Lussemburgo, alla rappresentanza presso il Consiglio atlantico e, per conoscenza, alla delegazione alla Conferenza per la C.E.D.


234 2 Vedi D. 135, nota 2.


234 3 Non pubblicato.


234 4 Vedi D. 237.

235

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI, A PARIGI

T. 10638/547. Roma, 17 novembre 1951, ore 15,30.

Suoi 756-7571.

Sta bene testo progetto risoluzione. Tenga presente che ai fini qualsiasi azione successiva immediata o futura, anche se attualmente non ancora chiaramente definita, appare necessario che votazione su risoluzione raccolga più larga possibile maggioranza.

A opposizione blocco sovietico ed imponderabile atteggiamento Etiopia e Jugoslavia aggiungasi considerazione esperienza recentissima avuta in materia revisione trattato con taluni paesi arabo-asiatici, di cui ambasciatore Quaroni è informato, nonché possibile «assenza» alcuni latino-americani al momento votazione. Questo Ministero è intervenuto e interviene presso tutti i Governi in tale senso. Tuttavia, come indicato anche in telegramma 5432, molti ministri esteri trovansi costì e in loro assenza, specie Governi piccoli paesi, si rimettono a decisione loro delegazioni Parigi.


235 1 Vedi D. 230.


235 2 Vedi D. 228.

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 10645/573. Roma, 17 novembre 1951, ore 22.

Suo 11981.

Sta bene. Come già telegrafatole2 è necessario per ora evitare pubblicità circa presentazione Nota. Ciò sia perché sta per iniziarsi O.N.U. dibattito relativo nostra ammissione, sia perché molti Governi, specie più lontani, non potranno ricevere testo né contemporaneamente, né rapidamente. Converrà quindi rendere pubblica notizia quando maggioranza paesi firmatari avrà risposto favorevolmente. Anche a tal fine presenteremo nota a Governi che notoriamente non (dico non) la accetteranno, dopo averla inviata agli altri3.


236 1 Vedi D. 231.


236 2 Con il T. segreto 10607/572 del 16 novembre, non pubblicato.


236 3 Per la risposta vedi D. 243.

237

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14616/762. Parigi, 17 novembre 1951, ore 10,45 (perv. ore 13,30).

Oggi, in riunione riservata sono stati esaminati dai capi delegazione i risultati della riunione dei ministri di ieri su cui V.E. verrà informato oralmente dall’on. Taviani.

Alphand ha rilevato che, se su punti minori le divergenze di vedute manifestate dai ministri possono trovare una formula di compromesso, questo sembrava impossibile per divergenze maggiori (programma armamenti, bilancio comune, autorità commissario).

I delegati olandese e belga hanno affermato che a loro avviso le loro obiezioni non costituiscono divergenze insanabili né contrastanti con il carattere sopranazionale della organizzazione.

Blank ha preso posizione con estremo vigore, in favore dei noti schemi previsti nel rapporto interinale, ammonendo che la Germania, già pronta a riarmarsi nel quadro occidentale, più in là potrebbe essere distolta per preoccupazioni unitarie.

Per mio conto, ho nuovamente rilevato che il Governo italiano è disposto alle massime forme d’integrazione purché attuate in quadro federale; però, in conformità a quanto ieri è stato fatto presente dall’on. Taviani nella riunione dei ministri, ho aggiunto che in attesa della realizzazione della Confederazione si ritiene necessario che venga essenzialmente mantenuto il controllo parlamentare nazionale, derivandone la necessità di limitare il bilancio europeo alle spese comuni per i comandi integrati.

Ho osservato infine che quello del bilancio è appunto problema basilare, sia perché è l’unico che ci divide dai tedeschi e francesi, sia perché, una volta questo risolto, tutti gli altri saranno facilitati; ho proposto quindi che avendo comunicato la delegazione olandese di stare elaborando un progetto finanziario comportante distinzione fra bilancio europeo e bilanci nazionali, anzitutto si esaminasse questo progetto dopo di che si potrebbe passare ad altri problemi, e così è stato deciso.

Alphand ha ricordato, tuttavia, che da parte sua in nessun caso potrebbe accettare una formula che fosse apparenza e non sostanza.

Fino al 4 dicembre le riunioni del Comitato direzione sono sospese.

238

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14654/286. Mosca, 17 novembre 1951, ore 18,45(perv. ore 21,30).

Nuovo intervento e le nuove proposte di Vyshinsky a Parigi appare di qui più una modificazione di tono che una modificazione di sostanza. Sembra evidente che Vyshinsky era andato un po’ oltre con l’insolenza delle sue prime dichiarazioni ed ha avuto istruzioni di moderarle. Ma la sostanza delle sue proposte non si distacca notevolmente dalla solita ben nota linea sovietica. Formalmente la nuova proposta è presentata non come una modifica, ma come uno sviluppo della prima, non vi è cioè rinunzia espressa ai due primi punti sul Patto atlantico e sulla Corea. Inoltre Vyshinsky insiste sulle medesime basi che non possono offrire evidentemente alcun terreno d’intesa.

Infine il contenuto delle proposte sul disarmo continua ad eludere il punto fondamentale del previo accertamento e controllo degli effettivi armamenti dei singoli Stati. Il controllo è concepito dai sovietici soltanto come mezzo formale di verificare le informazioni ufficiali date dagli stessi Stati interessati. Su tale punto è da ritenere che essi non defletteranno. Come spiegazione dell’atteggiamento di Vyshinsky presenta un certo interesse una conferenza di propaganda tenuta ieri sera dal noto giornalista Leontiev.

Egli fu moderato di tono e cercò di prospettare le stesse precedenti proposte di Vyshinsky come positiva base di discussioni. Ciò conferma che vi è un ordine generale di moderare il tono. Sul controllo tuttavia Leontiev fu esplicito e dichiarò che con le loro proposte gli americani vorrebbero assicurarsi un comodo servizio informazioni nell’U.R.S.S. I sovietici non si presteranno, aggiunto Leontiev, perché l’U.R.S.S. sa che uno degli elementi della sua potenza sta nel segreto sulla quantità e sulla localizzazione delle sue forze. Questa esplicita dichiarazione mi sembra significativa per chiarire la vera portata e limiti della maggiore moderazione di Vyshinsky la quale non mi pare per ora accompagnata da alcuna reale volontà di presentare proposte nuove ed accettabili. Si tratta pur sempre di impressionare favorevolmente l’opinione pubblica.

239

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 14665/287. Mosca, 17 novembre 1951, ore 23,16(perv. ore 23,30).

Gromyko ha convocato oggi rappresentanti americano inglese e francese per consegnare loro una nota di protesta1 riguardante Trieste che con tutta probabilità verrà pubblicata. La nota prende lo spunto da dichiarazioni di rappresentanti ufficiali delle potenze occidentali a proposito di una prossima ripartizione del Territorio Libero. Essa rifà la storia del trattato di pace e infinite violazioni del medesimo da parte potenze occidentali per quanto concerne la messa in vigore del Territorio Libero e la nomina del governatore, ripetendo le solite lagnanze già note. Nella conclusione prendendo lo spunto da una dichiarazione presidente De Gasperi del 5 ottobre circa una possibile soluzione della questione triestina in funzione della difesa dell’Occidente la nota accusa gli Alleati volere fare di Trieste una base militare aggressiva del Patto atlantico. Infine essa richiama nuovamente le responsabilità occidentali per la violazione del trattato ed insiste affinché il Consiglio di sicurezza riprenda la questione e provveda immediatamente alla nomina del governatore. Mi riservo riferire in seguito limitandomi per ora osservare che la nota rientra evidentemente nel quadro delle molteplici offensive diplomatiche sovietiche recenti contro la politica di accerchiamento aggressivo attribuito alle potenze occidentali2.


239 1 Del 17 novembre, edita in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 47, p. 902.


239 2 Per la reazione italiana vedi D. 241, nota 2.

240

IL MINISTRO A BAGHDAD, ZAMBONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 14682/24. Baghdad, 18 novembre 1951, ore 13,40(perv. ore 15,30).

Questo ministro affari esteri conferma desiderio e ferma intenzione accogliere richiesta revisione del trattato, insiste non sia data pubblicazione a dichiarazione fatta sottolinea che attuale situazione difficile Governo irakeno consiglia anche nella normalità di non prendere pubblicamente iniziative nessun genere.

Consigliere legale questo Ministero affari esteri esclude secondo la costituzione Irak si possa trovare la forma che eviti sottoporre Parlamento approvazione modifica trattato.

241

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14742/1204. Washington, 19 novembre 1951, ore 13,05(perv. ore 21,30).

Mio 12031.

Circa nota russa su sorte Trieste Dipartimento diramerà oggi ore 12 a.m. ora Washington dichiarazione che riassumo: accuse sovietiche circa violazione clausole trattato pace italiano relative Trieste sono infondate oggi come in aprile 1950. È evidente sia da rapporti amministrazione angloamericana a Consiglio sicurezza sia da osservazione diretta essere «sciocco» accusare Alleati soppressione diritti umani e libertà. Responsabilità per evidente impossibilità applicazione clausole trattato pace circa Trieste imputabile condotta Governo sovietico. Come è noto a Governo sovietico, Governo Stati Uniti, nel diretto interesse popoli italiano e jugoslavo, favorisce da tempo costruttiva soluzione questione ad opera due parti in causa. Attuale ripetizione infondati argomenti sotto maschera preoccupazione legalità dimostra Governo sovietico, con obiettivi del tutto opposti a quelli Governo americano, sta tentando sabotare ogni sforzo per raggiungere soluzione questione Trieste che contribuirebbe pace e stabilità europea2.


241 1 Del 18 novembre, con il quale Tarchiani aveva comunicato le prime impressioni del Dipartimento di Stato sulla nota sovietica su Trieste.


241 2 Con il T. 11792/581 del 22 novembre Zoppi rispose: «Punto di vista italiano circa nota sovietica su Trieste è stato espresso a mezzo commento Agenzia Italia 19 corrente del seguente tenore: “Ambienti politici romani ritengono che nota sovietica su Trieste sia soprattutto ispirata dai seguenti motivi: a) intenzione sviare attenzione Nazioni Unite da impressione negativa suscitata dagli interventi di Vyshinsky chiaramente sabotatori di ogni piano disarmo e pace; b) parallelamente tentare ostacolare ogni tentativo Occidente per addivenire trattato pace con Austria; c) tentare intorbidare acque tra Roma e Belgrado, in un momento in cui, per lo meno nelle alte sfere, si cerca determinare distensione tra due paesi. Scopo sovietico non è solo limitato al problema Territorio Libero Trieste, ma s’inquadra in una azione propagandistica più ampia. Si ricorda a tale proposito che in questi ultimi tempi Mosca ha inviato note protesta e intimidazione altri paesi comunità atlantica, come Norvegia, Francia, Turchia”».

242

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 14774/558. Londra, 19 novembre 1951, ore 20,14(perv. ore 7 del 20).

Eden oggi in suo primo discorso quale ministro degli affari esteri a Camera dei Comuni ha detto a proposito Italia quanto segue: «Sono molto lieto che riunione Patto atlantico offrami occasione prossima settimana scambio vedute con presidente De Gasperi. Noi, in questo Parlamento e nel paese, siamo particolarmente spiacenti che l’Italia sia ancora esclusa da Nazioni Unite quando sotto ogni punto di vista essa merita esserne membro. Continueremo a fare tutto il possibile per suo ingresso O.N.U.».

Parole Eden sono state accolte con ampi consensi grande maggioranza deputati. A interruzione qualche membro sinistra laburista a favore contemporanea annessione paesi oltre cortina, Eden ha risposto che caso Italia era cosa completamente diversa; essere favorevole in principio allargamento partecipazione O.N.U. altri paesi europei, ma essere contrario mercanteggiamento. Quanto ammissione Cina sollevata da deputato bevanista ha dichiarato preferire non parlarne per il momento.

Morrison rispondendo per opposizione si è associato a dichiarazioni segretario di Stato per gli affari esteri circa l’Italia.

243

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14778/1207. Washington, 19 novembre 1951, ore 19,40(perv. ore 7 del 20).

Suo 5731.

Ho intrattenuto Dipartimento cui presentazione Nota in tempi diversi non(dico non) appare possibile, non potendosi garantire che non vi saranno indiscrezioni per le quali alcuni paesi riceverebbero documento dopo averne appreso contenuto da altra fonte e sapendo che altri lo hanno ricevuto ufficialmente prima di essi. Mi è stato anche obiettato che presentazione contemporanea non seguitaimmediatamente da pubblicazione ufficiale italiana provocherebbe certamente pubblicazione da parte U.R.S.S. o satelliti. In entrambi casi Dipartimento sarebbe imbarazzato rispondere domande che continuamente riceve su prevista Nota italiana.

Non resterebbe quindi altra soluzione che sospendere del tutto presentazione Nota, in attesa risultato discussione O.N.U. Peraltro Dipartimento non (dico non) ritiene che Nota possa danneggiare svolgimento discussione e suggerisce che in proposito Governo italiano consulti delegazioni americana, britannica, francese Parigi. Debbo francamente aggiungere che Dipartimento stenta comprendere nostre esitazioni.

Procedura per revisione trattato fu qui stabilita d’intesa con V.E., restando soltanto da concordare testo della Nota. È stato poi accettato nostro testo, compresi ripetuti emendamenti, sopratutto allo scopo da noi dichiarato di rendere pubblicazione più accettabile opinione pubblica. Pronta presentazione e pubblicazione Nota sembrerebbe dover apparire come passo conclusivo (del resto già annunciato) verso revisione insistentemente chiesta da Governo e popolo italiano. Opposizione sovietica già scontata, sembrerebbe dover danneggiare anziché favorire propaganda comunista. Rinvio pubblicazione a quando altri paesi avranno risposto favorevolmente sembrerebbe dover apparire superfluo, poiché tre maggiori potenze hanno già formulato solenne dichiarazione che quasi tutte altre hanno qui pubblicamente approvato.

Esitazioni non possono pertanto non pregiudicare benefici effetti azione da tempo intrapresa da Governo italiano e finalmente condotta a buon fine2.


243 1 Vedi D. 236.


243 2 Con il T. segreto 11767/579 del 21 novembre De Gasperi comunicò: «Spediamo immediatamente a nostre rappresentanze in paesi interessati Nota con istruzioni che venga presentata giorno 12 dicembre. A quella data potrà quindi essere effettuata pubblicazione purché la notizia possa essere tenuta segreta costì. Prego infatti V.E. rilevare indiscrezione U.P. odierna». Vedi D. 258.

244

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 20 novembre 1951.

L’ambasciatore di Francia è venuto a portarmi, a nome del Quai d’Orsay, il progetto adottato in una riunione tenuta a Parigi (presenti Quaroni e Guidotti) per la procedura da seguirsi nella questione della nostra ammissione all’O.N.U.1. Mi ha chiesto – sempre per incarico del suo Governo – se eravamo d’accordo. Gli ho detto che lo stesso testo era stato telegrafato da Guidotti che lo aveva pure sottoposto a S.E. Taviani a Parigi ed era stato da noi approvato2. Ho tuttavia aggiunto che non potevamo per parte nostra che formulare qualche riserva circa l’ultimo paragrafo del promemoria da lui recatomi (qui unito). Abbiamo infatti accettato il progetto in quanto esso non esclude la possibilità di ricorrere ad altre vie (da studiarsi) qualora si andasse incontro al nuovo probabile veto sovietico, pur senza pretendere che sia violata la «Carta»: l’affidamento a tale riguardo, contenuto nel promemoria, mi pareva un po’ fiacco.

Allegato

Promemoria.

1) La question relative à l’admission de l’Italie posée à la 4ème Commission de l’Assemblée Générale, impliquant comme elle le fait l’admission de l’Italie comme membre du Conseil de Tutelle, constitue une base sur laquelle la 4ème Commission de l’Assemblée peut demander au Conseil de Sécurité de se prononcer d’urgence sur la demande d’admission de l’Italie, en considérant son cas comme spécial.

2) Il est extrêmement vraisemblable qu’un nouvel examen de la demande italienne par le Conseil de Sécurité conduira à un veto au sein de ce dernier. Cette procédure donnera lieu à des déclarations en faveur de 1’Italie et à l’expression de sympathies pour sa juste prétention à devenir membre, mais il n’est pas probable qu’elle ait pour résultat la recommandation favorable nécessaire du Conseil de Sécurité.

3) Les représentants de l’Italie ont déclaré en dépit de ce fait, qu’aux yeux de leur Gouvernement, cette procédure étant la seule qui soit possible dans les circostances actuelles, elle sera utile si elle est entreprise dans l’intérêt de l’Italie par la France avec l’appui du Royaume-Uni et des Etats-Unis et, en conséquence, ils la recommandent aux trois Gouvernements. L’observateur italien fera connaître aux membres des Nations Unies amicalement disposés en faveur de l’Italie que son Gouvernement est favorable à cette procédure.

4) Il est entendu qu’un veto opposé par l’U.R.S.S. au sein du Conseil de Sécurité à la demande d’admission de l’Italie, n’engagera aucun des trois Gouvernements à considérer que, de ce fait, une base a été donnée à une action quelconque à entreprendre par l’Assemblée Général ou par le Conseil de Sécurité qui, à leur avis, constituerait une violation de la Charte. Cependant les trois Gouvernements sont prêts à discuter avec le Gouvernement italien toute méthode d’action qu’ils estimeraient compatible avec la procédure de la Charte et avec la politique nationale du Gouvernement intéressé.


244 1 Vedi D. 230.


244 2 Vedi D. 235.

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. s.n.d. 11774/248. Roma, 21 novembre 1951, ore 17.

Le seguenti notizie sono state riportate da Belgrado da parte dell’Associated Press: «Secondo nuovi indizi che è stato possibile raccogliere a Belgrado si può ritenere che Jugoslavia e Italia si preparino a ripartirsi fra loro, in un futuro prossimo, il Territorio Libero di Trieste, malgrado le obiezioni sovietiche. Fonti autorevoli jugoslave hanno infatti lasciato intendere che mediante trattative dirette fra i due paesi entro poche settimane dovrebbe essere concordata nei particolari la spartizione del Territorio».

Le lamentate indiscrezioni continuano dunque costì1. Esse, mentre turbano pubblica opinione, rendono possibilità intesa più difficile e indirettamente favoriscono propaganda per tesi Cominform.

È lecito supporre, da persistenza tali indiscrezioni, che Governo jugoslavo non sia realmente intenzionato raggiungere intesa e adoperi tale metodo per renderla impossibile. Potremmo in tali condizioni vederci obbligati rinunciare noti sondaggi.

V.E. è pregata intrattenerne nel modo più franco codesto Governo al quale difettano certo i mezzi per evitare indiscrezioni deplorate.


245 1 Vedi D. 206.

246

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14927/559. Londra, 21 novembre 1951, ore 21,26(perv. ore 8,30 del 22).

In conversazione circa recente nota sovietica su Trieste1 (di cui è sinora pervenuto al Foreign Office solo riassunto telegrafico) sottosegretario Mason ha dichiarato ritenere che Governo britannico non si affretterà a rispondere; questione formerà comunque oggetto consultazioni con francesi e americani.

Quanto a motivo ispiratore documento Mason, ricordando anche precedenti prese di posizione sovietiche su Trieste, pensa trattarsi non soltanto di una di quelle consuete mosse intese creare difficoltà in campo occidentale, ma di ulteriore esempio (dopo note circa revisione nostro trattato pace ed ingresso Turchia Patto atlantico) nuova tecnica diplomatica sovietica mirante marcare preventivamente propria posizione su problemi che stanno avviandosi a soluzione, e ciò a prescindere da possibili effetti pratici.

Tale tendenza sovietica, secondo Mason, verrebbe manifestandosi dopo ultima Conferenza San Francisco per trattato pace giapponese dove azione diplomazia russa si era rilevata tardiva ed inefficace.


246 1 Vedi D. 239.

247

IL CAPO DELL’UFFICIO III DEGLI AFFARI POLITICI, TALLARIGO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Roma, 21 novembre 1951.

Sembra che sia oramai difficile rinviare la visita del ministro degli esteri israeliano all’on. presidente del Consiglio1.

Mentre pertanto si suggerisce di dare a tale visita un carattere il meno possibile ufficiale, si prospetta l’opportunità che si colga tale occasione per far sapere a questo ministro di Israele che, mentre il presidente riconferma il piacere che avrebbe di incontrarsi con Sharett, egli gradirebbe che, prima della visita, fosse avviata a soluzione la questione pendente con Israele dei beni italiani tuttora sotto sequestro.

Poiché l’iniziativa spetta ora a noi, che siamo in debito di una risposta alle proposte israeliane dello scorso marzo, si potrebbe proporre agli israeliani quanto segue:

- sblocco immediato da parte del Governo israeliano di tutti i beni italiani tuttora sotto sequestro;

- impegno da parte nostra di istituire subito una procedura atta ad esaminare i reclami israeliani, avanzati come contropartita al blocco dei beni italiani. Tale procedura si potrebbe concretare nella istituzione di una Commissione arbitrale (sullo schema delle «Commissioni di conciliazione» funzionanti ai sensi del trattato di pace, ma con altro nome) composta di uno o due membri italiani, uno o due membri israeliani e un membro neutro.

L’esame dei reclami israeliani lascia presupporre che solo una piccola percentuale di essi potrebbe resistere ad un esame della loro fondatezza da parte di una Commissione mista.

La questione dovrebbe naturalmente essere esaminata di concerto con il S.E.T.


247 1 Vedi D. 217.

248

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgente 14915/782-783. Parigi, 21 novembre 1951, ore 22,05(perv. ore 23,30).

Ho avuto oggi prima conversazione con Bebler. Secondo istruzioni ricevute, gli ho subito chiesto:

a) se da parte jugoslava si accettava principio linea etnica;

b) se era inteso che discussione linea etnica doveva applicarsi Zona B.

Risposta è stata lunga e essenzialmente negativa. Bebler dice in sostanza:

1) principio etnico ci sarebbe sfavorevole. Se applicato a Zona B non (dico non) darebbe mai una linea continua, centri italiani essendo scalati lungo la costa come «grani di un rosario». Ciò comporterebbe necessità creare tanti piccoli territori separati.

2) Se inteso invece in senso più largo principio dovrebbe dar luogo a compensazione etnica; e in questo caso sessantamila sloveni Zona A peserebbero molto più dei trentamila italiani Zona B.

3) Criterio jugoslavo è che si dovrebbe prendere come base accordo status quo territoriale «salvo leggere modifiche».

Ho ribattuto punto per punto sue affermazioni. Ho detto anche chiaramente che su queste basi era impossibile non solo raggiungere accordo ma anche iniziare trattative. Mie istruzioni si limitavano ad un sondaggio. Ma risposta negativa alle due domande avrebbe compromesso sviluppo conversazioni. Se da parte jugoslava c’era veramente volontà arrivare ad un accordo era necessario ingaggiare discussioni su impostazione etnica e non (dico non) su equivalenza etnica.

Discussione ha proseguito ancora a lungo. Tutto quello che posso dire è che Bebler si attende, o mostra di attendersi, che trattative proseguano. Massimo che ho potuto ottenere è che egli sarebbe disposto compiere con me analisi situazione etnica, tenendo come punto di partenza jugoslavo status quo, come punto di partenza italiano linea etnica continua tracciata sulla Zona B. Per parte mia non (dico non) ho parlato di città costiere, ho anzi indicato nettamente che Buje è inclusa zona che consideriamo etnicamente italiana.

Analisi numerica è naturalmente incapace di dare in sé alcun risultato, problema essendo politico e non statistico. Bebler se ne rende conto. Debbo perciò supporre che egli si riprometta di saggiare attraverso questa discussione limite massimo nostre concessioni; oppure che miri a guadagnare tempo per non dare agli americani impressione di atteggiamento assolutamente negativo. Implicitamente egli viene ad ammettere discussione linea etnica in Zona B, ma naturalmente la reclama anche per Zona A.

Se conversazioni debbono essere proseguite, ritengo indispensabile che io venga a Roma per ricevere personali dirette istruzioni da V.E.

Prego telegrafare1.


248 1 Vedi D. 268, nota 4.

249

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segretissimo 14948/785. Parigi, 22 novembre 1951, ore 16,20(perv. ore 17,40).

Seguito mio telegramma 7761.

Da parte francese viene confermata l’idea di rispondere con calma e solo verbalmente alla nota sovietica per Trieste.

In questa circostanza ci viene ufficialmente espressa la speranza francese che simile iniziativa russa non (dico non) abbia alcuna influenza negativa o ritardatrice sulle possibilità di intese dirette italo-jugoslave. Governo francese mi ha fatto conoscere suo desiderio essere tenuto al corrente (naturalmente nella forma più riservata) sull’andamento tali trattative. Mentre prego confermarmene opportunità – che mi pare logica e necessaria – e segnarmene eventuali limiti, faccio presente che in tale occasione francesi hanno molto confidenzialmente segnalato avere rilevato tendenza americana ritardare esecuzione revisione trattato di pace, in relazione progresso intese italo-jugoslave. Qui sperano appunto poterci essere di qualche utilità per smontare questa tendenza americani.


249 1 Del 21 novembre, con il quale Quaroni aveva comunicato le prime reazioni del Quai d’Orsay alla nota sovietica.

250

IL MINISTRO MALAGODIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 14967-14968/550-5511. Parigi, 22 novembre 1951, ore 22,15(perv. ore 23,45).

T.C.C. Mentre in questi giorni la nostra delegazione completa il proprio esame dei programmi economici e militari degli altri paesi, mi sono intrattenuto a lungo sull’andamento dei lavori con il supplente americano (Gordon), inglese (Poltl) francese (Hirsch) e con Marjolin.

Vaghe sono ancora le idee. Parlasi di «concentrare gli sforzi» al fine di ottenere nel corso dell’anno 1952 uno schieramento difensivo più efficace di quanto previsto sino ad ora nonché di inquadrare in un piano d’insieme lo sforzo successivo; ma fino a che non si avranno i risultati dei lavori di revisione dei tecnici militari del S.C.S. non si potrà affrontare concretamente e quantificare i problemi.

Ho fatto notare da parte mia che una notevole parte delle «deficienze europee» rispetto all’attuale piano dello Standing Group corrisponde a spese di esercizio ed addestramento in senso largo, le quali richiedono aiuti diversi dagli end items, ed ho ricordato che occorre anche tener presente il costo della difesa posteriormente all’anno 1954 nel valutare le diverse necessità europee del N.A.T.O. con piani a lungo respiro adeguati per risolverle.

Abbiamo convenuto che la prossima settimana riprenderemo contatti per l’esame degli elementi che allora saranno disponibili e procedere alle preliminari discussioni sulla redazione del rapporto.

Si prevede che T.C.C. a livello ministri si riunirà il 7 dicembre per iniziare una discussione collegiale possibilmente […]2 di parecchi giorni.

Le conversazioni avute hanno confermato che la presentazione dei problemi e dei programmi italiani al T.C.C. ha prodotto impressione notevole, specialmente su Monnet che meno degli altri li valutava e conosceva. Ne ho approfittato per ribadire i concetti svolti dal ministro Pella e quindi sulla necessità dell’Italia di sviluppare l’economia e sull’emigrazione.

Mi riferisco al mio telegramma 5503. Prevedo che S.C.S. presenterà le sue prime raccomandazioni verso il 28 e 29 corr.: queste conterranno la revisione del piano a medio termine, nonché dei singoli contributi nazionali. Conterranno altresì revisione dei criteri di equipaggiamento e dell’approntamento delle forze.

Sarei grato di prevenire dell’inchiesta Marras affinché possa predisporre per esame tempestivo di tale raccomandazione dal punto di vista organico e strategico. Brevissimo sarà il tempo disponibile.

Occorrerà, inoltre, quasi certamente, di poter disporre nuovamente a Parigi degli ufficiali che hanno proceduto alla valutazione economica finanziaria del nostro programma.


250 1 Diretto anche al ministro del bilancio Pella ed al sottosegretario al bilancio Zerbi.


250 2 Gruppi mancanti.


250 3 La prima parte del presente documento.

251

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 45/18202/193. Roma, 22 novembre 1951.

Ho ricevuto il rapporto di V.E. n. 11621 in data 30 ottobre scorso1 concernente le possibilità di revisione delle clausole economiche del trattato di pace.

Concordo con l’E.V. sulla convenienza di scegliere i punti sui quali concentrare i nostri sforzi, nel senso peraltro che convenga indicarli al più presto al Dipartimento di Stato rilevandone l’importanza, ma aggiungendo che non possiamo lasciar cadere tutto il resto.

Accetto anche il suo suggerimento di distinguere tra clausole di merito e clausole giurisdizionali.

Su queste ultime, come richiesto da V.E., le invio un breve studio che pregola di illustrare al Dipartimento di Stato sottolineando, in maniera del tutto particolare, l’esigenza politica dell’abolizione delle Commissioni di conciliazione.

Altra questione, di carattere procedurale, sulla quale dobbiamo attenderci ormai una rapida decisione, è quella della fissazione del termine perentorio per la presentazione delle domande in base all’art. 78, di cui da ultimo al telespresso n. 45/0480 dell’11 ottobre scorso2 che, con l’occasione, prego V.E. di riscontrare.

Lascio all’E.V. di giudicare se, nel riprendere contatto col Dipartimento di Stato, convenga che ella limiti in un primo tempo la conversazione alle clausole giurisdizionale e procedurali di cui sopra, riservandosi di discorrere dopo delle clausole economiche sostanziali oppure che ella indichi anche le nostre principali richieste sulle seconde, sulle quali le invierò al più presto alcuni nuovi appunti.

Circa la condizione per la revisione posta da codesto Governo di favorevoli disposizioni anche da parte dei Governi inglese e francese, prego V.E. di volermi innanzi tutto chiarire se, sia pure sotto la condizione anzidetta, tali favorevoli disposizioni sussistano già a Washington.

In caso affermativo, le faccio presente che mi sembra più pratico, prima di iniziare la nostra azione a Parigi e a Londra, di ottenere costà un’adesione di massima al principio della revisione delle clausole economiche e, possibilmente, un’adesione, anch’essa di massima, alla revisione di determinate clausole – principalmente Commissioni di conciliazione – in modo da avere una base per successivi nostri passi presso i Governi inglese e francese.

Allo scopo di giungere alle necessarie intese confidenziali con il Governo americano, prego V.E. di esprimere – insistendovi – il nostro desiderio di procedere alla disamina orale dei nostri punti di vista. Infatti mi sembra che è soltanto attraverso discussioni amichevoli che si possa da un lato ovviare al pericolo dell’insabbiamento della questione e giungere a un qualche risultato concreto a distanza non troppo grande dalla revisione delle clausole politico-militari e, dall’altro, illustrare meglio i vari aspetti della complessa materia e scorgere quelli sui quali si possa insistere e quelli che convenga tralasciare a seconda delle reazioni che si manifesteranno nel corso delle conversazioni: potremo così orientare poi con maggiore probabilità di successo le nostre richieste formali3.


251 1 Vedi D. 188.


251 2 Non pubblicato.


251 3 Per la risposta vedi D. 262.

252

IL CAPO DELL’UFFICIO III DEGLI AFFARI POLITICI, TALLARIGO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Roma, 22 novembre 1951.

È venuto a vedermi il consigliere della legazione di Israele signor Halevi.

Egli premette che Israele si rende perfettamente conto delle ragioni che consigliano all’Italia una politica di amicizia coi paesi arabi del Vicino Oriente, ma è convinto che tale atteggiamento può conciliarsi perfettamente con un analogo atteggiamento italiano nei confronti dello Stato di Israele. Ciò anche se il Governo israeliano ritiene (anzi, egli ha detto, sa) che da parte di alcuni Stati arabi (Egitto) si prema sul Governo italiano per indurlo a non stringere maggiormente i rapporti con Tel Aviv.

Per tali ragioni, ha proseguito Halevi, e anche perché riteniamo che l’Italia potrebbe svolgere una utile funzione fra ebrei ed arabi compiendo verso questi ultimi opera di persuasione per indurli a un maggiore realismo (noi, egli ha detto, vogliamo la pace con gli arabi) sarebbe opportuno dare maggior concretezza alla relazioni fra i due paesi, anche in vista della prossima visita di Sharett1 al presidente del Consiglio.

A questo fine egli propone di:

1) Riesaminare la proposta a suo tempo avanzata da Israele di un accordo di amicizia e navigazione, rimasta finora senza seguito.

2) Intensificare i rapporti culturali fra i due paesi.

3) Organizzare uno scambio di delegazioni parlamentari.

4) Avviare a soluzione le questioni pendenti fra i due paesi e cioè: sblocco dei beni italiani, risarcimento dei danni subiti dai cittadini italiani a seguito del conflitto palestinese; questioni finanziarie concernenti le compagnie di navigazione e aeree italiane.

Ho risposto al signor Halevi che solo scopo dell’Italia anche nel Medio Oriente era il raggiungimento di una pace stabile e che il Governo italiano si sforzava di contribuire al raggiungimento di tale fine; ma proprio per questo riteneva che non bisognava compromettere le eventuali possibilità con iniziative troppo brusche o immature o insufficientemente preparate.

Pertanto, mentre ho cercato di essere poco recettivo sull’accordo di amicizia e navigazione e di scoraggiare per ora l’iniziativa dello scambio di delegazioni parlamentari, per quanto concerne la soluzione delle questioni pendenti ho risposto che era anche nostro interesse avviarle ad una soluzione: tanto meglio se ciò poteva verificarsi prima della visita di Sharett al presidente del Consiglio.

Halevi chiede se la data del 22-23 di dicembre andrebbe bene per la visita di Sharett all’on. presidente del Consiglio. Sharett si tratterrebbe a Roma un paio di giorni.

Mi sono riservato di rispondere su questo punto e di fissare una prima riunione per la discussione della questione dei beni, alla quale dovrà partecipare anche l’Ufficio competente del S.E.T.


252 1 Vedi DD. 217 e 247.

253

IL MINISTRO MALAGODIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15040/5531. Parigi, 23 novembre 1951, ore 22(perv. ore 23).

Harriman, nella riunione di stamane ha esposto verbalmente i punti che intende svolgere al Consiglio atlantico a Roma martedì.

Appoggiati da Monnet prima, e poi dai belgi, l’olandese Hirschfeld ed io, siamo intervenuti sulla proposta di modificare numerosi passaggi che potevano dare impressione erronea di decisioni già prese su argomenti non ancora discussi dal T.C.C. in materia militare ed economica.

Ho ricordato, in particolare, che il ministro Pella aveva subordinato la posizione finale dell’Italia su un piano militare riveduto e sui poteri da riconoscere ad Eisenhower in fatto di end items alle conclusioni generali del rapporto del T.C.C.

Harriman, in definitiva ha promesso di modificare vari passaggi e per il resto ha sottolineato che si tratta o dei problemi che emergono dal lavoro ma che ancora non sono risolti, o dei principi già approvati dal Consiglio e dal T.C.C.

La questione del metodo di lavoro dei T.C.U. nella prossima fase è stata sollevata nella seconda parte della riunione da Hirschfeld il quale ha insistito sulla necessità di una approfondita discussione generale prima dello inizio della redazione del rapporto finale. Per parte mia ho appoggiato, indicando la necessità anche di disporre di un breve tempo almeno per considerare il documento preliminare in preparazione presso staff militare e civile.

Nuovamente Monnet ha fortemente appoggiato, sottolineando la necessità che uffici […]2 forniscano al T.C.C il materiale completo ed una prima analisi dei problemi. Pur dichiarandosi d’accordo in massima, Harriman ha insistito replicatamente sulla necessità di fare presto dovendo egli rientrare a Washington. In definitiva, è stato deciso che l’ufficio cerchi di trasmettere sabato 1° dicembre il documento alle delegazioni e che domenica 2 dicembre il T.C.C. si riunisca per discuterle. È stato previsto però un esplicito possibile rinvio di tale data. Dopo la seduta, Monnet mi ha domandato di pregare il ministro Pella di insistere presso Harriman a Roma affinché, pur rapidamente avanzando, si desse tempo all’Ufficio esecutivo ed alla delegazione di adeguatamente preparare una discussione che per il seguito dei lavori avrà importanza determinante.

La questione è molto delicata, perché è indispensabile da una parte che la discussione abbia luogo con preparazione adeguata, data la visibile tendenza tanto più, di Harriman al controdibattito; mentre d’altra parte, tale tendenza è certo da collegarsi con gli attacchi di cui Harriman è oggetto in America perché non si trova fisicamente a capo della nuova Mutual Security Administration, che Truman gli ha affidato.

Harriman, stamane, ha accennato perfino che se i lavori del T.C.C. si prolungassero oltre la metà del dicembre, sarebbe necessario scegliere un nuovo presidente.

Concludendo, permettomi prospettare al ministro Pella la opportunità che intervenga presso Harriman nel senso indicato da Monnet, ma che sia prevista anche la necessità della presenza sua e del generale Marras a Parigi la mattina di sabato 1° dicembre per preparare la discussione che probabilmente avrà carattere ristretto.


253 1 Diretto anche al ministro del bilancio, Pella, ed al sottosegretario al bilancio, Zerbi.


253 2 Gruppi mancanti.

254

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 15082/1223. Washington, 23 novembre 1951, ore 19,43(perv. ore 7 del 24).

In odierna riunione (contrariamente informazione Parigi) Dipartimento e ambasciate britannica francese hanno congiuntamente fatto presente questa ambasciata che data 12 dicembre1 appare troppo lontana per seguenti motivi:

1) quantunque risposta a nostra Nota sia già pronta (almeno per quanto riguarda tre maggiori potenze) non può essere inviata che qualche giorno dopo da presentazione Nota medesima.

2) È difficile mantenere segreto in tante capitali per tanti giorni. D’altra parte, rivelazioni premature farebbero perdere ad avvenimento ogni solennità diminuendone effetto propagandistico.

3) Attuali discussioni Parigi per ammissione Italia Nazioni Unite potrebbero offrire U.R.S.S., pretesto per connettere tale ammissione con revisione trattato in base art. 46. È meglio pertanto creare al più presto fatto compiuto.

4) Se difficoltà trasmissione impedissero scegliere data più vicina, Nota potrebbe essere consegnata a Roma contemporaneamente a rappresentanze tutti paesi firmatari.

Funzionari americano britannico francese hanno aggiunto che i tre Governi, supponendo quello italiano avrebbe presentato Nota entro questa settimana, avevano proceduto a intese di massima, affinché risposte loro e del maggior numero possibile altri firmatari fossero consegnate a Governo italiano 14 dicembre. Tale data potrebbe essere mantenuta soltanto se nota italiana fosse consegnata entro settimana ventura.

Da parte nostra, nel fare riserva chiedere istruzioni V.E., sono state fatte presenti difficoltà pratiche predisporre consegna a data ravvicinata ed è stato rilevato che concomitanza discussione Nazioni Unite può presentare inconvenienti.

Malgrado ciò esprimo avviso che, salvo diverse intese con ministri esteri costà riuniti e salvo possibilità avanzare validi motivi, convenga accedere desiderio anglo-franco-americano2.

Dipartimento ha confidenzialmente mostrato questa ambasciata progetto risposta anglo-franco-americana consegnandocene confidenzialmente parafrasi, che riproduco qui di seguito.

«The proposed reply to the italian note by the United States, the United Kingdom, and France will:

1) refer to the italian Government’s note regarding the preamble and certain clauses of the italian peace treaty.

2) Inform the italian Government that, in accordance with the terms of the declaration of September 26 by the french, american and british Governments, the proposals of the Italian Government are welcomed.

3) Agree that the spirit regretted by the preamble no longer exists, and has been replaced by the spirit of the United Nations Charter; that the political clauses, art. 15/18, are superflous; and that since the military clauses are not consistent with Italy’s position as an equal member of the democratic and freedom loving family of nations Italy is released from its obligations to the country making the reply under art. 46/70 annexes relevant thereto».


254 1 Vedi D. 243, nota 2.


254 2 Vedi D. 258.

255

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

Verbale. Roma, 23 novembre 1951, ore 19.

Dopo alcuni accenni alla situazione in generale ed una rassegna degli argomenti più attuali del Patto atlantico, il presidente è venuto a parlare della Nota per la revisione del trattato, che sarà consegnata il 12 dicembre1.

Noi abbiamo chiesto che vengano attenuate talune delle procedure concernenti le clausole economiche del trattato (scadenze per i reclami, Commissione internazionale, ecc.).

L’ammissione all’O.N.U. appare difficile. Non pretendo, dichiara il presidente, né abbiamo mai chiesto, che si agisca in violazione dello Statuto, ma ci attendiamo uno sforzo intenso e visibile fino ad assicurarci l’ammissione. Noi apprezziamo che ci si preoccupi di evitare la rottura con la Russia, ma al tempo stesso dobbiamo chiedervi: cosa accadrà quando la maggioranza degli Stati aderirà alla revisione del nostro trattato? Quale sarà il vostro atteggiamento nei confronti della Russia?

Acheson dice che l’obiettivo della nostra ammissione deve essere perseguito. Anche se ora andremo incontro ad un altro veto, l’Assemblea prenderà atto ancora una volta dell’assurda e ingiusta posizione dell’Italia e ciò costituirà un’altra tappa di un cammino che percorreremo fino in fondo. È questa l’intenzione degli Stati Uniti.

Espone poi quale sia, secondo lui, la diversità delle posizioni nei riguardi dello Statuto e del nostro trattato: nel primo caso abbiamo un accordo liberamente sottoscritto per il mantenimento della pace; diverso invece è il caso del trattato italiano.

Passando a parlare di Trieste, il presidente osserva che i sondaggi non sembrano molto promettenti, poiché gli slavi cercano di confondere i concetti di linea etnica e soluzione etnica. Vogliono una compensazione etnica, e cercano di mettere sulla bilancia anche la minoranza slava della città di Trieste. Tito stesso ha ammesso l’italianità di Trieste: non possiamo assolutamente discutere la Zona A. Nella Zona B vogliono cedere solo Capodistria.

Riferendosi all’articolo del Times2, il presidente dice che questa tesi rappresenta il completo sovvertimento della dichiarazione tripartita3 e pone in questione Trieste stessa. È una vecchia tesi inglese e provocherà nuove agitazioni in Italia, rendendo difficili i sondaggi di Parigi.

Acheson non crede che la notizia risalga al Governo inglese, ma che re-sponsabile personalmente ne sia il corrispondente; comunque la deplora per leagitazioni che può provocare. Per influire su Tito vedrà di nuovo di sollecitare Allen.

Acheson s’interessa del colloquio con Lovett per le commesse e spera ormai che si concluda rapidamente.

Discorso di Acheson e Dunn sul pericolo di sabotaggio: pur escludendolo, il presidente dice che verrà intensificata la vigilanza.

Il colloquio è durato circa un’ora.


255 1 Vedi D. 258.


255 2 Del 22 novembre, vedi Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., p. 112 nota 6.


255 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

256

IL MINISTRO MALAGODIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15090/5541. Parigi, 24 novembre 1951(perv. ore 13,30)2.

T.C.C. Il presente telegramma si riferisce al n. 5533 di questa delegazione. Harriman nella sua dichiarazione odierna a più riprese è tornato sulla necessità di una revisione generale delle competenze e della struttura degli organi atlantici in modo di assicurare la maggiore efficacia nella preparazione e nell’esecuzione dei programmi comuni ed una sorveglianza permanente sui progressi di ogni paese membro.

Mi risulta che anche da Monnet nonché dal Belgio il punto è considerato particolarmente importante. Mi permetto accennare l’opportunità di scambio di vedute al riguardo nei prossimi giorni a Roma con i ministri degli altri paesi del N.A.T.O. medi e minori ed in particolare dell’Olanda del Belgio e del Canada. È molto probabile anzi certo che i Grandi ed in particolare i francesi spingeranno verso una generalizzazione della formula a tre, mentre da parte nostra, tenendo conto anche del non lontano ingresso nel gruppo della Germania, esiste un evidente interesse ad affrontare il giuoco.

Potremmo considerare un gruppo promosso a sette con rotazione di parte dei membri oppure tale gruppo più altro ristretto maggiormente. È comunque da tener presente che dovranno essere certamente incluse nel prossimo rapporto T.C.C. le raccomandazioni su tale problema.


256 1 Diretto anche al ministro del bilancio Pella ed al sottosegretario al bilancio Zerbi.


256 2 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.


256 3 Vedi D. 253.

257

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15127/793. Parigi, 24 novembre, ore 21,30(perv. stessa ora).

Telegramma ministeriale 5401.

Al Quai d’Orsay ci fanno presente che in riunioni Washington a quattro è stato raggiunto accordo su testo nota italiana per revisione trattato e su nota di risposta. Sembra tuttavia che colà noi abbiamo manifestato intenzione ritardare questo scambio di note fino a dopo dibattito O.N.U. per ammissione Italia.

Da parte francese ci confermano dissenso per ragioni tattiche. Si ritiene – americani e inglesi penserebbero analogamente – che articolo 46 trattato ne permette revisione per accordi diretti con tutti i firmatari (mancherà sempre accordo sovietico) oppure dopo nostro ingresso O.N.U. Se non mettiamo subito russi di fronte a fatto compiuto con scambio di note, essi sono capaci di sollevare eccezioni contro nostra domanda revisione negli stessi dibattiti per nostra ammissione O.N.U., portando così problema revisione in Consiglio e compromettendo tutto. Occorre – sempre secondo francesi – che si possa dire: «Abbiamo già concesso la revisione perché, nonostante articolo 46, Italia non è nell’O.N.U. per colpa vostra». Altrimenti si rischierebbe non avere né revisione (i tre – aggiungo – non affronterebbero probabilmente una battaglia in seno all’O.N.U. per noi anche per questo) né ammissione.

Prego telegrafarmi esatta motivazione nostra richiesta ritardare scambio note per revisione2.


257 1 Del 15 novembre, con il quale veniva comunicato: «Dipartimento Stato concorda su testo modificato. Ambasciata Francia Washington attende conferma da Parigi dell’approvazione di massima già ricevuta».


257 2 Per la risposta vedi D. 261.

258

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. segreto urgente 2123/c. segr. pol.1. Roma, 24 novembre 1951.

(Per Londra, Parigi e Washington) Si fa riferimento al telespresso n. 5845 del 16 novembre2, con cui l’ambasciata a Washington ha trasmesso a questo ministero il progetto della Nota per la revisione del trattato, nel testo da noi concordato con i Governi degli Stati Uniti, di Francia e di Gran Bretagna.

2. (Per tutti) Si prega V.E./V.S. di voler indirizzare a cotesto Ministero degli affari esteri la Nota nel testo italiano, qui accluso, con allegata traduzione in francese ovvero in inglese, pure acclusa, a seconda del caso. La presentazione della Nota dovrà avvenire il 12 dicembre 1951 e ne verrà data pubblica notizia a quella data3.

2a. (Solo per Mosca) V.E. vorrà provvedere similmente, nella forma necessaria, anche per la Repubblica socialista sovietica bielorussa e per la Repubblica socialista sovietica ucraina, che figurano tra i firmatari del trattato di pace.

2b. (Solo per Belgrado, Washington, Londra, Parigi) Il ministro a Belgrado prima di procedere alla consegna o all’invio della Nota vorrà prendere contatto con i locali rappresentanti della Francia, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna al fine di ottenere che la consegna o l’invio della Nota avvenga contemporaneamente ad un intervento delle tre potenze, inteso ad appoggiare la nostra richiesta.

L’ambasciata a Washington, cui il presente è diretto per conoscenza, è pregata di svolgere opportuna azione perché, in relazione a precedenti comunicazioni, tale intervento abbia luogo.

Le ambasciate a Parigi e Londra, cui il presente è pure diretto per conoscenza, vorranno analogamente intervenire perché tale intervento non venga a mancare.

3. (Per tutti escluse Londra e Parigi) V.E./V.S. vorrà tenere presente che il testo della Nota è stato previamente concordato dall’Italia con gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra e che pertanto non è suscettibile di modifiche.

V.E./V.S, vorrà tuttavia accompagnare la Nota medesima con un richiamo specifico, orale o sotto forma di memorandum, o inserito nel primo paragrafo della Nota stessa, all’adesione di massima già data da codesto Governo alla Dichiarazione tripartita di Washington del 26 settembre 19514 ricordando anche le modalità o le forme in cui tale adesione venne data.

4. (Per tutti) Per opportuna norma si informa che è stato concordato con Londra, Parigi e Washington che quei Governi risponderanno alla Nota, nel senso di prendere atto della comunicazione e di assicurare il loro accordo nella formula usuale agli scambi di lettere (ripetizione del testo e conferma di concordarvi). Ci attendiamo che analogamente vorranno procedere i paesi che hanno aderito alla Dichiarazione del 26 settembre e gli altri che comunque vorranno accedere alla nostra richiesta.

4a. (Solo per New Delhi) Per ciò che concerne l’India, quanto precede (paragr. 4) è da porsi in relazione con la comunicazione già fatta all’ambasciata a New Delhi in risposta alla lettera 2526 del 13 novembre5.

5. (Per tutti) Si prega V.E./V.S. di voler trasmettere a questo ministero copia della risposta di cotesto Governo.

6. (Per tutti) Per quanto concerne la Cina viene provveduto da parte di questo ministero con Nota, in data 12 dicembre, indirizzata a questa ambasciata di Cina.

7. (Solo per Washington) L’Ambasciata a Washington vorrà provvedere alla presentazione della Nota anche all’ambasciatore d’Etiopia. in quella capitale, con quelle lievi varianti di forma che saranno necessarie data la diversità della procedura (da ambasciata ad ambasciata, anziché da ambasciata a Governo).

8. (Per tutti) Appena in possesso del presente telespresso V.E./V.S. è pregata di accusarne telegraficamente ricevuta.

Allegato

NOTA ITALIANA SULLA REVISIONE DEL TRATTATO DI PACERIMESSA L’8 DICEMBRE 1951 AI GOVERNI DEI PAESI FIRMATARI DEL TRATTATO

Ho l’onore di riferirmi alle dichiarazioni ripetutamente fatte dal Governo italiano e alla dichiarazione del 26 settembre fatta dai Governi del Regno Unito, della Francia e degli Stati Uniti, nonché alle dichiarazioni fatte da rappresentanti di altri Governi circa l’anomalia venutasi a creare, tra l’esistenza del trattato di pace italiano e la posizione che occupa oggi l’Italia.

La posizione dell’Italia quale membro attivo a parità di condizioni della famiglia delle nazioni democratiche e amanti della libertà, è stata universalmente riconosciuta. Lo spirito del trattato di pace, pertanto, non si accorda più con la situazione oggi esistente.

Il trattato di pace contemplava che l’Italia sarebbe stata ammessa come membro delle Nazioni Unite. Presupposto essenziale era che l’adesione universale ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite avrebbe garantito la sicurezza dell’intera comunità delle nazioni democratiche e perciò avrebbe anche garantito la posizione dell’Italia come un membro a parità di condizioni di tale comunità.

Questo presupposto, sulla base del quale il trattato di pace italiano fu firmato e ratificato, non è stato soddisfatto. Sebbene il preambolo del trattato prevedesse che l’Italia sarebbe divenuta membro, con pieni diritti, delle Nazioni Unite, l’ammissione dell’Italia, pur avendo ricevuto in tre occasioni l’appoggio della maggioranza degli Stati membri che votarono nell’Assemblea generale, è stata resa impossibile per quattro volte, da veti ingiustificati, quando essa venne esaminata in seno al Consiglio di sicurezza.

Poiché l’Italia non fa parte delle Nazioni Unite, essa non può contribuire pienamente al pacifico sviluppo delle relazioni internazionali su una base di parità con le altre nazioni né farsi valere in seno alle stesse Nazioni Unite per una revisione delle clausole del trattato nella maniera in esso prevista.

Frattanto l’Italia ha ristabilito le istituzioni democratiche, partecipa in concerto con le altre nazioni a numerose organizzazioni internazionali che operano per stabilire pacifiche e feconde condizioni di vita fra i popoli del mondo, amministra un territorio sotto tutela in nome e per incarico delle Nazioni Unite e appoggia gli sforzi delle Nazioni Unite per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

In queste circostanze, come già è stato dichiarato, lo spirito e certe disposizioni restrittive del trattato di pace non risultano appropriate.

Su istruzioni del mio Governo ho l’onore di proporre perciò che il Governo ….. e gli altri firmatari del trattato, cui identiche note sono state indirizzate, riconoscano che lo spirito del preambolo più non sussiste e che è stato sostituito dallo spirito dello Statuto delle Nazioni Unite; che le clausole politiche, articoli 15 a 18, sono superflue e che le clausole militari, limitatrici del diritto e della capacità di provvedere alla propria difesa, articoli 46 a 70 e relativi allegati, non sono conformi alla posizione dell’Italia quale membro, a parità di condizioni, della famiglia delle nazioni democratiche e amanti della libertà.


258 1 Diretto anche alle ambasciate ad Atene, Bruxelles, Città del Messico, Mosca, New Delhi, Ottawa, Rio de Janeiro, Varsavia, alle legazioni a Baghdad, Belgrado, Karachi, L’Aja, Praga, Pretoria, Sidney, Tirana, Wellington e, per conoscenza, all’ambasciata in Cina (Ufficio di Hong Kong).


258 2 Non pubblicato, ma vedi D. 231.


258 3 Con T. s.n.d. 11911/590, pari data, Zoppi comunicò a Tarchiani di aver concordato con Perkins e Byington che la data di consegna sarebbe stata anticipata nel caso in cui tutte le rappresentanze italiane presso gli Stati firmatari avessero ricevuto la Nota prima del 12 dicembre. Il 6 dicembre De Gasperi (T. segreto 12332/c.) impartì alle rappresentanze destinatarie del presente documento (ad eccezione di Mosca, Varsavia, Praga e Tirana) le istruzioni di consegnare la nota l’8 dicembre.


258 4 Vedi D. 124.


258 5 Non rinvenuto.

259

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, [novembre 1951]1.

È probabile – ed è anzi desiderabile – che in occasione della prossima venuta in Italia del ministro Eden per la sessione romana del Consiglio atlantico, V.E. abbia col ministro degli esteri britannico uno scambio di vedute sui rapporti italo-inglesi2. Il ministero degli affari esteri ritiene pertanto opportuno riepilogare qui di seguito la storia e le vicissitudini di tali rapporti nel dopo guerra e indicare taluni temi che potrebbero formare oggetto di esame.

1) Al termine del conflitto, nessuna animosità esisteva in Italia nei riguardi della Gran Bretagna. Mussolini non era riuscito a fare «odiare il nemico» al popolo italiano. Anche a prescindere dal fatto se la guerra fosse stata «voluta» o «non voluta» «giusta» o «ingiusta», il popolo italiano aveva la sensazione di averla combattuta contro gli inglesi cavallerescamente. Ne era uscito sconfitto ed era naturalmente rassegnato a subire le conseguenze della sconfitta, con dignità e con una certa dose di filosofia, come è sempre avvenuto nella storia. A partita chiusa, si sarebbe tornati amici. Gli inglesi invece, particolarmente i laburisti e i funzionari del Foreign Office, non hanno, in questa occasione, dato prova di quello «spirito sportivo» che era sempre stato nella tradizione politica britannica (anche dopo la guerra 1915-1918), e hanno ispirato la loro condotta, nei confronti dell’Italia, più a motivi sentimentali e vendicativi, che razionali e lungimiranti.

Nella lunga vicenda coloniale Londra non ha soltanto mirato ad escluderci completamente dall’Africa (senza pensare che tale politica si sarebbe un giorno rivolta contro di lei come sta avvenendo), ma anche a distruggere, coi sistemi più vari, gli interessi economici che gli stessi emigranti italiani si erano colà creati. Talché la nostra azione ha dovuto essere condotta per lungo tempo non solo in difesa dei nostri interessi territoriali ma anche per tutelare giorno per giorno le stesse imprese economiche italiane o gli interessi dei singoli, e persino la permanenza in loco degli italiani che si volevano ridurre di numero e di qualità invocando a pretesto una pretesa ostilità indigena della cui inesistenza il nostro ritorno in Somalia fu poi la più clamorosa conferma. Solo in tempi più recenti si è mostrato un maggiore rispetto per i nostri interessi in Libia ed Eritrea rivelatisi essenziali per la stessa economia di quei territori. Tutto ciò colpì dolorosamente il popolo italiano che a poco a poco – resistenze inglesi alla nostra partecipazione al Patto atlantico, continue pressioni per una soluzione «coûte que coûte» della questione triestina, ostentata dimenticanza della presenza dell’Italia nel Mediterraneo, ecc. ecc. – finì per convincersi, a ragione o a torto, che fra tutti i paesi con i quali ci eravamo trovati in guerra, l’Inghilterra era l’unico a persistere nei nostri confronti in una posizione di irriducibile e acre ostilità. In queste condizioni sorse e si consolidò nell’opinione pubblica italiana uno stato d’animo antibritannico che non esisteva alla fine della guerra, e lo stesso Governo italiano finì per persuadersi che ben poche soddisfazioni avrebbero potuto derivargli da una politica estera orientata verso Londra. L’amicizia francese avendo valore essenzialmente morale, dato lo scarso peso della Francia nello scacchiere politico mondiale, fu così verso gli Stati Uniti, e quasi unicamente verso di essi, che la politica estera italiana venne orientandosi. Non sbagliò, poiché solo da quella parte ci sono in realtà pervenuti appoggi morali, politici ed economici, e concrete manifestazioni di amicizia. Ma è certo da deplorarsi che i nostri rapporti con la Gran Bretagna – se si fa eccezione per taluni aspetti della politica economica – non siano riusciti ancora, in questo dopo guerra, ad emergere da una atmosfera di reciproca diffidenza e a superare quelle posizioni polemiche che – sopite per qualche tempo – costantemente riaffiorano.

Ben diversamente si sarebbero sviluppati i rapporti italo-inglesi, con benefici riflessi anche sul complesso della politica europea, se, all’indomani del conflitto, la Gran Bretagna avesse «ripreso» l’Italia sotto il proprio «ombrellone» come cinquant’anni addietro, proteggendone la ripresa politica, come gli Stati Uniti ne hanno protetta la ripresa economica!

È certo impossibile oggi tornare indietro, tuttavia se da parte britannica si volesse dare un «colpo di timone» alla politica del Foreign Office verso l’Italia, dimostrando una maggiore comprensione per le esigenze sopratutto morali del popolo italiano, dandogli l’impressione che lo si vuole amico, che non lo si ignora, che non lo si pospone ad altri, sarebbe facile ricreare una atmosfera di simpatia sulla quale i due Governi potrebbero costruire una politica di più attiva reciproca cooperazione.

2) Questione del T.L.T. V.E. non ha – mi sembra – che da ripetere ad Eden quanto ha così chiaramente esposto ad Acheson3. Si può ricordare ad Eden quanto male ci abbia fatto e quanto abbia reso più intrattabile Tito, la politica fatta dai laburisti (per simpatie di partito) verso la Jugoslavia cosiddetta socialista. Non ci siamo mai rifiutati di tentare il negoziato diretto e – oggi – stiamo di fatto tentandolo, ma il problema è così delicato per noi che non potevamo agire sotto le costanti ed a volte poco riguardose pressioni che ci venivano in passato da Londra. Terremo al corrente i Tre del corso delle conversazioni4.

3) Medio Oriente. Il deteriorarsi della situazione nel Medio Oriente ci preoccupa da molto tempo. Avevamo manifestato tale nostra preoccupazione a Londra ed a Washington. Ma a Londra le nostre segnalazioni non ebbero nel passato nemmeno un cenno di risposta. Per questa ragione continuammo a mantenerci in contatto su questa questione solo con Washington che aveva dimostrato di rendersi conto quanto fossero fondate le nostre preoccupazioni. Poiché potrebbe essere sorta nel Foreign Office l’idea che se ci occupiamo di questa questione con tanta attenzione è sopratutto per ricercare qualche «gloriosa» (mediazione), converrebbe sottolineare al sig.Eden che sono proprio i nostri interessi, di italiani e di membri della comunità atlantica, che stanno alla base delle nostre preoccupazioni. Sono gli stessi interessi che ci hanno spinto a favorire sin dall’inizio l’inclusione della Turchia nel Patto atlantico (per assicurare la difesa e la sicurezza del Mediterraneo orientale) che ci spingono ora a sostenere la necessità di non fare delle nazioni arabe (qualunque sia la loro possibilità di apporto concreto alla difesa) dei nemici del mondo occidentale. Siamo convinti che una diversa politica gioverebbe soltanto alla propaganda sovietica e a favorire l’espansione del comunismo nel Mediterraneo nonché il sorgere di movimenti xenofobi (e abbiamo in Egitto 50 mila italiani!). Crediamo perciò di servire gli interessi dell’Occidente e della stessa Comunità atlantica cercando di conservare nel mondo arabo quelle amicizie che sono venute a noi quasi spontaneamente dal giorno che abbiamo cessato di essere una potenza coloniale. Queste amicizie le coltiviamo perché le riteniamo utili e necessarie alla sicurezza di tutti e perché pensiamo che possono servire anche gli interessi dei nostri alleati con i quali siamo naturalmente solidali.

In questa sede il ministro Eden potrebbe venire sondato circa le possibilità di soluzione della controversia egiziana da noi studiate e che ci risulterebbero in massima accettabili al Cairo: se egli le trovasse interessanti potremo, col suo tacito e non impegnativo accordo, cercare di svilupparle.

4) Ex colonie italiane. Sono ancora sospese questioni di carattere politico e questioni di carattere economico tanto per la Libia che per l’Eritrea. Dal punto di vista politico vi sono contrasti fra l’Etiopia ed il Commissario delle N.U. Matienzo, circa l’interpretazione della risoluzione, in quanto da parte etiopica si tende a minimizzare l’autonomia. Noi siamo per la leale applicazione della Risoluzione, come abbiano dichiarato sino dal momento che l’accettammo a Lake Success. Se le divergenze tra Addis Abeba ed Asmara non potessero comporsi siamo del parere che dovrebbero tosto o tardi essere portate alle N.U. per una interpretazione autentica.

Sempre nel campo politico esiste anche una divergenza fra gli anglo-francesi e le nazioni musulmane (Egitto-Pakistan) relativa alla struttura dell’indipendenza libica. Gli inglesi ci hanno chiesto di aiutarli per evitare che i paesi arabi sollevino la questione all’Assemblea delle N.U. Il nostro atteggiamento è quello di valerci della nostra amicizia coi paesi arabi per cercare di smussare gli angoli e di conciliare i differenti punti di vista. Sino ad ora ci siamo riusciti e continueremo su questa via.

Dal punto di vista economico abbiamo recentemente concluso accordi con gli inglesi sia per i nostri beni in Libia che per quelli in Eritrea. Stiamo ora trattando coi libici per una sistemazione definitiva della questione dei nostri beni in Libia. Per l’Eritrea l’O.N.U. dovrà approvare il progetto che la Gran Bretagna come potenza amministrante, presenterà e che è stato già riservatamente concordato con noi. Per entrambe le questioni ci è necessaria una leale collaborazione da parte britannica. Il ministro Eden dovrebbe vigilare perché questa non venga meno.

5) Questioni commerciali. All’epoca del viaggio di V.E. a Londra5, i rapporti economici e finanziari col Regno Unito erano estremamente soddisfacenti, tanto come entità dei traffici quanto come eliminazione di ogni punto di contrasto, quanto infine come relazioni fra amministrazioni. La situazione è oggi diversa. Anzitutto l’Italia non riceve più carbone dalla Gran Bretagna neppure in quelle misure così modeste che erano state da noi accettate tenendo conto del riarmo del Regno Unito. In secondo luogo, per riparare alla crisi economica inglese, quel Governo ha ristretto le importazioni dai paesi dell’O.E.C.E. facendo scendere la liberazione da un massimo di circa 90% (del commercio estero inglese) ad un minimo del 65%. Molti nostri prodotti, agricoli, in conserva, e tessili, che da oltre quattro anni avevano preso piede presso i consumatori britannici sono stati colpiti. Le nostre amministrazioni stanno calcolando la cifra dei danni da noi subiti. Può però anticiparsi che questi si distingueranno in diretti (tagli alle nostre esportazioni in settori particolarmente critici), ed indiretti (nel senso che un atteggiamento antiliberistico inglese quale quello presente, rischia di dare l’ultimo colpo alla politica di integrazione dell’O.E.C.E.). In relazione a ciò, da un lato rimarrà difficile all’Italia di continuare a fornire alla speciale commissione di acquisti inglese di Milano, le larghe forniture sin qui praticate in materia di tessili, macchine utensili e merci di uso paramilitare che abbiamo sinora consegnate senza richiedere reintegro di materie prime e senza preoccuparci del nostro aumento di credito nell’unione dei pagamenti, perché abbiamo voluto con ciò contribuire al riarmo del Regno Unito; e dall’altro ci riuscirà altrettanto difficile di perseguire la liberazione che avevamo esteso a circa il 90% del commercio estero inglese.

Sarebbe utile chiedere al sig. Eden che istruzioni venissero date alle amministrazioni inglesi di considerare con comprensione particolare le relazioni italiane nel corso delle conversazioni che avremo con i britannici a seguito dei recenti provvedimenti, e chiedere anche che possibilmente la liberazione britannica verso i paesi dell’O.E.C.E. venga almeno riportata al 75%.

Circa poi questioni più generali, sarà forse opportuno ripetere che l’Italia mira all’integrazione economica europea più larga e completa, in funzione del processo di integrazione politica, ma sempre pensando che essa avvenga possibilmente con il Regno Unito e mai contro di esso. Anzi, l’aspirazione italiana sarebbe Londra prendesse la direzione di tale processo integrativo, e che funzionasse, per così dire, da clearing house dei rapporti economici tra le varie zone europee.

6) Emigrazione in Gran Bretagna. Negli ultimi due anni, la nostra emigrazione in Gran Bretagna si è assicurato un posto di un certo rilievo e promette di assumere sempre maggiore consistenza.

La deficienza di manodopera in Gran Bretagna, ripetutamente segnalata dall’ambasciata in Londra, indurrebbe infatti a prevedere larghe possibilità per l’emigrazione italiana se la tendenza degli organi interessati non fosse quella di risolvere il problema in senso nazionale e se le Trade Unions non fossero ostili, per principio, alla manodopera straniera. Comunque, se non si può sperare in un impiego per larghe masse di nostri lavoratori, è possibile attendersi richieste più considerevoli e per sempre nuovi settori. Anche recentemente il ministro del lavoro inglese ha svolto una campagna a favore della mano d’opera italiana ed ha accennato ad un piano di immigrazione, nel settore minerario ed in altre industrie vitali per il paese, che potrebbero interessare da un minimo di cinque ad un massimo di diecimila nostri lavoratori.

Nel 1950 risultano partiti in totale: 4.725 emigranti. Dal gennaio al settembre 1951 sono stati rilasciati dalle autorità britanniche labour permits individuali per altre 5.701 persone.

Vi sono inoltre, in via di applicazione, contratti collettivi per le seguenti industrie: strade ferrate: 500 operai; industrie tessili: 237 operaie; miniere materiale ferroso:150 operai; industrie cavi telefonici: 30 operai; industrie chimiche: 20 operai; fonditori: 15 operai; fusio-animiste: 15 operaie; vari: 300 operai.

I lavoratori italiani che si trasferiscono in Gran Bretagna, superato il periodo di adattamente trovano ottime condizioni di vita e di lavoro e tendono a rimanere lungamente nelle loro occupazioni. Infatti, i rimpatriati per malattia, inadattabilità al lavoro o motivi vari sono stati nel 1950 di appena 1’8 percento.

Scaduto il contratto triennale i lavoratori generalmente lo rinnovano e raggiungendo i quattro anni di lavoro in Gran Bretagna, ottengono la permanenza stabile.

I salari sono generalmente adeguati al costo della vita e, comunque, sempre uguali a quelli stabiliti per lavoratori nazionali.

L’accordo sulle assicurazioni sociali a favore dei nostri lavoratori, parafato nel marzo del corrente anno, verrà firmato quanto prima. Si potrebbe far cenno di ciò al ministro Eden, incoraggiandolo ad adoperarsi presso il suo collega del lavoro perché perseveri in una politica favorevole alla emigrazione italiana in Gran Bretagna.

Invece la nostra emigrazione nelle colonie britanniche, malgrado il grande interesse che essa potrebbe avere per noi date le favorevoli condizioni di vita e di ambiente e le ampie possibilità di sviluppo economico che offrono quei territori, non raggiunge attualmente cifre degne di particolare menzione.

L’elemento dirigente coloniale inglese ed una parte della locale classe dirigente sono ancora sostanzialmente ostili a qualunque immigrazione non britannica di una certa consistenza ed entità, intendendo con ciò evitare una concorrenza sul mercato del lavoro e della produzione che possa contribuire ad abbassare lo standard di vita dell’elemento anglo-sassone o a far sorgere problemi sociali che la presenza di numerosi lavoratori europei porterebbe inevitabilmente con sé.

Si può pertanto dire che le colonie africane dell’Inghilterra sono oggi praticamente chiuse all’emigrazione europea, eccezione fatta in qualche caso per lavoratori specializzati o per immigranti temporanei.

Nel Kenya, ad esempio, le leggi sull’emigrazione limitano la permanenza del lavoratore straniero ad un massimo di quattro anni che non consentono la possibilità di rinnovare il contratto alla scadenza, il che non permette una stabile sistemazione dell’emigrato nel paese di adozione. Altrettanto si può dire per l’Uganda ed il Tanganica.

A tale riguardo sembra interessante rilevare come alcuni datori di lavoro di quei territori sono i migliori difensori dei nostri emigranti contro tali disposizioni che appaiono eccessivamente rigide, se non ingiuste. Basti citare per tutti il caso della sig. Pitt-Moore, concessionaria nel Kenya, che ha addirittura svolto una vera e propria campagna a favore dei nostri lavoratori e che oggi impiega una cinquantina di famiglie italiane.

Un interesse notevolissimo ed ampie possibilità esisterebbero anche e specialmente nelle due Rodesie. In quei territori, dove gli emigranti italiani godono di molto favore per le loro doti di capacità, sobrietà e adattamento, sono già stati elaborati progetti di colonizzazione agricola e di sviluppo industriale che avrebbero potuto, anzi dovuto, utilizzare mano d’opera italiana. Tali piani, però, sono rimasti finora allo stato di progetto e non se ne prevede prossima l’attuazione pratica.

Nelle altre colonie inglesi la situazione non è purtroppo differente, anzi ancora più trascurabili sono le possibilità che si offrono al lavoro italiano: e ciò, ripetiamo, almeno apparentemente per una preconcetta ostilità da parte delle autorità locali sulle quali non sembra che il Governo di Londra abbia finora esercitato alcuna pressione per una modificazione delle norme vigenti in fatto di mano d’opera straniera.


259 1 L’appunto è privo di data. Si inserisce qui per coerenza temporale con il documento seguente.


259 2 Dei colloqui De Gasperi-Eden, svoltisi il 25 e il 28 novembre, non sono stati rinvenuti i verbali.


259 3 Vedi D. 255.


259 4 Annotazione autografa di De Gasperi a margine: «Non dare esca a credere che si vuole tornare al T.L. (questione Cassazione)».


259 5 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.

260

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 24 novembre 1951.

Ho avuto ieri sera all’ambasciata inglese un colloquio di venti minuti con Eden. Mi ha espresso la sua soddisfazione di incontrarsi con V.E. che considera vicino – per idee e orientamento politico – alle personalità di vedute più moderne del suo partito: De Gasperi è come «un Tory di sinistra» mi ha detto. Mi ha poi detto che è pronto ad aiutarci in tutte le questioni in cui l’appoggio della Gran Bretagna può riuscirci utile. Ditemi cosa posso fare – ha detto – e ha soggiunto sorridendo «eccetto quattrini» perché l’Inghilterra è assai povera, mi potete liberamente esporre i vostri desiderata.

Ho fatto osservare ad Eden che il problema che mi sembrava più importante era quello di creare una nuova atmosfera nei rapporti italo-inglesi allo scopo di dissipare l’impressione rimasta nel paese che l’Inghilterra ci sia ostile. Eden mi ha risposto che egli non è mescolato con le vicende del passato e non ne è responsabile. «Non vi è alcuna diffidenza verso di voi a Londra e avrete letto il mio discorso alla Camera1 in cui ho detto parole amichevoli per l’Italia. Altre ne dirò domani alla apertura del Consiglio atlantico». Eden è venuto spontaneamente a parlare degli «errori senza pari commessi dal passato Governo in Persia». Ha aggiunto che la situazione in Egitto presenta maggiori difficoltà di quella persiana; si è mostrato d’accordo nel riconoscere che esiste in Medio Oriente, specialmente in Egitto, il pericolo di una espansione del comunismo. Per parte mia lo ho messo al corrente di quanto riferito da Prunas circa il suo colloquio con re Faruk2.

Parlando della Jugoslavia, mi ha detto che «Tito ha già avuto troppo» e ricordando che erano stati proprio i conservatori a scoprirlo ha stigmatizzato il carattere ideologico dato dai laburisti alle loro relazioni con la Jugoslavia. Non aveva letto l’articolo del Times su Trieste3: ha però sottolineato che ogni notizia su intenzioni del M.G.A. di rendere definitiva la situazione attuale, è del tutto infondata.

Il tono e la sostanza della conversazione sono stati di netta cordialità.


260 1 Vedi D. 242.


260 2 Non è stata rinvenuta la documentazione relativa a questo colloquio.


260 3 Vedi D. 255, nota 2.

261

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. segreta 3/797. Roma, 25 novembre 1951.

Rispondo al tuo telegramma n.7931. Le ragioni per cui siamo andati piano, sono varie. Innanzi tutto abbiamo voluto assicurarci che una notevole maggioranza – e non una sola maggioranza di misura – ci avrebbe risposto favorevolmente. Per questo abbiamo chiesto anche il tuo intervento presso iraqueni e pakistani costì. In secondo luogo ci sembrava preferibile evitare una concomitanza fra la trattazione di questa questione e quella della nostra ammissione all’O.N.U. Siccome sulla questione della revisione, anche per nostro intervento presso la stampa, si era messo il silenziatore, ritenevamo che si potesse attendere per risollevarla quando fosse esaurito costì il dibattito per l’O.N.U. Ammetto che sulla opportunità o meno di questa linea tattica si possano dare pareri diversi, tutti rispettabili. In terzo luogo la nota, come è redatta, non è proprio il tipo di note che piacerà alla nostra opinione pubblica: siccome non potremo dire che si è dovuta concordare verrà criticata come troppo debole e remissiva e notarile.

Infine il presidente, di fronte all’attitudine inglese circa l’Egitto (netta presa di posizione contro la violazione unilaterale dei trattati) e l’ultra rispettosa attitudine verso la inviolabilità della Carta dell’O.N.U. da parte americana, nella questione della nostra ammissione, si è chiesto se e quale appoggio ci daranno il giorno in cui l’U.R.S.S. ci accuserà di aver violato il trattato: non vorrebbe cioè trovarsi nella situazione di non avere la revisione perché non tutti gli Stati l’hanno approvata. E ciò in quanto è molto dubbio che il far decadere, a maggioranza, delle clausole che ci vincolino erga omnes come quelle contemplate nella Nota, sia giuridicamente fattibile. Non si tratta infatti di clausole cui ciascuno può rinunciare «en ce qui le concerne» come sarebbe nel caso di clausole economiche o financo territoriali! Su questo ultimo punto abbiamo tuttavia ora avuto assicurazioni dagli americani.

Le Note sono partite e verranno presentate dalle nostre rappresentanze contemporaneamente il 12 dicembre (devono andare per corriere). Se prima di allora tutti ci avranno dato telegrafica assicurazione di averla ricevuta, potremo anticipare la data2. Ho parlato di questa procedura con Perkins e con Parodi e siamo d’accordo. La vera ragione per cui gli americani urgono è che essi temono qualche indiscrezione e vogliono invece fare essi la bella figura di darne l’annuncio, e poi perché hanno ancora l’ingenuità di credere che il rifiuto sovietico, magari contemporaneo al veto costì per il nostro ingresso all’O.N.U., possa avere qui un qualche effetto propagandistico.


261 1 Vedi D. 257.


261 2 La nota italiana per la revisione dal trattato di pace venne presentata l’8 dicembre, vedi D. 258, nota 3.

262

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 12727. Washington, 26 novembre 1951(perv. il 30).

Riferimento: Dispaccio ministeriale 45/18202/193 del 22 corr.1.

I contatti col Dipartimento di Stato in merito alla revisione dello clausole economiche del trattato di pace sono ancora, e resteranno necessariamente per qualche tempo, nello stadio già da me indicato a V.E.

In sostanza, il Dipartimento di Stato sta esaminando, in via del tutto ufficiosa, il promemoria consegnatogli da questa ambasciata e ricavato dalla comunicazione di V.E. 45/479 dell’11 ottobre u.s. e dal relativo allegato2.

L’esame, cui il Dipartimento di Stato sta sottoponendo il nostro promemoria, dovrà dar luogo ad uno scambio di idee, confidenziale e preliminare, attraverso il quale potremo stabilire se e in che misura potremo presentare alle tre maggiori potenze qualche richiesta di revisione delle clausole economiche, ch’esse siano disposte ad accogliere ed a raccomandare agli altri firmatari.

Escludo che il Dipartimento di Stato ci faccia conoscere la sua reazione prima che sia avvenuto lo scambio di note sulla revisione delle clausole politiche e militari del trattato. Lo escludo perché so che il Dipartimento di Stato ha fondato motivo di temere una reazione sfavorevole della Gran Bretagna e della Francia (soprattutto della seconda) o di temere che, aprendo la questione delle clausole economiche, sarebbe difficile ottenere dalla maggior parte dei firmatari l’approvazione della revisione delle clausole politiche e militari.

Circa la reazione che il Dipartimento di Stato manifesterà a suo tempo (quando, cioè, l’ostacolo sopradescritto sarà rimosso) confermo le previsioni già fatte a suo tempo.

Come ho rilevato nel rapporto 10632 del 4 ottobre u.s.3, nel quale riassumevo i risultati del viaggio di V.E., la sola tesi sulla quale possiamo validamente appoggiarci è il parallelismo fra la revisione politico-militare e quella economica. Nella prima non abbiamo preteso (né potevamo pretendere) la restituzione di ciò che l’Italia ha pagato, in territori ceduti o in altra forma, e chiedevamo invece che cadessero le discriminazioni tuttora gravanti sul nostro paese. Allo stesso modo, nella seconda, non possiamo pretendere d’essere sciolti dagli obblighi già assunti (e del resto in gran parte assolti o sostituiti da altri, negoziati bilateralmente) bensì soltanto di far cadere la discriminazione.

Da questo principio scaturisce, come diretta conseguenza, il fatto che, in pratica, possiamo attenderci poco o nulla dall’eventuale revisione delle clausole economiche. Ciò si rileva, per absurdum, anche dagli studi del competente ufficio, che mi sono stati rimessi da V.E. in allegato alle sue comunicazioni.

Infatti, se si va al di là dell’abolizione delle discriminazioni, si cade subito nell’art. 78. Su questo punto, è vano sperare appoggio dagli Stati Uniti e sarebbe inopportuno chiederlo, per le ragioni da me ripetutamente indicate. Il Governo americano non sarebbe in grado, neppure se lo volesse, di rinunciare ai suoi diritti in base all’art. 78, che, nella loro modestia, stanno a fronte di gigantesche elargizioni fatte dal contribuente americano al popolo italiano. Fra l’altro, l’abrogazione totale o parziale dell’art. 78 apparirebbe come un premio alla lentezza con la quale finora abbiamo fatto fronte ai nostri obblighi.

Se, per contro, rimaniamo nel campo delle discriminazioni, possiamo ottenere qualche cosa, ma non d’importanza rilevante. Possiamo chiedere che sia fissato un termine per la presentazione dei reclami, ma in questo caso sfonderemo una porta aperta, perché i principali paesi hanno già fissato il termine. Possiamo chiedere lo sblocco dei beni italiani nei paesi che tuttora li tengono sotto sequestro, ma in questo caso non potremo avere dagli Stati Uniti più che qualche amichevole esercizio di buoni uffici presso i paesi interessati, al fine di concludere con essi degli accordi bilaterali, simili a quelli conclusi con altri paesi. Possiamo insistere sull’abolizione delle commissioni di conciliazione, ma in questo caso, mentre avremo dalla nostra parte il principio dell’abolizione delle discriminazioni, non saremo in grado di offrire ai firmatari del trattato nessuna garanzia equivalente a quella delle Commissioni, essendo privi di una legislazione interna e di un apparato amministrativo, sui quali quei paesi possano fiduciosamente appoggiarsi (come ho rilevato nel sopracitato rapporto del 4 ottobre).

In conclusione, non resta che attendere la reazione del Dipartimento di Stato e, quando sarà venuta, difendere la nostra causa come meglio potremo, tenendo sempre presenti i limiti qui sopra descritti.


262 1 Vedi D. 251.


262 2 Vedi D. 143.


262 3 Vedi D. 132.

263

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 15221/798. Parigi, 27 novembre 1951, ore 8,17(perv. ore 9,40).

Telegramma di V.E. 5741.

Su richiesta sua mi sono incontrato ieri con Brilej. Suo linguaggio con me è stato marcatamente amichevole estrinsecazione positiva. Avendo io riassunto prima conversazione con Bebler2 e sottolineato risultato poco incoraggiante, egli se ne è mostrato sorpreso. Ha ammesso che statu quo non può costituire utile premessa «trattative». Ha riconosciuto invece necessità prendere come base comune concetto di una linea territoriale che egli in termini generici definisce «politico etnica e perciò continua». Si è dichiarato fiducioso che analisi statistica da me proposta a Bebler possa rivelare possibilità intesa su questa base, e ha insistito perché discussione abbia inizio subito, prima della mia partenza per Roma. Ho declinato facendo presente necessario carattere sondaggio di questi primi contatti dovuto alla mia mancanza dettagliate istruzioni.

Non metto in dubbio buone intenzioni Brilej. Resta vedere quanto esse riflettano quelle di Kardelj. Ho avuto impressione che fosse sincero quando ha affermato più volte parlare unicamente a titolo personale e non (dico non) avere alcun incarico sondaggio.


263 1 Del 24 novembre, non pubblicato.


263 2 Vedi D. 248.

264

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15278/803. Parigi, 27 novembre 1951, part. ore 9 del 28(perv. ore 9,30).

Si è aperto oggi dibattito ammissione Italia. Hanno parlato sinora venticinque oratori. Tutti con sola eccezione Polonia e U.R.S.S., hanno appoggiato risoluzione francese1 nonché emendamenti proposti da Guatemala e Perù rilevanti possesso da parte Italia, solennemente riconosciuto da Assemblea generale nel 1949, dei requisiti di cui art. 4 Statuto. Presentazione è stata fatta da Maurice Schumann, caso unico in quanto nella Quarta Commissione, che ha funzioni tecniche, non siedono membri di Governo. Suo discorso è stato efficace e caloroso. Così delegato Stati Uniti, che senza minimo imbarazzo, si è riferito a Dichiarazione tripartita2.

Intervento inglese è stato misurato ma positivo. Tra latino-americani Columbia e Perù, seguiti da Venezuela Costarica Equador e Guatemala, hanno appoggiato progetto francese esprimendo però convinzione che Assemblea debba agire di fronte mancato funzionamento Consiglio sicurezza. Egitto Irak India e Indonesia hanno anche essi aderito a progetto francese, sottolineando contemporaneamente necessità che venga applicato principio universalità. Polonia e U.R.S.S., hanno eccepito incompetenza Quarta Commissione trattare questione ammissione Italia Nazioni Unite e hanno definito progetto francese come ennesima manovra discriminatoria contro gruppo candidati comunisti. Zarubin ha ricordato che U.R.S.S., è da tempo in favore ammissione incondizionata tutti candidati «anche se esistono serie obiezioni per alcuni di essi». Riservatosi prendere di nuovo parola. Con sorpresa generale non ha parlato di mancanza requisiti per ammissione e tanto meno nostra appartenenza Patto atlantico. Naturalmente non (dico non) è affatto escluso che in Assemblea od in Consiglio sicurezza rappresentante sovietico invochi tali motivi. Per seduta domani sono iscritti tredici oratori; lista tuttavia non è ancora chiusa. Prevedesi chiusura dibattito e votazione entro domani3.


264 1 Vedi DD. 230 e 244.


264 2 Vedi D. 124.


264 3 Vedi D. 267.

265

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

L. Roma, 27 novembre 1951.

Following our conversation the other day1, there is one point on which I would like to return.

I said there had never been any desire on our part to obtain Italy’s admission to U.N. through violation of the Charter. You agreed with me that the greatest effort must be made to secure Italy’s admission and that on no account must the matter be shelved.

I appreciate your intention to pursue this objective so insistently. But in addition I would like to recall here the words of the communique issued at the end of our talks in Washington («determination of the United States to press for Italy’s admission to the U.N.») and particularly President Truman’s warm-hearted utterances in Washington when he stated that if the Russian veto continued «other ways must be found to enable Italy to play a full and equal part in upholding the principles of the United Nations».

I quote these passages in addition to what I said the other evening because I think they are a forceful background for common action, and because they made a deep and favourable impression and raised the hopers of public opinion here.

We must contribute to maintain these hopes.


265 1 Vedi D. 255.

266

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 2841/972. Mosca, 27 novembre 1951(perv. il 3 dicembre).

La serie delle note sovietiche alle potenze occidentali si è arricchita recentemente di quattro documenti:

7) la nota 17 novembre 1951 agli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sul Territorio Libero di Trieste1;

8) la nota del 21 novembre 1951 agli Stati Uniti sulla attività sovversiva del Governo americano contro l’U.R.S.S.;

9) la nota del 21 novembre all’Egitto e ai paesi del Vicino Oriente riguardante la proposta di Comando del Mediterraneo orientale;

10) e infine la nota del 24 novembre, ancora agli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, riguardante lo stesso argomento del Comando Mediterraneo.

Per completare il quadro della intensa attività diplomatica svolta dall’Unione Sovietica dal settembre in qua, altre sei note o passi diplomatici precedenti debbono essere ricordati:

1) nota dell’11 settembre 1951 alla Francia, sul riarmo della Germaniaoccidentale2;

2) nota agli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, dell’11 ottobre, sulla revisione del trattato di pace con l’Italia3;

3) dichiarazione di Vyshinsky del 15 ottobre in risposta al passo verbale dell’ammiraglio Kirk sulla Corea e sulle relazioni sovietico-americane4;

4) nota del 15 ottobre 1951 alla Norvegia sulle isole Spitzberg e sulla partecipazione al Patto atlantico;

5) nota (replica) alla Francia del 19 ottobre 1951 sul riarmo della Germania occidentale;

6) nota del 3 novembre 1951 alla Turchia sulla partecipazione al Patto atlantico.

In tutto si tratta dunque di dieci note di importanza politica generale, riguardanti i fondamentali rapporti fra l’U.R.S.S. e l’Occidente (si trascurano, quindi, le due note del 1° e del 31 ottobre 1951 alla Norvegia sulla traslazione delle salme di militari sovietici, riguardanti un argomento particolare di ristretta importanza – nonché la nota sovietica agli U.S.A. sul sorvolo di un aereo americano in Manciuria, non ancora resa pubblica, ed essa pure riguardante un episodio limitato).

Volendo classificare e raggruppare gli obiettivi di tali dieci note, per meglio intenderle, si vede subito che sette di esse riguardano cinque attacchi contro lo schieramento atlantico e il relativo «accerchiamento dell’Unione Sovietica»: l’U.R.S.S. ha reagito protestando contro determinate attività politico-militari occidentali in diversi punti dello schieramento atlantico, ossia: la Germania (due note), la Norvegia e le Spitzberg, la Turchia, Trieste, e il Vicino Oriente (due note).

Le altre tre note o dichiarazioni sono di carattere più generale: una contro la cosidetta attività sovversiva degli U.S.A. contro l’U.R.S.S., le altre due in via di risposta alla Dichiarazione tripartita sul trattato di pace italiano, nonché al passo amichevole di Kirk per la Corea.

In sostanza: all’attività di preparazione occidentale, svoltasi a San Francisco, a Washington, a Ottawa, a Parigi e continuante a Roma, l’Unione Sovietica ha reagito con una sistematica attività diplomatica di protesta e di ammonimento, cercando di infirmare formalmente quel fronte, che non le riesce finora di intaccare sostanzialmente.

2) Gli ambienti diplomatici di Mosca si pongono naturalmente il quesito, dove voglia sboccare questo flusso insistente di proteste e di più o meno chiare minacce. Un punto su cui tutti sono d’accordo, è che esso è abbastanza bene coordinato alla attività della delegazione sovietica all’Assemblea dell’O.N.U. a Parigi. La nota del 21 novembre 1951 sull’attività sovversiva nordamericana è stata semplicemente il preludio di una formale richiesta sovietica alla Assemblea, di discutere la questione, La questione del Comando Mediterraneo è stata largamente trattata da Vyshinsky nel suo discorso del 24 novembre 1951 al Comitato politico. Più o meno, tutta l’attività alleata nel Patto atlantico nei suoi vari aspetti è stata oggetto di discussione e di polemica da parte dei delegati sovietici a Parigi: la Germania, Trieste, la Turchia e la Grecia sono stati più volte menzionati.

Dunque è chiaro che una duplice azione diplomatica e di pressione sull’opinione pubblica si è svolta, coordinatamente, attraverso le note consegnate a Mosca e attraverso la tribuna di palazzo Chaillot: così come si è svolta pure attraverso la stampa comunista mondiale, e nelle varie assemblee e riunioni delle organizzazioni internazionali filosovietiche – Consiglio di Vienna per la pace, Confederazione mondiale dei sindacati, ecc.ecc.

Resta però il dubbio, se tutta questa offensiva diplomatica non preluda a una azione più seria e più positiva contro le nazioni del Patto atlantico, da svolgersi forse questa primavera.

Basterà accennare che il quesito si pone. Debbo aggiungere tuttavia che secondo me, si tratta pur sempre delle solite voci, apprensioni e supposizioni, le quali costantemente si ripetono da parecchi anni circa le intenzioni del Governo sovietico.

Secondo me e secondo i più sereni osservatori di qui, l’offensiva diplomatica sovietica odierna, che fa seguito allo scacco di San Francisco e cerca di contrapporsi alla vigorosa iniziativa occidentale, non va al di là di una azione preparatoria e intimidatoria sui Governi occidentali e sulle opinioni pubbliche dei paesi capitalisti, accompagnata da un effetto rassicurante e incoraggiante sui paesi di democrazia progressiva e sulle rispettive opinioni pubbliche.

3) Per quel che riguarda in modo particolare l’azione svolta da Vyshinsky5 e dalla delegazione sovietica all’O.N.U., si è notata qui la indubbia modificazione e progressione dei vari interventi del mordace ministro sovietico:

a) il primo discorso all’Assemblea è stato violentemente polemico e intransigente, duro di sostanza e aspro di tono: con la proposta di dichiarare la incompatibilità fra lo statuto dell’O.N.U., e il Patto atlantico Vyshinsky ha aperto il fuoco su una base deliberatamente inaccettabile;

b) il secondo discorso all’Assemblea (in data 16 novembre) fu di tono più moderato, per evidenti ordini ricevuti: Vyshinsky fu costretto a esaminare sul serio il progetto di disarmo occidentale; ma nella sostanza il risultato di tale esame fu nettamente negativo. Le conclusioni di tale discorso non misero nemmeno da parte la proposta iniziale di dichiarare illegittimo il Patto atlantico: e mantennero ferme tutte le posizioni sovietiche a riguardo della bomba atomica e del disarmo;

c) il terzo discorso, del 24 novembre, al Comitato politico, fu meno violento nella forma. Inoltre, trattandosi di una dichiarazione pronunciata al Comitato politico in sede di discussione della proposta occidentale sul disarmo, essa diede modo a Vyshinsky di non insistere sulla iniziale proposta relativa al Patto atlantico. Il che non significa tuttavia che questa proposta sia stata abbandonata: essa rimane sottoposta all’Assemblea, ma staccata ormai dalla questione del disarmo: il che è certo un progresso nei riguardi della rigida posizione iniziale, ma non modifica le posizioni fondamentali.

Anzi, l’attenta lettura dei discorsi di Vyshinsky, messa in relazione col contenuto e col tono della propaganda e della stampa qui a Mosca, (di cui si allegano alcuni esempi significativi), consiglia di considerare tuttora col massimo scetticismo la possibilità di un accordo serio all’Assemblea di Parigi in corso. Se è vero, da un lato, che gli occidentali, mentre svolgono le loro tesi di pace a Parigi, non rinunciano ai necessari armamenti e si riuniscono a Roma per regolare l’armamento tedesco nel quadro europeo; non è meno vero dall’altro che i sovietici, mentre presentano i loro progetti di disarmo a Parigi, continuano parallelamente la loro offensiva diplomatica a getto continuo, con la serie di note che si è sopra analizzata. D’altra parte, il contenuto stesso delle rettifiche proposte da Vyshinsky alle proposte dei Tre per la riduzione degli armamenti non implica alcun vero riavvicinamento alla tesi occidentale, ma costituisce la pura e semplice giustapposizione delle proposte sovietiche alle proposte dei paesi atlantici. Il giro vizioso rimane: gli uni sono per il controllo e la ispezione e poi per la riduzione degli armamenti, i sovietici sono per l’immediato divieto e impegno di riduzione, e per un successivo controllo ed ispezione i cui termini restano estremamente equivoci. Dicono ad esempio i sovietici che alla Commissione di controllo spetterà «la emanazione dei dati a tutte le forze armate, comprese le forze semimilitari … ecc.» ma non dicono dove e come la Commissione avrà il potere di assumere tali dati. Al riguardo i sovietici usano continuamente espressioni equivoche, dando la precisa impressione che non vogliano una ispezione diretta e a fondo sulle reali loro forze ma soltanto un controllo superficiale sulle contabilità delle forze armate esibite dagli stessi Governi interessati. Non per nulla il giornalista Leontiev, in una sua conferenza del 16 novembre6, dichiarò che «uno degli elementi della potenza sovietica sta nel segreto sulla quantità e sulla dislocazione delle nostre forze armate». Cosicché, in sostanza, e malgrado il miglioramento del tono, non si vede qui la possibilità di uscire dalle solite discussioni sul disarmo, già ben note nella defunta Lega delle Nazioni, e stagnanti eternamente sulle solite contrapposizioni del disarmo e della sicurezza, del divieto e del controllo, variamente formulate e presentate ma sostanzialmente immutabili.

Un altro aspetto importante della permanente intransigenza sostanziale di Vyshinsky sta nella sua insistenza sulla necessità di risolvere tutte le questioni internazionali in sospeso, in contrasto col metodo empirico e più realistico degli americani, di risolverne gradualmente alcune.

Al riguardo Vyshinsky ha detto chiaramente: «Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, io devo ricordare quanto il Governo sovietico ha detto a quello nordamericano il 5 ottobre di quest’anno relativamente alla dichiarazione orale del signor Kirk, ambasciatore degli Stati Uniti nell’U.R.S.S., e che cioè il nostro Governo, seguendo la sua politica di pace e instancabilmente adoperandosi per lo stabilimento della cooperazione con tutti i paesi desiderosi di collaborare con l’Unione Sovietica, era pronto a rivedere con il Governo degli Stati Uniti tutte le questioni importanti che non erano state risolte ed a discutere le misure per migliorare le relazioni internazionali, comprese le relazioni tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America.

Pertanto, noi dichiarammo di essere pronti a rivedere tutte le questioni importanti che non erano state risolte».

Il signor Acheson ha affermato che le proposte dei «Tre» potrebbero aprire la via alla soluzione «di alcune questioni fondamentali». Noi diciamo: «tutte», e ci viene detto: «alcune». Noi diciamo: «risolvere tutte le questioni» e ci viene detto: «risolviamo alcune questioni importanti».

E poiché queste dichiarazioni non sono che la ripetizione di altre precedenti analoghe affermazioni di Vyshinsky (nella risposta al passo di Kirk e nel primo discorso all’Assemblea) esse sembrano ribadire da parte sovietica quella volontà di risolvere «tutto o nulla» che il più delle volte si traduce nel risolvere precisamente nulla.

I sovietici insomma sarebbero lieti di raggiungere un accordo sulle loro basi, il quale suonasse in sostanza come un programma di generale smobilitazione dello sforzo di riarmo occidentale. Ma non hanno molta fiducia di giungervi, perché vedono che gli americani e i loro alleati sono ben decisi a non lasciarsi accontentare da parole. E perciò, pur insistendo sulle loro formule di pace, i sovietici continuano a mettere l’accento sullo sfoggio di forza e di energia: non potendo sedurre i capitalisti ed indurli ad addormentarsi nella illusoria sicurezza di garanzie verbali, seguono sopratutto ora la strada di intimorirli colla loro forza, coi preavvisi e colle minacce.

Si allegano i seguenti documenti :

1) a 4) traduzione diretta dal testo russo delle quattro più recenti note sovietiche su Trieste, sulla attività sovversiva degli U.S.A., sul Comando Mediterraneo all’Egitto e paesi del Vicino Oriente, sul Comando Mediterraneo alle tre potenze occidentali.

5) 6) 7) 8) commenti dei principali giornali sovietici circa i progetti e le discussioni sulla riduzione degli armamenti alla Assemblea di Parigi7.


266 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 47, p. 902. Vedi anche D. 239.


266 2 Vedi D. 102.


266 3 Ibid. n. 42, p. 808-809. Vedi anche D. 144.


266 4 Vedi D. 162.


266 5 Vedi DD. 226 e 238.


266 6 Vedi D. 238.


266 7 Gli allegati non si pubblicano.

267

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 15297/805. Parigi, 28 novembre 1951, ore 16,30(perv. ore 18,30).

Mi riferisco al mio telegramma n. 8031.

Il progetto della risoluzione francese è stato approvato stamani con 50 voti contro 5 e nessuno astenuto. Tra le assenze l’unica di possibile significato politico è quella dell’Etiopia.

La Russia ed i satelliti (gli unici voti contrari) hanno mantenuto la posizione già indicata ieri. Il delegato polacco ha addirittura espresso la simpatia del suo paese per l’Italia; Zarubin ha reiterato la Russia non avere nulla in contrario all’ammissione dell’Italia.

Il dibattito è stato una manifestazione imponente di solidarietà verso l’Italia che ha riunito l’unanime consenso delle correnti contrastanti degli universalisti, partigiani dell’abolizione del veto in questioni di ammissione, e difensori dell’attuale sistema.

A chiusura del dibattito ho pronunciato poche parole per ringraziare le delegazioni a noi favorevoli, e particolarmente la Francia. Ho espresso la speranza che seguito procedura di cui questo dibattito è soltanto l’inizio, offra occasione all’O.N.U. dimostrare «sua saggezza e vitalità facendo prevalere lo spirito su lettera e la giustizia su rivalità».


267 1 Vedi D. 264.

268

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 15305/807. Parigi, 28 novembre 1951, ore 20,48(perv. ore 21,20).

Mio telegramma 7981.

Con chiusura prima fase procedura per ammissione Italia Nazioni Unite sarei immediatamente disponibile per venire a Roma a conferire su problema Trieste. Com’è noto dal giorno 21 non ho avuto alcun contatto con Bebler2 . In quell’occasione mia posizione di partenza intransigente, più intransigente, mi sembra di capire, di quella significata da V.E. a Washington, poteva spiegarsi con mancanza istruzioni e conseguente carattere sondaggio da mantenersi in questi primi contatti; carattere che posi in dovuto rilievo. Abbordare ora «analisi situazione etnica» senza avere conferito con V.E. su futuro sviluppo negoziati mi sembra non solo sterile ma suscettibile diminuire ancora prospettive già di per sé non brillanti. Sarebbe in sostanza come proseguire anche in seconda fase azione iniziale di sondaggio che può fornire indizi di qualche utilità soltanto a condizione essere reciproca. A questo riguardo desidero precisare che direttive prospettate nella mia lettera numero 4 al segretario generale3, e che hanno avuto approvazione di principio di V.E. si riferivano appunto alla fase sondaggi. Di fronte a risultati di questi non (dico non) mi sembra che possano servire utilmente per «secondo tempo» come accennava segretario generale con sua lettera 7633 se non a condizione avere qualche orientamento circa termini tempi successivi.

Ciò premesso, sono naturalmente pronto eseguire istruzioni V.E. in un senso come nell’altro. Sarò grato telegrafarmi d’urgenza se e quando debba recarmi a Roma oppure se debba proseguire qui contatti con Bebler4.


268 1 Vedi D. 263.


268 2 Vedi D. 248.


268 3 Non rinvenuto.


268 4 Con T. s.n.d. 12084/585 del 29 novembre De Gasperi rispose: «Era già inteso che subito dopo il termine dei lavori del Consiglio atlantico e appena conclusa la prima parte della questione relativa alla nostra ammissione all’O.N.U. V.S. sarebbe venuto a conferire. Perciò venga senz’altro».

269

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,ALL’AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

L. 2153 segr. pol. Roma, 28 novembre 1951.

Il corriere sta per chiudere e ti scrivo perciò in fretta per accompagnarti l’invio di questo memorandum.

Il presidente si è intrattenuto parecchie volte in questi giorni con Eden e avendo notato da parte di questo un certo interesse e favorevole disposizione ai nostri suggerimenti in tema di Medio Oriente, ha voluto consegnargli l’appunto, presentandoglielo come uno studio che gli era stato sottoposto dai suoi uffici e ch’egli passava tal quale al ministro degli esteri britannico per il caso ci fosse qualche idea da poter raccogliere ed utilizzare1.

Allegato

Memorandum segreto.

The Ministry for Foreign Affairs has lately pursued an inquiry through the Arab countries with a view to ascertaining the actual feelings both of the governments and the respective public opinion on the problem of the organisation of their security. In carrying out this inquiry the Italian representatives in the M.E. have stressed in their contacts with local personalities the dangers to which these countries are exposed today, the bonds uniting them to Western civilization, and the sincerity of purpose underlying the policies of the Western Countries and the North Atlantic community toward the Arab world.

The inquiry has indicated that the country in which government and public opinion are most firmly convinced of the need to join with the West in organizing a common defence is the Lebanon. This is largely due to the country’s ancient «occidental» tradition arising chiefly from its geographical position, to the strong influence of Christianity existing there, to the many economic ties with Europe. In Iraq and the Jordan, the governments give the impression of being aware of the need of assuring their defence and of keeping faith to their alliance with Great Britain. Tendencies completely opposite are nonetheless to be registered in vast areas of public opinion, and this, possibly, more markedly in Iraq than in the Jordan. In Iraq the government appears to feel some alarm at the attitude of the people and that of Parliament itself. An increase of anti-Western feeling is reported from the Jordan, especially in the ex-Palestinian territories. The country where public opinion and government appear to be prompted by sentiments most hostile to cooperation with the West is Syria. This is mainly due its situation in relation to Israel. As a matter of fact, the state of mind obtaining in the whole of the Levant appears to be deeply influenced by the Israeli question. When an attempt is made in those countries to impress the paramount need for solidarity between Arab and Western nations, the invariable retort is: «Indeed, but what have the Western powers done for us? They have erected the State of Israel on Arab territory; our true enemy at present is not Russia, which represents no immediate menace to us, but Israel, which has seized our land and continually threatens to expand». These feelings may be justified or not: it is a fact however that they do exist and must be reckoned with.

It would appear, though, that the attitude of the Arab countries might eventually evolve under the influence of Egypt’s attitude. In Egypt, on the other hand, one is faced with a more complicated situation. In addition to the resentment harboured against the Western powers because of Israel, Egypt seems to be swayed by the anxiety to prove to itself and others that it is in fact an independent and sovereign State. The continued presence of non-national troops ever since the Protectorate was originally established has induced a particular psychological state in the country. Egypt’s attitude seems to be now that it is not unwilling to cooperate with the West in organizing collective security, but wishes to be able to do so through negotiations conducted in full enjoyment of its freedom and sovereignty – and this would not be the case, they assert, as long as the present situation prevails. The rulers of Egypt maintain that they have rejected the recent fourpower proposals for two main reasons:

1) that, whereas these proposals acknowledged by their general wording the full independence and sovereignty of the country, none of the single clauses actually modified in any way the present situation;

2) that Egypt would have constantly been placed in a minority position owing to the overwhelming presence of non-Mediterranean countries in the proposed organisation.

At this point it is to be placed on record that doubts are entertained in certain Egyptian quarters in respect of the intransigent position taken up by the government. They are aware to the danger that the present situation, were it to go on for a long time, might easily degenerate into conditions favourable to the spread of Communism, which is only too ready to turn natio-nalistic passions to its own account, particularly in Asiatic and African countries. In view of the mood of public opinion, these elements feel at present unable to take any action to modify the government’s attitude, more so as they themselves feel that there is a strong case in favour of a considerable part of the country’s complaints. Their doubts might be overcome, and their initiative encouraged, should they at a certain moment see the possibility of a solution, suitable to bridge present divergencies.

Our Representatives all concur in pointing out that from a political point of view the basis of a solution might perhaps be found in seeking to give Egypt such a position in the contempla-ted Middle East organization as would place her somehow on a higher level than Israel and other Arab countries. This would both flatter Egypt’s self esteem and, at the same time, allay its fears of Israel. From the military point of view, the proposed solution should envisage the displacement of the greater part of the defence forces to a line further East of the Canal, thus avoiding to give Egypt the sensation of still beeing a country under foreign occupation.

We have good grounds for believing that on above lines, especially as regards the military aspect of the question it might be possible to bring this complicated problem a step forward toward, to a solution. In this connection the following ideas have been set forward by our military experts:

If the concurrence of Egypt is assured, the actual defence of the Canal against a threat from the East would, presumably, not take place in the Canal zone itself, which would in fact remain outside the theatre of operations. The actual defence would be organized and carried out to the East of it, in the Sinai region, thus reducing the military tasks in the Canal zone proper to an antiaircraft and antiparachutist network and antisabotage forces.

Two distinct tasks emerge:

– defence at distance

– defence on the spot

Were Egypt to be brought into a collective organization, it could take upon itself, with such Allied help as might be thought necessary, the defence on the spot. The defence at distance might instead be entrusted mainly to foreign forces.

In view of the composition and armament of Egyptian forces, it would evidently be necessary, now and for quite a time longer, to share in the tasks entrusted to Egypt with the elements it lacks or with complements to its forces, namely aeroplanes and antiaircraft artillery, to be made available by the collective organization.

This conception of defence of the Canal at distance has already been carried out by the British in 1917.

The solution of the problem may be attained pratically by stationing the majority of the non-Egiptian forces on the eastern margin of Egyptian territory: the Gaza area would first come under consideration, although belonging to Palestine it is at present occupied by Egyptians troups. Then would come the Akaba area (Jordan) and two stretches El Auya-El Quseima, El Kuntilla-Bir Galla, on the margin of the Sinai. The defence and permanent occupation line in peacetime would thus be shifted from the Canal to the area astride the Jordan-Egypt-Israel frontier, between the two strong holds of Gaza and Akaba.

It would also be possible to place conveniently within reach a tactical air force.

The positions to be occupied in case of emergency, in Jordan Egyptian and Israeli territory, would have to be defined. It appears in any case that they can be quickly and easily reached from the posts mentioned above.

The air force units detailed to cooperate with the Egyptian forces could be stationed without difficulty in the Canal zone.


269 1 Con L. riservata 4604 del 4 dicembre Prunas informava De Gasperi che la sua iniziativa di intrattenere Eden sulle proposte italiane per il Medio Oriente era stata molto apprezzata dal ministro degli esteri egiziano.

270

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, ANDREOTTI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,E AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI

Nota. Roma, 28 novembre 1951.

La relazione 5 corr. mese del ministro d’Italia a Vienna1, sul suo colloquio con il ministro Gruber non conferma la previsione che i precedenti contatti, di cui al suo telespresso 30 ottobre, avevano indotto lo stesso ministro Cosmelli a formulare circa l’impostazione che da parte del ministro Gruber si intenderebbe dare al suo progettato incontro con l’on. presidente del Consiglio dei ministri2.

Anche tenendo conto delle assicurazioni del ministro Gruber circa le sue vedute personali e pur facendo il maggior credito all’opinione ch’egli agisca sotto l’influenza di ragioni di politica interna, il punto di vista italiano non può essere che quello scolpito nell’appunto 6 corr. mese dell’on. presidente3 e precedentemente nel telegramma da lui indirizzato al ministro a Vienna in data 30 ottobre4.

Ammesso che nel corso dell’incontro possano esser toccati anche punti relativi all’esecuzione dell’Accordo di Parigi – sempre che un preventivo esame ne faccia eventualmente riconoscere l’attualità e l’opportunità di trattazione – è da escludere che si prendano come punto di partenza o di riferimento considerazioni sulla situazione in Alto Adige, che è materia di politica interna italiana.

A maggior ragione poi resta inammissibile (nei riguardi della questione del «metodo», giusta l’espressione usata nel citato rapporto) che la proposta e la realizzazione dell’incontro siano – e, tanto peggio, appariscano – determinate dalle segnalate manovre a Vienna di elementi italiani.

Spiace che, nel corso della conversazione con il ministro Gruber, il ministro d’Italia, considerando esorbitante dalla sua competenza, perché materia di politica interna, il problema dei rapporti del Governo e della pubblica amministrazione italiana con singoli rappresentanti o settori parlamentari italiani, non abbia avvertito o sufficientemente posto in evidenza – a quanto dalla relazione appare – che qualsiasi presa in considerazione del problema stesso da parte di un Governo o di un ministro estero non è questione di politica interna ma, proprio di rapporti da Governo a Governo, e che in ordine ad essa la posizione italiana non può che essere quella già fermamente espressa nel ricordato appunto dell’on. presidente.

Anche sotto tale riguardo pertanto si conviene sull’opportunità che il disconoscimento di alcun nesso tra i ricordati passi di origine alto-atesina presso il Governo di Vienna e il progettato incontro a Roma venga sottolineato con la fissazione della data dell’incontro con la maggiore dilazione possibile5.

Si gradirà cortese comunicazione delle ulteriori istruzioni di codesto Ministero al ministro d’Italia a Vienna.


270 1 Vedi D. 204.


270 2 Con telespr. urgente 0044 del 30 ottobre Cosmelli aveva riferito circa il carattere privato del progettato viaggio di Gruber in Italia, nell’ambito del quale era prevista una visita di cortesia a De Gasperi per un esame «della situazione politica generale e dei rapporti tra i due paesi». Il viaggio non avrebbe avuto «nessun riferimento diretto né all’esecuzione dell’accordo di Parigi, né alla situazione alto-atesina».


270 3 Vedi D. 205.


270 4 Vedi D. 186.


270 5 Gruber venne a Roma in visita privata dal 12 al 15 marzo 1952.

271

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 922. Parigi, 28 novembre 1951(perv. il 29).

L’imminente dibattito alla Camera francese sulla politica estera si annuncia come assai difficile: le due principali questioni in discussione sono, come è noto, il piano Schuman e l’esercito europeo e, dietro le quinte, ma bene in rilievo, il regime contrattuale della Germania, la cui entrata in funzione è connessa con l’entrata in vigore dei due piani. Ancora un po’ più nel retroscena è tutta la situazione francese nel Patto atlantico e le necessità che ne derivano.

Il discorso che ha pronunciato il generale de Gaulle a Nancy non è stato certo fatto per chiarire una situazione già per sé abbastanza confusa; e probabilmente è proprio questo che egli voleva. De Gaulle ha preso posizione abbastanza netta contro il piano Schuman, nettissima contro l’esercito europeo (noto per incidenza che la sua posizione è molto simile a quella che abbiamo presa noi, ossia o autorità federale o niente). Ha infine dato una formulazione abbastanza definita alle insofferenze francesi nei riguardi degli americani; secondo lui il Patto atlantico, politica in sé eccellente, ha attualmente il difetto di essere un impegno francese senza corrispondenti contropartite americane.

Le opposizioni al piano Schuman non sono nuove: da una parte, il Comité des Forges, più influente in questa Camera che non lo fosse nella precedente, che lo trova troppo dirigista; dall’altra, i socialisti che, dicono loro, non lo trovano sufficientemente dirigista (in realtà i socialisti sono influenzati, da una parte, dai laburisti inglesi, contrari al piano Schuman e a qualsiasi progetto europeo, dall’altra, dai socialisti tedeschi che cercano di far cadere Adenauer). Contro 1’opposizione dei socialisti c’è poco da fare; contro l’opposizione di destra il gioco del Governo sarebbe molto più facile; sarebbe sufficiente dire che, né Monnet, né nessuno dei suoi fidi avrà niente a che fare con l’Alta Autorità. Ma anche se Schuman non lo può vedere, e con lui molti dei ministri, nessuno avrà il coraggio di mettersi apertamente contro Monnet. Se socialisti, comunisti e gaullisti votano contro il piano Schuman, fra loro tre hanno una maggioranza di misura: basterebbe qualche astensione, che ci si può sempre procurare con mezzi leciti o illeciti, per farlo passare anche a solo pochissimi voti di maggioranza: quindi per il piano Schuman la cosa è difficile, sì, ma non impossibile.

Molto delicata è la questione dell’esercito europeo. Comunisti e gaullisti sono nettamente contro per ragioni, sia pure, opposte. I socialisti sono pure decisamente contrari: essendo scomparsa l’idea originale del combat team, Moch rinnega suo figlio. E, come se questo non bastasse, dubbi, esitazioni e anche addirittura opposizioni sono forti anche nei partiti della coalizione governativa. Per esempio, Bonnefous, presidente della Commissione parlamentare degli esteri, membro del partitino di Pleven e grande europeo, è pure lui contro. Perfino nel M.R.P. 1’unanimità è ben lungi dall’essere a favore.

Le ragioni sono differenti. Alcuni – tutta la destra – dicono: si vuole far sparire l’esercito francese, con tutto quello che questo significa, per evitare che risorga l’esercito tedesco; molto meglio un esercito tedesco e conservare l’esercito francese. Altri dicono, molto meno esplicitamente: europeo o non europeo; l’esercito tedesco rinasce lo stesso; la rinascita dell’esercito tedesco è una provocazione nei riguardi della Russia, è la rinuncia alla possibilità di un’intesa con la Russia sulla base dell’unificazione e neutralizzazione della Germania; illusione a cui nonostante tutto quello che ha fatto e continua a fare il Vyshinsky molti francesi continuano ad aggrapparsi.

Dietro tutto questo sta la questione della fine del regime di occupazione in Germania. Quali siano stati gli accordi realmente intervenuti fra Adenauer e gli occupanti, il Parlamento e l’opinione pubblica francese non lo sanno: non sanno ancora, cioè, quanto si sia ancora lontani da una reale liberazione della Germania, ma gli entusiasmi di Schuman e di Adenauer, specialmente di quest’ultimo, che per evidenti ragioni di politica interna cerca di magnificare il successo, hanno fatto drizzare le orecchie un po’ a tutti. Né è valsa a neutralizzare questa impressione la reazione di Schumacher, perché di tutto il suo intervento la Francia non ha ritenuto che l’indignazione per avere lui parlato di occupazione americana della Francia. Ora, siccome è stato detto che gli accordi contrattuali entreranno in vigore solo dopo la ratifica dei piani Schuman e Pleven, sono molti i deputati francesi che si dicono: ma allora, se non ratifichiamo il piano Pleven, nemmeno gli accordi contrattuali entreranno in vigore.

Non che individualmente i singoli deputati francesi non si rendano conto che bisogna finirla col regime di occupazione, ma detestano l’idea del dibattito che può portarli a prendere posizione.

A mia impressione, l’opinione pubblica francese, in realtà, non si interessa affatto della questione tedesca, come in fondo non si interessa più di niente, se si fa eccezione dell’aumento delle tariffe, dei prezzi e delle tasse. Ma Governo e Parlamento, del resto, come, in qualche caso, succede anche da noi non si preoccupano di quello che realmente pensi l’opinione pubblica francese; si preoccupano e hanno paura di quello che pensano potrebbe pensare.

Situazione quindi assai delicata; ed il Governo non è in grado di imporre la sua volontà al Parlamento. La posizione di Pleven è talmente traballante – come, del resto, lo sarà quella del suo eventuale successore – che questi non è in grado di imporre niente. Quanto a Schuman, la sua autorità sul Parlamento è pressocché nulla: ha molto fortemente la sensazione che le cose non vanno (questo può anche spiegare la sua esitazione sul piano Pleven), se ne preoccupa perché, questa volta, non c’è dubbio ci andrebbe lui personalmente di mezzo; e di candidati alla sua successione ce ne sono parecchi. L’unico che realmente si batte e si batterà per i due piani sarà Monnet. La sua abilità e la sua influenza non sono da sottovalutare; ma, anche lui, ha molto meno influenza sul Parlamento attuale di quanto non ne avesse su quello precedente. Come aperto dirigista, si trova contro tutto un Parlamento il quale si è considerevolmente spostato a destra. Come aperto europeista, si trova in contrasto con una opinione parlamentare che, dopo essersi lasciata andare per molti anni ad un’orgia di dichiarazioni europeiste, sembra presa oggi da una frenesia di reazione nel senso nazionale francese: anche, se dopo, poi, se ne pentirà.

Resta l’incognita dell’intervento americano.

L’ambasciatore è intervenuto e seriamente. Quanto ad Eisenhower, questi non avrebbe potuto essere più esplicito a Roma. Tutto ciò, evidentemente, conta, anche se meno di quanto avrebbe contato qualche mese addietro quando la generale insofferenza degli americani aveva fatto molto meno strada. Ma l’influenza che Bruce ed Eisenhower possono avere sulla Francia è in buona parte neutralizzata da questa voce, cominciata prima in sordina, ma ora apparsa pubblicamente su tutti i giornali, che molti americani, e particolarmente il Pentagono, non vogliono più l’esercito europeo.

Sarà vero non sarà vero, da qui non è possibile dirlo: le vie degli americani sono molto più infinite di quelle del Signore. Personalmente, ritengo che ci siano sempre stati americani contrari al piano Schuman e al piano Pleven, per esempio l’E.C.A. di Parigi, e che, come in altre cose, gli americani non riescono a mettersi d’accordo. Comunque, mentre l’atteggiamento di Bruce e di Eisenhower avrebbe potuto avere una certa influenza sul Parlamento francese, adesso con queste smentite da parte americana, la loro possibile influenza risulta infinitamente minore.

Che poi ciò possa significare un ritiro dell’America su posizioni di difesa periferica, questo preoccupa poco il Parlamento francese. È difficile chiedere al Parlamento francese di pensare a quello che può accadere in avvenire: più in là del prossimo week end le sue previsioni politiche non vanno.

Tutto questo è, per me, molto, ma molto, preoccupante. Non voglio parlare qui dell’idea europea, che, col fallimento del piano Schuman e Pleven, ossia delle due sole cose concrete che erano state proposte, sarebbe morta e sepolta, anche se il Consiglio d’Europa continuerà imperterrito a lavorare come prima.

Ma una reazione americana ci sarà: favorevoli, o no, all’esercito europeo, una volta messo fuori di questione il piano Pleven, gli americani dovranno affrontare direttamente il problema tedesco; ed è probabile che lo affronteranno a modo loro ossia agendo, sia sul piano politico che su quello militare, di testa propria. Ora, se gli americani rompono gli indugi e procedono per conto loro al riarmo della Germania – ci saranno poi da vedere tutte le infinite complicazioni interne tedesche – qui in Francia andiamo incontro ad una crisi politica di prima grandezza, che può anche arrivare fino ad una più o meno aperta uscita della Francia dal Patto atlantico.

Se poi c’è qualche cosa di vero in quello che dicono molti americani che, fallendo l’esercito europeo, essi possono invece, ritornare a concezioni di difesa periferica, le ripercussioni sulla situazione interna francese non sarebbero meno serie. Oggi nove francesi su dieci brontolano contro gli americani, sono insofferenti della presenza di truppe americane in Francia, delle critiche americane e cosi via dicendo; ma che gli americani facciano semplicemente il gesto di andarsene e ci sarà un’ondata di panico tale attraverso tutta la Francia le cui conseguenze sulla politica interna possono essere differenti, sì, ma comunque radicali.

Tutto questo non può lasciarci indifferenti. La Francia è e resta la chiave di volta dell’organizzazione e della strategia atlantica. Così come essa è oggi, una crisi grave della Francia è una crisi grave, gravissima, di tutta l’organizzazione atlantica.

Noi potremmo, è vero, avere una nostra funzione anche in caso di strategia periferica; geograficamente parlando se si dice che si può difendere la Spagna, si dovrebbe poter dire che si può difendere anche l’Italia. La differenza è che nel caso nostro, agli occhi degli americani, mancano alcune premesse di situazione interna. È una situazione, quindi, a cui si potrebbe rimediare, forse, col tempo; ma comunque, anche da noi, una crisi della politica atlantica come essa è adesso, e che sarebbe anche una crisi degli aiuti economici di varia specie che si spera di avere dagli americani, sarebbe una crisi politica interna di prima grandezza: credo del resto che V.E. ne sia più persuasa di me.

Che noi possiamo fare qualche cosa di concreto agendo sia sui francesi che sugli americani, ci credo poco.

L’unica cosa che noi possiamo fare, oggi, è di non creare troppe difficoltà nostre sull’esercito europeo. Quale sia la posizione che noi abbiamo presa a Roma nel corso delle ultime discussioni, lo ignoro. So però che la nostra presa di posizione, quella governativa, intendo, all’ultima riunione dei ministri degli esteri è stata interpretata, negli ambienti governativi francesi, come un voltafaccia italiano: negli ambienti parlamentari essa è stata, e continua ad essere, sfruttata da tutti i gruppi contrari all’esercito europeo.

Già senza il Benelux, come ebbi occasione di dire a S.E. Taviani, il Parlamento francese avrebbe fatto maggiori difficoltà al piano Pleven. Ora si dice: col Benelux ci si potrebbe mettere d’accordo se non ci fosse l’opposizione italiana.

Tutto può cambiare all’ultimo momento: non è la prima volta che vedo fare al Parlamento francese delle evoluzioni anche di 180 gradi. Certo, però, che oggi come oggi, le chances che l’esercito europeo passi sono pochine assai. Date le conseguenze gravi che questo può avere sulla situazione francese, sulla situazione tedesca, sulla situazione europea in genere, mi sembra che dovremmo fare molta attenzione a non avere una parte di responsabilità forte nel suo fallimento. Mi si dirà: la colpa non è nostra; e sarà anche vero. Ma a questo mondo quello che sembra ha più importanza di quello che è.

Questo lo dico non tanto per quello che riguarda francesi e tedeschi, quanto per quello che riguarda gli americani. Ci saranno certamente degli americani contrari al piano Pleven; ma il coro di delusione e di risentimento americano sarà, comunque, molto forte contro i responsabili del suo fallimento. E siccome, poi, è sempre cogli americani che ce la dovremo vedere per evitare, per noi, le eventuali ripercussioni di una così grossa crisi politica atlantica, così mi sembra sempre più della massima importanza che la nostra linea di condotta sia tale che non si possa far ricadere su di noi la colpa, anche solo parziale, del fallimento di tale politica: bisogna che sia ben chiaro che la colpa è dei francesi, anzi del Parlamento francese, e solo loro.

So che da noi, non solo nel Parlamento, ma nello steso Governo, i favorevoli all’esercito europeo sono pochissimi, e contrari invece sono molti; ma oggi, più che mai, è necessario che noi lasciamo agli altri la responsabilità di averlo fatto naufragare, anche se le nostre obiezioni, le nostre considerazioni, i nostri timori possono essere tutti giustificatissimi, sotto tutti i punti di vista.

272

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 6133/3475. Londra, 30 novembre 1951(perv. il 3 dicembre).

Telespresso ministeriale n. 2123/c. segr. pol.1.

Come ho segnalato con telespresso urgente n. 046 del 13 corrente2, ci era stato chiesto da parte inglese se consideravamo preferibile che la risposta britannica alla nostra nota relativa alla revisione del trattato di pace avesse carattere definitivo ovvero se essa dovesse avere forma interlocutoria ed essere seguita in un secondo tempo da un vero e proprio scambio di note.

Tale mia segnalazione si è incrociata con il telespresso 11/17413/c, del 12 novembre2 con il quale codesto Ministero informava di avere risposto, ad un analogo quesito avanzato dalla ambasciata in Washington, facendo presente essere preferibile che i Tre rispondano definitivamente esprimendo il loro accordo sul contenuto della nostra nota.

Non appena ricevuto il telespresso 2123/c. segr. pol. Ho provveduto a prendere contatto con il Foreign Office per assicurarmi circa la forma che avrebbe assunto la risposta inglese, dato che il paragrafo 4 del citato telespresso menzionava che i Governi americano, britannico e francese risponderanno prendendo atto della nostra comunicazione ed assicurando «il loro accordo nella forma usuale agli scambi di lettere (ripetizione del testo e conferma di concordarvi)».

Come ho riferito con telegramma odierno3 il Foreign Office ci ha dato confidenzialmente visione del progetto di nota di risposta, di cui accludo il testo originale nonché la traduzione italiana4. Si tratta di un progetto non ancora definitivo, che l’ambasciata britannica a Washington ha ieri rimesso al Foreign Office, in base al quale tutte tre le potenze – una volta definitivamente accordatesi in argomento – dovrebbero risponderci nella stessa forma. Al Foreign Office si riteneva, pur essendo tali accordi generalmente presi a Washington e non qui, che il testo definitivo sarà molto simile – se non identico – a quello qui allegato.

L’unito progetto risulta, secondo quanto ci è stato detto confidenzialmente, dalla fusione di un progetto francese piuttosto generico (e del quale è rimasta soltanto la prima parte) con il progetto americano che specifica in dettaglio su quali punti verta l’accordo.

Effettivamente la forma della risposta non è esattamente quella indicata nelle citate istruzioni ministeriali, ma ho l’impressione che la differenza di forma non dovrebbe avere per noi alcuna rilevanza quando si tenga presente che:

1) la risposta, pur non riportando la parte espositiva della nostra nota, fa tuttavia specifico richiamo alla Dichiarazione tripartita del 26 settembre u.s. nella quale erano chiaramente indicati i motivi per i quali le tre potenze vedevano con favore la revisione;

2) la parte sostanziale delle nostre richieste, e cioè quella relativa alla decadenza dello spirito del preambolo, alle clausole politiche e a quelle militari, è indicata esplicitamente con gli stessi identici termini con cui è formulata nell’ultimo capoverso della nostra nota.

Rimango comunque in attesa delle istruzioni richieste con il mio telegramma odierno5.


272 1 Vedi D. 258.


272 2 Non pubblicato.


272 3 T. s.n.d. 15453/570 del 30 novembre da Londra, non pubblicato.


272 4 Non pubblicati.


272 5 Vedi nota 3. Gallarati Scotti aveva chiesto istruzioni in relazione al paragrafo 4 del D. 258. Non risulta risposta telegrafica.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 926/741. Parigi, 1° dicembre 1951(perv. il 3).

Schumann (Maurice) mi ha detto che le dichiarazioni così nette di Maxwell Fyfe, a Strasburgo, contro una partecipazione inglese all’esercito europeo, rendevano più complicato ancora il dibattito al Parlamento francese. C’erano dei larghi settori dell’opinione politica francese i quali, per un complesso di vecchie tradizioni, non volevano staccarsi dall’Inghilterra e che non accettavano quindi l’idea di una Europa, anche solo per determinati settori, senza l’Inghilterra. Questa stessa gente riteneva anche che, uno degli scopi principali dell’Unione Europea essendo una maggiore autorità nelle trattative con l’America, questa maggiore autorità europea sarebbe stata molto relativa senza una partecipazione inglese.

In realtà, l’Inghilterra, qui in Francia, è un comodo paravento per tutti quelli che vogliono parlare un linguaggio europeo ma non hanno nessuna intenzione di fare qualsiasi cosa di concreto: è tutta gente – e sono molti – che ha tirato un profondo respiro di sollievo quando ha visto che Churchill, una volta arrivato al potere, si è dimostrato altrettanto poco europeo quanto il suo predecessore.

Avendo potuto nel frattempo appurare che era Maurice Schumann all’origine delle voci su di un «voltafaccia italiano», che si erano diffuse nel Parlamento francese e che aveva fornito buoni argomenti agli oppositori (egli è incaricato soprattutto dei contatti fra il Ministero e il Parlamento), ho tenuto a mettere in chiaro con lui la nostra posizione.

Noi ci rendevamo conto – gli ho detto – che non serviva a niente firmare un accordo se non si era ragionevolmente sicuri che il Parlamento lo avrebbe ratificato. Ora le resistenze di vario genere, politiche, nazionali e finanziarie che si avevano al Parlamento francese, si avevano, sia pure in diversa misura, anche al Parlamento italiano. Se non che a differenza del Parlamento francese, il Parlamento italiano, nella sua maggioranza, si era apertamente dichiarato federalista. L’ostacolo principale era, per noi, come per tutti, la difficoltà di fare accettare dal Parlamento italiano il principio di votare ogni anno le spese militari per poi versarle ad un fondo comune, perdendo così ogni potere di controllo sulle spese: difficile anche era di far ripetere ogni anno un dibattito sull’abbandono di una parte di sovranità. Quindi noi eravamo pronti ad andare avanti fino al massimo possibile purché questo esercito europeo avesse un carattere chiaramente confederale.

Questo era stato detto con tutta chiarezza a Schuman (Robert) da Taviani, Lombardo e da me; e Schuman si era sempre mostrato d’accordo sul principio e sulla necessità di una sua realizzazione pratica. Eravamo tanto d’accordo su questo che, di fronte alle difficoltà dei belgi e compagni, in una conversazione, anteriore ala riunione a sei, Taviani aveva detto in forma delle più esplicite a Schuman che Francia, Germania ed Italia essendo d’accordo, in massima, sull’idea federale, noi eravamo pronti anche a procedere solamente a tre. È stato soltanto quando in corso di discussione fra i ministri Schumann aveva dato l’impressione di essere disposto anche a prendere in considerazione la tesi belga che Taviani ha fatto presente che, in questo caso, l’Italia sarebbe stata obbligata a fare tutte le sue riserve sulla parte finanziaria: era allora che aveva accennato ad un bilancio comune che non superasse i duecento miliardi, che era poi la cifra che aveva messo nel più nero pessimismo Maurice Schumann.

Maurice Schumann mi ha detto che adesso la posizione italiana gli era perfettamente chiara: l’ho trovato del resto in stato di grande euforia perché gli era arrivata da Roma una vasta massa di giornali italiani che portavano, con grande rilievo, il suo discorso, del resto impostato alla massima buona volontà, alle Nazioni Unite, sull’Italia. Ho approfittato della mia visita per ringraziarlo, a nome del Governo italiano, per il suo intervento.

Era abbastanza ottimista per il passaggio al Parlamento del piano Schuman. Aggiungo incidentalmente, come V.E. sa, che esso è passato molto bene al Consiglio economico: alle Commissioni del Parlamento, invece, la situazione è ancora in dubbio. Vale la pena di rilevare che nelle varie Commissioni Monnet è stato bersaglio di un fuoco di fila da parte di deputati, debitamente imboccati dal Comité des Forges, su questioni di carattere tecnico. Monnet, che non c’era né preparato, né abituato, si è difeso molto male: soprattutto, cifra alla mano, gli oppositori sono stati in grado di mostrare che su molti argomenti, anche importanti, o non ne sapeva niente o si basava su dati inesatti. Lo scopo dell’opposizione era quello di battere in breccia la sua fama come tecnico: e c’è riuscita in larga misura anche presso i suoi fautori, il che rappresenta per lui un colpo abbastanza grave. Molto apprezzati, anche dagli oppositori, sono stati invece gli interventi di Schuman (Robert), il quale ha mostrato, sul piano tecnico, di essere molto meglio informato di Monnet.

Sull’esercito europeo invece Schumann (Maurice) è stato più che riservato: spera, senza sperarvi molto, nella possibilità di influire sul Parlamento, mettendolo chiaramente di fronte alla responsabilità: o esercito europeo, o esercito tedesco. Dico senza sperarci molto, perché l’opposizione di destra accetta il dilemma e risponde affermativamente alla seconda alternativa; vi risponde soprattutto con una specie di grido patriottico: salviamo l’esercito francese.

Informo anche, per la cronaca, che Maurice Schumann, a cui avevo parlato della strana attitudine di Bonnefous, mi ha detto che egli, non essendo stato rieletto all’Assemblea di Strasburgo e avendo questa dato scarsa attenzione al suo progetto di pool dei trasporti, l’Europa aveva perduto ogni interesse per lui: dove si vede che tutto il mondo è paese.

La stessa chiarificazione della nostra posizione l’ho fatta presso alcuni dei parlamentari più in vista, ritenendo opportuno, ai fini soprattutto delle considerazioni di cui all’ultima parte del mio rapporto ris. n. 922 del 28 novembre1, mettere bene in chiaro le responsabilità di ognuno.

Sempre per gli stessi motivi ho tenuto a spiegare la nostra posizione anche al gen. Biddle che era venuto a vedermi. Biddle, ambasciatore americano a Varsavia nel ‘39, attualmente, mascherato da generale, è incaricato dei contatti diplomatici di Eisenhower. Volendo essere carini si può al di più dire di lui che è una persona di intelligenza normale, ma, nonostante questo, godendo, per la parte politica, della fiducia di Eisenhower, ha anche lui una certa importanza. Egli mi ha detto di condividere interamente il nostro punto di vista sulla necessità di marcare il carattere confederale dell’esercito europeo: mi ha, d’altra parte, confermato che Eisenhower vuole però arrivare ad una conclusione al più presto possibile ed è molto irritato per l’atteggiamento preso dal Parlamento francese.

Nel corso della conversazione mi ha detto che Eisenhower, tornato da Roma, ha riunito i suoi collaboratori ed ha fatto un riassunto, non eccessivamente ottimista, sull’andamento dei lavori della Conferenza stessa. È stato invece molto soddisfatto della conversazione avuta con V.E. e ha detto averla trovata convinta della necessità di fare e fare seriamente sia sul terreno militare che su quello politico. Egli era già rimasto molto soddisfatto di quanto da parte nostra era stato fatto nel campo dell’addestramento delle unità da lui visitate: adesso era rimasto ancora più soddisfatto dallo spirito che anima il Governo italiano.

Secondo Biddle, le parole testuali adoperate dal generale Eisenhower, a conclusione del suo rapporto sulle conversazioni con V.E., sarebbero state le seguenti: «l’Italia è il solo dei paesi europei che ha veramente delle difficoltà per realizzare anche un piano modesto di armamenti; eppure è il solo paese che ha intrapreso il suo lavoro con spirito serio e volenteroso».


273 1 Vedi D. 271.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15559/820-821-822. Parigi, 3 dicembre 1951, ore 21,15(perv. ore 21,30).

Circa riunione Strasburgo, Schuman mi ha detto che vi si reca su pressante richiesta Spaak che gli ha segnalato disorientamento disillusione grave che predomina in ambienti Assemblea: riteneva quindi che presenza alcuni ministri esteri, fra cui lui stesso, Van Zeeland, Adenauer (che ha comunicato direttamente stampa sua presenza) avrebbe potuto servire rimettere su un po’ in ordine situazione Strasburgo.

Quanto a sua comunicazione Assemblea mi ha detto di non essere ancora del tutto deciso: non si tratterà comunque comunicazione a nome Governo francese (che non sarebbe autorizzato fare né da Governo francese né da Statuto Strasburgo), ma di comunicazione personale. Intende più o meno dire che mentre per pool carbone-acciaio, istituzioni previste da patto possono essere sufficienti suo funzionamento, esercito europeo, che implica conseguenze molto maggiore portata, difficilmente potrebbe funzionare se non si prevede qualche forma autorità a carattere federale. Inviterebbe quindi Assemblea studiare sollecitamente possibilità creare organismo supranazionale sia sul piano esecutivo sia sul piano Assemblea che possa gestire in senso più o meno federale sia esercito europeo sia sue possibili estensioni: si riservava anche possibilità dare Assemblea qualche suggerimento personale circa migliore forma mettere in esecuzione queste idee. Le istruzioni che avevo da Roma circa sua venuta Strasburgo essendo piuttosto vaghe, gli ho detto che da parte nostra si desiderava soprattutto non creare difficoltà a Francia e in particolare a lui Schuman in un momento particolarmente delicato. Ciò premesso, a parte fatto che per V.E. non era molto facile assentarsi da Roma anche per breve tempo, V.E. si domandava se, dato stato animo Assemblea (in cui tendenze federaliste e tendenza inglese praticamente si bilanciavano), intervento personale vari ministri degli esteri solo per avanzare suggerimenti, che potevano anche avere accoglienza dubbia da parte Assemblea, era opportuno ai fini stessi delle idee che essi volevano propugnare.

Da parte nostra ci si domandava se non sarebbe stato meglio elaborare eventuali proposte, da farsi ad Assemblea, in riunione ministri degli esteri in modo mettersi d’accordo almeno su grandi linee; fra l’altro prendere linea nettamente federalista significava, in vista atteggiamento assunto da Inghilterra e da paesi scandinavi, orientarsi verso piccola Europa: non che da parte nostra si scartasse a priori simile eventualità, ma trattavasi comunque decisione politica di certa importanza, su cui non tutti, all’interno, specialmente in Francia, erano d’accordo e di cui bisognava valutare tutti aspetti e tutte conseguenze. Provocare in Assemblea discussione non sufficientemente preparata, poteva creare divisioni ancora più gravi delle attuali e correva anche rischio vederle dirigersi verso soluzioni radicali che potevano poi essere inaccettabili su piano governativo.

Pure essendo assai vagamente orientato su intenzioni V.E., non (dico non) ho detto che V.E. non ha intenzione recarsi Strasburgo: ho tenuto piuttosto dare impressione che V.E. ci stava pensando e che voleva sentire anche pensiero Schuman prima decidersi.

Schuman mi ha detto che considerazioni che gli avevo fatto avevano loro peso. Sua posizione personale era differente: anche per considerazioni politica interna francese in vista difficile dibattito per esercito europeo Parlamento francese, sua presenza Strasburgo era necessaria: pensava però che, data differente situazione parlamentare in Italia, era forse meglio che V.E., non intervenisse di persona. Siamo venuti poi parlare esercito europeo. A mia richiesta se ne avesse parlato con V.E., mi ha detto aver avuto impressione che V.E. a Roma abbia voluto di proposito evitare conversazione con lui sull’argomento per cui non era maggiormente illuminato su punto di vista italiano. Gli ho ripetuto nostra posizione, almeno in quanto essa mi era nota fino a qualche giorno addietro, mettendo in rilievo che nostre limitazioni, del resto come quelle francesi, belghe e di tutti, erano dettate da esigenze di carattere parlamentare. Gli ho accennato (naturalmente non in questa forma) che Governo francese poteva impegnarsi in una certa direzione anche rischiando essere poi smentito da Parlamento. Questo avrebbe imposto dimissioni Gabinetto, ma dimissioni Gabinetto sono in Francia questione ordinaria amministrazione. V.E. invece, specie essendo attualmente ministro degli esteri, non poteva impegnarsi su via che non sarebbe stata approvata da Parlamento poiché crisi ministeriale, involvente anche persona V.E., avrebbe avuto conseguenze di ben altra portata in Italia; era quindi evidente che da noi si anteponessero ad ogni altra queste considerazioni che non erano poi solo di interesse italiano.

Schuman mi ha detto di comprendere nostro punto di vista e di essere venuto alla conclusione che sistema sinora seguito di far trattare questione da delegati, entro certi limiti indipendenti, non poteva più continuare e che era necessario avere riunione sei ministri degli esteri (ha sottolineato più volte parola «ministri degli esteri», volendomi con questo far comprendere che era necessario suo intervento «personale») in maniera da raggiungere formula che fosse accettabile per tutti quanti. Dal corso conversazione mi è apparso chiaro che Schuman non teneva sua presenza Strasburgo ai fini riunione Assemblea, ma in quanto occasione per poter discutere fra ministri degli esteri interessati questione esercito europeo, ritenendo potere in caso sua venuta avere facilmente intervento anche Stikker e Bech. Si tratta quindi più che altro di vedere se V.E. preferisce discutere di questo argomento a Strasburgo lunedì prossimo oppure se preferisce che ciò avvenga in riunione a Parigi a data che potrebbe essere decisa in base convenienza V.E., ma che comunque non dovrebbe essere troppo lontana. Aggiungo per sua informazione che Schuman non se la prenderebbe a male sua assenza da Strasburgo se si risponde affermativamente per riunione ministri esteri Parigi; ma che rifiutare tutte e due alternative creerebbe situazione un po’ delicata. Aggiungo anche che non (dico non) è possibile andare Strasburgo e non discutere questione esercito europeo. Schuman mi ha pregato fargli conoscere appena possibile decisioni di V.E.1.


274 1 Con il T. segreto urgente 12261/603 del 5 dicembre Zoppi comunicò: «Presidente De Gasperi è pronto recarsi Strasburgo lunedì 10 corrente e ne ha già dato comunicazione a Lange. Presidente è anche d’accordo che a Strasburgo si discuta su esercito europeo. Presumiamo che, quale promotore iniziativa, Schuman provvederà a tal fine a fare invitare anche Stikker, Bech e Adenauer». Per il seguito vedi D. 279.

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L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 6211/3513. Londra, 3 dicembre 19511.

Facendo seguito al mio telegramma del 1° corrente2 ho l’onore di accludere l’appunto redatto dopo la conversazione che ho avuto quel giorno con Brilej.

Del criterio della «ragionevole linea etnica», a differenza di quella di «bilancia etnica» di cui Bebler sembrava voler ancora avvalersi nel suo primo contatto con Guidotti3, ho già fatto menzione nel mio telegramma.

Ma su un altro punto ritengo di dover attirare l’attenzione di V.E. ed è sulla questione di Pirano. Le affermazioni di Brilej che io non ero disposto a cedere un centro come quello, e che se le trattative fossero state a noi affidate si sarebbe giunti a una soluzione concordata, non erano certo fatte a scopo di incensamento: il che sarebbe fra l’altro in contrasto con il carattere del mio interlocutore. Bensì mi sembra che egli volesse servirsi di quell’espediente per indicare indirettamente una delle «rinuncie» a cui gli jugoslavi sarebbero disposti. Questa interpretazione appare tanto più esatta in quanto vi fa riscontro una frase, sia pur più vaga, che lo stesso Brilej mi aveva espresso in altra occasione circa la necessità di «completare» Trieste con il suo golfo.

Come è indicato nell’appunto, Brilej sa che ormai la «fase londinese» è chiusa: e per parte mia sono stato con lui quanto mai esplicito a questo riguardo.

Nel manifestare un certo disappunto di essere tagliato fuori dalle trattative, cosa comprensibile dato che egli è senza dubbio uno degli elementi più intelligenti e preparati della giovane diplomazia jugoslava, Brilej ha voluto ripetermi le più simpatiche espressioni nei riguardi di Guidotti ed ha formulato l’augurio che la situazione venga presto affrontata in pieno a Parigi onde giungere a quella soluzione che è nel reciproco interesse dell’Italia e della Jugoslavia.

Allegato

Appunto segreto. Londra, 1° dicembre 1951.

L’ambasciatore di Jugoslavia, Brilej, appena rimesso dalla indisposizione che lo aveva colpito al suo ritorno da Parigi, ha chiesto di vedermi perché desiderava tenermi al corrente dei risultati delle sue conversazioni con Kardelj.

Già prima di partire, egli mi aveva detto che si recava a Parigi in relazione alla questione del T.L.T.: ed ora mi ha precisato che scopo precipuo della sua visita era stato di accertarsi personalmente presso il proprio ministro degli esteri dell’effettivo punto di vista jugoslavo sulla questione, ciò tanto più avendo avuto sentore che il primo contatto Bebler-Guidotti3 non era stato dei più incoraggianti.

Nel nostro colloquio del 9 ottobre u.s. circa il quale riferii (mio 5182/2961)4 al Ministero, Brilej mi aveva parlato della possibilità di una soluzione sulla base di una «ragionevole linea etnica»: il che si distaccava sostanzialmente dal criterio – inaccettabile per noi in linea di principio – di «bilancia etnica».

Evidentemente non si trattava di farina del sacco di Brilej bensì di cose che gli erano state dette a Belgrado durante il suo congedo nella capitale jugoslava: tuttavia qualche dubbio doveva essersi successivamente affacciato alla mente del mio collega; e appunto per tale motivo egli aveva voluto conferire in questo momento con Kardelj sulla questione. Dopo i colloqui avuti con il suo ministro, Brilej era in grado di confermarmi quanto di aveva detto in precedenza, e cioè che la Jugoslavia è anche oggi pronta ad un accordo sulla base suindicata.

Quanto alla esatta portata dell’aggettivo «ragionevole», egli non aveva evidentemente veste per delinearla con precisione. Ma ha voluto darmi una indicazione da cui si può ricavare con una certa approssimazione in quale senso gli jugoslavi interpretano questo termine. Egli si è cioè richiamato alla constatazione che il criterio della linea etnica, se condotto alle sue estreme conseguenze, porterebbe alla creazione di una serie di piccole Zare in quanto i centri cittadini sono abitati da italiani e le campagne da slavi; evidentemente, egli aggiungeva, ciò sarebbe un assurdo e la soluzione dovrebbe essere pertanto temperata da qualche rinuncia dall’una e dall’altra parte.

Brilej aveva voluto, nelle sue conversazioni con Kardelj, non lasciare adito ad ogni benché minimo equivoco sui nostri sondaggi relativi alla questione del T.L.T. nel corso degli ultimi due anni. Egli aveva chiarito al ministro degli esteri jugoslavo che, se qualche frutto si poteva trarre dalle nostre precedenti conversazioni, lo si doveva non certo ad una mia personale simpatia per le posizioni jugoslave, bensì esclusivamente al fatto che sia io che lui (Brilej) condividevamo la convinzione che il problema va risolto.

A questo punto Brilej mi ha aggiunto: «ho detto a Kardelj che a mio avviso, Gallarati Scotti non sarebbe certo disposto a maggiori rinuncie che non gli altri italiani: egli non cederebbe certo ad esempio Pirano». E, subito dopo, mi ha affermato: «se l’incarico delle trattative fosse stato a noi affidato, noi saremmo certo giunti ad una soluzione concordata perché ci rendiamo entrambi conto che una sistemazione definitiva del T.L.T. corrisponde ai veri interessi dei nostri due paesi e a quelli di tutto l’Occidente in questa fase di rafforzamento delle sue difese di fronte alla crescente minaccia sovietica».

Di Bebler, pur esprimendosi nei termini più cauti, mi ha ancora una volta lasciato comprendere che la sua ormai lunga assenza dalla Jugoslavia e il conseguente distacco dal problema in discussione, non lo rendevano forse particolarmente adatto ad assumere posizioni nette (e quindi costruttive) in una fase di puro sondaggio che – a giudizio di Brilej – era ormai alquanto superata. Anche per questo motivo il mio collega jugoslavo aveva fatto presente a Parigi la necessità che si «negoziasse» subito se si volevano raggiungere risultati concreti: i sondaggi potevano infatti solo complicare le cose o farle addirittura arenare in quanto né l’una né l’altra parte, in una fase così preliminare, sarebbe giunta a posizioni abbastanza precise da incoraggiare l’altra ad esprimersi chiaramene.

Brilej era stato favorevolmente impressionato dal carattere di assoluta segretezza con cui Kardelj circondava la questione. Quando la prima sera a Parigi egli eveva fatto cenno a Kardelj dei contatti italo-jugoslavi per la soluzione del problema del T.L.T., in presenza di altri funzionari jugoslavi, Kardelj lo aveva immediatamente interrotto dicendogli che di questa questione egli voleva parlargli esclusivamente a quattr’occhi.

Prima di lasciarmi, Brilej mi ha detto che nei prossimi giorni egli vedrà Eden e si esprimerà con lui nello stesso senso in cui ha parlato con me. Egli naturalmente sa assai bene che la fase dei nostri sondaggi è ormai largamente terminata e che è a Parigi e non a Londra che vanno condotti – attraverso i canali appositamente designati dai rispettivi Governi – i negoziati da cui potrà emergere la soluzione del problema. Ma Brilej si rende pienamente conto di quale importanza l’Inghilterra annetta a una soluzione del problema, sa come Londra abbia fatto ripetutamente sentire a Belgrado che è ormai ora di affrontare la situazione realisticamente, e perciò ritiene necessario – nella sua responsabilità di ambasciatore jugoslavo nel Regno Unito – di seguire da presso gli sviluppi del problema e di favorirli in ogni modo possibile, sia attraverso i suoi contatti con il Foreign Office, sia nei suoi rapporti con me.


275 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


275 2 T. s.n.d. 15511/571, con il quale Gallarati Scotti aveva anticipato le notizie qui più ampiamente commentate.


275 3 Vedi D. 248.


275 4 Vedi D. 137.

276

IL MINISTRO MALAGODIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 15670/5701. Parigi, 5 dicembre 1951, ore 20,29(perv. ore 20,40).

T.C.C. Due lunghe riunioni hanno avuto luogo ieri durante le quali si è esaminata una traccia di rapporto preparato dall’Ufficio esecutivo ed un primo rapporto parziale S.C.S., mentre considerazioni relative alla riorganizzazione politico-economico e militare del N.A.T.O. sono state esposte verbalmente da Harriman e da Mac Narney.

Poco più che una serie di intestazioni di capitoli è contenuta nella traccia di rapporto finale, ma essa è sufficientemente completa prevedendo un piano militare articolato per paese e per anno, per l’anno 1952 particolarmente; analisi maggiori dei problemi economici e cioè deficit dollari, E.P.U., sviluppo economico in relazione al futuro costo della difesa, necessità di materie prime e di mano d’opera, misure finanziarie; nuovi standards militari; problemi organizzativi politici e militari; raccomandazioni specifiche su azione di ciascun paese politico-economica e militare.

Lunedì con i generali Marras e Morch avevo potuto esaminare il primo rapporto S.C.S.

Assai vivace è stata la discussione, che peraltro, data la natura dei documenti ha avuto carattere preliminare. Si è deciso in conclusione che lunedì 10 corrente l’Ufficio esecutivo farà avere alle delegazioni una bozza delle parti principali del rapporto finale, sulle linee discusse ieri, accompagnate da tutti i dati essenziali d’ordine militare ed economico-finanziario, divise per paese e per anno, e da raccomandazione circa i potenziamenti ed i contributi di ciascun paese finanziari ed economici. Saranno contenuti in tale bozza anche raccomandazioni d’ordine organizzativo, tenendo conto dei suggerimenti che nei prossimi giorni le singole delegazioni potranno fare giungere. Venerdì 14 corrente sarà iniziata su tale base dal T.C.C. la discussione conclusiva, che certamente durerà non meno di cinque o sei giorni, ma non oltre il 21 o il 22 dicembre, possibilmente. Aggiungo a tale riguardo che è mia impressione, nonché di Monnet e di Hirschfeld, che, data la complessità e la difficoltà della materia, non sarà facile rispettare tale termine.

Ho sottolineato da parte mia la necessità di evitare che il T.C.C. produca soltanto un piano militare sostanzialmente uguale ai precedenti, accompagnato da generiche raccomandazioni politiche-economiche, ma senza entrare nel vivo dei problemi generali o nazionali dai quali la possibilità dello sforzo di difesa è condizionata. Ciò rappresenterebbe sotto l’aspetto politico ed economico un fallimento di evidente gravità dal quale il rafforzamento della difesa nell’anno 1952 verrebbe seriamente impedito.

I seguenti sono gli altri punti principali sui quali sono intervenuto:

1) analisi economica non deve essere orientata unilateralmente sulla bilancia dei pagamenti ma deve tenere altrettanto conto delle necessità di sviluppo interno;

2) emigrazione;

3) bilancio dello Stato e stabilità finanziaria dello stesso;

4) necessità di precisare i nuovi standards militari adottati dal S.C.S. anche in relazione alla scelta finale da fare in specie per l’anno 1952 fra numero maggiore di unità a grado meno elevato di approntamento temporaneo; e numero minore con completo approntamento;

5) riserva su poteri da conferire a S.A.C.EUR in tema di assegnazione diend items eccetera eccetera fino a quando non sia chiarito tanto il precedente punto  4) quanto la valutazione del coefficiente di rischio sul fronte meridionale nella quale differisce da S.H.A.P.E. lo Stato Maggiore italiano.

Ho avuto anche una conversazione particolare con Harriman – su cui riferisco per corriere2 – su questi due ultimi punti (4 e 5).

Per corriere trasmetto il su riferito documento2. Pel chiarimento dei vari punti sono in contatto S.C.S. ed Ufficio esecutivo.

Per predisporre lo svolgimento ulteriore del lavoro, dopo la ricezione dall’Ufficio esecutivo della nuova documentazione nonché per eventuali nostri suggerimenti ad Harriman, mi riservo di prendere con V.E. contatti telefonici.


276 1 Diretto anche al ministro del bilancio Pella, al sottosegretario al bilancio Zerbi ed al capo di Stato Maggiore della difesa Marras.


276 2 Non pubblicato.

277

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 2930/1020. Mosca, 5 dicembre 1951(perv. il 12).

La chiusura della sessione del Consiglio atlantico, tenutasi recentemente a Roma, e le discussioni che si protraggono in seno all’Assemblea dell’O.N.U. a Parigi, forniscono l’occasione alla propaganda sovietica per fare un bilancio, sia pure parziale, degli orientamenti della politica sovietica e dei recenti «successi» ottenuti.

Tutta la stampa sovietica, seguendo la parola d’ordine del solito direttore d’orchestra, pone in rilievo come dall’epoca della Conferenza di San Francisco la situazione sia sensibilmente evoluta in favore dell’U.R.S.S. e come fatalmente essa debba nel futuro svilupparsi lungo le linee tracciate dall’Unione Sovietica.

Questo è il principale leit motif della propaganda sovietica che pone nel dovuto rilievo come le contraddizioni ed i contrasti in seno al blocco occidentale stiano aumentando nella misura in cui si sviluppa la corsa al riarmo.

In altre parole, secondo i dirigenti sovietici, lo stesso potenziamento militare dell’Occidente – con la miseria che ne deriva, con la opposizione delle popolazioni assetate di pace, con i contrasti tra i Governi – contiene i germi fatali del suo indebolimento.

A conferma di questa tesi si citano vari fatti e notizie attinenti ai due principali avvenimenti politici di questi ultimi tempi: la riunione del Consiglio atlantico avvenuta a Roma e la sessione dell’Assemblea generale dell’O.N.U. di Parigi. Si asserisce che il Patto atlantico è in crisi e che il privilegio americano della «maggioranza meccanica dei voti» in seno all’O.N.U. è pericolante.

Crisi del Patto atlantico. La stampa annunzia che la riunione di Roma si è chiusa con un nulla di fatto e che i principali problemi sono stati rinviati alla prossima sessione del Consiglio atlantico che si terrà a Lisbona nel febbraio p.v.

Lo scacco subìto dalla Conferenza viene attribuito alla «opposizione dei vassalli» che si sarebbe manifestata soprattutto in due problemi posti all’ordine del giorno: nella costituzione dell’esercito europeo e nell’acceleramento del riarmo.

Per quanto concerne il primo argomento vengono posti in rilievo i contrasti di interessi tra U.S.A., Gran Bretagna e Francia. Mentre la Francia, nel timore di un riarmo indipendente della Germania, vorrebbe che le forze armate tedesche fossero assorbite in un esercito europeo, gli inglesi di forze armate europee non ne vorrebbero sapere giacchè esse diventerebbero fatalmente instrumento nelle mani degli americani. E Churchill ben sapendo che né Francia, né Belgio, né Italia, né gli altri paesi dell’Europa occidentale accetterebbero di partecipare a tali forze armate ove la Gran Bretagna rimanesse assente, contratterebbe la sua partecipazione all’esercito europeo con maggiori aiuti americani nel campo economico e con l’appoggio degli U.S.A. alle aspirazioni britanniche di predominio nel Medio Oriente. Ma le speranze britanniche sarebbero fallaci perché gli americani intenderebbero riservare a se stessi quel settore con la costituzione del Comando per il Medio Oriente.

Sulla questione dell’acceleramento dei piani di riarmo sia la Gran Bretagna che gli altri Stati satelliti del blocco occidentale opporrebbero resistenza avanzando considerazioni di carattere economico e finanziario.

Di fronte a questa situazione poco edificante Eisenhower non nasconderebbe la sua irritazione stigmatizzando il prevalere di aspirazioni nazionalistiche nella trattazione di problemi militari e minacciando che se la questione tedesca non verrà risolta nel quadro del Patto atlantico allora, «sarà risolta con altri mezzi», rilevando così la sua intenzione di ricostruire la Wehrmacht come strumento di guerra esclusivamente americano.

La Pravda del 4 dicembre in un articolo della Cieciotkina asserisce pertanto che il blocco atlantico è entrato in una «fase critica» aggiungendo che «è dubbio che i contrasti possono essere nel futuro sanati. Anzi le maggiori contraddizioni sono da aspettarsi, dal momento in cui i paesi dell’Europa occidentale stanno incontrando maggiori difficoltà come risultato della loro corsa al riarmo».

Assemblea Generale dell’O.N.U. Tutta la stampa è piena di allusioni ai sentimenti di rivolta nutriti dai paesi coloniali o oppressi contro le grandi potenze occidentali. Asserisce che le rivendicazioni coloniali sono condotte nei paesi oppressi di tutto il mondo, in alleanza con il proletariato e sotto la guida del proletariato. Tra i paesi oppressi e sfruttati desiderosi di maggiore indipendenza vengono accomunati non solo i paesi del Medio e dell’Estremo Oriente (Egitto, Iran, India, Pakistan ecc.) ma anche i paesi del Sud America.

Questi sentimenti di rivolta e di insofferenza si manifestano – secondo la propaganda sovietica – anche in seno all’Assemblea generale dell’O.N.U., dove la «maggioranza meccanica dei voti» che gli U.S.A. si è assicurata, diventa ogni giorno più aleatoria.

Vengono poste in rilievo le dichiarazioni fatte all’O.N.U. dal delegato egiziano che ha esplicitamente suggerito che le proposte sovietiche sul disarmo fossero studiate congiuntamente con quelle delle potenze occidentali, ha stigmatizzato il Patto atlantico e gli altri patti regionali e chiesto la proibizione dell’arma atomica.

Sono poste in evidenza le dichiarazioni del delegato iraniano che ha asserito che la Gran Bretagna minaccia l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’Iran per difendere gli interessi della A.I.O.C.

Largo spazio è riservato alla presa di posizione del delegato siriano secondo il quale «l’organizzazione della cosidetta difesa del Medio Oriente è molto simile alla preparazione di un intervento americano in quella regione».

Vengono annoverati come successi sovietici la costituzione del sottocomitato destinato a trovare un punto di incontro tra la tesi sovietica e quella occidentale sul disarmo e l’inserimento all’ordine del giorno della questione dello stanziamento da parte del Governo americano di 100 milioni di dollari per attività spionistiche e sabotatrici contro i territori dell’Unione Sovietica e delle democrazie popolari.

La stampa segnala per giunta che anche nel blocco latino americano incominciano a verificarsi dissensi ed opposizioni. Cita ad esempio la presa di posizione del delegato cileno, Carabates, che si sarebbe opposto al tentativo americano di eludere le Dichiarazioni sui diritti e doveri degli Stati che darebbero noia agli autori del Mutual Security Act.

Asserisce che gli U.S.A. sono ancora in grado di fare approvare attraverso il meccanismo della votazione le loro decisioni, ma questo meccanismo si indebolisce ogni giorno maggiormente. La Pravda del 4 dicembre profetizza che nella misura in cui il tempo passa riuscirà sempre più difficile agli americani di assicurarsi la ben nota «maggioranza meccanica». «Questo, conclude, è il segno dei tempi!».

Tali sono i commenti della stampa, pronti a mettere in evidenza ogni segno di debolezza nel campo occidentale. Non bisogna però attribuire ad essi un significato eccessivo. Specialmente per ciò che riguarda l’O.N.U., i sovietici sanno che i segni di malcontento di taluni paesi costituiscono incrinature, non già rotture nella maggioranza filoamericana. Tant’è vero, che i resoconti di Parigi del giorno 4 dicembre recavano questo significativo sottotitolo: «Il nucleo aggressivo in seno all’O.N.U. prepara nuove misure per minare le Nazioni Unite». I sovietici sono cioè, come sempre, divisi tra la speranza che li induce a sottolineare ogni contrasto capitalista, e la realtà che mostra loro un blocco atlantico sostanzialmente unito.

Tuttavia, non si può negare che i sovietici mostrano rilevare una progressione, sia pur lenta, del desiderato indebolirsi del fronte nemico: ed è in questo senso che vanno intese le loro esclamazioni di soddisfazione, qualche volta volutamente accentuate ed esagerate al fine di incoraggiare le opinioni pubbliche amiche.

278

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A DAMASCO, NATALI

T. 12337/36. Roma, 6 dicembre 1951, ore 23.

Suo 621.

Questo Ministero per quanto non abbia ancora elementi sufficienti per apprezzare appieno conseguenze ultimo colpo di Stato ritiene che atteggiamento V.S. debba soprattutto informarsi a seguenti punti:

1) desideriamo mantenere con nazione siriana attuali amichevoli rapporti;

2) desideriamo evitare che atteggiamento V.S. possa dare impressione indebita ingerenza in questioni interne;

3) pur evitando quindi ogni atto prematuro che solo diretto apprezzamento situazione potrà far valutare, converrà evitare si crei situazione disagio con quel Governo che assumerà poteri in forma abbastanza stabile;

4) si tenga comunque in contatto con rappresentanti potenze maggiormente interessate.


278 1 Del 4 dicembre, con il quale Natali informava dell’avvenuto colpo di Stato in Siria e chiedeva istruzioni al riguardo.

279

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15686/836-837. Parigi, 6 dicembre 1951, ore 8,30(perv. ore 9,35).

Miei 820, 821 e 8221.

A seguito mia comunicazione telefonica confermo che lunedì 10 sarà destinato Strasburgo comunicazioni ministri ad Assemblea e 11, 12 e, se necessario, anche 13 mattina saranno destinati riunioni ministri per questione esercito europeo. Segreteria dirama oggi stesso inviti specificando che a riunione prenderanno parte oltre ministri esteri soli capi delegazioni, ossia due persone per ogni paese.

Schuman mi ha incaricato ringraziare V.E. per avere accettato recarsi Strasburgo.

Per opportuno orientamento V.E. informo che per quello che concerne due principali questioni controverse idee Schuman (che non sono poi necessariamente idee che verranno alla fine concretate da Governo francese) sono nelle loro linee generali seguenti:

1) È impossibile partire fin da oggi su basi federalistiche; deve trattarsi soltanto di uno scopo verso cui marciare. Questa è concessione che Schuman intende fare a belgi, ma d’altra parte occorre anche riconoscere che Parlamento francese non sarebbe affatto maturo. Mi domando anzi, a questo proposito, se fra le ragioni di questa poco chiara messa in scena davanti Assemblea Strasburgo, non ci sia anche quella dare una certa soddisfazione sia a noi che ad altri federalisti rigettando responsabilità successo od insuccesso idea federalistica su Assemblea.

2) Per quello che concerne bilancio, Schuman non sembra condividere idee molto assolute presentate da delegazione francese (tel. Lombardo in data odierna n. 829)2 ma mi ha anche detto con ogni franchezza che bilancio ridotto, del genere di quello proposto da noi alla ultima riunione ministri esteri, non (ripeto non) è sotto nessuna forma accettabile per Francia. Bilancio comune potrà non comprendere almeno all’inizio tutto il bilancio nazionale ma deve assolutamente comprendere la parte relativa soldo truppe ed ufficiali. Se non si accetta questo punto – mi ha detto – esercito tedesco sarebbe pagato da Governo tedesco e questo è inaccettabile per Francia. Segnalo questo perché da quanto comprendo questione soldo truppe è punto più sensibile per noi.

Stampa francese produce nuova serie articoli da Washington contrari esercito europeo.

Per quanto concerne fondo questione, ripeto che a mia impressione Parlamento francese voterà esercito europeo solo se ci sarà pressione violentissima americana, pressione che naturalmente si eserciterebbe se del caso anche su di noi.

Di questo mi sembra occorrerebbe tener conto nel presentare e difendere nostri punti vista Strasburgo, dato che, come al solito, segreto riunioni sarà di pubblica ragione. Mi sembra dovremmo tener conto due considerazioni.

a) Non permettere francesi, che in vista difficoltà parlamentari non domanderebbero di meglio, far ricadere su di noi di fronte ad americani conseguenza fallimento progetto esercito europeo; ciò che poi è linea di condotta a cui si ispirano con molta abilità tedeschi. Mi sembra preferibile lasciare Parlamento francese tutte sue responsabilità.

b) Non prendere posizioni negative troppo recise che poi potremmo essere obbligati abbandonare di fronte pressione americana.


279 1 Vedi D. 274.


279 2 Non pubblicato.

280

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 6 dicembre 1951.

L’ambasciatore d’Egitto è venuto a vedermi lunedì u.s.

Voleva naturalmente sapere se nel corso delle riunioni del Consiglio atlantico si fosse parlato di Egitto e se V.E. aveva avuto occasione di intrattenere il sig. Eden sull’argomento.

Sul primo punto gli ho detto che, come era del resto stato anche pubblicato, taluni ministri avevano esposto lo stato attuale dei problemi politici che interessano in modo particolare i loro paesi e la comunità atlantica. Così il ministro di Norvegia aveva riferito sulle controversie in corso fra il suo paese e l’U.R.S.S., e Eden aveva riferito sulla situazione egiziana. Gli ho detto che l’esposizione di Eden era stata pacata e obbiettiva e che il ministro britannico aveva espresso la speranza che si potesse trovare una soluzione. Gli ho accennato anche alla dichiarazione di V.E. Gli ho poi detto che sulla questione delle credenziali vi era stato parere concorde dei Tre – per ora – interessati (Grecia, Olanda, Portogallo) di soprassedere ed aderire alla richiesta egiziana. Quanto all’incontro fra V.E. e Eden non gli ho detto che è stato rimesso a quest’ultimo un Memorandum con le note proposte1. L’ho però assicurato che tali proposte erano state prospettate da V.E. all’interlocutore britannico che le aveva ascoltate e le avrebbe esaminate. Ho aggiunto che Eden ci era parso orientato a cercare di sbloccare la situazione quando giudicasse il momento maturo. Di più non ho detto, né mi è parso conveniente dire anche perché non credo convenga dire o fare alcunché che possa indurre gli egiziani a mantenere la loro attuale intransigenza. Mi permetto anzi sottoporre a V.E. il suggerimento di dire all’ambasciatore di Egitto che, se da un alto siamo ben disposti ad aiutarli, dall’altro non possiamo che vedere con preoccupazione l’aggravarsi della situazione (episodi di ieri e ieri l’altro), in quanto sono suscettibili di provocare sviluppi pericolosi.

Vi può essere sempre il rischio o che gli inglesi perdano la pazienza, o che il Governo perda il controllo della situazione a tutto vantaggio degli estremisti che inevitabilmente sarebbero di sinistra più che di destra. E in entrambi i casi i nostri sforzi sarebbero votati a sicuro insuccesso2.


280 1 Vedi D. 269, Allegato.


280 2 Il documento reca in calce la seguente annotazione autografa di De Gasperi: «Veduto oggi lo stesso amb. [vedi D. 286] il quale, a titolo personale, mi esorta a continuare lo sforzo conciliativo, affermando che la proposta dello spostamento potrebbe portare alla distensione. Possibilità di sua conversazione col min. est. 7.XII.51».

281

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 6 dicembre 1951.

Strasburgo. L’imminente incontro di Strasburgo ha luogo in un momento delicato dell’idea europeista. Esso trova la sua origine, infatti, in una generale crisi di sfiducia manifestatasi nel corso di queste ultime settimane negli ambienti dell’Assemblea, in conseguenza, sopratutto, dei seguenti fattori:

1) Il disinteresse che circoli ufficiali e vasti strati dell’opinione pubblica europea sono venuti dimostrando in questo ultimo anno verso i lavori di Strasburgo in conseguenza di quello che è, o che è parso, un disinteresse dei Governi verso l’idea federalistica o l’incapacità o impossibilità da parte dei Governi medesimi di superare le difficoltà che ostacolano la unificazione europea.

2) La ritirata effettuata dai conservatori britannici dalle posizioni europeiste assunte da Churchill lo scorso anno a Strasburgo.

3) La visita compiuta alla metà di novembre dal noto gruppo di parlamentari americani a Strasburgo e le serie critiche da costoro manifestate a proposito della incapacità finora dimostrata dagli europei a marciare seriamente sul piano della federazione europea (con le prevedibili ripercussioni che tali critiche possono avere sull’opinione pubblica e sugli ambienti parlamentari nord-americani).

4) L’impasse manifestatasi a Parigi, in sede di conferenza della Comunità europea di difesa, e successivamente a Roma, nell’ultima sessione del Consiglio atlantico.

5) L’apparente abbandono, da parte di Schuman, del proposito da lui annunciato alla stampa verso la fine di ottobre di lanciare a Strasburgo una nuova proposta per una federazione europea: ciò che venne interpretato come un indiretto riconoscimento del fatto che l’idea europea non ha più una grande forza di attrazione, o concrete possibilità di successo.

In tale situazione il presidente dell’Assemblea Spaak ha ritenuto necessario «tonificare» gli ambienti europeistici e ha pregato i ministri degli esteri d’Italia, di Francia, di Germania, del Belgio e della Norvegia di volersi recare a Strasburgo per prendere la parola di fronte all’Assemblea.

Se questa è la genesi del prossimo incontro di Strasburgo, va rilevato che l’oggetto del medesimo sarà tuttavia duplice:

1) Idea federalista: a tale problema sono interessati anche i paesi non facenti parte della Conferenza di Parigi per la Comunità europea di difesa, ma membri del Consiglio di Europa.

2) Esercito europeo: d’intesa con noi, Schuman ha convocato infatti i ministri degli esteri dei paesi aderenti alla Comunità europea di difesa (quattro dei quali già figuravano nel precedente invito di Spaak) in modo da riprendere la discussione relativa, al più alto livello, in occasione dell’incontro di Strasburgo.

Per quanto concerne il primo aspetto, e cioè il problema federalista, il dibattito alla recente Assemblea di Strasburgo ha preso le mosse dal rapporto della Commissione affari generali che, riconoscendo la necessità di fare qualche cosa di nuovo dopo il constatato fallimento dei precedenti progetti, raccomandava le seguenti soluzioni:

a) creazione di un Collegio semi-permanente dei ministri degli affari europei (la responsabilità della politica estera resterebbe tuttavia nelle mani dei singoli ministri degli esteri);

b) convocazione, per il principio del 1952 di una Conferenza europea composta dei rappresentanti di Governi, Parlamenti, organi sindacali e padronali, economici e giuridici, del Consiglio di Europa e delle varie istituzioni europee, allo scopo di riorganizzare i maggiori organi di collaborazione internazionale (O.E.C.E., Consiglio di Europa).

Sul problema delle riforme istituzionali la Commissione non ha invece raggiunto un accordo unanime e si è limitata ad indirizzare un appello alla Gran Bretagna.

La discussione che si è svolta sulla predetta raccomandazione ha messo a luce due opposti orientamenti.

Da un lato quello del portavoce del Governo conservatore, il quale a respinto ogni soluzione federalistica, pur approvando invece la proposta di una Conferenza europea e riservandosi di esaminare quella relativa alla creazione di un Collegio semi-permanente di ministri degli affari europei. A questo atteggiamento si è associata quella parte dell’Assemblea – circa la metà – che comprende oltre agli scandinavi e alla maggioranza dei social-democratici, anche vari titubanti francesi, belgi e turchi, fermi nel convincimento che una Europa senza una stretta collaborazione britannica non sarebbe vitale.

Dall’altro lato le proposte della Commissione affari generali sono invece apparse troppo timide alle correnti federalistiche le quali, a loro volta, hanno presentato due mozioni: la prima, ispirata da esponenti francesi di Nouvelles Equipes Internationales raccomanda l’istituzione di un Organo esecutivo europeo, comprendente commissari per gli affari esteri, economia, giustizia, difesa, cultura, igiene ed emigrazione; la seconda mozione, che raccoglie i suffragi di numerosi parlamentari italiani, francesi e tedeschi, raccomanda invece la convocazione di una Assemblea eletta dai paesi del piano Schuman per la elaborazione di un patto aperto a tutti i paesi europei ed istituente una autorità politico-federale.

I due campi, quello cioè britannico ed anti-federalista da un lato e quello federalista dall’altro, più o meno si bilanciano in termini di voti all’Assemblea. Nel campo federalista le delegazioni più compatte appaiono l’italiana e la tedesca mentre il punto più delicato è rappresentato da quei settori parlamentari francesi e belgi i quali in mancanza di più stretti legami britannici con l’Europa, si dichiarano perplessi per la ratifica del piano Schuman e ancor più dell’esercito europeo ove temono di trovarsi un giorno di fronte ad una preponderanza germanica.

Vi è d’altra parte chi non esclude che in relazione all’atteggiamento nord-americano, la Gran Bretagna, pur non riprendendo la posizione assunta un anno addietro da Churchill, si induca tuttavia a modificare l’attuale suo atteggiamento: gli esponenti di questa corrente sono inclini a non precipitare le cose e ad attendere una eventuale evoluzione britannica.

Questo è il quadro generale nel quale si inserisce la riunione del 10 p.v. Circa quello che i vari ministri si propongono di dire in quella occasione, non abbiamo sinora alcuna indicazione di prima mano, salvo per quanto concerne Schuman (Robert). Parlando con i francesi, il ministro degli esteri francese ha già premesso, che sulla questione della futura organizzazione europea la sua non sarà una comunicazione a nome del Governo francese, ma avrà carattere personale. Egli intendeva dire più o meno che mentre pel funzionamento del piano Shuman possono essere sufficienti le istituzioni previste dal piano stesso, l’esercito europeo difficilmente potrebbe funzionare se non si prevede qualche forma di autorità a carattere federale. A questo riguardo egli inviterebbe l’Assemblea a mettere allo studio la possibilità di creare un organismo sopranazionale, sia sul piano esecutivo sia su quello dell’Assemblea, il quale sia quindi in grado di gestire, in senso più o meno federale, tanto l’esercito europeo quanto le sue eventuali estensioni. In proposito Schuman si riservava di dare a Strasburgo qualche suggerimento personale.

Per quanto concerne il secondo aspetto e cioè la questione esercito europeo, la situazione attuale si può così riassumere:

L’Italia ritiene che non si possa, dal punto di vista politico, giuridico e logico, costituire una comunità della difesa, con totale bilancio comune, soppressione della individualità nazionale delle forze armate, e dei rispettivi Ministeri della difesa, rinuncia dei Parlamenti a controllare il bilancio se non costituendo anche un minimo di Federazione europea almeno per questo particolare settore.

La Germania e la Francia sembrano disposte ad aderire a questa nostra tesi, ma non ne fanno una condizione sine qua non, e per andare incontro al Benelux, restio ad incamminarsi su questa strada, sono disposte anche a non insistere sul tema federativo, accontentandosi di una soluzione empirica purché sia salvaguardato il principio del bilancio comune totale, che comporta la soppressione (nel caso tedesco la non creazione) dei Ministeri della difesa nazionale.

Il Benelux non è nemmeno disposto ad arrivare a tanto ed accetterebbe una soluzione imperniata su due bilanci, uno nazionale ed uno comune per le spese comuni che sarebbero limitate agli alti Stati Maggiori, scuole, ecc.

Fra le tre soluzioni quella che noi consideriamo impraticabile è la seconda, per cui in mancanza di una adesione del Benelux alla nostra proposta non ci rimarrebbe che: o inclinare verso un accordo a tre (posto che ci convenga sotto altri aspetti e che Francia e Germania vi aderiscano), o ripiegare sulla tesi del Benelux eventualmente cercando di migliorarla sino a renderla accettabile ai francesi.

282

L’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 3468/1113. Atene, 6 dicembre 1951 (perv. l’8).

Questo sottosegretario agli affari esteri, Averoff, è ritornato da Roma estremamente compiaciuto per le accoglienze da noi riservategli e molto soddisfatto per le importanti udienze che gli sono state concesse. L’ho visitato stamane, trovandolo non soltanto interessato più di prima ai nostri problemi, ma singolarmente orientato nei confronti dell’Italia e di un sincero rafforzamento delle relazioni fra Roma ed Atene. L’entusiasmo per la recente missione avrà senza dubbio la sua parte in tale stato d’animo; tuttavia, e pur con la moderazione dovuta, non ne va sottovalutata l’importanza, essendo Averoff una personalità di notevole valore e di sicuro avvenire, con qualche idea in testa e, soprattutto, deciso ad imporla ed a prevalere.

Egli mi ha fra l’altro parlato a lungo dei rapporti italo-greci nel loro insieme. Li ha definiti, in sostanza oggi assai buoni e tendenti anzi ad un progressivo miglioramento.

Fin dalla primavera scorsa le continue prove di correttezza e buona volontà fornite dal nostro Governo, specie in materia di riparazioni – ha detto Averoff – avevano accresciuto le simpatie ufficiali per l’Italia. La diffidenza dell’opinione pubblica continuava tuttavia ancora piuttosto marcata. La consegna dell’incrociatore «Eugenio di Savoia» ha rappresentato, si può dire, un momento di decisiva importanza. Si credeva che non sarebbe avvenuta e che l’Italia avrebbe cercato di rifarsi, nei confronti della piccola Grecia, della cessione alla grande Russia di tanta parte della propria flotta. Da quel giorno il linguaggio della stampa ellenica è assai mutato: scomparsi gli attacchi e le critiche, poco a poco si affacciarono accenni, constatazioni ed infine commenti per l’Italia simpatici e via via sempre più favorevoli.

L’appoggio deciso ed energico fornito dal Governo italiano alla Grecia in favore della sua ammissione al Patto atlantico ha infine convinto e non soltanto gli ambienti ufficiali dell’opportunità ed anzi della necessità di una stretta intesa con Roma.

Ciò detto, il sottosegretario ha tenuto tuttavia a mettermi in guardia contro eccessivi ottimismi.

L’applicazione dell’Accordo di collaborazione, ancora complessa, non mancherà di sollevare ulteriori difficoltà: non sono, peraltro queste che sembrano preoccupare il signor Averoff. Ma piuttosto lo inquieta la fragilità delle basi su cui si va costruendo l’edificio abbastanza solido delle relazioni fra i due paesi. L’orientamento «italianizzante» dell’opinione pubblica greca, egli ha spiegato, non va scambiato ancora per atteggiamento «italofilo». L’ammirazione che si prova da molti, ed in misura crescente, per il nostro paese, si trasforma sovente in dispetto. Molti rancori persistono e, se vanno passando allo stato latente, sono ancora pronti a riaffiorare alla prima occasione. Si può insomma contare, a suo parere, su una simpatia dell’opinione pubblica ellenica verso l’Italia finché quest’ultima continui a compiere gesti simpatici verso la Grecia: ma qualora il Governo di Roma dovesse anche solo per un istante dar l’impressione di una tendenza diversa, – e per ragioni contingenti, egli ha ammesso, ciò potrebbe accadere – l’opinione greca quasi senza dubbio, mancandole ancora la necessaria elasticità e comprensione, sarebbe pronta a risollevarsi contro di noi.

Tutto ciò, ha concluso il sottosegretario, dovrà migliorare col tempo ed è comune compito far sì che avvenga il più rapidamente possibile. Per parte sua egli ha le migliori intenzioni di collaborare a tal fine: ritiene sopratutto che debba in avvenire essere curata ed intensificata l’attività culturale in maniera pratica ed efficace.

Abbiamo insieme deciso di ritornare prossimamente su questo argomento.

2. Il quadro della situazione tracciatomi dal signor Averoff, concorda, in sostanza, con il mio punto di vista in proposito.

Effettivamente, per quanto concerne l’orientamento dell’opinione ellenica verso l’Italia ne ho pur io osservato da tempo il progressivo miglioramento. Gli attacchi spesso velenosi di questa stampa sono cessati. Colpisce anzi in questi tempi la pubblicazione di articoli a noi favorevoli: ne trasmetto, ad esempio, tre con questo corriere, apparsi nell’ultima settimana ed uno dei quali a carattere ufficioso (vedi mio telespresso n. 3440/1106 in pari data)1.

L’interesse dei greci, soprattutto dei giovani, per quanto avviene o si fa nel nostro paese è crescente: oltre 800 sono gli studenti inscritti quest’anno nei nostri Atenei e parecchie centinaia di altri non hanno potuto farlo solo per mancanza di mezzi. Fenomeno, quello di questo afflusso, tanto più interessante e ricco di significato in quanto si accompagna ad un parallelo e crescente deflusso delle Università inglesi e soprattutto francesi che sino ad oggi «formavano» la classe colta locale.

Giornalisti, uomini d’affari e rappresentanti di questo ristretto mondo intellettuale vanno di continuo in Italia e ne tornano tutti indistintamente con impressioni assai favorevoli.

Una tangibile prova dei sentimenti verso il nostro paese è stata fornita dalle sottoscrizioni in occasione delle recenti alluvioni nel Veneto ed alle quali i cittadini greci hanno partecipato in misura inaspettata.

È doveroso constatare questi fatti e trarre da essi buoni auspici per il futuro: soprattutto nel senso che il terreno greco vale la pena di essere lavorato.

3. Che la Grecia poi senta oggi la necessità di un progressivo avvicinamento all’Italia sul terreno diplomatico, credo poterlo confermare. Son portato ad aggiungere che tale necessità viene ben intesa da questi circoli responsabili, perché si comprende che è ineluttabile.

Tra il ’47 ed il ’50 i greci poterono considerarsi su un piede di perfetta parità con i turchi quali caposaldi della difesa antisovietica nel Vicino Oriente. Poi ebbero l’impressione, abbastanza fondata, che nell’opinione e negli aiuti americani Ankara avesse prevalso su Atene e di tale preferenza hanno molto sofferto.

La campagna volta ad ottenere l’ammissione nel Patto atlantico valse ad avvicinare le due capitali: ma fu un avvicinamento laborioso. I turchi non perdettero occasione per ostentare una talquale superiorità; a stento si piegarono a conversazioni preliminari fra Stati Maggiori e poco fecero perché esse approdassero a risultati concreti. Tutto ciò mentre si moltiplicavano fastidiosi incidenti ai danni di pescatori greci nell’Egeo e mentre la Turchia manifestava la sua ostilità alle aspirazioni elleniche su Cipro.

La progettata inclusione della Grecia nel settore Eisenhower, a differenza di quanto si penserebbe per la Turchia, ha ora rovesciato le posizioni. Atene si sente ad un tratto più sicura o piuttosto meglio «europeizzata» che non Ankara. E sentendo, pur senza apertamente ammetterle, tutte le sue debolezze, non cerca di meglio che essere in qualche modo appoggiata nel mare magno del N.A.T.O., da una potenza la cui voce abbia peso maggiore di quella propria. L’Italia le permette, con la sua amicizia, di assicurarsi, con l’apparenza di una assoluta parità, una tutt’altro che disprezzabile sorta di larvata protezione, beninteso sotto la più vasta copertura atlantica.

Il viaggio del signor Averoff a Roma, allorché i turchi vi designavano come osservatore semplicemente il loro ambasciatore in Italia, era l’espressione appunto di questo sottinteso: la Grecia, nel Patto atlantico, si considera sin d’ora meglio legata all’Occidente che non la Turchia e intende comportarsi di conseguenza. Le accoglienze italiane al sottosegretario ellenico hanno servito a confermare a questo Governo che Roma è ben disposta a fungere la sua parte di amica pur senza volerla ostentare.

Su questo cammino, che i greci stessi ci indicano, mi par conveniente per noi di seguitare.


282 1 Non pubblicato.

283

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 1891/13521. Londra, 6 dicembre 1951(perv. il 10).

Riferimento: Da ultimo mio telespresso n. 1773/1264 del 7 novembre scorso2.

Il problema della costituzione dell’esercito europeo è stato certamente il punto più interessante dello scialbo Consiglio atlantico di Roma3 anche se, con il rinvio del problema del riarmo della Germania al prossimo Consiglio atlantico, non vi sia stato apparentemente che un nulla di fatto.

Le posizioni dei paesi europei del N.A.T.O. nei confronti della Conferenza di Parigi sono apparse a Roma sostanzialmente immutate. Anche la posizione del Governo conservatore inglese non è sembrata molto dissimile da quella presa dal Governo laburista e le aspettative in contrario, fondate sulle ancora recenti dichiarazioni fatte da Churchill quale capo dell’opposizione, non hanno trovato a Roma conferma. Le odierne dichiarazioni di Churchill ai Comuni, insistendo nella posizione presa da sir David Maxwell Fyfe a Strasburgo, non lasciano del resto dubbi al riguardo.

Quello che merita di essere attentamente esaminato è invece l’atteggiamento americano rivelatosi ancora più incerto per il passato e che è potuto sembrare addirittura contraddittorio se si pongono a raffronto il caloroso appello rivolto al Consiglio atlantico dal generale Eisenhower a favore dell’esercito europeo con le preoccupazioni americane di carattere politico già affiorate a Londra e confermate a Roma.

Tali preoccupazioni sono apparse di duplice natura. Da una parte infatti il sospetto che la Comunità europea di difesa possa tralignare e divenire, anziché uno dei pilastri della Comunità atlantica, la terza forza neutralista e d’altra parte la preoccupazione chiaramente espressa che, una volta raggiunto faticosamente un accordo circa la costituzione dell’esercito europeo, qualche Parlamento, ed in particolare quello francese, possa respingere l’accordo stesso così da dovere tornare, dopo aver perduto un tempo prezioso, a considerare la pura e semplice partecipazione germanica in un esercito atlantico di coalizione.

Tali dubbi e preoccupazioni sono apparsi evidenti nelle discussioni che i sostituti hanno avuto a Roma sul testo dei due progetti di risoluzione presentati rispettivamente dagli americani e dai francesi circa l’esercito europeo. In tali discussioni gli americani hanno rifiutato di assumere, non dico un qualche impegno, ma soltanto di accettare un linguaggio limitativo della loro libertà d’azione per il caso in cui Washington, sempre più convinta della necessità assoluta di assicurare il contributo tedesco alla difesa dell’Europa, dovesse constatare che il miraggio di una Comunità di difesa europea non avrebbe altro risultato che quello di ritardare il riarmo della Germania.

In sostanza, l’attuale posizione americana mi sembra possa così riassumersi: preferenza per un riarmo tedesco nel quadro di una Comunità europea di difesa, a condizione tuttavia che da un lato si arrivi a Lisbona con un piano concreto da tutti accettato, e che non presenti troppo grande rischio di essere respinto dai Parlamenti, e che dall’altro si trovi il modo di ristabilire tra il N.A.T.O. e la costituenda Comunità europea di difesa legami tali da garantire contro degenerazioni terzaforziste.

Qualora ciò non avvenisse non mi sembra che possa dubitarsi della determinazione americana di spingere il riarmo della Germania nel quadro della forza integrata.


283 1 Diretto anche all’ambasciata a Londra ed alla delegazione per la Comunità europea di difesa a Parigi.


283 2 Con il quale Rossi Longhi aveva riferito il colloquio avuto con Spofford sulla posizione statunitense circa il rapporto fra la N.A.T.O. e la C.E.D.


283 3 La VIII sessione del Consiglio atlantico tenutasi a Roma dal 24 al 28 novembre.

284

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 15757/850. Parigi, 7 dicembre 1951, ore 21,55(perv. ore 22).

Con 54 voti favorevoli, 5 contrari (Russia e suoi satelliti) e 1 astenuto (Etiopia) risoluzione Quarta Commissione per ammissione Italia Nazioni Unite è stata testé approvata da Assemblea generale alta. La presentazione è stata nuovamente fatta da Maurice Schumann, ministro essendo impegnato per tutta la giornata in dibattito parlamentare su piano Schuman. Sebbene fosse convenuto che discussione Assemblea, succedendo a così breve distanza a quella amplissima Quarta Commissione, si sarebbe limitata esposizione punti di vista avversi, Russia e tre satelliti nonché dodici delegati a noi favorevoli hanno preso la parola.

Dei cinque assenti che mancavano nella precedente votazione, quattro hanno votato in favore, quinto, Etiopia, ha sostenuto la curiosa tesi di essere favorevole all’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite, contraria sua piena partecipazione Consiglio tutela; data connessione fra le due questioni suo delegato ha dichiarato astenersi.

Sono da rilevarsi seguenti tre principali aspetti dibattito: 1) Russia e satelliti hanno di nuovo affermato non (dico non) essere contrari ad ammissione Italia, ma voler respingere «discriminazioni» contro certi Stati; 2) delegato peruviano, in forte discorso, ha rilevato carattere politico e non giuridico opposizione russa, riaffermato diritto Assemblea richiamare il Consiglio di sicurezza all’osservanza dello Statuto e riservato esplicitamente diritto sua delegazione proporre nuovamente problema ad Assemblea generale in caso veto russo in Consiglio.

Queste due circostanze, cioè chiari segni da parte russa, nonostante contrarie predizioni di non voler mutare illegale motivazione suo veto e volontà di alcune delegazioni latino-americane di risolvere direttamente questione in Assemblea, unitamente imponente successo votazione, cominciano preoccupare delegazione Stati Uniti e forse altre grandi potenze. Ne nasce situazione complessa sulla quale mi riservo di riferire prossimamente1.


284 1 Vedi D. 306.

285

L’INCARICATO D’AFFARI A TIRANA, GULLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 15762/131-132-133-134. Tirana, 7 dicembre 1951, ore 19,10(perv. ore 23).

Ieri questo Ministero degli affari esteri ha inviato a questa legazione di Francia la risposta alla nota che il Ministero degli affari esteri francese aveva consegnata alla legazione albanese a Parigi per comunicare la dichiarazione comune dei Governi inglese francese e statunitense circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. e la revisione del trattato di pace con l’Italia.

Tale risposta è redatta sulla falsariga di quella già data ai tre sovra citati Governi dalla Russia1. In più l’Albania nega che l’Italia abbia finora agito nello spirito dell’O.N.U. ed abbia rispettato gli impegni internazionali derivanti dal trattato di pace, particolarmente nelle sue relazioni con l’Albania, verso la quale, seguendo, «la stessa politica di quella seguita dal fascismo di Mussolini» e nutrendo «le stesse mire imperialistiche» verso di essa, ha e continua a mantenere «un’attività aggressiva ed ostile».

Qui di seguito il lungo elenco delle accuse: aiuti ai fuorusciti; organizzazione del blocco indipendente; violazione dello spazio aereo; invio in Albania di spie e sabotatori addestrati in Italia (vengono citate al riguardo varie dichiarazioni rese ai processi); campagna stampa «ignobile di invenzione e calunnie» contro il Governo albanese (numerose citazioni di articoli pubblicati da giornali italiani); mancata esecuzione da parte italiana del trattato di pace e rifiuto di permettere l’invio a Roma di una delegazione albanese per discutere questioni attinenti al trattato stesso; la Nota verbale sostiene poi che i tre succitati Governi, minacciando l’indipendenza e la sovranità del popolo italiano, hanno trasformato l’Italia in base militare per i loro scopi aggressivi, ed afferma che il Governo albanese si «oppone categoricamente» ai piani di riarmo dell’Italia, considerando l’attuale politica del Governo italiano verso l’Albania identica a quella del regime fascista di Mussolini. Dichiara inoltre di non comprendere l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. senza che vi venga ammessa anche l’Albania che si è sacrificata nella causa comune contro il fascismo (vengono a tale proposito citati elogi dell’Albania fatti da Molotov, Eden, Cordell Hull, Churchill) e la cui mancata ammissione è dovuta all’«ingiusto» atteggiamento degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia che, servendosi del diritto di veto, si sono sistematicamente e «impudentemente» opposti.

Il Governo albanese, nonostante tutto, si dichiara d’accordo sulla proposta di revisione purché il nuovo trattato contenga le clausole del trattato vigente relative agli obblighi italiani verso l’Albania, purché siano riveduti contemporaneamente i trattati di pace con la Finlandia, l’Ungheria, la Romania, e la Bulgaria e purché il Governo italiano si ritiri dal «blocco aggressore atlantico».

Parimenti il Governo albanese è d’accordo per l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. a condizione che vi siano contemporaneamente ammesse l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Romania e la Finlandia.

In sostanza la nota albanese ripete i motivi contenuti nell’analoga nota sovietica dell’11 ottobre scorso aggiungendo a quella russa nuove condizioni e subordinazioni e ribadendo i soliti argomenti polemici.

Per corriere trasmetto il testo della Nota stessa2 che mi è stata data oggi in visione dal mio collega francese.


285 1 Vedi D. 144.


285 2 Non pubblicato

286

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON L’AMBASCIATORE D’EGITTO A ROMA, BADR BEY

Verbale1. Roma, 7 dicembre 1951.

L’ambasciatore d’Egitto è stato ricevuto, a sua richiesta, il 7 u.s. Ha chiesto al presidente quanto aveva già domandato al segretario generale2 circa il Consiglio nordatlantico e le conversazioni fra il presidente e Eden. Gli è stato risposto nei termini già noti: il presidente ha aggiunto che Eden gli aveva detto di far sapere agli egiziani che si devono fare innanzi con delle proposte. L’ambasciatore ha replicato che quanto da lui già dettoci può sostanzialmente essere considerato una proposta egiziana sebbene non avanzata in forma ufficiale e ha incoraggiato il presidente a perseverare nella sua opera. Il presidente ha osservato che egli è disposto a continuare ad adoperarsi per una soluzione, animato come è dal solo desiderio di vedere cessare al più preso l’attuale tensione in una zona mediterranea così delicata; occorre però che tale tensione non si aggravi.

L’ambasciatore ha annunciato che si recherà nella prossima settimana a Parigi per vedere il suo ministro. Questo ultimo verrà forse a passare il periodo di ferie natalizie (sic) in Italia e si incontrerebbe volentieri col presidente.

Tenuto anche conto che il 22, 23 dicembre sarà di passaggio a Roma il ministro degli esteri di Israele, il presidente non ha obbiezioni ad incontrarsi anche col ministro egiziano3.


286 1 Redatto da Zoppi, presente al colloquio.


286 2 Vedi D. 280.


286 3 Vedi D. 320.

287

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 1892/1353. Londra, 7 dicembre 1951(perv. il 10).

Riferimento: Telespresso di questa rappresentanza n. 1771/1262 in data 9 novembre 19511.

Mi consenta V.E., a commento della sessione del Consiglio atlantico, di dire due parole di consuntivo.

Che dalla Conferenza romana sia uscito poco di concreto non ha meravigliato nessuno (richiamo a questo proposito il mio telespresso in riferimento). L’insistenza con la quale gli americani si sono opposti, quasi da soli, ad un rinvio della sessione quando era già fin troppo chiaro che tutte le maggiori questioni non erano mature per delle decisioni, non aveva lasciato dubbi sul carattere interlocutorio della riunione di Roma. Interlocutorietà persino maggiore di quella della sessione precedente, in quanto ad Ottawa si era per lo meno istituita una «machinery» per lo studio di determinati problemi (Temporary Council Committee) e, per altre questioni (ad es. esercito europeo), si era constatata una certa area di comunis opinio sia pure limitata ai principii generali.

Ciò premesso, non intendo affatto dire che la mancanza di risultati positivi concreti abbia fatto della sessione di Roma una battuta perduta. Essa ha invece avuto la sua importanza e la sua utilità nel lento e complesso processo del rafforzamento della cooperazione atlantica, mettendo in rilievo le attuali deficienze e la necessità di rimediarvi.

È anche troppo noto che le cose nel N.A.T.O. non vanno bene. L’indagine comparativa fra le forze e le risorse dell’U.R.S.S. e quelle del blocco occidentale ha confermato la esistenza di una situazione molto preoccupante, di fronte alla quale le misure finora prese o previste appaiono del tutto insufficienti: difficilmente queste potranno essere adeguate alla situazione senza che si corra il rischio di mettere in pericolo la struttura delle economie dei paesi europei, tuttora molto fragile ed in un equilibrio instabile.

Il riarmo della Germania, in una forma o nell’altra, è una necessità ormai da tutti ammessa. Eppure malgrado che da circa un anno si sia deciso il riarmo della Germania non è stato tuttavia ancora possibile raggiungere una intesa e tanto meno dare inizio a qualche pratica misura di attuazione.

La complessa gravità dei problemi politici, economici, finanziari, militari, sociali, tutti strettamente interdipendenti, è tale non solo da spiegare, ma da giustificare le esitazioni e le prudenze dei Governi dei paesi N.A.T.O. Ma non per questo la situazione di sperequazione di forze, e quindi di pericolosità, ne risulta alleggerita.

A Roma non si è potuto, e non ve ne era la possibilità materiale, fare qualcosa di concreto. Ma è proprio, a mio parere, la mancanza di risultati concreti, che messa a raffronto delle riconstatate necessità, ha segnato l’utilità della Conferenza, facendo sì che si rafforzasse, attraverso un diffuso senso di «frustration» la convinzione che così non può continuare e che bisogna fare qualche cosa ed al più presto.

Di qui la decisione di tenere la prossima sessione ad una data molto ravvicinata (sarà la terza in meno di cinque mesi, mentre tra quella di Bruxelles e la successiva di Ottawa sono passati ben nove mesi) e l’intesa che Lisbona costituisca l’ultimo limite di tempo per il raggiungimento di un accordo su questioni di fondamentale importanza quale, in primo luogo, l’integrazione della Germania nella difesa atlantica.

Nello stesso ordine d’idee, la riunione di Roma ha indubbiamente dato una spinta in avanti al movimento in corso per una riforma della organizzazione del N.A.T.O.

Mentre riferisco a parte più di proposito, anche sulla base delle informazioni raccolte in questi ambienti, circa tale riforma nel suo duplice aspetto organizzativo e geografico, desidero qui anticipare che l’esigenza di una più intima, continuativa e diretta collaborazione tra i Governi e a livello governativo è venuta facendosi sempre più strada in questi ultimi tempi quale mezzo per tentare di assicurare nell’ambito del N.A.T.O. maggiori funzionalità e prontezza di decisione. Si vuole evidentemente in tale modo evitare di dover fare ricorso alla misura alternativa più radicale – che certamente è nel fondo del pensiero di alcuni «riformatori» – e cioè di istituire anche nel campo politico il sistema di direttorio a tre, da tempo funzionante nel campo militare e di recente trapiantato, sia pure in un organo temporaneo e con qualche mascheramento, nel campo economico-finanziario dal Temporary Council Committee (vedi «Ufficio esecutivo»).

La questione è ora, come noto, allo studio del T.C.C. e proposte al riguardo saranno contenute nel rapporto attualmente in preparazione.

Ad un altro aspetto della riunione di Roma desidero infine accennare brevemente: quello della organizzazione vera e propria della Conferenza.

Segnalo a V.E. che da ogni parte, a Roma e qui, mi sono venute espressioni di sincero apprezzamento e di viva soddisfazione per il modo con cui le cose sono state da noi organizzate: sia per le sistemazioni e l’ottimo funzionamento dei complicati servizi della Conferenza, sia per la cordialità della ospitalità offerta dal Governo italiano.

Aggiungo che l’assenza di qualsiasi manifestazione di disturbo di qualche rilievo da parte comunista ha prodotto su tutti ottima impressione, e da qualcuno me ne è stato fatto, con soddisfazione, particolare accenno.

Se agli scopi comuni della sessione di Roma si aggiungeva per noi quello di dare una prova, su una materia sia pure modesta ma non senza valore dal punto di vista psicologico, di efficienza organizzativa, di serena operosità, di concorde determinazione, credo che la riunione di Roma non sia stata, anche per questo verso, per noi inutile.


287 1 Vedi D. 215.

288

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15839/305. Mosca, 8 dicembre 1951, part. ore 8,17 del 9(perv. ore 18,15).

Questa sera ho consegnato a Bogomolov le tre note circa revisione trattato di pace1. Egli, accettando anche le note per Bielorussia e Ucraina senza obiezioni, si è limitato dire che posizione Governo dell’U.R.S.S. era nota attraverso risposta data alla dichiarazione dei Tre aggiungendo che la nota sarebbe stata sottoposta all’esame del suo Governo.


288 1 Vedi D. 258.

289

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservatissimo 6305/3547. Londra, 10 dicembre 1951(perv. il 13).

Come ho telegrafato l’8 corrente1, ho avuto un lungo colloquio con Eden ed ho colto l’occasione consegnargli personalmente la nota sulla revisione del trattato di pace. Non sto a soffermarmi su questo punto, sul quale ho già riferito telegraficamente e passo senz’altro agli altri argomenti che hanno formato oggetto della nostra conversazione.

Visita a Roma: Eden era visibilmente soddisfatto della visita nella nostra capitale che, a parte la discussione delle questioni atlantiche, gli aveva fornito l’occasione di avere con V.E. un primo contatto diretto nella sua qualità di segretario di Stato, dopo averla conosciuta a Londra nello scorso marzo quando i conservatori erano all’opposizione.

Dei due colloqui avuti con V.E.2 il primo, su cui mi aveva dettagliatamente informato sir William Strang non appena Eden ne aveva telegraficamente riferito al Foreign Office, lo aveva lasciato un poco perplesso forse anche perché era esclusivamente centrato sulla questione del T.L.T. e sulla nota corrispondenza del Times da Trieste, così contrastante con la linea politica del Governo inglese sul problema. Il secondo colloquio (rilevo, per inciso, che nessuna comunicazione mi è ancora pervenuta dal Ministero su tali incontri) aveva invece lasciato nel segretario di Stato la più felice impressione, come di elemento «positivo e costruttivo», impostato su un tono sul quale egli auspica vivamente che proseguano in futuro i reciproci rapporti fra i nostri due paesi.

Dopo aver formulato sulla mia opera in questi anni un apprezzamento che registro come pieno riconoscimento – da parte del segretario di Stato – del cammino percorso dall’Italia in questo difficile dopoguerra nel quale eravamo ripartiti dal nulla per ricostruire gradualmente le nostre posizioni essenziali, Eden ha tenuto ad esprimermi la sua profonda convinzione che non esistano ormai questioni che ci dividano; e che nei rapporti italo-britannici non rimane se non da approfondire quella reciproca comprensione e lealtà su cui si fondano le più strette intese fra nazioni amiche.

Medio Oriente: passando al problema della difesa del Medio Oriente, il segretario di Stato ha esplicitamente riconosciuto – «a titolo personale» (per non rivolgere col senno di poi, facili critiche al Governo laburista) – che vi sono stati errori inglesi nei nostri riguardi, specialmente nel non averci tempestivamente informati dei loro intendimenti sulla questione egiziana e di quelli anglo franco-americani sulla difesa del settore medio orientale.

Egli mi ha assicurato che aveva impartito le opportune disposizioni affinché ci si fornissero tutte le notizie relative alla questione dell’Egitto e del Comando del Medio Oriente, tanto più che desiderava assolutamente evitare che da parte nostra si possa pensare che si desidera nasconderci qualche cosa.

Già molto prima della visita di Eden a Roma era stato pienamente chiarito al segretario di Stato l’atteggiamento italiano dopo le dichiarazioni di V.E. al Senato3 cui avevano fatto seguito i consigli di moderazione dati all’ambasciatore d’Egitto4.

La posizione da noi effettivamente presa sul terreno diplomatico, anche attraverso l’attività svolta dai nostri rappresentanti nel Medio Oriente, è stata molto apprezzata da Eden che vi ha riscontrato una manifestazione di quel senso di responsabilità e di solidarietà atlantica sui quali il Regno Unito fa assegnamento per la soluzione di un problema che interessa l’organizzazione difensiva del delicatissimo settore medio orientale.

Eden si è poi riferito all’appunto che l’E.V. gli aveva consegnato a Roma5 circa le nostre impressioni sulla questione del Comando del Medio Oriente e contenente suggerimenti circa il modo di superare le difficoltà attualmente esistenti. Egli non poteva ancora, evidentemente, esprimermi il punto di vista degli ambienti responsabili britannici circa le conclusioni dell’appunto stesso, ma desiderava dirmi sin d’ora che si trattava a suo avviso di un documento estremamente interessante e redatto su serie basi tecniche.

In esso, e nello spirito costruttivo cui era improntato, egli riscontrava un contributo positivo da parte nostra, sia sotto l’aspetto generale dei comuni interessi delle potenze atlantiche che sotto quello più ristretto dei rapporti italo-inglesi.

Questione del T.L.T.: Eden mi ha parlato dei colloqui avuti in proposito a Roma, aggiungendo che sperava veramente di aver convinto V.E. che da parte britannica non vi è alcun desiderio né intenzione di rimanere a Trieste. A questo proposito egli si è espresso nei termini più vivi e fermi: nessun machiavellismo, nessun secondo fine; quando diciamo che desideriamo che la questione venga risolta al più presto mediante un accordo diretto fra Italia e Jugoslavia, egli ha proseguito, non lo facciamo soltanto a parole, augurandoci invece in cuor nostro che all’accordo non si arrivi e la provvisoria situazione attuale assuma un aspetto definitivo. Noi, ha continuato Eden, non possiamo permetterci – e tanto meno nella situazione internazionale attuale – di tener permanentemente bloccate delle truppe britanniche a Trieste perché il problema del T.L.T. è ancora in piedi: consideriamo la soluzione della questione come cosa di importanza fondamentale, non soltanto agli effetti dei rapporti italo-jugoslavi ma anche e soprattutto nei riguardi della difesa adriatica e mediterranea; e questo è anche il pensiero di Eisenhower che di tale difesa ha la responsabilità.

Il segretario di Stato ha aggiunto che non si intende, da parte inglese, esercitare su noi delle pressioni; ciò tanto meno, poi, in quanto egli si rende pienamente conto delle difficoltà particolari di V.E. in relazione alla sensibilità dell’opinione pubblica italiana per tutto ciò che riguarda Trieste ed il Territorio Libero. Ma, per le ragioni che ho sopra menzionato, l’Inghilterra fa appello alla Jugoslavia e a noi affinché ci adoperiamo con la massima buona volontà a risolvere la questione. E, aggiungendo scherzosamente «noi copriremo di alloro chi riuscirà a por termine alla situazione attuale», Eden ha tenuto ad assicurarmi che da parte inglese non ci verrà certo lesinato l’aiuto che ci si potrà dare sotto forma di suggerimenti e appoggi presso gli jugoslavi.

Il segretario di Stato ha concluso il colloquio constatando che le relazioni italo-britanniche sono giunte a un punto tale da poterle ormai porre di nuovo su quel piano di reciproca comprensione e cordialità che le aveva caratterizzate in altri tempi.


289 1 T. segreto 15808/581, con il quale Gallarati Scotti riferiva del favore manifestato da Eden verso l’iniziativa italiana di revisione e anticipava quanto qui più ampiamente esposto.


289 2 Vedi D. 260.


289 3 Vedi D. 161, nota 3.


289 4 Vedi DD. 163 e 286.


289 5 Vedi D. 269, Allegato.

290

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 15915/270. Londra, 11 dicembre 1951, ore 16,35(perv. ore 21,30).

Consiglio sostituti iniziato esame problema rapporti N.A.T.O. – Comunità Europea Difesa in conformità risoluzione Consiglio atlantico Roma (documento C 8 - D 14).

Rappresentante francese aperto discussione anticipando pensiero suo Governo circa impegni reciproci e regolamento rapporti tra due comunità.

Per quanto concerne impegni, rappresentante francese, premesso che tra N.A.T.O. e C.E.D. vi sarà evidentemente solidarietà di fatto che andrà al di là di qualunque formula giuridica, ha dichiarato che suo Governo penserebbe che tale solidarietà potrebbe essere sanzionata dal punto di vista giuridico da simultanea dichiarazione delle due parti nel senso che un attacco diretto contro uno Stato membro della C.E.D. equivarrebbe ad attacco contro uno Stato membro del N.A.T.O. e viceversa.

Rappresentante francese sottolineato poi come problema nasca dal fatto che, secondo suo Governo, Germania occidentale non potrebbe in nessun caso accedere al Patto atlantico poiché ciò incontrerebbe decisa opposizione taluni Parlamenti, altererebbe carattere prettamente difensivo alleanza a causa ineluttabilità spinta unitaria tedesca e porrebbe fine ad intese quadripartite circa Germania con possibili conseguenze su situazione Berlino.

Per quanto concerne regolamento rapporti fra due comunità, rappresentante francese limitatosi dichiarare che esso dovrebbe essere assicurato non con formule giuridiche ma su piano pratico, quasi empiricamente, ed essere in primo luogo compito, come previsto da attuale progetto, da commissario Comunità Europea Difesa.

A richiesta sostituto britannico, rappresentante francese farà circolare per iscritto sue dichiarazioni. Riservomi trasmetterne testo non appena ne sarò in possesso anche se punto di vista francese verrà senza dubbio esposto più completamente da francesi a nostra delegazione a Parigi.

Osservo intanto che dichiarazioni francesi coprono sostanzialmente soltanto problema integrazione impegni derivanti da Patto atlantico con quelli che deriveranno da trattato costitutivo C.E.D., lasciando invece praticamente senza risposta quesito che hanno posto americani, ed in minor misura inglesi, circa modo nel quale potrà avvenire inserimento struttura politica C.E.D. nel quadro più ampio Comunità atlantica.

In vista ulteriori discussioni che sostituti avranno su argomento, prego comunicarmi nostre idee anche per necessaria uniformità di linguaggio con nostra delegazione Parigi1.


290 1 Per la risposta vedi D. 300.

291

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 11 dicembre 1951.

Ho ricevuto a sua richiesta il ministro di Siria il giorno 7 corrente.

Dopo una lunga conversazione piuttosto generica sulla necessità di una maggiore comprensione da parte dell’Occidente nei riguardi dell’Islam e sulla volontà di pace dei popoli arabi, il ministro è venuto a parlare della attuale situazione siriana.

Egli ha detto che gli attuali mutamenti non modificano la politica estera della Siria, la quale permane di neutralità e di pace.

Ha peraltro implicitamente ammesso che il precedente Governo slittava su orientamenti filo-sovietici e che anche per questo è stato sostituito dal Governo attuale.

Per quanto mi sia sembrato che il ministro cercasse di stare sulle generali e non avesse neppure informazioni recenti ed esatte, mi è parso che il colloquio abbia confermato l’impressione degli uffici e cioè che gli attuali sommovimenti in Siria abbiano modificato una neutralità che stava diventando filo-sovietica in una neutralità filo-occidentale.

292

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 15984/589. Londra, 12 dicembre 1951, ore 21,15(perv. ore 7,30 del 13).

Sono stato stamane ricevuto dal sovrano in udienza congedo cui presenza regina Elisabetta imprimeva carattere di amichevole cordialità.

Re Giorgio ha parlato dei rapporti italo-britannici manifestando sua viva soddisfazione per profondo favorevole mutamento in essi intervenuto durante mia missione Londra. Sovrano ha sottolineato apprezzamento per quanto è stato fatto per impostare reciproche relazioni su quel piano di amicizia che risponde all’interesse dei due paesi e di tutta comunità occidentale.

Con visita odierna si conclude protocollarmente mia missione Londra1. Dopo il pranzo che ieri sera segretario Stato ha dato in mio onore, avrò ancora nei prossimi giorni ulteriori contatti con Eden e con altre personalità di Governo.

Data mia partenza resta fissata per 20 dicembre.


292 1 Gallarati Scotti cesserà dall’incarico di ambasciatore a Londra, a seguito di dimissioni, il successivo 20 dicembre.

293

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 16067/884. Parigi, 14 dicembre 1951, ore 21,45(perv. ore 22,15).

Bebler ha chiesto oggi vedermi d’urgenza, dovendo Kardelj ripartire pomeriggio per Belgrado. Era prima volta che lo vedevo dopo mio ritorno Parigi1.

Secondo le istruzioni V.E. gli ho detto:

1) da parte nostra esiste massima buona volontà giungere ad un accordo;

2) Dichiarazione tripartita2 costituisce tuttora nostra posizione diplomatica fondamentale se conversazioni, nonostante nostra buona volontà, non dovessero [portare] ad alcun risultato;

3) frattanto siamo disposti esplorare insieme Jugoslavia possibilità tracciare linea etnica che però deve essere continua e rispettare unità storica-amministrativa-economica territori;

4) ciò basterebbe escludere concetto equipollenza etnica; infatti slavi Trieste, che costituiscono nucleo di gran lunga più importante nella zona rappresentano gruppo minoritario di una città indiscutibilmente italiana, e loro inclusione in qualsiasi calcolo pareggio etnico non può neppure venire presa in considerazione;

5) prima tracciare linea dovremmo analizzare assieme situazione etnica obiettivamente, scartando naturalmente cosidetto censimento jugoslavo Zona B e prendendo principalmente come base analisi per tutti territori censimento austriaco 1910.

Bebler mi ha ascoltato con attenzione, chiedendo soltanto pochi chiarimenti dettaglio. Ha poi ripetuto punto per punto mie osservazioni volendo essere sicuro riferirle esattamente a Kardelj. Nell’attesa preferiva astenersi prendere posizione. Mi ha dichiarato però non esservi dubbio che, da parte jugoslava esistendo uguale buona volontà raggiungere l’accordo, occorreva iniziare senza indugio conversazioni.

Mi ha proposto primo incontro lunedì prossimo alle 9 di sera3, che ho accettato; in quell’occasione mi comunicherà anche esito sua conversazione con Kardelj.


293 1 Per il primo colloquio di Guidotti con Bebler vedi D. 248.


293 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


293 3 Vedi D. 302.

294

L’INCARICATO D’AFFARI A TIRANA, GULLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 16068/135-136. Tirana, 14 dicembre 1951, ore 19(perv. ore 8 del 15).

Riassumo qui di seguito la nota che mi è stata inviata oggi da questo Ministero degli affari esteri in risposta alla nota verbale di questa legazione in data 9 agosto 1950 relativa al trattato di pace (vedasi rapporto n. 964/550 in data 14 agosto)1:

«Ancora una volta il Governo albanese dichiara che gli argomenti del Governo italiano che pongono condizioni all’invio a Roma della nota delegazione albanese sono ingiusti, senza fondamento e contrari al trattato di pace e che simili condizioni ingiuste, senza base e reiterate, dimostrano che il Governo italiano si oppone all’invio e quindi manca di considerazione verso il trattato e le potenze che lo hanno concluso calpestando gli obblighi internazionali che dal trattato stesso gli derivano. Il Governo albanese pertanto, desiderando l’esecuzione del trattato e specialmente l’applicazione pratica dei diritti riconosciutigli nonché l’esistenza delle relazioni di buon vicinato fra i due paesi, rinnova la sua domanda e chiede che il Governo italiano gli dia presto una risposta favorevole all’invio».

La presentazione di questa nota albanese che risponde alla nostra comunicazione sopra citata dopo 16 mesi, è da porre in relazione con la nota presentata a questa legazione di Francia in merito alla revisione del trattato di pace con l’Italia (mio telegramma 131)2. Prego V.E. volermi istruire, ove possibile, circa la risposta da dare a questo Ministero degli affari esteri sull’argomento di cui si tratta3.


294 1 Non pubblicati.


294 2 Vedi D. 285.


294 3 Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica.

295

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 10422/2900. Bonn, 14 dicembre 1951(perv. il 20).

Gli ambienti politici di Bonn hanno accolto con soddisfazione i risultati dei lavori di Strasburgo. Si ammette che sulle questioni più difficili, e cioè la costituzione di un’autorità politica ed il finanziamento dell’esercito europeo, nessun accordo è stato raggiunto; ed un’eco di tali riserve si ritrova nelle dichiarazioni fatte dal cancelliere appena tornato da Strasburgo: «Abbiamo fatto dei progressi importanti. Sarei evidentemente più soddisfatto ancora se avessimo realizzato una accordo completo. Ma sono convinto che ci arriveremo». Ma il fatto positivo viene ravvisato nell’intesa di massima ormai raggiunta sulla costituzione dell’esercito europeo. Essa implica infatti che, mentre le trattative in corso cogli Alleati per la fine dello statuto di occupazione incontrano tuttora difficoltà tecniche, a Strasburgo la piena parità tedesca di diritti è stata accettata come ormai pacifica ed indiscussa.

Che nel complesso il cancelliere sia convinto che a Strasburgo tanto l’idea europea quanto la causa tedesca abbiano riportato un successo e fatto uscire la riorganizzazione della difesa continentale dal punto morto, è fra altro provato dal rinnovato zelo con cui il cancelliere dopo il suo ritorno ha insistito presso i capi delle frazioni parlamentari della coalizione governativa per una rapida ratifica del piano Schuman appoggiandosi anche sui risultati di Strasburgo. E tale successo, si afferma qui replicando alle critiche dell’opposizione, vale bene lo strappo che Adenauer avrebbe fatto all’ortodossia costituzionale tedesca, impegnando fin d’ora, politicamente se non giuridicamente, la Germania a partecipare al piano Pleven ed anticipando così in certo qual modo la ratifica del Bundestag.

Le dimissioni di Spaak, nonostante che la stampa nella sua grande maggioranza abbia accolto l’interpretazione corrente e per così dire ufficialmente accreditata che esse siano state l’espressione delle generosa insofferenza di un convinto europeista di fronte agli impacci frapposti al processo federativo dell’Europa, viene considerato un gesto dimostrativo che Spaak avrebbe compiuto più nella sua qualità di uomo politico belga che di presidente dell’Assemblea del Consiglio d’Europa. Spaak – pure alieno per sua natura dal rinunciare spontaneamente ad una carica così alta – si sarebbe in altri termini trovato nella necessità di far qualcosa per dissipare la diffusa impressione che l’atteggiamento del Benelux in tema di esercito europeo sarebbe stato influenzato dalla Gran Bretagna e che la connessione fra le obiezioni costituzionali mosse dal Belgio e il distanziamento britannico dalla Federazione europea riaffermato dal nuovo Governo conservatore non sia puramente cronologica.

Si parla pure molto della prossima creazione del Ministero tedesco della difesa che, anche se non ufficialmente concordata a Strasburgo, scaturisce implicita dalle decisioni colà prese. I piani per la riorganizzazione e l’ampliamento del servizio presieduto da Blank sarebbero ormai a punto, anche se il nuovo Ministero potrà acquistare esistenza legale solo dopo l’entrata in vigore del piano Pleven. Il candidato più quotato alla carica di ministro federale della difesa è lo stesso Blank. Egli sarebbe fiancheggiato da due sottosegretari incaricati rispettivamente delle questioni attinenti allo stazionamento delle truppe di sicurezza alleate nel territorio federale e delle questioni dell’allestimento di contingenti tedeschi nel quadro dell’esercito europeo.

296

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 6406/3593. Londra, 14 dicembre 1951(perv. il 17).

Mi consenta, prima di porre termine alla mia missione a Londra, di completare il quadro dei rapporti italo-britannici, che son venuto facendo in queste ultime settimane, con un accenno all’aspetto economico delle relazioni fra i due paesi.

Non intendo qui fornire in proposito nuove informazioni e dati tecnici, bensì accennare ad alcuni aspetti fondamentali delle relazioni stesse, ai fini del loro inquadramento nell’insieme dei rapporti italo-britannici.

A questo intento mi induce soprattutto la considerazione del fatto che, a differenza dell’arduo problema del deficit di dollari – sempre ben presente alla mente delle sfere politiche dirigenti di ogni paese occidentale – i nostri rapporti con la sterlina, basati come sono su presupposti non politici ma di profonda corrispondenza di interessi economici, sono spesso destinati, se si eccettuano i momenti di crisi, a sfuggire in sede di valutazione politica.

Ne consegue che è difficile per la nostra opinione pubblica apprezzare nel suo giusto valore la fondamentale importanza che hanno per l’Italia, come del resto per tutto il mondo libero, le relazioni con il Regno Unito e con l’area monetaria che ad esso fa capo.

L’incomprensione è del resto spiegabile, se si tiene conto, oltre che del fatto che l’argomento viene in genere alla ribalta soltanto quando sorgono delle difficoltà, anche della circostanza che si tratta di rapporti che non si limitano al Regno Unito, ma si estendono ad un complesso sistema economico internazionale (la così detta «area della sterlina») non fondato su trattati od accordi ben definiti, ma su tradizioni, disposizioni e tacite intese la cui portata non è sempre chiara al profano.

La vita economica internazionale è passata attraverso fasi di violenti perturbamenti che, nel mondo britannico, hanno assunto il nome delle tre gravi crisi subite dal Regno Unito: la sospensione della convertibilità nel 1947, la svalutazione della sterlina nel 1949, ed infine la nuova crisi delineatasi, per ora con esito incerto, in questi ultimi mesi dal 1951.

Avvenimenti di così vasta portata non potevano non lasciare tracce profonde anche sulla vita economica italiana. Tuttavia, nonostante le alterne vicissitudini, io ho visto il traffico commerciale diretto fra i due paesi svilupparsi con ritmo rapido e costante, tanto da passare da 27,5 miliardi di lire nel 1947 a ben 119,7 miliardi di lire nei soli primi otto mesi dal 1951; esso si è, cioè, più che sestuplicato in meno di cinque anni.

Favoriti dall’azione del Comitato economico italo-britannico e dai rispettivi organi tecnici, questi ingenti traffici riposano su di una intima ed effettiva complementarietà degli interessi economici dei due paesi; ed è appunto perché esiste questa base naturale che lo sviluppo degli scambi non ha richiesto interventi eccezionali in sede politica.

Tali scambi, in breve, possono essere così sintetizzati.

Le nostre esportazioni verso la Gran Bretagna sono aumentate da 18,7 miliardi di lire nel 1947 a 85,7 miliardi nel 1950 e a 87,4 miliardi nei soli primi otto mesi di quest’anno, per cui questo paese è oggi di gran lunga il principale mercato per la nostra esportazione; per valutarne appieno l’importanza basti pensare che attualmente il Regno Unito acquista merci italiane per un valore doppio di quanto ne acquistano gli Stati Uniti.

Le retribuzioni che la situazione generale dei pagamenti ha ora imposto alla Gran Bretagna porranno, senza dubbio, un freno alla nostra esportazione verso questo paese, credo, comunque, di poter affermare che ciononostante la Gran Bretagna continuerà ad essere il nostro principale mercato di sbocco.

Anche l’importazione in Italia di merci inglesi è andata notevolmente aumentando negli ultimi tempi; essa è passata da 8,9 miliardi di lire nel 1947 a 50,4 miliardi di lire nel 1950 e 32,3 miliardi di lire nei primi otto mesi dell’anno in corso.

I nostri rapporti economici con il Regno Unito non si esauriscono peraltro negli scambi diretti fra i due paesi, ma assolvono anche il fondamentale compito di costituire la premessa per raggiungere i vasti mercati di approvvigionamento e di sbocco dell’area monetaria della sterlina.

La nostra appartenenza infatti all’«area dei conti trasferibili» ci inserisce praticamente nel sistema della sterlina inteso in senso lato, e ci consente quindi di regolare in tale moneta i nostri scambi non soltanto con i paesi del Commonwealth britannico (ad eccezione del Canada), ma anche con altri numerosi ed importanti mercati, rendendoci partecipi di un sistema che dà vita ad oltre la metà di tutti i traffici mondiali.

Nei primi otto mesi di quest’anno, l’Italia ha acquistato con pagamento in sterline per non meno di 227 miliardi di lire, ed ha venduto merci contro sterline per una cifra quasi uguale (226 miliardi).

Il confronto con i nostri traffici con altre aree monetarie durante lo stesso periodo (1° gennaio-31 agosto 1951) è il seguente:

Importazione

Esportazione

Area della sterlina e paesi assimilati

227

226

Altri paesi E.P.U. e loro territori d’oltremare

253

260

Stati Uniti

186

45

Europa Orientale

44

39

Resto del mondo

172

83

Se poi si tiene conto anche delle partite invisibili, ritengo che oltre un terzo di tutte le nostre relazioni economiche con l’estero si svolgano in sterline.

L’aspetto più importante dei nostri rapporti economici con Londra ed il sistema finanziario che essa controlla, non risiede però tanto nel volume dei traffici stessi – che tuttavia appare già tale da determinare in misura prevalente la nostra stessa vita economica interna – quanto nella loro composizione qualitativa. L’Italia, infatti, vende all’area della sterlina soprattutto ortofrutticoli e manufatti e ne riceve in cambio oltre il 75% in materie prime, quali la gomma, lo stagno, la juta, la lana, il nichelio, i prodotti petroliferi, il cotone, le pelli, il rame, il carbone, ecc., talvolta in percentuali importantissime rispetto al nostro fabbisogno.

Tali cospicui risultati sono resi possibili dal fatto che l’Italia può compensare i suoi ricorrenti crediti con alcuni paesi del sistema (p. es. il Regno Unito) con i suoi non meno ricorrenti debiti verso altri paesi dell’area (p. es. l’Australia e la Malesia). È appena il caso di rilevare che ogni incrinatura del sistema stesso, minacciando di restringere la zona di compensazione, si risolverebbe fatalmente in un grave sconvolgimento economico per tutti i paesi interessati, fra cui l’Italia.

Nel concludere queste brevi note ritengo opportuno aggiungere una considerazione.

È vero che lo sviluppo delle relazioni economiche tra l’Italia e l’area della sterlina è in larga parte frutto della complementarietà tra le due economie. Resta tuttavia il fatto che l’incremento di tali rapporti, e la loro stessa stabilità, sono in relazione alla situazione generale ed alla stabilità politico-economica dell’intero sistema; mi sembra che anche di questo fattore debba da parte nostra tenersi conto nel valutare e regolare la nostra azione diplomatica sullo scacchiere internazionale.

297

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 6407/3594. Londra, 14 dicembre 1951(perv. il 17).

Il pranzo che Eden ha voluto dare in mio onore e a cui ha desiderato invitare, con gesto di cui ho apprezzato lo spirito, quei funzionari del Foreign Office con i quali io avevo avuto più contatti di collaborazione durante il passato Governo laburista e lo stesso deputato di opposizione Ernest Davies che fu sottosegretario agli esteri fino allo scorso ottobre, ha trasceso l’atto formale di cortesia ad un ambasciatore partente, per esprimere la continuità della politica estera britannica nei nostri confronti e per fissare alcuni punti su cui la collaborazione tra i due paesi dovrebbe continuare e consolidarsi.

Tralascio tutto ciò che del suo discorso di saluto era rivolto personalmente a me, come riconoscimento di un lavoro che si era svolto col precedente ministero ma che Eden apprezzava oggettivamente nei suoi risultati permanenti; prendo dal suo discorso unicamente ciò che può essere utile alla comprensione delle direttive del nuovo ministro degli esteri. Sono concetti che egli stesso mi ha poi sviluppato in una conversazione intima ed estremamente sincera, cui parteciparono anche sir William Strang e sir Pierson Dixon, e sui quali è ancora tornato ieri in un breve ma importante colloquio dopo la colazione da me restituitagli in ambasciata, dichiarando che di quanto era stato detto tra noi, anche in forma non ufficiale, egli era ben lieto io informassi V.E.

Motivo centrale dei suoi discorsi è la sua convinzione e il leale riconoscimento che il risultato raggiunto in questi ultimi quattro anni, attraverso a un lavoro che egli ha attentamente seguito e pienamente valutato, è un «ritorno» a relazioni tra Italia e Inghilterra che oggi «non possono essere paragonate se non a quelle che esistevano tra i due paesi prima dell’avvento del fascismo». Bisogna però, con ogni sforzo volerle e saperle mantenere tali.

Il merito di questa evoluzione è, da parte italiana, di avere saputo inquadrare le relazioni italo-britanniche nella più vasta e complessa compagine della comunità occidentale anziché isolarle soffermandoci solo sugli episodi che possono rappresentare inevitabili momenti di frizione; è di avere guardato oltre, verso finalità che trascendono una attività diplomatica esclusivamente dedicata alle questioni bilaterali, e mirano alla difesa della pace generale, incominciando da quella «adriatica», e ad una sempre più intensa associazione di forze.

A proposito di questa espressione «pace adriatica» egli volle farmene comprendere tutto il valore spiegando poi a quattr’occhi, con una convinzione che non avevo nemmeno supposto in lui e che non era paragonabile a quella degli altri uomini politici inglesi coi quali avevo trattato l’argomento in passato, quale immenso valore egli attribuisse allo sforzo italiano verso trattative che sperava avrebbero alla fine sboccato in una soluzione di accordo su Trieste e il Territorio Libero triestino.

Egli mi disse che non era in un senso egoistico che desiderava tale soluzione (pur ammettendo che il superamento di questo punto di attrito annullerebbe quasi, per l’avvenire, i pericoli di divergenze o incomprensioni nei nostri rapporti) ma che egli vedeva con chiarezza come, tolto questo ostacolo, sciolto quest’ultimo nodo, tutta la nostra politica estera si sarebbe fatta più elastica e più sicura; come l’Italia avrebbe potuto allargare il suo prestigio e la sfera dei suoi reali interessi con dei vantaggi di cui forse l’opinione pubblica italiana non si rendeva ancora conto esatto, ma che avrebbero costituito un largo compenso ai nostri sacrifici. Continuare in uno stato di attrito senza via di uscita era un pericolo per tutti, era un logoramento di forze, di energia da cui nessuno – e noi meno degli altri – traeva vantaggio e che avrebbe peggiorato a danno di tutti. Mentre da una soluzione trovata dall’Italia in una intesa definitiva e chiarificatrice con la Jugoslavia egli vedeva l’Italia uscire assai rafforzata nella comunità atlantica.

Inoltre Eden non mi nascose di essere assai rassicurato quanto alle nostre intenzioni riguardo le posizioni prese dall’Egitto. Con più forza, e direi esatta conoscenza, che non nel suo colloquio al Foreign Office1, mi ripeté il suo apprezzamento per la serietà dell’appunto consegnatogli da V.E.2 ritenendolo «assai utile» e concluse (con alcune parole assai cordiali verso la mia opera) nel senso che conveniva proseguire nelle stesse direttive e sulla base raggiunta che, con buona volontà dalle due parti, era una solida base. Da parte sua mi lasciava intendere francamente come le buone relazioni italo-inglesi facessero parte integrante della sua politica.

Non posso nascondere a V.E. la mia soddisfazione nel chiudere la serie dei miei rapporti con questo riconoscimento da parte del segretario di Stato sulla reale situazione delle relazioni italo-inglesi. Ma di natura io non sono un ottimista né un euforico e sopratutto non amo illudermi o illudere gli altri. Ora ricordo troppo bene come dopo l’incontro di V.E. coi ministri britannici nel marzo scorso3, dalle due parti avevamo fatto i più lieti pronostici sulla prosecuzione di buoni rapporti tra i due paesi, mentre poco dopo la situazione parlamentare in Italia e la polemica avvelenatrice della stampa, anche di quella più vicina alle direttive del Governo, aveva pressoché annullato i favorevoli risultati dell’incontro. Molti dubbi possono perciò rimanere sulla stabilità continuativa della situazione quale si presenta oggi, proprio mentre mi preparo a lasciare Londra. Per il momento però è evidente che l’avvento di Churchill e di Eden al Governo ha rappresentato l’inizio di un «tono» diverso e di una direttiva nei nostri confronti che, pur non mutando sostanzialmente la politica britannica, ha certo fin dal primo momento voluto indicare una maggiore comprensione dei problemi italiani e una più schietta cordialità nelle nostre relazioni.

Ma perché ciò possa rappresentare davvero un mutamento su cui poter contare occorre che anche da parte nostra vi sia una chiarificazione sulle reali nostre intenzioni nei rapporti con la Gran Bretagna, occorre rivedere le nostre posizioni con un serio esame di ciò che sono i nostri reali interessi (vedasi anche il mio rapporto odierno n. 6406/3593)4, di ciò che potremo chiedere e pretendere dall’Inghilterra con fermezza e dignità non disgiunta da una realistica valutazione della situazione politica e da un senso delle misure e dei limiti impostici dalle nostre forze. Con gli inglesi occorre avere idee chiare e direttive precise. Sapere innanzi tutto ciò che vogliamo, ma volere ciò che è ragionevole e possibile ottenere. Uscire dalle vaghezze e dalle inquietudini, dai sentimentalismi retorici e dai risentimenti per un passato che non torna, per cercare di fare una politica estera solida che tenda a soluzioni concrete.

Quanto a Trieste, nessuno meglio di V.E. avrà potuto realizzare nel corso di questi ultimi anni, come il danno che ci deriva dal prolungarsi dello statu quo vada ben oltre quell’indebolimento delle nostre posizioni e delle nostre possibilità locali che dobbiamo purtroppo ogni giorno constatare. Io comprendo che il pensiero delle reazioni dell’opinione pubblica all’accettazione di qualche sacrificio possa talora far ritenere un minor male una perdita sostanzialmente maggiore ma non avvallata da un atto nostro di volontarietà. Ma ormai la questione ha assunto un aspetto di importanza tale, nella sfera dei rapporti con le principali potenze della Comunità atlantica, che occorre considerarla su di un piano molto più elevato, tenendo pienamente conto delle sue possibili conseguenze, positive o negative ma non certamente statiche. Ciò che Eden mi ha detto sui vantaggi che ritrarremo da una soluzione del problema non è, a mio considerato avviso, uno di quei complimenti con cui si usano indorare le pillole amare; ma risponde appieno alla realtà stessa. V.E. stessa si sarà resa conto, nei numerosi incontri internazionali ad alto livello che ella ha avuto soprattutto da un anno a questa parte, come – magari anche contro la nostra volontà – il problema di Trieste finisca ad essere l’argomento quasi esclusivo dei suoi più importanti scambi di vedute con i massimi esponenti della politica occidentale; come tutta la nostra politica estera rischi di rimanere imbrigliata, come accadde alla Conferenza di Versailles per la questione di Fiume. È appunto sotto questo aspetto che le parole di Eden assumono un senso di realismo assoluto al quale non posso non associarmi.

Nel portare questo mio pensiero a conoscenza dell’E.V. con quella schiettezza che ha sempre ispirato i miei rapporti con il ministro degli affari esteri, credo di aver adempiuto ad un mio preciso dovere. Lascio del resto questa sede col convincimento che nulla è stato tralasciato per riportare i rapporti italo-inglesi su quel piano di amicizia che costituiva il principale scopo della missione affidatami quattro anni or sono, all’indomani dell’entrata in vigore del trattato di pace.

Agli inglesi ho sempre parlato chiaro, come ho parlato chiaro a Roma, cercando in ogni momento di rendermi interprete dei reali interessi del nostro paese. E non vedo come questi interessi possano essere efficacemente tutelati – sia sul piano dei rapporti bilaterali che sul piano più generale – se non con una politica improntata da entrambe le parti a una perfetta chiarezza e lealtà. Chiarezza e lealtà che ci sono tanto più utili in quanto, da qualunque lato esse vengano a mancare, è sempre il più debole che – a lungo andare – ne sconta le conseguenze.


297 1 Vedi D. 289.


297 2 Vedi D. 269, Allegato.


297 3 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.


297 4 Vedi D. 296.

298

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segreto 12622/644. Roma, 15 dicembre 1951, ore 21,40.

Suoi 878-8791.

Si riterrebbe più pratico data loro stretta connessione logica che questioni relative Consiglio ministri, commissario e Assemblea provvisoria venissero fusi unico punto. Sta bene restanti punti. Si riterrebbe tuttavia più adatto seguente ordine: 1) struttura Alta Autorità e distribuzione poteri fra diversi suoi organi e loro funzionamento, 2) impiego forze. In sedute con ministri bilancio secondo e terzo giorno potrebbero essere esaminati punti restanti nel seguente ordine: 1) bilancio, 2) programma armamento, 3) aiuti esterni. Per programma armamento e impiego forze sarebbe necessario consultare anche ministri difesa.

Sembrerebbe inoltre opportuno che fosse predisposta, per approvazione sei ministri, dichiarazione di massima concernente problema relazioni N.A.T.O. - Comunità che per parte nostra potrebbe seguire linee recente dichiarazione francese al Consiglio sostituti Londra e cioè: 1) completa solidarietà di fatto esisterà comunque dal primo momento al di là qualunque formula giuridica, 2) formula giuridica potrebbe essere concordata fra esperti, 3) ulteriori intese carattere pratico e coordinamento saranno devolute ad organi Comunità e N.A.T.O.


298 1 Dal 13 dicembre con il quale Lombardo aveva comunicato l’esito della riunione del Comitato di direzione della C.E.D.

299

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 0136. Parigi, 15 dicembre 1951(perv. il 17).

Pleven mi ha detto – osservandomi che non aveva ancora avuto il tempo di parlarne con Schuman – di essere contrario a che prossima riunione esercito europeo abbia luogo 27 corrente.

Non mi ha nascosto difficoltà situazione Parlamento e come sia necessario paziente lavoro preparazione animi: conta molto su azione che presidente Repubblica, molto favorevole esercito europeo, sta svolgendo su socialisti. Ma ritiene errore fondamentale, e non onesto di fronte altri partecipanti, andare avanti ulteriormente prima di avere provocato voto di principio da parte Parlamento. Pleven, come V.E. sa è molto più federalista di Schuman ed era quindi completamente d’accordo con posizione assunta da V.E. a Strasburgo: ma – aggiungeva – come possiamo assumere atteggiamento forte nei riguardi belgi quando non possiamo dire cosa vuole Camera francese, quando dobbiamo anzi dire che essa non vuole esercito europeo?

Bisogna evitare impressione mettere Camera di fronte accordo a prendre ou à laisser, come è stato fatto per piano Schuman; forse atmosfera può essere considerevolmente migliorata se si dà impressione Camera che essa può indirizzare azione Governo verso certe determinate forme esercito europeo piuttosto che altre.

Camera è adesso occupata sino fine anno con dibattiti finanziari – che non saranno facili: dibattito su esercito europeo non potrebbe aver luogo, secondo Pleven, che nella prima quindicina gennaio: se nel frattempo delegazioni lavorano, ciò dà tutto il tempo avere progetto pronto per riunione Lisbona.

Circa colloqui che aveva avuto ieri con Eisenhower, Harriman e Bruce mi ha detto di averli intrattenuti anche su questione esercito europeo: ha esposto loro francamente difficoltà Parlamento e ha chiesto loro di fare una dichiarazione, non importa se pubblica o privata, purché se ne possa fare atto di fronte Parlamento, che quelli dei sei paesi che non aderiranno esercito europeo, o non avranno addirittura aiuto americano o ne avrano in misura assai ridotta.

Se gli americani lo fanno – mi ha detto Pleven – il Parlamento francese sarà obbligato accettare e anche Benelux dovrà rivedere sue posizioni: cesseranno anche speculazioni che qui circolano su poca simpatia molti circoli americani per esercito europeo. Se non lo fanno, dopo mia chiara esposizione situazione – che del resto americani conoscono perfettamente – non è su Governo francese che essi potranno fare ricadere responsabilità fallimento piano.

Pleven mi ha dato impressione di un uomo il quale, se riesce a far superare al suo Governo il difficile dibattito finanziario, non ha nessuna intenzione rimettere, pochi giorni dopo, in forse sorte suo Ministero per esercito europeo; e vuole che siano gli americani, in un certo senso, ad occuparsene di fronte Parlamento francese.

Non mi è sembrato molto convinto che data 2 febbraio sia data ghigliottina per esercito europeo: né di preoccuparsi molto della possibilità che americani rispondano ad un fallimento esercito europeo con una dichiarazione unilaterale riarmo Germania.

Egli pensa che questa è attualmente idea Eisenhower e di tutti i circoli militari americani, ma che all’atto pratico, quando una proposta del genere sarà avanzata ai tedeschi, questi, valendosi della, vera o falsa che sia, scarsa volontà del popolo tedesco a riarmarsi, porranno delle condizioni tali di altro genere, nel campo dello stato giuridico della Germania, che gli americani stessi avranno difficoltà ad accettarle, e che senza dubbio solleverebbero delle forti obbiezioni anche da parte inglese.

L’alternativa che pongono gli americani, o esercito europeo o riarmo tedesco, non è secondo lui che una costruzione intellettuale: in pratica le cose sono molto più complesse.

Le considerazioni che adduce Pleven circa la situazione parlamentare francese sono esatte: le avevo del resto segnalate io stesso a V.E. È indubbio che mentre la situazione non potrebbe essere rovesciata da un giorno all’altro, essa è suscettibile di esserlo alla lunga: prova ne sia il piano Schuman, che, qualche mese addietro, non sarebbe certamente passato. Non escludo però che a Pleven piaccia, anche indipendentemente da questo, rimandare il riarmo tedesco, anche nel quadro dell’esercito europeo. Pleven è di quelli che ritengono che il riarmo della Germania possa scatenare un’azione offensiva russa: è convinto ora che, agli occhi dei russi, esercito tedesco europeo e esercito tedesco nazionale fanno poca differenza: e si preoccupa di farlo in un momento in cui le forze atlantiche non sono certo ancora in grado di opporre una resistenza efficace. Spera sempre, poi, d’accordo in questo con una parte del Quai d’Orsay, che sia possibile una forma d’intesa con i russi sulla questione tedesca, che invece l’inquadramento della Germania nell’esercito europeo precluderebbe.

E poi, per suo carattere, preferisce non fare oggi quello che si potrebbe fare domani.

300

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,E ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segretissimo 12663/204 (Londra) 650 (Parigi). Roma, 17 dicembre 1951, ore 21,15.

(Per Londra) Suoi 2701 e 2732.

(Per Parigi) È stato telegrafato Italnato Londra quanto segue:

(Per tutti) Prima di esprimere parere definitivo su questione relazioni N.A.T.O.-C.E.D., desiderando consultarci con altri paesi partecipanti Conferenza C.E.D., abbiamo proposto inserzione argomento ordine giorno prossima riunione Parigi 27 dicembre. Comunque, in linea di massima, condividiamo dichiarazioni fatte in Consiglio sostituti circa solidarietà di fatto già esistente e necessità studiare forme reciproca garanzia. Mi sembra tuttavia che problema inquadramento sia politico che militare della C.E.D. nella Comunità atlantica potrà essere più agevolmente risolto a cura organi competenti C.E.D. e N.A.T.O. man mano che problemi pratici si presenteranno: appare infatti prematuro esaminare tale questione prima che sia stata stabilita definitivamente struttura politico-amministrativa C.E.D. Per quanto riguarda in particolare argomento addotto da rappresentante francese per dimostrare impossibilità partecipazione Germania al N.A.T.O. osservo che esso potrebbe essere fatto valere anche nei confronti partecipazione Germania alla C.E.D. Non appare quindi logico, né è opportuno insistervi per riflessi politici interni che potrebbe avere nei confronti stessa C.E.D. Eviti quindi per ora accenni a questione ammissione Germania N.A.T.O.


300 1 Vedi D. 290.


300 2 Del 13 dicembre, non pubblicato.

301

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16190/278. Londra, 17 dicembre 1951, ore 22,50(perv. ore 7,30 del 18).

Telegramma V.E. 2031.

Sostituti ripreso discussione circa possibilità partecipazione Grecia e Turchia a Consiglio atlantico Lisbona quali membri effettivi. Risultato che ratifiche Canada Islanda Norvegia Portogallo previste prima Natale e quelle Danimarca Francia Lussemburgo Olanda e Stati Uniti a metà gennaio o subito dopo.

Sostituto belga, che limitatosi assicurare che suo Governo ha iniziato procedura parlamentare, ha confermato che anche ratifica belga prevista per metà gennaio. Da parte mia annunciato che Governo italiano presenterà protocollo a Parlamento in settimana. Sostituto inglese, precisando che suo Governo trasmesso ratifica a Washington 6 corrente, rilevato che ratifiche da parte di tutti gli Stati membri dovrebbero essere perfezionate quanto prima onde consentire a Governi Grecia e Turchia di ottenere in tempo utile da rispettivi Parlamenti necessarie autorizzazioni ad aderire patto. Pregherei quindi telegrafarmi quali previsioni possa comunicare per quanto ci concerne2.


301 1 Del 14 dicembre, informava della imminente presentazione al Parlamento del progetto di legge di ratifica del protocollo per la Grecia e la Turchia.


301 2 Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica.

302

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 16206-16213-16219/ Parigi, 18 dicembre 1951, ore 15,15 893-894-895. (perv. ore 20,35).

Mio telegramma 8841.

Ieri ha avuto luogo terzo incontro con Bebler. Assistevano anche Bacchetti ed ex consigliere jugoslavo a Londra, attualmente in servizio presso ministero affari esteri Belgrado.

Bebler ha cominciato, leggendo da appunto, col darmi circostanziata risposta mie osservazioni del 14 dicembre. Dopo aver preso atto nostro desiderio ricercare accordo e avermi assicurato che uguale sentimento esisteva da parte jugoslava Bebler ha dichiarato:

1) per valutazione situazione etnica egli era disposto accettare censimento del 1910 come base calcolo per Zona A, ma non (ripeto non) per Zona B per la quale doveva valere indagine statistica jugoslava dell’anno 1945-1946 comunque era chiaro che situazione etnica non consentiva tracciato linea continua in nessuna parte del Territorio Libero. Se noi volevamo linea continua che per tal suo carattere avrebbe dovuto includere anche slavi, era necessario prendere come base concetto equilibrio etnico che però doveva realizzarsi secondo giustizia tenendo conto anche dei 60 mila sloveni di Trieste;

2) applicazione rigorosa tale criterio avrebbe dato, lasciando invariato statu quo, forte credito a favore Jugoslavia. Questa era tuttavia disposta previa rettifica in Zona A, a rinunziare pareggio assoluto lasciando un margine di slavi entro nostri confini.

A conclusione questo discorso Bebler mi ha mostrato una cartina sulla quale era tracciata una linea che, lasciando invariata Zona B, mutilava fortemente Zona A, dalla quale tagliava fuori sobborghi orientali di Trieste, Mugda e suo comune nonché tutta la fascia occidentale eccetto stretto corridoio contenente strada e ferrovia principale.

V.E. immagina mia reazione che è stata vivacissima e nel corso della quale ho ribattuto punto per punto affermazione Bebler. Questi mi ha detto che tale era conseguenza rigorosa concetto etnico di cui noi chiedevamo applicazione. Ne è seguita lunga discussione con sterili richiami a precedenti storici. A certo momento delegato jugoslavo mi ha chiesto se avrei accettato per base calcolo etnico per Zona B seguente concetto: per comuni che tanto in censimento 1910 quanto in indagine anno 1945 risultavano di forte maggioranza o slava o italiana avremmo accettato tali risultati; per gli altri, per cui dati contrastavano, media aritmetica fra i due censimenti.

Ho rifiutato rilevando carattere del tutto arbitrario tale concetto, nonché assurdità pretesa accettare per Zona A e rifiutare per Zona B un censimento fatto con criterio uniforme da un’unica amministrazione di cui era nota efficienza e imparzialità.

Argomento principale Bebler di fronte mie confutazioni è che noi manchiamo logica e coerenza nella nostra impostazione, e chiediamo volta volta, come più ci fa comodo applicazione concetto economico etnico o storico.

Ho replicato precisando come segue nostri criteri: «noi cerchiamo accordo politico con Jugoslavia che mira a tracciare linea continua rispettando concetti maggioranza etnica in centri a popolazione mista che non sarebbe possibile scindere ma seguendo tracciato situazione etnica locale in modo tale da non lasciare possibilmente alcun centro italiano in Jugoslavia e alcun centro slavo in Italia. Unicamente là dove, per ragioni economiche imprescindibili, ciò non fosse realizzabile, si sarebbe potuto studiare, in via sussidiaria, possibilità pareggio etnico in reciproche concessioni».

Pur protestando che così veniva a mancar base comune di discussione, Bebler ha osservato che anche applicazione tale criterio poteva dare risultato ben diverso a seconda interpretazione, e ha chiesto vedere sulla carta nostra linea etnica. Ho risposto che l’avrei approntata prossima volta. Bebler ha proposto allora incontrarci per l’ultima volta prima di Natale mercoledì prossimo2.

Impressione non può essere che negativa. Verso la fine Bebler era tornato addirittura sua posizione di partenza statu quo. Ho replicato seccamente che se l’Italia fosse stata disposta in qualsiasi momento accettare statu quo non ci sarebbe stato problema né necessità riunirci per discutere. Sua cartina che cercherò farmi dare perché ci può essere utile per Alleati, può essere anche interpretata come dimostrazione polemica risultato controproducente concetto etnico di cui noi chiediamo applicazione; sua energica opposizione censimento 1910 unita richiesta pareggio etnico può essere, almeno in parte, difesa contro posizione che lo metterebbe facilmente in condizioni di inferiorità. Tuttavia, pur ammettendo che prova reale disposizione jugoslava si avrà soltanto se e quando Bebler presenterà controproposta concreta a nostra linea, appare almeno per il momento dubbio che egli possa avanzare molto da posizione di partenza così completamente negativa.


302 1 Vedi D. 293.


302 2 Vedi D. 311.

303

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16236/597. Londra, 18 dicembre 1951, ore 21,40(perv. ore 7 del 19).

Strang, che ho visto oggi in visita congedo, era particolarmente soddisfatto notizie su andamento colloqui anglo-francesi Parigi. Anticipandomi contenuto comunicato finale conversazioni, mi ha detto che esso dovrebbe dare a nazioni continentali sensazione maggiore comprensione della Gran Bretagna per piani collaborazione europea: ciò che corrisponde spirito comunicato contenente riconoscimento alta funzione politica esercito europeo e maggior possibile associazione britannica su piano militare.

Strang constatava che sui vari problemi vi era stata a Parigi perfetta intesa con la Francia: il che era vivamente auspicato qui alla vigilia viaggio Churchill a Washington.

304

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 6464/3634. Londra, 18 dicembre 1951(perv. il 20).

Riferimento: Seguito telespresso n. 6295/3543 del 7 dicembre 19511.

L’attenzione pubblica inglese ha continuato a essere rivolta ai lavori di Strasburgo, in ciò aiutata dall’eccezionalità di alcuni avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi giorni di questa riunione autunnale dell’Assemblea consultiva, quali l’apparizione simultanea dei sei ministri degli esteri e le dimissioni del presidente Spaak. E siccome il motivo del rimprovero all’Inghilterra è stato quello dominante, sia pure con diverse modulazioni, nelle dichiarazioni di tutti coloro che si sono succeduti sulla tribuna di Strasburgo e in altra sede, a cominciare dai parlamentari americani, ne è derivato che il leit-motif dei commenti londinesi è la difesa dell’atteggiamento inglese. Atteggiamento che, se in linea generale può definirsi negativo, assume diverse tonalità a seconda che considera la propria posizione e i propri interessi nei confronti del piano Schuman o del piano Pleven o del Consiglio d’Europa o della Federazione europea. Sta anche in questo ostinato tentativo di considerare separatamente tutti questi «piani» e di cercar di vedere chiaro in ciascuno di essi, pur rifuggendo dal concetto nuovo che tutti li ispira – la rinuncia parziale alla sovranità nazionale – la difficoltà di mantenere una posizione coerente e risoluta.

Così la ratifica del piano Schuman da parte dell’Assemblea nazionale francese, approvata con maggioranza assai superiore a quella qui prevista («la vittoria sarà di stretta misura» diceva l’autorevole Observer ancora dieci giorni fa) suscita reazioni in cui è appena velato il rimpianto per l’assenza dell’Inghilterra da questa «grande avventura» e si riconoscono i beneficî economici e politici del pool acciaio-carbone e si sottolinea l’importanza futura della cooperazione britannica, attraverso l’istituzione di una delegazione permanente presso l’Alta Autorità.

Così la contrarietà alla partecipazione all’esercito europeo permane sì ed ha indubbiamente radici più profonde di quella relativa all’integrazione economica europea: ma è basata anche, più di quel che non si creda, sulla convinzione che il piano Pleven ha scarse probabilità di funzionare. Non mi stupirei che, ove a Lisbona a febbraio si assistesse, come è nei voti, alla nascita dell’esercito europeo, il Governo inglese tendesse a spostarsi dall’attuale posizione ad una di compromesso.

Così, sulla questione più generale – e più vaga – dell’unità europea si è notato qui che i rappresentanti a Strasburgo dei due principali partiti politici inglesi erano in disaccordo sulla linea da seguire nei confronti del mutamento storico che stava svolgendosi sotto i loro occhi. I conservatori sembrano favorire il progredire dell’integrazione continentale, in qualche forma, con la Gran Bretagna in «intima associazione». I laburisti sembrano invece del parere che il continente non dovrebbe addentrarsi in forme associative alle quali la Gran Bretagna non può aderire, ma limitarsi alla creazione di organismi amministrativi inter-governativi che siano accessibili anche all’Inghilterra.

Naturalmente, tutti questi atteggiamenti ed esitazioni e diversità di valutazione dei propri interessi hanno la loro importanza fino a che il piano Schuman non è ratificato da tutti e il meccanismo del piano Pleven non è stabilito. Quel giorno, se verrà, porrà la Gran Bretagna così chiaramente di fronte al pericolo di isolamento, già oggi lontanamente da qualcuno intravisto, che le considerazioni odierne saranno tutte largamente superate.

Non vorrei dare l’impressione che qui si assista a una decisa evoluzione del pensiero inglese in materia di partecipazione al processo integrativo europeo. Desidero solo rilevare un mutamento di atmosfera. Non si parla più di incompatibilità tra unione atlantica e unione europea, né tra Commonwealth ed Europa. Dal giorno in cui le voci più responsabili del Governo americano si sono dichiarate in favore e dell’esercito europeo e della Federazione europea, è cambiato agli occhi inglesi il quadro dell’Europa di domani e con esso è diminuita la sicurezza che l’atteggiamento dell’Inghilterra tenuto finora sia il migliore, l’unico dettato dai propri interessi. Lo stesso rappresentante parlamentare britannico Robert Boothby, dopo aver validamente difeso il punto di vista del proprio Governo di fronte agli attacchi dei congressmen americani nel noto incontro di Strasburgo, ha scritto in un settimanale londinese: «Non ci facciamo illusioni. I delegati americani non sono disposti a consentirci di entrare nell’Unione atlantica attraverso una ritirata dall’Europa. Per essi è una questione di tutto o nulla. E la loro influenza nel Congresso è tale che difficilmente può essere sopravalutata».

Perfino la partecipazione britannica a una federazione europea, fino ad oggi vera e propria eresia, è oggetto di discussione. L’Observer di domenica scorsa dedica il suo editoriale per la terza volta consecutiva all’argomento. Ne trasmetto il testo con telespresso a parte. Mi limito qui a riportare il brano seguente: «Noi non consideriamo una semplice unione europea in seno a una coalizione atlantica come un surrogato adeguato dell’unione atlantica. Ma crediamo che l’unione europea può essere usata come trampolino per un’unione più ampia; che sarebbe disastroso se l’attuale movimento europeo verso la federazione, nel quale sono in giuoco le fortune politiche di tutte le forze e di tutti i governi democratici e liberali dell’Europa occidentale, fosse lasciato fallire; che la Gran Bretagna dovrebbe assumere un atteggiamento di assistenza assai più positivo verso tale movimento di quanto non faccia adesso; e che nella ricerca del più ampio obbiettivo dell’unione federale atlantica, l’Inghilterra ha più da guadagnare da una partecipazione alla federazione europea, con relativa possibilità di dirigerla verso l’unione atlantica, che non dal rimanere al di fuori».

Lo stesso fatto di dare quasi carta bianca a Churchill, in partenza per Parigi e per Washington in maniera di atteggiamento britannico nei confronti della comunità europea e di rimettersi con piena fiducia al suo spirito europeo più che britannico è sintomatico di una perplessità che allo stato attuale mi sembra pervada tutti gli ambienti del Governo e dell’opinione pubblica di questo paese.


304 1 Di commento della posizione britannica nei confronti del processo di unificazione europea.

305

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16278/906-907. Parigi, 19 dicembre 1951, ore 22,20(perv. ore 22,40).

Ho avuto stamane al suo quartier generale lungo colloquio con generale Eisenhower su Comunità europea della difesa.

Tralasciando informare V.E. su quanto ho esposto circa posizione italiana, riassumo punti principali pensiero generale:

1) Comunità europea della difesa è sola maniera esistente per risolvere problema riarmo germanico senza pericolo risorgenti militarismi; è solo sistema che egli veda ed a cui egli pensi.

2) Egli concepisce esercito europeo non come integrazione tipo N.A.T.O. più spinta, ma come istituzione vera e propria comunità in cui vengono messe in pool tutte risorse partecipanti. Esistenza bilancio unico comune sembragli quindi essenziale.

3) Distribuzione aiuti americani deve essere fatta in blocco alla comunità, se ne assumerà egli stesso personalmente la cura.

4) Comunità costituirà un tutto «a whole body» in cui tutti partecipanti avrebbero identica partecipazione, non esisteranno quindi posizioni marginali per nessuno.

5) È assai soddisfatto colloquio di ieri con Churchill; incertezze su atteggiamento Governo conservatore sono rimosse; esso è favorevole esercito europeo e lo aiuterà.

6) Egli confida che prossime riunioni Parigi diano costruttivi e definitivi risultati e conta particolarmente su azione V.E. che sa essere unico tra sei ministri che veda le cose come le vede lui e cioè miri ad una vera integrazione politica.

7) Trattato deve essere pronto per 6 gennaio data cui sarà esaminato da suoi esperti militari, non ritiene opportuno che trattato contenga una dettagliata minuziosa regolamentazione, bastano le linee generali. Molto dovrà essere affidato alla buona volontà reciproca che sola può garantire favorevoli sviluppi.

8) Si è doluto che da parte di alcuni aderenti (non ha specificato quali) non si svolga sufficiente azione per illuminare opinione pubblica e azione va intensificata anche perché momento è favorevole.

9) Successo Conferenza esercito europeo è assolutamente necessario per scoraggiare isolazionismo che può nuovamente diventare serio pericolo.

10) Ha avuto spontanee parole di elogio per nostre forze armate.

Infine, avendo chiesto al generale se, come si leggeva nei giornali, esistano divergenze di opinione tra le amministrazioni in America – vedi in particolare Pentagono – circa l’esercito europeo, Eisenhower me lo ha recisamente escluso e, riconoscendo che certa stampa male informata può indurre in errore, mi ha detto avrebbe scritto subito a Lovett affinché prenda pubblicamente posizione.

306

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 16280/908. Parigi, 19 dicembre 1951, ore 23,05(perv. ore 24).

Miei telegrammi 881 e 9001.

Oggi in Consiglio sicurezza tutti delegati, eccetto jugoslavo, hanno preso parola su ammissione Italia. Rispettive posizioni Stati Uniti e U.R.S.S. sono rimaste immutate. Di fronte nuova presentazione da parte Malik progetto risoluzione raccomandante ad Assemblea tredici candidati cumulativamente, Gross ha replicato appoggiando Italia e ribadendo che ciascuna domanda doveva essere esaminata separatamente e in base requisiti specifici articolo 4 Statuto.

Nuovo elemento è stato rappresentato da intervento presidente Quevedo (Equatore) che ha espresso dubbi circa ammissibilità ricorso veto nel caso ammissione nuovi membri, aggiungendo che Corte internazionale potrebbe essere chiamata a pronunciarsi su questo punto.

Anche brasiliano Muniz ha definito ricorso a veto «arbitrario e giuridicamente inconsistente».

Suggerisco far pervenire Rio e Quito nostro ringraziamento per efficaci e calorosi interventi nostro favore.

Come concertato seduta conclusasi con proposta Chauvel aggiornamento sine die onde permettere studio approfondito complesso problema.


306 1 Rispettivamente del 14 e 18 dicembre relativi alla convocazione ed alla prima riunione del Consiglio di sicurezza.

307

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 16294/220. Bad Godesberg, 19 dicembre 1951, ore 20(perv. ore 8 del 20).

Adenauer che ho visto ieri mi ha tra l’altro pregato riferire V.E. favorevoli impressioni riportate da suo viaggio Londra. Si è dimostrato particolarmente soddisfatto di aver avuto assicurazioni che nulla sarà fatto in materia di unificazione tedesca senza l’assenso Governo federale che, gli sarebbe stato ripetuto, verrà tenuto informato di ogni eventuale contatto che su questo come su altri problemi interessanti la Germania dovesse stabilirsi col mondo sovietico.

Circa esercito europeo Adenauer mostratosi convinto che accordo relativo, unitamente quello concernente fine Statuto occupazione, saranno firmati prima Convegno atlantico Lisbona. Non ha tuttavia nascosto sue preoccupazioni per sorte definitiva piano Pleven per difficoltà che potranno sorgere in sede di ratifica Parlamento francese dove, secondo quanto gli avrebbe detto Schuman, sarebbe da attendersi violenta opposizione gaullista.

Mi ha aggiunto essere molto lieto occasione che gli si ripresenterà incontrarsi nuovamente con V.E. a Parigi per nuova fase conversazioni che egli considera decisive per prossimi sviluppi unificazione europea. Adenauer, giungerà Parigi mattina 28 ripartendone sera 291.


307 1 Vedi D. 323.

308

IL MINISTRO MALAGODIAL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 5378. Parigi, 19 dicembre 1951.

Lei avrà visto i telegrammi ed i rapporti (di cui uno col presente corriere)1 con cui abbiamo riferito circa le proposte di massima che il T.C.C. ha fatto per la riorganizzazione del N.A.T.O.

Non c’è bisogno che attiri la sua attenzione su queste proposte che non sono le meno importanti fra quelle avanzate dal T.C.C. e dall’S.C.S. Vorrei tuttavia aggiungerle alcuni elementi e comunicarle qualche mia osservazione a titolo personale.

Il problema della riorganizzazione del N.A.T.O. è stato, forse per mancanza di tempo, trattato soltanto in termini molto generici, soprattutto per la parte politica. Ciò nonostante, abbiamo notato un reale calore di consenso attorno al triplice concetto-chiave di un rafforzamento dell’organo politico centrale, di un allargamento dei poteri dello Standing Group e di S.A.C.EUR, e della istituzione di un direttore generale civile.

Comunque, per ora le proposte del T.C.C. non sono ancora precise. Ci debbono essere in aria vari progetti dei tre grandi: direi soprattutto degli inglesi e dei francesi. Monnet ha costantemente richiamato l’attenzione del T.C.C. sulla vitale importanza di una riforma del N.A.T.O. senza però precisare le sue idee in proposito, al di dà di quello che lei trova nei testi. Per quanto riguarda gli inglesi, si dice che Churchill abbia sollevato la questione con Pleven, e intenda sollevarla con Truman a Washington. Le idee che la stampa francese gli attribuisce a questo proposito sono di sviluppare lo Standing Group in un Comitato dei Joint Chiefs of Staff, come nella passata guerra, con competenza su tutta la sfera mondiale, e cioè non solo sulla regione N.A.T.O. Meno chiaro è ciò che egli intenderà proporre in materia di suprema autorità politica, per quanto abbia visto su qualche giornale che egli penserebbe di inviare a Washington, per tenere i contatti con Truman, una personalità con rango di Gabinetto (come Halifax durante la guerra).

Tutto ciò è quanto sappiamo qui; e lei ne saprà certo assai di più da quanto le avranno riferito i nostri rappresentanti a Londra e a Washington. Per quanto ci concerne nell’ambito del T.C.C., il punto su cui dobbiamo soffermarci è che i vari Governi sono ora richiesti: da un lato di scambiare fra loro idee circa la riforma del N.A.T.O., dall’altro di presentare proposte e suggerimenti in occasione delle osservazioni che dovranno fare al rapporto del T.C.C., e in base alle quali il T.C.C. alla fine di gennaio compilerà un rapporto supplementare. Appare evidente quindi che la cosa debba essere presa da noi in attenta ed urgente considerazione: dico urgente perché le osservazioni dei Governi al rapporto T.C.C. debbono essere presentate entro il 15 gennaio. Mi domando se non dovremmo presentare anche noi, se non un vero e proprio «progetto» italiano, almeno una serie di concetti che indichino il punto a cui vorremmo arrivare. Tali concetti potrebbero essere preventivamente confrontati con quelli di altri Governi. Credo che li troveremo in parte concordanti con quelli che possono esser espressi in altre capitali, in particolare all’Aja, a Bruxelles e forse a Ottawa (che è particolarmente importante perché è la sede del presidente di turno del Consiglio atlantico). Tutti i «medi» desiderano infatti essere più intimamente al corrente del lavoro centrale politico-strategico. Noi, come «medio-grandi» andiamo probabilmente più lontano. Anche per ciò mi sembra che le nostre idee dovrebbero essere da noi fatte conoscere il più presto possibile in modo da evitare che alla riunione del T.C.C. ci si trovi davanti ad un progetto già concordato fra i tre grandi.

Passo ora al fondo della questione. I punti essenziali della riforma del N.A.T.O. sembrano essere tre. Il primo è quello della Autorità politica centrale. Data l’estensione dei poteri che s’intendono affidare ai comandanti militari del N.A.T.O. e data la proposta istituzione di un direttore generale del N.A.T.O. a capo di un grande Segretariato generale che coordini strettamente i Comitati attualmente esistenti, la questione di garantire all’Alleanza una Autorità politica centrale, la quale possa controllare e dirigere in modo continuativo e con l’indispensabile flessibilità il lavoro di tutti gli organismi civili e militari, appare di primordiale importanza. Non escluderei che da parte dei tre grandi si pensi, ora o in una successiva fase, a proporre la istituzione di un gruppo direttivo politico a tre: è ciò che d’altronde avviene già in pratica con le riunioni dei tre ministri degli esteri che precedono quelle del Consiglio atlantico. Ora, se avessimo già una Federazione europea, e se potessimo essere sicuri che dando alla Francia una delega generale, essa se ne servirebbe non solo nel proprio interesse, ma anche nell’interesse degli altri paesi del continente, la formula potrebbe essere accettata in diritto come lo è nel fatto. Ma poiché ciò non si verifica ancora, sembra che sarebbe più prudente lasciare che i Tre si radunino in fatto, su un piano mondiale (pacifico, atlantico e asiatico) e riproporre, per la regione N.A.T.O. lo schema organizzativo che ha fatto buona prova nell’O.E.C.E. in tre anni e più di lavoro. Sarebbe cioè da prevedersi un Consiglio generale N.A.T.O. che potesse riunirsi, possibilmente sempre nella stessa sede, sia al livello ministri che al livello sostituti; e un Comitato esecutivo permanente composto di un numero ristretto di membri, che potrebbero essere sette od otto (dato che il N.A.T.O. avrà presto 14 membri). Di questi, quattro potrebbero essere permanenti (USA, UK, Francia, Italia) e tre rotanti (Benelux, Canada, Scandinavia).

Una formula del genere parrebbe tanto più necessaria, qualora si addivenisse alla istituzione di un direttore generale dell’Organizzazione, dotato di ampi poteri, che è il secondo punto essenziale. In pratica si tratterebbe di possedere un organo politico sufficientemente autorevole e sufficientemente duttile da compensare costantemente il potere che tale direttore generale ed il suo staff internazionale verrebbero ad assumere.

Considerazioni analoghe mi sembra possano farsi per quanto riguarda il terzo problema essenziale che è quello dello Standing Group. Anche qui noi non abbiamo certo veste per opporci a che venga istituito un organo tripartito incaricato di coordinare la strategia alleata su sfera mondiale. Mi sembra però che, quando tale organo sarà stato istituito, rinascerà la necessità per esso di dividersi in due branche operative: una per l’emisfero occidentale ed una per quello orientale. Ferma restando ai tre grandi la suprema responsabilità delle cose militari in tutto il mondo, si dovrebbe chiedere che la branca operativa occidentale (Standing Group atlantico) allarghi la sua composizione, includendo le nazioni che sul continente europeo sono chiamate a dare il maggiore sforzo militare in termini di uomini. Non ho bisogno di aggiungere che potremmo così in tale sede trovare quel collegamento con gli affari del Comando del Medio Oriente che altrimenti non può non sfuggirci.

Inoltre si potrebbero fare altre proposte, del tipo di quella contenuta in uno degli appunti inviati al Ministero sull’argomento: e cioè, allargamento dei poteri del Comitato dei rappresentanti militari che fiancheggia lo Standing Group, e costituzione dello staff di quest’ultimo su base più larga che l’attuale tripartita. Tali proposte sono state discusse qui con Marras, che è d’accordo e con cui ella potrebbe eventualmente parlarne.

Comunque sembra evidente che la questione dello Standing Group vada affrontata subito: sia perché siamo richiesti di farlo dalla proposta dell’S.C.S., di allargare i termini del suo mandato, sia perché ci troveremo di fronte all’iniziativa Churchill; sia infine perché questa sarà l’ultima volta in cui potremo tentare di trovare un alloggio nell’edificio innalzato or sono due anni dalle tre grandi potenze.

Un’ultima osservazione vorrei fare circa la capitale in cui dovrebbe aver sede l’organo politico e il Segretariato generale integrato (fermo restando a Washington, per ovvie ragioni, lo Standing Group). La scelta che si pone è: Londra o Parigi, dato che tutti mi sembra siano convinti degli inconvenienti di andare avanti con l’attuale sistema di Londra e Parigi. Penso che gli inglesi saranno tentati di insistere perché si trasporti tutto a Londra; so che i francesi vorrebbero invece accentrare tutto a Parigi. Credo fermamente che a noi convenga sostenere in modo deciso l’opportunità di trasferire tutto a Parigi e ciò per varie ragioni, tra cui elenco le seguenti:

a) perché abbiamo promesso il nostro appoggio al riguardo ai francesi, fino dal tempo di Santa Margherita2;

b) perché se il Consiglio politico permanente sarà fatto al livello ministri, è molto più facile per i nostri governanti recarsi frequentemente a Parigi piuttosto che a Londra, ed è necessario che essi siano presenti ogni volta che ciò è richiesto;

c) perché mi sembra quanto mai indispensabile che i nuovi poteri che verranno dati a S.A.C.EUR (e ciò soprattutto quando Eisenhower sarà stato sostituito da altro generale meno esperto di cose politiche e quindi forse meno malleabile) siano compensati dalla presenza a suo fianco e sopra di lui dell’organo cui egli è responsabile politicamente;

d) perché a Parigi avrà sede, quando nascerà, la Suprema Autorità della Comunità europea di difesa, e sarà quindi tanto di guadagnato per tutti, compresi gli inglesi e gli americani (sia dal punto di vista politico, che da quello del coordinamento) che Consiglio atlantico ed esercito europeo abbiano la stessa sede;

e) perché assegnazioni degli end-items (S.H.A.P.E.), produzione bellica integrata e off-shore procurements (D.P.B.) e standardizzazione (M.S.A.) devono poter lavorare congiuntamente e in vicinanza immediata del Comando supremo;

f) infine perché, last but not least, si va facendo sempre più strada il convincimento che N.A.T.O. e O.E.C.E. debbano integrarsi più completamente a vicenda, anche se ciò dovesse costare il ritiro dall’O.E.C.E. di taluni dei neutri.

Vi sono molte altre questioni, di dettaglio e non, di cui converrà interessarsi, ma non voglio abusare ora della sua pazienza. Sarò a Roma fra due giorni, e cercherò di lei.


308 1 Vedi DD. 250, 253, 256 e 276.


308 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.

309

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16314-16335/909-910-912-913. Parigi, 20 dicembre 1951, ore 17,20(perv. ore 22,50).

Ho trovato Schuman molto impressionato dal vigore con cui V.E. aveva sostenuto Strasburgo tesi federalista: egli evidentemente pensava, nonostante quello che gli avevo detto ripetutamente, che tesi federalista, sostenuta da Taviani precedente riunione, fosse in buona parte personale e che V.E. fosse molto più reticente.

Mi ha ripetuto che Governo francese, (pur essendo in principio, specialmente alcuni suoi membri, favorevole sviluppi federalistici) non potrebbe seguirci a fondo su questa strada. Precisando un poco, ha aggiunto che Governo francese non si sente, di fronte Parlamento, prendere impegno preciso realizzare istituzioni federali entro limite tre anni. E per quello che riguarda impiego dell’esercito europeo, ritiene che decisione debba essere lasciata Consiglio ministri esteri rappresentanti dei singoli Stati.

Mi ha detto che suoi tentativi modificare atteggiamento Churchill non hanno avuto successo; egli ha completamente dimenticato discorsi pronunciati a suo tempo a Strasburgo: Eden è più comprensivo difficoltà situazione francese ed europea, senza che questo significhi rivoluzione concezioni fondamentali britanniche; e, dato atteggiamento Churchill, sua influenza in questo senso non può essere che limitata. Churchill non crede all’esercito europeo: ritiene che solo elemento che può portare soldati battersi è idea nazionale: alla sua età non si cambia ha detto Schuman.

Quello che Schuman è riuscito ad ottenere dagli inglesi è che, pur non accettando far parte esercito europeo e eventualmente altre forme integrazione, essi vi si siano dichiarati favorevoli pubblicamente; hanno anche promesso, nella loro politica verso gli altri Stati, di appoggiare invece di ostacolare integrazione continentale. Mi ha aggiunto che, anche su questo punto, mentre è sicuro di Eden, non lo si sente altrettanto di Churchill. Mi ha detto di avere avuto impressione che, in caso fallimento piano Pleven, Churchill ha in mente di proporre un altro progetto di esercito europeo – destinato all’Europa continentale e non all’Inghilterra – con maggiore accento sul carattere nazionale parti componenti di questo esercito: progetto che sarebbe inaccettabile per francesi.

Schuman, a mia richiesta, mi ha infine detto che presa posizione inglese avrà certamente una qualche influenza su alcuni elementi – naturalmente non socialisti – del Parlamento francese che guardano soprattutto all’Inghilterra. Continua però a considerare situazione parlamentare francese nei riguardi dell’esercito europeo come assai delicata, il che è il meno che si possa dire.

Circa colloqui franco-inglesi Schuman mi ha detto:

1) Churchill e Eden sono venuti Parigi loro iniziativa e non su richiesta Governo francese: data ristrettezza tempo e preparazione insufficiente, conversazioni non potevano essere che molto generiche.

2) Non è stato discusso delle future conversazioni anglo-americane: Schuman ha avuto impressione che stesso Churchill non abbia ancora idee molto precise su quello che intende dire agli americani. Schuman pensa che si finirà per parlare soprattutto di questioni economiche.

3) Conversazione Eden con ministro degli esteri egiziano è stata cortese ma senza alcun risultato pratico: inglesi e egiziani restano fermi su loro posizioni. Governo inglese è evidentemente preoccupato situazione e suoi possibili sviluppi, ma è anche imbarazzato su eventuali decisioni da prendere.

4) Si sono scambiate informazioni e impressioni circa situazione rispettiva Indocina e Malesia: da parte inglese è stato accennato al fatto che situazione Malesia è molto più grave di quanto generalmente si ritiene.

5) In linea di politica generale, francesi ed inglesi si sono trovati perfettamente d’accordo nel ritenere che, in tutte le questioni, disarmo, Germania, Cina, Corea, commercio est-ovest non bisogna lasciar cadere nessuna occasione parlare con russi, e continuare dare loro impressione che da parte occidentale si è sempre disposti trattare. Questa volontà trattare non deve essere considerata come appeasement ma è però necessaria sia perché non bisogna perdere qualsiasi occasione diminuire tensione, sia perché bisogna dare impressione nostre opinioni pubbliche che, se non si arriva ad un accordo, non è per colpa nostra. Impressione Schuman su progetto viaggio Mosca Churchill è che si tratta, per ora, più gesto propaganda che intenzione reale.

6) Non hanno trovato conferma timori che qui si nutrivano possibili iniziative ardite di Churchill circa Germania. Egli è meno sensibile dei francesi al pericolo tedesco, ma non si fa illusioni: è soltanto d’avviso, come il Governo francese del resto, nonostante difficoltà che ne possono derivare – trasformazione radicale attuale equilibrio partiti, incognita persone e gruppi al Governo, eccetera – che bisogna sempre avere in vista possibilità unificazione Germania soprattutto in vista crescente pressione opinione pubblica tedesca in tal senso.

7) Nonostante presenza Mayhins, mi ha assicurato che non sono state discusse questioni economiche.

Nel complesso Schuman mi ha dato impressione essere rimasto assai soddisfatto di Eden, molto meno di Churchill.

310

L’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16318/67. Città del Messico, 20 dicembre 1951, ore 20,40.(perv. ore 8,20 del 21).

Suo telegramma n. 441.

Questo ministro affari esteri mi ha oggi confermato quanto ebbe a dirmi giorni fa che il Governo messicano considera sempre con massima simpatia questione revisione trattato di pace e che si può ritenere fin da ora che la risposta alla nostra nota 8 corrente2 sarà favorevole. Egli mi ha però detto che non mi può autorizzare che venga annunziata la risposta favorevole Messico se non dopo aver consultato presidente della Repubblica ed averla con lui concordata. Egli inoltre ha aggiunto che, nonostante spiegazioni da me dategli circa portata politica della richiesta italiana di cui al telegramma di V.E. 433, insiste circa riserve sulla questione giuridica, come ebbi a telegrafare con telegramma n. 634, potendo sempre costituire un precedente, a suo avviso, l’ammissione del principio che un patto plurilaterale possa essere dichiarato nullo senza consenso di tutti i firmatari5.


310 1 Del 19 dicembre, con il quale Zoppi chiedeva al Governo messicano l’autorizzazione ad annunciare il giorno 21 dicembre anche la risposta favorevole del Messico, oltre a quella di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Grecia, alla nota italiana dell’8 dicembre per la revisione del trattato di pace.


310 2 Vedi D. 258, Allegato.


310 3 Dell’11 dicembre, non pubblicato.


310 4 Del 7 dicembre, non pubblicato.


310 5 Con T. segreto 12837/45 del 22 dicembre Zoppi rispondeva: «Questione giuridica per ora non si pone e sarebbe atto non (ripeto non) amichevole da parte codesto Governo il sollevarla nella sua risposta, tanto più che nessuno ne ha fatto o ne farà cenno nella propria. È questione da vedersi in un secondo tempo. Lo dica con tutta franchezza». Con T. segreto 16512/68 del 24 dicembre Petrucci assicurava l’adesione del Messico alla richiesta italiana.

311

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgente 16323-16333/914-915. Parigi, 20 dicembre 1951, ore 18,46(perv. ore 21,40).

Seguito mio 893/894/8951.

Ieri sera ha avuto luogo nuovo colloquio Bebler. Per parte mia ho voluto anzitutto ribadire necessità prendere come unica base per serio lavoro per tutto T.L.T. censimento 1910 che se può contenere qualche inevitabile inesattezza non può essere ragionevolmente sospettato parzialità verso una delle due parti. Ho preso anche occasione per rettificare alcune cifre Bebler circa italiani passati Jugoslavia e sloveni rimasti in Italia. Dopo di che ho mostrato Bebler tracciato linea etnica sottolineando sulla carta sforzo attribuire all’Italia centri compattamente italiani e a Jugoslavia centri compattamente slavi mentre per quelli a popolazione mista avevamo cercato trovare soluzioni ragionevoli che lasciassero minor numero slavi in Italia e italiani in Jugoslavia. Trieste non faceva eccezione a questa regola e era assurdo pensare smembramento città. Unica eccezione era corridoio congiungente Trieste all’Italia ma trattavasi di Zona A con poche migliaia abitanti assolutamente necessario per vita Trieste. Bebler ha obiettato che da parte Jugoslavia non si poteva prendere in considerazione proposta che avrebbe lasciato 15 volte più slavi all’Italia che non italiani alla Jugoslavia, e l’ha definita proposta non seria riprendendo scherzosamente stesse espressioni da me usate riguardo linea jugoslava di cui al mio in riferimento.

Ritornando prima proposta jugoslava, egli ha sottolineato che parte essenziale era quella che si riferiva sobborghi Zaule e Servola che sarebbero necessari Jugoslavia come sbocco mare. Ho replicato che un problema economico si risolveva con soluzione economica e non territoriale e ho ricordato che, anche col discorso ministro Sforza a Milano2, Italia si era sempre dichiarata pronta accordare massime facilitazioni commerciali e di traffico.

Sebbene Bebler parlasse di questa zona come di un elemento proposta generale jugoslava, ritengo potere dedurre da vari indizi in andamento conversazione, che egli l’abbia tuttavia messa avanti come eventuale contropartita altre concessioni. Comunque mio atteggiamento negativo è stato fermissimo. Ho quindi ripreso la illustrazione linea etnica. Bebler, pur ripetendo che non poteva essere in alcun modo considerata base discussione, ha seguito con interesse. Esame si è limitato distretto Capodistria. Mi ha chiesto poi trattenere nostra carta per poterne riferire a Belgrado. In linea di massima siamo d’accordo che contatti saranno ripresi primissimi gennaio3.

Frattanto abbiamo convenuto che Bacchetti e Kos, entrambi presenti anche a conversazioni ieri sera, si incontrino giovedì sera e si mettano d’accordo per procedere dettagliata analisi etnica situazione derivante nostra linea.

Bebler è stato, in confronto conversazione precedente, meno aspramente polemico.

Alla fine egli ha accennato «enormi» conseguenze politiche, per situazione generale europea, di un nostro accordo4.


311 1 Vedi D. 302.


311 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.


311 3 Vedi D. 329.


311 4 Per un successivo incontro informale vedi D. 318.

312

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16330/281-282. Londra, 20 dicembre 1951, ore 16,30(perv. ore 20,45).

Mio 2731.

Sostituti hanno discusso ulteriormente problema rapporto tra C.E.D. e N.A.T.O.

Rappresentante francese riferito circa lavori Conferenza Parigi e riunione ministri esteri Strasburgo.

Circa questione degli obblighi derivanti Stati membri C.E.D. da loro appartenenza a N.A.T.O. è stato riaffermato principio che appartenenza a C.E.D. non potrà in alcun modo modificare impegni derivanti da appartenenza a N.A.T.O. Sostituto britannico rilevato che C.E.D. dovrà evidentemente costituire rafforzamento N.A.T.O. e non indebolimento vincoli Alleanza atlantica.

Circa questione «messa in moto» esercito europeo sono stati distinti due casi e cioè:

a) aggressione diretta nel qual caso generale Eisenhower ha dovere resistere con tutte le forze a sua disposizione e quindi autorità impiegare immediatamente anche esercito europeo;

b) azioni aggressive su obiettivi limitati, incidenti di frontiera ecc., nei quali casi sarà invece possibile consultazione politica tra C.E.D. e N.A.T.O.

A tale proposito rappresentante francese sostenuto nuovamente necessità due reciproche simultanee dichiarazioni da parte C.E.D. e N.A.T.O. (che ha precisato avrebbero dovuto prendere forma di protocolli aggiuntivi ai due trattati) nel senso che attacco armato contro membri di una comunità venga considerato come attacco armato contro i membri dell’altra. Taluni sostituti (Gran Bretagna e Portogallo) mentre hanno espresso parere che da parte N.A.T.O. sarebbe stato sufficiente modificare opportunamente articolo 6 Patto atlantico, senza addivenire a stipulazione di particolare protocollo, hanno invece convenuto circa necessità protocollo C.E.D.

Danimarca mostratasi contraria a qualsiasi modificazione del Patto atlantico rilevando che garanzia che comprendesse Germania incontrerebbe in paesi che ne subirono occupazione impopolarità e conseguenti difficoltà parlamentari.

Sostituto norvegese sostenuto che Germania avrà nella C.E.D. peso relativo maggiore di quello che avrebbe avuto qualora fosse stata inclusa nel N.A.T.O. e che per ovviare a tale pericolo occorreva assolutamente che direzione politica della C.E.D. fosse conferita al N.A.T.O. Rappresentante olandese manifestatosi contrario a proposta francese relativa a stipulazione suddetti protocolli di garanzia reciproca tra C.E.D. e N.A.T.O.; dichiarato che commissario europeo dovrebbe avere carattere tecnico e non politico, che argomenti francesi contro ammissione Germania nel N.A.T.O. non hanno reale consistenza e che, essendo opinione comune che direzione politica a C.E.D. debba essere conferita al N.A.T.O., migliore soluzione sembrava potesse essere inclusione pura e semplice Germania nel Patto atlantico.

Da parte mia, ed in conformità istruzioni V.E. di cui a telegramma 2042, ho espresso accordo di massima con osservazioni preliminari francesi circa regolamento rapporti fra N.A.T.O. e C.E.D., rilevando come esse siano state espresse nello spirito di assicurare coordinamento e di eliminare interferenze e conflitti tra due organizzazioni.

Aggiornando discussione Spofford rilevato che idee espresse potevano utilmente esser trasmesse da sostituti a propri Governi e che pertanto gruppo lavoro politico avrebbe proceduto a riassumerle in documento confidenziale.

Rappresentante francese, che ho avvicinato a fine seduta, ha rilevato che mentre da parte italiana si sta facendo ogni sforzo per avvicinarsi a posizione in spirito di comprensione e collaborazione, da parte olandese veniva inaspettatamente iniettata nella discussione questione inclusione Germania nel N.A.T.O.

Da parte sua Achilles mi ha invece esplicitamente detto che osservazioni olandesi apparivano assai pertinenti e fondate. Ciò che conferma come neppure americani escludano soluzione radicale con accessione Germania a Patto atlantico (oltre che inclusione in Comunità Europea Difesa), soluzione che essi hanno in definitiva sempre avuto presente e che, secondo Achilles, incontrerebbero minori difficoltà da parte Congresso che soluzione secondo proposte francesi. Apertura di Achilles spiega anche un accenno fato da Spofford nel corso della discussione nel senso che nel regolare rapporti fra N.A.T.O. e C.E.D. occorreva tener debito conto di quelle che avrebbero potuto essere reazioni Congresso americano.

Hoyer Millar infine mi ha detto che anche Foreign Office pensava che in definitiva inclusione Germania nel Patto atlantico sarebbe stata necessaria, ma che sperava che americani si rendessero conto intempestività di cercare di procedere attualmente in quella direzione apparendo più prudente procedere per gradi.

Tanto in Consiglio quanto in tutte queste conversazioni mi sono astenuto, in conformità istruzioni V.E., da esprimere qualsiasi avviso circa questione eventuale inclusione Germania nel N.A.T.O.

Comunicato ambasciate Londra e Parigi e delegazione italiana C.E.D.


312 1 Del 13 dicembre, con il quale Rossi Longhi riferiva della discussione in Consiglio dei sostituti sulla questione dei rapporti N.A.T.O.-C.E.D.


312 2 Vedi D. 300.

313

IL MINISTRO A PRETORIA, FRACASSI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 16383/61. Pretoria, 21 dicembre 1951, ore 16,45(perv. ore 18,10).

Mio telegramma 591.

Con nota odierna questo Governo si dichiara lieto accogliere proposta Governo italiano per revisione trattato di pace.

Nota Sud Africa costituisce piena adesione tutte le nostre richieste e cioè si dichiara d’accordo che «spirito preambolo più non sussiste» ripetendo ultimo capoverso nostra nota. Conclude Sud Africa è vincolato dalle sue obbligazioni per quanto concerne articoli 46 a 70 e relativi allegati.

Nel rimettermi testo nota che mi si assicura conforme a proposta inglese e francese americana segretario di Stato ha voluto ripetermi soddisfazione Governo sud-africano per accoglimento giuste richieste italiane. Questo Governo è d’accordo per pubblicazione sua risposta oggi 21 corrente ore 15 Greenwich2.


313 1 Del 20 dicembre, con il quale Fracassi preannunciava la consegna della nota di cui al presente telegramma.


313 2 Il 19 dicembre Zoppi aveva telegrafato: «Giorno 21 corrente ore 15 Greenwich verrà diramata stampa risposta francese, americana, inglese, greca a nostra Nota per revisione trattato pace. Ci riuscirebbe gradito che cotesto Governo provvedesse tempestivamente autorizzandoci comunque annunziare 21 corrente anche sua risposta favorevole». (T. segreto 12737/c., indirizzato alle ambasciate a New Delhi e Ottawa e alle legazioni a Baghdad, Belgrado, Pretoria e Wellington).

314

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 21 dicembre 1951.

L’evoluzione dell’atteggiamento delle maggiori potenze occidentali e gli Stati Uniti in favore della Spagna continua; lo confermano i più recenti rapporti delle principali nostre rappresentanze.

2. Eden ha fatto esprimere a Franco il desiderio di Londra di vedere i rapporti tra Spagna e Gran Bretagna ritornare al più presto normali, non solo, ma divenire amichevoli. Franco ha assicurato che il gesto trovava nella Spagna le più favorevoli disposizioni; ha poi, in un’intervista al Sunday Times, risollevato sì il problema di Gibilterra, ma ha anche accennato alla necessità di associarsi con altri paesi, necessità che «ci impone di sacrificare antiquati concetti ed egoismi ... ».

3. Le ripercussioni su tutto il settore nord-africano delle agitazioni del mondo mussulmano, sembrano destinate ad aprire nuove prospettive ai rapporti franco-spagnoli. Si è avuta la nomina di un nuovo ambasciatore di Francia, esperto di questioni arabo-marocchine: la notizia di un accordo sui problemi comuni nel Marocco e quella della rinnovazione e dell’ampliamento del Trattato di commercio.

4. L’interesse degli Stati Uniti permane e aumenta; si attende di conoscere l’esito delle missioni militare ed economica, rientrate a Washington per riferire, ma nel frattempo continuano le visite in Spagna di personalità americane e altre visite sono annunziate in epoca successiva alla riunione del N.A.T.O. a Lisbona. Continua anche la concessione di crediti americani alla Spagna.

5. Le maggiori potenze, nei loro rapporti con il resto del mondo occidentale, non sembrano più attenersi al criterio dell’ortodossia democratica; del resto la Gran Bretagna ha avuto con i laburisti – e continua ad avere con i conservatori – molta simpatia per la Jugoslavia di Tito ed ha riconosciuto la Cina popolare di Mao Tse-Tung.

6. Il punto di vista della Francia e della Gran Bretagna si sta avvicinando a quello nord-americano nella questione della partecipazione spagnola alla difesa occidentale. Questa inserzione della Spagna sembra destinata ad avvenire, se non con la sua inclusione nel N.A.T.O. attraverso un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, seguito eventualmente, in prosieguo di tempo, da analoghi accordi con altre potenze occidentali. Ciò porterà ad una riorganizzazione del sistema difensivo del Mediterraneo occidentale, in vista della quale noi dovremo trovarci preparati anche sotto il profilo delle nostre relazioni con la Spagna.

7. Per quanto riguarda questioni ideologiche, si prescinde da ogni valutazione politica dell’attuale regime spagnolo, pur reiterando qui un concetto già espresso nel senso che il risentimento di un popolo che si senta ostracizzato può forse avere maggiore durata di un regime e che un regime politico può forse più facilmente evolversi, in senso democratico, nel seno di una comunità di nazioni libere, che non al bando di essa. Il caso della Jugoslavia non può certo essere portato ad esempio; tuttavia esso induce a riflessioni.

Se poi guardiamo al problema con occhi di solidarietà atlantica, è lecito domandarsi se non può esserci un giorno rimproverato di non avere fatto nulla per contribuire alla distensione non solo tra noi e gli spagnoli, ma tra gli spagnoli e gli altri paesi del Patto atlantico. Il persistere del nostro atteggiamento negativo nei confronti della Spagna sembra farci correre il rischio di doverlo a breve scadenza rivedere, probabilmente in condizioni e circostanze sfavorevoli per il nostro prestigio nei confronti di quel paese.

Se infine vogliamo considerare i pericoli – molto ipotetici – che l’inclusione della Spagna nel sistema difensivo occidentale possa significare, sul piano militare, la difesa dell’Europa sui Pirenei e, sul piano economico una riduzione degli aiuti che ci vengono dagli Stati Uniti, in favore della Spagna, dobbiamo pur fare le seguenti considerazioni: l’inclusione della Germania nella C.E.D. sembra destinata ad eliminare il primo pericolo; quanto al secondo, l’aiuto americano alla Spagna è già in atto e l’entità di quello all’Italia dipende da ben altri fattori.

8. Il ritiro (1947) del nostro ambasciatore creò in Spagna un certo risentimento verso di noi, diminuito poi col tempo e a seguito della ripresa di pieni rapporti diplomatici. Per contro non abbiamo accettato l’invito rivolto a S.E. Brusasca e il nostro rigido atteggiamento di fronte alla recente richiesta di un prestito di grano non ha mancato di urtare le suscettibilità spagnole.

Ciò nonostante sembrano sussistere le basi per una ripresa di più cordiali relazioni con la Spagna. Lo dimostrano la decisione del Governo di Madrid di riprendere le trattative per questioni inerenti a nostri piroscafi sequestrati durante la guerra; i contatti avuti per l’elezione della Spagna in seno alla F.A.O.; le festose accoglienze che ogni anno autorità e popolo spagnolo fanno alle nostre navi da guerra in crociera nel Mediterraneo occidentale.

Già a Washington V.E. fece dichiarazioni1 che servirono a rassicurare gli Stati Uniti sullo spirito con il quale noi si seguiva i negoziati ispano-americani e sul realismo che animava il Governo italiano nei riguardi della posizione spagnola nel comune quadro difensivo. Tali dichiarazioni peraltro non furono correttamente riportate al Governo di Madrid e se ne potrebbe ora chiarire il significato.

Verso la fine del prossimo gennaio verranno iniziate trattative per il rinnovo e l’eventuale ampliamento del Trattato di commercio. L’occasione potrebbe servire per arrivare a un chiarimento e ad un miglioramento dei rapporti fra l’Italia e la Spagna come punto di partenza per una maggiore collaborazione fra noi e Madrid in un settore così importante per l’Italia come il Mediterraneo occidentale2.


314 1 Vedi D. 119.


314 2 Annotazione a margine di Zoppi: «Si potrebbe mandare un sottosegretario a firmarlo».

315

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 13727. Washington, 21 dicembre 1951(perv. il 2 gennaio 1952).

Come ho telegrafato oggi1, Acheson, nel consegnarmi la risposta americana alla nostra domanda di revisione del trattato di pace2, mi ha parlato in termini pieni di apprezzamento del suo soggiorno romano, sottolineando la particolare utilità delle conversazioni che egli aveva avuto col presidente Einaudi e con V.E.3.

Acheson ha accennato brevemente all’Unione Europea ed all’esercito europeo, esprimendo l’augurio (nonostante le gravissime difficoltà di cui si rende conto) che un lavoro conclusivo, almeno nelle linee generali, possa essere fatto a Lisbona. Ha aggiunto che, in ogni modo, è soltanto dalla volenterosa e decisiva azione di ciascun paese che si potrà trarre la somma delle forze difensive che dovrà presidiare e mantenere libera l’Europa.

Abbiamo parlato di sfuggita della visita di Churchill. Conoscendo come il Dipartimento di Stato sta ancora all’oscuro delle intenzioni del primo ministro britannico, non ho creduto opportuno spingere Acheson a fare delle previsioni che sapevo che egli non era in grado di formulare. Mi è sembrato però fin da ora preoccupato per l’aggravio di lavoro e di responsabilità che la visita comporta.

Siamo rimasti d’accordo che, dopo la visita di Churchill e prima che egli parta per Lisbona, avremo un nuovo colloquio per discutere assieme alcuni aspetti della situazione italiana e tra l’altro quello delle nostre prossime elezioni amministrative, significativo preludio di quelle politiche ormai non tanto lontane.


315 1 T. 16407/1279, non pubblicato.


315 2 Vedi D. 258, Allegato.


315 3 Vedi D. 255.

316

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 3743. Belgrado, 21 dicembre 1951(perv. il 26).

Oggi alle 13 mi sono recato da questo ministro degli esteri, signor Kardelj, per fare la comunicazione di cui al telegramma ministeriale del 19 dicembre1. Kardelj mi ha comunicato che egli mi avrebbe convocato egualmente per oggi per consegnarmi la nota di risposta del Governo jugoslavo alla nota dell’8 dicembre u.s.2, relativa alla revisione del trattato di pace. Nota che ho telefonato al Ministero non appena ottenuta la comunicazione telefonica3.

Kardelj nel consegnarmi la nota me ne ha illustrato il contenuto, sottolineando la necessità di risolvere le importanti questioni pendenti tra i due paesi.

Ho preso atto di quanto comunicatomi, aggiungendo la mia personale opinione che una franca e incondizionata adesione alla nostra nota avrebbe forse meglio favorito la soluzione di tali questioni.

Kardelj non mi ha opposto questioni di principio, limitandosi a dirmi che una incondizionata adesione alla nostra nota non sarebbe stata capita dall’opinione pubblica jugoslava, che sa quali questioni ancora pendono fra i due paesi come conseguenza della guerra e del trattato di pace.

Non potevamo aspettarci una nota di piena ed immediata adesione alla nostra richiesta, essendo già noto l’atteggiamento di riserva espresso dal ministro Kardelj il 29 settembre davanti all’Assemblea popolare, e dato che anche da qualche settore di questa stampa era stato assunto un atteggiamento negativo, arrivando persino a contestare che l’Italia avesse raggiunto i titoli politici e morali per ottenere la revisione del trattato.

Il contenuto della nota appare tuttavia più favorevole di quanto fosse da attendersi.

Infatti, dopo avere caldamente sostenuto il diritto dell’Italia ad essere ammessa alle Nazioni Unite perché possa realizzare «tutti i diritti previsti dal trattato di pace e propri di un membro eguale nei diritti della famiglia dei popoli democratici e amanti di libertà», il Governo jugoslavo, nella nota comunicata, riconosce che la maggior parte delle clausole del trattato di pace non risponde più alla reale situazione in cui si trova attualmente l’Italia e concorda sulla fondatezza della messa all’ordine del giorno della questione della modificazione di dette clausole.

Quindi se da una parte la Jugoslavia non dà il suo immediato consenso alla revisione, tuttavia, riconoscendo la fondatezza della richiesta italiana, dà ad essa la sua adesione morale che, politicamente, acquista il suo particolare valore.

È da notarsi che la nota non fa alcuna riserva specifica né accenna alla revisione delle clausole militari, nonostante che, come è noto, in passato la Jugoslavia aveva sollevato l’eccezione che una revisione delle clausole militari avrebbe in certo qual senso autorizzato i paesi satelliti della Russia ad armarsi senza neppure salvare le forme. Preoccupazione jugoslava che sussisteva ancora al presente e che è stata ricordata da questo sostituto del ministro degli esteri, signor Vlahović, agli ambasciatori delle tre grandi potenze in occasione del loro passo congiunto del 13 dicembre (vedi mio telegramma pari data)4.

Debbo infine segnalare a V.E. che la cordialità ed il tono usati da Kardelj nella conversazione tendevano a sottolineare il desiderio di cooperazione con l’Italia, atteggiamento che non perde il suo valore, anche se determinato in parte dalla speranza che esso possa influire sulla soluzione della questione di Trieste.

Allegato

IL MINISTERO DEGLI ESTERIDELLA REPUBBLICA FEDERALE POPOLARE DI JUGOSLAVIAALLA LEGAZIONE A BELGRADO

Nota verbale. Belgrado, 21 dicembre 1951.

Ho l’onore a nome del Governo della Repubblica federale popolare di Jugoslavia di rispondere alla sua lettera dell’8 dicembre 1915.

Il Governo della Repubblica federale popolare di Jugoslavia stima che bisognerebbe facilitare alla Repubblica d’Italia di realizzare tutti i diritti previsti dal trattato di pace e propri di un membro uguale in diritti della famiglia dei popoli democratici amanti della libertà.

A questo proposito il Governo federale popolare di Jugoslavia esprime il suo rincrescimento che la Repubblica d’Italia non sia stata finora ammessa come membro delle Nazioni Unite malgrado desiderio manifestato da una grande maggioranza di Stati membri dell’Organizzazione dell’O.N.U. A nome del Governo della Repubblica federale popolare di Jugoslavia posso assicurarla che la Jugoslavia darà ugualmente in avvenire il suo appoggio alla giusta domanda concernente l’ammissione della Repubblica d’Italia in seno alle Nazioni Unite. Per quello che riguarda le proposte modificazioni da apportare a diverse clausole del trattato di pace il Governo della Repubblica federale popolare di Jugoslavia concorda che la maggior parte di queste clausole non risponde più alla reale situazione in cui si trova attualmente la Repubblica italiana. Il Governo della Repubblica federale di Jugoslavia riconosce la fondatezza della modificazione di tali clausole ed è pronto ad esaminare con ogni benevolenza la questione della loro modificazione. Tuttavia il Governo federale popolare di Jugoslavia si vede obbligato per il momento di aggiornare l’esame della proposta revisione di alcune clausole del trattato di pace, considerando che il consenso della Repubblica federale popolare di Jugoslavia alla revisione di dette clausole è prettamente legata al regolamento di alcune questioni importanti concernenti le relazioni tra i nostri due paesi, questioni nate durante la guerra e che hanno fatto oggetto del trattato di pace.

Il Governo federale popolare di Jugoslavia considera che la soluzione di tali questioni aprirebbe la via ad una larga collaborazione dei nostri due paesi in tutti i campi e sarebbe nel mutuo interesse quanto nell’interesse della salvaguardia e del consolidamento della pace in questa parte del mondo. Nello stesso tempo la soluzione di tali questioni permetterebbero al Governo della Repubblica federale popolare di Jugoslavia come ai popoli della Jugoslavia di appoggiare senza alcuna riserva gli sforzi del Governo della Repubblica italiana per eliminare le clausole del trattato di pace che ostacolano la partecipazione eguale nei diritti della Repubblica italiana alla cooperazione con le nazioni democratiche ed amanti di libertà.


316 1 Vedi D. 313, nota 2.


316 2 Vedi D. 258, Allegato.


316 3 Vedi Allegato. La nota fu presentata alla legazione alle ore 13,30 e trasmessa telefonicamente a Roma alle ore 15,30.


316 4 Non pubblicato.

317

IL MINISTRO A L’AJA, CARUSO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 3842/1626. L’Aja, 21 dicembre 1951(perv. il 30).

Riferimento: Miei rapporti n. 3716/1567 dell’8 e n. 3730/1574 del 10 dicembre1, e mio telegramma in data 20 dicembre2.

Ho l’onore di trasmettere copia del testo olandese e della traduzione inglese della nota n. 125853-9893 G.S. in data 20 corrente3, rimessami stamane dal segretario generale di questo Ministero degli esteri, in risposta alla nostra nota dell’8 dicembre4.

La nota stessa, firmata dal presidente del Consiglio sig. Drees, in assenza del ministro degli esteri Stikker, che si trova a Londra, viene pienamente incontro alle nostre richieste in materia di trattato di pace e contiene al penultimo capoverso una riserva di approvazione da parte del Parlamento, che certo non la negherà.

Nel ricevere la nota ho espresso nuovamente il desiderio di iniziare appena possibile uno scambio di vedute per accertare se non vi sia ancora materia del trattato di pace, da rivedere e da intonare nei particolari rapporti tra l’Italia e l’Olanda. La richiesta è stata accolta e mi è stato all’uopo indicato il ministro van Voorst tot Voorst, direttore per l’Europa.

La mia impressione circa i risultati che mi sarà possibile di raggiungere in relazione al telespresso di codesto Ministero n. 45/17017 del 5 novembre3, non è, però, molto favorevole dato che si è qui voluto in qualche modo dettare da parte di altri Governi testo ed ora della nota che oggi mi è stata rimessa e si è lasciato chiaramente intendere che null’altro sarebbe da attendersi da parte nostra dopo quanto ci è stato concesso.

In ogni modo inizierò la mia azione con fiducia non appena sarà trascorso un congruo periodo di tempo e mi saranno stati forniti gli elementi che ho richiesti col rapporto n. 3730/1574 del 10 dicembre indicato in riferimento e diretto al S.E.T.


317 1 Non pubblicati.


317 2 T. segreto 16307/142, con il quale Caruso aveva preannunciato l’invio della risposta olandese alla nota italiana sulla revisione del trattato di pace.


317 3 Non pubblicato.


317 4 Vedi D. 258, Allegato.

318

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 16477/934. Parigi, 22 dicembre 1951, part. ore 9,45 del 23(perv. ore 7,30 del 24).

Mio telegramma 9141.

Avevo invitato oggi Bebler a colazione ed ho avuto con lui colloquio di carattere più personale e come di commento alle rispettive posizioni definite nei precedenti incontri. Non (dico non) è emerso nulla di veramente nuovo, ma sono stati confermati alcuni punti atteggiamento jugoslavo che vanno oltre, ritengo, esigenze schermaglia tattica. Riassumo come segue:

1) a titolo personale (ha molto insistito sul personale) egli mi ha domandato se ci saremmo contentati della Zona A con ritocchi più Capo d’Istria.

2) Mi ha fatto capire che situazione sarebbe cambiata se fossimo stati disposti accettare linea discontinua, ad occidente di Trieste, oppure ad oriente, a Zaule. Non (dico non) ha accennato questa volta a Servola. In questo caso avremmo potuto sperare «in qualche altra città italiana» ma non certamente fino Buje che, ha aggiunto, «è troppo lontana».

Ho escluso categoricamente l’una e l’altra idea, illustrando ovvie ragioni. Bebler ha parlato allora di nuovo di una soluzione che lasciasse inalterata attuale linea divisione. Ho risposto che questa non era da escludere se jugoslavi seguitavano mostrarsi così intransigenti ma in un senso e con conseguenze del tutto diverse da quelle che lui aveva in mente. Una soluzione del genere non (dico non) avrebbe potuto mai essere risultato accordo politico con Jugoslavia; ed avrebbe stabilizzato non soltanto attuale statu quo territoriale ma anche quello politico, lasciando cioè intatte aspirazioni italiane su intera Zona B.

Colloquio è stato molto cordiale ma negativo. Nel congedarsi Bebler ha alluso prossimo incontro in gennaio, come probabilmente l’ultimo2.


318 1 Vedi D. 311.


318 2 Vedi D. 329.

319

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. s.n.d. urgentissimo 12906/676. Roma, 24 dicembre 1951, ore 23,15.

Presidente del Consiglio ti prega far sapere personalmente e confidenzialmente a Schuman che il Consiglio ministri progetto esercito europeo ha incontrato vivaci e numerosi contrasti.

Dopo ampia discussione è stato raggiunto rassegnato consenso a condizione che impegni di cui al documento 7H (approvato a Strasburgo su nostra proposta) si realizzino entro termine più breve possibile al massimo dopo primo triennio.

È rimasta aperta e controversa questione se alcune tra disposizioni trattato non esigano modifiche costituzionali interne da approvarsi dal Parlamento.

320

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI D’EGITTO, SALAH-EL-DIN

Appunto. Roma, 24 dicembre 1951.

Il colloquio con Eden non ha avuto conclusioni, ma nemmeno brusco arresto.

Mi ha riferito d’aver spiegato ampiamente le ragioni dell’abolizione del trattato; poi d’aver detto di esser disposto a discutere su un trattato chiaramente difensivo che obbligasse l’Egitto a permettere l’occupazione inglese nel caso che: 1) l’Egitto stesso fosse attaccato; 2) o l’attacco fosse diretto contro uno dei paesi prossimi all’Egitto.

L’occupazione da parte delle truppe alleate dovrebbe avvenire solo in caso di guerra, in conseguenza di tale attacco; ma nel tempo di pace l’Egitto si impegnerebbe a mantenere in funzione la base attuale delle truppe.

Ho l’impressione: 1) che la questione di prestigio non è superata; 2) che si spera di guadagnare col trascorrere del tempo; 3) che non si vuole rischiare di essere travolti in una guerra offensiva, che, secondo loro (egiziani), non è da escludersi, mentre l’attacco russo non è probabile. Se fosse probabile, lo sarebbe adesso, non più tardi; spostandosi le chances in favore degli Alleati.

321

IL MINISTRO A QUITO, MOSCATI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 1735/537. Quito, 26 dicembre 1951(perv. l’8 gennaio 1952).

Riferimento: Telegramma ministeriale n. 18 del 22 dicembre u.s.1.

Mi sono recato stamani a ringraziare con riconoscenti espressioni il ministro degli affari esteri per essere l’ambasciatore Quevedo efficacemente intervenuto in nostro favore nel Consiglio di sicurezza del 19 u.s.

Il dott. Ponce, cui anche ho rimesso una nota verbale per confermare tali sentimenti, nell’accogliere con viva soddisfazione l’apprezzamento del Governo italiano, ha sottolineato come l’azione svolta dal delegato equatoriano «dimostrasse quantol’Equatore fosse a fianco dell’Italia».

Ha, inoltre, con cortesi parole messo in rilievo la cordialità dei rapporti esistenti con questa rappresentanza, che si traducevano in una comprensiva e proficua collaborazione.

Mi ha quindi espresso il suo compiacimento per aver la missione dell’I.C.L.E. quasi ultimato gli studi relativi al piano di colonizzazione del comprensorio di Pichilingue.

Nell’aggiungere, poi, di necessitare molto l’Equatore, per il suo sviluppo, dell’efficiente ed apprezzato apporto del lavoro italiano, ha auspicato una sollecita conclusione delle trattative in corso.


321 1 Con il quale De Gasperi dava istruzioni di esprimere al ministro Ponce l’apprezzamento italiano per l’appoggio ricevuto in Consiglio di sicurezza. Vedi anche D. 306.

322

L’AMBASCIATORE A NEW DELHI, PRINA RICOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 16628-16640/90-91. New Delhi, 29 dicembre 1951, ore 13,50(perv. ore 20).

Mio telegramma n. 861.

Bajpai consegnavami risposta scritta solo stamane mezz’ora prima partenza aereo con il quale perciò inviavo testo ritenendone necessaria lettura integrale.

A mia domanda chiarimenti frase paragrafo 3 «they would welcome any modification or revision of the treatry ... in the manner provided for such modification or revisione in the treaty itself» Bajpai testualmente rispondevami trattato fissava procedura revisione solo per articolo 46 e che fuori articolo 46 non specificava che cosa occorresse per la revisione: unanimità firmatari ovvero maggioranza oppure accordi singoli.

India aveva voluto con tale frase superare questione procedurale ed aveva al paragrafo 2 riconosciuto la nostra sovranità, al paragrafo 4 la decadenza del preambolo e delle clausole politiche ed al paragrafo 5 la nostra libertà di prendere misure per la nostra difesa in accordo Carta O.N.U.

Colleghi inglese e francese cui sottoposto testo concordano nel ritenere risposta sostanzialmente soddisfacente.

Dal canto mio non posso non rilevare ritardo, forma impersonale, tono pontificale della nota e preoccupazioni ripetutamente espresse che i riarmi non aumentino tensione internazionale. Ciò che mi è parso risultato del contrasto tra quanto Bajpai voleva sostanzialmente fare e Nehru evitare per rimanere fedele sua proclamata politica pace.

Ciò premesso ritengo opportuno codesto Ministero giudichi sul testo integrale in viaggio.


322 1 Del 20 dicembre, non pubblicato.

323

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 017/4. Bad Godesberg, 3 gennaio 1952(perv. il 6).

Se il ritorno del cancelliere federale da Parigi ha dato luogo, attraverso le dichiarazioni da lui fatte, a manifestazioni di ottimismo sull’esito finale delle conversazioni per l’esercito europeo, non può tuttavia dirsi che le reazioni tedesche a quest’ultimo convegno siano ancora del tutto chiare. Che la decisione di indire una nuova conferenza nel corso di questo mese, ancora in tempo cioè per arrivare al Lisbona con dei fatti concreti e precostituire al Governo americano una base solida per condurre vittoriosamente al Congresso la battaglia che si svolgerà probabilmente in marzo sugli aiuti all’Europa, voglia significare l’intendimento preciso di tutti e sei i paesi partecipanti compreso il Belgio di arrivare ad una conclusione è cosa generalmente ammessa; che l’accordo finale si preannunci però del tutto vantaggioso per la Germania, è tuttavia oggetto di discussione. Il partito socialdemocratico, infatti, ha già dichiarato per la bocca del suo vice presidente Ollenhauer, che la formula del periodo transitorio dei 3 anni significherebbe praticamente che gli eserciti nazionali continuerebbero a essere, e che la soluzione provvisoria di cui si parla ora, nonché i punti ancora in discussione, rappresenterebbero il tentativo di indurre i tedeschi, come unici partecipanti, a porre a disposizione le proprie truppe sotto comando straniero. Adenauer ha già ribattuto richiamando la piena uguaglianza di diritti – già riconosciuta unanimemente – alla Germania, ma è chiaro che sta riaffiorando nelle file dell’opposizione l’accusa che il piano Pleven sia un camouflage escogitato dai francesi e che in altri termini, in una tale organizzazione, di veramente europeo non vi resti che la sola Germania.

Nessuno dimentica però qui, e certo nemmeno i socialdemocratici, che la Repubblica federale non è interessata soltanto alla Comunità europea di difesa; tutti sanno che un mancato accordo su questo punto rappresenterebbe un ostacolo forse insormontabile all’entrata in vigore degli accordi in gestazione con gli Alleati dei quali il più importante per contenuto politico, quello cioè generale, è già pronto in ogni sua parte. Già si parla, per difficoltà sorte in materia finanziaria, di una firma del protocollo finale a marzo invece che a febbraio. E già queste dilazioni sembrano a parecchi molto lunghe. Quale incognita si aprirebbe invece alla Germania se il piano Pleven non si realizzasse?

Tutto lascia ormai prevedere che una simile ipotesi è piuttosto lontana, credo però ugualmente opportuno ritornare sull’argomento per ogni eventualità.

Ho accennato in un mio precedente rapporto1 alla promessa, confidenzialmente riferitami, fatta ad Adenauer dagli americani, di una futura ammissione della Repubblica federale al Patto atlantico. Non era però questa promessa, vien fatto di chiedersi, legata al presupposto di una favorevole conclusione del piano Pleven, e rappresentare cioè, in altri termini, soltanto il passo successivo alla già avvenuta integrazione della Germania alla difesa europea?

Ho telegrafato a V.E. le impressioni ricevute qui poche settimane fa, dopo il mio ritorno da Roma, negli ambienti dell’Alta Commissione americana ove, diversamente di quanto mi era sempre apparso in precedenza, veniva ormai ritenuto del tutto improbabile, se fallisse il piano Pleven, un diretto riarmo della Germania. Ho fatto parte ad Adenauer, in relazione a precedente conversazione avuta con lui sull’argomento, di queste mie impressioni, durante l’ultimo incontro avuto con lui. Ne è restato sorpreso, il che mi fa pensare che egli intendesse la promessa americana come fatta per ogni eventualità. Ciò non gli ha impedito tuttavia di chiedersi sul momento se le preoccupazioni americane nei riguardi delle reazioni francesi non fossero aumentate. Ciò che mi pare più probabile, ed è anzi questa la mia convinzione personale, è che gli americani, specie dopo il viaggio di Lovett qui, siano oggi effettivamente alieni dal considerare la possibilità di un riarmo tedesco al di fuori del piano Pleven per timore appunto delle reazioni francesi, ma che siano ancora essi stessi disorientati sulla miglior via da seguire nel caso che il piano fallisse.

Oltre al fatto della possibile gravità delle reazioni francesi ad un diretto riarmo della Germania non escludo inoltre che quanto è stato detto a me presso questa Alta Commissione francese (non so quanto partecipe di ciò il Governo di Parigi) venga ripetuto anche agli americani; l’Unione Sovietica cioè sopporterebbe un limitato riarmo tedesco nell’ambito europeo ma non la ricostituzione di un esercito nazionale indipendente della Repubblica federale.

Siano o no attendibili queste informazioni è evidente che è ancora il piano Pleven, sia pure attraverso le radicali trasformazioni subite, e non per ultimo proprio ad iniziativa italiana, a rappresentare la formula più idonea a risolvere il problema centrale della difesa europea e cioè quello del contributo tedesco.

Mi sia permesso anzi di aggiungere che proprio l’atteggiamento assunto dal Governo italiano – e l’azione svolta a Parigi da V.E. ha qui avuto ampio rilievo – per un consolidamento fin dall’inizio delle nuove organizzazioni di difesa europea, potrà salvare il progetto al momento delle ratifiche parlamentari. Sarà infatti difficile che la formula definitiva possa soddisfare tutti i tedeschi e quindi ammansire l’opposizione. La liberazione dallo Statuto di occupazione sarà è vero un’arma sufficiente nelle mani di Adenauer per ottenere la maggioranza necessario al Bundestag. Occorrerà però anche raggiungere nelle prossime riunioni una formula tale che serva, in Francia e in Germania, a dare la esatta sensazione che la nuova organizzazione europea rappresenta un fatto concreto fin dall’inizio, in modo da evitare che, da una parte, si creda ad un mascheramento di un esercito nazionale tedesco, e dall’altra, ad una etichetta posta in cima al piano Pleven per nascondere l’asservimento e la discriminazione delle forze armate della Repubblica federale. Argomento questo che sarebbe suscettibile nella mani dell’opposizione di gravi conseguenze sullo stato di questa opinione pubblica e perfino di pregiudicare l’esito finale del progetto.


323 1 Vedi D. 207.

324

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 35. Belgrado, 3 gennaio 1952(perv. il 7).

Alla fine di quest’anno che ha visto succedersi varie fasi nei rapporti tra Italia e Jugoslavia, non è forse inopportuno tracciarne un rapido quadro riassuntivo, anche ad evitare che le accese polemiche degli ultimi mesi lascino una impressione inesatta sul reale stato delle nostre relazioni con questo paese.

È innegabile che i primi tre anni e mezzo di relazioni diplomatiche post-belliche, conclusisi alla fine del 1950, hanno segnato, seppure con qualche saltuaria battuta d’arresto, un continuo progressivo miglioramento delle relazioni tra i due paesi, manifestatosi attraverso un mutamento di atmosfera, all’inizio profondamente turbata dai troppo recenti ricordi della guerra fascista e attraverso la successiva conclusione di numerosi accordi di cui fu oggetto una vasta parte delle questioni pendenti tra i due paesi.

La punta massima di questo miglioramento si verificò nel dicembre dell’anno scorso, in occasione della firma degli accordi di Roma, che regolarono varie questioni dipendenti dalla esecuzione del trattato di pace, sanzionarono altri accordi che man mano erano stati firmati a Belgrado e gettarono le basi per la soluzione delle altre questioni economiche che ancora restavano pendenti.

Questa stampa commentò in allora quegli accordi con un favore e direi quasi con un calore con cui non furono salutati né prima né dopo accordi con paesi occidentali. L’atteggiamento ufficiale e ufficioso di questo Governo, in quella occasione, influenzò favorevolmente funzionari e popolazione jugoslavi che, forse in misura maggiore di quello che comunemente si crede in Italia, desiderano un reale avvicinamento fra i nostri paesi.

Modesti ma significativi effetti di tale atteggiamento si riscontrarono subito, quale l’autorizzazione concessa a un funzionario di questa legazione di visitare, per la prima volta, i detenuti italiani nella prigione di Mitrovica e la concessione di un condono di fine anno a 29 condannati italiani.

I rapporti delle autorità jugoslave con questa legazione, che peraltro anche nei momenti di maggior tensione sono stati sempre cortesi, furono particolarmente amichevoli e ad ogni nostra istanza si cercò di venire incontro o si evitò di rispondere negativamente. Analogo miglioramento venne riscontrato anche dal nostro console generale a Zagabria.

Fu così possibile risolvere diverse questioni relative alle opzioni, al trasferimento di fondi, alla concessione di visti e altre, finché nel febbraio si ottenne la modifica di alcune clausole dell’accordo pesca, per cui fu annullato il nostro debito per canoni scaduti, fu ottenuta la riduzione del canone per il futuro e si stabilì di rivedere tutto l’accordo, per noi troppo gravoso anche dal punto di vista tecnico.

Fu al quel tempo che, ad alto livello, ci fu chiesto di elevare ad ambasciate le legazioni dei due paesi: ciò stava a significare, e del resto fu sottolineato al momento della richiesta, che il Governo jugoslavo riteneva che con la conclusione degli accordi di Roma le relazioni dei due paesi si erano messe sulla via di un netto miglioramento.

Per quanto apprezzabili le ragioni che consigliarono quantomeno di soprassedere al desiderio jugoslavo, non fu forse tenuta in sufficiente considerazione l’importanza che questo Governo aveva dato alla sua richiesta, e in particolare la suscettibilità che si veniva ad urtare non aderendovi. Tanto più che in quel torno di tempo erano state elevate ad ambasciate nostre legazioni in piccoli paesi dell’America Latina.

D’altro canto da parte jugoslava non si tenne in abbastanza conto la situazione della Zona B e la necessità di mettere ivi in atto quella politica di comprensione e di distensione che corrispondesse al desiderio di migliorare chiaramente i rapporti con il nostro paese. Tuttavia nel marzo si ebbe la sostituzione del comandate della Zona B che fu ben vista anche a Trieste.

Si giunse così alla primavera quando un duplice ordine di fatti dette luogo a violente reazioni della stampa jugoslava, spesso scomposte, che incisero per alcuni mesi su tale stato di rapporti. Alludo in particolare agli articoli del Messaggero Veneto sulla necessità di difendere noi le Alpi Giulie per la insufficienza e incapacità dell’esercito jugoslavo, agli scritti sulle mire jugoslave in Albania, e poi alla campagna della stampa e del Parlamento italiani contro taluni atteggiamenti dell’Amministrazione alleata a Trieste, che si trasformò gradualmente in una campagna per la rivendicazione del T.L.T. e su taluna stampa italiana anche dei territori ceduti e della Dalmazia. Non mancarono attacchi contro l’esercito e la politica jugoslava, rilevati in modo particolare su questa stampa, il che valse a rendere più viva la tensione, tanto più dopo che il maresciallo Tito aveva dato la stura alla polemica con il suo discorso a Titograd del 13 luglio1.

Nel fragore dell’accesa polemica di stampa questo Governo non seppe sceverare tra opinioni di stampa e di liberi cittadini italiani da una parte e atteggiamento del Governo italiano dall’altra ed anzi cercò di accomunare gli uni e l’altro in un preteso unico e concorde atteggiamento antijugoslavo che condusse alla nota jugoslava dell’8 settembre2, con la quale si chiese che il Governo italiano chiarisse il proprio atteggiamento nei confronti della Jugoslavia.

Dopodiché si aggiunse la irritazione di questi ambienti per il processo di Lucca, nel quale si volle vedere una nuova mossa antijugoslava e che originò la nota jugoslava del 5 ottobre3.

Se tutti questi fatti parvero turbare sensibilmente le relazioni italo-jugoslave, in realtà non erano tali da preoccupare soverchiamente, una volta che si fossero spenti i bagliori che intorno ad essi avevano acceso penne di giornalisti e la estrema suscettibilità jugoslava.

La questione invece di fondo, che stava alla base delle nostre e delle preoccupazioni jugoslave, fu la questione Trieste, che improvvisamente divampò scuotendo la cenere con cui invano , specialmente da parte jugoslava, si era tentato di coprirla.

Ci si rese conto, anche perché la questione venne all’ordine del giorno sul piano internazionale, che lo slogan di Tito, secondo cui la sua soluzione poteva essere accantonata e rimandata, non reggeva più.

Nel momento più acuto di nervosismo, Mates non esitò a dichiararmi che avevo ragione quando dicevo che la questione esisteva, che pendeva inconsciamente o no su ogni nostra trattativa e sulle nostre relazioni, e che era vano volerla nascondere dietro un dito.

È noto che si fecero più insistenti le dichiarazioni jugoslave di voler risolvere la questione e che via via si espresse in privato ma si fece intendere anche in pubblico che la «vera» questione esistente tra i due paesi era quella del T.L.T. e che una volta risolta quella tutte le altre questioni si sarebbero risolte pressoché automaticamente.

E non posso non rilevare, nonostante il mio estremo riserbo su quelle che potrebbero essere le concessioni jugoslave su tale questione, che dopo il viaggio V.E. a Washington4 e le dichiarazioni di Tito su possibili conversazioni per la soluzione della questione, qui si notò un senso di sollievo, e direi quasi di euforia, nella speranza che finalmente si potesse superare questa questione che impedisce reali buoni rapporti con il nostro paese.

Sta di fatto che in questa attesa l’atteggiamento del Governo jugoslavo e della stampa, più direttamente da esso controllata, nei confronti dell’Italia è diventato più riservato, mentre si è notato un migliore buon volere nelle questioni di dettaglio trattate da questa legazione.

Dopo miei colloqui con Kardelj e con il suo sostituto Vlahović, questo Ministero degli esteri ha cominciato a darsi più pena nel rispondere a note verbali, anche reiterate, rimaste da tempo senza risposta e ha cercato anche di migliorare nella forma le risposte, che talvolta senza essere scortesi erano brusche e lapidarie.

Né può non notarsi un maggior interesse per la nostra cultura ed un più vivo sforzo di allacciare rapporti, anche diretti, in tale campo e nei più svariati settori: da quello scolastico a quello artistico, da quello cinematografico a quello editoriale.

Non è qui il luogo di scendere al dettaglio di tali questioni; mi limito ad accennare l’avviamento a soluzione della questione del cimitero di Caporetto e di quella degli italiani di Mahovliani, che si trascinava da anni.

Nella politica generale non si può dimenticare il favorevole atteggiamento del Governo jugoslavo per l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. e il recente voto a favore dell’Italia dato in sede di F.A.O. E in un certo senso anche la risposta5 alla nostra richiesta di revisione del trattato di pace, che per quanto interlocutoria, è stata di tono moderato ed è stata in sostanza favorevole dal lato morale, non pregiudicando la sua piena adesione per l’avvenire che è quella cui in fondo miravamo in questo momento.

L’unica questione grave che per uno stato di fatto non suscettibile di modificazione non ha fatto sostanzialmente un passo avanti, e che purtroppo non ha possibilità di farne nemmeno in avvenire, è quella dei deportati del 1945. Infatti, nonostante le speranze e le ricerche, per quanto difficili, anche sulla base di minimi indizi, credo che purtroppo bisogna convincersi che i deportati nella loro stragrande maggioranza, per non dire tutti, non esistono più. Per cui si potrà parlare di responsabilità, ma difficilmente di riparazione.

Se invece si ha riguardo alle questioni suscettibili di essere regolate, e soprattutto alla possibilità di un miglioramento delle relazioni tra i due paesi, tutto sembra in questo momento dipendere dalla soluzione o meno della questione del T.L.T., sulla quale sia dal lato positivo che da quello negativo giuocano fattori che trascendono le semplici relazioni e le diplomazie dei due paesi, avendo ormai assunto la questione un interesse di piano internazionale e perciò più o meno apertamente influenzata o influenzabile da un più vasto concerto diplomatico.

Ma a parte la soluzione della questione del T.L.T. se i rapporti tra la Jugoslavia e gli altri paesi confinanti, noi compresi, non marceranno mai sull’olio sia per le diverse concezioni politiche, sia per la natura diffidente e spesso sciovinista degli jugoslavi, nel fare il bilancio dell’andamento delle relazioni tra noi e questo Governo non può non riscontrarsi un continuo progressivo miglioramento, anche se nell’ascesa di esso si siano dovuti notare alcuni periodi di stasi, i quali però non sono stati mai tali da far perdere del tutto gli effetti dei miglioramenti conseguiti.

Quando però si potesse risolvere la questione di Trieste, sarebbe forse possibile un deciso passo avanti nelle relazioni tra i due paesi, non essendo escluso che da parte jugoslava si potesse vedere nel nostro paese un alleato almeno sul piano ideologico, nella resistenza per salvaguardare l’indipendenza tra i due grandi blocchi in conflitto.

Non è stata forse soltanto un frase retorica quella che mi ha detto il signor Regent l’estate scorsa (a parte le riserve che su di lui dovrei fare) che l’Italia dovrebbe essere a capo di tutte le nazioni che lottano per conservare la loro indipendenza.


324 1 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 556, nota 2, e 558.


324 2 Vedi D. 118.


324 3 Non pubblicato.


324 4 Vedi D. 119.


324 5 Vedi D. 316, Allegato.

325

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 261/19. Parigi, 8 gennaio 1952, ore 23,45(perv. ore 1 del 9).

Ho avuto oggi colloquio con Gross e Jessup. È intervenuto poi anche Chauvel. Riassumo punti salienti.

1) Chauvel avrebbe intenzione riunire Consiglio sicurezza per esame questione italiana verso il 14 corrente. Se necessario rimanderebbe di qualche giorno.

2) Americani non (dico non) hanno ancora ricevuto istruzioni definitive. Problema viene discusso in questo momento fra Churchill e Truman.

3) Ritengo però possibile che America si astenga risoluzione globale russa aprendo così strada a espediente di cui alla mia lettera 81 del 22 dicembre u.s.1.

4) Francia si asterrebbe egualmente. Petizione inglese, che sembra esser la più resistente, non (dico non) è ancora decisa. Naturalmente anche Cina dovrebbe astenersi.

5) In questa ipotesi si avrebbe seguente situazione: quattro grandi potenze si astengono, Russia vota in favore propria risoluzione. Rimangono sei membri non permanenti Consiglio che (maggioranza richiesta è di sette) dovrebbero tutti votare in favore. Americani ed inglesi si mostrano estremamente scettici possibilità raggiungere questo risultato. Di fatto mentre Brasile, Cile e Pakistan, date loro tendenze universalistiche, non dovrebbero fare difficoltà, Turchia, Paesi Bassi e Grecia per ragioni diverse, potrebbero farne.

6) Sono stato comunque autorizzato iniziare sondaggi, naturalmente senzaimpegnare atteggiamento americano, presso delegati questi paesi. Soltanto in seguito, se necessario, chiederò concorso codesto Ministero per azione fiancheggiamento.

Poiché atteggiamento americano sembra ancora dubbio, e quello personale qualche membro delegazione restio, sarebbe estremamente utile che ministro Thompson ritornasse subito Parigi per continuare sua efficacissima azione.


325 1 Non rinvenuto.

326

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 272/16. Washington, 8 gennaio 1952, ore 19,13(perv. ore 7 del 9).

Mio 141.

Secondo informazioni confidenzialmente fornite da Dipartimento, problema riorganizzazione N.A.T.O. è stato esaminato in conversazioni anglo-americane in termini generali. È stata esclusa formazione Comitati politici ristretti. Ci si è invece orientati verso rafforzamento Consiglio sostituti ovvero sua sostituzione con Consiglio nordatlantico permanente formato da rappresentanti «alto livello», secondo idee già formulate da Spofford, le quali, a quanto questi ritiene, incontrerebbero favore tutti membri. (Tratterebbesi di organo paragonabile a Consiglio sicurezza Nazioni Unite). Non (dico non) è stato finora raggiunto accordo circa sede nuovo Consiglio, permanendo tuttora incertezza inglese ed anche di taluni organi americani su opportunità accentrare Parigi attività N.A.T.O.

Progetto circa riorganizzazione N.A.T.O. sarà probabilmente presentato per iscritto a Consiglio sostituti da rappresentante americano a nome Stati Uniti soltanto, onde evitare impressione azione congiunta. Peraltro, qualora idee britanniche non coincidessero interamente con americane, Gran Bretagna si riserverebbe presentare progetto distinto.


326 1 Del 7 gennaio con il quale Tarchiani aveva fornito le prime notizie sull’incontro Truman-Churchill nel quale era stato discusso anche il problema della riorganizzazione della N.A.T.O.

327

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 164/89. Washington, 8 gennaio 19521.

Da conversazioni avute nei giorni scorsi con i funzionari del Dipartimento di Stato che, in seno alla Direzione generale degli affari d’Europa, si occupano dei problemi delle Nazioni Unite, è risultato che la questione dell’universalità, per quanto riguarda le ammissioni all’O.N.U., è tuttora oggetto di studio, pur incontrando, sia all’interno del Dipartimento sia in generale nell’Amministrazione statunitense, l’opposizione da me già segnalata.

In particolare, ci è stato detto, l’esame dei competenti uffici è diretto alla possibilità di utilizzare la nota risoluzione russa per l’ammissione di tutti gli Stati che hanno fino ad ora fatto domanda, per cercare in tal modo, mediante una favorevole votazione dell’Assemblea generale, la sola ammissione dei candidati favoriti dalle potenze occidentali. A tale riguardo il Dipartimento si richiamava a conversazioni che sull’argomento si sarebbero avute a Parigi tra il nostro rappresentante presso l’O.N.U. e funzionari americani.

Gli interlocutori americani di qui non si fanno molte illusioni circa la possibilità che il Dipartimento di Stato finisca per accettare la tesi di utilizzare il progetto di risoluzione russa per permettere l’ammissione dell’Italia. Il primo ostacolo per l’adozione di una tale politica si incontra nell’opinione pubblica americana e nel Congresso che, specie alla luce dei recenti avvenimenti in Ungheria, difficilmente perdonerebbero al Dipartimento di Stato di non aver fatto ricorso al veto per bloccare l’ammissione dei satelliti della Russia. Anche nell’ipotesi che l’ammissione di detti satelliti fosse bloccata in sede di Assemblea generale, il Dipartimento di Stato teme che, proprio a causa del sempre crescente favore che incontra presso i membri delle Nazioni Unite la tesi della universalità, il fatto di avere superato l’ostacolo del Consiglio di sicurezza renda probabile l’ammissione degli Stati stessi da parte di un prossima Assemblea generale. Infine, il Dipartimento di Stato si preoccupa che per il momento in cui, sia in base al predetto concetto di universalità, sia in base a un preciso interesse delle potenze occidentali sorgesse il problema dell’ammissione di altri Stati quale la Libia, il Vietnam, e soprattutto la Germania e il Giappone, l’avere fin da adesso rinunziato ad opporre l’ammissione dei satelliti della Russia venga a privare gli americani e gli occidentali dell’unica moneta di scambio con il Governo sovietico.

Nessuna preoccupazione si è riscontrata invece nei funzionari americani circa la possibilità che, indipendentemente dall’atteggiamento americano, la mozione russa possa venire approvata, perché si ritiene qui che il semplice fatto che la mozione stessa verrebbe certamente emendata in modo da includere fra gli aspiranti all’ammissione la Corea del Sud, porterebbe i russi a bocciarla essi stessi.

Gli uffici del Dipartimento stanno esaminando anche la possibilità che, ove la Russia ponesse il suo veto alla risoluzione per l’ammissione dell’Italia, la questione della legittimità di tale veto venga sottoposta, non all’Assemblea generale, secondo il nostro progetto, ma alla Corte dell’Aja, affinché questa decida il caso specifico. Il motivo per cui il Dipartimento di Stato è tuttora contrario alla discussione della illegittimità del veto sovietico da parte dell’Assemblea generale va trovato nel timore che un tale precedente possa essere usato successivamente per attaccare un eventuale veto da parte dell’America che, come è noto, vuole invece mantenere, specie per desiderio del Congresso, il più ampio diritto di tale misura di sicurezza.

La terza ipotesi allo studio del Dipartimento di Stato per permettere la nostra ammissione è quella, del resto non nuova, della revisione dello Statuto. A quanto però ci è stato precisato, pur con la riserva che trattasi di studio tuttora preliminare, non si tratterebbe della prevista revisione del 1955 ma di una revisione parziale delle norme per l’ammissione di nuovi membri basata sulla speranza, del resto molto tenue, e secondo me addirittura infondata, che la Russia per non ostacolare il sentimento prevalente tra le Nazioni Unite a favore dell’universalità dell’ammissione, possa essere indotta a non usare del suo diritto di veto contro tale revisione. A tale speranza si aggiunge quella, forse più fondata, che, una volta sormontato l’ostacolo russo, la maggioranza degli Stati membri, ansiosi di risolvere il problema delle ammissioni, potrebbero essere indotti a ratificare rapidamente la predetta revisione della Statuto. In tal caso, ci è stato aggiunto, l’Italia potrebbe, nelle more del completamento del processo di revisione, accettare una partecipazione limitata ai lavori dell’Assemblea generale accompagnata, dopo una opportuna modifica delle regole procedurali, con una piena partecipazione ai lavori dei Comitati. Si tratterebbe, ci è stato aggiunto, in questo caso, non più di quella limitata partecipazione di «consolazione» offertaci in passato e della cui opportunità ci era stato lasciato il completo giudizio, ma di una specie di appello al nostro senso di collaborazione internazionale giustificato inoltre, secondo gli interlocutori americani, dal carattere interinale della misura.

Abbiamo naturalmente fatto presente, da parte nostra, le obiezioni sia al progetto in generale, per la sua poca probabilità di riuscita, sia alla seconda parte di esso, per le ragioni da noi in precedenza esposte.

Per quanto mi renda conto che quanto precede è frutto soprattutto di un esercizio mentale dei funzionari incaricati della studio della questione, lodevole se si vuole ma destinato, almeno per il momento, a non superare la fase di studio, ho voluto riferire a codesto Ministero ad ogni buon fine il contenuto delle conversazioni. Naturalmente abbiamo approfittato dell’occasione per richiamare ancora una volta l’attenzione del Dipartimento di Stato, sia sull’importanza della questione, sia sull’aspettativa determinatasi in Italia, specie dopo la visita di V.E. a Washington2, per un appoggio americano alla nostra ammissione nelle Nazioni Unite. A tale riguardo mi risulta che Dunn, anche recentemente, si è reso qui interprete delle stesse considerazioni.


327 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


327 2 Vedi D. 119.

328

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 262/20. Parigi, 9 gennaio 1952, part. ore 0,19 del 10(perv. ore 1).

Mio telegramma 191.

Delegazione francese mi conferma che atteggiamento inglese di fronte nuovi sviluppi problema ammissione di cui telegramma surriferito è riluttante accettare espediente astensione.

In vista colloqui Churchill Truman nel corso dei quali dovrebbe esser concordato atteggiamento comune, Chauvel ritiene opportuno intervenire Washington massima urgenza sia presso inglesi che presso americani.

Occorrerebbe chiedere agli inglesi che, di fronte risoluzione russa per ammissione globale 13 candidati, rappresentante britannico Consiglio sicurezza segua esempio americano astenendosi; questo infatti a giudizio di tutti, unico modo per far entrare Italia in questa stessa sessione. Analogamente occorrerebbe agire presso americani che sinora non hanno preso un atteggiamento definitivo perché si confermino nel proposito di astenersi e resistano ad eventuali obiezioni inglesi convincendoli a seguire loro esempio.

Non (dico non) è necessario in questa fase e in quella sede parlare di ciò che dovrebbe poi accadere in Assemblea.


328 1 Vedi D. 325.

329

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 291/23. Parigi, 9 gennaio 1952, ore 18,15(perv. ore 19).

Su sua richiesta ho avuto ieri nuovo incontro con Bebler1 che ha cominciato col leggermi alcuni passi rapporto da Belgrado circa colloqui Martino-Kardelj2. Nulla di nuovo rispetto quanto riferito nostro interesse eccetto forse che Kardelj vi si mostra un poco più sollecito di Brilej a dare prova di buona volontà.

Conversazione si svolgeva in un ristorante, perciò senza carte. Bebler torna sottolineare importanza loro richiesta sbocco al mare ad oriente Trieste. Come contropartita parla però soltanto di Capo d’Istria. Rispondo che Servola non è villaggio e neppure sobborgo di Trieste ma parte integrante città; chiederne distacco è pazzia. Visto che Bebler ha parlato anche di Zaule saremmo però interessati vedere suo memorandum. Gli faccio capire chiaramente che questo non (dico non) è altro che naturale desiderio conoscere nei suoi dettagli una richiesta alla quale jugoslavi annettano grande importanza ma non vuole dire che essa possa essere presa seriamente in considerazione.

In tema contropartita Bebler mi chiede, in via personale, di «scoprire mio giuoco» a dirgli sin dove vogliamo arrivare. Secondo istruzioni di V.E. gli rispondo tutta costa sino Cittanova inclusa Buie. Potremmo considerare leggeri ritocchi fascia meridionale non costiera, ma principio rimane sempre quello impossibilità per nostro Governo abbandonare altri italiani. Constatiamo reciprocamente che in tali condizioni progredire è impossibile.

Sempre in via personale (egli assicura non averne mai parlato con Kardelj) Bebler insinua che se nella seduta di oggi cedessimo «qualche sobborgo orientale» Gorizia accordo potrebbe essere più facile. Gli rispondo che non ne vedo assolutamente possibilità.

Rimaniamo d’accordo che Bebler mi farà avere tra qualche giorno suo memorandum su sbocco mare redatto originariamente ad uso interno delegazione jugoslava. Non (dico non) fissiamo altra data per incontro. Ci vedremo se ci sarà qualcosa di nuovo. Conversazioni rimangono però aperte, e Bebler mostra interesse conoscere data arrivo Parigi V.E.

Proseguono intanto quelle tra Kos e Bacchetti. Kos mostra scarsissimo interesse e ascolta spiegazioni senza contestare dati né reagisce in altro modo. Si conferma impressione complessiva che jugoslavi sono giunti a conclusione che non esiste, almeno per ora, possibilità accordo3.


329 1 Per i precedenti colloqui vedi DD. 248, 293, 302 e 311. Guidotti aveva inoltre avuto una conversazione informale con Bebler il 22 dicembre, vedi D. 318.


329 2 Vedi D. 316.


329 3 Per il successivo colloquio vedi D. 362.

330

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 354/32. Parigi, 10 gennaio 1952, ore 22,30(perv. stessa ora)

Il Comitato di direzione odierno si è occupato delle seguenti questioni:

1) redazione di gruppo nuovi articoli che regolamentano e sanciscono la collegialità del commissario, chiamato d’ora innanzi Alta Autorità nonché la definitiva redazione dell’articolo 7H in conformità alle decisioni dei ministri del 27 dicembre;

2) questioni finanziarie. I punti di vista già così discordanti sembrano andare avvicinandosi lentamente sulle seguenti direttive: a) bilancio comune; b) approvazione del bilancio delle entrate e delle contribuzioni ad unanimità; c) approvazione del bilancio delle spese a maggioranza qualificata.

Tanto Alphand quanto il delegato olandese su queste linee generali hanno fatto oralmente nuove proposte tecniche che, in telegramma, sarebbe impossibile riassumere. Ho l’impressione nell’insieme che da parte belga ed anche olandese si siano fatti considerevoli sacrifici per avvicinarsi alla tesi germanico-francese. Secondo il delegato olandese ciò sarebbe in relazione alle spiegazioni fornite a L’Aja da Blank. Mi sono riservato di pronunciarmi sulle nuove proposte, in attesa di studiare a fondo i testi francese e olandese che domani verranno distribuiti e che, per corriere, invierò immediatamente;

3) impiego delle forze. Analoghe proposte a quelle già presentate dalla delegazione francese a Londra (vedasi telespresso del 14 novembre n. 14051 della nostra rappresentanza N.A.T.O.) sono state fatte da Alphand. In particolare esse comportano la formulazione di due dichiarazioni parallele della C.ED. e della N.A.T.O. per l’automatismo reciproco in caso di aggressione senza che sia necessaria una deliberazione del Consiglio dei ministri della C.E.D. Il Consiglio dei ministri della C.E.D. invece dovrebbe pronunciarsi all’unanimità sull’impiego delle forze in casi di aggressione subita da un paese che non fosse membro né del N.A.T.O. né della C.E.D. Alphand ha pregato le delegazioni di manifestare su tale problema al più presto il loro punto di vista.


330 1 Non pubblicato.

331

IL CAPO DELL’UFFICIO III DEGLI AFFARI POLITICI, TALLARIGO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Roma, 11 gennaio 1952.

Il ministro in Amman, nel riferire che Talal sarebbe lieto di far visita al Sommo Pontefice, ha prospettato la possibilità da parte nostra di cogliere questa occasione per influire in qualche modo nella soluzione della questione dei Luoghi Santi.

I termini della questione sono noti:

– la Santa Sede è ferma sulla necessità dell’internazionalizzazione della regione di Gerusalemme, e ritiene inopportuno, in una situazione così instabile, compromettere con un accordo parziale il principio della internazionalizzazione.

– Le Nazioni Unite hanno sancito l’internazionalizzazione del territorio di Gerusalemme mediante apposita risoluzione.

– Tale risoluzione non ha più avuto applicazione per l’opposizione dei due Stati della regione: Giordania e Israele.

Recentemente il ministro in Amman è ritornato sul pericolo che il prolungarsi di tale situazione si risolva in un danno per gli interessi cattolici e ha proposto di intervenire attivamente con gli altri paesi cattolici interessati, per la salvaguardia dei loro interessi, prendendo lo spunto dalla pretesa del Governo giordanico di riparare la cupola della Basilica del S. Sepolcro ciò significherebbe arrogarsi un diritto che non gli spetta. Mentre poi da parte del ministro in Amman si propone un vero e proprio accordo che regolerebbe, sia pure parzialmente, il regime politico della regione, da parte della Santa Sede si sarebbe propensi a un passo, sul tipo di quello compiuto in occasione della nomina del «custode» giordanico dei Luoghi Santi, che lasciando da parte il regime politico della regione, salvaguardi i diritti dei cattolici nei vari santuari dalla invadenza dei greci ortodossi e del Governo occupante.

È impossibile che, dato il punto di vista della Santa Sede e personalmente del Sommo Pontefice sulla questione, l’eventuale udienza del Sommo Pontefice al re Talal porti a qualcosa di decisivo nei confronti dei Luoghi Santi. Comunque la Santa Sede è al corrente delle proposte del ministro in Amman e delle ragioni che le hanno motivate.

Altra questione sul tappeto nei confronti della Giordania è quella dei fosfati, di competenza della Direzione generale affari economici. Si è giunti ad un accordo tra i gruppi ebraico e giordanico e si attende ora l’approvazione del Consiglio dei ministri. La Direzione generale affari economici è del parere che le trattative continuino ad Amman. Si tratta comunque di un accordo per lo sfruttamento futuro dei fosfati, dato che fino a che non si riaprirà la ferrovia che sbocca a Caifa (e per questo occorre la pace degli arabi con Israele) il costo dei fosfati è antieconomico. A meno che non si trovino dei giacimenti vicino a Akaba, sul Mar Rosso, nel qual caso lo sfruttamento potrebbe incominciare limitatamente a quei giacimenti.

Si acclude ad ogni buon fine un appunto sulla figura di Talal1.


331 1 Non pubblicato.

332

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 504. Washington, 11 gennaio 1952(perv. il 18).

Riferimento: Miei telegrammi 161, 20 e 252.

A completamento di quanto ho riferito coi telegrammi sopracitati, ho l’onore di comunicare qui di seguito le informazioni confidenzialmente raccolte sui colloqui Churchill-Truman e di aggiungere qualche considerazione di commento sul valore complessivo dell’incontro.

Situazione generale. La situazione internazionale generale, è stata esaminata dai due uomini di Stato nei colloqui informal svoltisi all’inizio della visita del primo ministro. Churchill e Truman sono stati d’accordo nel riconoscere che la minaccia di un’aggressione sovietica pesa tuttora sul mondo occidentale e non può essere allontanata se non con l’accumulare forze militari ingenti. In altri termini hanno convenuto che, mentre conviene lasciare costantemente aperta la porta delle trattative con l’U.R.S.S., non è lecito attendere una distensione a breve scadenza.

Truman è stato commosso dal calore e dalla sincerità con la quale Churchill ha lodato la sua pronta decisione di difendere militarmente la Corea, affermando che la decisione stessa è stata a turning point delle relazioni fra Oriente e Occidente.

Corea. Nessuna divergenza di opinioni è emersa né sull’opportunità di mantenere su un piano strettamente militare le attuali trattative di armistizio né sulla necessità di continuare la lotta qualora l’armistizio non possa essere concluso su questa base. Pertanto, non vi è stata discussione su questo punto, cosicché il tempo dedicato ed esso è stato assorbito quasi interamente dall’esposizione della situazione militare, fatta da Bradley a richiesta di Churchill.

Cina. Churchill ha confermato con le argomentazioni di politica interna, cui accennavo nel mio rapporto 52 del 2 corrente3, che sarebbe difficile per la Gran Bretagna ritirare il riconoscimento alla Cina comunista. Ha però promesso che, per il resto, accosterà quanto più è possibile la politica britannica a quella americana, fra l’altro nella questione di Formosa.

Asia sudorientale. Truman non è stato in grado di assumere impegni in merito alla difesa dell’Asia sudorientale. Al contrario, pur promettendo di continuare a fornire nei limiti del possibile aiuti sotto forma di materiale bellico per la lotta in Indocina e in Malesia, ha lasciato intendere che il peso maggiore di tale lotta, anche nel caso di una più forte pressione cinese, dovrà ricadere sulla Gran Bretagna e sulla Francia. Le imminenti conversazioni militari anglo-franco-americane di Washington, mentre permetteranno un esame più approfondito della situazione e condurranno forse a qualche forma di più stretta collaborazione strategica (si parla oggi della formazione di un «Comando unificato» per l’Asia sudorientale del genere di quello previsto per il Medio Oriente) dovranno tener conto di ciò.

Vicino e Medio Oriente. È stata constatata la necessità di organizzare al più presto il Comando del Medio Oriente, con o senza l’Egitto, con o senza gli altri paesi arabi.

Il problema del Medio Oriente formerà oggetto di ulteriori conversazioniAcheson-Eden.

Per quanto concerne in particolare l’Egitto, Eden ha fatto presente che la Gran Bretagna non attribuisce speciale importanza alla questione del titolo di re del Sudan, in sé e per sé; ma ritiene che, oggi, il riconoscimento comporterebbe automaticamente un sovvertimento della situazione giuridica creata dai trattati e pregiudicherebbe la possibilità di dare al Sudan una sistemazione finale, soddisfacente per l’Occidente e per il Sudan stesso, oltre che per l’Egitto. (È quindi probabile che il Dipartimento di Stato negli ulteriori contatti con Londra e col Cairo continuerà a sforzarsi di scindere la questione del riconoscimento del titolo da quella del futuro Statuto del territorio).

Questioni economiche. Churchill ha iniziato la sua esposizione col dire che la Gran Bretagna non chiede aiuti per le sue esigenze interne bensì soltanto per sostenere lo sforzo che le si chiede di compiere nel quadro della difesa dell’Occidente. Ha quindi illustrato in termini drammatici la diminuzione delle riserve britanniche ed ha indicato, come il più grave di tutti, il problema delle materie prime, non solo sotto l’aspetto della scarsità di alcune di esse, ma anche del loro prezzo, al cui aumento l’instabile economia britannica è sensibilissima.

Churchill e Truman hanno concordemente riconosciuto che il rapporto del T.C.C. presenta un quadro sostanzialmente esatto delle esigenze della Comunità atlantica. Churchill, pure senza assumere impegni specifici, ha promesso di intraprendere un’energica azione per aumentare la produzione di carbone e, a tal fine, anche per vincere l’opposizione delle Trade-Unions all’assunzione di mano d’opera straniera.

Il sottocomitato, istituito per esaminare più a fondo le questioni economiche, è ormai sul punto di raggiungere un accordo in base al quale gli Stati Uniti si impegneranno virtualmente a coprire il fabbisogno britannico di acciaio, in cambio di importanti forniture di stagno e di alluminio. Questo accordo non sarà interamente pubblicizzato, per evitare la reazione degli ambienti industriali americani, che già risentono fortemente della scarsità di acciaio. Per l’annuncio dell’accordo, da farsi con la suddetta riserva, sembra si attenda il benestare degli esperti canadesi, appositamente interpellati.

Esercito europeo. Acheson nell’esporre questo problema ai due capi di Governo ha dichiarato che le sue recenti conversazioni con V.E., con Shuman e con Adenauer lo hanno convinto di due cose: in primo luogo, che i tre principale paesi del continente europeo sono ormai molto vicini ad un accordo sul modo in cui l’esercito europeo dovrebbe essere formato; in secondo luogo che, per ragioni forse discutibili, la formazione dell’esercito europeo è giudicata dai paesi interessati una conditio sine qua non per ottenere il riarmo tedesco. Eden ha dichiarato che, mentre in un primo tempo non condivideva questa impressione di Acheson, oggi la ritiene esatta.

Pertanto, mentre Truman ha dichiarato di comprendere i motivi per i quali la Gran Bretagna non può aderire alla Comunità europea di difesa, Churchill ha promesso che il Governo inglese premerà sui paesi del Benelux affinché vi aderiscano. (Al momento in cui questa intesa è intervenuta non si era ancora verificata la crisi ministeriale belga, che può introdurre in questa questione qualche nuovo elemento, pro o contro).

Eden ha sottolineato che il Belgio e l’Olanda, per tradizione storica, si sentono orientai più verso il mare che verso il continente ed ha, perciò, fatto presente la necessità di dare ad entrambi la sensazione che la Comunità europea è parte di una più vasta Comunità: quella atlantica, i cui scopi trascendono le attuali urgenti esigenze di difesa militare.

Il tema dei rapporti fra le due Comunità è stato esaminato a fondo ed ha portato alla concorde constatazione che l’una non può farsi né svilupparsi se non nel quadro dell’altra. Di ciò, il comunicato sui colloqui dà chiara notizia in due punti: dove definisce la Comunità europea di difesa come «an element in a constantly developing Atlantic Community» e dove afferma la necessità di sviluppare la Comunità atlantica «not only for immediate defense, but for enduring progress». Enrambe le frasi sono state accuratamente studiate, in vista del loro cospicuo significato politico.

Riorganizzazione della N.A.T.O. Come previsto, non si è parlato di comitati ristretti, bensì della formazione di un organo che adempia alla funzione, originariamente assegnata al Consiglio dei sostituti, di Consiglio nordatlantico permanente. In proposito i sostituti riceveranno presto proposte concrete.

Altre questioni. Su molte questioni non è stato raggiunto un accordo ed il comunicato ne dà francamente notizia. Si tratta principalmente del Comando atlantico e della standardizzazione del fucile (oltre che della Cina, per la quale è stato raggiunto il sopradescritto accordo parziale).

Il giorno in cui erano all’ordine del giorno le questioni dell’energia atomica, del Comando atlantico e del fucile, Churchill, nel recarsi alla seduta, ha detto all’ambasciatore Franks: «I don’t know anything about atomic energy, but on the other two questions I’am going to give the Americans a hell of a time». Si deve credere che sia riuscito in questo intento, ma non al punto di imporre a Truman le sue idee.

Queste, le informazioni raccolte sui singoli argomenti trattati. Quanto al risultato complessivo del viaggio, la valutazione dipende da quel che ciascuno si attendeva dai colloqui.

L’aspettativa di proposte «audaci» da parte di Churchill ha provocato nel Governo americano un atteggiamento di prudenza, per non dire di diffidenza, tale da scoraggiare la presentazione di tali proposte, se mai Churchill l’aveva contemplata.

L’incontro si è risolto quindi in un semplice, ma non per questo meno importante, scambio di vedute fra gli uomini responsabili della politica dei più forti paesi democratici, che si sentono legati da comuni responsabilità e da un comune destino e conseguentemente da comuni esigenze di stretta collaborazione.

Scartato ogni proposito di dare a questa collaborazione forme esteriormente solenni, Truman ha fatto volentieri tutto il possibile per tener conto delle preoccupazioni di prestigio di Churchill. Da parte americana si ritiene che il primo ministro britannico, tornando in patria, potrà valersi di tre elementi, per presentare il suo viaggio come un successo: la riaffermata intimità dei rapporti anglo-americani, col pieno riconoscimento delle esigenze britanniche anche là dove non coincidono interamente con la politica americana; le forniture di acciaio; e la dichiarazione, contenuta nel comunicato, sull’uso delle basi americane in Gran Bretagna (Churchill, a causa degli attacchi mossi da alcuni settore dell’opposizione, teneva molto a questa dichiarazione, che a Truman sembrava superflua).

Per quanto concerne l’Europa, il viaggio avrà avuto un risultato favorevole se effettivamente faciliterà la collaborazione della Gran Bretagna con (benché non in seno a) la prevista Comunità di difesa. Al tempo stesso, e di ciò converrà tenere il massimo conto, ha chiarito, al di là d’ogni sia pur tenue dubbio, che questa collaborazione sarà possibile, da parte degli Stati Uniti oltre che dalla Gran Bretagna, esclusivamente nel quadro della Comunità atlantica.

Il viaggio di Churchill non è finito: fra qualche giorno ne avrà luogo la seconda parte, col discorso del primo ministro al Congresso. Dal punto di vista europeo, la seconda parte sarà almeno tanto importante quanto la prima, per il molto che Churchill può fare (se vuole) al fine di invigorire il senso della responsabilità internazionale degli Stati Uniti in un Congresso nervoso e preoccupato dalle esigenze di politica interna.


332 1 Vedi D. 326.


332 2 Del 9 e 10 gennaio, non pubblicati.


332 3 Non pubblicato.

333

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

Telespr. segreto urgente 22/123/011. Roma, 14 gennaio 1952.

Riferimento: Lettera n. 2035/1460 del 28 dicembre 19512. Suo telegramma n. 6 del 4 gennaio ’52 3.

Per sua norma di linguaggio, converrà tenere presenti, circa progettata riorganizzazione organi militari e civili N.A.T.O., seguenti considerazioni:

1) Pur rendendoci conto inconvenienti attuale organizzazione e funzionamento Consiglio atlantico, siamo d’avviso che vantaggi anche psicologici derivanti da frequenti sue riunioni siano largamente superiori ad inconvenienti stessi, e che pertanto convenga ribadire principio opportunità suo mantenimento e sua frequente convocazione (almeno tre volte all’anno). Aggiungasi che medi e piccoli paesi si oppongono a tendenze costituzione direttorio ristretto e che tale costituzione rischierebbe provocare in tali paesi reazioni e progressivo disinteresse verso organizzazione nella quale non fossero rappresentati in condizioni di parità.

2) Ciò d’altro canto non esclude a priori eventuale creazione Comitato ministri atlantici. Peraltro esperienza sin qui fatta dimostra che se essi saranno ministri ad hoc, e cioè senza un proprio dicastero dietro spalle, avranno scarse possibilità azione concreta in rispettivi paesi; se invece saranno ministri bilancio oppure difesa, si verificheranno all’incirca stessi sfasamenti constatati in passato, in quanto i primi saranno prevalentemente orientati verso esigenze politica finanziaria, i secondi prevalentemente verso potenziamento massimo forze militari.

A nostro parere converrebbe invece mantenere in vita Temporary Council Committee – T.C.C. – (trasformandolo in Permanent Council Committee – P.C.C. – ) col solo compito specifico di presentare rapporto, come quello ora in esame, che dovrebbe cioè fissare possibilità economico-finanziarie Comunità atlantica e singoli paesi di anno in anno. Tale soluzione contribuirebbe a ribadire il concetto della responsabilità collettiva e ad evitare cristallizzazione della supremazia a tre. A questo fine potrà anche essere necessario rivedere attribuzioni e metodo di lavoro del Bureau Exécutif del T.C.C., che non sono stati interamente soddisfacenti.

3) Circa Consiglio sostituti, siamo opinione che se esso è stato in qualche guisa lacunoso e non ha risposto criteri in base ai quali venne organizzato, ciò è soprattutto dipeso mancanza adeguate istruzioni e deleghe poteri da parte Governi. Per i motivi indicati al punto n. 2, inconvenienti molto simili si verificherebbero del resto per i ministri atlantici ad hoc in quanto essi finirebbero per essere super-sostituti o poco più.

4) Non ci dispiace idea creare direttore generale alla testa di un Segretariato generale. Dobbiamo però precisare fin d’ora che a nostro avviso egli dovrebbe essere assistito da uno o al massimo due direttori generali aggiunti, che uno di questi posti dovrebbe essere riservato ad un italiano e che al nuovo staff del Segretariato generale occorrerebbe dare opportuno dosaggio internazionale, come è attualmente caso O.E.C.E. Segretariato generale dovrebbe coordinare lavoro tutti organi non militari N.A.T.O. che diventerebbero diverse branche (Agenzie) stessa e unica organizzazione.

5) Inoltre per assicurare attraverso nuovo organo una migliore funzionalità del N.A.T.O., si potrebbero considerare anche tre ipotesi:

a) Incorporazione di fatto nel N.A.T.O. dell’O.E.C.E., la quale in tale caso dovrebbe assorbire Financial and Economic Board (F.E.B.) e Defence Production Board (D.B.P.) e coordinare azione altri eventuali nuovi organismi economici, come Petroleum Planning Committee (P.P.C.). Procedura più semplice sarebbe probabilmente quella di mantenere personalità giuridica O.E.C.E.: in tale caso Stati Uniti e Canada dovrebbero divenirne membri di pieno diritto, mentre Svizzera e Svezia quasi certamente ne uscirebbero. La loro permanenza nell’Unione pagamenti – E.P.U. – e negli accordi paralleli di politica commerciale potrebbe essere regolata con convenzione a parte. L’O.E.C.E., così trasformata, diverrebbe pertanto la Agenzia economica del N.A.T.O., con il vantaggio di permettere alla Germania occidentale, che già fa parte O.E.C.E., di collaborare ad elaborazione piani per sforzo comune difesa atlantica, anche non facendo ancora parte de jure del N.A.T.O.

In tale caso ad O.E.C.E. sostituti e direttore generale demanderebbero quindi studio problemi economico-finanziario-produttivi.

b) Consiglio sostituti, continuando a svolgere attuali compiti, rappresenterebbe anche più alto livello permanente nuovo unico Board economico-finanziario-produttivo N.A.T.O., il quale sarebbe incaricato elaborazione problemi già di competenza F.E.B. e D.P.B. Tale Board assumerebbe inoltre i compiti politico-economici di maggior rilievo attualmente assolti da O.E.C.E., per i quali non risulti indispensabile cooperazione membri O.E.C.E. che non hanno e non vogliono avere alcun legame con Patto atlantico. (Anche in questo caso, potrebbe forse essere trovata formula per collaborazione de facto Germania occidentale).

Dovrebbe sussistere – al di fuori del N.A.T.O. – un’Agenzia economica intereuropea ex O.E.C.E. per studi e elaborazione indirizzo generale attività economiche Europa Libera (ivi comprese Svezia, Svizzera, Irlanda) e con attribuzioni nei riguardi dell’E.P.U., che attualmente spettano al Consiglio O.E.C.E. La nuova Agenzia avrebbe importanza limitata, ma conserverebbe collaborazione tre paesi suddetti, nonché Germania occidentale, Austria e Territorio Libero Trieste, data sua completa separazione da N.A.T.O.

c) Ferme restando le attuali competenze dei sostituti, potrebbe addivenirsi alla creazione di una sola Agenzia economico-finanziario-produttiva, fondendo F.E.B. e D.P.B. I sostituti sarebbero anche in questo caso il più alto livello permanente della nuova Agenzia e dovrebbero essere affiancati da advisers economici, militari e industriali, tutti ad alto livello. Accordi raggiunti da Consiglio sostituti e direttore generale dovrebbero poi essere interinati da riunioni Consiglio atlantico.

6) Si pone a questo punto la questione della sede. È per noi evidente che rilievi su attuale organizzazione nascono largamente dal fatto che una divisione fra Londra e Parigi (oltre residenza Standing Group e Comitato rappresentanti militari a Washington) rende molto più difficile lo svolgimento di una azione rapida e efficace. Non essendo possibile trasportare Standing Group in Europa, siamo quindi d’avviso che occorra concentrare tutti gli altri organismi permanenti a Parigi, in contatto diretto con S.A.C.EUR.

7) Circa le riforme nel settore militare, non siamo in principio contrari ad un allargamento dei poteri dello Standing Group e dei Comandi dipendenti come proposto da S.C.S., ma a due condizioni:

a) fissare nettamente obblighi Standing Group di consultare e tenere informato costantemente Comitato rappresentanti militari;

b) internazionalizzarne lo staff, includendovi adeguate aliquote ufficiali altri paesi N.A.T.O., proporzionalmente all’apporto in forze armate alla difesa comune.

Su questo punto ci riserviamo di inviare più precise istruzioni, dopo che i nostri militari avranno approfondito studio problemi.

8) Concludendo: siamo favorevoli a qualsiasi riforma, qualora essa ci possa fare ritenere di raggiungere posizioni di maggiore parità con tre grandi potenze negli organi N.A.T.O., oltre ovviamente aumentarne efficienza; siamo comunque fermamente decisi opporci eventuali tentativi di riorganizzazione che in modo diretto o indiretto possano condurre ad accentuare esclusione dell’Italia da supremi organi direttivi politici, economici, militari; ciò non tanto per timore di vedere compromessi i nostri legittimi interessi nazionali, quanto perché riteniamo che attuale situazione francese sia tale da non dare modo alla Francia di tutelare con sufficiente energia esigenze Europa continentale.

Il giorno in cui la Comunità europea sarà divenuta una realtà operante, potrà essere evidentemente considerata la possibilità che «un continentale» rappresenti tutti i paesi che di tale Comunità faranno parte.


333 1 Ritrasmesso, con lievi varianti e con l’omissione del punto 5, alle ambasciate ad Ankara, Atene, Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi e Washington e alle legazioni a Copenaghen, L’Aja, Lisbona, Lussemburgo ed Oslo (Telespr. segreto urgente 22/124/02, pari data).


333 2 Non rinvenuto.


333 3 Con il quale Rossi Longhi aveva riferito notizie confidenziali sulle proposte di Churchill a Truman relative alla riorganizzazione della N.A.T.O. che prevedevano l’istituzione di un comitato di ministri di Gabinetto da affiancare al Consiglio atlantico ed al Consiglio dei sostituti. In particolare segnalava: «Dato che tale comitato, che si riunirebbe mensilmente, ovvierebbe almeno in parte, alle deficienze insite nel Consiglio dei sostituti per la sua composizione a livello di funzionari, il Consiglio atlantico potrebbe limitarsi a riunioni semestrali. Il Consiglio dei sostituti invece continuerebbe a sedere in permanenza quale strumento di lavoro e di discussione sotto stimolo del previsto comitato ministri».

334

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto urgentissimo 580/44. Parigi, 15 gennaio 1952, ore 19,45(perv. stessa ora).

Mio telegramma 321 e mio telespresso 10/2 dell’11 gennaio 19522.

Qualora questioni finanziarie venissero come possibile nuovamente discusse domani mi proporrei fare dichiarazione tenore seguente:

«Governo italiano in vista concreti sviluppi federali che si delineano per Comunità europea della difesa è disposto ad accettare fin dall’inizio bilancio comune comprendente tutte spese paesi membri previste in trattato. Contribuzioni saranno stabilite secondo regole N.A.T.O., e cioè sulla base principi adottati ad Ottawa in maniera riconciliare necessità militari con possibilità finanziarie, economiche e sociali ciascun paese valutate in maniera realistica.

Per quanto riguarda impiego fondi e piani di armamento siamo d’accordo perché Alta Autorità abbia ampia autonomia e disponga poteri propri; piani di armamento potranno essere approvati da Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata.

Per quanto riguarda approvazione bilancio delle spese credo sapere che Governo italiano desideri mantenere certe garanzie riguardo azione Alta Autorità. Non mi potrei pronunciare ora impegnando ministro bilancio su problema regola da adottarsi per votazione bilancio in Consiglio dei ministri. Personalmente sono in favore maggioranza qualificata e confido che Governo italiano in prossima riunione ministri voglia pronunciarsi in tal senso.

Ciò sarebbe più possibile se proposte francesi fossero completate con suggerimenti fatti da delegato Paesi Bassi circa stabilimento alcuni principi di garanzia da servire di direttive alla azione dell’Alta Autorità. A tale riguardo Governo italiano desidererebbe che sia indicato in trattato che Alta Autorità nella effettuazione spese e piani di armamento, nonché in ripartizione aiuto finanziario esterno, debba aver cura riconciliare esigenze difesa comune con quelle stabilità economica e sociale di ciascun paese».

Qualora V.E. desideri impartirmi istruzioni per differente presa posizione, le sarei grato volesse farmele pervenire entro domattina3.


334 1 Vedi D. 330.


334 2 Non pubblicato.


334 3 Inviate per telefono come risulta dal seguente appunto di Venturini del 16 gennaio, ore 13: «Telefonato istruzioni a Cavalletti in relazione telegramma 44. Biffare parole “abbia ampia autonomia”. Sopprimere la frase: “Personalmente sono in favore maggioranza qualificata e confido che Governo italiano in prossima riunione ministri voglia pronunciarsi in tal senso”. Iniziare frase seguente con parole: “Ritengo comunque che soluzione problema sarebbe facilitata se proposte francesi ecc...”».

335

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

T. segreto 510/91. Roma, 16 gennaio 1952, ore 18,30.

Con riferimento telegramma 82, pregola fare riservatamente e amichevolmente presente codesto Governo opportunità, nel suo stesso interesse, che sia evitato minacciato sciopero personale Compagnia. Paralisi traffico Canale non (dico non) potrebbe infatti essere accettata, data intensità traffico che vi si svolge, da alcun paese avente interessi in tale traffico; e per conseguenza mentre non (dico non) favorirebbe presso opinione pubblica mondiale causa Egitto, costringerebbe paesi più interessati assicurare con propri mezzi funzionamento servizi. Conseguenze queste che sarebbe proferibile evitare3.


335 1 Ritrasmesso a Parigi con T. segreto 514/58 in pari data.


335 2 In pari data, con il quale Jannelli aveva chiesto informazioni sulla effettiva portata del minacciato sciopero del personale della Compagnia del Canale di Suez.


335 3 Con T. segreto 809/16 del 19 gennaio Ferrero rispondeva di aver avuto assicurazioni dal sottosegretario agli esteri egiziano che non era previsto alcuno sciopero e che l’Egitto era interessato al mantenimento del traffico.

336

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. segreto 570/71. Roma, 18 gennaio 1952, ore 18.

Suo 511.

Autorizzola informare Governo francese contenuto mio 582. Per quanto riguarda sostanza proposta francese nostro pensiero è che, ove fosse necessario invio tecnici per assicurare navigazione Canale, si potrebbe aderire ad eventuale richiesta Compagnia in tal senso evitando tuttavia dare a tale adesione ogni carattere politico e particolarmente aspetto «intervento» da parte potenze in quanto tali.


336 1 Del 17 gennaio, con il quale Quaroni chiedeva di poter informare il Governo francese delle istruzioni impartite all’ambasciatore al Cairo (vedi D. 335).


336 2 Vedi D. 335, nota 1.

337

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 744-745/54-55. Parigi, 18 gennaio 1952, ore 19(perv. ore 19,15).

Comitato direzione è tornato ieri su questioni finanziarie affinché delegazioni che non lo avevano fatto si pronunciassero su note proposte francesi ed olandesi di cui al mio telespresso 10/2 dell’11 gennaio1. Ho perciò fatto dichiarazioni di cui a mio telegramma 442. Delegato tedesco ha dichiarato avere, in via generale, posizione analoga a quella della delegazione francese.

Passando a singole questioni punti di vista conferenza sono stati seguenti:

A) Periodo definitivo prefederale.

1) Bilancio delle entrate: accordo si sta delineando su proposta di cui al numero 3 del documento francese (allegato telespresso sopracitato) e cioè unanimità del Consiglio ed adozione criteri N.A.T.O. in attesa elaborazione migliore criterio per ripartizione spese. Solo riserva della delegazione belga che però ha accettato a titolo personale.

2) Bilancio delle spese: proposta francese (vedi numero 2 documento) comportante approvazione progetto bilancio da parte del Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata e dalla Assemblea ai sensi dell’articolo 57-A, è stata approvata da delegazione tedesca e da delegazione olandese (quest’ultima sotto condizione adozione noti criteri di garanzia da essa proposti); delegato belga si è dichiarato personalmente favorevole assicurando raccomanderà tale soluzione a suo Governo. Per conto mio mi sono riferito a dichiarazioni generali fatte inizio seduta.

B) Periodo transitorio.

Alphand ha proposto istituzione Gruppo Planning fra firma e ratifica per preparare bilancio comune da iniziarsi subito. Difficoltà risultano minime per scorcio esercizio 1952, esistono invece per esercizio 1953, dato che olandesi e belgi, pur consentendo versamento bilanci nazionali a cassa comune, insistono per mantenimento programmi nazionali. Blank ha proposto dare garanzie a belgi ed olandesi che per 1953 loro programmi nazionali non verrebbero sostanzialmente modificati, ma gli è stato osservato che ciò creerebbe trattamento discriminatorio per Italia e Francia. Questione è tuttora in discussione.

Mio odierno 543. Per quanto delegato belga abbia approvato solo a titolo personale adozione regola maggioranza qualificata del Consiglio per votazione bilancio spese, ho impressione che Governo belga finirà anch’esso per accettare.

Faccio presente quindi che in tal caso, se da parte nostra si insistesse per unanimità, noi rimarremmo di fatto isolati su posizione che non sembrami del tutto in armonia con avviamenti federalisti da non caldeggiati.

D’altra parte unanimità ormai accettata da tutte delegazioni per bilancio delle entrate, cioè per ripartizione delle spese; il che dà garanzia che nessun paese potrà essere sottoposto a oneri insostenibili.


337 1 Non pubblicato.


337 2 Vedi D. 334.


337 3 La prima parte del presente documento.

338

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto precedenza assoluta 784/60. Parigi, 19 gennaio 1952, ore 13,27(perv. ore 14,30).

Mio telegramma 561.

Ho parlato con questo delegato permanente Cile in Consiglio sicurezza ambasciatore Santa Cruz, il quale si è dichiarato disposto in linea di massima a votare in favore proposizione globale sovietica per ammissione dei 13 candidati. Gli occorre però immediata autorizzazione da Santiago.

Prego quindi telegrafare assoluta urgenza nostra ambasciata perché svolga passi2. Cile ha all’O.N.U. tradizione anticomunista e potrebbe quindi fare qualche difficoltà. Occorre bene spiegare che si tratta di espediente per far entrare Italia, che sono già assicurati voti Francia, Brasile, Pakistan (oltre naturalmente U.R.S.S.) e che voto Cile è assolutamente indispensabile. Inoltre occorre spiegare che la cosa si farebbe soltanto se Stati Uniti si decideranno ad astenersi, oppure anche a votare contro senza dare al loro voto valore di veto, cioè in sostanza con il loro consenso e accordo.


338 1 Del 18 gennaio, non pubblicato.


338 2 Vedi D. 341, nota 1.

339

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 794/61. Parigi, 19 gennaio 1952, ore 16,18(perv. ore 17,10).

Ieri si è iniziato il dibattito alla prima Commissione politica su ammissione nuovi membri. Viene discussa una proposta di Belaunde che, come noto, mira a stabilire il principio, senza chiederne affatto l’applicazione d’autorità da parte dell’Assemblea, che i candidati possano produrre delle prove che attestino il loro attaccamento alla democrazia ed alla pace. Dopo una lunga presentazione da parte dell’autore, della proposta, il dibattito si è iniziato mollemente e senza convinzione, e quindi per mancanza di oratori è stato rinviato al pomeriggio di lunedì.

La proposta non potrebbe giungere più intempestiva. Anzitutto perché essa offre agli americani un comodo alibi, ed essi infatti l’appoggiano, mentre ancora è in corso un’aspra trattativa per indurli ad astenersi sulla risoluzione globale sovietica. Inoltre, la proposta peruviana, sotto apparenze universalistiche, avrebbe per risultato di seppellire per sempre l’idea dell’universalità, istituendo processi parodistici e clamorosi con sedicenti prove delle buone intenzioni dei singoli Stati.

Ho fatto di tutto per rinviare od evitare il dibattito, ma disgraziatamente mentre la vanità di Belaunde si è dimostrata una corazza a prova di bomba, l’appoggio americano gli dovrebbe assicurare il successo formale. Non era possibile il rinvio perché l’argomento era l’ultimo all’ordine del giorno.

Tenterò di far passare una proposta di costituire un sottocomitato di studio il quale ci darebbe modo di guadagnar tempo.

Per corriere riferirò anche su quanto sopra.

340

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 19 gennaio 1952.

Guidotti ha telefonato ier sera per dire che, con la solita riserva dell’approvazione americana, il noto progetto per la nostra ammissione all’O.N.U. aveva in questi giorni fatto alcuni progressi. Infatti, in seguito ad un passo di Quaroni, Schuman aveva aderito a che, anziché astenersi, la Francia votasse a favore della risoluzione sovietica per l’ammissione in blocco, e la Turchia e l’Olanda avevano fatto sapere che, ove il loro voto fosse stato decisivo, avrebbero anch’esse votato a favore. La situazione si presenta pertanto, attualmente, come segue:

Voterebbero a favore: U.R.S.S.-Francia-Brasile-Pakistan-Cile-Turchia-Olanda. Sarebbero i sette voti necessari perché – in mancanza di «veto» di un membro permanente la risoluzione possa passare.

Degli altri tre membri permanenti, la Cina si asterrebbe (non potrebbe votare a favore perché nella risoluzione sovietica è prevista la ammissione della Mongolia esterna). L’Inghilterra si asterrebbe, gli Stati Uniti (che non hanno ancora preso una decisione definitiva, ma su cui però molto influisce l’atteggiamento di altri Governi) dovrebbero astenersi.

La Grecia si asterrebbe perché nella risoluzione sovietica è proposta l’ammissione di due paesi confinanti con cui è in cattivi rapporti (Bulgaria e Albania), ma il suo voto non è indispensabile.

Guidotti e Quaroni suggeriscono di fare passi con gli americani, per indurli a decidersi, e con gli inglesi per indurli a seguire l’esempio della Francia. Il voto favorevole della Gran Bretagna, benché non strettamente indispensabile, ci farebbe superare di un voto la maggioranza di stretta misura su cui sembra si possa attualmente contare, avrebbe una notevole influenza sugli americani e su altri che potrebbero all’ultimo momento mostrare qualche tentennamento, e avrebbe favorevoli ripercussioni in Italia dove sarebbe difficile spiegare il perché un nostro alleato si sia astenuto: è questo l’argomento principale di cui si è valso Quaroni per convincere Schuman.

Ho quindi spiegato agli inglesi che, secondo noi, la procedura si dovrebbe svolgere in due tempi:

I tempo: Si dovrebbe chiedere il voto sulla proposta di ammissione della sola Italia, che è già davanti al Consiglio di sicurezza. Ciò allo scopo di mettere in evidenza il «veto» che i sovietici non mancherebbero di porre e di evidenziare al tempo stesso il successivo atteggiamento degli americani i quali, anziché porre il veto alla proposta di ammissione in blocco di tutti i candidati, si asterrebbero per favorire l’Italia, e quindi consentirebbero all’Assemblea di venire legalmente investita della questione.

II tempo: (Possibilmente ad un giorno di distanza) voto sulla risoluzione sovietica. Gli Stati che voteranno a favore potranno, se lo credono, dichiarare che lo fanno unicamente per sbloccare la situazione dal punto morto in cui da anni essa si trova, ma che si riservano ogni libertà di azione in Assemblea e che il loro voto in Consiglio di sicurezza non impegna le loro delegazioni in Assemblea.

L’Assemblea esaminerà poi le «raccomandazioni» pervenutele una per una con completa libertà di giudizio e decisione su ogni singolo candidato.

In assenza di Mallet, ho detto all’incaricato d’affari, ministro Young, che raccomandiamo vivamente al suo Governo – ove si dovesse addivenire all’attuazione di questo progetto – di votare a favore anziché astenersi spiegandogli i molti motivi per cui insistevano su questo punto1.


340 1 Vedi DD. 341, 345 e 348.

341

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A L’AJA, CARUSO

T. segreto precedenza assoluta 660/41. Roma, 20 gennaio 1952, ore 13.

Governo americano ha fatto conoscere che, ove sette Stati (necessaria maggioranza) fossero disposti votare proposta sovietica per ammissione in blocco tutti candidati ammissione O.N.U., esso si asterrebbe da porre veto in Consiglio sicurezza consentendo così che proposta stessa venga portata dinanzi Assemblea che voterà successivamente ammissione caso per caso. È questo, allo stato attuale situazione, unico mezzo legale per consentire nostra ammissione nel corso attuale sessione.

Abbiamo fondato motivo ritenere che voterebbero a favore seguenti cinque membri Consiglio sicurezza: Francia, U.R.S.S., Brasile, Cile, Pakistan. Turchia ha fatto conoscere che è disposta votare in favore se anche Olanda assumerà stessa attitudine. Voto favorevole codesto paese ci è quindi indispensabile per raggiungere maggioranza dato che Grecia si asterrà (non volendo votare a favore Bulgaria e Albania) e Cina si asterrà non volendo votare a favore Mongolia, mentre attitudine definitiva inglese è tuttora incerta, ma potrebbe essere influenzata da atteggiamento favorevole altri Governi.

Naturalmente nel votare a favore risoluzione in Consiglio sicurezza ogni Governo potrebbe dichiarare essersi indotto a ciò nel desiderio sbloccare situazione ammissioni da attuale punto morto, riservandosi in Assemblea piena libertà valutare ogni singola candidatura.

Pregola rappresentare d’urgenza quanto precede a codesto Governo insistendo perché dia propria rappresentanza O.N.U. istruzioni «votare favore progetto se suo voto risultasse necessario per ottenere maggioranza in Consiglio sicurezza».


341 1 Analoghe istruzioni vennero inviate alle ambasciate a Santiago (T. segreto 665/8, pari data) e ad Ankara (T. urgentissimo precedenza assoluta 695/6 del 21 gennaio) ed alla legazione a Karachi (T. segreto urgentissimo 696//2 del 21 gennaio).

342

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A TEL AVIV, GIUSTINIANI

T. precedenza assoluta 666/21. Roma, 20 gennaio 1952, ore 14,55.

Suo 42.

Si concorda a che V.E. faccia presente come visita a Gerusalemme non sia oggi possibile, tanto più che con diverso atteggiamento preso ora romperemmo per primi fronte cattolico in questione Gerusalemme senza procurarci alcuno speciale vantaggio.

Qualora presidente Consiglio desiderasse vederla in forma privata, di tale incontro non dovrebbe naturalmente essere fatto cenno da codesta stampa.


342 1 Trasmesso tramite il consolato generale di Gerusalemme con T. 666/4.


342 2 Del 17 gennaio con il quale Giustiniani aveva richiesto istruzioni circa l’invito ricevuto a presentarsi in visita ufficiale al presidente del Consiglio.

343

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL CAPO DEL SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA, VENTURINI

Appunto1. Roma, 21 gennaio 1952.

Mando una prima osservazione e affrettata risposta, riservandomi di esaminare costì in via definitiva2.

Allegato

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL CAPO DEL SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA, VENTURINI

Appunto1.

Durata dell’Assemblea provvisoria

La durata dell’Assemblea provvisoria è da prevedersi in modo che la sua rimozione avvenga necessariamente dopo un certo periodo dalla convocazione dalla conferenza prefederativa. Si potrebbe p.e. stabilire che l’Assemblea scade dopo 3 anni dall’entrata in vigore del trattato e dovrà essere sostituita da un’altra Assemblea.

Alla scadenza del suo mandato la provvisoria o sarà sostituita in base a una costituzione federale, che nel frattempo, secondo la procedura prevista, sarà stata concordata, o da una nuova Assemblea prefederale, la cui composizione e modo di elezione verranno fissati dall’Assemblea stessa.

Si tenterebbe cioè d’introdurre una specie di appello democratico (opinione pubblica e parlamentare) qualora la conferenza dei Governi fallisse o stagnasse.

In tal modo è vero che non abbiamo possibilità di una disdetta legale giuridica del trattato; ma, moralmente, dopo tante dichiarazioni fatte, diamo ai federalisti il coltello dalla parte del manico.

Non ho molto tempo di meditare sulle formule, ma bisogna pur dare uno sbocco all’Assemblea provvisoria ed evitare anche l’apparenza che si tratta di un senato a vita.

Mi pare invece difficile che si accetti la formulazione da voi proposta dell’art. 783. I tedeschi diranno che così andrebbe perduta l’impronta semisecolare a cui tengono tanto. Inoltre per noi federalisti un articolo così formulato è un laccio al collo, in modo evidente. Gli antifederalisti non avranno nessuna preoccupazione per il trattato e quindi noi non eserciteremo nessuna pressione a traverso l’Assemblea. Meglio quindi, secondo me, accordarsi con i tedeschi e appoggiarli per i 50 anni, a condizione ch’essi ci favoriscano nel creare nell’Assemblea un elemento dinamico.

Darei istruzioni in questo senso4.


343 1 Autografo.


343 2 Si riferisce all’esame di alcuni progetti sottopostigli da Venturini con Appunto del 15 gennaio relativi ai poteri del Consiglio dei ministri e dell’Assemblea della C.E.D. ed alla durata del trattato.


343 3 La formulazione proposta era la seguente: «Le présent Traité reste en vigueur jusqu’au momente où les Hautes Parties Contractantes auront constitué, par un nouveau Traité, conformément à l’article 7 H, une organisation commune, ayant caractère fédéral ou confédéral. A ce moment le présent Traité, avec les modifications qui seront nécessaires, deviendra partie intégrante du nouveau Traité fédéral ou confédéral».


343 4 Il 23 gennaio Venturini inviò per telefono a Cavalletti le seguenti istruzioni: «Non ritiene che l’idea di collegare nell’art. 78 l’entrata in funzione della federazione colla durata del trattato sia buona, sia perché i tedeschi perderebbero l’impronta semisecolare cui tengono tanto sia perché gli eventuali antifederalisti se ne fregherebbero e avrebbero tutto l’interesse a lasciare il trattato provvisorio, così com’è, durare indefinitivamente. Ritiene invece che sia meglio introdurre una disposizione per cui l’Assemblea provvisoria ha mandato di tre anni; se entro tale data non ci sarà ancora la federazione l’Assemblea prefederale verrà rieletta: la composizione e modo di elezione della seconda dovrebbero essere fissate dalla prima avanti di scadere. Si introdurrebbe così un elemento dinamico nel trattato con possibilità di appello». Vedi anche D. 427.

344

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 80/40. Roma, 21 gennaio 19521.

Telespresso ministeriale n. 20/292/2 dell’8 gennaio u.s.2.

Monsignor Tardini, riassumendo il modo di vedere suo e della sua sezione sul problema dello status quo dei Luoghi Santi, e interpretando, ho ragione di credere, anche il preciso pensiero del Santo Padre, mi disse in definitiva che la Santa Sede non vuole suggerire nei particolari la linea d’azione da seguirsi: linea che, più opportunamente, può esser determinata in luogo. Ma ritiene però che tale linea d’azione deve prescindere da convenzioni o atti internazionali, ai quali del resto osterebbero molte difficoltà, difficilmente superabili e la stessa reticenza della Francia; e deve limitarsi ad opportuni interventi, atti a premere perché, ove lo status quo sia stato o venga anche in minima parte violato dagli ortodossi, le autorità giordaniche siano richiamate amichevolmente a ristabilirlo o, in difetto di un successo positivo, sia consacrato che le potenze cattoliche non riconoscono le novità e si riservano di correggerle quando ciò sia possibile.

Opinerei quindi che ogni eventuale azione potrebbe svolgersi secondo le seguenti linee.

1) Accordo, oltre che coi francesi, possibilmente cogli spagnoli e coi belgi.

2) In un primo tempo, i consoli in Gerusalemme, sentiti anche il Padre Custode ed il Patriarca latino, compiano un passo, nella maniera che riterranno più conveniente, presso il governatore di Gerusalemme e di Betlemme, per il ristabilimento dello status quo, dove è stato violato. Nel caso presente, mi sembra che siano tuttora in sospeso la questione dei banchi del Santo Sepolcro, e quella delle lampadine elettriche sulla Chiesa di Betlemme.

Ove occorra, presentino note scritte.

Se non si ottiene quanto richiesto, la pratica può essere passata alle legazioni in Amman. Da questo secondo e più autorevole intervento deve, per lo meno, risultare l’affermazione dello status quo e la riserva sulla illegalità di non represse modifiche.

Non vedo, per il momento, come e che cosa si possa far di più, specie se si vuole agire di conserva coi francesi i quali, come noto, intendono rimanere sul terreno della massima cautela.

La stessa procedura dovrebbe essere adottata per tutti i nuovi casi che si presentassero in avvenire.

Per quel che riguarda i restauri della cupola del Santo Sepolcro, mi è difficile, non essendo ben certo di quel che siano le intenzioni dei giordanici e la stessa situazione di fatto del monumento, dare un parere circostanziato. Le pratiche da svolgersi in proposito dovrebbero avere per iscopo di ben stabilire che, comunque e da chiunque si operi il restauro, ciò non può creare in alcun modo diritti di proprietà o di uso diversi da quel che non siano i tradizionali, ancor oggi vigenti. Circa il seguito, occorre, per determinarlo, vedere anzitutto come si imposta la pratica sull’inizio.


344 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


344 2 Con il quale si chiedeva cosa risultasse alla Santa Sede circa un progetto francese per i Luoghi Santi e le sue eventuali idee in proposito.

345

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 847/372. Washington, 21 gennaio 1952(perv. il 25).

Telespresso ministeriale n. 11/772/5 del 16 corrente1.

Le istruzioni inviate dal Dipartimento di Stato alla delegazione americana presso le N.U., riproducono esattamente, come V.E. avrà avuto occasione di rilevare, i motivi (indicati nella prima parte del mio telespresso n. 164/89 dell’8 corrente)2 per i quali il Governo americano non ritiene possibile di facilitare l’approvazione della nota risoluzione sovietica.

È vero che la delegazione americana ha istruzioni di astenersi nel caso che la predetta risoluzione raccolga, in Consiglio di sicurezza, i necessari sette voti favorevoli; ma è altresì vero (e mi risulta che la delegazione americana ha avuto istruzioni di mettere bene in chiaro ciò con i nostri rappresentanti a Parigi) che il Governo americano, a prescindere dal fatto che non crede alla possibilità dei sette voti favorevoli, non si asterrà da rendere pubblica la propria posizione contraria all’ammissione degli «stati-ombra», (vedi Mongolia esterna) che l’Unione Sovietica potrà sempre creare ogni qualvolta riterrà necessario di opporsi all’ingresso di un candidato delle potenze occidentali.

Ho naturalmente fatto presente al Dipartimento di Stato come sarebbe bastata un po’ più di elasticità da parte della delegazione americana a Parigi per permetterci di raccogliere il consenso di alcuni titubanti. Ma non mi faccio molte illusioni circa l’effetto di questo mio ennesimo intervento, perché gli americani che, come al solito, non fanno le cose a mezzo, avranno a quest’ora reso nota la loro posizione a tutti gli interessati, ivi compresi i titubanti.

Le istruzioni alla delegazione americana lasciano a noi di decidere circa la sorte della risoluzione francese3. Ove però venisse deciso che la predetta affronti la prova del voto, non nascondo a V.E. che il Dipartimento di Stato, pur non opponendosi all’esame del previsto veto sovietico da parte della Corte internazionale di giustizia, non gradirebbe molto che venisse messa in discussione la legalità del veto stesso. E per la prima volta, sia pure nella forma più amichevole, ci è stato accennato alla ragione fondamentale per la quale questo Governo non ama i dubbi sulla legalità del veto: la possibilità cioè che, una volta creato il precedente del veto «illegale», questo possa applicarsi ad una eventuale estrema difesa americana di un progetto di controllo atomico che, per comprensibile desiderio di distensione internazionale, incontri, ad un certo momento, il favore della maggioranza dei membri del Consiglio di sicurezza.

Si tratta, come V.E. rileverà, di motivi, anche speciosi, ma che trascendono, o almeno sembrano trascendere agli occhi degli esperti americani, la portata del nostro problema, per il quale si continua però a dimostrare la ben nota comprensione, e contro i quali è quindi difficile lottare.


345 1 Non rinvenuto.


345 2 Vedi D. 327.


345 3 Vedi DD. 230, 244, 264 e 267.

346

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 724/26. Roma, 22 gennaio 1952, ore 21.

Seguito telegramma 251.

Ambasciatore Guidotti riferisce che delegazione americana O.N.U. interpreta adesso proprie istruzioni nel senso sottolineare con altre delegazioni atteggiamento negativo suo Governo piuttosto che intenzione astenersi; ciò che rende naturalmente più difficile formazione maggioranza.

Poiché sulla base primi affidamenti avuti si è già sviluppata nostra azione in varie capitali, si rende necessario chiarire costì, almeno in via confidenziale, effettive intenzioni Dipartimento di Stato2.


346 1 Pari data, con il quale Zoppi aveva comunicato: «Riferimento da ultimo al telespresso ministeriale n. 109/c. del 21 gennaio. Guidotti riferisce che delegazione U.S.A. ha avuto istruzioni da Dipartimento di Stato astenersi (ripeto astenersi) dal voto su noto progetto raccomandazione per ammissione in blocco candidati O.N.U., qualora sette Stati votino in favore assicurando necessaria maggioranza. Nostra azione in tal senso si sta svolgendo presso Governi francese, inglese, turco, brasiliano, olandese, cileno, pakistano». Con il telespresso citato era stato trasmesso il D. 340 alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington.


346 2 Per la risposta vedi D. 347.

347

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 919/54. Washington, 22 gennaio 1952, ore 8,57(perv. ore 7,30 del 23).

Suo 251.

Come riferito con telespresso 847/372 in data ieri2, istruzioni a delegazione americana O.N.U. prescrivono esporre esplicitamente motivi per cui questo Governo, pur astenendosi nel caso che nota risoluzione sovietica raccolga 7 voti favorevoli (e pur confermando che eventuale suo voto negativo non (dico non) va interpretato come veto), si oppone ad ammissione in blocco nuovi membri.

Ho naturalmente suggerito maggiore elasticità ma, anche in vista dichiarazioni inglesi ad odierna seduta Comitato politico, non prevedo sostanziale mutamento posizione americana che, mi è stato detto, è stata esaurientemente esposta ai nostri rappresentanti O.N.U.


347 1 Vedi D. 346, nota 1.


347 2 Vedi D. 345.

348

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 926/23. Londra, 22 gennaio 1952, ore 21,25(perv. ore 7,30 del 23).

In colloquio avuto stamane con Dixon ho attirato nel modo più pressante sua attenzione su possibilità che risoluzione russa su ammissioni in blocco, d’imminente discussione Parigi, offriva per ingresso Italia O.N.U. Mi sono richiamato tra l’altro ad accenni fatti da Eden in suoi discorsi Assemblea O.N.U. e Camera Comuni, circa desiderabilità assicurare maggior rappresentatività Nazioni Unite.

Dixon ha confermato che punto di vista inglese non è mutato circa questione generale e che, per quanto riguarda nostra ammissione, suo Governo è vivamente desideroso che essa possa realizzarsi. Regno Unito, egli ha fatto presente, non potrebbe in Consiglio sicurezza dare voto favorevole a risoluzione russa, oltre che per noti motivi di principio, per varie ragioni contingenti fra cui: 1) mozione sovietica su ammissione in blocco sarà votata, prima che in Consiglio, in Assemblea, cosicché sarebbe impossibile di agire in questa sede per bocciare ammissione satelliti; 2) in ogni caso grande potenza non potrebbe dare voto favorevole in Consiglio e negativo in Assemblea, mentre d’altro canto azione in corso da parte Alleati per violazione diritti umani perpetrata da Ungheria Romania e Bulgaria non consente in questo momento a Regno Unito di votare per ammissione tale paesi.

Dixon mi ha peraltro assicurato che, allo scopo lasciare aperta la via per ammissione Italia, Regno Unito si asterrà dal voto in Consiglio sicurezza. Egli ha aggiunto che da parte britannica non si ostacolerà risoluzione, anche se non sarà possibile far apertamente lobbying in suo favore.

Quanto ad atteggiamento delegato inglese in sede dibattito, esso sarà tale da evitare influenzare negativamente altri membri Consiglio. Dixon ha concluso assicurando che sarebbero subito state impartite istruzioni in tal senso a Jebb col quale suggerisce che Guidotti si tenga in stretto contatto.

Parigi informata.

349

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. segreta 133 segr. pol. Roma, 23 gennaio 1952.

Mi riferisco in particolare al tuo telegramma 541, l’ultimo sinora qui giunto sulla questione della nostra ammissione all’O.N.U. Sono un poco preoccupato non tanto per la questione in sé, quanto per le sue possibili conseguenze interne ed internazionali. All’interno è prevedibile che, alla lunga, la propaganda comunista, secondo cui sono gli Stati Uniti che con il loro atteggiamento finiscono per impedire il nostro ingresso all’O.N.U., finirà per avere presa. Si può già dire che la gente esprime l’opinione che la colpa sia del cinquanta percento dell’U.R.S.S., e del cinquanta percento degli Stati Uniti in quanto entrambi per interessi loro particolari tengono un’attitudine che si risolve, in pratica, nella nostra non ammissione.

Internazionalmente temo poi seriamente che si faccia sempre più, come anche avviene purtroppo di fronte ad altri problemi, il gioco sovietico: infatti i russi hanno con molta abilità messo nel mazzo anche la Libia: ciò vuol dire che se gli Stati arabi vogliono, come vogliono, avere la Libia all’O.N.U., debbono aderire alla tesi sovietica della ammissione contemporanea dei satelliti, e vi aderiranno senza dubbio nello stato attuale dei rapporti tra paesi arabi ed Occidente, di cui Mosca, un po’ con le buone e un po’ con ricattini, approfitta a tutto spiano. Vedo quindi venire il giorno in cui le posizioni possono essere renversées ossia saranno gli Stati Uniti costretti o a porre ripetuti veti alla mozione sovietica (come hanno fatto sinora i russi di fronte alle mozioni americane) e ciò in un’atmosfera di crescente disagio nei loro riguardi, o, cedendo, faranno la figura di essere stati battuti!

Vorrei che queste nostre preoccupazioni – che come dico vanno oltre il nostro caso particolare – venissero esposte al Dipartimento di Stato, anche per sentire cosa ne pensano e perché, quando i fatti ci daranno ragione, i nostri pareri, dati a tempo, potranno essere ricordati e tenuti in maggiore considerazione per l’avvenire2!


349 1 Vedi D. 347.


349 2 Per la risposta vedi D. 361.

350

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo 47/37. Parigi, 23 gennaio 1952(perv. il 24).

Parodi mi ha detto che il Governo francese non ha ancora concordato completamente le sue idee circa la riorganizzazione del N.A.T.O. Dalle discussioni sono soltanto emersi alcuni punti che possono considerarsi acquisiti.

1) La Francia è naturalmente favorevole ad accentrare tutti gli organismi del N.A.T.O. a Parigi. Mi ha anche detto della resistenza inglese ma ritiene che di fronte all’unanimità pratica di tutti gli altri partecipanti gli inglese finiranno per cedere.

2) Il Governo francese è assolutamente contrario all’idea americana di un Comitato supremo composto di ministri di Gabinetto. Secondo i francesi data la loro organizzazione governativa e parlamentare questo sistema, buono forse per gli americani, non è adattabile alla Francia. Già attualmente tutto quello che concerne il N.A.T.O., essendo di competenza dei Ministeri degli esteri, della difesa e delle finanze, ognuno dei quali ha delle esigenze differenti presenta delle difficoltà pratiche di coordinazione. Se si nomina come rappresentante permanente a questo Consiglio uno dei tre ministri, a parte il fatto che nessuno dei tre potrebbe essere assente dal suo posto di Governo in maniera quasi permanente, si vorrebbe dare a questo ministro una situazione preminente sugli altri due suscitando corrispondenti malumori. Se si nomina, come sembra essere in fondo il pensiero americano, un ministro senza portafoglio ossia una quarta persona, invece di armonizzare le idee di tre persone si dovranno armonizzare le idee di quattro.

Inoltre data l’importanza e la preminenza di fatto che questo ministro finirebbe per avere sugli altri tre, la tendenza spontanea dei ministri attualmente interessati sarebbe quella di metterci una personalità di scarso rilievo: il posto d’altra parte è troppo importante perché ci si possa mettere una persona di scarso rilievo.

Tutto compreso il Governo francese è d’opinione che la migliore soluzione sia sempre quella di nominare a questo posto un funzionario di rango elevato e di capacità indiscussa, limitando la partecipazione dei ministri a delle riunioni anche frequenti. Nel complesso un’organizzazione simile a quella dell’O.E.C.E. oggi solo che l’alto funzionario designato dovrebbe avere uno standing superiore a quello che esso ha attualmente.

3) Il Governo francese, ritenendolo funzionalmente necessario è favorevole alla nomina di un direttore generale o segretario generale. È invece contrario all’idea americana che questo segretario generale sia americano. Gli americani già vogliono la Presidenza del Consiglio superiore: ora dare agli americani e la Presidenza e la Segreteria generale sembra ai francesi un po’ troppo.

4) I francesi sono in principio contrari a modificare l’attuale situazione dello Standing Group. Parodi mi ha ripetuto il concetto originale francese. Se lo Standing Group è solo a tre, il rappresentante francese ha la possibilità di controllare un poco l’azione anglo-americana: se si estende il numero dei partecipanti allo Standing Group data la difficoltà di trattare in gruppo numeroso collegiale degli affari così delicati si verrebbe di fatto ad una collaborazione anglo-americana ad esclusione degli altri.

Secondo i francesi lo Standing Group dovrebbe restare quello che è attualmente colle sue funzioni civili e militari dell’Organizzazione atlantica. Per quello che concerne invece i problemi specifici di coordinazione dei bisogni civili e militari dell’Organizzazione atlantica che è uno dei problemi che deve risolvere il Consiglio superiore essi riterrebbero preferibile la creazione di un organismo militare ad hoc incaricato di questa funzione.

351

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 98/53. Roma, 23 gennaio 19521.

Tels. min. 20/884/c. del 19 gennaio 19522.

Col mio telespresso n. 80/40 del 21 gennaio 19523, ho riferito sulla mia conversazione con mons. Tardini, e sulla linea di condotta che, nell’insieme, si sarebbe, a parer mio, potuto tenere per svolgere la pratica. Si comprende che tali mie vedute si ispiravano alle idee, ben note, sia della Segreteria di Stato, che del Quai d’Orsay. Perciò non ho neppur parlato dei progetti di convenzione proposti dalla legazione in Amman, perché assolutamente scartati a priori, al di fuori di ogni considerazione sulla loro attuabilità, per l’opposizione della Francia e della Santa Sede.

Da quanto leggo sul telespresso in riferimento, mi pare che la linea da me suggerita non si discosti nell’essenziale, da quanto ha deciso codesto Ministero. Avevo pensato ad uno scaglionamento degli interventi, facendone esperire uno di primo grado dai consoli in loco, ed uno di secondo dai ministri in Amman – se necessario. Si poteva in tal modo graduare e prolungare la pressione e permettere alla seconda istanza di concedere, senza perdere la faccia, ciò che la prima non avesse creduto di concedere.

Ma la parte sostanziale ed il carattere dell’azione da compiere si equivalgono per il fondo, e rispecchiano l’uno e l’altro quanto è nelle vedute della Segreteria di Stato, anche per la prudenza dei mezzi adoperati, e la cura di evitare parole ed atti che pregiudichino al principio dell’internazionalizzazione – principio che, per quanto non presentemente realizzabile, la Santa Sede tiene a preservare intatto: ora, tanto più che a Parigi lo ha ripreso e ribadito Azzam Pascià, a nome di quella Lega Araba di cui la Giordania non dovrebbe esser più la pecora incurabilmente nera.


351 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


351 2 Non pubblicato.


351 3 Vedi D. 344.

352

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI,E AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 774/c.1. Roma, 24 gennaio 1952, ore 2.

Seguito telespresso urgente n. 22/124/022; seguito telespresso urgente n. 22/123/01 [solo per Italnato Londra]3.

Governi americano e inglese hanno presentato in Consiglio sostituti N.A.T.O. rispettivi progetti riorganizzazione. In ambedue non è prevista accentuazione poteri tre grandi (tipo Standing Group); pertanto particolare enfasi negativa e di resistenza a tali tendenze, di cui a telespresso sopra citato, può essere per il momento trascurata, salvo necessaria vigilanza eventualità ripresa tentativi triarchici o comunque oligarchici.

Tenendo presente progetti americano e inglese, per suo orientamento precisansi seguenti punti circa posizione italiana:

1) concordiamo soppressione Consiglio sostituti, D.P.B. e F.E.B. nella loro attuale struttura;

2) siamo per rappresentanti permanenti di ciascun paese, possibilmente impersonati da «funzionari» alto rango;

3) siamo per un segretario generale con funzioni organizzative lavori Consiglio e direttive dello staff internazionale secondo linee del progetto inglese, ma senza tutti poteri attribuitigli da progetto americano, che giunge a prevedere presidenza da parte sua del Consiglio atlantico;

4) siamo per la creazione di sottocomitati e gruppi lavoro, ai quali partecipino delegati nazionali direttamente dipendenti dal rappresentante permanente unico e facenti parte del suo ufficio;

5) prevediamo creazione, se e quando necessario, organi ad hoc con carattere provvisorio; riteniamo sarebbe utile sessione annuale di limitata durata del Temporary Council Committee col compito specifico di riconciliazione fra esigenze militari e possibilità finanziarie, con intervento ministri di Gabinetto designati ad hoc da Governi fra titolari Dicasteri economico-finanziari;

6) insistiamo (diversamente da progetto inglese) per effettiva internazionalizzazione con elementi dodici nazionalità staff Standing Group;

7) desideriamo infine una equilibrata dosatura delle nazionalità nello staff internazionale del Segretariato generale.

(Solo per Parigi) Prego consultarsi con codesto Governo per conoscerne reazioni progetti americano e inglese, anche nello spirito accordi Santa Margherita.

(Solo per Parigi ed Italnato) Circa proposta concentrazione Parigi organi N.A.T.O., abbiamo avuto passo ufficiale inglese per conferma sede Londra ed abbiamo risposto che, per il momento, non prenderemo posizione su questione sede.

(Solo per Italnato) Nelle prossime discussioni non assuma quindi posizione precisa su questione sede.

(Per tutti tranne Parigi e Italnato) Alla luce delle considerazioni sopra esposte pregola prendere contatto con codesto Governo e telegrafare reazioni a progetti inglese ed americano. Saremmo particolarmente interessati conoscere punto di vista Governi (che non fanno parte Standing Group) su nostra proposta internazionalizzazione staff e ci sembra che dovrebbe essere anche loro interesse sposare tale tesi.


352 1 Diretto anche alle ambasciate a Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Lisbona, Londra, Lussemburgo, Oslo e Ottawa.


352 2 Vedi D. 333, nota 1.


352 3 Vedi D. 333.

353

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 795/30. Roma, 24 gennaio 1952, ore 18,30.

Suo 57 del 23 corrente1.

Per sua norma confidenziale, nostra risposta consegnata oggi al T.C.C. dimostra impossibilità aderire a raccomandazioni del Bureau esecutivo del T.C.C. stesso relative ad aumento nostre spese di difesa.

Ho disposto affinché da Parigi le sia inviata sollecitamente copia della nostra risposta.


353 1 Con il quale Tarchiani aveva chiesto la conferma delle notizie apparse sulla stampa statunitense secondo cui le spese di difesa italiane sarebbero state conformi alle raccomandazioni del Temporary Council Committee.

354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segreto 805/96. Roma, 24 gennaio 1952, ore 22,30.

Suo 801.

Come è stato esplicitamente comunicato al T.C.C., lo sforzo italiano di difesa per 1952-53, indicato in 613 miliardi di lire, contiene per un 15 per cento circa, un «consumo di risorse economiche» a valere sugli stanziamenti straordinari per l’esercizio seguente. In altre parole, se il Parlamento approva tali stanziamenti, il Ministero difesa può impegnare già nel 1952-53 parte dei fondi straordinari del 1953-54 e ottenere così, mediante mobilitazione di crediti, produzioni straordinarie di difesa, destinate al build-up nel 1952-53.

In tali condizioni non sarebbe possibile per noi accettare un minimo di contribuzione alla C.E.D. che si basasse sulla cifra di 613 miliardi da noi avanzata in sede N.A.T.O. Aggiungo che tale cifra non diverrà comunque definitiva che dopo prossime discussioni T.C.C. a Lisbona, relative anche alle condizioni economiche da noi indicate come basilari per la realizzazione del nostro sforzo.

Infine, come rilevato nella nostra risposta al T.C.C., la quota di onere finanziario per la difesa rappresentata dai 613 miliardi supera quanto l’Italia dovrebbe contribuire su una base di equa ripartizione.

Tuttavia, se si dovesse accettare concetto di «minimo», che continua ad apparirci poco opportuno ed anzi controproducente ai fini della C.E.D., questo non potrebbe oltrepassare per l’Italia il totale delle spese ordinarie (ripeto ordinarie) di bilancio per la difesa.


354 1 Riferimento errato.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 807/16. Roma, 24 gennaio 1952, ore 23.

Suoi 261 e 172 e 89/653.

Ritengo opportuna riunione gruppo lavoro temporaneo a Parigi e Londra 28 corrente, secondo scopi che indico appresso. In tale modo questione potrebbe essere trattata da Consiglio atlantico Lisbona con più ampia preparazione e possibilmente sulla base di linea già concordata.

Prego pertanto V.E. adoperarsi tale senso, secondo direttive che le comunico.

È nostro specifico interesse che anche Comunità atlantica si occupi a fondo problema movimento lavoro e persone, tenendo presente che nostro paese costituisce unico membro di essa in cui sbocco mano d’opera esuberante condiziona possibilità economico-sociali di largo contributo all’adempimento del trattato. Anche Germania riconosce tale riguardo avere necessità migratorie molto inferiori alle nostre.

A tali fini N.A.T.O. e più precisamente Consiglio atlantico e Consiglio sostituti dovrebbero, attraverso opportuno organo da stabilire, ricevere periodicamente rapporti attività diverse organizzazioni esistenti (particolarmente Comitato intergovernativo costituito Bruxelles e O.E.C.E.) e soprattutto stimolare opportune decisioni politiche dei paesi aderenti.

Nel momento attuale ritengo pertanto opportuno provvedere immediatamente a «working group» evitando pericoli di indugio nella azione politica.

Per una completa valutazione della situazione conviene inoltre tener presente che rapporto T.C.C. 18 dicembre, paragrafi 86 e 97, nonché 174 e 176, contiene, in materia di mano d’opera ed emigrazione, riconoscimenti e raccomandazioni per noi interessanti. Risulta che in risposta a T.C.C. Governo americano concorda di massima con tali concetti e propone che a Lisbona Consiglio atlantico raccomandi ai paesi membri più ampia partecipazione al Comitato di Bruxelles e riesame loro politica migratoria, sempre ai fini dello sforzo di difesa. Ancora secondo Governo americano, N.A.T.O. dovrebbe rimanere in contatto con organizzazioni internazionali interessate onde incoraggiare azione appropriata.

Nostro vivissimo interesse, anche in relazione a posizione da noi presa di fronte alle raccomandazioni finanziarie T.C.C., è che tali germi di azione siano adeguatamente sviluppati, ciò che richiede opere ad alto livello e in organi politici.

V.E. quindi preciserà che scopo «working group» del 28 corr. è non (dico non) di eseguire o raccomandare nuovi studi ormai superflui dopo constatazioni del T.C.C. di Bruxelles, dell’O.E.C.E., di Strasburgo, di Ginevra, bensì di formulare per Lisbona deliberazione di azione concreta, conformità linee già esposte dai nostri rappresentanti Consiglio atlantico Ottawa e Roma.

Sul fondo del problema, come risulta anche dai nostri rapporti a F.E.D. e T.C.C. che V.E. conosce, desidero aggiungere quanto segue: contro nostra attuale emigrazione 160 mila persone annue, cui speriamo ora aggiungere 35 mila unità previste Bruxelles, necessità italiane vanno verso 400-500 mila persone annue per alcuni rami, ivi compresi, per evidenti motivi umani, familiari lavoratori.

Tale graduale aumento di circolazione anche temporanea del lavoro richiede che nel quadro delle iniziative N.A.T.O. verso paesi aderenti tengasi fra l’altro presente:

a) che iniziativa di Bruxelles sia largamente sviluppata con apporto contributi americani ed anche altri paesi dell’Alleanza;

b) che Francia e Inghilterra rivedano in senso liberale loro politica di immigrazione;

c) che Canada sviluppi politica già intrapresa;

d) che Stati Uniti adottino provvedimenti straordinari per movimento mano d’opera eccedente, europea e particolarmente italiana, secondo esigenze produzione scopo difesa.

Tali decisioni di natura politica si ricollegano alla risposta italiana a T.C.C., di cui ho autorizzato ieri consegna a Harriman. Esse si basano sul concetto che impiego nostra mano d’opera eccedente qualificata o semiqualificata, rappresenta beneficio per tutta Comunità atlantica, migliorando condizioni economiche e sociali interne di paese chiave come Italia ed aumentando capacità produzione altri Alleati.

In tale senso esse rafforzano potenziale difesa di tutta la Comunità: occorre infatti evitare che definizione restrittiva di «scopi di difesa» si risollevi nella dichiarazione che nostra mano d’opera non è a rigore necessaria per «produzione difesa» strettamente detta, ed altresì evitare che immigrazione sia limitata ai casi di scarsità già esistente o prevista nei settori di produzione militare. Segni di ciò si sono visti recentemente all’O.E.C.E. e affiorano tanto in documento Spofford quanto anche in risposta americana al T.C.C. sopracitata.


355 1 T. 719/26 del 17 gennaio, con il quale Straneo riferiva sul memorandum presentato da Spofford relativo al problema della manodopera nei paesi N.A.T.O.


355 2 T. segreto 366/17 del 10 gennaio, con il quale Rossi Longhi riferiva sulle questioni trattate in Comitato Comunità atlantica in vista della prossima conferenza di Lisbona (movimenti lavoro, cooperazione sociale, relazioni culturali) e chiedeva istruzioni.


355 3 Non rinvenuto.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. segreta 1201/8. Roma, 25 gennaio 1952.

Poiché, con le adesioni ricevute dalla maggior parte dei Governi ai quali ci siamo rivolti, può ormai considerarsi definita la questione della revisione delle clausole politiche e militari del trattato di pace, prego V.E. di chiedere al Dipartimento di Stato di voler cortesemente fare conoscere se non creda anch’esso che sia giunto il momento di iniziare il previsto «scambio di idee confidenziale e preliminare» sulle clausole economiche.

Nell’attesa che il Dipartimento di Stato esprima il suo punto di vista in merito alle possibilità pratiche di revisione delle clausole suddette, l’E.V. manifestava il proprio parere col suo rapporto n. 12727 del 26 novembre u.s.1.

Circa l’impostazione della nostra tesi fondamentale sulla revisione delle disposizioni economiche del trattato, convengo con lei che la base più salda sulla quale possiamo appoggiarci è il parallelismo tra revisione politico-militare e revisione economica per chiedere l’abolizione delle discriminazioni esistenti a nostro danno.

D’altra parte, desidero aggiungere subito non sembrarmi che una nostra azione, anche se fondata esclusivamente sul citato parallelismo, sia per restare – come ella ritiene – praticamente infruttuosa.

Infatti, V.E. stessa rileva che dall’abolizione delle discriminazioni deriverebbe almeno la fissazione di un termine per la presentazione dei reclami di cui all’art. 78, nonché l’abolizione delle Commissioni di conciliazione previste dall’art. 83. Ora: in quanto al termine, sta di fatto che continuano ad essere presentate domande d’indennizzo, poiché finora nessuno degli Stati aventi diritto ha consentito a fissare un termine perentorio.

È superfluo aggiungere che è nostro interesse, col concordare un termine definitivo, eliminare gli abusi, limitare gli obblighi, e, comunque, conoscere la portata di questi ultimi.

(In quanto all’atteggiamento degli Stati Uniti, secondo il telespresso di V.E. n. 4354/2454 del 13 aprile 19512: « ... sembrerebbe che il Dipartimento, con il comunicato in questione, abbia invece voluto lasciare aperta la porta circa l’eventuale procedura da adottare per i claims presentati dopo il 15 settembre 1951»); per quel che concerne le Commissioni di conciliazione, se è vero quanto ella sottolinea che, con l’abolizione di esse, verrebbe a mancare l’attuale ferrea tutela degli interessi privati, non è men vero che l’apparato delle Commissioni costituisca non solo una «discriminazione» ma anche una grave menomazione della giurisdizione italiana, di fronte alla quale non possiamo rimanere inerti.

Alla tutela degli interesse dei privati potremmo provvedere o mediante un’apposita legge interna o, più radicalmente, mediante una soluzione forfettaria da concordare.

(Circa le resistenze che si profilano anche da parte giapponese contro la competenza di analoghe Commissioni di conciliazione, le allego copia del rapporto n. 1705 del 29 dicembre u.s. del nostro rappresentante in Tokio)2.

Mentre rimango in attesa di conoscere la risposta del Dipartimento di Stato circa la data dell’inizio delle conversazioni per l’esame delle richieste da presentare poi formalmente ai Governi interessati, mi riservo di approfondire l’esame della portata dell’abolizione delle «discriminazioni» per precisare altri punti sui quali dovremo insistere – e ciò, del resto, in conformità di quanto V.E. stessa suggeriva nel suo precedente rapporto n. 11621 del 30 ottobre u.s.3.


356 1 Vedi D. 262.


356 2 Non pubblicato.


356 3 Vedi D. 188. Per la risposta vedi D. 366.

357

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 139. Parigi, 25 gennaio 19521.

Nel prospettare lo stato attuale del problema della nostra ammissione alle Nazioni Unite, sarà utile definirne di nuovo, brevemente, i termini generali.

Ci sono soltanto due mezzi per superare il punto morto attuale. Uno è l’universalismo: in pratica l’accettazione del cosiddetto ricatto sovietico, cioè l’ammissione globale e simultanea di tutti e 13 i candidati (attualmente 14 perché vi si è aggiunta anche la Libia). L’altro mezzo è la soppressione del diritto di veto nelle questioni di ammissione, sia per tutti i casi, sia invece soltanto per quello specifico italiano.

L’America è contraria al primo dei due mezzi. Tutte le grandi potenze, cioè tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza si mostrano per ora contrari al secondo. Per quanto riguarda l’universalismo è chiaro invece che si sono fatti nell’opinione pubblica, e anche fuori dell’O.N.U., dei progressi notevolissimi. Basti citare gli articoli del Washington Post dell’8 gennaio, del Monde del 22 gennaio e del Times di Londra del 23 gennaio 1952, i quali tutti prendono una decisa posizione in favore dell’universalismo e consigliano ai Governi, come unico modo per risolvere la situazione, l’accettazione del progetto di risoluzione sovietico.

L’opposizione americana è rimasta però, come tutti sappiamo, irriducibile. Washington, in nessun momento, ha pensato di accettare la tesi russa, ammettendo i satelliti come risultato di un accordo politico con l’Unione Sovietica. Ha però preso in considerazione, ad un certo momento, una vecchia idea che aveva bussato invano a varie porte negli anni precedenti. E che consiste in questo: che l’America si astenga in Consiglio di sicurezza sulla proposta sovietica, facendo poi respingere dall’Assemblea i candidati che essa giudica inaccettabili. L’espediente ha dei grossi inconvenienti, tra cui il primo è quello di comportare un elemento di trucco, non degno di un grande paese. Tuttavia il Dipartimento di Stato, per gli sforzi congiunti della rappresentanza, del Ministero, dell’ambasciata a Roma, l’ha preso, ripeto, seriamente in considerazione. Washington ci ha pensato su per quasi un mese. Il risultato di questa meditazione sono state le istruzioni giunte in questi giorni. Istruzioni sostanzialmente negative, ma contraddittorie, poiché, mentre ammettevano la possibilità di astenersi qualora io fossi riuscito ad ottenere i sette voti favorevoli, imponevano poi al delegato americano, ambasciatore Gross, di parlare in tal modo ai delegati dei paesi che avrebbero potuto votare in favore, da rendere ad essi, o almeno ai più deboli, vacillanti e servili fra essi, molto difficile di trovare il coraggio necessario per votare a favore della risoluzione sovietica. Difficile, ma non impossibile, perché, per non citare che due casi, mentre il delegato del Brasile, dopo una colazione con Gross, ha rinnegato la parola data ed ha dichiarato che avrebbe votato contro, i più solidi turchi mi hanno confermato che avrebbero votato in favore se si fossero trovati i sette voti necessari.

Per quali ragioni la decisione americana è stata, in ultima analisi, negativa? Forse a Washington si è trovato l’espediente troppo meschino, od imbarazzante per le reazioni di politica interna; più probabilmente si sono avuti dei dubbi sulla sua efficienza, cioè sulla possibilità di bloccare in Assemblea i candidati non graditi, timore non infondato, se si guarda agli umori di questa Assemblea ed al risultato della votazione odierna della prima commissione politica. Infatti questa votazione è eloquente al riguardo. La risoluzione sovietica ha raccolto quest’anno 21 voti a favore, 12 contrari, tra cui naturalmente quello degli Stati Uniti, e 25 astenuti, tra cui la Francia e l’Inghilterra. Quanta strada sia stata fatta dal principio dell’universalità e dalla risoluzione russa che lo rappresenta è indicato dal fatto che questa stessa risoluzione nel 1949 fu respinta con 32 voti contrari, 12 favorevoli e 13 astensioni e nel 1950 fu pure respinta con 22 voti contrari, 18 favorevoli e 13 astensioni. Gli americani si daranno ora da fare per trasformare, nella seduta plenaria dell’Assemblea, le astensioni in voti contrari. Ed è possibile, anzi probabile, che ci riescano in buona fede. Non per questo il voto rimane non sintomatico.

Se a questi risultati in prima commissione politica, e a quelli che ci si può aspettare in Assemblea, si aggiungesse una manifestazione analoga in Consiglio di sicurezza, cioè se francesi, inglesi, e qualche altro paese si astenessero sulla risoluzione sovietica che è tuttora all’esame del Consiglio, non si potrebbe negare che, malgrado la disgraziata iniziativa Belaunde, un passo in avanti sia stato fatto. L’opposizione americana, legata principalmente a nodi e ricatti di politica interna, che le prossime elezioni potrebbero sciogliere, alla lunga potrebbe divenire insostenibile. Questa durissima lotta, iniziata da V.E. a Washington e da me proseguita da allora sino ad oggi, avrebbe dato dunque qualche risultato. È soprattutto per la flagrante ingiustizia del nostro caso che l’idea della universalità ha fatto tanta strada; è per la vigorosa azione diplomatica del Governo italiano a Londra ed a Parigi che Francia ed Inghilterra si sono indotte ad astenersi e che il Governo americano, per la prima volta, ha dovuto considerare seriamente la propria posizione di fronte al problema delle ammissioni.

E poiché, in tutti i miei rapporti su questo argomento, anche all’indomani delle Dichiarazione tripartita2, non avevo mai prospettato altra possibilità che quella di far progredire la nostra causa, pur senza poter giungere all’ammissione in questa sessione, altro compito che quello di risuscitare un problema che era ormai archiviato, potremmo dire che tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissi sono stati raggiunti.

Mancherei però al mio dovere se non facessi presente a V.E. che la situazione non sta esattamente in questi termini e che il progresso è in buona parte illusorio. Il deadlock dell’ammissione dei nuovi membri è come un groppo che fa ostacolo al normale fluire dell’acqua e tende ad aumentare costantemente la tensione di tutte le forze in gioco sinché il groppo non sia rimosso. Tra i motivi indicati dagli Stati Uniti per la loro opposizione alla risoluzione sovietica, è quello dell’assenza della Corea del Sud dalla lista dei candidati. Ora è chiaro che l’ammissione della Corea del Sud non potrebbe mai essere approvata dalla Russia. Anzi si può dire che la miglior prova che questa volta ci fossero nell’aria delle velleità di compromesso è che mentre la richiesta di inclusione della Corea del Sud è stata da parte degli Stati Uniti abbastanza categorica, la Francia da parte sua e la Russia dall’altra hanno rinunziato ad introdurre in questo momento i loro rispettivi candidati, fra cui il Viet-Nam e il Viet-Minh. Ora è evidente che questa esclusione non potrà durare a lungo. L’intransigenza americana ha rimandato in alto mare le speranze di un accordo ed ognuno, di conseguenza, si crederà obbligato a portare innanzi le sue richieste massime. L’universalismo è una medicina considerata sinora, se presa nelle giuste dosi, capace di guarire tutti i mali di cui sono afflitte le Nazioni Unite per l’ammissione dei nuovi membri, ma non può essere capace di operare il miracolo di ammettere due volte e sotto due nomi diversi uno stesso Stato. Il che è, oggi, precisamente il caso del Viet-nam e del Viet-Minh, della Corea del Nord e del Sud, e potrebbe essere domani il caso della Germania occidentale e di quella orientale, di una Tunisia ribelle e di una Residenza generale, e così via; è la progressiva disintegrazione politica del mondo che minaccia di complicare all’infinito e di rendere alla fine insolubile, il problema.

In questa nuova situazione la semplice astensione degli Stati Uniti, che sarebbe stata oggi sufficiente, non lo sarà più; diventerà necessario, come in certi giochi di carte, scartare prima i doppioni, e per fare questo occorre un accordo negoziato in piena regola fra Russia e Stati Uniti. Quante e quali siano le possibilità di un simile accordo, ora e nel prossimo avvenire, lascio a V.E. di giudicare.

Ci dobbiamo ora chiedere cosa fare di fronte a questa situazione. Le tre principali alternative sono le seguenti:

1) inviare alle tre grandi potenze una nota di protesta (con modulazioni diverse perché diverse sono le colpe) con preciso richiamo alla Dichiarazione tripartita, dicendo che l’Italia si attende che le grandi potenze facciano nella prossima sessione degli sforzi più positivi;

2) nota di protesta come sopra, limitata alla constatazione che le potenze firmatarie della Dichiarazione tripartita non hanno compiuto dei reali sforzi per l’ammissione dell’Italia nelle N.U.; contemporaneo ritiro della domanda italiana di ammissione e ritiro del rappresentante italiano dal Consiglio di tutela. In forma attenuata: dichiarazione pubblica del Governo che di fronte all’ostinato veto sovietico ed al tiepido intervento delle altre potenze, il Governo italiano si disinteressa dell’ammissione;

3) decisa presa di posizione in favore dello universalismo. Questa era una posizione difficile a prendersi sino a qualche tempo fa, ma, in vista sia del risultato negativo dei nostri passi a Washington, sia del reale progresso compiuto dall’idea, potrebbe essere ora non solo possibile ma opportuno prendere una posizione di questo genere. Questa sarebbe una soluzione intermedia che in realtà potrebbe essere anche adottata, sia da sola, sia in connessione con la prima soluzione e, in un certo senso, anche con la seconda.

Dal punto di vista tecnico-diplomatico, non c’è dubbio che la seconda, forse in forma attenuata, è da preferirsi. Ma evidentemente una decisione di questa portata deve essere pesata anche sul piano di politica interna di cui V.E. è il migliore giudice.


357 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


357 2 Vedi D. 124.

358

L’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1112/24. Mosca, 26 gennaio 1952, ore 19,16(perv. ore 21).

Sono stato ieri sera convocato da Gromiko il quale mia ha consegnato lettera1 in risposta quella ambasciatore Brosio dell’8 dicembre 2 relativa revisione trattato di pace. Lettera in parola asserisce che richiesta revisione non è che copertura per più attiva partecipazione Italia in aggressivo blocco atlantico e per adozione provvedimenti militari tendenti preparare nuova guerra mondiale. Governo italiano intende svincolarsi trattato di pace per adattare territori italiani sue risorse umane e materiali a scopo aggressivo blocco atlantico. Ciò è provato dalle dichiarazioni dei rappresentanti ufficiali stesso Governo italiano, infatti in dichiarazione Ministero degli affari esteri Italia del 14 aprile scorso3 è detto che molte clausole trattato di pace già state revisionate e che «ora si dovrebbe finalmente dichiarare solennemente che le relazioni fra Italia e suoi Alleati vengono regolate soltanto dai principii patto atlantico». Governo russo nelle sue note 19 luglio e 20 settembre 19494, ha già segnalato che adesione Italia blocco atlantico costituisce flagrante violazione trattato di pace. Da quell’epoca Governo italiano è andato ancora oltre nella violazione suoi impegni mettendo disposizione territorio Italia per creazione basi militari navali e aeree degli Stati U.A. e per dislocazione Stati Maggiori Forze Armate blocco atlantico. Per di più Governo italiano messo a disposizione Adenauer divisioni italiane. In tali condizioni revisione trattato di pace non ha nulla a che fare né con mantenimento pace Europa né con interessi eguaglianza e indipendenza Italia. Governo italiano asserisce che l’Italia non sarebbe stata accolta tra membri O.N.U. a causa applicazione veto U.R.S.S. simile dichiarazione non risponde realtà. Come già noto U.R.S.S. non si è mai opposta né si oppone contro accoglimento Italia tra membri O.N.U. Italia non è accolta O.N.U. per colpa Governo degli U.S.A., Governo britannico, Governo francese i quali si oppongono accoglimento O.N.U. altri Stati che si sono trovati durante la guerra stessa situazione Italia. In relazione ciò Governo sovietico attira l’attenzione Governo italiano su fatto che partecipazione Italia blocco atlantico e preparativi militari che tale blocco attua Europa non risponde requisiti richiesti ad uno Stato che desidera entrare quale membro O.N.U., prende in considerazione modo particolare fatto che Italia ha partecipato guerra al fianco Germania hitleriana. Adesione Italia blocco atlantico crea seria difficoltà soluzione della questione suo accoglimento O.N.U. Governo russo dichiara che esso è di parere favorevole revisione del trattato di pace con Italia e abrogazione limitazioni solo nel caso Italia esca dal blocco atlantico e non permetta esistenza proprio territorio basi militari e forze armate Stati stranieri.


358 1 La nota sovietica del 25 gennaio è edita in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 5, p. 152.


358 2 Vedi D. 258, Allegato.


358 3 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 16, p. 309.


358 4 Vedi serie undicesima, vol. III, rispettivamente DD. 52 e 231.

359

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI,E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI

T. 956/c. Roma, 29 gennaio 1952, ore 15,30.

Secondo informazioni in nostro possesso Governo jugoslavo si proporrebbe indire prossimamente elezioni in Zona B al fine di darvi carattere manifestazione pro annessione Territorio alla Jugoslavia e per influire indirettamente su G.M.A. scopo indurlo procedere elezioni anche in Zona A. Si vorrebbe in tal modo influire anche su note conversazioni in corso a Parigi1.

Pur non contestando necessità provvedere necessità amministrazioni locali è da tener presente che iniziativa jugoslava solleverebbe questione applicazione T.L.T., in base trattato, delle «leggi vigenti» (ossia italiane), e che mancata ottemperanza a tale disposizione, oltre ad evidente fine politico consultazione popolare, susciterebbe nuove polemiche in due paesi.

Pregola attirare su quanto precede attenzione codesto Governo per opportuni consigli a Belgrado desistere da divisato proposito2.


359 1 Si riferisce ai colloqui di Guidotti con Bebler, per i quali vedi DD. 248, 293, 302, 311 e 329.


359 2 Per le risposte da Washington e Londra vedi DD. 363 e 373. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Parigi.

360

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 56/43. Parigi, 29 gennaio 19521.

Dopo la mia conversazione con Parodi (telespresso n. 47/37 del 23 corrente)2, vi è qui stata una grossa riunione interministeriale per prepararsi alla Conferenza di Lisbona con particolare discussione sui vari progetti di riorganizzazione del N.A.T.O. Poiché a tale riunione i rappresentanti dei Ministeri economici e della difesa avevano larghi poteri, si può dire che le idee uscite dalla riunione stessa siano ormai «governative» salvo approvazione del Consiglio dei ministri.

Il più recente punto di vista italiano è stato comunicato al Quai d’Orsay in base al telespresso urgente n. 22/124/02 del 14 corrente3 e , soprattutto, al successivo telegramma n. 1104. Nel corso della conversazione, da parte francese ci sono stati appunto comunicati i risultati dell’ultima riunione interministeriale nei seguenti termini:

1) Tutti i progetti di riforma conteranno più per le persone che verranno nominate che non per la loro specifica sostanza. In fondo anche l’attuale Consiglio dei supplenti andrebbe benissimo se avesse l’autorità sufficiente. Purtroppo gli americani hanno commesso un errore quando, con stupore di tutti, nominarono soltanto Spofford come loro rappresentante. Ma, se i supplenti avessero tutti una grossa autorità, non ci sarebbe bisogno di riforme e sarebbe forse meglio, perché in fin dei conti, anche oggi sotto il nome di supplenti un massimo organo atlantico si raduna permanentemente e si chiama invece «dei ministri» quando si riunisce a più alto livello. Tutti i progetti di riforma possono sembrare più belli teoricamente, ma praticamente non si discosteranno da questo stato di fatto.

2) La scarsa autorevolezza del Comitato dei supplenti si è rivelata, ad un anno della sua creazione, quando si è dovuto formare un Temporary Council per esaminare le possibilità di contributo finanziario di ogni paese, compito questo che rientrava esattamente nelle attribuzioni dei sostituti. Il T.C.C. ha dato luogo ad inconvenienti (ho l’impressione si tratti di preoccupazioni francesi nei riguardi dei controlli da parte di piccoli paesi) ed i francesi non desiderano venga mantenuto o reso quanto meno periodico. Su questo essi sono nettamente per la sua abolizione dopo questo primo esperimento.

3) Secondo i francesi, si sta attualmente diffondendo l’idea di nominare come nuovo direttore generale o segretario generale il rappresentante di una piccola potenza. Il sig. de Margerie ha detto che si parlava, ad esempio, di un belga o dell’olandese van Vredenburch, il quale a Tangeri avrebbe fatto una grossa esperienza di organizzazione internazionale. I francesi non hanno idee preconcette al riguardo e sembrano d’accordo a che il direttore generale abbia vicino a sé due e magari tre direttori aggiunti. L’importante è che, attualmente, il presidente del Consiglio atlantico ed il direttore generale non siano dello stesso paese.

4) D’altra parte i francesi pensano sia meglio che gli americani conservino, contrariamente all’idea di molti, una parte preminente nell’organo atlantico, perché abbiamo tutti bisogno di loro e non si può negare che tutto il grosso sforzo riposa sulle loro spalle. Lo strano è che il sig. Draper non desidera la presidenza, perché ritiene che la sua veste di rappresentante americano ed il suo incarico al M.S.A. siano già schiaccianti (sul caso Draper riferisco a parte). De Margerie aggiunge che probabilmente i francesi proporranno che la presidenza duri un anno solo e che venga data all’americano, in modo che poi si veda cosa è meglio fare per gli anni prossimi.

5) Il direttore generale deve essere indiscutibilmente un funzionario. Su questo i francesi sembrano, come noi, avere le idee chiare.

6) Circa la sede, può darsi che gli inglesi cedano improvvisamente ed abbandonino l’idea di Londra per domandare invece che il nuovo direttore generale sia britannico.

Nella conversazione, da parte nostra non si è fatto cenno al problema Parigi-Londra per mantenerci una latitudine al riguardo. Da parte francese si è detto che a Lisbona si offrirà piena ospitalità al N.A.T.O. in Parigi o nei pressi di Parigi perché, anche se non si usufruirà delle costruzioni provvisorie erette per l’O.N.U., tale esperienza ha insegnato che in pochi mesi si può costruire qualcosa del genere.

7) I francesi non sono in principio d’accordo per la soppressione del F.E.B. e del D.P.B. Sanno però che le idee degli altri sono unanimi al riguardo e si rassegnano. Pensano che in tal caso un buon numero di tecnici militari dovrà essere incluso negli uffici della nuova Segreteria generale.

8) Al Quai d’Orsay non si è, per lo meno a parole, contrari ad un maggior controllo del Comitato dei rappresentanti militari sullo Standing Group e si accetta qualunque maggiore internazionalizzazione proporzionale dei vari staffs militari. Si mantiene invece l’idea (e si capisce perché, la Francia essendovi presente) che lo Standing Group deve rimanere come è oggi.

Al Quai d’Orsay si è stati sensibili all’esposizione dei nostri punti di vista e si è insistito sulla necessità e sull’opportunità che Italia e Francia arrivino a Lisbona con delle idee quanto possibile riavvicinate in tale materia.


360 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


360 2 Vedi D. 350.


360 3 Vedi D. 333, nota 1.


360 4 Riferimento errato: vedi D. 352.

361

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata 1431. Washington, 30 gennaio 1952.

Mi riferisco alla tua lettera n. 133 s.p. del 23 corrente1, relativa alla questione della nostra ammissione all’O.N.U.

Sulla posizione americana credo di aver fatto il «punto» oltre che colle mie precedenti comunicazioni sull’argomento, colla mia lettera n. 1178 del 24 gennaio, a te diretta2.

Mi rendo anch’io conto delle possibili conseguenze interne ed internazionali della questione, da te convincentemente riassunta nella sopracitata lettera del 23 corrente, ed è per questo che, pur prevedendo il tenore della risposta americana, ho esposto ancora una volta a Hickerson, nel modo più caldo, le ragioni, appunto d’ordine interno e internazionale, che militano a favore di una revisione del presente atteggiamento americano.

Hickerson ha esordito col ricordare l’azione svolta in passato dal Governo americano, e da lui personalmente, a favore dell’Italia, anche in questa difficile questione dell’ammissione. «Vi ricordo questo – mi ha detto – perché sappiate che nella nostra posizione odierna, non vi è alcun presupposto poco amichevole verso l’Italia». Il Dipartimento di Stato, ha aggiunto, ha svolto, e continuerà a svolgere ogni possibile azione per facilitare l’ingresso dell’Italia nell’O.N.U. specie se il caso italiano potrà essere svincolato dagli altri. Hickerson ha ammesso che non si vede ancora bene come ciò potrebbe avvenire, ma questo, ha precisato, non scoraggia gli uffici americani, e non deve scoraggiare il Governo italiano, dal cercare una via d’uscita al problema.

Personalmente non ritiene che tale via d’uscita sia offerta dalla risoluzione latino-americana richiedente il parere della Corte dell’Aja sull’uso del veto, ma, d’altra parte, mi è sembrato poco al corrente dei dettagli della predetta risoluzione.

Ho, naturalmente, insistito con ogni utile argomento. Ciò non ha però smosso il mio interlocutore che, dopo avermi ripetuto l’introduzione di cui sopra, ha dichiarato esplicitamente che, nelle presenti circostanze, il Governo degli Stati Uniti non può ammettere l’ingresso nell’O.N.U. di paesi non meritevoli quali l’Ungheria, l’Albania, o addirittura non esistenti, quale la Mongolia esterna, specie poi se l’ammissione in blocco, richiesta dai sovietici, comportasse l’esclusione della Corea del Sud.

«Noi non vogliamo, mi ha detto, che l’Italia, che tanto diritto ne ha in proprio, debba il suo ingresso all’O.N.U. ad un mercato del genere. Riteniamo che ciò non sia neanche nel vostro interesse».

Alle mie rinnovate obiezioni circa gli spunti che la questione offre alla propaganda comunista, Hickerson ha opposto l’opportunità, e, secondo lui, la facilità di una contropropaganda governativa. Ho controbattuto col dirgli che mi risultava che una azione di chiarimento degli esatti termini della questione era già in atto da parte del Governo italiano.

Hickerson ha concluso il colloquio col rivelarmi un particolare interessante: durante le accese discussioni che si sono avute al Dipartimento di Stato tra i fautori della tesi della universalità (fautori non convinti, ma ispirati solo dal desiderio di farci entrare) e i contrari a tale tesi, gli uffici per l’Estremo Oriente sono giunti a chiedere che, pur di salvaguardare la posizione della Corea del Sud, il Governo americano avrebbe dovuto rinunciare alla sua nota policy di non usare del «veto» in questioni di ammissione.

Si tratta, mi rendo conto, proprio del caso limite da te previsto e deprecato. A maggior ragione concordo quindi con te sulla opportunità di far registrare al Dipartimento queste nostre preoccupazioni. Questo è stato lo scopo precipuo del mio passo odierno, ché, come ti ho detto sopra, sulla attuale, sia pure poco lungimirante, decisione americana avevo poche speranze di influire. Tanto più che, a torto o ragione, il Dipartimento di Stato sembra sicuro della sconfitta della risoluzione sovietica, sia in Assemblea generale, sia in Consiglio di sicurezza.


361 1 Vedi D. 349.


361 2 Non pubblicato ma vedi DD. 327, 345 e 347.

362

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 1272-1273/119-120-121. Parigi, 31 gennaio 1952, ore 15,52(perv. ore 18,20).

Bebler ha chiesto vedermi un’ultima volta1 prima nostro ritorno New York. Ha cominciato col chiedermi impressioni V.E circa proposta jugoslava sbocco al mare2. Ho risposto che era mancato tempo per intrattenerne al lungo V.E. ma che impressione, di fronte insospettata ampiezza proposta, non poteva essere che negativa.

Bebler ha allora replicato che nell’attesa risposta scritta3 suo memorandum, desiderava mettere avanti «per risparmiare tempo» un terza proposta. Incidentalmente ha chiarito che la prima era divisione secondo attuale linea demarcazione, seconda sbocco al mare, terza quest’ultima, la quale dovrebbe consistere in accordo fra i due Governi per ricostruire in unità territoriale indipendente le due zone costituenti Territorio Libero. Statuto provvisorio e quello definitivo dovrebbero essere entrambi sostituiti da nuovi strumenti in modo da sottrarre territorio ingerenze Consiglio sicurezza. Nella prima fase, sino elezioni e partenze truppe straniere poteri governatore dovrebbero essere esercitati da una Commissione composta tre membri, uno designato da Roma, uno da Belgrado e terzo neutrale nominato da segretario generale O.N.U. Questa Commissione deciderebbe unanimità. A elezioni fatte e Costituzione proclamata, nuovo Statuto permanente dovrebbe entrare in vigore. Vi sarebbero due governatori, uno italiano e uno jugoslavo alternantisi per un periodo non eccedente tre anni. Nazionalità del primo sarebbe decisa a sorte. Direttore sicurezza potrebbe essere nominato da governatore e durare in carica quanto lui, ma dovrebbe essere scelto in lista personalità triestine indipendenti stabilita d’accordo fra due Governi.

Governatore sarebbe responsabile non al Consiglio sicurezza ma ai due Governi, sia direttamente sia per tramite Commissione suprema vigilanza composta ugualmente una persona nominata da Roma, una da Belgrado e un neutrale scelto d’accordo fra i due Governi. Se detti non riuscissero mettersi d’accordo per nomina terzo membro designazione verrebbe fatta da segretario generale O.N.U. Nuovo Statuto permanente dovrebbe seguire linee generali antico eccetto naturalmente per quanto concerne dipendenza Consiglio sicurezza. Annessi trattato pace concernenti questioni finanziarie portuali potrebbero rimanere in vigore. In caso di accordo generale i due Governi chiederebbero insieme alle tre grandi potenze di sanzionarlo garantendo integrità e sicurezza territorio e dichiarando decaduta Dichiarazione Tripartita4.

Bebler non (dico non) mi ha rimesso testo scritto e ha ripetuto varie volte che questi erano suggerimenti di massima soggetti ampie discussioni ed eventuali modifiche. Mi ha poi chiesto quale fosse mia impressione personale. Mi sono limitato ricordargli che in nostro primo incontro avevo detto Governo italiano sarebbe stato disposto dipartirsi da Dichiarazione Tripartita soltanto nell’ipotesi poter concludere accordo fecondo e stabile. Ma sinché non fosse acquisita questa certezza mantenevamo intatta nostra posizione.

Ora proposta jugoslava partiva invece da constatato fallimento possibilità accordo territoriale per chiederci in sostanza rinuncia Dichiarazione. Ho assicurato tuttavia che avrei trasmesso sua proposta. Bebler ha aggiunto che si rendeva conto impossibilità avere risposta prima della fine sessione O.N.U. entrambi progetti jugoslavi; ma che confidava conversazioni avrebbero potuto esser proseguite sia a Roma o Belgrado canali diplomatici normali, sia a New York tra noi due.

È da osservare che proposte jugoslave sono in ordine digradante sempre e meno accettabili. La meno gravosa delle tre sarebbe infatti, se situazione politica interna italiana permettesse di prenderla in considerazione, la prima. Se no dovrebbe dedurre manovra jugoslava per mantenere aperto negoziato, non allo scopo raggiungere sinceramente accordo, ma semplicemente per costituirsi favorevole posizione nei riguardi anglo-americani. Non è esclusa anche manovra diretta influire elezioni triestine5.


362 1 Per il precedente colloquio vedi D. 329.


362 2 Si tratta delle proposte formulate nel memorandum consegnato da Bebler a Guidotti il 26 gennaio, non pubblicato, ma ampiamente commentato in Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., pp. 121-122.


362 3 Con L. 3/111 del 6 febbraio De Gasperi richiese a Guidotti di comunicare a Bebler che il Governo italiano «ne peut que confirmer que le projet dont il s’agit ne constitue pas una base acceptable pour la recherche d’une solution. En effet à part même toute considération de nature politique et ethnique, un tel projet ne peut non plus trouver sa justification, du point de vue èconomique. L’outillage et les installations actuelles du port de Trieste ainsi que son reseau de chemins de fer sont à meme de desservir dans la manière la plus large les besoins du traffic vers tout l’hinterland naturel et traditionnel de Trieste. Le projet envisagé aboutirait à la création artificielle d’un nouveau port, jouissant en surcroît du contrôle de toutes les voies ferrées vers l’intérieur, et qui priverait Trieste et son port de leur fonction fondamentale et de la raison même de leur existence, c’est à dire de pourvoir au traffic non seulement du bassin de la Sava, mais aussi bien de ceux du Danube et de la haute Elbe. D’ailleurs il est utile de rappeler que le Gouvernement italién s’est toujours déclaré disposé à conclure des accords et à consentir les facilitations les plus convenables en ce qui concerne l’usage du port de Trieste et de ses installations à tous les pays de son hinterland et en particulier à la Yougoslavie; le Gouvernement italien confirme à cet égard ses meilleures dispositions et sa volonté de collaboration».


362 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


362 5 Per le osservazioni di De Gasperi su quanto esposto nel presente documento vedi D. 400.

363

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 1315/84. Washington, 31 gennaio 1952, ore 18,05(perv. ore 8 del 1° febbraio).

Mio 781.

Dipartimento conferma aver invitato ambasciata Belgrado informarsi su intenzioni jugoslave circa elezioni Zona B e fornire suo parere su possibilità influire affinché elezioni stesse non (dico non) siano indette.

In pari tempo Dipartimento informami aver chiesto, tramite ambasciata Roma, avviso V.E. su opportunità indire elezioni Zona A in concomitanza con elezioni amministrative italiane e applicando legge apparentamento. Dipartimento, mentre ha impressione che nostre Autorità Trieste non (dico non) siano contrarie a elezioni Zona A e mentre esso stesso vi sarebbe favorevole, ammette che decisione positiva indebolirebbe eventuali pressioni su Jugoslavia per indurla desistere da elezioni Zona B.


363 1 Del 30 gennaio, con il quale Tarchiani aveva assicurato circa l’esecuzione delle istruzioni di cui al D. 359.

364

L’AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservatissima personale. Madrid, 31 gennaio 1952.

Riferendomi agli accenni contenuti in alcune amichevoli tue, mi par sia oggi mio dovere far parte a te della mia impressione che nei riguardi dei rapporti e della collaborazione eventuale tra Italia e Spagna si perda un tempo prezioso.

Pur avendo attirato l’attenzione del Ministero sulle notizie qui corse circa scambi di vedute di Churchill ed Eden prima a Parigi, poi a Washington circa la Spagna, non abbiamo nessun segno ancora da Roma, negativo o positivo. M’è difficile quindi tenere qui contatti in armonia con l’azione generale. A quanto ci è dato capire, continua l’azione nordamericana diretta a spingere la Spagna a chiarire i suoi rapporti con Londra e Parigi. L’Italia – per quel che ci può risultare – non rientrerebbe nell’azione di Washington; e non se ne vede il perché qui, ma forse lo si vede a Roma.

Se non vi è dunque nel settore spagnolo un «concerto» che comprenda anche noi, e dato che l’Italia prima di altri paesi ha considerato con vera obiettività (che anche gli spagnoli oggi riconoscono appieno) il patto in gestazione fra Stati Uniti e Spagna, perché non si potrebbe prendere qualche iniziativa in seno all’imminente Consiglio del N.A.T.O.? Si ha l’impressione a Madrid che i portoghesi cercheranno l’occasione di parlare della Spagna nella riunione di Lisbona. Lo faranno a modo loro e forse senza convinzione, anche perché il Portogallo ha poca fiducia nel N.A.T.O. e non partecipa alla formazione dell’«esercito europeo». Noi invece potremmo approfittare dell’evenienza per esaminare con Gran Bretagna e Francia se non sia già possibile iniziare sondaggi a Madrid circa una futura connessione del patto ispano-americano col N.A.T.O. nei riguardi specialmente del Mediterraneo. Quasi certamente avremo all’inizio risposte evasive ma forse non completamente negative. Se Londra e Parigi non ci dessero ascolto, non avrebbero da stupirsi quando riprendessimo la nostra libertà d’azione, che in questo caso si tradurrebbe in libertà di approfittare di quanto di politico, militare ed economico sarà possibile ricavare dalla situazione che verrà creata dal patto ispano-nordamericano.

Se condividi queste poche idee che in fretta ho riassunto, vedi se puoi farne giungere il seme là dove può germogliare.

365

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Londra, 1° febbraio 1952.

Ho avuto a Londra colloqui «informal» col segretario generale del Foreign Office Strang, e coll’assistente per gli affari politici Dixon (al suggerimento e invito del quale era dovuta la mia visita a Londra), e sono stato ricevuto dal ministro Eden.

Al sottosegretario Strang ho detto che, traendo profitto della mia andata a Parigi per la Conferenza dell’esercito europeo, avevo fatto una corsa a Londra per una visita ai miei colleghi del Foreign Office, e a lui in particolare dato che non avevamo mai avuto occasione di incontrarci, mentre leggevamo così sovente reciprocamente i nostri nomi nei telegrammi e nei dispacci delle rispettive ambasciate. Non era mia intenzione – ho soggiunto – sollevare con lui alcuna specifica questione che sarebbe stata trattata dall’ambasciata e dal nuovo ambasciatore coi suoi uffici. Constatavo, dopo la visita a Roma del signor Eden1, un notevole miglioramento «di atmosfera» nei rapporti fra i due paesi e ritenevo interpretare il pensiero di V.E. raccomandandogli di vegliare perché tale atmosfera venisse da parte inglese mantenuta e ancora migliorata. Era necessario perciò che il Foreign Office, per quanto riguarda le questioni africane, prendesse sempre più in mano le situazioni in Libia e in Eritrea dove un gran danno è derivato ai nostri rapporti e alle possibilità di collaborazione in loco, dallo spirito «residuato di guerra» mantenuto per troppo lungo tempo dagli agenti britannici in loco – il che Strang ha riconosciuto. Di fronte alla azione di costoro, ho detto, noi abbiamo dovuto mantenerci costantemente in una attitudine che ha forse potuto apparire qui anti-britannica, mentre era in realtà semplicemente una attitudine difensiva e, quando necessario, di reazione, ossia di difesa attiva dei nostri interessi; e se eravamo costretti a far ciò, deploravamo tuttavia che non fosse possibile stabilire una cooperazione che poteva, come può ancora, essere tanto utile ad entrambi giacché il mantenimento delle posizioni etniche ed economiche italiane (e quindi europee) in Libia e in Eritrea si concilia perfettamente con gli interessi britannici e atlantici in quei settori, specialmente in un periodo in cui le posizioni occidentali sono ovunque prese di mira. Strang ha convenuto in tale apprezzamento ed ha promesso di interessarsi in tal senso. Si ha a Londra, in ambasciata, e anche a Parigi negli ambienti della nostra delegazione all’O.N.U., l’impressione che una collaborazione maggiore che nel passato possa da ora innanzi stabilirsi in Eritrea. Capomazza, prima di rientrare alla Asmara, si recherà a Londra per conversazioni sull’argomento.

Strang mi ha parlato dell’Egitto, per dire che il Governo inglese considera la situazione sensibilmente migliorata. È sua opinione che sia più facile risolvere la questione del Canale che non quella del Sudan; a questo proposito mi ha espresso l’avviso del Foreign Office che mentre l’accettazione delle credenziali di un ambasciatore egiziano con l’indicazione «Re d’Egitto e del Sudan» non costituirebbe riconoscimento ufficiale del nuovo titolo di Faruk, l’invio al Cairo di un ambasciatore con credenziali dirette a Faruk come «Re del Sudan» comporterebbe tale riconoscimento. Da parte mia gli ho detto che data la repentina scomparsa del compianto ambasciatore Prunas ci era riuscito relativamente facile ritardare la nomina di un nuovo ambasciatore al Cairo, ma che confidavamo in una soluzione della questione data la mole dei nostri interessi in Egitto e la necessità per noi di provvedere, ad un certo momento, alla nomina di un ambasciatore. Nella questione concernente il reclutamento di mano d’opera italiana per il Canale, Strang mi ha detto che si rendeva conto delle nostre obbiezioni. Gli ho comunque confermato che non avevamo difficoltà all’ingaggio da parte britannica di alcuni tecnici, purché veri tecnici.

Ho poi colto l’occasione per esporre a Strang e successivamente a Dixon la nostra posizione nei confronti del problema del Medio Oriente e del mondo arabo. L’Italia, in pieno centro del Mediterraneo, ha davanti a sé tutta una corona di paesi arabi ed è necessario per noi mantenere amichevoli rapporti con quei paesi. Vi abbiamo – specialmente in Egitto – Libia e Tunisia – notevoli masse di connazionali cui dobbiamo assicurare la possibilità di continuare a svolgere il loro pacifico lavoro e che oltre tutto rappresentano un elemento d’influenza europea in Nord Africa; non abbiamo intenzione di sviluppare emigrazione di massa in quei paesi, ma essi assorbono un certo numero di tecnici italiani; vi abbiamo anche interesse economici e commerciali che dobbiamo incrementare per dar lavoro alle industrie italiane. D’altra parte ci rendiamo naturalmente conto della solidarietà che deve esistere per tutti i paesi della comunità occidentale e in particolare sappiamo che la difesa del Canale è vitale anche per noi. Pregavo quindi i miei interlocutori di tenere presente che gli interessi di una comunità sono qualcosa di più complesso degli interessi di un singolo membro di essa: tali interessi risultano infatti dalla somma – o almeno dalla media – degli interessi di ciascun membro della comunità. Inoltre a nostro avviso questi movimenti nazionalisti non sono da sottovalutare e occorre aiutare gli elementi più moderati in guisa che l’evoluzione dal periodo della soggezione coloniale a quello della collaborazione si svolga nell’ambito del mondo occidentale evitando che le correnti più estremiste prendano il sopravvento e che l’U.R.S.S. possa apparire come l’unico paese amico del mondo orientale.

Abbiamo convenuto che l’ambasciata ed il Foreign Office si manterranno in contatto sui problemi del Medio Oriente scambiandosi di tanto in tanto le informazioni in loro possesso.

Il sig. Dixon mi ha detto che V.E. si era lamentato con Eden a Roma perché l’Italia era stata completamente dimenticata nei progetti relativi al Medio Oriente ed ha aggiunto che gli inglesi non pensavamo che noi fossimo interessati ad intervenire militarmente in tali piani. Ho risposto che ogni piano del genere, anche se militare, ha un substrato politico e che gli italiani avevano risentito il fatto che un paese interamente mediterraneo come l’Italia, e alleato, fosse stato messo da parte: ho quindi raccomandato che si studi il modo di ovviare a tale inconveniente pel futuro: i modi e le forme non mancano.

Ho messo al corrente Strang e Dixon dei lavori della C.E.D. e ho spiegato come si sono svolte le note dichiarazioni di Hallstein e quale ne fosse il vero significato, mal comprese in un primo momento dai francesi.

Da parte inglese mi sono stati nuovamente spiegati i motivi per cui si insiste perché il N.A.T.O. rimanga a Londra. Ho loro detto che mi rendevo perfettamente conto di tali considerazioni, che non potevo prendere alcun impegno, tenuto conto della posizione presa dagli americani e dei nostri rapporti con la Francia. Ho aggiunto che a Parigi ne avevo parlato con van Zeeland che mi era parso indeciso e con gli olandesi che erano anche essi indecisi ma inclini a Londra. Mi risultava inoltre che Lange non aveva preso decisioni e si riservava di parlarne con Eden nel corso di una sua prossima visita a Londra. Toccava quindi agli inglesi muoversi soprattutto a Washington e a Londra [sic] di dove era partita la proposta di trasferire il N.A.T.O. a Parigi. Occorreva inoltre studiare bene la questione con riguardo alle organizzazioni economiche esistenti a Parigi che sino ad ora avevano servito tanto per l’O.E.C.E. che per il N.A.T.O., e questo era secondo me il punto «obiettivamente» più difficile da risolvere anche per ragioni pratiche, Per il momento – ho detto – il massimo che potevamo fare era di dare istruzioni a Rossi Longhi di dire nel Consiglio dei sostituti, dove la questione è ad un primo esame, che le argomentazioni avanzate dagli inglesi appaiono meritevoli di considerazione una decisione dovesse essere presa dopo approfondito esame. Me ne sono stati molto riconoscenti. Effettivamente questa questione presenta per il Governo inglese un aspetto delicato e di prestigio e il trasferimento del N.A.T.O. da Londra a Parigi non mancherebbe di ferire l’opinione pubblica britannica; se pure senza assumere posizioni di punta, riuscissimo a facilitarli, potremmo ottenere il loro appoggio eventualmente per una partecipazione italiana più effettiva nelle maggiori gerarchie del costituendo Segretariato generale.

Con Eden, che mi ha ripetuto il suo desiderio di continuare a migliorare i rapporti italo-inglesi, ho ripreso riassumendogli, taluni degli argomenti sopra indicati: esercito europeo e Germania. Dell’Egitto mi ha parlato spontaneamente dicendomi che non intende prendere subito iniziative che possono metter in imbarazzo il nuovo Governo egiziano. Essendo in procinto di partire per Parigi si è mostrato interessato a conoscere lo stato dei lavori per la C.E.D. e la posizione della Germania nella questione della N.A.T.O. Spontaneamente mi ha detto di aver giudicato «intempestiva» l’iniziativa assunta dai francesi di nominare un rappresentante diplomatico nella Saar. Gli ho raccomandato di continuare nell’opera da lui iniziata a Roma e di dare istruzione in tal senso ai suoi dipendenti.

Prima di congedarmi da Dixon lo ho ringraziato del suggerimento datomi da lui a Roma di fare una visita a Londra, tanto più che i contatti e l’accoglienza avuta mi parevano incoraggianti. Gli ho ricordato che disgraziatamente, dopo ogni visita a Londra, erano succedute delle delusioni; così era accaduto nel 1947 quando ero venuto col conte Sforza2, così era accaduto dopo la seconda venuta del conte Sforza a Londra nel 19493, e in parte anche dopo la visita del marzo 19514. Mi auguravo vivamente che la mia visita benché «informal» e di ben minor importanza potesse essere almeno più fortunata.


365 1 Vedi D. 260.


365 2 Vedi serie decima, vol. VI, Appendici, Tavola metodica, Viaggi di Sforza.


365 3 Vedi serie undicesima, vol. II, Appendici, Tavola metodica, Viaggi di Sforza.


365 4 Ibid., vol. V, D. 298.

366

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 1451. Washington, 1° febbraio 1952(perv. il 4).

Riferimento: Dispaccio di V.E. n. 1201/8 del 25 gennaio u.s.1.

Il Dipartimento di Stato ha fatto conoscere in questi giorni la sua prima reazione, del tutto informal, al nostro memorandum2.

La reazione è, nel complesso, negativa.

Il Dipartimento di Stato ha rilevato innanzi tutto che la maggior parte delle clausole economiche concernono i rapporti fra l’Italia e terzi paesi e che pertanto gli Stati Uniti poco potrebbero fare per venire incontro ai nostri desideri. Esso riconosce, in linea di massima, che una decisione positiva potrebbe essere presa in merito al termine per la presentazione dei reclami. Inoltre condivide la nostra tesi per quanto concerne i danni verificatisi nel territorio delle ex-colonie italiane. Per contro, circa le Commissioni di conciliazione, insiste nel ritenerle indispensabili e nel negare che abbiano un carattere discriminatorio nei riguardi dell’Italia.

Le conversazioni, nel corso delle quali è stato fatto presente quanto precede, hanno offerto occasione al Dipartimento di Stato di tornare sull’argomento dell’art. 78 e della lentezza italiana nel far fronte agli obblighi ivi contenuti. Secondo i calcoli americani, col ritmo attuale, occorrerebbero 15 o 20 anni per esaminare tutti i claims. Ciò potrebbe evitarsi soltanto con una radicale revisione dei sistemi attualmente in uso e fra l’altro con l’aumentare i funzionari addetti al servizio, con lo snellire l’istruttoria, con l’adottare criteri più sbrigativi per i claims di ammontare modesto, ecc.

In seguito a questa reazione americana, l’argomento è stato ridiscusso da questa Ambasciata, a più alto «livello».

Si è, da parte nostra, prospettato un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, la revisione delle clausole economiche del trattato, in quanto siano discriminatorie nei riguardi dell’Italia, è un corollario dell’abolizione delle discriminazioni politiche e militari; pertanto è lecito attendersi che gli Stati Uniti ammettano il principio di tale revisione, sia pure con riserva di esaminare poi se e entro quali limiti essa possa tradursi in misure pratiche. In secondo luogo, il fatto che dette clausole tocchino meno i rapporti italo-americani che non quelli fra l’Italia e altri paesi non è un motivo per escludere che gli Stati Uniti, a somiglianza di quanto hanno fatto nel campo politico, prendano l’iniziativa della revisione e esercitino i loro buoni uffici per farvi aderire il maggior numero possibile degli altri firmatari.

Si è quindi chiesto che, indipendentemente da ogni considerazione sui dettagli, la questione sia riesaminata sotto il duplice profilo sopradescritto, affinché possano esserci fornite assicurazioni di massima, dalle quali possa passarsi a un esame più approfondito.

Il Dipartimento di Stato ha promesso di procedere a questo nuovo esame.

Seguirò, pertanto, la questione e non mancherò di esercitare ogni possibile insistenza. Al tempo stesso debbo confermare le previsioni già fatte sul possibile esito dei nostri sforzi. Possiamo, cioè, sperare di ottenere qualche risultato pratico in settori limitati, quali il termine per la presentazione dei claims, il sequestro dei beni italiani in altri paesi (sempreché questi non si mostrino irriducibili), l’interpretazione della clausola relativa ai danni nelle ex-colonie, e simili. A tal fine converrebbe che preparassimo fin da adesso un progetto di accordo, che possa fornire a suo tempo una precisa base di discussione. Se, però, pensassimo di ottenere l’abolizione di obblighi specifici, e in particolare di quelli sanciti nell’art. 78, ci troveremmo di fronte ad un’operazione irriducibile. Da ciò deriva l’ostinato rifiuto americano di rinunciare alle Commissioni di conciliazione in cambio di una legge interna italiana o di una soluzione forfetaria o di altre misure, che avrebbero l’effetto di togliere in tutto o in parte ai cittadini americani la possibilità pratica, se non teorica, di far valere i loro diritti.

Aggiungo che l’ombra dell’art. 78, e dei nostri veri o sospettati sforzi per sottrarci alle disposizioni in esso contenute, si proietta costantemente su ogni discussione col Dipartimento di Stato in materia di clausole economiche del trattato.


366 1 Vedi D. 356.


366 2 Vedi D. 84, nota 2.

367

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 1536/611. Washington, 1° febbraio 19521.

Telespresso di quest’ambasciata n. 1529/604 in data 1/22.

I senatori democratici Fullbright, MacMahon e Sparkman hanno presentato il 31 gennaio al Senato una risoluzione perché gli Stati Uniti facciano una solenne dichiarazione di principio a favore della rapida creazione, nel quadro della Comunità atlantica, di una Federazione europea.

La risoluzione è accompagnata da una lettera del presidente Truman nella quale questi esprime la convinzione che la costituzione di una Federazione europea rappresenti uno dei maggiori contributi per il rafforzamento dell’Europa e per la conservazione della pace.

Nella sua lettera il presidente afferma inoltre di sperare che il Senato approverà pienamente la risoluzione presentata dai tre senatori.

La nuova iniziativa rappresenta un interessante sviluppo del vigoroso appello lanciato da Eisenhower per la convocazione di una Costituente europea. E non è senza significato che, dopo le favorevoli dichiarazioni del segretario di Stato, di cui al telegramma n. 56 in data 22 gennaio2, alle quali hanno fatto seguito analoghe espressioni di adesione da parte dei senatori Taft e Kefauver entrambi candidati alle prossime elezioni presidenziali, anche lo stesso presidente abbia manifestato, ed in forma ufficiale, la sua approvazione alla rapida creazione di una Federazione europea.

La esplicita presa di posizione del presidente a favore dell’unificazione europea, che conferma autorevolmente le dichiarazioni di Acheson in appoggio all’appello di Eisenhower, può esser interpretata, a mio avviso, come espressione della ferma determinazione dell’Amministrazione di non dare agli avversari la possibilità di sfruttare ai suoi danni l’idea della Federazione europea.

Ma è evidente che una volta adottata una simile linea di condotta, è da prevedere che sarà sempre più difficile per l’amministrazione resistere alle richieste ed alle pressioni del Congresso intese a condizionare la concessione degli aiuti economici e militari alla realizzazione di concreti progressi da parte dei paesi europei sulla via dell’unificazione.

Mi riservo di trasmettere il testo della risoluzione presentata dai senatori, Fullbright, MacMahon e Sparkman. Faccio inoltre presente che dalle conversazioni che quest’ambasciata ha avuto con i funzionari della Casa Bianca e della Mutual Security Agency, incaricati di redigere il progetto della nuova legge sugli aiuti, è risultato come l’Amministrazione stia cercando in ogni modo di evitare menzioni troppo specifiche a realizzazioni federalistiche nel progetto predetto. Ciò soprattutto nel timore che una formulazione troppo precisa possa rendere tecnicamente assai più difficile la corresponsione degli aiuti.


367 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


367 2 Non pubblicato.

368

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI,ALL’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO

T. 1152/9. Roma, 4 febbraio 1952, ore 21,30.

Suo 271.

Quanto dettole da ambasciatore Sergheiev non ci riesce chiaro in quanto da circa due mesi insistiamo con questa ambasciata sovietica affinché si addivenga alla firma delle liste concordate a e anzi abbiamo addirittura dato loro pratica applicazione, sin poco tempo fa, benché non firmate.

Voglia perciò insistere affinché autorizzazione alla firma venga inviata a questa ambasciata sovietica.


368 1 Del 2 febbraio, con il quale Figarolo riferiva il disappunto di Serghiev per il mancato raggiungimento degli accordi sull’interscambio commerciale con l’Italia.

369

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI,E AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 1166/c. Roma, 5 febbraio 1952, ore 16,30.

Suo telespresso n. 120/88 [da Londra]1; suo telespresso n. 987/412 e 1015/440 [da Washington]2; suo telespresso 56/43 [da Parigi]3.

Per suo orientamento, precisasi posizione italiana circa presidenza Consiglio e segretario generale, in vista progettata riorganizzazione N.A.T.O.:

1) presidenti Consiglio atlantico in sessioni plenarie dovrebbero continuare ad essere «a rotazione», come attualmente, i vari ministri degli esteri;

2) presidente Consiglio atlantico a livello rappresentanti permanenti, già sostituti, dovrebbe essere eletto fra rappresentanti stessi. Nulla da obiettare che sia un americano;

3) la carica di segretario generale (coi poteri previsti da memorandum inglese) potrebbe essere attribuita ad un inglese, se ciò venisse richiesto da inglesi come condizione per concentramento a Parigi di tutto il N.A.T.O. (salvo Standing Group e rappresentanti militari). Da parte italiana però si avanza l’esigenza che un posto di vice segretario generale venga attribuito ad un italiano.

Tenga comunque presente che su questione sede non intendiamo, per il momento, prendere posizione e che pertanto non insistiamo per Parigi.


369 1 Non pubblicato.


369 2 Non pubblicati.


369 3 Vedi D. 360.

370

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 1471/9. Lisbona, 5 febbraio 1952, ore 13,47(perv. ore 17,15).

Seguito telegramma 51.

Questo Ministero affari esteri precisa che da parte portoghese si accetta:

1) costituzione Consiglio permanente al posto attuale Consiglio atlantico e Consiglio supplenti benché trattasi di mutamento più apparente che reale;

2) istituzione Segretariato generale ma senza troppo larghi poteri;

3) Sottocomitati e Gruppi lavoro dipendenti da rappresentanti permanenti unici;

4) per la preparazione di piani economico-finanziari annuali si preferisce la nomina, ogni anno, di un Comitato temporaneo – senza perciò rifiutare per studio restanti problemi economico-finanziari Comitato permanente di cui alla proposta inglese la quale eviterebbe inconvenienti del progetto americano di lasciare unicamente agli organi del Segretariato lo studio dei restanti problemi economici;

5) pienamente d’accordo internazionalizzare personale staff;

6) si ritiene che presidente del Consiglio debba essere designato per votazione e il vice presidente per elezione con durata due anni e rieleggibili;

7) per ragioni stabilità politica e sicurezza riunioni si preferirebbe fissare sede organismo Londra.


370 1 Del 26 gennaio con il quale De Paolis, rispondendo al D. 352, aveva comunicato che il Governo portoghese concordata con il punto di vista italiano circa la riorganizzazione della N.A.T.O. e che avrebbe preferito l’accentramento dei relativi organismi a Londra anziché a Parigi.

371

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 1237/23. Roma, 6 febbraio 1952, ore 22.

Suo 521.

Non si ritiene opportuno che venga posto accento su automatismo di fatto risultante da organizzazione C.E.D. Non appare d’altronde utilità accennata da sostituto inglese accentuare tale concetto nel rapporto dei sostituti, Conviene tenere presente che se reazione di fatto ad improvvisa aggressione costituisce naturale diritto difesa, dichiarazione guerra dal punto di vista costituzionale, sino a quando non esista vera e propria federazione che modifichi Costituzioni nazionali, è riservata a singoli Parlamenti come esplicitamente riconoscono articoli 5 e 11 Patto atlantico.


371 1 Del 4 febbraio, con il quale Rossi Longhi riferiva della discussione in Consiglio dei sostituti sull’argomento oggetto del presente telegramma.

372

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,E AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. segreto 1238/47 (Washington) 24 (Londra). Roma, 6 febbraio 1952, ore 22.

(Solo per Italnato) Suo 511.

(Per tutti) Abbiamo motivi per ritenere che approvazione parlamentare ratifica italiana accessione Grecia e Turchia Patto atlantico avvenga solo vigilia riunione Lisbona e manchi tempo per invio materiale documento da depositarsi Dipartimento di Stato. Si era quindi pensato provvedere notifica approvazione stessa mediante Nota verbale, riservando successivo invio strumento firmato da presidente della Repubblica. Mentre ciò parrebbe conforme articolo 3 Protocollo è sorto dubbio che sino a effettivo deposito a Washington degli strumenti Governo Stati Uniti possa diramare inviti. Pregola accertare costà punto di vista ufficiale su questione2.


372 1 Del 4 febbraio, non pubblicato.


372 2 Con T. segreto 1604/92 del 7 febbraio Tarchiani comunicò l’adesione statunitense alla proposta di notifica mediante Nota verbale. Rossi Longhi rispose (T. segreto 1595/55 del 7 febbraio) che la delegazione statunitense aveva dichiarato di non essere in grado di rispondere al quesito e suggerito di rivolgersi direttamente al Dipartimento di Stato.

373

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 1543/43. Londra, 6 febbraio 1952, ore 21,22(perv. ore 7,30 del 7).

A seguito colloqui segretario generale con Strang e Dixon1 ho attirato attenzione anche assistente sottosegretario Harrison su intendimenti jugoslavi tenere elezioni Zona B e opportunità consigli potenze occidentali a Belgrado desistere da tale proposito (telegramma di V.E. 956/c.)2.

Harrison mi ha detto che a Londra erano giunte in proposito notizie ancora non controllate. Nel confermare attendibilità nostre informazioni l’ho messo al corrente passo compiuto Washington e assicurazioni avute3.

Harrison mi ha assicurato che questione verrà tenuta seria considerazione. A sua volta mi ha informato che G.M.A. in vista necessità amministrative tenere elezioni Zona A entro corrente anno, ha suggerito farle coincidere con prossimo turno amministrative italiane per darvi minor risalto politico. Richiamandomi a quanto detto da segretario generale a Strang ho subito prospettato assoluta inopportunità proposta e necessità che considerazioni politiche abbiano preminenza su esigenze amministrative. Ho quindi sottolineato effetto negativo che elezioni avrebbero su possibilità continuare conversazioni con Jugoslavia nonché su clima generale rapporti fra i due paesi attualmente non turbati da manifestazioni polemiche. Mio interlocutore ha meco concordato riconoscendo anche che necessità elezioni non è sentita da larghi strati popolazione. Ha fatto presente che richiesta parere Governo italiano verrà ufficialmente costà avanzata nei prossimi giorni da Mallet; ma mi ha lasciato comprendere che – ove nostra risposta fosse di carattere negativo come già si presumeva – questione verrebbe accantonata per il momento.


373 1 Vedi D. 365.


373 2 Vedi D. 359.


373 3 Vedi D. 363.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI,E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI

T. s.n.d. 1278/c. Roma, 7 febbraio 1952, ore 24.

Non è ancora stata presa una decisione sul vessato problema della organizzazione Comandi greco e turco nel quadro Patto atlantico.

Dalle ultime informazioni in possesso nostro Stato Maggiore, parrebbe tuttavia che ci si stia orientando verso seguente soluzione (nonostante perplessità generale Eisenhower): Grecia e Turchia incluse nel Comando Sud Europa. L’ammiraglio Carney dovrebbe avere alle sue dipendenze: un Comando navale del Mediterraneo; un Comando aereo del Sud Europa; tre Comandi terrestri: uno italiano, uno greco ed uno turco; un vice-comandante in capo.

Pure non considerando detta soluzione come quella per noi più conveniente (abbiamo sempre insistito su richiesta che Comando terrestre unitario settore sud venisse confermato spettare a generale italiano) saremmo disposti accoglierla, qualora un generale italiano fosse nominato sostituto di Carney come vice-comandante in capo intero settore Sud Europa.

In tale senso è stato scritto personalmente da ministro Pacciardi a gen. Eisenhower e al fine di appoggiare richiesta prego S.V. voler svolgere urgenti passi presso codesto Governo, facendo fra l’altro valere peso nostro apporto militare in relazione a quelli greco e turco. Tenga presente che attribuiamo a soluzione di questo problema in senso a noi favorevole notevolissima importanza, anche per riflessi di politica interna1.


374 1 Per le risposte vedi rispettivamente i DD. 379, 376 e 386.

375

IL CAPO DELL’UFFICIO I DEGLI AFFARI POLITICI, GRILLO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto. Roma, 7 febbraio 1952.

Sangroniz mi ha detto ieri sera che in Spagna si comincia ad essere contrariati dal nostro atteggiamento, che continua ad essere negativo.

Il presidente De Gasperi, dopo aver chiarito con lui (conversazione 12 ottobre 1951 al pranzo in onore dei rappresentanti dell’America latina) il malinteso sorto dalle note dichiarazioni di Washington, soggiunse che la situazione era cambiata e che «bisognava fare qualche cosa».

Sangroniz riferì a Madrid, dove si rimase in attesa di un gesto.

Un mese fa Sangroniz ne riparlò con il sottosegretario Taviani. Questi avrebbe espresso sentimenti di viva simpatia e, anche lui, soggiunto che «bisognava fare qualche cosa».

Sangroniz si sarebbe un poco compromesso con il suo Governo nel riferire queste nostre disposizioni a queste promesse.

A Madrid si aspetterebbe a braccia aperte un nostro inviato, ma se la cosa non si fa presto Sangroniz dovrebbe riferire al suo Governo che, nonostante la promessa avuta, egli si sarebbe sbagliato e che qui non si vuole aver nulla a che fare con la Spagna.

Gli ho detto di pazientare e di parlarne con il segretario generale. Il che egli vorrebbe fare subito. Gli ho suggerito di aspettare qualche giorno, pensando (non dicendo) che si attendevano le decisioni del presidente sul noto Appunto1.

Se non vogliamo, come certo non dobbiamo, apparire come marcianti al rimorchio di Washington, Londra e Parigi; se non vogliamo avere l’aria di andare a Canossa, egli, Sangroniz, dice che c’è sempre materia per la visita di una personalità italiana.

Ha elencato:

a) accordo commerciale. Se questo, da solo, (idea Grazzi) non giustifica l’invio di una personalità, questa tuttavia potrebbe prendere l’occasione per riparlare della

b) cooperazione economica. Sangroniz insiste che c’è sempre materia di discussione: ha accennato al carbone, alle piriti, ai coloranti, e soprattutto all’opportunità di contatti tra il nostro I.R.I. e l’I.N.I. spagnolo.

Ha citato l’esempio della Germania che si sta dando molto da fare. La visita del fratello di Franco in Germania, segnalataci da Bonn, sarebbe motivata da accordi con la D.K.W. Vi sarebbe poi la firma dello

c) accordo culturale, le cui trattative sarebbero a buon punto. Infine vi sarebbe lo scambio delle ratifiche dello

d) accordo sui films di cui si è occupato Andreotti.

Sangroniz, venendo a parlare della personalità che potrebbe utilmente andare a Madrid, ha accennato prima a Fagioli, il quale però non avrebbe veste ufficiale per firmare trattati ed accordi; poi ad Andreotti il quale, peraltro, avrebbe intenzione di andare in Spagna in maggio per una ragione completamente diversa e cioè per il Congresso eucaristico. Sangroniz infine si è soffermato su Merzagora2.

Circa il Marocco, Taliani ci dice che le ripercussioni su tutto il settore nord-africano delle agitazioni del mondo mussulmano sembrano destinate ad aprire nuove prospettive ai rapporti franco-spagnoli.

Secondo Sangroniz le cose non sarebbero affatto così. Sembra che contro la Francia resti più vivo che contro altri il risentimento spagnolo.

«La Spagna è ora un paese anti-colonialista. Come voi (italiani)».

Per ripicca contro la Francia? Per sviluppare la politica filo-araba?

«Pourquoi pas? Nel Marocco francese vi sono centinaia di migliaia (sic) di spagnoli». Privi del dono dell’understatement britannico, gli spagnoli pensano che «il Marocco, una volta indipendente, graviterà tutto sulla Spagna. Questa sta studiando una forma di più larga autonomia da concedere al Marocco spagnolo». Sono parole di Sangroniz.


375 1 Probabilmente il D. 314.


375 2 Sulla visita di Merzagora a Madrid vedi D. 465.

376

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 1642/94. Washington, 8 febbraio 1952, ore 21,18(perv. ore 7,30 del 9).

Telegramma ministeriale 1278/c.1.

Svolgendo ogni efficace argomento e sottolineando soprattutto le ripercussioni interne del problema, ho effettuato passi disposti. Perkins mi ha confermato che al momento della partenza da Washington lo Standing Group non (dico non) aveva ancora risolta la questione data la difficoltà di conciliare i vari punti di vista.

A titolo personale e senza pregiudizio discussione Lisbona e recezione nostra azione colà ha espresso viva perplessità per possibilità accoglimento nostra richiesta che teme si scontrerà in stesse irriducibili opposizioni che Grecia e Turchia hanno manifestato tanto per comandante britannico quanto per quello italiano, nonché in simili loro argomentazioni circa la importanza del loro apporto.

Perkins mi ha lasciato intendere che la nostra richiesta non semplifica il già intricato problema e che in ogni modo la risposta ad essa non può aversi che dopo scambi di idee con tutte le parti interessate a Lisbona.


376 1 Vedi D. 374.

377

IL MINISTERO DEGLI ESTERIALL’AMBASCIATA DELL’UNIONE DELLE REPUBBLICHESOCIALISTE SOVIETICHE A ROMA

Nota verbale1. Roma, 8 febbraio 1952.

Il Ministero degli affari esteri, per incarico e a nome del Governo della Repubblica, ha l’onore di fare all’ambasciata dell’U.R.S.S. in Roma, con preghiera di volerla portare a conoscenza del Governo sovietico, la seguente comunicazione:

«Nella seduta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, svoltasi a Parigi il 6 febbraio u.s., il rappresentante del Governo dell’U.R.S.S. ha posto il veto all’approvazione della risoluzione presentata dalla Francia per raccomandare all’Assemblea generale l’ammissione dell’Italia. E ciò nonostante che tale raccomandazione fosse stata sollecitata dall’Assemblea stessa il 7 dicembre 1951, con una imponente manifestazione (54 voti a favore, 1 astenuto e 5 contrari: U.R.S.S., Bielorussia, Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia), e nonostante che nel Consiglio di sicurezza tutti i membri, ad eccezione dell’U.R.S.S., si siano dichiarati in favore della proposta francese per l’ammissione dell’Italia.

È questa la quinta volta che il rappresentante dell’U.R.S.S. pone in Consiglio di sicurezza il veto contro l’ammissione dell’Italia all’O.N.U.

A prescindere da qualsiasi apprezzamento sull’atteggiamento adottato dal-l’U.R.S.S. nel senso che il Consiglio di sicurezza debba raccomandare simultaneamente l’ammissione all’O.N.U. di tutti gli Stati che ne hanno fatto domanda, il Governo italiano rileva che tale presa di posizione non può giustificarsi nei riguardi dell’Italia, verso la quale col Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, l’U.R.S.S. ha assunto l’impegno di “appoggiare le domande che l’Italia presenterà per divenire membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e per aderire a tutte le convenzioni concluse sotto gli auspici delle Nazioni Unite”.

Il veto sovietico pertanto, non solo offende la dignità della nazione italiana, ma ne lede un riconosciuto diritto e costituisce da parte dell’U.R.S.S. la violazione di un impegno da essa sottoscritto e assunto nei confronti dell’Italia col suddetto trattato.

In conseguenza il Governo italiano eleva la più energica protesta contro tale violazione, e dichiara al tempo stesso che ogni ulteriore applicazione da parte sua degli obblighi che il trattato medesimo ha imposto all’Italia nei confronti dell’U.R.S.S., non potrà che adeguarsi alla situazione determinatasi a causa dell’attitudine del Governo sovietico».

Il Ministero degli affari esteri esprime all’ambasciata dell’U.R.S.S. gli atti della sua più alta considerazione2.


377 1 Consegnata all’ambasciatore sovietico a Roma e trasmessa a Londra, Mosca, Parigi e Washington con il T. 1313/c. dell’8 febbraio.


377 2 Per la risposta vedi D. 392.

378

IL MINISTRO A LA PAZ, NARDI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 150/58. La Paz, 8 febbraio 1952(perv. il 21).

Mi sono recato oggi a fare la visita protocollare al ministro degli esteri col. Tomas Antonio Suarez C. e al sottosegretario Fernando Ortiz Sanz da ambedue i quali sono stato accolto con viva cordialità.

Il col. Suarez, nel corso della conversazione, ha tenuto a confermarmi i sentimenti di amicizia del Governo boliviano per l’Italia e i suoi propositi di sviluppare il più possibile le relazioni tra i due paesi.

In modo particolare egli ha accennato al desiderio del Governo boliviano di incrementare una sana emigrazione e colonizzazione italiana in questo paese. Avendogli comunicato l’imminente arrivo a La Paz della Commissione tecnica dell’I.C.L.E., ho sollecitato da lui, ed egli mi ha promesso, il più largo appoggio affinché la Commissione possa svolgere qui una proficua attività e gettare le basi per un futuro piano di emigrazione e di lavoro italiani in Bolivia.

Su questo argomento riferirò a parte i prossimi giorni, appena completate le più importanti visite protocollari e presi i primi contatti sia con queste autorità che con la nostra stessa Commissione.

Il secondo argomento su cui mi ha intrattenuto il ministro degli esteri è stato quello dell’elevazione ad ambasciate delle rispettive rappresentanze.

Mi ha detto di aver ricevuto poco prima una comunicazione del sig. Crespo, incaricato d’affari boliviano presso la Santa Sede, secondo la quale il nostro Governo gli avrebbe fatto conoscere che la questione sarà risolta al massimo entro due mesi.

Il sig. Baldivieso è stato perciò munito senz’altro di lettere credenziali come ambasciatore e, partito da La Paz pochi giorni or sono, conterebbe di raggiungere Roma soltanto verso la fine di marzo, in modo che il suo arrivo costà coincida con l’effettuato provvedimento.

Il col. Suarez mi ha chiesto cosa mi risultasse sulla questione; gli ho risposto che, alla mia partenza da Roma, il provvedimento era stato effettivamente deciso, pur non potendogli precisare esattamente il tempo che sarebbe occorso per le formalità necessarie a perfezionarlo.

Mi sembra comunque evidente, da quanto precede, che, considerando la cosa come fatta, il sig. Baldivieso non si presenterà costà che al momento in cui potrà essere accolto come ambasciatore.

Sarei grato a codesto Ministero se volesse tenermi al corrente della questione per mia norma di linguaggio.

A particolare cordialità è stata poi improntata la conversazione che ho subito dopo avuto con il sottosegretario (il quale fu, tra il ’46 e il ’48, consigliere e poi incaricato d’affari di Bolivia a Roma), parla perfettamente l’italiano ed ha voluto parlarmi a lungo dell’Italia, con accenti di schietta e vorrei dire affettuosa simpatia.

La conversazione ha toccato, anche con lui, i due argomenti di cui sopra; soprattutto ci siamo intrattenuti sui problemi emigratori, sulla imminente visita della Commissione dell’I.C.L.E., per facilitare il cui compito mi ha detto di mettersi interamente a mia disposizione, e infine sul programma di assistenza tecnica dell’O.N.U. alla Bolivia e in particolare sulla partecipazione di consiglieri italiani, argomento sul quale mi intratterrò al più presto con lui stesso e con il coordinatore del Governo boliviano, sig. Crespo Gutierrez, rientrato in questi giorni dagli Stati Uniti.

379

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 109. Parigi, 11 febbraio 1952(perv. il 15).

Dal telegramma di V.E. n. 1278/c. del 7 corrente1 desumo – cosa che del resto mi aspettavo – che noi ci prepariamo a dar battaglia anche sulla questione del Comando delle forze di terra del fronte sud.

Prima che noi ci impegniamo a fondo, e soprattutto prima che ne rendiamo edotto il nostro pubblico, vorrei pregare V.E. di voler tenere presenti anche alcune mie considerazioni in proposito.

V.E. ricorda, spero, che fin dal principio, ebbi a fare presente, a varie riprese, sia per iscritto che verbalmente, sia al conte Sforza che a V.E., che ci trovavamo di fronte ad un equivoco. Noi ritenevamo, ed abbiamo purtroppo anche largamente pubblicato, che ad un italiano era stato affidato il comando delle truppe di terra di tutto il settore sottoposto al Comando Sud. Da parte americana, invece, si era semplicemente inteso che il generale De Castiglioni fosse il comandante delle truppe di terra del fronte Italia, punto e basta: era solo previsto che sotto il suo Comando sarebbero venute a trovarsi le truppe non italiane dislocate a Trieste e quelle stanziate in Austria in caso di ritirata sul territorio italiano. Personalmente penso che nella mente degli americani ci fosse la riserva, naturalmente non scritta, che anche questo Comando ridotto ci era assegnato solo in tempo di pace: ma non insisto, altrimenti V.E. mi dirà che sono uno scettico inguaribile.

Evidentemente noi teniamo alla nostra interpretazione. Ora dopo parecchi anni, dovremmo essere arrivati alla conclusione che, quando noi diamo ad una assicurazione o ad un impegno americano una interpretazione differente da quella che ne danno gli americani, gli americani si mantengono ostinatamente sulla loro interpretazione. Ci abbiamo già sbattuto la testa in vari casi, dalla cobelligeranza all’impegno di farci entrare nell’O.N.U. Noi dunque rischiamo ancora una volta di impegnarci in una battaglia perduta in partenza o quasi.

Ci conviene di farlo? Ne dubito, e per varie ragioni.

Noi abbiamo una battaglia seria e dura da combattere in seno al N.A.T.O. Dobbiamo ottenere che gli americani mandino giù il nostro rifiuto – siamo stati gli unici a farlo totalmente – di aumentare il nostro sforzo militare secondo le raccomandazioni del T.C.C. Dobbiamo ottenere che l’assegnazione di end items alle nostre forze, abbia una priorità maggiore di quanto S.H.A.P.E. è purtroppo disposto ad accordarci. Dobbiamo lottare per le commesse, per gli aiuti economici e per le infrastrutture: e non cito che gli argomenti principali. Mi pare ce ne sia abbastanza per le nostre forze, per le nostre possibilità di azione che non sono grandi: e dobbiamo affrontare questa lotta con la pregiudiziale, a noi assai sfavorevole, di essere, in seno al N.A.T.O., il solo paese la cui situazione politica è considerata la più precaria, e con prospettive tutt’altro che rosee, sui risultati possibili delle prossime elezioni.

La questione del comandante e del vice comandante delle truppe di terra del Settore Sud è, lo si consideri come si vuole, una questione di puro prestigio.

Il Governo italiano ha messo dei limiti piuttosto ristretti a quello che esso può fare in materia di armamenti: vorrei non essere frainteso: non sono qui per dire che noi potremmo o dovremmo fare di più: voglio soltanto dire che ci sono dei momenti in cui bisogna scegliere. Il ministro del tesoro, e gli altri ministri competenti dicono che noi non possiamo fare più di tanto, ossia parecchio meno di quello che, a torto od a ragione, gli americani ritengono noi potremmo fare. In altre parole, essi dicono: signori americani, noi siamo un paese piccolo, povero, più di tanto non possiamo assolutamente fare senza sconvolgere tutto: e anche questo poco noi lo potremo fare soltanto se voi fate un certo numero di cose. Il ministro degli esteri e quello della difesa, più o meno sostengono invece la tesi che noi dobbiamo fare una politica di prestigio in seno al Patto atlantico. Le due tesi sono in contraddizione. Si tratta di decidere. O si riconosce che ha ragione il ministro del tesoro, ed allora bisogna che Esteri e Difesa si rassegnino a rinunciare alla politica di prestigio. O si riconosce che hanno ragione i ministri degli esteri e della difesa, ed allora il ministro del tesoro bisognerà che si rassegni a tirare fuori maggior quantità di soldi.

Si può fare l’una o l’altra delle due politiche: non è possibile farle tutte e due: soprattutto pericoloso è il volere insistere nella politica di prestigio – che è poi la ricerca di successi da monetizzare di fronte al Parlamento ed all’opinione pubblica – perché si rischia di arrivare al risultato opposto, proprio sul fronte interno.

Mi si potrebbe obiettare che la Francia, in condizioni analoghe alle nostre, fa anche lei una quantità enorme di capricci: è vero, per lo meno in certi limiti: ma il semplice fatto che la Francia voglia fare, in molti casi, una politica poco conseguente e poco seria, non mi sembra una giustificazione sufficiente, perché facciamo la stessa cosa anche noi.

Non ci dimentichiamo, poi, e mi permetto di ripeterlo ancora una volta, che i rapporti America-Europa stanno attraversando una fase molto critica: che l’atteggiamento e gli umori del Congresso sono tutt’altro che favorevoli: che una crisi può scoppiare da un momento all’altro: che il giorno in cui la crisi scoppi, noi dovremo preoccuparci di salvare quello che si può della nostra posizione. Ora la posizione di una Italia che non può spendere più di tanto, può, forse, entro certi limiti, essere difesa anche di fronte al Congresso americano perché risponde alla realtà: l’Italia che aspira a Comandi e cose del genere, molto di meno.

Questo, per quello che riguarda la posizione Italia-America in seno al N.A.T.O. Ma ci sono, secondo me, altre considerazioni, pure politiche.

Noi ci siamo dati molto da fare, possiamo anzi dire che siamo stati i soli, con gli americani, a darci da fare, perché la Turchia e la Grecia entrassero a far parte del N.A.T.O.: con ragione, sotto tutti i punti di vista, anche se questo ha fatto scoppiare l’illusione del Comando Sud. Ma nel farlo, abbiamo anche inteso, credo, essere coerenti ad una certa nostra linea di politica verso quei due paesi ed acquistarvi una certa riconoscenza, in quanto la riconoscenza sia un sentimento che esiste nei rapporti internazionali.

Perché vogliamo guastare questi rapporti e perdere quel poco di riconoscenza che può esistere?

Non mi risulta che ci siano state delle intese dirette con questi due paesi su questo specifico argomento: per quanto conosco sia i greci che i turchi, mi sembra strano che, questi ultimi specialmente, accettino un generale italiano messo in una situazione di superiorità e di comando di fronte ai loro generali. Nei riguardi dei greci ci sono, credo, oltre le suscettibilità nazionali, dei ricordi dolorosi di un passato non troppo lontano: per quello che riguarda i turchi, abbiamo a che fare con la loro megalomania. Noi diciamo che abbiamo diritto a questo Comando per il nostro sforzo militare: i turchi sosterranno la tesi che il loro sforzo ed il loro apporto è assai superiore al nostro. Non voglio discutere la questione: si vorrà però ammettere che essa è per lo meno opinabile. Sarà magari a torto, ma i turchi hanno una posizione ed un prestigio molto forti: hanno, su di noi, verso gli americani, l’immenso vantaggio di non presentare problemi di politica interna (noi ci ostiniamo a non renderci conto di quanto l’opinione generalmente diffusa, vera o falsa od esagerata che sia, sulla instabilità politica interna italiana, sul pericolo comunista in Italia, paralizzi ogni nostra possibilità reale di fare della politica estera): ed hanno mostrato di saper essere duri. Sono riusciti a vincerla sugli inglesi, e non escludo che continuino a vincerla contro gli inglesi anche per altre questioni. Mi si dirà, se i turchi sono duri, perché non esserlo anche noi? La differenza è che i turchi tengono duro su questioni di fondo, in cui essi hanno ragione, a norma di logica e di senso comune, mentre gli inglesi si basano, per le loro tesi, su delle ragioni più che altro di prestigio.

Per cui, prima di andare avanti, mi sembrerebbe necessario sentire cosa ne pensano i turchi: se i turchi accettano il vice-comandante italiano, sia pure con la riserva che le sue funzioni siano soltanto di facciata, e se lo accettano anche i greci allora procediamo tutti insieme; in questo caso sarà, più che altro, una battaglia contro la Francia la quale certamente aspira (anche se non me ne è stato parlato) a che il vice-comandante sia francese: cogli inglesi potremmo forse metterci d’accordo, se questo ci conviene, accettando e sostenendo il Comando supremo navale mediterraneo agli inglesi. Ma, se i turchi non sono d’accordo, saremo battuti e ci prenderemo in più sulla stampa turca una scarica di insulti come se l’è presa l’Inghilterra, e rovineremo tutto quello che è stato fatto per avere con quel paese delle relazioni migliori.

Il concetto di grande e di piccolo è sempre relativo: ma sarebbe, secondo me, un grave errore, da parte nostra, volersi vendicare dei rospi che dobbiamo mandare giù di fronte ai Grandi per definizione, trattando con sussiego, per non dire peggio, quei paesi di fronte a cui noi siamo, o possiamo credere di essere dei grandi: come abbiamo una certa naturale tendenza a fare.

Ormai la battaglia l’abbiamo ingaggiata e non sarebbe possibile ritirarci subito: mi permetterei solo di consigliare di non prenderla troppo sul serio, di non appassionarcisi e soprattutto di non darla in pasto all’opinione pubblica italiana. La posizione da noi presa, potrebbe avere solo, forse, un qualche modesto valore di negoziato, o di moneta di scambio. Bisognerebbe in questo caso, fin da adesso, però, avere presente per che cosa siamo disposti a scambiarla.

Non ho ancora ben capito quale sia la nostra posizione di fronte al Comando del Medio Oriente, ed alla ben nota proposta di collettivizzare la difesa del Canale di Suez: logicamente dovrei ritenere che ci interessa e che ci risentiamo di esserne stati lasciati fuori. Se è così, mi sembra che la perdita di faccia che, in un certo senso, costituisce per noi la riduzione (ai suoi termini iniziali) del Comando delle forze terrestri del fronte sud, la nostra rinuncia a dare dei dispiaceri ai turchi o ad altri, potrebbe essere un passabile elemento di negoziato per riuscire ad inserirci in una combinazione politico-militare da cui siamo stati esclusi. È vero che questa nostra inclusione porterebbe altre conseguenze – non parlo qui della nostra politica araba – ma di questo ne potremo parlare in altra occasione.

In altre parole: se noi vogliamo sul serio dare battaglia per il Comando Sud, temo che andiamo incontro ad uno spiacevole insuccesso: se la consideriamo invece come moneta di scambio di cui servirsi discretamente, forse a qualche modesto risultato si potrebbe anche arrivare: comunque, bisognerebbe che fin dal principio non ci fossero su questo punto equivoci, almeno fra di noi.


379 1 Vedi D. 374.

380

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 1749/169-170. Parigi, 12 febbraio 1952, ore 9,45(perv. ore 10,15).

Schuman mi ha chiamato per dirmi che da parte inglese si sta svolgendo pressione molto forte su tutti i Governi interessati, perché sede Consiglio atlantico a livello rappresentanti permanenti venga mantenuta a Londra.

Mentre Governo francese riteneva che inglesi avrebbero finito per cedere accettando posto segretario generale per cui essi avevano fatto qui alcune proposte nominative che si ritenevano convenienti, inglesi stanno adesso offrendo a vari paesi (scandinavi e Benelux) posto segretario generale o posto vice segretario in cambio accettazione sede Londra.

Governo francese, pur avendo simpatia per sede Parigi, si era fin qui mantenuto piuttosto al di fuori questione: attualmente ritiene invece di dover prendere nettamente posizione per Parigi.

Mi ha preannunciato invio nota ufficiale sull’argomento dicendomi che a considerazioni svolte in nota stessa voleva aggiungerne altre per nostro uso riservato:

1) Governo francese continua essere assai preoccupato tendenza Churchill impostare politica N.A.T.O. come principalmente dialogo «a due» anglo-americano: avere sede N.A.T.O. Parigi potrebbe permettere opporsi più facilmente questa tendenza che Schuman ritiene sia contraria interesse tutta Europa continentale;

2) Governo francese è molto preoccupato atteggiamento Draper estremamente favorevole Germania: ritiene che sua presenza materiale Parigi permetterebbe influenzarlo maggiormente in senso più equanime;

3) inglesi stanno intensificando campagna contro costo organismo O.E.C.E. (dico O.E.C.E.), campagna la quale mira in ultima analisi sua soppressione. Governo francese, che è d’avviso che O.E.C.E. dovrebbe invece continuare sussistere, ritiene che presenza contemporanea Parigi O.E.C.E. e N.A.T.O. permetterebbero risolvere questione costo con una serie «unioni personali» a tutti livelli.

Da parte americana si continua mantenere permanente punto di vista che sede N.A.T.O. dovrebbe essere Parigi e si sta iniziando campagna pressione verso singoli Governi interessati per controbattere azione inglese.

Schuman riteneva, da quanto gli avevo detto precedentemente e da quanto gli aveva detto personalmente V.E. che anche noi eravamo in principio favorevoli Parigi: senonché recenti comunicazioni da parte rappresentante francese Comitato supplenti gli avevano dato impressione che ci fosse evoluzione nostro atteggiamento e che noi fossimo adesso favorevoli Londra: aveva impressione che anche a noi fosse stato offerto posto segretario generale.

Gli ho osservato che non si trattava comunque cambiamento nostra posizione: trattandosi conflitto più che altro anglo-americano noi ritenevamo preferibile, entro certi limiti, che i due liquidassero fra di loro faccenda.

Schuman mi ha pregato comunicare quanto precede V.E. con viva preghiera personale volere appoggiare punto di vista francese: mi ha pregato aggiungere che il potere confidenzialmente comunicare ambienti parlamentari nostra adesione sede Parigi, potrebbe in qualche misura facilitargli difficile dibattito di fronte Parlamento francese per esercito europeo, dato che posizione atteggiamento Italia, anche se in sordina, sia fra cause esitazioni Parlamento francese.

Fatto, anche a Schuman, comunicazione di cui suo telegramma 1298/c.1. Schuman mi ha detto che, per quello che lo concerneva, comprendeva nostre (ripeto nostre) esigenze anche prestigio. Aveva però impressione, anche da recenti comunicazioni sue ambasciate Ankara ed Atene, che da parte turca e greca (specialmente da quest’ultima) ci fossero fortissime opposizioni di principio a sottoposizione, sotto qualsiasi forma, loro forze a generale italiano.

Da mia parte ho vivamente insistito osservando che mi sembrava strano che si dovessero tener conto considerazioni prestigio da parte di tutti e non di quelle italiane. Accennando a questioni analoghe sollevate da parte francese, gli ho detto che egli, meglio di ogni altro, doveva essere in grado comprendere difficoltà situazione italiana.

Gli ho aggiunto, a titolo confidenziale, che, come gli era noto, Stato Maggiore italiano era appena rassegnato idea esercito europeo e che dare a quegli ambienti ulteriore ragione risentimento, non facilitava compito V.E.

Schuman mi ha assicurato che comprendeva benissimo nostra posizione e nostre difficoltà e che, per quello che lo concerneva, avrebbe fatto tutto possibile per cercare darci soddisfazione nella forma che sarebbe risultata possibile.

Ripeto a questo proposito riserve di cui al mio telegramma 1642.


380 1 Dell’8 febbraio, diretto alle ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Parigi e relativo alle sedi degli organi della C.E.D. Con tale telegramma De Gasperi proponeva Torino come sede dell’Assemblea, Parigi per il Commissariato e il Consiglio dei ministri e L’Aja per la Corte di giustizia.


380 2 Del 9 febbraio, con il quale Quaroni riferendo sulla questione del Comando Sud aveva espresso la seguente riserva: «… in questa questione consiglierei non contare su appoggio francese. Essi hanno forti interessi loro da difendere in questioni Comando Sud e non (ripeto non) ritengo saranno disposti far uso loro già limitata influenza in favore nostra tesi: questo, qualora, come è probabile – e come sembrerebbe indicare nomina generale Bertrand presso ammiraglio Carney – francesi addirittura non aspirino essi stessi a posto vice comandante».

381

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 1845/26. Bonn, 13 febbraio 1952, ore 22,50(perv. ore 7,30 del 14).

Sottosegretario Hallstein mi ha convocato stasera per parlarmi di due questioni delle quali la prima, concernente la garanzia di assistenza reciproca dei paesi facenti parte della comunità europea di difesa, è considerata da lui molto urgente in quanto prevede che essa sarà discussa domani a Parigi.

Egli mi ha detto che delegazione italiana avrebbe ora riportato in discussione la formula sulla garanzia e assistenza reciproca in caso di aggressione fra i vari Stati membri discostandosi da quella già concordata nelle precedenti riunioni a livello ministri degli esteri.

Hallstein ritiene che la precedente formula più ampia proposta dai tedeschi e anche da noi accettata corrisponda maggiormente agli interessi degli Stati più esposti quali Germania e Italia. È probabile, mi ha detto, che si tratti degli stessi scrupoli di natura costituzionale, già affiorati in precedenti discussioni. Ha insistito sul fatto che formulazione adottata non impegnava Stati partecipanti oltre limite consentito dalle rispettive costituzioni. Hallstein ritiene anzi che era stato un successo l’aver ottenuto approvazione Stati meno interessati di noi.

Qualora V.E. ritenesse riesaminare nostra posizione questo sottosegretario Stato sarebbe grato venisse tenuto presente che nuove conversazioni avranno luogo domani1.

La seconda questione alla quale Hallstein mi ha accennato concerne la Sarre. Egli mi ha detto che il problema verrà di nuovo alla ribalta al Consiglio Europa in relazione a due convenzioni applicabili anche quel territorio. Governo federale si oppone a che sia pure per delega francese il Governo della Sarre finisca con apporre direttamente la propria firma come è successo, mi ha aggiunto, per il caso dell’accordo concluso con l’Italia. Governo federale ha già fatto conoscere questo proprio punto di vista al segretario generale Consiglio Europa con lettera inviatagli da Hallstein nella quale viene anche proposta una formula tecnica che evita la firma diretta del Governo Sarre e che ritengo sia già a conoscenza di V.E. in quanto su richiesta Governo federale il segretario generale ne avrebbe già dato comunicazione agli Stati membri.


381 1 De Gasperi fornì gli elementi di risposta su questo punto il 15 febbraio con telegramma (vedi D. 387) diretto anche alla delegazione alla Conferenza C.E.D.

382

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto segreto. Roma, 13 febbraio 1952.

Sono venuti, l’uno dopo l’altro, l’ambasciatore di Francia e l’ambasciatore di Gran Bretagna a chiederci di sostenere le rispettive proposte perché il Consiglio permanente del N.A.T.O. (e cioè la nuova edizione del Consiglio dei sostituti) sia stabilito a Parigi (secondo la richiesta francese) a Londra (secondo le insistenze inglesi).

A Fouques-Duparc ho detto che preferiremmo che questa questione venisse risolta tra i Grandi. Non vediamo l’utilità di risolverla a colpi di maggioranza suscitando recriminazioni e polemiche. Tanto più che le nostre relazioni con la Gran Bretagna sono – almeno così ci sembra – in via di miglioramento e non è nostro interesse comprometterle assumendo un atteggiamento anti inglese in una questione che – tutto sommato – è per noi di mediocre importanza. Quanto al merito della questione stessa ho detto che riconosciamo che dal punto di vista pratico (soprattutto avendo presente il fatto che a Parigi risiedono gli organismi internazionali economici) vi sarebbe convenienza a concentrare tutto a Parigi; che d’altra parte però sembrava si dovesse tener conto anche di altri elementi di giudizio: non si tratta infatti di stabilire per la prima volta la sede del N.A.T.O., ma di portarla via da Londra. Ciò rischiava di offender l’amor proprio inglese. Questa questione di prestigio per la Francia non si pone dato che in Francia risiedono già l’O.E.C.E., S.H.A.P.E, il Consiglio d’Europa e vi risiederà anche il Commissariato della C.E.D. In conclusione gli ho detto che non eravamo contrari a Parigi: dovevamo soltanto essere cauti. Fouques-Duparc mi ha spiegato che la Francia, trattandosi di Parigi, e non avendo un proprio interesse diretto in gioco, si era astenuta dal prendere posizione, ma che poi si era dichiarata per Parigi dopo la presa di posizione americana. Eden aveva detto nella sua recente visita a Parigi che la Gran Bretagna si sarebbe opposta. Perciò egli comprendeva la delicatezza della nostra posizione.

A Mallet ho detto quanto già avevo avuto occasione di dire a Londra e cioè che ci rendevamo conto delle obbiezioni inglesi e delle loro argomentazioni, che non avremmo certamente svolto attività alcuna a favore di un trasferimento del N.A.T.O. a Parigi, ma che la nostra situazione appariva delicata dati i nostri rapporti con la Francia e con l’America: se il Governo inglese riusciva a persuadere la maggioranza dei Governi N.A.T.O., in favore di Londra, non saremmo stati noi ad opporci.

383

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto segreto. Roma, 13 febbraio 1952.

La situazione che si viene delineando nell’Europa continentale in seguito all’atteggiamento del Parlamento francese in relazione alla questione dell’esercito europeo, alla questione della Saar e a quella della partecipazione della Germania alla N.A.T.O., consiglia ai responsabili della politica estera italiana di considerare anche l’eventualità, pur deprecabile, che il processo di unificazione europea, che già sta regredendo nel campo della organizzazione economica patrocinata dall’O.E.C.E. (dalla unione doganale italo-francese alla revoca dei provvedimenti di liberalizzazione degli scambi), abbia ad arenarsi anche sul piano della comunità di difesa ed entri in una fase di stasi. È una eventualità che, per quanto deprecabile, deve essere tenuta presente anche per poter tempestivamente creare le premesse a sviluppi della nostra politica estera tali da assicurare al nostro paese il massimo possibile di sicurezza militare ed economica.

Il mancato riarmo della Germania, sotto qualsiasi forma, costituirebbe per noi un evento denso di incognite pericolose: il settore italiano essendo infatti il più esposto, si troverebbe privo, al nord, di quell’appoggio che abbiamo costantemente mirato ad ottenere e che può essere costituito soltanto da una solida organizzazione difensiva della Germania occidentale.

In più, lo scoraggiamento che ne deriverebbe nella opinione pubblica e nei circoli responsabili americani, potrebbe far risorgere, di fronte al permanere di una situazione fluida in Europa, la tendenza a concentrare la difesa effettiva e organizzata del continente ai due capisaldi strategicamente e politicamente più sicuri: isole britanniche e penisola iberica.

In tale ipotesi tutti i nostri sforzi dovrebbero essere tesi a valorizzare la posizione strategica dell’Italia nel centro del Mediterraneo per indurre gli americani a considerare la difesa della nostra penisola come fondamentale per la difesa del Mediterraneo, indipendentemente da quello che potrebbe accadere sull’Elba o sul Reno, e quindi a darle una posizione preminente rispetto a quella iberica.

Per ottenere tale – non facile – risultato occorrerebbe però non essere soli a premere in questo senso sugli americani: e i più seri ed efficaci alleati che potremmo cercare di ottenere in questo intento sarebbero gli inglesi cointeressati alla difesa del Mediterraneo, non soltanto occidentale, ma anche centrale e orientale.

Un tale orientamento potrebbe anche svilupparsi nel campo della collaborazione commerciale ed emigratoria e ci unirebbe politicamente ed economicamente alle due aree della sterlina e del dollaro. Le innegabili simpatie di cui godiamo nel nord America e i nostri rapporti col mondo musulmano e con quello latino-americano potrebbero facilitarlo.

Come orientamento da tenere in riserva, esso merita, mi sembra, di essere preso in considerazione; esso necessita anche che sia curato l’incipiente miglioramento delle nostre relazioni con l’Inghilterra nei rapporti con la quale dovrebbe essere intanto continuata l’opera di chiarificazione intrapresa con l’avvento di Eden.

384

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,E AL MINISTRO DEL BILANCIO, PELLA

R. 788. Parigi, 13 febbraio 19521.

Alla vigilia della sua partenza per Lisbona, dove ella incontrerà i principali ministri dei Governi cui siamo associati in campo politico, militare ed economico, mi appare opportuno di farle brevemente il punto della situazione in seno all’O.E.C.E. e dei lavori che in tale organismo si sono svolti in questi ultimi tempi.

Gli obiettivi principali di quest’ultimo periodo sono, come ella sa, l’esame dell’azione possibile per realizzare il programma di espansione della produzione in Europa del 25% nei prossimi cinque anni ed il proseguimento dell’azione per l’istituzione progressiva di un mercato unico in Europa.

Sul primo obiettivo il piccolo gruppo di membri del Consiglio, di cui faccio parte, incaricato di mettere in evidenza i problemi principali e d’indicare l’azione necessaria, ha quasi completato i suoi lavori, ma con notevoli difficoltà e divergenze sulle linee da proporre. E ciò perché, mentre da un lato i paesi continentali considerano indispensabile porre l’accento sulla confrontazione dei programmi nazionali in sede O.E.C.E., per lo meno per i principali settori produttivi menzionati nella dichiarazione del 29 agosto (carbone, elettricità, agricoltura, ferro e acciaio, edilizia e mano d’opera), da parte britannica non si vuole andare al di là di generiche raccomandazioni che lascino interamente liberi i paesi di procedere nel modo che più si confaccia ai loro interessi singolarmente considerati.

Sul secondo degli obiettivi, prosecuzione degli sforzi per la realizzazione graduale di un mercato unico in Europa, i lavori iniziatisi la settimana scorsa nel seno del Comitato scambi al livello alti funzionari non sono scoraggianti. In questo campo è certo vero che l’evoluzione della situazione in Francia, come in Inghilterra alcuni mesi addietro, ha creato contraccolpi paurosi, ma d’altro canto è vivo e reale il senso della interdipendenza economica dei paesi partecipanti e quindi della necessità di superare di comune intesa le difficoltà contingenti: senza essere eccessivamente ottimista, ritengo che un’azione comune in questo campo potrà essere mantenuta, forse anche rafforzata, con i necessari aggiustamenti di metodo. Nel settore scambi e pagamenti la partecipazione inglese è costruttiva e contribuirà a far superare questo momento piuttosto delicato.

Naturalmente in tutta questa materia l’atteggiamento dei principali paesi, Inghilterra, Francia, Germania e Italia, è determinante: mentre infatti i piccoli paesi si dimostrano sempre più ansiosi di rendere consistente e di allargare la cooperazione (e le segnalo a questo riguardo l’interessante evoluzione non solo dell’Olanda nel Benelux, ma anche degli scandinavi, Danimarca e Norvegia in particolare), ci troviamo di fronte ad una situazione complessa per quanto riguarda i grandi paesi. Non mi indugio su di noi che abbiamo dato sempre una forte impulsione in questa direzione, che è da tutti apprezzata, e ricordo invece che la Francia è a mal partito e mentre rimane intellettualmente fedele ad una vigorosa politica di integrazione in Europa, si trova a dover prendere misure in contrasto con le sue tesi. D’altro canto la Germania è sì attiva nell’enunciare posizioni di associazione a qualunque formula di integrazione, come noi, ma è poi invece estremamente cauta nell’aprire il suo mercato. Ma queste difficoltà e reticenze nel campo continentale potranno trovare una soluzione se da parte britannica vi sarà un minimo ragionevole di associazione nel cercare di risolverle.

È questo il punto più delicato della situazione, a mio avviso, per il prossimo futuro e che merita di essere toccato, se possibile, a Lisbona. L’interesse britannico per la cooperazione in Europa è ancora abbastanza vivo, come ho sopra accennato, nel settore scambi e pagamenti. E ciò sopratutto perché la Tesoreria britannica apprezza, nell’attuale congiuntura, il meccanismo multilaterale dei pagamenti dell’E.P.U., che rappresenta un cuscinetto nelle attuali difficoltà britanniche: in una certa misura si ammette che la liberazione degli scambi ne è un corollario e vi è già in questo una certa inversione di concetti, in quanto non sono gli scambi che sono ritenuti di fondamentale importanza, ma piuttosto i pagamenti, mentre il ragionamento dovrebbe essere impostato in senso opposto. E qui si ferma la sensibilità britannica sul problema di una progressiva integrazione europea. Essi britannici riconoscono intellettualmente che i problemi della stabilità finanziaria sono fondamentali per un sano funzionamento del meccanismo di pagamenti e di scambi, ma sono molto cauti nell’ammettere la logica, che ne deriva, di una necessaria armonizzazione delle politiche economiche dei paesi partecipanti e perciò di un meccanismo atto a perseguirla. Che tutto ciò poi debba anche logicamente condurre all’analisi in comune dei problemi che uno sforzo vigoroso di espansione della produzione in Europa indubbiamente pone, non trova più eco negli ambienti della Tesoreria britannica e ancora meno, mi sembra, in altri ambienti del Governo britannico. Che una tale azione sia apparsa necessaria e sia stata effettuata in seno all’O.E.C.E. finché l’aiuto americano in dollari lo ha imposto come mezzo a fine per ottenere un’equa distribuzione dell’aiuto, e che lo si contesti oggi che la distribuzione del medesimo ha preso altre vie, sembra poco logico. Queste insensibilità e reticenze sono dannose e pericolose, sia sul piano della cooperazione economica, sia su quello di un più efficace ed armonioso contemperamento ora delle necessità di difesa con quelle di sviluppo economico che le condizionano. Ed è, a mio avviso, di somma importanza battere questo chiodo sopratutto con gli amici inglesi che in questi ultimi tempi attraverso una pretesa necessità di economie amministrative, tendono a restringere i compiti dell’O.E.C.E. a limiti che rischierebbero di rendere impossibile e sterile anche lo stesso sforzo per il mantenimento della liberazione e dell’Unione dei pagamenti.

Purtroppo debbo segnalare che le istruzioni qui giunte alla delegazione britannica sono ancora così restrittive che, se non fossero modificate, l’edificio dell’O.E.C.E. ne sarebbe realmente compromesso. Che sia necessario fare delle economie anche in O.E.C.E. e concentrare l’azione che oggi è allargata anche ad attività indubbiamente utili ma non di fondamentale importanza, tutti ne sono convinti ed infatti un apposito Comitato lavora per mettere dell’ordine in tutto ciò. Ma occorre che si sia bene persuasi che lo sfrondamento non debba essere diretto a tagliare rami vitali e indispensabili.

Questi problemi vengono talvolta resi più complessi da più o meno sincere tendenze semplificatrici, ad esempio quella sovente avanzata da parte britannica, secondo cui molte cose che non si ottengono in sede O.E.C.E. potrebbero essere esaminate e risolte in sede N.A.T.O.: ho più volte espresso a V.E. le mie considerazioni su questo punto e continuo a ritenere che queste tendenze coprono piuttosto l’intenzione di sostituire degli impegni economici concreti esistenti fra paesi europei O.E.C.E. con formule di solidarietà in un quadro politico e militare N.A.T.O. che in realtà contiene per ora soltanto delle vaghe enunciazioni di solidarietà economica. È vero per contro che nell’ambito della solidarietà politico-militare del N.A.T.O. dovrà essere più agevole, tenuto conto della progressiva convergenza degli interessi del mondo atlantico, di prendere delle decisioni e di operare più attivamente fra europei nel quadro stesso degli impegni economici della Convenzione di Parigi del 16 aprile 1948, per ottenere risultati concreti nel rafforzamento della struttura economica integrata dell’Europa.

Aggiungerò, per miglior valutazione di V.E., che in questo ordine di idee mi sembrano essere, e non da oggi, gli stessi americani che desiderano, con la concentrazione degli organismi internazionali a Parigi, poter meglio mettere a disposizione degli scopi del N.A.T.O. un’O.E.C.E. efficiente, e gli stessi francesi, che pur trovandosi nelle loro ben note difficoltà, desiderano che non si retroceda nel campo economico, per poter rendere possibile in un prossimo futuro sviluppi più ampi e interconnessi nel campo continentale, pure mantenendo una proficua forma di associazione con il Commonwealth.


384 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

385

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 334/122. Amman, 13 febbraio 1952(perv. il 17).

Il re mi ha ricevuto stamane in udienza, e, fin dall’inizio della nostra conversazione, ha dato al colloquio un carattere di particolare cordialità come non mai.

Mi ha detto che è stato ricevuto da S.E. il presidente della Repubblica e da V.E. con estrema cortesia ed amabilità, ha ripetuto i ringraziamenti già fattimi al suo arrivo, ed ha sottolineato che conserva del soggiorno romano il migliore dei ricordi. «Anzi, ha esclamato, già penso di ritornare di nuovo in Italia, e restarvi a lungo per conoscere meglio il vostro paese».

Il discorso è poi caduto sulla visita al Santo Padre.

Talal, con grande semplicità, ha detto che è rimasto «molto impressionato» della grande nobiltà e della estrema spiritualità che emana dal Pontefice. «In sua presenza, si sente che Dio esiste» ha rilevato.

Mi ha poi descritto con ammirazione il modo solenne come è stato ricevuto, i doni che il Papa gli ha fatto (la fotografia ed una medaglia d’oro), e a tal riguardo ha aggiunto: «Il Pontefice è stato poi così buono con noi che ha voluto anche fare un regalo a Hussein (il figlio) che era insieme a me, ed infine, ciò che mi ha commosso, è che il Papa ha persino pregato per me e la mia famiglia».

Il re ha poi concluso il colloquio dicendo che parlerà col primo ministro per sollecitare la definizione del trattato di amicizia con noi (qui, qualsiasi cosa va a rilento: non per nulla, eccellenza, siamo nel cuore dell’Oriente) volendo che la firma di tale atto coincida col suo ritorno dall’Italia e sottolinei così i cordiali rapporti d’amicizia esistenti fra i due paesi.

386

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 1869/48. Londra, 14 febbraio 1952, ore 14,29(perv. ore 18).

Telegramma circolare ministeriale 12781.

Sono intervenuto a due riprese presso Foreign Office nel senso richiesto da V.E.

Dixon mi ha detto ieri che Foreign Office non era al corrente dettagli decisioni raggiunte questi giorni riunioni militari Lisbona. Mentre risultavagli risoluzione includere forze greche e turche in settore Sud Europa e tendenza creare conseguentemente due nuovi Comandi terrestri, nulla egli sapeva circa istituzione di un vice comandante in capo intero settore. Ciò dipenderebbe anche dal fatto che Carney mantenga o meno comando sesta flotta.

In ogni modo Dixon ha preso nota nostri desideri tenendo a manifestarmi riconoscimento peso nostro apporto militare e motivi di carattere politico che ispirano nostre richieste. Egli mi ha lasciato peraltro comprendere che da parte inglese necessità istituzione vice comandante in capo non è particolarmente sentita in questa fase in cui tutti sforzi britannici concentrati su attribuzione Comando navale Mediterraneo; e decisioni dipendono soprattutto da Eisenhower.


386 1 Vedi D. 374.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A BONN, BABUSCIO RIZZO, E A PARIGI, QUARONI

T. segreto 1562/18 (Bad Godesberg) 161 (Parigi). Roma, 15 febbraio 1952, ore 23,40.

(Per Parigi) Per delegazione italiana Conferenza C.E.D. Si trascrive per opportuna conoscenza telegramma in data 13 corrente da Bonn:

[…]1.

Per opportuna conoscenza e norma di linguaggio informo che ho telegrafato a Bonn quanto segue:

(Solo per Bonn) Suo 26.

(Per tutti) Sembra opportuno riassumere nostra posizione in materia relazioni C.E.D.-N.A.T.O., per evitare malintesi che sembrano sorgere costì.

1) Anche noi abbiamo accolto progetto garanzia reciproca fra paesi C.E.D. (art. A documento lavoro del comitato giuridico Conferenza C.E.D. in data 25 gennaio) poi approvato in via di massima da Conferenza ministri 27 gennaio pomeriggio.

2) Non concordiamo interamente invece con art. B, riguardante impegni paesi C.E.D. a favore paesi atlantici non membri C.E.D., in quanto non lo riteniamo chiaro nella parte che stabilisce reciprocità da parte paesi atlantici. Ci sembra infatti necessario richiamo anche ad art. 5 Patto atlantico in maniera da rendere impegno reciproco esattamente identico, altrimenti paesi C.E.D. correrebbero rischio di dare ai paesi N.A.T.O. non membri C.E.D. una garanzia più stretta ed automatica di quella che paesi N.A.T.O. predetti darebbero ai paesi C.E.D. Per uguali motivi ci siamo opposti all’accettazione inciso «au sens de l’art. A ci dessus» contenuto nell’art. B della proposta dei giuristi N.A.T.O. Ci sembra che la nostra posizione su questo punto corrisponda d’altronde a quella tedesca delineata nella sezione I lettera a) del documento presentato il 12 corrente dai tedeschi alla Conferenza C.E.D., ove si parla appunto di «genau reziproken Bestimmung».

3) Circa la proposta tedesca (nello stesso documento del 12 corrente sezione III, lettera a) l’idea ci sembra in linea di massima suscettibile di accoglimento in sede atlantica. Per poterla discutere a Lisbona con cognizione di causa occorrerebbe conoscere proposte dettagliate dei tedeschi con particolare riguardo alla delimitazione dei casi in cui i Consigli C.E.D. e atlantico dovrebbero riunirsi assieme nonché alle conseguenze di eventuali divergenze di opinione in tali riunioni comuni.

4) Circa collegamento e coordinamento fra organi N.A.T.O. e organi C.E.D. (sezione III, lettera b) del predetto documento tedesco), che riguarderebbero singole materie e avverrebbero a livello tecnici, ci sembra che il principio sia in linea di massima pacifico. Sua attuazione potrebbe più utilmente far oggetto di singoli accordi pratici fra Commissariato e organi N.A.T.O. durante il funzionamento della Comunità, man mano che i problemi si presenteranno.


387 1 Seguiva il testo dei primi quattro capoversi della comunicazione citata, qui pubblicata al D. 381.

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. segreta 45/46. Roma, 18 febbraio 1952.

Mi riferisco al rapporto di V.E. n. 1451 del 1° febbraio corrente1.

Prendo atto della promessa fatta dal Dipartimento di Stato a codesta ambasciata di procedere a un nuovo esame della questione della revisione delle clausole economiche del trattato di pace, in base al criterio della abolizione, anche in questo campo, delle «discriminazioni», corollario, come ella ha rilevato, dell’avvenuta abolizione delle «discriminazioni» politiche e militari.

Peraltro, di fronte alle resistenze, che ella prevede, di far tirare le conseguenze che logicamente deriveranno dal principio dell’abolizione delle «discriminazioni» – alludo particolarmente alle cosidette Commissioni di conciliazione – reputo ormai necessario che V.E. porti personalmente la questione sul piano politico e ciò prima che si abbiano a cristallizzare le reazioni negative manifestate, secondo quanto afferma anche l’Ufficio tecnico di questa ambasciata degli Stati Uniti, dal sig. Tesoro al consigliere Ortona.

Infatti noi consideriamo la questione della revisione dell’art. 83 questione nettamente politica, poiché esso lede la giurisdizione italiana. E la prova che la nostra insistenza ci sia dettata da motivi politici sta nel fatto che noi siamo disposti ad impegnarci a soddisfare gli interessi dei privati di cui all’art. 78 – ripeto – o mediante apposite norme interne italiane o, più radicalmente, mediante una soluzione forfetaria, alla quale sono addivenuti altri paesi, che pur avevano da garantire gli stessi interessi di propri cittadini. Le suggerisco di mettere l’accento sulla soluzione forfetaria, poiché da ottima fonte ce n’è stato qui fatto cenno, come della soluzione più appropriata. Del resto è da tener presente che in un caso che ha qualche analogia con il caso dei reclami verso l’Italia – quello dei reclami americani per i beni nazionalizzati in Jugoslavia – il Governo di Washington è addivenuto ad un accordo che combina il criterio della somma globale, come limite, con quello dell’esame dei reclami singoli.

Prego anche l’E.V., in occasione della sua prossima conversazione, di far cortesemente presente che la lamentata lentezza con cui procede la liquidazione dei reclami è la necessaria conseguenza del sistema procedurale impostoci. Noi finora abbiamo fatto il possibile per attenuare l’inconveniente. Tra l’altro, nel marzo 1950, avevamo offerto, contro la fissazione del termine del 15 settembre 1950 per la presentazione dei reclami, di definire in sede amministrativa, entro il 15 settembre 1954 l’esame dei reclami. Questa offerta, prova della nostra indubbia buona volontà, fu declinata. Non è colpa nostra se ora gli americani si trovano a dover prevedere che con il sistema in vigore occorrerebbero quindici o venti anni per la liquidazione dei loro reclami: è l’assurdo del sistema stesso, cui potrebbe ovviarsi, in sede revisione, con una delle soluzioni accennate di sopra.

Ciò indica che, quando parliamo di revisione, pensiamo non solo al nostro proposito di eliminare quanto è discriminatorio e lesivo della nostra giurisdizione, ma anche al nostro desiderio di liquidare rapidamente le richieste di cui all’art. 78.

È poi anche da tener presente che, nel determinare col Trattato la procedura di cui ora si lamenta la lentezza, si era probabilmente voluta tener presente anche la opportunità di non gravare il Tesoro italiano con oneri eccessivamente elevati da fronteggiare in tempo ristretto.

Se infatti si passa ad esaminare il volume dei reclami sino ad ora presentati – e che gli americani dicono rappresentare la metà del totale – si osserva che la somma complessiva richiesta dai privati americani per tutti i loro reclami si aggira intorno ai 70 miliardi di lire, riducibili a 20-30, secondo previsione dell’Ufficio tecnico di questa ambasciata degli Stati Uniti. Basta pensare alle difficoltà che incontra il Tesoro per fronteggiare importanti, inderogabili spese, per volumi anche minori, in altri campi (riarmo, salari ecc.) per rendersi conto della impossibilità di corrispondere cifre di tal mole, se non scaglionate nel tempo.

Per riservata conoscenza di V.E. aggiungo che, qualora gli americani continuassero nel paradosso di chiederci nuovi sforzi anziché venire incontro alle nostre richieste fondamentali in materia di revisione, qualora cioè non si dovessero persuadere che l’attuale meccanismo è non solo lesivo per noi ma anche controproducente per essi, noi potremmo anche finire, pur continuando a subire la «discriminazione» delle Commissioni di conciliazione, col devolvere alla competenza di esse il maggior numero delle controversie, con il risultato di rallentare ulteriormente l’attuale ritmo della liquidazione dei reclami. Sarebbe questa la terza via tra la linea adottata prima che si proclamasse ad Ottawa l’abolizione delle «discriminazioni» del trattato di pace e la linea sulla quale insiste il nostro Ministero del tesoro di ritirare senz’altro i rappresentanti e gli agenti del Governo italiano dalle Commissioni di conciliazione2.


388 1 Vedi D. 366.


388 2 Con il R. segreto 2454 del 22 febbraio Tarchiani, nel comunicare le difficoltà di far accettare al Dipartimento di Stato il punto di vista italiano, segnalava in particolare: «... Infatti il nostro rifiuto (se effettivamente vi è stato, nella forma riferita dall’ambasciata a Roma) di esaminare la richiesta di snellimento della procedura per l’applicazione dell’art. 78, nonché il riferimento da noi fatto alle conversazioni in corso a Washington per la revisione delle clausole economiche del trattato di pace, hanno consolidato nel Dipartimento di Stato l’impressione che da parte nostra, quando si parla di detta revisione, si è mossi dal proposito di sottrarci agli obblighi previsti dall’art. 78. La questione della revisione delle clausole economiche può, come V. E. prescrive, essere posta sul terreno politico; ma non mai sotto un aspetto che coinvolga una più o meno larvata cancellazione degli obblighi derivanti dall’art. 78. Infatti l’ormai ben radicata impressione americana che l’Italia intenda sottrarsi a detti obblighi, costituisce l’ostacolo principale, che si oppone non soltanto alla revisione, ma anche ad un esame preliminare, da parte americana, del problema della revisione stessa». Per il seguito vedi D. 401.

389

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

Appunto. Lisbona, 22 febbraio 1952.

Nel corso del colloquio il presidente ha sollevato la questione di Trieste tornando a sottolineare l’importanza estrema per qualsiasi governo democratico italiano di ottenervi una soluzione favorevole. Ha richiamato l’attenzione del segretario di Stato sull’atteggiamento negativo degli slavi nelle recenti conversazioni, facendo osservare come l’ultima proposta da essi fatta (due governatori)1 sia praticamente inattuabile ed inaccettabile. L’atteggiamento ufficioso slavo, quale risulta perfino da dichiarazioni attribuite a Tito2 (soluzione del problema di Trieste sulla base del trattato e costituzione del T.L.T.), se è sinceramente inteso, rappresenta un pericoloso avvicinamento alle tesi del Kremlino e denoterebbe un parallelismo che deve destare in noi molta perplessità. Se invece non risponde al convincimento dei governanti slavi, allora siamo sempre su posizioni tattiche.

Acheson ha convenuto sulla insostenibilità delle proposte iugoslave ed ha espresso il suo più vivo disappunto per l’atteggiamento da essi assunto nelle conversazioni. Ha assicurato il presidente che condivide e comprende le sue preoccupazioni e che intende fare tutto il possibile per convincere gli slavi e per addivenire ad una soluzione ragionevole, avvicinandoli al concetto della linea etnica. Interessato dal presidente alla questione delle elezioni, Acheson ha dichiarato che sia il Dipartimento di Stato che il Foreign Office sono d’accordo, nel caso che si facciano le elezioni (e concordava che per il momento era bene evitarle), per l’adozione a Trieste del sistema italiano dell’apparentamento.

Sulla questione della sede del N.A.T.O. il presidente ha detto che non vede come possa attribuirsi alcun valore di prestigio alla questione, che va considerata soltanto nei suoi riflessi pratici: riferendosi anche ai pareri della maggioranza delle potenze, a lui comunicati la sera prima, che cioè, con la costituzione del C.E.D. e con la evidente esigenza di unificare la sede dei diversi organismi così strettamente collegati (S.H.A.P.E., C.E.D., O.E.C.E., N.A.T.O.), sede che non può, per ovvie ragioni, essere Londra, non rimaneva che scegliere Parigi o altra località vicina. L’on. De Gasperi ha osservato che, se con ciò si potesse dare soddisfazione agli inglesi, si potrebbe stabilire che le riunioni in Europa del Consiglio dei ministri si tenessero a Londra.

Acheson ha convenuto ed ha detto che finora i suoi argomenti non avevano ancora persuaso Eden il quale, ancora nuovo ai grossi problemi organizzativi del N.A.T.O., non si rendeva conto delle relative pratiche inderogabili necessità. Riteneva che sarebbe stato necessario sollevare la questione in Consiglio, perchè gli inglesi si rendessero conto della situazione reale3.


389 1 Vedi D. 362.


389 2 Vedi D. 393.


389 3 De Gasperi incontrò nuovamente Acheson il 26 febbraio presso l’ambasciata statunitense, vedi D. 395.

390

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI

L. Lisbona, 22 febbraio 1952.

Desidero ragguagliarla sugli sviluppi della Conferenza che, nonostante le prime impressioni di rapidità, procede ora secondo l’orario previsto e non terminerà probabilmente come avrei sperato, prima di lunedì: salvo acceleramenti sempre possibili.

1. L’esame in seduta plenaria del rapporto del T.C.C. non è stato ancora fatto. Si è dato tempo ai militari di preparare le loro considerazioni onde esaminarle insieme a quelle dei civili in un complesso unico. Sono previsti su questo punto nostri interventi anche perché l’A.C.C., per quanto si riferisce alla «mano d’opera» si è rimesso alle conclusioni del T.C.C.

2. La questione dei comandi terrestri nel Sud-Europa è stata rinviata. Abbiamo fatto bene a puntare i piedi perché otterremo qualche modifica ai primitivi progetti che non tenevano conto della nostra posizione.

3. Nello scambio di vedute sulle questioni politiche si è avuta una esposizione francese sull’Indocina e una inglese sull’Egitto. Eden ha in sostanza detto che la situazione è migliorata e che si sta ora lasciando al nuovo Governo di preparare l’ambiente interno favorevole alla ripresa dei negoziati. Ha ripetuto che, mentre nella questione del Canale vi sono possibilità di soluzioni flessibili tanto per una parte quanto per l’altra, la questione del Sudan si presenta più difficile. Solo Venizelos è intervenuto con poche parole per rilevare l’interesse che la questione ha per tutti i paesi che aspettano di mandare un rappresentante al Cairo. È stato poi esaminato il rapporto dei sostituti sulla «politica estera sovietica» (Jannelli ne ha copia). È stata approvata una nostra proposta di incaricare i sostituti di studiare anche i mezzi più adatti a controbattere l’azione sovietica nel campo politico. Acheson ha proposto di adottare anche nei confronti dei diplomatici russi le stesse misure di reciprocità adottate da vari paesi N.A.T.O. nei confronti dei diplomatici balcanici. Non tutti si sono dichiarati d’accordo. Noi sì. La questione è stata rinviata ai sostituti.

4. Ai margini della Conferenza si è avuta una riunione italo-americana per alcune franche spiegazioni su problemi di organizzazione militare, addestramento, end-items, riarmo. Questa riunione si è svolta nell’atmosfera creata dall’annuncio inglese di riduzione del 9% del loro programma, e da una comunicazione francese secondo cui la svalutazione del franco ridurrà la potenzialità di impiego degli stanziamenti fatti. I nostri sono usciti abbastanza soddisfatti dallo scambio di idee avuto e così anche gli americani.

5. Il Consiglio atlantico ha ascoltato la relazione fatta da Schuman sui progressi della Conferenza di Parigi per l’esercito europeo. Sono intervenuti il nostro presidente, Stikker, Eden e Acheson. Schuman ha poi fatto una lunga e un po’ penosa esposizione della posizione del Parlamento francese e illustrato l’ordine del giorno da esso votato giorni fa e che lei conosce. Non ha in sostanza detto nulla di nuovo: può dedursi che il voto non ha dato al Governo francese un mandato rigido, ma che gli umori parlamentari francesi inducono ad agire con prudenza per poter arrivare alla ratifica. Il Consiglio ha poi approvato il rapporto dei sostituti nelle riunioni congiunte N.A.T.O.-C.E.D. (come concordato a Londra) e sulla garanzia del N.A.T.O. alla C.E.D. che entrerà in vigore quando la C.E.D. darà analoga garanzia al N.A.T.O.

Restano da esaminare il rapporto T.C.C., la questione della riorganizzazione della N.A.T.O. e la questione delle «infrastrutture» che è oggetto di continuo studio da parte di Comitati e Sottocomitati.

391

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI,E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI

Telespr. segreto 3/160/c.1. Roma, 23 febbraio 1952.

Riferimento: Telegramma circolare di questo Ministero n. 1313 dell’8 febbraio 19522.

In relazione al telegramma citato, col quale incaricavo V.E. di portare a conoscenza di codesto Governo il testo della Nota di protesta italiana all’U.R.S.S. dell’8 febbraio u.s., la prego di voler far oralmente costà una comunicazione nel senso che qui di seguito viene esposto.

Le discussioni svoltesi nel corso della VI Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in merito all’argomento dell’ammissione di nuovi membri, mentre hanno fornito nuova prova di un quasi unanime desiderio di vedere l’Italia entrare a far parte dell’Organizzazione, hanno lasciato tuttavia insoluto il problema della sua ammissione.

Come già comunicato è stata recentemente consegnata all’ambasciatore della Unione Sovietica a Roma una nota con la quale, registrando il veto opposto per la quinta volta dal rappresentante sovietico in Consiglio di sicurezza all’ammissione dell’Italia, il Governo della Repubblica ha elevato la sua protesta contro tale atto che costituisce la violazione di un impegno sottoscritto e assunto nei confronti dell’Italia con il trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, ed ha dichiarato di conseguenza che ogni ulteriore applicazione da parte di quest’ultima degli obblighi che il trattato medesimo le ha imposto nei confronti dell’U.R.S.S. non potrà che adeguarsi alla situazione determinatasi per causa del Governo sovietico.

Il Governo italiano desidera tuttavia ricordare che nel settembre 1951 il presidente del Consiglio, incontrandosi prima ad Ottawa e quindi a Washington con il segretario di Stato Acheson e con i ministri Morrison e Schuman3, aveva fatto presente la grande importanza che il Governo italiano annetteva alla ammissione dell’Italia all’O.N.U. anche sotto l’aspetto di una sua attiva e costruttiva partecipazione su di un piede di parità, morale e di diritti, ai problemi di collaborazione internazionale.

A quel momento il Governo dell’U.R.S.S. aveva già, per quattro volte consecutive, opposto il suo veto alla ammissione dell’Italia, e vi era ogni motivo per ritenere che tale veto avrebbe potuto venire opposto per la quinta volta: ciò che infatti si è verificato nella seduta del Consiglio di sicurezza svoltasi a Parigi il 6 febbraio di questo anno.

In queste condizioni il Governo italiano, nel chiedere, e i Governi delle tre potenze nell’esprimere esplicitamente, con la Dichiarazione emessa a Washington il 26 settembre 19514, la loro determinazione di fare «ogni sforzo» per la ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite, partivano l’uno e gli altri dalla premessa che gli sforzi in questione dovessero essere precipuamente diretti a rendere invalido un nuovo veto sovietico e in ogni caso a superare il punto morto che è conseguenza del persistente atteggiamento russo.

Il Governo italiano deve quindi constatare, con vivo rincrescimento, come l’azione svolta non abbia condotto al risultato auspicato e non può a meno di considerare a questo riguardo che ciò sia anche in dipendenza del fatto che non sono state tratte dall’impegno assunto con la sopracitata Dichiarazione le conseguenze che in essa erano implicite.

In queste condizioni il Governo italiano chiede di volergli significare quali siano gli ulteriori propositi dei tre Governi per ottenere l’adempimento della Dichiarazione succitata. (Nell’esprimere questa richiesta al Dipartimento di Stato, l’ambasciata a Washington vorrà anche ricordare le nobili parole pronunciate dal presidente Truman, che davano alla Dichiarazione stessa un maggior valore ed una interpretazione conforme alla nostra sopraricordata aspettativa, nel senso che «other ways must be found to enable Italy to play a full and equal part in upholding the principles of the U.N.»)5.

V.E. vorrà concludere la sua esposizione facendo presente che, a seconda della risposta intervenuta, il Governo italiano si riserva di riesaminare la propria posizione nei confronti della questione di cui trattasi6.


391 1 Diretto per conoscenza anche all’ambasciata a Mosca ed alla rappresentanza presso l’O.N.U.


391 2 Vedi D. 377, nota 1.


391 3 Vedi DD. 113 e 119.


391 4 Vedi D. 124.


391 5 Vedi D. 132, nota 5.


391 6 Per le risposte vedi rispettivamente i DD. 434, 404 e 408.

392

L’AMBASCIATA DELL’UNIONE DELLE REPUBBLICHESOCIALISTE SOVIETICHE A ROMAAL MINISTERO DEGLI ESTERI

Nota verbale urgentissima1. Roma, 24 febbraio 1952.

In risposta alla Nota del Governo italiano dell’8 febbraio corrente anno2, relativa all’ammissione dell’Italia tra i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’ambasciata dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha l’onore di dichiarare quanto segue:

Il Governo italiano, nella sua Nota, presenta la questione in maniera tale da far sembrare che l’unione Sovietica abbia ostacolato l’ammissione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite, violando con questo gli impegni che le derivano dal trattato di pace con l’Italia. Tale affermazione contraddice la realtà e costituisce il travisamento di fatti noti a tutti.

L’Unione Sovietica, come è noto, ha ripetutamente offerto di ammettere l’Italia nell’Organizzazione delle Nazioni Unite assieme agli altri Stati aventi un legittimo diritto all’ammissione, tra cui quelli che si trovavano durante la guerra nella stessa posizione dell’Italia. Nei riguardi di questi Stati l’Unione Sovietica, così come gli altri paesi che hanno firmato i trattati di pace a Parigi il 10 febbraio 1947, ha l’impegno di appoggiare la loro richiesta di ammissione all’O.N.U.

Alla VI sessione dell’Assemblea generale dell’O.N.U., conclusasi nel febbraio del corrente anno, l’Unione Sovietica ha di nuovo proposto l’ammissione dell’Italia e di altri 13 paesi quali membri dell’Organizzazione delle N.U. Il Comitato politico dell’Assemblea generale ha approvato il 25 gennaio, a maggioranza di voti, questa proposta sovietica; ha votato contro di essa la delegazione degli U.S.A., mentre le delegazioni della Gran Bretagna e della Francia si sono astenute dal voto. Soltanto in seguito alle brutali pressioni esercitate dagli Stati Uniti sulle delegazioni degli altri paesi, la proposta sovietica, già approvata dal Comitato politico, non è stata approvata nella seduta plenaria dell’Assemblea generale.

Il 6 febbraio, durante l’esame della proposta dell’U.R.S.S. al Consiglio di sicurezza, la delegazione degli U.S.A. ha votato di nuovo contro di essa, mentre le delegazioni della Gran Bretagna e della Francia si sono nuovamente astenute dal voto. Ciò ha impedito l’ammissione dell’Italia e degli altri 13 paesi all’Organizzazione delle Nazioni Unite.

I fatti sopra citati sono certamente noti al Governo italiano, tuttavia esso li passa sotto silenzio nella sua Nota dell’8 febbraio. Tali fatti dimostrano inoltre che se l’Italia non è stata fino ad ora ammessa nell’Organizzazione delle Nazioni Unite è soltanto per colpa degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia, il cui atteggiamento nella questione dell’ammissione dell’Italia all’O.N.U. è di chiara contraddizione con il principio dell’uguaglianza dei diritti degli Stati, in quanto i Governi degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia impediscono l’ammissione all’O.N.U. di Stati che hanno diritti uguali a quelli dell’Italia.

In tal modo, la dichiarazione del Governo italiano che l’Unione Sovietica vorrebbe impedire l’ammissione dell’Italia all’O.N.U., rappresenta un tentativo di ingannare l’opinione pubblica italiana circa l’effettiva posizione dell’Unione Sovietica in questa questione e dimostra la tendenza del Governo italiano a voler coprire i Governi degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia, i quali, da alcuni anni, impediscono l’approvazione dell’ammissione dell’Italia e degli altri paesi nell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

In considerazione di quanto precede il Governo sovietico respinge la protesta del Governo italiano, considerandola priva di qualsiasi fondamento.

Il Governo italiano dichiara inoltre, nella sua Nota dell’8 febbraio, che «ogni ulteriore applicazione da parte sua degli obblighi che il trattato medesimo ha imposto all’Italia nei confronti dell’U.R.S.S., non potrà che adeguarsi alla situazione determinatasi a causa dell’attitudine del Governo sovietico» per quanto riguarda l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. Tale irresponsabile dichiarazione nei riguardi del Governo sovietico non può essere considerata che come intenzione del Governo italiano di sottrarsi agli impegni del trattato di pace.

Il Governo italiano è già responsabile di aver violato una serie delle più importanti disposizioni di questo trattato, come è già stato rilevato dal Governo sovietico nelle sue Note del 19 luglio e 20 settembre 1949 e del 26 gennaio 19523. Tuttavia, fino alla sopra citata dichiarazione contenuta nella Nota dell’8 febbraio, il Governo italiano non era mai giunto ad aperte dichiarazioni circa la sua intenzione di sottrarsi agli impegni derivanti dal trattato di pace. Tali dichiarazioni del Governo italiano mirano evidentemente a legalizzare le sue azioni che si concretano nelle violazioni del trattato di pace.

Il Governo italiano si è messo già da alcuni anni sulla via della trasgressione alle disposizioni militari del trattato di pace, avendo trasformato il territorio dell’Italia in una piazza d’armi per l’aggressione americana in Europa.

Il Governo italiano non solo ha messo il territorio nazionale a disposizione per la costruzione di una intera rete di basi militari degli altri Stati aggressori, ma è anche entrato nel quadro del blocco aggressore nord atlantico, il che costituisce una diretta trasgressione del trattato di pace.

Il Governo italiano non soltanto non ha adempiuto agli impegni stabiliti nel trattato di pace circa il pagamento delle riparazioni all’Unione Sovietica, ma cerca anche, con la sua Nota dell’8 febbraio, di liberarsi dalla responsabilità relativa all’adempimento del trattato di pace nei confronti dell’U.R.S.S.

Questi, come tutta una serie di altri fatti, testimoniano che il Governo italiano si è messo sulla via dell’inadempienza ai suoi impegni stabiliti dal trattato di pace, non fermandosi davanti ad azioni illegali e minando così la fiducia nella firma del Governo italiano apposta agli impegni internazionali.

È assolutamente chiaro che il Governo italiano non agirebbe in tal modo se non fosse d’accordo con gli organizzatori del blocco nord atlantico, i Governi degli Stati Uniti d’America, della Gran Bretagna e della Francia, e se esso non subordinasse la sua politica ai piani aggressivi di questo blocco. Questa circostanza tuttavia non diminuisce la responsabilità del Governo italiano per le sue azioni illegali.

In considerazione di quanto sopra esposto il Governo sovietico respinge la Nota del Governo italiano, in quanto essa viene meno alle norme comunemente accettate che regolano le relazioni internazionali, e dichiara che il Governo italiano non potrà sottrarsi alla responsabilità delle conseguenze delle violazioni del trattato di pace.


392 1 Diramato a tutte le rappresentanze con Telespr. 11/3119/c. del 28 febbraio.


392 2 Vedi D. 377.


392 3 Vedi serie undicesima, vol. III, DD. 52 e 231 e in questo volume D. 358.

393

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto urgente 2277/33. Belgrado, 25 febbraio 1952, ore 22(perv. ore 7 del 26).

Ho avuto confidenzialmente testo intervista Tito a corrispondente United Press1 ancora inedita e su cui raccomando il massimo riserbo con giornalisti.

Riferisco punti principali:

1) Jugoslavia non intende mutare proprio atteggiamento verso Patto atlantico. Migliorate relazioni greco-jugoslave sono sufficiente garanzia in caso attacco contro indipendenza «dei Balcani» potendo fare due strade concordi alla comune difesa;

2) compromesso tra Oriente ed Occidente sarebbe preferibile a guerra;

3) tutte questioni riguardanti suo riarmo compreso debbono essere considerate tenendo presente che Germania ha uguali diritti altre nazioni;

4) «sfortunatamente oggi sembriamo più lontani di un anno fa da un accordo italo-jugoslavo su Trieste» (letterale).

Ritardo pubblicazione fa presumere desiderio Tito sottrarsi commenti ministri esteri costì riuniti. È sintomatica rinnovata presa posizione circa N.A.T.O. e rapporti con Grecia e Turchia nonostante recente ricevimento armi pesanti (25 aerei da caccia e 36 carri armati Sherman, secondo informazioni questo addetto militare).

Dichiarazioni circa Trieste sembrerebbero dimostrare che Governo jugoslavo non intende avvicinarsi ad aspirazioni italiane già ritenute «legittime» a Washington.

È probabile dichiarazioni, specialmente dopo incontro Tito-Babić a Brioni, siano determinate da nuovo orientamento Tito verso soluzione concordata per autonomia T.L.T., tesi che sembrerebbe essere esaminata con interesse a Londra.

Ritengo opportuno aggiungere che, avendo questo ambasciatore d’Inghilterra accennato a tale soluzione, gli ho risposto a titolo del tutto personale che è nell’interesse generale ricercare soluzioni che possano creare vera détente tra Italia e Jugoslavia e non soluzioni che potrebbero aumentare motivi frizioni.


393 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 10, p. 267.

394

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, EDEN

Verbale riservato. Lisbona, 26 febbraio 1952.

Conversazioni con i tedeschi. Eden accentua la difficoltà delle trattative tra francesi e tedeschi: i francesi sono molto sensibili e coi tedeschi occorre molta pazienza. Ma non ci si può accanire contro la Germania: sebbene sia difficile cancellare il ricordo del passato, occorre guardare all’avvenire con senso di realtà. Il problema dell’aviazione civile in Germania è stato un esempio di quanto sia difficile il negoziato.

Eden è per le trattative dirette tra le due parti senza interventi altrui; e ne ha constatato l’utilità in occasione della visita di Adenauer a Schuman a casa sua a Londra, dove la conversazione fra i due senza alcun testimonio si dimostrò assai giovevole. (È verosimile che abbiano parlato della Sarre). Eden ritiene che oggi si sia raggiunto un compromesso, e ne spiega il tenore. Ha l’impressione ormai che il difficile negoziato sia bene avviato e che, tranne questioni di forma, sia sostanzialmente definito. Eden teneva ad informare del corso delle trattative anche l’Italia, perché si tratta in parte di riflessi comuni.

Trieste. Il presidente fa presente la difficile situazione, che sembrerebbe si vada aggravando, a Trieste, che spontaneamente Eden aveva deplorato fin dall’inizio del colloquio. Eden ribadisce la sua deplorazione per l’atteggiamento degli slavi «che hanno troppe pretese». Egli dirà a Acheson che occorre assolutamente perseguire una comune politica atlantica anche in questo settore. Dopo aver rilevato che è una situazione che non può continuare, una spina che bisogna togliere, l’on. De Gasperi fa rilevare le conseguenze che si avrebbero se un conflitto scoppiasse e la questione territoriale non fosse ancora definita. Soggiunge che da ogni parte si vuol rendere responsabile della situazione nel T.L.T. l’Inghilterra, come è stato detto anche in occasione dell’atteggiamento assunto da Tito nei confronti delle recenti proposte di soluzione, che troverebbe gli inglesi consenzienti e l’appoggio di Londra. Eden smentisce categoricamente e dà le più amichevoli assicurazioni.

Egitto. Con gli egiziani gli inglesi sono sostanzialmente d’accordo, ma il Sudan vuole l’autonomia. Avendo l’on. De Gasperi spiegato come si tratti per noi di posizioni assai difficili e delicate, Eden osserva che è così per tutti, anche perché con gli egiziani non è facile mettersi al tavolo per discutere. Gli inglesi avevano avanzato varie proposte: per il Patto a quattro, per il Sudan, per il Canale; gli egiziani hanno sempre detto di essere disposti a parlare, ma non ci si riesce mai. Solo ora è venuto a sapere dall’ambasciatore americano al Cairo che ai primi di marzo dovrebbero iniziarsi le conversazioni. Eden non si sa spiegare il motivo di questi ritardi, e pensa che sia paura dei riflessi all’interno. Spiega di aver consigliato gli egiziani a trattare coi sudanesi, anche per le acque.

Interrogato dall’on. De Gasperi se fosse ancora preoccupato per la questione dell’esportazione di armi in Egitto, Eden mostra di non annettervi molta importanza. Dice anzi che se i fucili fossero per l’esercito attuale, fedele al re, li considererebbe utili. In seguito a altre spiegazioni del presidente, Eden lo prega di lumeggiare a Mallet la cosa in un breve appunto. Essendo la situazione mutata, ritiene che sia facile intendersi. Del resto, aggiunge «anche voi avete bisogno di far lavorare».

Eden esprime con accento di sincerità il suo cordiale desiderio di veder rafforzata la collaborazione e l’amicizia tra l’Inghilterra e l’Italia, desiderio che il presidente assicura di condividere. Eden prega l’on. De Gasperi di scrivergli personalmente in qualsiasi occasione che egli ritenga opportuno, e così farà egli stesso. Esprime inoltre profondo apprezzamento per la spontanea partecipazione italiana, del popolo e delle sfere ufficiali, al recente lutto dell’Inghilterra.

Eden si congeda con espressioni di amicizia per il presidente, il quale gli raccomanda ancora una volta la questione di Trieste.

395

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

Verbale1. Lisbona, 26 febbraio 1952.

Nel dare notizia al presidente dei colloqui di Londra con i tedeschi (contributo tedesco alla difesa e accordi contrattuali) Acheson ha detto di essere in linea di massima soddisfatto; solo la formulazione tedesca potrebbe talvolta essere più felice. L’ulteriore risposta di Adenauer su alcuni punti rimasti in sospeso (risposta pervenuta telefonicamente da Bonn al segretario di Stato durante la colazione) era stata soddisfacente e Acheson si riprometteva di conferire in giornata con Schuman a conclusione delle conversazioni con lui e con Eden del giorno prima.

Riprendendo l’argomento del T.L.T. più ampiamente trattato nel primo colloquio (venerdì 22 febbraio)2, il presidente ha messo Acheson al corrente degli ultimi sviluppi, intrattenendolo sull’atteggiamento di Tito quale risulterebbe da indiscrezioni e da notizie pervenute dopo l’udienza di Tito a Babić e agli esponenti slavi della Zona A.

Acheson ha ripetuto di voler dimostrare apertamente agli slavi la sua deplorazione ed esprimere la sua viva istanza perchè, mantenendo l’impegno preso, facciano dei passi verso la tesi italiana.


395 1 Il colloquio ebbe luogo durante una colazione privata presso l’ambasciata statunitense.


395 2 Vedi D. 389.

396

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 2537/1062. Washington, 26 febbraio 1952(perv. il 3 marzo).

Riferimento: Telespresso di questa ambasciata n. 1850/775 dell’11 febbraio1.

Le previsioni che qui si formulavano circa i probabili risultati della Conferenza di Lisbona nell’imminenza della medesima, erano generalmente improntate ad un senso di pessimismo soprattutto in quanto coincidevano con le difficoltà create dalla Germania a proposito della sua partecipazione alla Comunità europea di difesa. Si temeva pertanto che un eventuale insuccesso della Conferenza, specialmente per quanto riguardava detta Comunità, potesse sfavorevolmente impressionare l’opinione pubblica ed il Congresso, mettendo l’Amministrazione in situazione di grave difficoltà nell’imminenza della presentazione alla Camera dei rappresentanti ed al Senato del progetto di legge per gli aiuti militari ed economici.

Non mancava infine chi sottolineava la difficoltà del compito assunto dal segretario di Stato nel tentare di conciliare il dissidio franco-tedesco, osservando che Acheson aveva impegnato nella questione il suo prestigio personale, con pericolose conseguenze per sé e per l’amministrazione nel caso di un fallimento.

A queste generali impressioni, è doveroso riconoscere, faceva riscontro un atteggiamento di moderato ottimismo, che appariva peraltro alquanto forzato, da parte di alcuni Uffici del Dipartimento di Stato, i quali mettevano in rilievo come l’azione da tempo iniziata presso i Governi francese e tedesco, per cercare di raggiungere una composizione dei diversi punti di vista manifestatisi sulle questioni di reciproco interesse, avesse buone possibilità di successo.

Le prime informazioni circa i buoni progressi delle conversazioni a tre, e poi a quattro, di Londra, avevano migliorato l’atmosfera ed ingenerato un senso di maggiore ottimismo. Con l’apertura dei lavori della Conferenza atlantica e, successivamente, con le notizie sempre più confortanti sui risultati mano a mano realizzati, si è cominciato a rilevare che, contrariamente alle aspettative, la riunione di Lisbona si avviava verso un completo successo.

Infine, la pubblicazione della dichiarazione e del comunicato finale è stata accolta con unanime favore ed ha dato lo spunto a commenti soddisfatti2.

Peraltro, agli entusiasmi del primo momento ha fatto seguito un più riflessivo esame che, pur conducendo ugualmente ad un bilancio largamente positivo dei risultati ottenuti a Lisbona, registra le difficoltà di esecuzione di alcuni degli impegni presi.

Inoltre, a quanto si osserva, il fatto che alcune delle decisioni del Consiglio atlantico debbano essere ratificate dai Parlamenti dei paesi interessati, può implicare notevoli ritardi e difficoltà con necessarie ripercussioni sulla loro concreta attuazione.

Con compiacimento è stato preso atto che, al precedente obbiettivo di mettere in campo alla fine del presente anno una forza di 36 divisioni e di 60 o 70 alla fine del programma di riarmo, è stato sostituito l’impegno di approntare nel 1952 una cinquantina di divisioni da aumentarsi proporzionalmente negli anni successivi. E si insiste sul fatto che tali confortanti previsioni sono state formulate tenendo presenti le valutazioni e le raccomandazioni degli esperti economici e che pertanto esse non dovrebbero essere soggette a revisione in senso restrittivo.

L’approvazione del progetto relativo alla Comunità europea di difesa rappresenta un altro motivo di soddisfazione pur riconoscendosi che essa è condizionata a tutta una serie di compromessi e garanzie, il cui perfezionamento non potrà non ritardare il reclutamento delle unità germaniche.

La raggiunta riorganizzazione della N.A.T.O., con la creazione, fra l’altro, del Segretariato permanente che avrà la sua sede a Parigi, corrisponde pienamente alle aspirazioni americane.

Non sfuggono qui le difficoltà economico-finanziarie insite negli accordi raggiunti a Lisbona in quanto è ovvio che ogni espansione dei programmi difensivi in Europa deve, in ultima analisi, tener conto delle limitazioni imposte dal bilancio americano. Al riguardo sono poste in rilievo le dichiarazione del segretario per il Tesoro, Snyder, fatte ieri a Lisbona, e le proposte recentemente formulate da alcuni autorevoli parlamentari per l’apporto di notevoli riduzioni al bilancio.

Tuttavia è generale la constatazione che la posizione dell’Amministrazione ha subito, in virtù dei risultati conseguiti a Lisbona, un indubbio rafforzamento che le permetterà di sostenere con maggiori probabilità di successo il programma di aiuti di fronte al Congresso, le cui reazioni, peraltro, continuano ad essere fonte di preoccupazioni.


396 1 Non pubblicato.


396 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 9, pp. 241-242.

397

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo 1953/525. Bonn, 29 febbraio 1952(perv. il 2 marzo).

Ho avuto informazioni confidenziali che le dichiarazioni dell’on. De Gasperi a Lisbona1, accolte così favorevolmente dal Governo federale, hanno formato particolare oggetto d’esame in una riunione dei direttori generali della Cancelleria federale e del Ministero degli esteri. In tale sede è stato discusso se convenisse dare uno speciale rilievo sulla stampa a queste dichiarazioni. Sempre secondo le stesse informazioni si è infine deciso di desistere dall’idea unanimemente affermatasi in un primo tempo in senso favorevole nel timore che un forte risalto a tali dichiarazioni sulla Germania potesse dare luogo a false interpretazioni all’estero.

La stampa tedesca ha già seguito l’attività della delegazione italiana alla Conferenza di Lisbona e la nota dominante può ricavarsi da un editoriale del Deutsche Zeitung und Wirtscahfts Zeitung di Stoccarda, importante giornale politico-economico. In esso si rileva, tra l’altro, come poco prima dell’inizio della Conferenza di Lisbona il presidente del Consiglio De Gasperi avesse ancora una volta manifestato l’ardente aspirazione del suo paese alla costituzione della Comunità europea di difesa. La diplomazia italiana sembra voglia combattere le attuali difficoltà nei seguenti due modi: inducendo gli americani a dare agli «spiriti in pena» garanzie contro la rinascita di un «pericolo tedesco», affrettando l’organizzazione di un federazione politica europea quale mezzo più efficace per mitigare le tensioni stesse.


397 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 9, pp. 242-243.

398

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI AD ATENE, ALESSANDRINI,E AD ANKARA, PIETROMARCHI

T. s.n.d. 2061/35 (Atene) 15 (Ankara). Roma, 1° marzo 1952, ore 23,30.

(Per Atene) Suo telespresso n. 2051.

(Per Ankara) Suo telespresso n. 1622.

A Lisbona è stato approvato, in via provvisoria, organizzazione Comando Settore Sud-Europa sulla base tre Comandi terrestri separati dipendenti direttamente da Comando ammiraglio Carney e è stato demandato a generale Eisenhower, il quale si recherà nei prossimi giorni Ankara Atene e poi Roma, organizzazione particolare detto Comando, nell’intesa che in questa sede saranno compiuti necessari aggiustamenti.

Al momento costituzione Comando Settore Sud-Europa venne assegnato a Italia Comando forze terrestri questo Settore. Noi abbiamo poi appoggiato entrata Grecia e Turchia Patto atlantico nonché loro inclusione nel Settore Sud-Europa, cioè alle dipendenze generale Eisenhower, tramite ammiraglio Carney. Tuttavia da tale sistemazione non (dico non) deve derivare diminuzione nostra posizione generale nel quadro Alleanza.

Tenute presenti necessità politica interna sia in Grecia che Turchia, non abbiamo tuttavia insistito per conservare Comando forze terrestri, ed abbiamo limitato nostra richiesta, in colloqui fra nostri rappresentanti militari e generali Bradley e Gruenther, a nomina generale italiano deputy terrestre ammiraglio Carney.

Ciò non soltanto, a nostra volta, per ovvi motivi politica interna, ma anche e soprattutto perché riteniamo necessario che presso Carney vi sia personalità in posizione tale da poter far risaltare (anche sotto aspetto politico) interessi comuni tre paesi che nel Settore Sud hanno territori e popolazioni. Altri Alleati vi partecipano infatti esclusivamente con forze militari e loro comandanti potrebbero essere portati, in alcuni momenti, trascurare interessi non strettamente strategici; sembra invece a noi conveniente che a Napoli, nel cerchio interno Comando, vi sia chi difenda tempestivamente e autorevolmente altre necessità che per nostri tre paesi potrebbero anche essere vitali e che l’esperienza ci insegna non poter essere fatte valere per via diplomatica. Va rilevato inoltre che connessioni e interferenze fra Comando di Napoli e varie attività e autorità italiane sono tali da rendere consigliabile che un italiano sia in posizione di promuovere soluzione innumerevoli questioni che si porranno nella maniera più funzionale per Comando e migliore per ufficiali esteri che ne fanno parte. Funzione deputy dovrebbe essere quindi affiancamento Carney e non diaframma: essa non nuocerebbe logica articolazione tre Comandi terrestri.

In conclusione, a noi pare che in tal modo problema potrebbe essere risolto e che si eviterebbero pericoli incresciosa polemica nonché necessità da parte nostra riaprire intera questione, il che ritarderebbe fra l’altro messa in moto organizzazione nuovo Comando3.


398 1 Non rinvenuto.


398 2 Del 21 febbraio, non pubblicato.


398 3 Per le risposte vedi DD. 405 e 431.

399

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 2542/38. Belgrado, 3 marzo 1952, ore 23,10(perv. ore 8,15 del 4).

Sabato scorso questi ambasciatori francese e inglese e incaricato d’affari U.S.A. sono stati convocati da Mates. Questi ha comunicato loro che dichiarazioni V.E. a Lisbona1 sarebbero venute meno a segreto su conversazioni parigine2.

Pertanto Mates li informava su andamento dette conversazioni. Proposte italiane sul piano territoriale sarebbero state del tutto minime e perciò inaccettabili. Reiezione progetto coamministrazione dimostrava mancanza buona volontà da parte italiana. Mates non ha accennato a proposte sbocco al mare.

Questo ambasciatore di Francia pur rendendosi conto inapplicabilità proposta jugoslava ritiene che mossa Tito sia stata molto abile e abbia segnato punto a suo favore di fronte opinione pubblica tanto più se su tale proposta dovessero interrompersi note conversazioni. Baudet non (dico non) mi ha escluso che proposta jugoslava possa avere fatto breccia presso dirigenti politica estera grandi potenze.

Ho escluso a Baudet che dichiarazioni V.E. abbiano costituito indiscrezione su conversazioni parigine perché fatte in relazione proposta attribuita Tito ampiamente divulgata su stampa specialmente triestina. Analogo chiarimento faccio agli altri capi missione grandi potenze.


399 1 Vedi D. 400. Il testo delle dichiarazioni rilasciate da De Gasperi a Lisbona il 25 febbraio 1952 è edito in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 9, pp. 242-243.


399 2 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329 e 362.

400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

L. 3/191. Roma, 3 marzo 1952.

Il progetto che le è stato esposto da Bebler nell’ultima conversazione che egli ebbe con la S.V. a Parigi, e di cui ai suoi telegrammi n. 119, 120, 1211, è stato alcuni giorni dopo accennato dal maresciallo Tito ad un gruppo di sloveni andati a intervistarlo a Brioni. Pur senza far riferimento alle conversazioni in corso, il maresciallo lo ha così reso pubblico provocando da parte di corrispondenti esteri a Lisbona una richiesta di conoscere il pensiero del Governo italiano in proposito, durante la mia conferenza stampa il 25 febbraio alla chiusura dei lavori della 9ª sessione del Consiglio atlantico.

Nella mia risposta2 ho svolto i seguenti concetti, naturalmente non tutti riportati con esattezza dai varî giornali:

- Lungi dal favorire un’amichevole soluzione del problema tra le due nazioni, questo progetto condurrebbe alla esasperazione dei contrasti interni tra i due gruppi etnici, e ad una continua lotta politica imperniata su tali contrasti: il che avrebbe come conseguenza di rendere acuti e permanenti i contrasti tra i due paesi confinanti.

- Anche da un punto di vista pratico la proposta di alternare i governatori non è funzionabile: si avrebbe una pericolosa politica a zig zag.

- L’altra alternativa di un governatore con due vice presidenti con potere di veto condurrebbe ad una virtuale paralisi dell’Amministrazione.

- L’inapplicabilità delle clausole del trattato è stata già riconosciuta ed è appunto da tale riconoscimento che è derivata la Dichiarazione tripartita3. È dunque partendo da questa base che la soluzione deve essere trovata.

A conclusione di questa fase di sondaggi, ella può quindi dire a Bebler quanto qui sopra indicato aggiungendo che i concetti da me espressi corrispondono alle vedute del Governo italiano sul progetto da lui formulato. La S.V. vorrà aggiungere che il Governo italiano rimane dell’avviso che un accordo diretto sia sempre la più desiderabile soluzione. In questo spirito noi ci eravamo dichiarati disposti ai noti sondaggi svoltisi a Parigi4 ed in quella sede avevamo esaminato la possibilità di una soluzione sulla base di una linea etnica che risolva in modo netto il problema ed elimini i motivi di frizione tra le due parti. Se la ricerca di una tale soluzione, per l’opposizione jugoslava ad accogliere tale impostazione non potesse svilupparsi, il Governo italiano non può che trarne la conferma che la Dichiarazione tripartita rappresenta l’unica soluzione che si adegui alle condizioni di fatto. In tale convinzione anzi il Governo italiano, ove ancora di tale asserto occorresse una prova ulteriore, non si opporrebbe ad una consultazione popolare, con adeguati controlli e garanzie internazionali affinché, riconosciuta ormai la impossibilità di dar vita al Territorio Libero previsto dal trattato di pace o sotto qualsiasi altra forma, e partendo da tale premessa (da cui è derivata la Dichiarazione tripartita) la grande maggioranza delle popolazioni interessate – quelle cioè comprese nei limiti stabiliti dagli artt. 4, 21 e 22 del trattato di pace – siano poste in grado di manifestare liberamente la propria volontà di ricongiungersi all’Italia.

Come la S.V. ben sa è infatti da tener presente che il punto di partenza per l’esame di ogni progetto di soluzione rimane per noi la Dichiarazione tripartita. Nell’ambito della soluzione tripartita non ci rifiuteremo di ricercare un accordo, accettabile per entrambe le parti, sulla base di una linea etnica che includa nei confini italiani la popolazione italiana e le zone a maggioranza italiana del T.L.T. In caso diverso non potremmo che ritornare – sia anche col conforto della convalida di una consultazione popolare – alla soluzione prevista dalla suddetta Dichiarazione.

La S.V. troverà, nei documenti qui allegati5, per sua conoscenza ed eventuale norma di linguaggio, un esposto relativo alle modalità alle quali è da considerarsi tassativamente condizionata la possibilità pratica di una seria consultazione popolare.


400 1 Vedi D. 362.


400 2 Vedi D. 399, nota 1.


400 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


400 4 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


400 5 Risulta allegato unicamente un «Appunto su un eventuale plebiscito nel Territorio Libero di Trieste» predisposto dall’Ufficio IV della Direzione generale degli affari politici, datato marzo 1952, non pubblicato.

401

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 45/58. Roma, 3 marzo 1952.

Faccio riferimento al tuo rapporto 2454 del 22 febbraio1. Nel frattempo avrai ricevuto il testo delle lettere scambiate informally fra Revedin e Summers. Gli americani hanno avuto l’imprudenza di dirci che il totale dei reclami americani, ivi compresi quelli non ancora presentatici, ammonterebbe a circa 70 miliardi di lire. Ciò ci ha offerto buon gioco nel fare rilevare da Revedin a Summers la nostra più che giustificata perplessità ad accondiscendere ad una procedura che avrebbe come conseguenza di sollecitare l’istruttoria dei reclami e il pagamento di così ingenti somme. Quanto ci viene ora richiesto costituisce infatti indubbiamente in pratica una aggravante della procedura messa in moto a suo tempo in base al trattato di pace: e ciò dovrebbe avvenire proprio mentre il trattato di pace da una parte è stato riveduto, dall’altra parte è stato da noi denunciato, e mentre si parla, nel suo aspetto economico, di alleviarlo e non di aggravarlo. È anche da tener presente che se il trattato non ha fissato un termine per la presentazione dei reclami, non lo ha fissato nemmeno per la liquidazione dei reclami stessi, il che probabilmente è stato fatto apposta per stabilire un giusto equilibrio e una distribuzione degli oneri nel tempo; argomento questo che tanto più appare sostenibile di fronte alla rivelazione americana che i loro reclami ammontano a cifre così elevate. Queste cifre non potranno essere pagate rapidamente se tieni conto che il Governo ha affrontato un voto di fiducia e un rischio di dimissioni su una questione di pochi miliardi di aumento agli stipendi degli statali, e se tieni conto del fatto che, con nostro rammarico, non abbiamo potuto accogliere quest’anno le raccomandazioni del T.C.C. per un aumento, nella misura di poche diecine di miliardi, del nostro sforzo di riarmo. Non è quindi che noi intendiamo a qualunque costo concentrare la revisione economica sull’art. 78, o sottrarci a questo riguardo agli accordi Lombardo relativi a questo articolo. Dobbiamo tuttavia, se anche non riuscissimo malauguratamente ad ottenere qualche ragionevole revisione su questa questione, opporci ad un aggravamento delle già dure condizioni che quell’articolo ci ha imposto. Anche la nomina del terzo arbitro era stata da noi accettata prima che si parlasse di revisione e prima che ad Ottawa venisse proclamato il principio delle abolizioni delle discriminazioni. Per questo resistiamo ora alla richiesta di tale nomina che ci esporrebbe ad aspre critiche all’interno, in quanto essa apparirebbe una conferma delle Commissioni di conciliazione, che sono tipicamente discriminatorie.

Mi pare che l’imprudente rivelazione americana relativa ai 70 miliardi e la posizione da noi assunta anche in base alla interpretazione del trattato, ci mettano ora in buona posizione per chiarimenti e conversazioni2.


401 1 Vedi D. 388, nota 2.


401 2 Per la risposta vedi D. 426.

402

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 2133/c. Roma, 4 marzo 1952, ore 24.

Legazione Belgrado informa1 che ministro degli esteri aggiunto Mates ha convocato ambasciatori francese ed inglese e incaricato d’affari U.S.A. per comunicare loro che con le sue dichiarazioni stampa a Lisbona presidente De Gasperi2 sarebbe venuto meno ad impegno segretezza su conversazioni parigine3. Mates pertanto li informava su andamento dette conversazioni, sostenendo che proposte italiane sul piano territoriale sarebbero del tutto inaccettabili mentre rifiuto progetto co-amministrazione dimostrerebbe mancata buona volontà da parte italiana. Mates non (dico non) ha peraltro parlato della precedente proposta jugoslava sbocco al mare4.

La prego ricordare costà come, contrariamente a quanto oggi jugoslavi desiderano fare apparire, rivelazioni su nota proposta co-amministrazione vennero fatte a Brioni il 14 febbraio dallo stesso Tito ad una Commissione esponenti sloveni. Nonostante sedicente carattere riservato detta riunione, notizia venne ripresa dalla stampa controllata o ispirata dai jugoslavi, ovviamente col proposito speculare su contemporanea riunione di Lisbona; ciò che appunto provocò interrogazioni a presidente De Gasperi da parte giornalisti in conferenza stampa (vedi telespresso 8/984 del 27 febbraio)5.

Circa proposta jugoslava di cui trattasi già le è stato ampiamente fatto conoscere nostro punto di vista e non dubito V.E. ne avrà reso edotto codesto Governo. Voglia ad ogni modo far urgentemente sapere che ci attendiamo codesto Governo non si lascifuorviare da questa ultima manovra di Belgrado intesa confondere ulteriormente le idee.

È inoltre opportuno venga svolta azione onde evitare che codesta stampa, particolarmente quella più autorevole, si presti al giuoco jugoslavo; ciò che provocherebbe reazioni stampa italiana e conseguente inasprimento situazione.

Circa nostro ulteriore atteggiamento su questione, sono in partenza istruzioni a V.E. col prossimo corriere6.


402 1 Vedi D. 399.


402 2 Vedi D. 400.


402 3 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329 e 362.


402 4 Vedi D. 362.


402 5 Non pubblicato.


402 6 Vedi D. 406.

403

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 4 marzo 1952.

In occasione della visita del vice presidente del Consiglio greco, sig. Venizelos, abbiamo passato in rassegna col sig. Melas, direttore degli affari politici del Ministero degli affari esteri ellenico, le principali questioni di carattere politico interessanti i due paesi.

Albania. Il sig. Melas mi ha detto che, dalle informazioni in possesso del Governo greco, risulta che il Governo jugoslavo sta intensificando la sua attività di attrazione e di organizzazione dei profughi albanesi raccolti intorno al Comitato albanese di Prizren. A giudizio greco, non è da escludere un prossimo tentativo jugoslavo di rovesciare il Governo di Hoxha e di costituire in Albania un Governo comunista titino ligio ad una politica pro-jugoslava. Quel che più preoccupa il Governo greco è che tale piano jugoslavo sarebbe, secondo le stesse informazioni, incoraggiato dagli inglesi e dagli americani.

Ho detto al sig. Melas che eravamo noi stessi in possesso delle medesime informazioni riguardanti l’attività jugoslava, salvo per quanto concerne la pretesa connivenza inglese e americana. Su questa, come del resto sull’effettiva intenzione jugoslava di provocare un rivolgimento politico in Albania, avevo ragione di esprimere i miei dubbi, poiché mi sembrava che pur essendo comprensibile che la Jugoslavia volesse costituirsi e tenere a disposizione nel Comitato albanese di Prizren uno strumento pronto ad essere usato in qualsiasi evenienza favorevole, non era da pensarsi che la Jugoslavia stessa volesse prendere l’iniziativa di un’azione in Albania che avrebbe scatenato contro di essa la reazione russa, né era da pensarsi che Inghilterra e America potessero incoraggiarla in tal senso. Ho ripetuto al sig. Melas che la nostra politica verso l’Albania consiste nel propugnare l’indipendenza di quel paese, situato in zona d’interesse per noi vitale; e allo scopo di assicurare tale indipendenza siamo anche contrari ad azioni tendenti a rovesciare l’attuale Governo albanese, perché mentre ciò potrebbe da una canto rafforzarlo all’interno per legittima reazione patriottica, dall’altro potrebbe dar esca ad interventi stranieri, tali appunto da annullare o menomare l’attuale sia pur qualificata indipendenza del paese. Nella linea di tale politica, noi saremmo anche disposti ad emanare, insieme con la Jugoslavia e la Grecia, quella dichiarazione di rispetto dell’indipendenza e dell’integrità dell’Albania, per cui è stato recentemente fatto appello dal Comitato dell’Albania Libera di New York – ciò che del resto avevamo già tempo fa comunicato ad Atene.

Il sig. Melas ha obiettato che la Grecia ha delle rivendicazioni territoriali verso l’Albania (zone di Koritza e Argirocastro, c.d. Epiro settentrionale), e di ciò non ha mai fatto mistero; tali rivendicazioni essa peraltro desidera perseguire con mezzi pacifici e nell’ambito delle Nazioni Unite. Con tale riserva, la Grecia non avrebbe difficoltà a dichiararsi garante dell’indipendenza albanese. Da parte greca si ritiene tuttavia che, per il momento, il Governo di Roma e quello di Atene potrebbero far presente, soprattutto a Washington, il loro interesse a che lo statu quo non sia turbato in Albania; e, nell’esprimere la loro preoccupazione per le possibili intenzioni jugoslave, domandare che il Governo americano non ometta dall’informare e consultare Roma e Atene per tutto ciò che concerne l’Albania.

Siamo rimasti d’accordo, col sig. Melas, che sulla questione ci saremo ulteriormente tenuti in contatto attraverso la nostra ambasciata in Atene.

Atteggiamento nei riguardi del progettato patto del Medio Oriente. Nel rievocare le ultime fasi della nostra politica nei riguardi della questione del Canale di Suez e del conflitto anglo-egiziano, ho dichiarato al sig. Melas che il Governo italiano – il quale in definitiva aveva potuto anche trovare conforme agli interessi immediati dell’Italia l’esclusione di questa dalle potenze che invitarono l’Egitto, nell’ottobre scorso, alla partecipazione ad un patto del Medio Oriente – riteneva che in futuro, ricercata la formula di un componimento diretto del conflitto anglo-egiziano, l’Italia, così come anche la Grecia, non potevano restare estranee a tutto ciò che concerneva la navigazione nel Canale di Suez, e l’organizzazione politico-militare di un settore così vitale per esse come quello del Mediterraneo orientale. Già da alcuni Stati del Levante, il Libano e la Siria, si erano levate voci ad affermare che, in un eventuale patto del Medio Oriente, anche l’Italia e la Grecia avrebbero dovuto partecipare come elemento equilibratore, ed a garanzia stessa di una maggiore autonomia degli Stati arabi in seno all’Alleanza. Il Governo italiano si proponeva di svolgere azione perché dal maggiore numero di Stati arabi questa tesi fosse sostenuta e fatta valere.

Il sig. Melas mi ha detto che il Governo greco condivide pienamente questo modo di vedere ed è pronto a svolgere analoga azione. Se il Governo italiano è d’accordo, ai rappresentanti dei due paesi nelle capitali arabe potrebbero essere date istruzioni di tenersi in contatto per procedere di concerto nel senso indicato.

Credenziali ambasciatore al Cairo. Il sig. Melas mi ha detto che a Lisbona, con le sue dichiarazioni di un ottimismo che sembra rivelarsi ora esagerato o per lo meno prematuro, il sig. Eden aveva più o meno «tappato la bocca» a chi avrebbe voluto far presente l’urgenza di trovare una soluzione alla questione dell’accreditamento degli ambasciatori al Cairo. Gli interessi greci sono d’altra parte troppo importanti, e le insistenze egiziane su Atene sono troppo pressanti, perché il Governo greco tardi ancora ad inviare il suo ambasciatore al Cairo. Non si può fare a meno di attendere ulteriormente qualche settimana, ma se nel frattempo la situazione non sarà mutata, occorrerà prendere una decisione, forse sulla formula già proposta dalla Grecia e male accolta finora dal Governo inglese, di redigere cioè le credenziali come desiderano gli egiziani, dichiarando nello stesso tempo che ciò non ha alcun significato politico nei riguardi del futuro status del Sudan.

Abbiano convenuto che anche su quest’argomento i due Governi si manterranno in contatto attraverso l’ambasciata d’Italia in Atene.

Speciali questioni riguardanti i rapporti italo-greci. Il sig. Melas mi ha assicurato che la legge sul riconoscimento ufficiale della scuola italiana del Pireo è già dinnanzi al Parlamento greco, e sarà approvata e pubblicata prossimamente, di certo prima della fine del corrente anno scolastico.

Ho raccomandato al sig. Melas una maggiore liberalità nella concessione dei permessi di ingresso in Grecia ad italiani già residenti a Corfù ed a Rodi. Per quanto riguarda Corfù, il sig. Melas mi ha detto che oltre ai permessi già accordati, su personale interessamento del vice presidente Venizelos, qualche altro ne sarà accordato nel prossimo futuro, particolarmente quelli all’ammiraglio Mimbelli ed alla sua famiglia; ma bisogna tener conto in materia della tuttora viva suscettibilità dell’opinione pubblica ellenica, che rende necessario molto tatto e gradualità.

Per quanto concerne Rodi, il sig. Melas mi ha pregato di fargli conoscere, attraverso l’ambasciata in Atene, i casi particolarmente meritevoli di considerazione – per ragioni di famiglia od altre – di cittadini italiani che desidererebbero rientrare a Rodi, ed egli si adopererà perché siano esaminati con benevolenza. Non può d’altra parte dare assicurazioni per quanto riguarda i Padri francescani di Rodi. La comunità cattolica nel Dodecanneso ammonta infatti, secondi i dati risultanti ad Atene, a non più di cinquanta persone, e di frati e monache ve ne sono a Rodi una trentina: ciò che rende giustificata la richiesta degli ambienti ortodossi, che non si consenta il rientro o la sostituzione di tali religiosi, a mano a mano che si verificano delle morti o delle partenze.

A questo proposito, il sig. Melas mi ha illustrato la delicatezza della posizione del Governo greco nei riguardi della Chiesa cattolica, e le difficoltà che tutt’ora sussistono a dar corso al proposito, ventilato recentemente, di raccogliere in Grecia un delegato apostolico, o di stabilire normali rapporti col Vaticano accettando un internunzio.

Data infatti l’azione che da qualche tempo svolge il Governo sovietico per far di nuovo assumere al Patriarca ortodosso russo l’influenza di un tempo sulle chiese ortodosse dei Balcani e del Levante, a scapito del Patriarca greco in Costantinopoli, ogni mossa del Governo greco per un avvicinamento a Roma è sfruttata a Mosca come prova dell’asservimento della Chiesa ellenica a quella cattolica, e suscita quindi gravi e dannose ripercussioni di politica interna, e nei rapporti con le altre Chiese ortodosse, cui il Governo greco non può non essere sensibile.

404

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 2882. Washington, 4 marzo 19521.

Ho intrattenuto oggi a lungo l’Assistent Secretary per le N.U. Hickerson e gli ho esposti tutti i punti del telespresso n. 3/160/c. del 23 febbraio2 sul problema degli sforzi da impegnare nel prossimo futuro per assicurare – come nettamente promesso – la nostra ammissione all’O.N.U.

Hickerson mi ha ripetuto con molta chiarezza quello che brevemente mi disse il 30 gennaio e che allora comunicai3, cioè:

- gli Stati Uniti si rendono perfettamente conto del nostro diritto e della nostra ansietà di entrare e di esercitare una adeguata funzione nelle N.U.;

- essi non dimenticano né cercano di svalutare l’impegno che hanno preso con noi, di compiere ogni sforzo per raggiungere lo scopo, e perciò continuano a lavorare per trovare vie e mezzi appropriati all’intento che è di comune interesse;

- le loro idee non sono ancora mature per poter esserci comunicate; giacché vorrebbero esporci piani che non suscitassero illusioni, ma avessero invece una adeguata base di plausibilità tecnica e di pratica attuabilità;

- tali idee ci saranno rese note non appena possibile, e in ogni modo assai prima della nuova sessione dell’O.N.U.;

- nel frattempo, qualsiasi nostro eventuale suggerimento sarà accolto e studiato con vivo interesse.

Abbiamo parlato ancora una volta della possibilità di revisione della Carta e di definizione precisa del veto (casi o limiti). Hickerson giustamente teme che mai la Russia lascerà passare – senza vetarla – una restrizione anche minima del suo diritto illimitato di veto.

Uno dei due segretari presenti al colloquio, Mr. Allen, mi ha accennato alla possibilità di una più precisa definizione delle qualità e caratteristiche richieste ai candidati – dall’Assemblea – per l’ammissione. Se si trovasse il modo – senza incorrere in veto russo o abilmente evitandolo – di ottenere una simile precisazione in Assemblea, si potrebbe poi distinguere il caso italiano e di qualche altro Stato, da quello dei satelliti sovietici e bocciare questi ultimi, sempre in Assemblea, in un secondo tempo, dopo il voto del Security Council. Ma occorrebbe che una definizione precisissima, rendesse impossibile l’entrata dell’intero carrozzone, che gli Stati Uniti ed altri Alleati non vogliono.

In ogni modo, mi ha assicurato Hickerson, allo State Department si studia attentamente il problema da tutti i lati e secondo le più diverse possibilità, e non si dispera di trovare il bandolo prima della prossima sessione delle Nazioni Unite.

Ci manterremo in contatto, e se tra breve non mi farà sapere qualcosa dei progressi raggiunti, andrò a sollecitarlo.

Intanto, ogni suggerimento da Roma sarà utilissimo.

Hickerson mi ha dichiarato essere lietissimo e pieno di fiducia per la costruttiva cooperazione che l’ambasciatore Guidotti dà alla delegazione americana in ogni occasione.


404 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


404 2 Vedi D. 391.


404 3 Vedi D. 361.

405

L’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 2647/52. Atene, 5 marzo 1952, ore 18,45(perv. ore 7 del 6).

Telegramma di V.E. n. 351.

Ho avuto stamane lunga conversazione con Venizelos al quale ho opportunamente esposto argomentazioni di cui precitato telegramma V.E. in favore nomina generale italiano quale deputy dell’ammiraglio Carney. Tra l’altro in particolar modo attirato sua attenzione su vantaggi che ne deriverebbero alla Grecia in relazione necessità coordinazione e difesa interessi specificatamente mediterranei. Ho infine fatto intendere altresì necessità evitare intera questione venga riaperta.

Venizelos ha risposto si rende perfettamente conto del nostro punto di vista e delle ragioni di prestigio che lo accompagnano ma che, come ha avuto modo far presente ministro Pacciardi, «soluzione proposta porta in sé germi future reciproche incomprensioni e dissensi che è necessario evitare». Ha aggiunto comunque attuale Governo greco non è assolutamente in grado di presentare tale soluzione a questa opinione pubblica.

Secondo Venizelos soluzione migliore ed «atta anche a dare ad italiani un comando effettivo e non solo fittizio» è quella di dividere Mediterraneo in due zone, occidentale ed orientale, la prima comandata da generale italiano e seconda da un generale od ammiraglio americano direttamente dipendente da Eisenhower ed avente alle sue dipendenze esercito greco e turco.

Averoff ex deputato che ho pure visto stamane, afferma che anche Governo turco si opporrà fermamente nomina deputy italiano.

Ho intrattenuto in proposito questo ambasciatore degli S.U. il quale ha sempre qui tenuto atteggiamento particolarmente comprensivo ed amichevole nei riguardi nostro paese e sul cui appoggio so di poter contare. Egli mi ha detto trovare nostra tesi ragionevole e nostra proposta degna del più attento esame. Ha aggiunto che esporrà domani nostro punto di vista ad Eisenhower e che mi farà riservatamente conoscere le reazioni del generale.

Mi riservo telegrafare in proposito dopodomani venerdì dopo la partenza di Eisenhower da Atene2.


405 1 Vedi D. 398.


405 2 Vedi D. 411.

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. segreto personale 3/200/c.1. Roma, 5 marzo 1952.

Facendo seguito a precedenti comunicazioni trasmetto, qui unita, copia delle istruzioni2 dirette all’ambasciatore Guidotti in merito al progetto di ricostruzione del T.L.T. prospettatogli da Bebler.

Sulla scorta degli elementi già trasmessi a codesta ambasciata e di quelli contenuti nelle sopracitate istruzioni, l’E.V. vorrà chiarire a codesto Governo come ci si trovi in realtà di fronte ad una nuova manovra del Governo jugoslavo il cui fine tattico e propagandistico è più che evidente.

Anche a volerla esaminare nel merito la soluzione prospettata appare per altro subito come un peggioramento di quella stessa che era stata contemplata nel trattato di pace. Sottraendo il T.L.T. ad ogni controllo del Consiglio di sicurezza (col pretesto di togliere di mezzo l’U.R.S.S.) essa avrebbe infatti come conseguenza, attraverso la paralisi amministrativa provocata dall’ibrido e non funzionale sistema di Governo progettato, di mantenere la regione in uno stato perpetuo di caos, propizio soltanto a quella azione di penetrazione propria alla libertà d’azione e alla spregiudicatezza dei regimi totalitari. Nessun beneficio ne trarrebbero i rapporti italo-jugoslavi, e neppure il consolidamento della pace nel settore adriatico: gli uni e l’altro anzi sarebbero esposti a pericolose involuzioni.

Aderendo al suggerimento di esplorare la possibilità di un accordo diretto italo-jugoslavo, il Governo italiano ha svolto con riservatezza e senso di responsabilità i sondaggi necessari nell’ovvio presupposto che una soluzione della questione debba ricercarsi partendo dalla premessa – riconosciuta dalle tre grandi potenze – della inapplicabilità della soluzione progettata nel trattato e sostenuta ancora soltanto dal Governo sovietico e dai partiti cominformisti per motivi che servono esclusivamente gli interessi dell’U.R.S.S.

La soluzione proposta da parte italiana, e da noi considerata come la più idonea a realizzare la pacificazione degli animi e lo stabilimento di rapporti di cooperazione fra Italia e Jugoslavia, è e rimane quella di una linea etnica nel quadro della Dichiarazione tripartita3.

Nell’esporre quanto precede l’E.V. vorrà comunicare che di fronte al comportamento jugoslavo, palesemente diretto con la presentazione di successivi contrastanti progetti, a confondere idee e situazioni, e convinti non solo del nostro buon diritto, ma anche del buon fondamento della nostra posizione, non ci opporremmo ad una consultazione democratica con garanzie e controllo internazionali. Riconosciuta cioè la impossibilità di dar vita, sotto qualsiasi forma, al Territorio Libero, premessa questa da cui è derivata la Dichiarazione tripartita, e convinti che, partendo da tale premessa, la Dichiarazione stessa costituisca l’unica soluzione che si adegua alle condizioni di fatto, il Governo italiano, per dare a tale asserto il conforto di una prova ulteriore, non si opporrebbe a che la popolazione direttamente interessata – quella cioè compresa nei limiti indicati dagli art. 4, 21 e 22 del trattato di pace – sia liberamente posta in grado di manifestare a maggioranza di voti, la propria volontà di ricongiungersi all’Italia.

Attiro la sua attenzione sull’unito esposto4 in cui sono contenute alcune osservazioni sulla questione del plebiscito. Ella ne potrà anche trarre orientamento nelle sue conversazioni costà, onde siano tenute presenti le condizioni cui la prospettata consultazione popolare è subordinata per quanto riguarda le alternative, la estensione territoriale del plebiscito, le sue modalità di organizzazione nonché, infine le garanzie fondamentali da ottenere.


406 1 Diretto per conoscenza alla legazione a Belgrado ed alla rappresentanza presso l’O.N.U.


406 2 Vedi D. 400.


406 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


406 4 Vedi D. 400, nota 5.

407

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

L. 3/192. Roma, 5 marzo 1952.

Con lo stesso corriere ti vengono date istruzioni1 perché tu dia a Bebler la risposta di cui siamo in debito verso di lui. Da un’altra comunicazione vedrai che anche Martino scrive proponendo, come te, che si cerchi di bloccare l’ultima proposta jugoslava apparentemente generosa, ma sostanzialmente insidiosa e ispirata a puri motivi propagandistici e tattici con una proposta dello stesso tipo e cioè con la proposta del plebiscito.

In questi giorni abbiamo studiato a lungo la cosa e questo ti spiega il ritardo con cui scriviamo. La proposta di cui trattasi è una di quelle che sono facili ad esprimersi genericamente, ma quando la si esamini da vicino presenta sopratutto per la sua formulazione ed in vista di una sia pur remota possibilità di accettazione, difficoltà di cui bisogna tenere il massimo conto.

Innanzi tutto una proposta di plebiscito potrebbe ingenerare nell’opinione pubblica interna ed internazionale l’impressione che da parte nostra si abbandoni la Dichiarazione tripartita2: il che è da evitare per motivi che non ho bisogno di spiegarti. Ne è derivata l’idea di conferire al plebiscito il carattere di una convalida democratica della Dichiarazione tripartita. Anche qui tuttavia occorre tenere presente il pericolo che Tito, con uno di quei gesti spregiudicati che possono fare i dittatori, dichiarandosi non interessato ad annettere il Territorio Libero, cerchi di far scivolare il plebiscito sull’alternativa: applicazione della Dichiarazione tripartita oppure indipendenza. Cosa questa estremamente pericolosa.

In secondo luogo, per i noti rischi cui potrebbe condurre il gioco dei voti nelle varie alternative, è da evitare che la presentazione del generico concetto di una consultazione sia per quanto riguarda la formula del plebiscito (ad esempio Italia-Jugoslavia-indipendenza) o la estensione territoriale sul quale esso dovrebbe aver luogo.

Si tratta dunque per noi di conciliare la salvaguardia della Dichiarazione tripartita con la salvaguardia dei pericoli che dall’adozione del principio di un referendum possono derivare.

Quanto precede per spiegarti, meglio che non lo si possa fare nella lettera ufficiale di istruzioni, la nostra insistenza nel considerare che la Dichiarazione tripartita è la diretta conseguenza della constatazione delle impossibilità di dar vita sotto qualsiasi forma al Territorio Libero. Questa è la necessaria premessa dalla quale derivano i termini nei quali la proposta dell’eventualità del plebiscito viene da noi affacciata, e che si riassumono per conseguenza nell’alternativa: Italia o Jugoslavia. In questo quadro è da intendersi esclusa qualunque altra possibile soluzione così come è da intendersi che il votare per l’Italia costituisce esplicitamente o implicitamente la conferma democratica della Dichiarazione delle tre potenze.


407 1 Vedi D. 400.


407 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

408

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 1201/685. Londra, 5 marzo 19521.

Nel corso di un colloquio con uno dei miei collaboratori, il capo del Dipartimento O.N.U. al Foreign Office ha espresso tutto il suo rammarico che il lavoro compiuto nel corso dell’ultima Assemblea non fosse valso ad assicurare la nostra ammissione alle Nazioni Unite. Egli aveva molto ammirato l’intensa attività svolta a tale scopo dall’ambasciatore Guidotti; e non ha nascosto di essere rimasto alquanto sorpreso che, nel corso delle riunioni parigine, si fosse registrato un improvviso mutamento nell’atteggiamento americano a tale riguardo, mutamento che egli attribuiva al prevalere dell’influenza degli anti-russi ad oltranza.

Per quanto riguarda le nostre future possibilità di ammissione, Parrott riconosceva pienamente la necessità di studiare prima della prossima Assemblea le vie da seguire, ma non appariva nell’insieme molto ottimista. L’idea di una riforma dell’articolo dello Statuto dell’O.N.U. relativo alle condizioni di ammissibilità, affacciata a titolo personale dal ministro di Stato Lloyd (mio telespresso 1062/592 del 26 febbraio)2 gli sembrava estremamente difficile da realizzare, anche se a prima vista appariva allettante e pareva offrire la possibilità di una via d’uscita dal vicolo cieco in cui ci si trova attualmente.

Secondo il Foreign Office, infatti, due ordini di ragioni si oppongono al ricorso alla riforma statutaria. Anzitutto si considera che, essendo possibile fare uso del veto anche per ogni modifica dello statuto, l’U.R.S.S. non consentirebbe mai un mutamento dell’articolo relativo alle condizioni di ammissibilità se non in un senso che assicuri l’ingresso all’O.N.U. dei suoi satelliti: e se gli inglesi, più portati almeno in teoria al principio dell’universalità dell’O.N.U., potrebbero vedere con non eccessivo sfavore un tale sviluppo, qui si nutrono seri dubbi che gli Stati Uniti sarebbero disposti ad accettarlo. In secondo luogo, e questo è forse l’aspetto più importante della questione, il Foreign Office ritiene che – se una modifica dell’articolo 4 può apparire utile od opportuna per risolvere il problema delle ammissioni – d’altra parte è molto dubbio, sotto il profilo politico generale, che si possa affrontare la grossa questione di una riforma dello Statuto dell’O.N.U. confinandola soltanto a tale articolo; se di riforma, infatti, si deve discutere, essa deve anche vertere su più importanti problemi (fra cui quello dell’uso del potere di veto) che oggi non sembrano certo risolvibili.


408 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


408 2 Non pubblicato.

409

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata 171. Parigi, 5 marzo 1952.

L’intervista di Tito circa il progetto jugoslavo per la soluzione della questione di Trieste ha destato molto interesse allo S.H.A.P.E. Sono stato discretamente avvicinato per sapere se c’era qualche cosa di vero e se ritenevo che la proposta potesse essere accettata da noi. Non ho accennato alle conversazioni Guidotti-Bebler1, ma ho approfittato del fatto che, ormai, la questione era pubblica, per spiegare le ragioni per cui la proposta non era in nessun caso da noi accettabile. Ho anche spiegato le grossissime difficoltà che avevamo noi per poter presentare di fronte al Parlamento delle proposte di soluzione anche in sé ragionevoli.

Questa conversazione non avrebbe avuto in sé nessuna importanza, se non che il mio interlocutore (americano) non mi ha nascosta la sua soddisfazione di sentire che noi non avremmo accettata la proposta di Tito e che un accordo nostro con la Jugoslavia non era né probabile né, comunque, vicino. Mi ha spiegato abbastanza chiaramente come da parte S.H.A.P.E. non si vedrebbe con piacere un cambiamento della situazione attuale a Trieste in quanto essa domanderebbe l’allontanamento delle truppe americane: sebbene esse dipendano dall’O.N.U. e non da S.H.A.P.E., essi ritengono di grossa importanza la permanenza di truppe americane sul posto, dato anche che, in vista delle reticenze italiane, in via politica, ad accettare truppe americane sul suo territorio (sono le sue parole), una soluzione che fosse l’attribuzione di tutta la Zona A all’Italia creerebbe delle complicazioni e non sarebbe vista con favore da S.H.A.P.E.

Come tu sai, sono sempre restio a considerare quello che mi dice un americano – anche se persona abbastanza importante di S.H.A.P.E. – come la voce dell’America: si tratta tuttavia di un punto di vista, sia pure soltanto di qualche persona, di cui potrebbe essere interessante tener conto, e magari informarsi discretamente se esso abbia del seguito in America. Se non ho male interpretato il pensiero nostro, mi sembra che noi vogliamo evitare una soluzione e temiamo soprattutto delle pressioni forti americane nel senso di un accordo.

Se ci sono dei circoli americani che per varie ragioni non desiderano questo accordo, ciò può fare il nostro giuoco. È vero che il desiderio degli americani di restare a Trieste può sembrare pericoloso anche in altro senso...


409 1 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329 e 362. L’ultimo colloquio ebbe luogo il 12 marzo, vedi D. 423.

410

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 2706/80. Londra, 6 marzo 1952, ore 22,40(perv. ore 7,30 del 7).

Telegramma di V.E. 2133/c.1.

Come è noto a V.E. Foreign Office era stato tenuto costantemente al corrente da questa ambasciata varie fasi conversazioni italo-jugoslave.

Harrison, da cui Theodoli si è recato stamane, si era perciò già potuto rendere pienamente conto incompletezza e tendenziosità esposizione fatta da Mates ad ambasciatore britannico su andamento negoziati. Da parte nostra è stata ribadita malafede che ispira proposte jugoslave ed è stato sottolineato come indiscrezioni siano partite da giornali titini ed indipendentisti.

Harrison ha confermato che Foreign Office conviene con noi su inaccettabi-lità ultime proposte jugoslave che considera un regresso persino rispetto trattato pace. Anche stampa nelle sue brevi notizie in argomento è stata sin dall’inizio bene intonata.

Dato quanto precede mi sembrerebbe tuttavia opportuno si faccia il possibile per evitare in questa fase che accese campagne di stampa indeboliscano forte posizione che abbiamo saputo crearci presso Alleati con nostro misurato atteggiamento nel corso trattative.

Segue rapporto2.


410 1 Vedi D. 402.


410 2 L. segreta 1274 del 7 marzo, non pubblicata.

411

L’AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 2722/55. Atene, 7 marzo 1952, ore 13,50(perv. ore 15).

Mio telegramma n. 52 del 5 corr.1.

Durante la giornata di ieri ho avuto nuove conversazioni con questo ambasciatore americano, con capo missione militare americano generale Hart ed infine lungo colloquio con generale Gruenther circa opportunità nomina generale italiano quale deputy dell’ammiraglio Carney e conseguente necessità superare resistenza contro tale nomina. Tali resistenze si erano rivelate particolarmente aspre da parte del generale Grigoropolous e dei tre capi Stati Maggiori ellenici. Generale Eisenhower, al quale Peurifoy, Gruenther e Hart hanno sottoposto nostre argomentazioni segnalandone fondatezza e vantaggi, ha approvata nostra tesi respingendo ultimi tentativi contrariamente fatti in serata da Grigoropolous al quale ha infine personalmente chiesto aderire soluzione da noi proposta. Peurifory si è per parte sua incaricato persuadere Venizelos e membri del Governo.

Stamane Peurifoy mi ha comunicato che, in linea di massima, e con ovvie riserve approvazione ammiraglio Carney, nostra richiesta è stata accolta.

Poco dopo Venizelos mi ha comunicato che Governo ellenico accetta deputy italiano2.


411 1 Vedi D. 405.


411 2 Con T. s.n.d. 3131/60 del 15 marzo Alessandrini comunicò che, a seguito della ferma opposizione turca alla proposta italiana, il Governo greco si riservava di rivedere la sua decisione in proposito. Per il seguito vedi D. 598.

412

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. s.n.d. 2748/10. New York, 7 marzo 1952, ore 19,25(perv. ore 9 dell’8).

Ho ricevuto dispaccio n. 3/191 del 3 corrente1.

Pur tenendo presente giustissime osservazioni di cui tua lettera in pari data2, mi domando se non sarebbe più corrispondente nostri scopi che nel fare a Bebler comunicazione prescrittami esponessi proposta plebiscito con dettagli e garanzie contenute nel promemoria annesso3 che invece mi viene comunicato soltanto «per conoscenza ed eventuale norma di linguaggio».

Dico questo per tre principali ragioni

1) carattere propagandistico nostra proposta sarebbe meno evidente, sua efficacia per contro maggiore;

2) sua connessione con Dichiarazione tripartita4, cui assoluta necessità mi rendo conto ma che non può non diminuire valore propagandistico proposta, apparirebbe più naturale giustificata;

3) delimitando nettamente termini proposta e garanzie fondamentali sua esecuzione sarebbe più facile presentarla opinione pubblica interna rendendone così possibile, analogamente a quanto ha fatto Tito sua eventuale divulgazione. Inoltre mettendo Jugoslavia di fronte proposta concreta (e secondo ogni previsione inaccettabile) si renderebbe più probabile loro rifiuto restringendo al tempo stesso campo loro eventuali controproposte.

Ti prego telegrafarmi se approvi. Naturalmente farei a Bebler comunicazione verbale, anche se dettagliata, analogamente a quanto egli fece a Parigi5.


412 1 Vedi D. 400.


412 2 Vedi D. 407.


412 3 Vedi D. 400, nota 5.


412 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


412 5 Per la risposta vedi D. 414.

413

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo 2984/1259. Washington, 7 marzo 19521.

Telespresso urgente n. 2752/1127/011 del 29 febbraio u.s.2.

L’attribuzione alla Jugoslavia, decisa a conclusione delle recenti conversazioni tripartite sull’assistenza economica a tale paese, d’un aiuto addizionale di 45 milioni di dollari, a valere fino al 30 giungo p.v., è stata caratterizzata, in un certo senso, da una assoluta mancanza di commenti da parte della stampa e degli ambienti politici. In sostanza, la decisione è qui apparsa per quella che è, e cioè una misura di ordine esecutivo nel quadro di principi direttivi già fissati da tempo.

Tale interpretazione ci è stata del resto confermata anche al Dipartimento di Stato ove si è tenuto a ricordare come l’accordo, con il quale i Governi degli Stati Uniti, Regno Unito e Francia si sono impegnati nell’assistenza comune alla Jugoslavia, preveda in argomento consultazioni periodiche tra di essi. Mentre ciascuno dei tre Governi resta libero di concorrere negli aiuti secondo il proprio apprezzamento della situazione jugoslava e nei limiti delle proprie possibilità, scopo delle consultazioni stesse è quello di fare concordemente il punto, in base agli elementi di giudizio in possesso dei tre Governi, circa le esigenze jugoslave e l’ordine di grandezza degli aiuti che appaiono indispensabili per assicurare la saldatura della bilancia dei pagamenti del paese in un determinato periodo. Questa è appunto la ragione, si aggiunge al Dipartimento di Stato, della periodicità delle consultazioni stesse, della relativa brevità dei periodi presi in esame, della impossibilità infine di fare delle previsioni esatte circa l’andamento di periodi successivi e il conseguente comportamento dei tre Governi sulla eventuale continuazione degli aiuti.

Le recenti consultazioni non sarebbero pertanto servite che a confermare, si rileva con una certa, se non forse eccessiva, enfasi al Dipartimento di Stato, ancora una volta il carattere di temporaneità, elasticità e relatività che ha l’accordo tripartito. Per quanto poi concerne in particolare il criterio economico in base al quale è stato fissato l’ammontare degli aiuti fino al 30 giugno, questi è consistito – e del resto l’accordo tripartito stesso non mira che ad assicurare degli aiuti «tampone» – nella considerazione dell’andamento della bilancia dei pagamenti del paese ricevente.

Circa eventuali sviluppi futuri, non si è escluso infine, dietro nostra richiesta e benché al Dipartimento ci si trinceri dietro le argomentazioni sopra riferite per non fare previsioni sull’avvenire, che ulteriori scambi di idee in argomento tra i tre Governi possano di nuovo aver luogo a scadenza assai breve e, almeno quale ipotesi teoretica, si è anche ammesso che consultazioni potrebbero essere estese, se del caso, ad altri paesi eventualmente e direttamente interessati.

Nel complesso, dalle spiegazioni fornite dal Dipartimento di Stato si è tratta l’impressione che da parte ufficiale americana si tenga a far apparire che l’assistenza tripartita alla Jugoslavia, concessa sulla base della premessa politica generale secondo cui è opportuno sostenere Tito dato il suo distacco da Mosca e in relazione al suo progressivo avvicinamento all’Occidente, è strettamente limitata e proporzionata alle effettive esigenze economiche di tale paese nel quadro dei suoi scambi con il mondo libero. Una siffatta impostazione del problema dovrebbe quindi fare escludere di per se stessa, che gli aiuti alla Jugoslavia presuppongano una determinata evoluzione del regime sul piano interno o debbano comportare certe determinate conseguenze e siano legati a particolari condizioni di analoga portata. Evidentemente il Dipartimento per ovvia mostra di opportunità politica, non potendo e non volendo usare troppo l’azione economica per forzare il Governo di Tito a metamorfosi nel campo interno deve presentare le sue decisioni sugli aiuti come determinati strettamente da fenomeni economici interni jugoslavi.

Ciò non toglie che il fattore della politica interna jugoslava sia oggetto da qualche tempo a questa parte di sempre più frequenti e ammonitrici corrispondenze apparse su questa stampa nelle quali vengono considerati anche i fenomeni economici. In particolare il New York Times sta esaminando in una serie di corrispondenze da Belgrado la revisione, nel senso di un ritorno a principi strettamente comunisti, che starebbero effettuando i dirigenti jugoslavi nei riguardi di situazioni e orientamenti interni in campo politico-economico-sociale. Anche il Christian Science Monitor avverte l’opinione pubblica americana dell’errore psicologico in cui è caduto il popolo jugoslavo che ha creduto ad una dato momento che un avvicinamento al mondo libero, in politica estera, del Governo di Tito significasse anche un graduale contemporaneo ritorno ad un regime di libertà interna.

Sul piano strettamente economico esistono del resto, e ciò anche spiega la prudenza del Dipartimento di Stato nel parlare di eventuali sviluppi nell’assistenza tripartita alla Jugoslavia, sostanziali difformità di interpretazioni dell’andamento della bilancia dei pagamenti del paese. Secondo alcuni osservatori, infatti, una parte del deficit jugoslavo negli scambi con l’estero potrebbe essere agevolmente eliminata mediante un adeguato alleggerimento del programma di sviluppo dell’industria pesante che permettesse, con una migliore utilizzazione delle risorse nazionali e degli aiuti stessi, una maggiore produzione per l’importazione.

Si trasmette in allegato, per informazione e documentazione, il testo di alcune delle corrispondenze sopra citate2.


413 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


413 2 Non pubblicato.

414

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI

T. s.n.d. 2286/12. Roma, 8 marzo 1952, ore 22,20.

Suo 101.

Bisogna avvertire che una iniziativa formale presa da noi stessi per il plebiscito sembrerebbe mettere in dubbio il punto di partenza cioè la Tripartita. Conviene quindi che il plebiscito risulti semplicemente come un’ulteriore prova di buona volontà per avallo dell’impegno alleato. V.S. abbia presente che non abbiamo ancora deciso se e quando rendere pubblica proposta. Ciò in attesa conoscere reazioni anglo-americane e anche perché ci risulta che a Londra e Washington, dove atteggiamento e proposte jugoslave vengono disapprovati, e dove per contro si è venuta rafforzando nostra posizione, si sta esaminando questione. Che se proposta venisse subito respinta da Belgrado potrebbe anche convenirci limitarci darne notizia ad Alleati come nuova prova nostra buona volontà e intransigenza jugoslava, e non (dico non) darle pubblicità almeno per ora.


414 1 Vedi D. 412.

415

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 373/232. Ankara, 10 marzo 1952(perv. il 13).

Questo ministro degli esteri mi ha detto che la questione del Medio Oriente è sempre in una fase di arresto, giacché occorre attendere il risultato delle conversazioni che Egitto e Inghilterra si apprestano a riprendere.

Fuad Köprülü si è dichiarato fiducioso nell’azione di Governo del nuovo presidente del Consiglio egiziano Hilali, del quale ha rilevato con simpatia i primi provvedimenti presi. Anche la stampa turca, ispirandosi evidentemente a una nota dall’alto, approva la sospensione per un mese del Parlamento egiziano e la prospettiva di nuove elezioni, pur facendo rilevare che un insuccesso elettorale del Walf potrà essere scontato solo se le conversazioni anglo-egiziano approderanno a un risultato positivo.

Su questo punto il ministro Köprülü ha constatato che il margine di trattativa su ambedue le questioni da discutere, e cioè sull’evacuazione del Canale e sul Sudan, è purtroppo assai ristretto. E perciò tutte le difficoltà sostanziali permangono. Nondimeno, se si vuol dar inizio all’organizzazione difensiva del Medio Oriente, mi ha detto il ministro, è indispensabile risolvere la crisi egiziana. Köprülü ha insistito con particolare forza sul suo convincimento che l’Egitto è il caposaldo dell’organizzazione medio-orientale. Mi ha confermato a questo riguardo che non è possibile venire a un accordo coi paesi arabi, interessati alla difesa di questo settore, se l’Inghilterra non comincia col mettersi d’accordo con l’Egitto.

Resta infatti un cardine immutato della politica turca di considerare la collaborazione dei paesi arabi un elemento indispensabile all’organizzazione del Comando medio-orientale. Su questo punto Fuad Köprülü è stato con me assai preciso.

A quanto il ministro mi ha fatto intendere, la Turchia non ha del resto uno speciale interesse ad affrettare la soluzione di questi problemi. Essa ne ha altri, di più urgente interesse, sul tappeto, che assorbono ora la sua attenzione e che si riferiscono all’inquadramento delle sue forze nello S.H.A.P.E. La battuta di arresto le consente di lasciare per ora la questione del S.A.C.M.E. in secondo piano.

Un punto interessante nella conversazione col ministro è stato l’accenno da lui fattomi che Nahas Pascià aveva promesso, quando era al Governo, di venire in visita ad Ankara. Il che dimostra che la Turchia sta perseguendo un’attiva politica di riavvicinamento all’Egitto e di più intima collaborazione coi paesi arabi, come è del resto evidente dal tono assunto, in questi ultimi tempi, dalla stampa. Questo raddrizzamento della politica turca risponde alla personale linea d’azione che il ministro Fuad Köprülü ha sempre patrocinato, ma che qualche volta ha urtato contro la direttiva più ligia a una stretta collaborazione con le potenze occidentali voluta dal primo ministro Adrian Menderes. Il raddrizzamento predetto incontra il favore, come altre volte ho accennato, dell’opinione pubblica turca, contraria ad alienarsi le simpatie degli arabi e diffidente verso gli orientamenti della politica britannica e di quella francese. Ho motivo di ritenere che in questo orientamento la Turchia è, come sempre, in perfetta linea con gli americani, che qui non fanno mistero delle loro critiche alla politica britannica e delle loro preoccupazioni sulla situazione medio-orientale in genere. Mi è stato ad esempio segnalato, da uno di essi, che l’evacuazione della base britannica dalla zona del Canale importerebbe la spesa di circa un miliardo e mezzo di dollari; né vi sarebbe da pensare a un suo trasferimento a Gaza giacché si tratta di una zona troppo ristretta che mal si presta a tal uso.

Lo stesso informatore americano, che era tornato da un giro nell’Irak e nell’Iran, mi ha detto che il primo ministro Nuri Said, unico sostegno dell’Inghilterra nell’Irak, è completamente isolato e sempre sotto la minaccia di un attentato da parte di un fanatico. Quanto all’Iran, l’intransigenza di Mossadeq starebbe portando il paese a un completo collasso. È vero che i raccolti quest’anno sarebbero eccezionalmente buoni, ma l’unica grande risorsa, il petrolio, resta e minaccia di restare ancora per lungo tempo inutilizzata, mentre lo Stato si trova ormai nell’impossibilità di eseguire i suoi pagamenti. Si calcola – mi ha precisato l’informatore – che entro il corrente mese il Governo iraniano avrà esaurito tutte le sue disponibilità di cassa.

416

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. s.n.d. 2353/42. Roma, 11 marzo 1952, ore 23.

Propaganda per conferenza economica Mosca minaccia portare turbamento animi ed equivoci pericolosi. Sarebbe utile che, a seguito scambi idee già intervenuti in sede Consiglio sostituti, potenze N.A.T.O. esprimessero almeno valutazione comune, anche se non fossero possibili eguali misure pratiche.

Dichiarazione potrebbe essere fatta da Consiglio sostituti e dovrebbe svalutare iniziativa perché non contiene nessun provvedimento atto a garantire oggettività e serietà economica, non è preceduta da condizioni ambientali favorevoli a libera discussione, e si annunzia come strumento di propaganda contro politica di difesa occidentale.

V.E. prenda iniziativa proposta e ci dia subito ogni informazione. Per Governo italiano dichiari che esso intende sconsigliare in tutti i modi intervento; ritiene però inefficace diniego passaporti individuali per U.R.S.S., data facilità passare attraverso Austria. Pregola informare ambasciata di quanto precede perché appoggi iniziativa presso Foreign Office1.


416 1 Con T. s.n.d. 3254/96 del 19 marzo Straneo informava che la maggioranza dei sostituti, pur condividendo la posizione italiana, non riteneva opportuna una dichiarazione congiunta in argomento. Per il seguito della questione vedi D. 445.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. s.n.d. 2367/204. Roma, 11 marzo 1952, ore 23.

In prossima riunione Comitato ministri Consiglio d’Europa verrà esaminata nota raccomandazione Assemblea per istituzione autorità politica federativa. Le sono note intenzioni attribuite Adenauer di incaricare Assemblea Strasburgo studiare progetto federazione da sottoporsi a suo tempo ad Assemblea C.E.D. Quest’ultima, d’altra parte, in base noto art. 7H trattato C.E.D., dovrebbe essere incaricata anche compito studiare coordinamento fra autorità specializzate esistenti e fra relative Assemblee. Mentre è nostro evidente interesse non svalutare compiti assegnati a futura Assemblea C.E.D., e mantenere quindi sviluppo garantito da un trattato con suddetto articolo 7H, dobbiamo pure tenere presente che appare difficile ignorare del tutto esistenza Strasburgo dove sono rappresentati anche paesi che non fanno parte né C.E.D. né piano Schuman, ma la cui collaborazione è comune interesse conservare e possibilmente potenziare.

Non saremo perciò contrari studiare qualche forma collegamento sino da ora, da proporsi in prossima riunione Comitato ministri, e ciò anche per evitare orientamenti o decisioni non conformi nostri interessi. A tal fine pregola prendere contatto con Quai d’Orsay per opportuno preliminare scambio idee e per concordare eventuale comune atteggiamento. Prego dare visione presente telegramma a Cavalletti1.


417 1 Per la risposta vedi D. 424.

418

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 11 marzo 1952.

Austria - Viaggio Gruber1. L’impostazione da noi data al viaggio del ministro degli esteri austriaco – motivo privato del viaggio (invito per una conferenza), visita di cortesia a S.E. il presidente del Consiglio, colloquio di carattere generale sui problemi politici di comune interesse – deve valere anche a porre in secondo piano le questioni alto-atesine che erano inizialmente all’origine del desiderio del ministro Gruber di recarsi a Roma.

La firma dell’accordo culturale, nel frattempo perfezionato, che potrà effettuarsi in questa occasione, servirà pure, per quanto possibile a togliere ogni connessione fra il suddetto viaggio e lo scopo che, anche per ragioni di politica interna austriaca, il dott. Gruber si era in principio prefisso2.

Non vi è dubbio tuttavia che il ministro austriaco cercherà di abbordare con V.E. anche taluni aspetti dell’accordo di Parigi. Al riguardo si fa riferimento all’Appunto redatto dal cons. Innocenti3.

2. Il trattato di Stato austriaco. Questo problema che si trascina da oltre quattro anni (vedasi l’allegato Appunto A per i precedenti e la cronologia)4 interessa anche l’Italia per un duplice ordine di considerazioni:

in primo luogo, perché da parte dell’U.R.S.S. si è tentato di stabilire una connessione tra il problema austriaco e quello di Trieste, insistendo sull’esecuzione del trattato di pace italiano per quella parte, già superata dalla Dichiarazione tripartita, che riguarda la costituzione del Territorio Libero;

in secondo luogo, perché il destino dell’Austria, paese confinante, non può esserci indifferente.

Circa la possibile connessione Austria-Trieste, Stati Uniti, Inghilterra e Francia hanno sinora opposto alla richiesta russa, definendola una manovra dilatoria, un netto rifiuto, mentre anche l’Austria ha protestato per l’ingiustificato abbinamento dei due problemi.

Circa il cosidetto «Staatsvertrag» si sta delineando una iniziativa dell’Occidente per trarre la questione austriaca fuori dal punto morto in cui è venuta a trovarsi dopo il fallimento della progettata conferenza dei sostituti a Londra. Si tratta di un piano, di marca americana, al quale hanno aderito con molta cautela inglesi e francesi. Esso consiste nell’accantonare il vecchio progetto di trattato, che dopo quattro anni di discussioni poteva ormai dirsi concordato nelle sue grandi linee e di sostituirlo con un nuovo progetto, molto più favorevole per l’Austria, il quale annullerebbe praticamente tutte le concessioni già fatte all’U.R.S.S. nel corso delle discussioni del precedente progetto.

Appare perciò problematico, e sembra che gli autori del piano non si facciano illusioni in proposito, che l’U.R.S.S. possa accettare le nuove proposte, modificando tutto il suo precedente atteggiamento. Viene perciò da domandarsi quale potrà essere l’ulteriore mossa dell’Occidente, nel caso di un nuovo rifiuto russo.

L’eventualità di una pace separata è stata smentita dagli occidentali e dagli stessi austriaci. Resterebbe la possibilità di portare la questione all’O.N.U., eventualità che, a giudicare da alcune dichiarazioni di Gruber e di altre personalità austriache, potrebbe essere considerata con favore in Austria. Ma, sia in un caso che nell’altro, l’azione degli occidentali appare condizionata a quelle che potrebbero essere le reazioni russe. Queste possono andare dalle semplici restrizioni ai traffici tra la zona russa e le altre zone di occupazione, fino ad attuare una vera e propria divisione del paese come è accaduto in Germania.

Non risulta finora una deliberata volontà di una delle due parti di giungere a tale estrema conseguenza, ma si profila tuttavia il rischio che, attraverso azioni e reazioni concatenate, si giunga per gradi alla rottura di quell’equilibrio che ha finora consentito all’Austria di restare unita.

Da parte americana, si può notare una marcata insofferenza per le crescenti spogliazioni di macchinari, prodotti e materie prime (petrolio) che la Russia sta effettuando nella sua zona – sicché gli aiuti americani all’Austria vengono in parte indirettamente assorbiti dall’U.R.S.S. – nonché un orientamento dell’elemento militare statunitense verso il potenziamento delle proprie basi in Austria (si sta studiando a Salisburgo la costruzione di impianti secondo un piano che s’ispira all’esempio di Livorno).

Vi sono quindi degli elementi che potrebbero a poco a poco indurre gli americani a subordinare il principio della integrità dell’Austria a nuove considerazioni di ordine militare. Questa ipotesi è stata avvalorata da alcune preoccupazioni che sono affiorate da parte francese e inglese, e anche austriaca, nei riguardi dell’iniziativa americana. Da parte nostra abbiamo dato incarico agli ambasciatori a Londra e Parigi di sondare quei Governi, per conoscere l’esatta situazione e far presente che, se le circostanze richiedessero una opportuna azione moderatrice, avremmo potuto anche noi esprimere un avviso dettato dalla nostra stessa esperienza.

Appare utile che Gruber sappia che noi siamo pienamente consapevoli della necessità di un’esistenza libera ed indipendente del suo paese. Siamo convinti che un’Austria ridotta alla sola parte occidentale non sarebbe vitale e tenderebbe per forza di cose ad una unione con la Germania che non corrisponderebbe, né alle aspirazioni del paese, né agli interessi europei.

Situazione interna austriaca. La situazione è caratterizzata in primo luogo dalle conseguenze che derivano sul piano interno dall’occupazione. Questa intralcia la libertà di movimenti – specie fra la zona sovietica e le altre zone – grava sull’economia del paese che deve pagare le spese di occupazione (ad eccezione di quelle americane), intralcia la libera applicazione della decisione del Governo e dell’Amministrazione. In zona sovietica l’occupazione pesa particolarmente sulle imprese economiche, crea un senso di insicurezza, favorisce le mene comuniste e dà luogo ad arbitrarie interferenze nelle amministrazioni.

La ricostruzione economica, iniziatasi e proseguitasi soprattutto con gli aiuti americani, non permette ancora di affrontare e risolvere tutti i più gravi problemi sociali. In questo campo, anche se non si verificano conflitti seri e se le manifestazioni di violenza risalgono quasi esclusivamente ai comunisti, permangono numerose cause di tensione che non potranno essere eliminate finché non migliorerà la situazione generale.

In campo politico si distinguono i due tradizionali partiti, socialista e Volkspartei, i quali si bilanciano e raccolgono la stragrande maggioranza di suffragi. Dalle elezioni del 1949 è uscito il nuovo partito degli indipendenti che ha preso posto dopo i primi due, precedendo i comunisti che sono ridotti a una esigua minoranza. Il partito degli indipendenti è considerato di tendenze naziste, suscita non poche diffidenze, non appare per ora destinato a un ruolo importante. I due maggiori partiti dimostrano una notevole coesione (nonostante alcuni movimenti di fronda) e danno vita ad un’alleanza che ha contribuito finora alla stabilità politica interna e che ha dato al Governo la base necessaria per la difficile azione che deve svolgere anche in campo internazionale.

3. Riarmo austriaco. Questa questione è strettamente connessa con quella del trattato austriaco ed è anzi parte del problema generale suesposto.

Il progetto di trattato rimasto incompiuto, consentirebbe all’Austria un esercito di 55.000 uomini. L’articolo relativo era stato approvato anche dai russi, i quali però successivamente accusarono gli americani di voler riarmare l’Austria e fecero di tale questione uno degli argomenti dei quali si servirono per declinare la conclusione del trattato. L’Austria ha in questi giorni sostenuto il proprio diritto ad avere un esercito ed il nuovo progetto di trattato, preparato dagli americani, contiene un articolo che sanziona esplicitamente tale diritto. L’U.R.S.S. mostra su questo argomento una particolare sensibilità e le accuse che essa rivolge sulla sua stampa agli americani, di cui Gruber si farebbe complice, si fondano quasi esclusivamente sui fini strategici che ispirerebbero la loro politica verso l’Austria.

4. Consiglio d’Europa. L’Austria ha per ora inviato degli osservatori al Consiglio d’Europa. Si è parlato anche di una sua piena partecipazione, ma la questione è stata accantonata su richiesta dello stesso Governo austriaco e su conforme parere degli occupanti occidentali, per non creare complicazioni con l’U.R.S.S. In linea di massima, abbiamo già espresso parere favorevole per l’ammissione del’Austria.

5. O.N.U. La questione di un ingresso dell’Austria all’O.N.U. non si è posta, essendo pendente la questione del trattato austriaco. Anche se l’O.N.U. dovesse essere investita di questo problema non sembra che si porrebbe contemporaneamente la questione dell’ammissione dell’Austria.

Quale possibile punto di vista del Governo austriaco, si cita l’opinione espressa da Gruber in un recente discorso, secondo cui l’Austria sarebbe a questo riguardo favorevole alla tesi dell’U.R.S.S. dell’universalità.

6. Rapporti economici italo-austriaci. La situazione economica dell’Austria è a parere degli osservatori assai difficile. Si comprende quindi l’importanza che il Governo austriaco, anche sotto il semplice profilo economico, attribuisce alle intese in corso di elaborazione con l’Italia. Queste intese hanno, inoltre, un significato politico già esaurientemente esaminato in sede di impostazione, per cui non appare necessario di rielencare i vantaggi che potremmo attendercene. (Si fa riferimento circa questa questione all’Appunto della Dir. Gen. A.E.)5.

Allegato I

IL CAPO DELL’UFFICIO PER LE ZONE DI CONFINEDELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, INNOCENTI,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

Appunto riservato. Roma, 11 marzo 1952.

Si ha motivo di ritenere che il ministro Gruber, in occasione del suo imminente colloquio con V.E. accennerà anche alle questioni connesse con l’Accordo di Parigi.

Solo qualcuna delle questioni di cui trattasi non ha avuto ancora il suo assetto definitivo; ma ciò non è da imputarsi a malvolere o noncuranza del Governo italiano.

Infatti, va tenuto presente che la risoluzione di alcuni problemi derivanti dalle intese complementari italo-austriache del marzo e del luglio 19506 non dipende esclusivamente dalle decisioni unilaterali del Governo italiano, in quanto le intese stesse comportano contemporanei obblighi anche per il Governo austriaco. Perciò, il raggiungimento più o meno prossimo di una completa definizione di tali questioni dipenderà dalla maggiore o minore sollecitudine con cui sarà possibile al Governo austriaco di far fronte ai propri impegni.

Inoltre, quando ci si riferisce all’Accordo di Parigi è necessario tener presente che dall’Accordo stesso discendono varie e complesse questioni di carattere giuridico, amministrativo e sociale che non possono essere risolte né secondo schemi rigidi e astratti, né entro scadenze inderogabili che non tengano conto della necessaria gradualità.

Ad esempio, il provvedimento per la riammissione negli impieghi dei rioptanti già dipendenti dall’Amministrazione statale italiana, per il suo particolare carattere derogativo della vigente legislazione in materia di immissione nei pubblici impieghi, ha comportato l’elaborazione di un apposito disegno di legge la cui predisposizione e approvazione doveva forzatamente seguire la normale procedura di formazione delle leggi. Ciò tanto più che il provvedimento, venendo a comportare, per l’Erario, il non indifferente onere di circa mezzo miliardo, ha richiesto il reperimento straordinario di tale somma.

Comunque tale disegno di legge, già approvato dal Senato, trovasi attualmente all’esame della Camera dei deputati.

Dal quadro generale della situazione, può essere utile menzionare i seguenti punti particolari:

- Provvedimento del presidente del Consiglio 11 ottobre 1951 per il dissequestro dei beni appartenenti agli alto atesini naturalizzati germanici esclusi dal riacquisto della cittadinanza italiana.

- Elezioni amministrative in Alto Adige: il relativo disegno di legge è già stato approvato dalla Camera e le elezioni avverranno entro il mese di maggio.

- Riconoscimento di titoli di studio conseguiti da ripatriandi non solo in Austria ma anche in Germania: la relativa legge è stata emanata il 18 dicembre 1951 (Gazzetta Ufficiale 5 gennaio 1952, n. 4).

- Revisione delle opzioni. Tale revisione può dirsi ultimata per le due categorie dei rioptanti semplici (non naturalizzati) e dei rioptanti naturalizzati ma non emigrati, per quanto riguarda la terza categoria dei rioptanti naturalizzati ed emigrati, che come è noto richiedeva una più complessa procedura e più accurate indagini, si prevede che le operazioni potranno essere ultimate entro breve termine; tanto è vero che mutata la denominazione dell’Ufficio revisione opzioni di Bolzano in quella di «Ufficio stralcio per la revisione delle opzioni», si è provveduto già a ridurre ad un’unica Sezione la Commissione consultiva istituita con l’art. 6 del decreto sulla revisione delle opzioni.

Dai dati riportati nell’Allegato 14 risulta in modo evidente la larghezza con cui il Governo italiano ha accolto le domande di revoca delle opzioni per la cittadinanza germanica.

Il ministro Gruber potrebbe anche interessare V.E. in merito alla questione dell’uso della lingua tedesca nelle procedure giudiziarie in Alto Adige.

Al riguardo, si ritiene opportuno ricordare a V.E. che il provvedimento relativo, approvato dal Consiglio dei ministri, fu presentato alla Camera dal guardasigilli il 10 dicembre 1948. Il disegno di legge trovasi tuttora presso la III Commissione permanente (Giustizia).

È da tener presente, tuttavia, che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati e procuratori di Bolzano, in una seduta del 16 gennaio c.a., ha adottato all’unanimità una deliberazione con la quale esprime il parere che «si soprassieda alla emanazione di affrettati e difficilmente modificabili provvedimenti in materia in attesa di più adeguate esperienze nella pratica giudiziaria». (Allegato 2)4. Si noti che nel Consiglio dell’Ordine su quattro consiglieri, tre (Vinatzer dott. Ernest, Straudi dott. Rudolf e Pobitzer dott. Hans) sono di lingua tedesca.

Allegato II

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI

Se il signor Gruber reca l’assenso del Governo austriaco per l’intesa economica speciale con l’Italia, occorrerebbe:

1) comunicargli che il Governo italiano si riserva di far conoscere il proprio eventuale assenso dopo l’esame del progetto, entro marzo;

2) convenire che dovrà allora procedersi ad uno scambio di note per nominare una commissione mista per la redazione del Programma della zona di libero scambio, secondo i termini fissati nel processo verbale del 1° marzo, ed assegnare il termine di due mesi per assolvere tale compito;

3) convenire che a quel momento sarà iniziata la preparazione diplomatica (noi potremmo incaricarci in ispecial modo degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e della Germania) e concordata una linea di azione comune presso l’O.E.C.E.;

4) nel comunicato dell’attuale visita potrebbe dirsi soltanto che i due Governi sono d’accordo di rafforzare ed allargare i propri rapporti economici, senza far allusione al progetto d’intesa.

È tutt’altro che da escludersi che il signor Gruber non rechi l’assenso austriaco, ma dichiari che la preparazione diplomatica deve precederlo.

In tal caso, la nomina della commissione mista dovrebbe essere rinviata a dopo che l’assentimento delle principali potenze ci fosse assicurato.


418 1 Vedi D. 270, nota 5.


418 2 L’accordo culturale fu firmato a Palazzo Chigi il 14 marzo. Testo edito in Ministero degli affari esteri, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXVII, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1987, pp. 246-252.


418 3 Vedi Allegato I.


418 4 Non pubblicato.


418 5 Vedi Allegato II.


418 6 Vedi serie undicesima, vol. IV, DD. 82, 227, 266, 271 e 291. Il testo degli accordi è edito in Ministero degli affari esteri, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXII, Roma, Tipografia riservata del M.A.E., 1980, pp. 352-357; LXIII, 1982, pp. 63-64.

419

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 196. Parigi, 11 marzo 1952(perv. il 13).

Nel momento in cui la Commissione degli esperti riprende il suo lavoro ritengo opportuno fare il punto della situazione.

Che cosa sia stato detto e fatto sull’esercito europeo alla Conferenza di Lisbona1, non lo so che molto vagamente; né conto di saperlo, data l’ottima tradizione del Ministero di diramare con la massima diligenza tutte le cose di poca importanza e di essere invece reticente nel diramare informazioni sulle questioni realmente importanti.

Del resto non sono le decisioni che possono essere state prese a Lisbona, e la loro formulazione pratica da parte della Commissione di Parigi, che decideranno dell’avvenire dell’esercito europeo: quello che ha importanza è quello che deciderà in proposito il Parlamento francese e quello tedesco.

Gli americani avranno avuto le loro buone ragioni per celebrare come storica la decisione di Lisbona, e di dare l’esercito europeo come cosa fatta: le ragioni dei Governi, da una parte come dall’altra dell’Atlantico, sono sempre le stesse: imbrogliare la propria opinione pubblica.

Perché, per quello che riguarda la Francia, essendo essa un regime democratico, quello che conta non è quello che pensa, dice o decide il signor Schuman o chi sarà un giorno il ministro degli esteri francese, ma quello che pensa e decide il Parlamento francese.

Ora Edgar Faure e Robert Schuman sono riusciti ad ottenere dal Parlamento francese l’approvazione di un ordine del giorno confuso e contraddittorio il quale, grazie alla sua voluta confusione, ha permesso, sì, all’esecutivo di continuare a parlare ed a negoziare, ma non costituisce da parte del Parlamento un vero impegno e, comunque, lo lascia perfettamente libero di decidere come gli sembrerà meglio al momento della decisione.

Vediamo un po’, in dettaglio i punti principali dell’ordine del giorno:

1) Appello a condurre a bonne fin i lavori della Commissione di disarmo dell’O.N.U. Noi sappiamo quello che ciò significa. Gli americani e gli altri potranno farsi delle illusioni circa la possibilità di mettere i russi colle spalle al muro sulla questione del disarmo: ma i russi sono specialisti nel fare le anguille: e, quale che sia lo svolgimento del dibattito, ce ne resterà sempre abbastanza, perché gli eterni illusi ed i neutralisti più o meno in buona fede possano continuare a dire ed a sostenere che bisogna trattare ancora e che bisogna ancora astenersi da gesti decisivi di rottura: il gesto decisivo di rottura essendo il riarmo della Germania, anche se ricoperto dalla foglia di fico dell’esercito europeo. Per cui alla fine dell’attuale sessione dei lavori del Comitato dell’O.N.U., staremo probabilmente ancora al punto di prima.

2) Le garanzie contro la Germania per quello che concerne la fabbricazione di armi, la polizia e la ripartizione degli oneri finanziari. Qui si è voluto dare soddisfazione a quelli che hanno paura della Germania, che è poi la quasi totalità del Parlamento francese. Anche qui il Parlamento francese ha tutte le latitudini: può sempre trovare che le garanzie non sono sufficienti.

3) Più elastica ancora è la frase «l’organizzazione essendo di carattere esclusivamente difensivo, non deve riunire che degli Stati che non hanno delle rivendicazioni territoriali». Come la si interpreta? Alla lettera bisognerebbe che la Germania, entrando nella Comunità atlantica, sottoscrivesse un impegno secondo cui non ha rivendicazioni territoriali: alla lettera questo potrebbe significare che la Germania deve rinunziare non soltanto a reclamare i territori al di là dell’Oder, ma anche a volere la sua unificazione. Ora vorrei sapere quale è il Governo tedesco che potrebbe sottoscrivere una simile dichiarazione senza essere immediatamente rovesciato.

4) «L’autorità supranazionale». Qui si è in piena contraddizione: da una parte si domanda espressamente la subordinazione dell’esercito europeo a un potere politico supranazionale, responsabile davanti a dei rappresentanti delle Assemblee o dei popoli europei: dall’altra si invita il Governo a fare tutti gli sforzi possibili per ottenere la partecipazione dell’Inghilterra alla Comunità europea e si ammette che questo comporta «lo studio delle istituzioni e delle modalità più suscettibili di assicurarne la riuscita»; il che significa, dato l’atteggiamento dell’Inghilterra, ben noto a tutti i deputati francesi, ridurre al minimo se non al nulla le autorità supranazionali.

V.E. potrà osservarmi che non è così che Schuman interpreta l’ordine del giorno: certo così non lo ha interpretato Alphand alla ripresa dei lavori della Commissione: ma, e mi permetto di ripeterlo, cosa ne pensino Schuman ed Alphand non ha che una importanza molto relativa: quello che importa è quello che ne penserà il Parlamento francese il giorno in cui il trattato sarà sottoposto alla sua ratifica.

Se noi analizziamo il dibattito all’Assemblea nazionale, vediamo che il voto e le «condizioni» sono state le risultanze di più tendenze: più esattamente: una tendenza neutralista, una nazionalista antieuropea con un comune denominatore, la paura della Germania.

Il nocciolo della tendenza neutralista lo si trova nel Partito socialista, ma ha le sue diramazioni in tutti i partiti, fino all’estrema destra, escluso l’R.P.F.

La tesi ufficiale dei neutralisti è nota: la Russia teme soprattutto il riarmo della Germania: riarmare la Germania può, quindi, provocare una reazione russa contro l’Europa: la politica tedesca non può avere che uno scopo, unificare la Germania e riacquistare i territori perduti all’Est: l’esercito tedesco spingerà quindi verso la guerra preventiva. Non compromettendosi con il riarmo della Germania, si lascia aperta la porta ad un accomodamento con i russi, sulla base del controllo e della neutralizzazione della Germania.

È inutile che spieghi a V.E. tutto quello di fallace che c’è in questa tesi: quello che importa, è che essa c’è, e guadagna terreno. A questo argomento permanente se ne aggiungono altri nuovi. La Conferenza economica di Mosca fa balenare negli ambienti più disparati il miraggio dei mercati orientali, della liberazione dell’economia francese dell’abbraccio obbligato americano: si può prevedere che a Mosca i russi faranno balenare grandi cose e in fatto non daranno che poco o niente: ma tant’è, il miraggio resterà lo stesso. Circola poi con insistenza la voce di approcci indiretti russi sulla possibilità di una «pace» con Ho Chi Minh, qualora la Francia modifichi la sua politica atlantica, e, sopratutto, rinunci all’idea di riarmare la Germania: non è difficile immaginare la risonanza che hanno qui queste voci, visto il peso schiacciante di questa guerra d’Indocina.

Elementi neutralisti ce ne sono, ripeto, in tutti i partiti e in tutti gli ambienti: c’è una forte, fortissima pattuglia neutralista nello stesso Ministero degli esteri e non in ambienti sinistrorsi.

La tendenza nazionalista antieuropea è forte negli ambienti «moderati» ma con ripercussioni anche nei radicali e anche più a sinistra.

La Francia è europea solo in quanto spera che questa Europa sia francese: si tira indietro quando si accorge che questa Europa non ha intenzione di essere francese. A parte qualche personalità isolata, e non amata, come Paul Reynaud, l’idea europea, ed anche questa con qualche riserva, è qui l’appannaggio di un solo partito, il partito cattolico: ma la sua influenza nella politica francese è in regresso: la Francia resta fondamentalmente laica ed anticlericale. Si parla troppo, in America e altrove, della triade, Schuman-Adenauer-De Gasperi: questa triade europea cattolica, dà terribilmente ai nervi al francese medio.

C’è poi la reazione di tutti i settori economici: il piano Schuman, sopratutto perché è passato, ha scatenato contro l’idea europea le ire della siderurgia francese: la liberazione degli scambi, soprattutto per colpa nostra, ha scatenato il settore dei tessili: e la lista sarebbe lunga. Ma basta vedere la ferocia con cui tutti i settori o quasi della vita economica e dell’amministrazione francese si sono gettati sulla necessità di un ritorno al mercato chiuso, giustificato da una crisi, invero gravissima, della bilancia francese dei pagamenti, per rendersi conto di quello che sia il vero stato d’animo della Francia che politicamente conta.

Tutto questo è stupido, piccino: tutto questo è in realtà un suicidio della Francia stessa: d’accordo; ma i francesi si ostinano a non capirlo e a non vederlo. Non mancano certo dei francesi, V.E. ne conosce molti, i quali parlano e pensano altrimenti: però quello che conta di nuovo è l’opinione del Parlamento.

Resta il terzo elemento: la paura della Germania. Forse sarebbe più esatto parlare di un terribile complesso d’inferiorità che i francesi hanno di fronte ai tedeschi e che li rende diffidenti, isterici e riluttanti a qualsiasi forma di conversazione vera con i tedeschi. Quando si parla di Germania, i francesi più intelligenti perdono il lume della ragione.

I rapporti franco-tedeschi, in questi ultimi tempi, invece di fare dei passi avanti, hanno fatto dei notevoli passi indietro. Non voglio dire di chi sia la colpa: mi limito a constatare il fatto.

L’integrazione europea, piccola o grande Europa, verticale od orizzontale che sia, presume una misura minima di intesa fra Francia e Germania: se questo non è possibile, non è possibile nemmeno l’integrazione europea.

Si è sperato che il miglior sistema per arrivare ad un minimo d’intesa fosse non una conversazione diretta, franca ed onesta, tendente a chiarire, se non a risolvere, i problemi più acuti, ma mettere Francia e Germania, così come sono, in un quadro comune, nella speranza che questa convivenza forzata generasse un’atmosfera in cui la soluzione di certi problemi diventasse più facile.

L’idea poteva essere buona, lo era anche, forse. Se non che di nuovo, in regime democratico, il Governo propone ed il Parlamento dispone: è il Parlamento che conta. È il Parlamento che conta. E il Parlamento francese – e mi sembra anche il Parlamento tedesco – non ne vuole sapere.

È questo un fatto di cui, per spiacevole che sia, bisogna tener conto.

Il voto del Parlamento francese non è stato un voto affermativo, è stato un voto sospensivo. Sulle forze neutraliste non possiamo fare niente: sulle forze antieuropee possiamo fare poco.

L’unica cosa che è possibile di fare, forse, è cercare di sbloccare l’atmosfera franco-tedesca: se si riesce a migliorare l’atmosfera franco-tedesca, ci sono delle chances ragionevoli, che alla fin dei conti, l’esercito europeo passi al Parlamento francese: se non ci si riesce, non passerà.

Non si possono risolvere, evidentemente tutti i problemi franco-tedeschi: bisogna per forza di cose lasciarne, ed anche molti, al tempo e ad un’atmosfera migliore. Ma perché si possa solo cominciare bisogna, ripeto, trovare la maniera di sbloccare i rapporti fra i due paesi.

Non sono sicuro che da parte americana si sia ben capito che le difficoltà che si frappongono alla realizzazione dell’esercito europeo sono, prima di tutto, parlamentare e non governative, e che la chiave delle difficoltà europee è appunto e soltanto nelle relazioni fra francesi e tedeschi. Gli americani in genere, ed Acheson in ispecie hanno, mi sembra, una mentalità legalistica, o costituzionalistica: ed è qui lo sbaglio: se si riesce a mettere in una stessa assemblea, deputati del popolo tedesco e deputati del popolo francese, non è che con questo le difficoltà sono risolte: si può dire anzi che le difficoltà cominciano allora. Il ragionamento che ha fatto V.E. circa le conseguenze dell’ultima proposta Tito per il T.L.T.2, in scala maggiore si applicherebbero a questa assemblea comune. Credere, per esempio, che basterebbe che una assemblea europea voti a maggioranza una sistemazione della questione della Sarre, perché essa sia accettata da quella parte, francese o tedesca, che si ritenga lesa, è una follia: la conseguenza sarebbe una secessione.

Il Parlamento francese sta passando una crisi di isteria: forse si calmerà un po’ il giorno in cui, attraverso un difficile travaglio di decantamento dei singoli partiti sarà possibile trovare una maggioranza un po’ meno precaria: ma il processo è ancora lungo e difficile: minacce od esecuzioni da parte americana oggi non porterebbero che a dei gesti inconsulti di cui probabilmente, dopo, si rimpiangerebbero le conseguenze, ma che intanto farebbero del male, e molto, e non solo alla Francia. Bisogna invece che gli americani gettino tutto il loro peso ed il loro prestigio, che è ancora molto, appunto ed esclusivamente nella direzione di una certa misura di distensione fra Francia e Germania.

Personalmente ritengo che la mossa tedesca di portare al Consiglio dei ministri la questione della Sarre sia estremamente pericolosa. I tedeschi hanno certamente delle ottime ragioni, loro, per farlo, non lo discuto: ma a cosa serve, in pratica? I francesi – sarà stato un grave errore loro e degli anglosassoni – nella Sarre ci sono: e non ci saranno pressioni né americane né inglesi né tedesche che li porteranno ad andarsene: ci vorrebbe un’operazione militare, e chi la fa? Mi si potrà dire, è vero, che la discussione deve aver luogo in una seduta segreta dei ministri degli esteri: ma c’è troppa gente in Francia che non vuole questo riavvicinamento: qualcuno di questi sarà certo presente alla discussione: che una frase maldestra venga detta dai francesi o dai tedeschi, e la reazione dell’opinione pubblica e nel Parlamento di Francia sarà fatale all’esercito europeo. Bisognerebbe che gli americani facessero uno sforzo deciso, sia a Parigi che a Bonn per incanalare questa disgraziata discussione nel solito cammino... del futuro trattato di pace.

A parte questo argomento, delicato e capitale, essenziale per me è la questione della garanzia. In questo esercito europeo la Francia si sente sola di fronte alla Germania: di noi, nei riguardi della Germania, si fida poco e, temo, si fiderà sempre di meno. Belgio e Olanda sono troppo piccola cosa per contare effettivamente: è per questo che così spasmodicamente si vorrebbe, a qualsiasi costo, l’Inghilterra nell’esercito europeo: per avere un contrappeso alla Germania in questo complesso organismo.

È evidentemente delicato, di fronte alla Germania, invitarla a far parte di una comunità, e, nello stesso tempo, dare o chiedere delle garanzie contro di lei. Forse l’ostacolo formale potrebbe essere girato con una formula come quella di Locarno in cui, apparentemente almeno, la garanzia veniva data a tutti e due. Comunque, le ripeto, si tratta qui di un elemento essenziale.

I soliti argomenti americani, sospensione degli aiuti, riarmo separato della Germania, ripiegamento su di una politica periferica, per un complesso di ragioni, hanno, di fronte al Parlamento francese un peso relativo, oggi: essi possono, in ogni modo, avere un’influenza solo indiretta. C’è, oggi, e sarebbe inutile nasconderselo, nel Parlamento e nell’opinione pubblica francese una forte corrente antiamericana. La frase più disgraziata che poteva pronunciare Schuman nella sua inabile difesa dell’esercito europeo, è stata appunto quella in cui ha detto che bisognava farlo, perché gli americani lo desideravano. L’argomento vero, potrà magari essere questo, ma ci vuole, perché il Parlamento francese possa salvare la faccia, un successo, una soddisfazione esteriore: e questo, nello stato attuale delle cose, non può essere altro che la garanzia anglo-americana, soprattutto americana, alla Francia contro una eventuale secessione della Germania dall’esercito europeo e contro una politica troppo «attiva» da parte della Germania nei riguardi della Russia.

Silenzio sulla Sarre, e garanzia anglo-americana sono oggi due elementi essenziali, sine qua non, se si vuole che il progetto di esercito europeo abbia delle chances di passare al Parlamento francese.

Se noialtri veramente teniamo alla realizzazione di questo progetto di esercito europeo, come ho tutte le ragioni di ritenere, è venuto il momento, ritengo, che parliamo francamente agli americani, ad altissimo livello si intende, di quanto ho prospettato a V.E. Per parte nostra, noi potremo, con discrezione, secondare l’opera di Washington dando qualche consiglio di moderazione sia a Parigi che a Bonn, con molta discrezione, perché la situazione a Parigi è talmente tesa che rischiamo di farci prendere sul naso sia dagli uni che dagli altri.

Ci riusciremo, non lo so: gli americani hanno anche loro le loro isterie a casa loro, sono in periodo preelettorale: sono impazienti e seccati: comunque, se avremo parlato loro chiaro ed esplicito, se poi essi non possono fare quello che noi consigliamo loro di fare, non sarà colpa nostra se all’esercito europeo non ci si arriverà.

Ma prego V.E. di credermi quando le dico, che se non ci si mette, e presto, per questa strada, tutto il resto che possiamo fare per cercare di condurre in porto l’esercito europeo, non serve assolutamente a nulla.


419 1 Vedi D. 390.


419 2 Vedi D. 362.

420

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata 201. Parigi, 11 marzo 1952.

Ritengo di doverti comunicare che in relazione alla richiesa francese di un passo da parte di tutti gli Stati membri dell’O.E.C.E. da farsi presso il Governo di Londra per farlo recedere dal suo atteggiamento in merito alla cooperazione economica europea, è stato qui rilevato che l’Italia è la sola a non aver dato seguito alla richiesta1.

In via molto confidenziale sono venuto a sapere che Fouques-Duparc, nel telefonare la notizia a Parigi, l’ha commentata nel senso che l’Italia si va progressivamente allontanando dalla Francia, perché tende a giocare la carta della Germania e che, in conclusione, i passi dell’ambasciata di Francia a Roma hanno sempre meno «udienza».


420 1 Vedi D. 421.

421

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto 2378/80. Roma, 12 marzo 1952, ore 15,30.

Nelle discussioni intervenute in O.E.C.E. per riorganizzare servizi internazionali organismo sono apparse profonde divergenze fra paesi continentali e Regno Unito circa funzioni fondamentali che nel prossimo futuro paesi partecipanti intendono riconoscere quell’organismo di cooperazione economica.

Mentre Governi partecipanti sono unanimi nel ritenere più che mai necessaria intensificazione sforzi per consolidare e far progredire azione diretta creazione mercato unico europeo, tendenza britannica, sotto pretesto necessità economie sembra voler ridurre al minimo tale sforzo e far abbandonare alcuni dei compiti principali dell’O.E.C.E. che sono strettamente connessi con l’obiettivo della creazione mercato unico.

È a nostra conoscenza che tempo addietro Governo francese ha compiuto presso codesto Governo un passo inteso a chiarire necessità intensa cooperazione in seno all’O.E.C.E. e passo analogo è stato compiuto da Governo danese. Di fronte al persistere di un atteggiamento inglese di resistenza al punto di vista degli altri Governi quale esso è apparso nelle recenti discussioni in O.E.C.E., ci sembra opportuno anche da parte nostra di far giungere al Governo britannico per bocca di V.E. una riconferma del nostro atteggiamento nei seguenti punti:

1) Conveniamo col Governo britannico nell’opportunità di operare rigorose economie nei servizi internazionali e consideriamo soddisfacenti le indagini condotte e le proposte formulate in seno al gruppo degli «otto» in O.E.C.E. che giungano a economie del 25% nella spesa del Segretariato e ad una riduzione di personale di circa un terzo;

2) Consideriamo che servizi così riorganizzati saranno in grado assicurare attività efficace dell’Organizzazione nel perseguimento dei seguenti compiti fondamentali:

a) liberazione degli scambi;

b) una Unione dei pagamenti europei rafforzata;

c) uno sforzo coordinato per assicurare la stabilità finanziaria dei paesi membri e una armonizzazione delle politiche economiche nazionali;

d) la confrontazione degli sforzi comuni per il raggiungimento degli obiettivi di produzione contenuti nella dichiarazione dei ministri dell’O.E.C.E. del 29 agosto 1951;

e) il proseguimento dell’attività svolta in O.E.C.E. nel campo dell’assistenza tecnica.

I compiti di cui alle lettere c) d) ed e) sono ritenuti dal Governo italiano come fondamentali per il mantenimento e lo sviluppo degli obiettivi di cui alle lettere a) e b) e cioè per il raggiungimento di un mercato comune in Europa al più alto livello.

In relazione quanto precede prego V.E. di esporre codesto Governo il nostro pensiero che ci auguriamo possa essere costà condiviso. Sarà gradito conoscere atteggiamento codesto Governo1.


421 1 Vedi anche D. 442.

422

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI, A PARIGI

T. s.n.d. 2401/211. Roma, 12 marzo 1952, ore 21.

Riferimento suo telegramma 2371.

Eden e Acheson ci hanno comunicato a Lisbona la soluzione della questione produzione armamenti costì proposta; anche nostra ambasciata Londra ha riferito in proposito. Tale soluzione è risultato conversazioni a tre di Londra.

È stato inteso in maniera chiara che soluzione proposta è esclusivamente indirizzata a impedire fabbricazione in Germania armi elencate, le quali finora erano incluse nelle liste dei divieti di produzione disposti dalle potenze occupanti, mentre ora tali liste non (dico non) dovrebbero più essere contenute in accordi contrattuali. Soluzione proposta permetteva di non discriminare formalmente Germania.

Formulazione proposta peraltro non (dico non) sembra sufficiente assicurarci libertà produzione per nostre fabbriche situate Italia settentrionale, che tra l’altro è stata già considerata in studi N.A.T.O. quale zona maggior pericolo. Si potrebbe studiare soluzione per coprire nostri interessi nel senso di effettuare scambio lettere interpretative nelle quali si riconosca che anche maggior parte Italia settentrionale non (dico non) è zona strategicamente esposta. Ove tale soluzione fosse accettabile faremmo seguire esatta delimitazione zona proposta.

Circa monopolio polverifici sono stati fatti accenni in suddette conversazioni Lisbona. Significato concetto monopolio non risulta peraltro chiaro; pregasi accertarlo con precisione, pur non marcando per il momento riserva da lei fatta in quanto soluzione potrebbe rivelarsi di giovamento a nostri interessi. Si fa riserva inviare, non appena interpellati dicasteri interessati, ulteriori istruzioni2.


422 1 Dell’11 marzo, con il quale Cavalletti aveva richiesto istruzioni circa le proposte avanzate nel Comitato armamenti relativamente alla produzione di armi ed al monopolio dei polverifici.


422 2 Vedi DD. 428 e 430.

423

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segretissimo 483. New York, 12 marzo 1952(perv. il 14).

Mi riferisco al mio telegramma n. 151.

La conversazione con Bebler, durata un’ora e mezzo, è stata divisa in tre parti. Nella prima ho esposto il pensiero del Governo italiano sull’ultima proposta jugoslava2 di condominio nel Territorio Libero. Bebler, che naturalmente conosceva le dichiarazioni di V.E. a Lisbona3, non ne è stato affatto sorpreso. Si è limitato a dirmi che era peccato, a confermarmi che l’idea era buona e avrebbe potuto benissimo essere realizzata con un po’ di buona volontà, a insinuare che noi ne avevamo paura semplicemente perché sentivamo di perdere piede a Trieste. Un sol punto è stato interessante nella sua reazione. Mi ha detto che la proposta era stata un’iniziativa personale del maresciallo Tito, il quale ne aveva discusso con lui, Bebler, nel corso di un’udienza e di una colazione che evidentemente avevano avuto luogo, non ho capito bene se a Brioni o a Belgrado, pochi giorni prima che lo stesso Bebler me la comunicasse a Parigi.

Quando io gli ho fatto osservare che nel nostro ultimo colloquio2 mi ero fatto promettere, ed egli mi aveva assicurato il più rigoroso riserbo, per questa come per tutte le altre fasi del sondaggio, Bebler si è quasi scusato dicendomi che anche la divulgazione della proposta era stata voluta personalmente da Tito.

Nella seconda parte del colloquio ho ripreso l’argomento osservando che si era andati ben lontano dall’impostazione originaria dei sondaggi. Noi eravamo partiti dalla premessa che, sulla base della Dichiarazione tripartita4, si potesse e dovesse fare uno sforzo per giungere ad un accordo diretto tra i due paesi; un accordo che mirasse ad eliminare le cause di contrasto risolvendo problema in modo permanente mediante una linea etnica rispondente alla realtà politica e alle esigenze di vita del Territorio. Dagli jugoslavi, ho proseguito, avevamo avuto tre proposte successive, nessuna delle quali rientrava neppure lontanamente nell’impostazione dei nostri colloqui5. Dovevamo concludere che da parte loro mancava la volontà, o la possibilità politica, di giungere ad un accordo sulle basi da noi proposte. La nostra proposta di una linea etnica, una proposta generosa e realistica al tempo stesso, rimaneva aperta; ma eravamo costretti a concludere che, almeno per il momento, il tentativo, che da parte nostra era stato fatto con chiara visione dei sacrifici da sostenere e dell’alto scopo politico da raggiungersi, era fallito.

In queste condizioni il Governo italiano non vedeva altra possibile soluzione che quella di un’applicazione integrale dei principi enunciati nella Dichiarazione tripartita. Il Governo jugoslavo si era sempre rifiutato, non solo di accettarla, ma anche di considerarla come rispondente alla realtà dei fatti. Benissimo: per facilitare a tutti una soluzione, per facilitare, cioè, agli Alleati l’avallo del loro impegno e agli jugoslavi un consenso che, se dato per via di negoziato, presentava, a loro dire, difficoltà politiche interne di natura perentoria, noi eravamo disposti, come un’ulteriore riprova della nostra buona volontà, ad accettare una riprova democratica del fatto fondamentale proclamato dalla Dichiarazione tripartita e cioè che tutto il Territorio Libero era etnicamente, politicamente, geograficamente italiano, e che i suoi abitanti, nella loro grande maggioranza, ad altro non aspiravano che ad essere riuniti all’Italia. Il Governo italiano era cioè disposto ad accettare, naturalmente con tutte le garanzie del caso, un plebiscito popolare che si esprimesse sulla seguente alternativa: Italia o Jugoslavia.

A questo punto Bebler mi ha interrotto per chiedermi: e la terza alternativa, cioè la creazione del Territorio Libero? Gli ho risposto che ciò non era possibile per tre principali motivi: primo, l’obiettivo da raggiungere era un accordo definitivo tra i nostri due paesi, l’esistenza del Territorio Libero, invece, non avrebbe fatto che inasprire i dissensi; secondo, la creazione di questo Territorio era stata riconosciuta come irrealizzabile da parte delle tre grandi potenze, cioè precisamente da quelle che ne dovrebbero ora, in ultima analisi, garantire l’esistenza, la sicurezza, la sopravvivenza economica; terzo, questa impossibilità materiale era stata riconosciuta dalla stessa Jugoslavia che con l’ultima proposta che ci aveva fatto mirava in pratica a sostituire ad un irreale Territorio Libero, inteso come unità statale indipendente, una specie di condominio italo-jugoslavo, ancora più irrealizzabile e ancora più pericoloso.

Bebler mi ha allora chiesto cosa intendessi dire per maggioranza assoluta. Ho risposto: naturalmente la maggioranza numerica semplice dei votanti. Bebler di nuovo: ma i non votanti, gli astenuti? Ed io di rimando: non è normale che in una elezione si tenga conto degli astenuti.

È allora che Bebler, ritornando più apertamente sull’insinuazione fatta al principio del discorso, mi ha detto che la vera ragione era un’altra; era che noi sentivamo di aver perso terreno a Trieste dove la maggioranza voleva oramai la costituzione del Territorio Libero; e che la prova migliore di ciò era che noi avevamo chiesto il rinvio delle elezioni municipali a Trieste. Su questo punto è ritornato varie volte e con insistenza, dando l’impressione di essere sicuro di aver trovato un forte argomento. E questo, mi permetto aggiungere, mi sembra importante. È chiaro che gli jugoslavi tenteranno di sfruttarlo al massimo, sia presso gli Alleati, sia e ancor più, se già non hanno incominciato a farlo, presso l’opinione pubblica triestina.

Ho ribattuto vivamente che anzitutto non era affatto vero che noi avessimo chiesto un rinvio delle elezioni. La discussione con gli Alleati, se c’era stata, verteva unicamente sulla legge elettorale da applicare che noi, per evidenti ragioni di principio, volevamo fosse identica a quella italiana. Ho aggiunto poi: «Quanto alla corrente indipendentistica a Trieste ho paura che lei ed il suo Governo si facciano grandi illusioni. Né a Trieste né in Zona B esiste un vero sentimento per l’indipendenza. Ci può essere al massimo a Trieste, in alcuni circoli interessati e in un’infima minoranza, un desiderio di vedere prolungarsi per qualche tempo (perché nessuno può farsi illusioni sulla possibilità perpetuarlo) il regime attuale; il che è però ben diverso dall’indipendentismo. E la prova migliore è che noi siamo pronti a porre agli abitanti il quesito se vogliono divenire italiani, nella certezza che l’enorme maggioranza si dichiarerà in nostro favore».

Nella terza parte della conversazione ho esposto in dettaglio i principi e le garanzie che noi ritenevano indispensabili per la attuazione del plebiscito. Bebler ne ha preso nota punto per punto.

Se dovessi riassumere le mie impressioni, impressioni che ho derivato più dal tono della conversazione che da cose concretamente e precisamente dette, dovrei dire che il Governo jugoslavo, o quanto meno Bebler, non si fanno più alcuna illusione, e addirittura non mostrano più alcun vero interesse per la ricerca di una soluzione. È un’impressione che avevo già avuto a Parigi, ma che qui si è accentuata.

È risultato chiaro, ad esempio, che anche la loro ultima proposta fu concepita e varata unicamente come una manovra pubblicitaria: e direi anche, come del resto ho detto e ritenuto sin dal principio, più come una manovra di fronte ai triestini che di fronte agli Alleati. Naturalmente, e del resto non del tutto a torto, considerano anche la nostra proposta di plebiscito come una manovra. Cioè come una proposta in sé inaccettabile, scomoda perché pericolosa, e alla quale tenteranno di replicare polemicamente con l’argomento principale che in ogni caso il plebiscito dovrebbe includere il quesito sulla creazione del Territorio Libero. Ma anche su questo punto si sentono troppo malsicuri per voler andare veramente sino in fondo. L’attuazione del plebiscito, nel senso di una verifica popolare e democratica dei principi esposti nella Dichiarazione tripartita, apparirebbe agli occhi di tutto il mondo, e particolarmente dei triestini, come una vittoria italiana, e già questa impostazione darebbe a tutto il processo una colorazione e uno sviluppo che gli jugoslavi debbono temere.


423 1 Dell’11 marzo, con il quale Guidotti aveva anticipato l’invio del presente rapporto.


423 2 Vedi D. 362.


423 3 Vedi DD. 399 e 400.


423 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


423 5 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329 e 362.

424

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 2993-3006/251-252. Parigi, 13 marzo 1952, ore 19,43(perv. ore 21,30).

Suo 2041.

Schuman mi ha detto che si trova in qualche difficoltà per prendere qualsiasi forma iniziativa concreta in materia di autorità politica federativa per sessione 19, perché non sa sino a che punto attuale Gabinetto francese è disposto seguirlo.

Pinay è favorevole, così pure Pleven, ma deve tener conto due elementi importanti:

1) Gabinetto attuale è considerevolmente spostato a destra; mancano alcuni elementi federalisti più convinti quali Meyer e Bidault: conta riuscire convincerlo ma non può prenderlo d’assalto.

2) Informazioni che egli ha da Londra mostrano forte evoluzione inglese nei riguardi esercito europeo, specialmente per quello che concerne Eden. Siamo ancora ben lontani da partecipazione inglese ma si ha comunque evoluzione interessante che bisogna incoraggiare: per questo si preferisce evitare prendere posizioni che possono irrigidire in senso contrario Inghilterra. Mi ha ricordato che Governo francese è comunque legato – da decisione Parlamento – fare tutto quello che è possibile per incoraggiare adesione Inghilterra.

Condivide nostro punto di vista circa opportunità non svalutare Assemblea C.E.D. in vista articolo 7H ed al tempo stesso mantenere contatti con Strasburgo.

Sua idea, per quello che concerne prossima riunione ministri, sarebbe limitarsi decidere inviare Trattato C.E.D. Assemblea Strasburgo rendendo così omaggio Assemblea: nello stesso tempo Francia e Italia potrebbero mettersi d’accordo per far proporre, d’accordo, da due delegazione (non da Governi) – in sede discussione trattato da parte Assemblea – proposta per studio autorità politica federativa: due Governi potrebbero nel frattempo mettersi d’accordo per forma da dare a proposta tenendo conto varie eventualità e forme collegamento e dare in questo senso suggerimenti a delegazioni.

Ritiene sia opportuno evitare che proposta venga da Germania il che potrebbe produrre reazioni poco favorevoli da parte opinione pubblica Parlamento francese. Proposta franco-italiana partente da delegazioni sarebbe invece secondo lui particolarmente adatta per avere migliore accoglienza opinione pubblica francese.

Mi ha detto Schuman che, riassumendo i risultati dell’esame più calmo della nota sovietica2, deve dire che, ai fini della politica governativa in Francia, l’effetto si sta definendo in senso piuttosto positivo. La reazione socialista è particolarmente forte: dato che l’esercito tedesco è la bestia nera per i socialisti, le loro reazioni contro la Russia sono delle più violente: il che ritiene giuochi a favore dell’esercito europeo.

Per quello che concerne il Governo di Bonn riconosce invece che la manovra russa è assai imbarazzante: la nota russa è redatta in forma assai abile in quanto dà soddisfazione per lo meno alle speranze di tutti i differenti settori tedeschi che sono contrari all’orientamento occidentale: e non può non avere influenza sugli elementi incerti dell’opinione pubblica tedesca.

Personalmente egli non ritiene che i russi abbiano intenzione di concludere: desiderano soltanto mettere nell’imbarazzo l’Occidente, ritardare i negoziati in corso e, di fronte alla Germania, mettere gli occidentali nella necessità di essere loro a prendere la responsabilità dell’insuccesso delle trattative.

Non (ripeto non) sarà certamente lasciata cadere la nota russa; bisognerà ben meditare i termini della risposta: a tal fine le tre capitali sono già in contatto. La nota non è stata indirizzata alla Germania; il Governo di Bonn quindi non si trova nella necessità di rispondere ufficialmente: dovrà comunque prendere posizione ed i tre grandi procederanno in accordo con lui.

Mi ha detto che a questo scopo è prevista, a margine della riunione dei mini-stri del Consiglio Europa, una riunione a quattro (con la partecipazione del rappresentante americano) con Adenauer per discutere tutto il problema ed i suoisviluppi.


424 1 Vedi D. 417.


424 2 Consegnata il 10 marzo agli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America a Mosca. La nota è edita in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 12, pp. 312-313.

425

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. riservato 11/436/c. segr. pol.1. Roma, 13 marzo 1952.

Riferimento: Telespresso Londra 1161/657 del 1/3/1952 (che si unisce in copia per Washington, Parigi e rappresentanza O.N.U.)2.

(Per Londra) Circa la genericità della formulazione dell’ultimo paragrafo della nostra Nota diretta all’Unione Sovietica l’8 febbraio u.s.3 V.E. potrà far sapere al Foreign Office che l’Italia si considera svincolata dalle disposizioni del trattato di pace nei confronti dell’Unione Sovietica. Per quanto poi si riferisce in particolare alle clausole economiche noi riteniamo di avere saldato il conto riparazioni con l’ammontare dei beni italiani nei Balcani. È da tenere presente inoltre che da parte americana è stata sempre sottolineata l’opportunità di ridurre al minimo l’eventuale differenza, che, come è noto, dovrebbe essere pagata con prodotti industriali.

Ciò nonostante V.E. potrà soggiungere al Foreign Office – in via riservatissima – che la formula adottata ci consentirà una interpretazione diversa da quella sopra accennata, qualora ci convenga, in un determinato momento, cedere parzialmente per ottenere delle contropartite da parte sovietica, come per esempio la liberazione dei nostri prigionieri.

(Per Washington) Si coglie l’occasione per esaminare la opportunità di depositare presso il Segretariato dell’O.N.U. le note scambiate con i vari paesi relativamente alla revisione del trattato di pace.

Gli scambi di note per la revisione del trattato di pace costituiscono infatti accordi internazionali. Se l’Italia fosse membro dell’O.N.U. avrebbe il dovere, a norma dell’art. 102 dello Statuto, di registrare tali accordi presso il Segretariato dell’Organizzazione. Non essendo membro dell’O.N.U., ma essendo tali gli Stati firmatari o aderenti al trattato di pace (eccetto l’Albania), l’Italia ha la possibilità di procedere a tale registrazione, nella forma prevista dall’apposito regolamento. Se l’Italia non fa questo, non potrà mai (secondo il citato art. 102) invocare detti accordi di fronte a un organo delle Nazioni Unite.

Prima di procedere a tale registrazione questo Ministero gradirebbe conoscere il pensiero dell’ambasciata in Washington4.


425 1 Diretto per conoscenza all’ambasciata a Parigi ed alla rappresentanza presso l’O.N.U. a New York.


425 2 Non pubblicato.


425 3 Vedi D. 377.


425 4 Con il Telespr. riservato 4597/1872 dell’11 aprile Tarchiani comunicò: «… Il Dipartimento di Stato, dopo aver consultato gli uffici competenti, ci ha fatto conoscere che nulla ostava da parte sua che procedessimo a tale registrazione».

426

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. segreta 3207. Washington, 13 marzo 1952.

Credo doveroso attrarre la tua attenzione sull’unito rapporto e su la situazione creatasi colla attuale voluta inadempienza del famigerato art. 78.

a) Con la revisione delle clausole politiche e militari del trattato gli americani hanno sempre negato di ammettere che qualsiasi ritocco di quelle economiche potesse sollevarci dagli obblighi dell’art. 78. (Promisero qui soltanto di interessarsi a studiare la messa in opera di un limite di tempo per le richieste).

b) Dopo lunghe e penose discussioni l’art. 78 fu messo lentamente in moto nel passato dal Tesoro, specie per l’interessamento del Min. esteri; ora è fermo colla scusa che è oggetto di negoziati a Washington; non v’è invece nessun negoziato del genere perché il Governo americano rifiuta assolutamente di discutere su quel punto; non solo, ma trattiene ogni azione sull’altro punto citato sopra (a), se non rimettiamo in moto la macchina.

c) Il più grave è che i funzionari – e i loro capi – che hanno a cuore (anche per i continui controlli e le vive pressioni parlamentari) l’esecuzione dell’art. 78, sono gli stessi che si occupano delle raccomandazioni e delle fissazioni per gli aiuti economici all’Italia. Gli amici – tra essi – sono seriamente ostacolati dalla nostra carenza (dimostrata dalla lettera di Summers e dalla risposta ad essa)1; i tepidi o gli avversi a noi sono rafforzati nello sbandieramento della nostra non-cooperazione con l’Amministrazione americana per rendere ad essa più facile la sua ardua opera presso il Congresso o le agenzie a nostro favore.

Ti segnalo tutto questo perché, ad un certo momento, una nostra ostinata carenza per l’art. 78 potrebbe avere incresciose ripercussioni sulla quota aiuti. È bene che tu lo sappia direttamente in tempo.

Non si potrebbe (invece di paralizzarla con probabilità di sicuri inconvenienti) sveltire l’opera dell’ufficio ad hoc almeno per l’esame di un certo numero di richieste di minore entità? Si mostrerebbe una certa volontà di esecuzione e si eviterebbero rappresaglie burocratiche, incontrollabili a priori ma certamente in arrivo. Non facciamoci illusioni; il Governo americano anche se volesse, e non vuole, non potrebbe in una torbida annata elettorale fare concessioni sull’art. 78 (nel 1953 potrà essere anche peggio). Insistendo nel nostro atteggiamento non potremo che subir danni in altri e più importanti e delicati campi della collaborazione Italia-Stati Uniti.

Allegato

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 3206. Washington, 13 marzo 1952.

Mi riferisco alla lettera del segretario generale n. 45/58 del 3 corrente2.

Purtroppo, pur avendo fatto nuovi sondaggi, debbo confermare quanto scrivevo il 22 febbraio u.s. nel rapporto n. 24543.

La lettera di Revedin a Summers ha avuto qui un effetto disastroso, non soltanto per il rifiuto, ivi contenuto, di contemplare uno snellimento della procedura relativa all’art. 78, ma anche e soprattutto per la connessione, ivi esplicitamente indicata, fra questa questione e le conversazioni di Washington sulla revisione delle clausole economiche del trattato.

Gli esperti del Dipartimento di Stato aggiungono che, dopo il miglioramento verificatosi alcuni mesi fa nella liquidazione dei claims, questa si è praticamente arrestata. Essi ne deducono che il Governo italiano in aggiunta alla eventuale revisione delle clausole «discriminatorie» spera di ottenere una revisione dell’art. 78; e che pertanto, non solo rifiuta il richiesto snellimento della procedura, ma addirittura rallenta la procedura stessa.

In queste condizioni, gli uffici politici dichiarano di non poter fare nessun ulteriore progresso nell’esame della revisione e di dovere invece insistere presso il Governo italiano, affinché la liquidazione dei claims sia ripresa, con un ritmo tale da non dar luogo a rilievi.

Gli argomenti di cui alla lettera citata in riferimento, utilissimi per dimostrare la gravosità degli obblighi impostici dal trattato di pace, non mi sembrano atti a far modificare la sopradescritta posizione americana.

Gli americani negano che il presumibile ammontare complessivo dei reclami sia indicativo della somma che lo Stato italiano dovrà pagare effettivamente, perché sanno che fra le somme richieste inizialmente e quelle definitivamente concordate vi sarà una differenza notevole. Negano altresì che il trattato, nell’omettere l’indicazione di un termine, abbia implicitamente inteso di autorizzare il Governo italiano a trascinare per anni il soddisfacimento degli obblighi impostigli. Osservano, per contro, che se non avessimo agito con tanta lentezza, l’onere sarebbe stato, sì, ripartito, ma sarebbe stato ripartito negli anni passati anziché prevalentemente in quelli futuri. Ricordano di avere sempre insistito perché la procedura fosse accelerata e non riescono a considerare come un «aggravamento del trattato» il rinnovare la insistenza oggi, mentre la procedura, che per un breve periodo sembrava essere stata migliorata, è di nuovo stagnante.

Sono dolente di dover concludere che non vedo nessuna possibilità di riprendere qui le conversazioni sulla revisione delle clausole economiche del trattato, finché non avremo ripreso in modo soddisfacente l’esecuzione dell’art. 78 e dichiarato esplicitamente di non connetterlo con la revisione. So quanto questo sia penoso per noi. Non mi nascondo quanto vi sia di assurdo nel trattato, che ci costringe a pagare dei danni ad un paese dal quale veniamo aiutati in proporzione infinitamente superiore a questo risarcimento (che del resto è insignificante anche rispetto ai danni complessivamente da esso subiti nella guerra). D’altra parte, i motivi di politica interna, già da me più volte illustrati e aggravantisi di giorno in giorno per ragioni elettorali, escludono che in questa questione il Governo americano possa assumere un atteggiamento più conciliante.


426 1 Vedi Allegato.


426 2 Vedi D. 401.


426 3 Vedi D. 388, nota 2.

427

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI, A PARIGI

T. segreto 2479/219. Roma, 14 marzo 1952, ore 21.

Su questione durata trattato siamo d’accordo per cinquant’anni senza riserve. Siamo contrari a riserve olandesi che tendono legare scadenza patto C.E.D. a scadenza Patto atlantico, in quanto C.E.D. non (dico non) si prefigge soltanto scopi militari, ma anche e soprattutto scopi politici che abbiamo chiaramente e fermamente enunciati.

Consideriamo comunque irrevocabile e immutabile per cinquant’anni comune impegno alla fusione delle forze contenuto nel trattato, mentre riconfermiamo carattere provvisorietà delle istituzioni (in particolare dell’Assemblea che dovrà essere trasformata su base veramente democratica) e impegno comune alla revisione del trattato per dare effetto agli scopi federalisti in esso contenuti. V.S. è pregata di fare quanto sopra oggetto di formale comunicazione mediante documento per gli atti della Conferenza quando notificherà nostra accettazione durata cinquant’anni.

428

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3053/257. Parigi, 14 marzo 1952, ore 18,40(perv. ore 19,25).

Mi riferisco al suo n. 2111.

Nel corso della conversazione con Schuman gli ho cortesemente accennato alle difficoltà in cui si era trovata la nostra delegazione, messa di fronte alla decisione presa fra i Tre Grandi e la Germania per ciò che riguarda il monopolio dei polverifici, senza che ci fosse stata data previa comunicazione della decisione stessa.

Egli mi ha detto che la decisione di proporre ai tedeschi il monopolio dei polverifici era stata da lui presa nell’intervallo fra Londra e Lisbona al fine di risolvere una questione che era rimasta in sospeso e che, nel suo pensiero, faceva parte di tutta quella serie di garanzie che erano state richieste dal Parlamento francese.

Egli mi ha detto che ne aveva parlato a V.E. ed al ministro Pella a Lisbona prima ancora di parlarne con i tedeschi e prima di avere l’approvazione americana ed inglese alla sua proposta. Che aveva spiegato a V.E. come la proposta fosse tutta a nostro vantaggio perché, nella sua idea, il monopolio doveva essere inteso nel senso che, nell’impianto di nuovi polverifici – impianto che comportava investimenti per decine di miliardi – si doveva tenere conto della situazione sicura dal punto di vista strategico e della disponibilità di mano d’opera; ciò significava interesse italiano, poiché noi abbiamo zone come la Sardegna e l’Italia meridionale in genere, le quali possono essere considerate come strategicamente sicure ed aventi larghe disponibilità di mano d’opera. Schuman, nell’espormi tutto questo, aveva l’aria di dirmi che V.E. si era dichiarato d’accordo con le sue idee.

Poiché Schuman mi ha detto che, del resto, la questione era ancora oggetto di discussione fra il Governo tedesco e gli Alti commissari (egli mi ha altamente elogiato il coraggio di Adenauer nell’accettare dichiarazione Germania come zona esposta) gli ho molto chiaramente detto che, mentre quello che concerneva il regime d’occupazione non era di nostro interesse diretto, per tutto ciò che poteva avere ripercussioni sui negoziati per l’esercito europeo era nostro diritto essere informati, sopratutto da parte francese, non solo, ma anche essere informati in tempo in maniera da poter far valere le nostre osservazioni se del caso. Su questo Schuman mi ha dato sue assicurazioni.

Sulla base di quanto mi ha detto Schuman, mi permetto di suggerire che potremmo cercare di ottenere dai francesi impegni più precisi, almeno da parte loro, per quanto concerne i nuovi impianti da crearsi in Italia, poiché in questo caso, date anche le nostre difficoltà in materia di polveri, la questione sarebbe evidentemente di nostro interesse.


428 1 Vedi D. 422.

429

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3059/96. Londra, 14 marzo 1952, ore 16,20(perv. ore 20).

Suo 791.

Governo britannico, nell’intento evitare minacciata esclusione Consiglio Europa da processo formazione Comunità carbone-acciaio e Comunità difesa e adeguare ruolo organismo Strasburgo a progressi compiuti da tali comunità, ha in riunione Gabinetto tenuta ieri sera incaricato Eden sottomettere seguente proposta Comitato ministri Parigi mercoledì prossimo2.

Sia Comitato ministri che Assemblea consultiva aggiungeranno a loro attuali funzioni quelle di autorità politica tanto della Comunità carbone-acciaio quanto della C.E.D. sostituendo corrispondenti organi previsti per dette Comunità.

In tale veste entrambi organi Strasburgo escluderanno da loro seno rappresentanti paesi non aderenti Comunità stesse: così Comitato ministri attualmente composto quindici membri terrà riunioni a sei quando tratterà questioni piano Shuman e piano Pleven.

Nel quadro siffatta proposta Governo britannico vede anche possibilità assicurare associazione (raccomandata da Assemblea Strasburgo dicembre scorso) [...]3 Comunità presenti e future – e membri Consiglio Europa ad esse non aderenti. Nulla vieterà cioè che Comitato ministri «a sei» chieda, quando e ove lo ritenga desiderabile, collaborazione di tutti o alcuni dei restanti ministri per contribuire risoluzione determinati problemi; e analogamente potrà procedere Assemblea.

Foreign Office rendesi conto che adozione proposta implicherebbe modifiche statuto Consiglio Europa e superamento vari ostacoli tecnici; mi ha dato tuttavia impressione sperare vivamente in favorevole accoglienza da parte altri a proposta tendente, attraverso rimozione Consiglio Europa da binario morto, ad assicurare partecipazione britannica più intima possibile a processo unificazione europea.

Sottosegretario Nutting che interverrà riunioni Parigi sottolineato sua personale partecipazione studio piano suddetto nonché importanza che Governo inglese vi annette pregandomi raccomandarlo attenzione E.V.

Foreign Office impartisce oggi istruzioni proprie rappresentanze estere portare Governi interessati a conoscenza nuovo progetto. Ambasciatore Mallet ne informerà V.E. domani e lunedì.


429 1 Dell’11 marzo, con il quale Zoppi chiedeva di essere informato circa le annunciate dichiarazioni di Eden a Parigi.


429 2 Vedi D. 447.


429 3 Gruppo indecifrabile.

430

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3070/261. Parigi, 14 marzo 1952, ore 22,15(perv. ore 22,30).

Mi riferisco al suo n. 2111.

Ad Alphand e al presidente del Comitato armamenti ho fatto conoscere il punto di vista di V.E. sulla questione delle «zone esposte», confermando che è nostra intenzione agevolare gli accordi conclusi con Adenauer pur assicurandoci per noi le garanzie indispensabili (queste potrebbero essere anche trovate nella unanimità del Consiglio dei ministri per la determinazione delle zone esposte).

Alphand si è dimostrato soddisfatto della mia comunicazione, riservandosi di studiare una formula soddisfacente.

Per quanto concerne il monopolio dei polverifici, mi è stato specificato che esso sarebbe limitato a nuovi impianti a carattere nettamente militare che verrebbero stabiliti d’accordo con gli americani; del resto nulla impedirebbe al Commissariato di cedere ad una ditta privata la gestione.


430 1 Vedi D. 422.

431

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3085/30-31. Ankara, 14 marzo 1952, ore 21,35(perv. ore 7,30 del 15).

Ammiraglio Carney ha presentato questo primo ministro proposta nomina generale italiano con funzioni deputy terrestre.

Turchi hanno respinto proposta e hanno dichiarato ad ammiraglio Carney che si riservano discutere questione in sede politica con nostro Governo. Ammiraglio Carney nel darmene notizia ha aggiunto che egli è pronto accettare ogni soluzione che sarà concordata tra noi. Oggi sono stato convocato da ministro esteri che ha insistito opportunità ricercare altra soluzione facendo presente che proposta Carney sarebbe considerata poco favorevolmente da opinione pubblica turca e da personalità politiche compresi alcuni membri del Governo e soprattutto sarebbe sfruttata da opposizione. Era altresì convinto che proposta non avrebbe in alcun modo potuto essere accettata da greci dato che questi erano stati i più decisi oppositori a dipendere dal comando generale De Castiglioni tanto che questo ministro degli affari esteri aveva dovuto moderarli ed era venuto ad un accordo col Governo greco per cui ogni soluzione avrebbe dovuto essere preventivamente concordata tra Turchia e Grecia. Ho fatto subito presente che greci invece avevano accettata proposta deputy che l’Italia aveva concepito come soluzione transattiva e con spirito massima moderazione. Ho citato e parafrasato al ministro parte telegramma di V.E. n. 151, illustrando spirito nostra soluzione e ho insistito perché essa sia approfondita con più attenta favorevole considerazione.

Riferisco con rapporto conversazione al riguardo, al termine della quale ministro esteri mi ha proposto che invece nomina deputy sia costituito a fianco ammiraglio Carney Comitato militare a livello di generali presieduto da generale italiano. Detto comitato dovrebbe strettamente presiedere o esplicare funzioni di coordinamento tra Italia Grecia Turchia in modo questi tre paesi possano sempre fare valere soluzioni concordi su problemi comune interesse. Perciò mi ha pregato vivamente prospettare tale soluzione V.E. con cui conta ritrovarsi Parigi in occasione Consiglio Europa. Ho assicurato che l’avrei trasmessa pur insistendo su particolari esigenze che motivano nostra soluzione deputy. Senonché appena giunto ambasciata sono stato telefonicamente avvertito da segretario generale ministero degli affari esteri che Kiemenderes non (dico non) aveva approvato proposta comitato predetto e che quindi mi pregava non indicarlo a V.E. dovendosi tale proposta considerarsi come nulla e non avvenuta. Sarebbe cioè prevalso concetto attenersi linea intransigenza. Non escluderei possa trattarsi solite manovre di proporre e ritirare. Accerterò. Adesso Turchia cerca premere su Grecia perché adotti stessa linea intransigenza richiamandosi ad intesa accordarsi preventivamente tra loro. È quindi nostro interesse insistere sia presso greci che americani contrapponendo a turchi nostro spirito moderazione.


431 1 Vedi D. 398.

432

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto riservato. Roma, 14 marzo 1952.

Allego una comunicazione di Quaroni relativa alla prossima riunione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa1.

Da tale comunicazione sembra risultare che vi è da parte francese tendenza a non dare particolare rilievo alla riunione anche perché data l’attuale situazione politico-parlamentare francese non converrebbe né mettere l’accento su problemi federalistici, né affrontare il dibattito, proposto dai tedeschi, sulla situazione interna della Saar.

Per contro si coglierebbe l’occasione della presenza di Eden e Adenauer a Parigi per discutere – con l’intervento di un osservatore americano – le questioni sollevate dalla Nota sovietica2. È del resto evidente che l’interesse politico e giornalistico viene ora a spostarsi – dopo tale Nota – dai problemi del Consiglio d’Europa a quello dello Statuto della Germania.

Alla luce di queste informazioni sembra sia da considerarsi l’eventualità della presenza o meno di V.E. a Parigi non partecipando l’Italia alla riunione a quattro, ma a quelle, necessariamente di tono minore, del Consiglio d’Europa. Formalmente la questione dello Statuto della Germania è una questione che è sempre stata discussa fra i Tre e l’U.R.S.S. e poi fra i Tre e Bonn. Non siamo parte in causa e, sempre formalmente, il Benelux, che è escluso dalle consultazioni, avrebbe maggiore diritto di noi a dolersene.

Sostanzialmente però, data la solidarietà atlantica ed europea esistente fra tutti gli occidentali, e dato che il problema tedesco è oggi il problema fondamentale dell’Europa e che tutti dividiamo gli stessi rischi, la nostra esclusione può apparire sempre meno giustificata, tanto più constatando che, per forza di cose, all’interlocutore sovietico ha finito per sostituirsi quello tedesco, un tempo assente: sicché le riunioni vengono ad assumere il carattere di incontri a quattro anglo-franco-tedesco-americani.

L’assenza di V.E. dalla riunione del Consiglio d’Europa può giustificarsi con le considerazioni che precedono e che potrebbero eventualmente anche venire portate a conoscenza delle varie Cancellerie.

Peraltro la presenza, in sua vece, di un sottosegretario, potrebbero avere come conseguenza di sottolineare presso l’opinione pubblica italiana la situazione su esposta3.

Per avere maggiori elementi di giudizio a sua disposizione abbiamo chiesto a Quaroni di precisare se possibile se le riunioni a quattro avrebbero luogo prima, dopo le riunioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, o negli intervalli di queste.

Potrebbe essere proposto a Schuman e a Eden un colloquio a tre per mettere V.E. al corrente delle conversazioni da essi svolte con Adenauer.


432 1 Non pubblicato.


432 2 Vedi D. 424, nota 2.


432 3 Vedi anche il D. 437.

433

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 3056/699. Bonn, 14 marzo 1952(perv. il 17).

Come ho già telegrafato, la nuova iniziativa sovietica1 è giudicata da questi ambienti governativi come diretta essenzialmente ad impedire od almeno ritardare la integrazione della Germania all’Occidente; ciò viene dedotto anche dal momento scelto per attuarla, particolarmente delicato, in cui le trattative fra tedeschi e Alleati si avviano alla loro fase conclusiva. Uno dei punti che viene qui sottolineato a comprovare la mancanza di serie intenzioni sovietiche di voler addivenire ad un accordo, è l’assenza di ogni riferimento a libere elezioni in tutta la Germania ed alla esigenza che esse avvengano inoltre prima della stipulazione del trattato di pace.

Tale priorità è uno dei capisaldi della politica del Governo federale: la riunificazione deve sì farsi, ma non deve per nulla interferire con il processo di integrazione all’Occidente. I progressi compiuti dalla Germania occidentale dal 1945 non devono essere annullati e qualsiasi Governo tedesco si trovi in avvenire ad assumere la responsabilità della riunificazione del paese dovrà essere considerato il continuatore di quello attuale e non ripartire da zero. È questa la formulazione tattica della linea di condotta politica già più volte prospettata, sulla quale coincidono gli interessi tanto tedeschi che Alleati; e che cioè nessuna fusione delle due Germanie possa essere considerata senza che essa significhi praticamente l’annessione della Germania orientale a quella occidentale.

Si ammette tuttavia che questa volta la diplomazia sovietica ha dato prova di maggiore abilità e che essa ha saputo sfruttare alcune possibilità contenute in certe posizioni neutralistiche in Germania. La nota sovietica infatti va incontro in larga parte – e può di essa quasi considerarsi una eco positiva – alla recente presa di posizione che il Governo federale, per bocca del suo ministro della riunificazione Kaiser, aveva adottato sulla riunificazione tedesca, nella quale veniva richiesto con la riunificazione anche la libertà, la sicurezza e la parità di diritti per la Germania.

Riconoscendo ad una Germania riunificata il diritto di un esercito nazionale e ad un’industria di armamenti, l’Unione Sovietica ha inteso di rimuovere il grosso ostacolo che impediva non solo al Governo, ma anche ad un considerevole settore di queste correnti di opinioni di considerare attuabile nel momento presente la riunificazione; e cioè il rapporto di esclusione fra riunificazione da un canto, e riarmo e sovranità dall’altro.

Anche il partito di opposizione potrebbe dall’accantonamento da parte sovietica di tale incompatibilità prendere lo spunto per uscire dall’impasse in cui si è cacciato, predicando insieme piena sovranità e riunificazione: l’idea esposta nella nota russa di una Germania armata e riunificata, ma neutrale fra Est ed Ovest, sembra collimare coll’idea tempo addietro avanzata da Schumacher di una neutralità armata tedesca. Tale idea anche se non è stata in questi ultimi tempi ripresa, continua però a rispondere assai bene alle esigenze del suo nazionalismo e della sua diffidenza antialleata.

Si spiega così come la mossa sovietica non solo non possa essere senz’altro respinta dai socialdemocratici, ma lasci anche perplessi e non senza imbarazzo taluni ambienti che erano i più restii all’idea di una riunificazione. Il presidente della frazione parlamentare liberale Euler ha affermato infatti che l’Unione Sovietica per la prima volta si presenta con una proposta suscettibile di esame e che essa deve anche essere considerata una riprova della giustezza della politica estera seguita finora dalle democrazie occidentali e dalla Repubblica federale. Anche il presidente della frazione parlamentare del Deutsche Partei Mühlenfeld ha definito la nota come una cosa da prendersi sul serio. È noto che i liberali ed il Deutsche Partei rappresentano l’ala più avanzata del nazionalismo tedesco in seno alla coalizione governativa. Ciò significa che anche questi partiti, nel proprio intimo negativi, sono tuttavia costretti a tener conto della sensibilità dell’opinione pubblica.

L’atteggiamento del Governo è invece più deciso. Negli ambienti del Ministero Kaiser si fa infatti osservare, e non a torto, che la riconciliazione prospettata dalla Russia fra i due termini della riunificazione e della piena sovranità è più fittizia che reale. Anche prendendo per buono ciò che è ancora da dimostrarsi e cioè la serietà della proposta sovietica, sta di fatto che la Russia, come contropartita della rinuncia alla zona orientale, chiede se non più il disarmo, almeno la neutralizzazione della Germania. Ed è da presumersi che la Russia prenderebbe le sue buone precauzioni per impedire che una Germania riunificata possa far fronte unico coll’Occidente; il sistema di controllo che ne risulterebbe e che ridurrebbe a ben poca cosa le possibilità di difesa militare autonoma fatta intravvedere alla Germania, renderebbe del tutto illusorio tale ristabilimento di sovranità.

In taluni ambienti viene a questo riguardo prospettata anche la ipotesi che l’Unione Sovietica tenda ad una neutralizzazione, sia pure armata, della Germania, tale da non consentire possibilità associative per l’avvenire, né con l’Est né con l’Ovest. In altri termini le potenze occidentali potrebbero in tal modo avere lo stesso interesse sovietico a mantenere la Germania sotto controllo ed in condizioni di potenziale militare esiguo. La Russia così otterrebbe contemporaneamente anche il vantaggio di costituire un vuoto nel centro dell’Europa, con tutte le possibilità che ad essa aprirebbe il futuro.

Non so se anche tali considerazioni abbiano contribuito a far assumere al Governo federale il presente atteggiamento negativo di fronte alla nota russa. I motivi che lo stesso Governo ha per desiderare una riunificazione nel momento e nelle condizioni attuali sono ormai noti. Esso ha di nuovo avanzato, in via subordinata alla pregiudiziale delle libere elezioni, anche la richiesta di revisione della frontiera dell’Oder-Neisse. Si tratta di una grossa carta nel gioco politico di Adenauer che gli permetterà di agire sulle corde più sensibili della opinione pubblica.

Per quanto riguarda infine il pensiero di questi circoli alleati e diplomatici devo rilevare che, insieme ad una nota di scetticismo prevalente sull’esito finale della iniziativa sovietica, si nota una sensibile incertezza nel pronunciare giudizi e formulare previsioni. Tutti concordano nel ritenere la iniziativa di Mosca diretta questa volta soprattutto alla Germania, ma con altrettanta attenzione vengono seguite le reazioni francesi e non manca chi ritiene che l’opinione pubblica di questo paese di fronte allo spettro di un nuovo esercito nazionale tedesco, di cui l’entità è ancora una incognita, si riconcilierà maggiormente con l’idea dell’esercito europeo.

Nel frattempo, secondo dichiarazioni ufficiali fatte da questi Alti Commissari, le trattative tra tedeschi ed Alleati proseguono il loro corso – mi viene riferito a ritmo perfino accelerato – e se ne prevede la conclusione alla fine del mese.


433 1 Vedi D. 424, nota 2.

434

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 204/1401. Parigi, 14 marzo 19522.

Mi riferisco al telespresso di V.E. n. 3/160/c. del 23 febbraio3.

Ho fatto a Schuman la comunicazione prescrittami insistendo soprattutto sul noto argomento che l’opinione pubblica italiana non può capire che dichiarando a Washington la loro determinazione di fare «ogni sforzo per l’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite» i Tre Grandi non abbiano tenuto conto che ci sarebbe stato il veto russo. Quindi, se la dichiarazione ha un senso, questo non può essere che quello che i Tre Grandi si erano impegnati a fare qualche cosa di nuovo per superare il veto russo.

Le alternative pratiche non potevano essere che due: o passare oltre con un’interpretazione libera dello Statuto delle Nazioni Unite come era stato fatto in altri casi, analoghi se non identici a quello italiano, oppure adottare, in una misura ragionevole e tale da includere anche l’Italia, il criterio dell’universalità.

I Tre Grandi ci avevano detto molto chiaramente che non intendevano fare un colpo di forza: logicamente non restava altro che la questione dell’universalità.

Ho detto a Schuman che il Governo italiano desiderava conoscere quali erano le ulteriori intenzioni del Governo francese. Egli mi ha premesso che non era bene al corrente di come, sul lato tecnico e procedurale, erano rimaste le cose alla fine dell’ultima sessione. Premesso questo ha aggiunto che per quello che lo concerne egli era abbastanza favorevole all’idea dell’universalità: si trattava di sapere se e fino a che punto era possibile di persuadere gli americani ad adottare questo punto di vista.

Ho fatto osservare a Schuman che però da parte della delegazione francese nel corso degli ultimi dibattiti alle Nazioni Unite in realtà non si era affatto appoggiata la tesi dell’universalità. La spiegazione confidenziale che mi era stata data di questo atteggiamento francese era la seguente: era vero che nel blocco dei candidati il numero degli Stati satelliti dell’U.R.S.S., contando fra questi anche la Finlandia per ovvie ragioni di necessità politica di quel paese, era leggermente inferiore a quello dei non satelliti, ma la Francia era interessata soprattutto alla possibilità di discussioni all’O.N.U. su questioni coloniali, specialmente riguardanti la Tunisia ed il Marocco: il gruppo proposto contenendo una forte aliquota di Stati orientali, i loro voti uniti a quelli del blocco sovietico e degli altri Stati orientali già presenti all’Assemblea, avrebbe potuto rendere difficile se non impossibile raggiungere una maggioranza dei due terzi favorevole alla tesi francese. Desideravo sapere se questa tesi francese restava ancora. V.E. ricorderà infatti che sulla questione dell’eventuale accettazione all’ammissione del gruppo, Schuman mi aveva dato, per quello che concerneva l’atteggiamento francese, delle assicurazioni precise che non furono poi mantenute dalla delegazione francese.

La risposta di Schuman a questa mia domanda precisa è stata confusa ed imbarazzata, quanto però era sufficiente per farmi capire che tale tesi restava e che essa per la Francia continuava ad avere la sua importanza.

Schuman ha finito col dirmi che era perfettamente d’accordo che la questione non poteva finire così: avrebbe consultato i suoi Servizi, sentito il parere del nuovo rappresentante permanente francese all’O.N.U. e me ne avrebbe riparlato.

Evidentemente per questa o per altre ragioni, i francesi non sono dei sostenitori entusiasti della tesi dell’universalità: finirebbero forse per accettarla qualora essa fosse accettata dagli inglesi e dagli americani ma non credo che possiamo contare molto su di loro perché esercitino una pressione a fondo a Washington in questo senso.


434 1 Ritrasmesso a Londra, Mosca, Washington e New York con Telespr. 11/4310/c. del 24 marzo.


434 2 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


434 3 Vedi D. 391.

435

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. riservata personale 209. Parigi, 14 marzo 1952.

A parte riceverai una mia comunicazione circa la mia conversazione sulla questione di Trieste1.

Può interessarti sapere che, assicurandomi l’appoggio del Governo francese, Schuman mi ha molto chiaramente fatto intendere che egli si aspetta da noi, come contropartita dell’appoggio che è disposto a darci per Trieste, un nostro appoggio a Washington sulla questione della garanzia anglo-americana per l’esercito europeo.

Quanto alla sostanza della questione, trovo eccellente, come contromanovra, la nostra proposta di plebiscito. Voglio sperare che Tito ci faccia il favore di insistere per due plebisciti separati per la Zona A e per la Zona B, e di opporsi a tutte le misure di garanzia che noi richiediamo per il plebiscito: il che, di nuovo ci rimetterebbe dalla parte della ragione di fronte ai «grandi assenti» di questo strano negoziato.

Perché, se Tito accetta, la situazione non è scevra di pericoli per noi. Mi sembra difficile evitare la votazione altro che per comuni: e questo potrebbe costituire una base per Tito, dopo, per prendere il risultato del plebiscito come una manifestazione attuale della linea etnica e proporre una spartizione su questa base: il che renderebbe la soluzione del problema anche più complicata di quello che sia adesso.

Se Tito insiste, perché ci siano tre alternative invece di due, sempre ai fini di avere almeno l’apparenza di essere dalla parte della ragione, così a prima impressione, mi sembra assai difficile che noi possiamo avere l’adesione anglo-americana alla esclusione della terza alternativa, ossia Territorio Libero, sia secondo il progetto O.N.U. sia secondo il progetto Tito: temo che sia una di quelle proposte che trova una certa eco nella ben nota fairness degli anglosassoni. È vero che, se si terranno le elezioni, saremo tutti ben fissati sul valore che ha il movimento indipendentistico, e questo può cambiare tutto il quadro. Ma comunque, sulla base di essere preparati al peggio, credo sia bene che studiamo fin da adesso come possiamo meglio difenderci in caso si dovesse arrivare ad un plebiscito su tre alternative.

In una questione così delicata, come quella di Trieste, tutto quello che si fa, e anche quello che non si fa è irto di pericoli. Ed il segnalarti questi pericoli, non toglie niente al fatto che sono perfettamente d’accordo con questa impostazione.


435 1 Vedi D. 438.

436

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 15 marzo 1952.

Dopo la colazione alla legazione d’Austria, Gruber mi ha pregato di rimanere con lui1. Ha chiesto di essere dettagliatamente informato sulla questione relativa alla nostra ammissione all’O.N.U. e si è espresso in senso favorevole alla tesi della «universalità». Gli ho spiegato come si erano svolte le discussioni nel corso dell’ultima Assemblea delle N.U., nonché le vicende della nota proposta per l’ammissione di tutti i candidati. Mi ha poi chiesto se, nell’eventualità che venisse portata all’O.N.U. la questione del trattato austriaco, egli avrebbe potuto contare sul nostro appoggio presso i paesi latino-americani e arabi. Gli ho detto che, a titolo personale, ma che supponevo potesse essere condiviso da V.E., il nostro appoggio in tale evenienza non gli sarebbe mancato. Non ha fatto alcun accenno a questioni altoatesine.


436 1 Sulla visita di Gruber a Roma vedi da ultimo il D. 418.

437

IL DIRETTORE GENERALEPER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto riservatissimo 22/736. Roma, 15 marzo 1952.

In occasione della sua recente visita a Roma, il segretario generale del Consiglio d’Europa, ministro Paris, ebbe ad indicare come, da più sintomi e notizie, si avesse l’impressione di una imminente ed importante presa di posizione del Governo britannico nei confronti di tutto il problema relativo ai rapporti fra il Consiglio d’Europa e la Comunità Europa attualmente in formazione.

A seguito di queste informazioni, si ebbe possibilità di chiedere alla nostra ambasciata in Londra cosa effettivamente risultasse circa le intenzioni del Governo inglese. L’ambasciata stessa ha ora esaurientemente risposto con il telegramma n. 96, qui unito in copia integrale1.

Come V.E. vedrà, si tratta di iniziativa di alto interesse politico e tale da modificare sostanzialmente quanto fino ad oggi si era concepito, vuoi nei confronti del già ratificato piano Schuman, quanto in quelli della C.E.D. e delle altre eventuali comunità che potrebbero seguire.

Il Governo di Londra cioè immagina il Consiglio d’Europa nei suoi due organi competenti, il Comitato dei ministri e l’Assemblea, quale vero elemento direttivo delle comunità, anche se nella eventuale formazione ristretta, limitata cioè ai soli membri delle comunità stesse. Soluzione questa che avrebbe, quale sua prima pratica conseguenza, il concentramento a Strasburgo di tutti gli organi di suprema direzione e di controllo delle comunità.

L’iniziativa naturalmente dovrebbe comportare – come del resto è stato già indicato dagli stessi inglesi – notevoli modifiche nello Statuto del Consiglio di Europa, inquantoché, ad esempio, oggi a Strasburgo sono presenti di diritto soltanto i ministri degli affari esteri, mentre viceversa i trattati per le singole comunità immaginano, per la composizione dei rispettivi Consigli dei ministri, la possibilità della presenza anche di altri ministri.

Ma soprattutto dovrebbe essere modificato addirittura l’art. 1 dello Statuto suddetto, il quale, al suo par. d) indica testualmente come «le questioni relative alla difesa nazionale non rientrano nella competenza del Consiglio».

Ci siamo subito chiesti quali possano essere, dinanzi ad una tanto significativa iniziativa britannica, le reazioni e le impressioni degli altri aderenti tanto al piano Schuman che alla C.E.D. ed abbiamo già chiesto a Parigi le prime notizie in merito.

Ma – e le informazioni, anche se vaghe, portate dal sig. Paris sembrano confermarlo – non dovrebbe escludersi che questa dichiarazione da parte britannica di voler, come dice il telegramma dell’ambasciatore Brosio, «assicurare la più intensa possibile partecipazione di Londra al processo di unificazione europea» risulti non sgradita al Governo, e più particolarmente, al Parlamento di Francia. Quest’ultimo infatti non ha mancato in questi ultimi tempi di far quasi dipendere da una non assenza britannica in tutti questi problemi la sua eventuale approvazione per i progetti di comunità europea.

Resta naturalmente da vedere quali conseguenze possa avere l’iniziativa britannica sulla «velocità» di realizzazione delle comunità già in atto. Troppo palesi infatti appaiono fin da questo primo momento le difficoltà tecniche per la revisione degli Statuti già predisposti ed addirittura – come nel piano Schuman – ratificati. Ed una tale considerazione potrebbe forse far sorgere interrogativi particolarmente precisi da parte del Governo di Bonn.

In tali condizioni è evidente che la prossima riunione di Parigi del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, dinnanzi al quale il rappresentante del Governo britannico esporrà in dettaglio l’iniziativa, assumerà una importanza particolare2.


437 1 Vedi D. 429.


437 2 Annotazione a margine di Zoppi: «e potrebbe modificare le conclusioni del mio appunto di ieri [D. 432]». Per il seguito vedi D. 440.

438

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 207/143. Parigi, 15 marzo 19521.

Mi riferisco al suo telespresso n. 3/200/c. del 5 marzo2.

Schuman era al corrente dell’ultima proposta Bebler (progetto statuto speciale per T.L.T.) e dalla nostra reazione alla medesima, già stata da noi comunicata agli uffici del Quai d’Orsay. Non era invece al corrente di quelle che erano state le reazioni di Acheson (su cui sono stato informato) e di Eden (che mi sono dovuto inventare sulla base più o meno di quelle di Acheson): si è felicitato con noi del fatto che anche inglesi ed americani abbiano constatato che la proposta di Tito non si teneva in piedi.

Gli ho poi annunciata la nostra intenzione di proporre un plebiscito spiegandogli, nelle sue grandi linee, come noi intendevamo che questo plebiscito avrebbe dovuto tenersi. Ho particolarmente insistito sulla necessità che il plebiscito fosse sulle due alternative «o Italia o Jugoslavia», e non vi si aggiungesse una terza alternativa «Territorio Libero». Schuman mi ha chiesto informazioni sulla portata delle tendenze indipendentistiche, su cui gli ho fornito all’incirca i dati che V.E. mi ha trasmessi. Il suo commento è stato: «è una situazione analoga a quella della Sarre: molta gente è favorevole allo statuto attuale della Sarre se e per quanto ritiene che esso sia più profittevole ai suoi interessi».

Si è molto compiaciuto di sapere che i contatti non erano interrotti, ma che in qualche modo continuavano: mi ha detto che dal punto di vista degli anglo-sassoni, è molto importante che noi continuiamo a dare loro l’impressione che si parla.

Mi ha confermato per tutto quello che concerne la questione di Trieste l’appoggio del Governo francese.


438 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


438 2 Vedi D. 406.

439

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 212/146. Parigi, 15 marzo 1952(perv. il 17).

Abbiamo esaminato con Schuman la situazione dell’esercito europeo per quello che concerne il possibile atteggiamento del Parlamento francese. Ho visto che, sostanzialmente, il suo apprezzamento della situazione parlamentare francese non differisce molto dal mio.

Per questo egli si sta concentrando su tre punti:

1) La Sarre. Egli spera che la discussione al Consiglio dei ministri europei dovrebbe essere contenuta entro limiti ragionevoli e che non ci dovrebbero essere, da una parte o dall’altra, parole o prese di posizioni stonate. Mi ha aggiunto, del resto, di essersi accordato con Adenauer per dare inizio, al più presto possibile, a conversazioni franco-tedesche per un accordo temporaneo sulla questione della Sarre, in attesa che essa venga risolta definitivamente dal trattato di pace. Conta in questa maniera di evitare che la questione della Sarre eserciti una influenza negativa.

2) Schuman dà molta importanza alle «garanzie» in materia di certe fabbricazioni militari. Per questo è particolarmente riconoscente ad Adenauer per il coraggio e la comprensione dimostrate accettando che il Commissariato abbia il potere di non autorizzare certe fabbricazioni in determinate zone considerate esposte, e di avere accettato anche che la Germania occidentale, almeno, for the time being, sia considerata come zona esposta.

Mi ha detto un po’ confusamente che fra le fabbricazioni che non si debbono fare in zona esposta, c’è anche tutto quello che concerne l’aviazione civile, con riserva, da parte della Germania di presentare, a tempo opportuno, qualche richiesta limitata che verrebbe presa in benevola considerazione. Alle mie richieste di precisazione, Schuman è sfuggito: non escluderei che la questione sia in realtà ancora oggetto di discussione.

Da parte tedesca si era fatta eccezione per la questione dei polverifici: è per questo che fra Londra e Lisbona egli aveva elaborato la sua teoria del monopolio: teoria che faceva oggetto di trattative, dopo che essa era stata approvata dagli anglo-americani, fra i tre Alti Commissari ed il Governo di Bonn. (A questo riguardo Cavalletti mi dice che Blank, si era mostrato molto irritato contro Adenauer per il fatto di avere accettata la Germania come «zona esposta» e che, per quello che riguardava i polverifici, gli ha detto che il Governo tedesco non avrebbe mai accettato il monopolio).

3) Egli considera come essenziale, ai fini del Parlamento francese la questione della garanzia anglo-americana. Mi ha specificato che si tratterebbe di garanzia per tutti e nei riguardi di tutti, senza menzionare specificamente la Germania. Eden ne era entusiasta: gli aveva parlato di una formula simile a quella di Locarno e Schuman si era dichiarato d’accordo purché, anche nella stampa, si evitasse di menzionare il nome di Locarno. Acheson ed il Dipartimento di Stato erano anche loro d’accordo e stavano lavorando per condurre al loro punto di vista le altre istanze americane.

Circa la forma della garanzia, mi ha detto che al Governo francese sarebbe bastata una dichiarazione, scritta o verbale, dei due Governi, ma pubblicamente approvata dai due Parlamenti. A suo avviso, è la questione della garanzia anglo-americana che deciderà della accettazione o meno, da parte del Parlamento francese, dell’accordo sull’esercito europeo – sul che sono di accordo con lui.

A questo riguardo egli mi ha detto che ci sarebbe molto grato se, da parte nostra, si potesse fare qualche pressione sugli americani, perché essi accettino l’idea della garanzia nelle forme volute dai francesi: egli pensa, che, specie in periodo preelettorale, il peso della nostra opinione è molto sentito a Washington.

440

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3150/268. Parigi, 17 marzo 1952, ore 11,10(perv. ore 11,45).

Telegramma ministeriale n. 2231.

La iniziativa del Governo inglese2 rientra fra quelle che (come già risulta da una mia lettera diretta al segretario generale) sarebbe stato meglio non fossero state avanzate. Effettivamente il progetto inglese potrebbe avere come effetto la minimizzazione dell’importanza dell’Assemblea del C.E.D. che verrebbe ridotta ad essere una sezione della ormai screditata Assemblea di Strasburgo. Inoltre sussistono delle difficoltà e degli inconvenienti tecnici; come per esempio: 1) la diversa natura del Consiglio dei ministri del C.E.D. (che è un organo di una Autorità supranazionale) e del Comitato dei ministri del Consiglio di Europa; 2) il diverso dosaggio, nelle tre Assemblee, delle delegazioni parlamentari (correndo il rischio di perdere i posti di tre delegati supplementari del C.E.D.). Tuttavia tale iniziativa inglese non vedo come riuscirebbe ad essere respinta da noi o dagli altri. Gli svedesi soltanto avrebbero, per farlo, fondate ragioni.

Ad ogni modo accettando la proposta britannica in linea di massima, riterrei necessario far rilevare: a) nessun minimo ritardo deve essere frapposto alla conclusione del trattato del C.E.D.; in altri termini è da chiarire che lo Statuto del Consiglio di Europa deve adattarsi alle esigenze derivanti dai trattati del C.E.D. e del piano Schuman e non viceversa.

L’Italia si riserva di prendere una iniziativa al momento opportuno affinché gli obiettivi cui mirava con l’articolo 7 H (ripeto articolo 7 H) siano raggiunti al più presto, in quanto la trasformazione dell’Assemblea di Strasburgo potrà eventualmente permettere un inizio anticipato dei lavori della Federazione previsti per l’Assemblea del C.E.D.3.


440 1 Del 15 marzo, con il quale Zoppi aveva ritrasmesso il D. 429 e richiesto di conoscere le reazioni alla proposta britannica del Governo francese, degli ambienti del Consiglio d’Europa e della Conferenza C.E.D.


440 2 Vedi DD. 429 e 437.


440 3 Per il seguito vedi D. 447.

441

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 17 marzo 1952.

L’incaricato d’affari di Grecia è venuto a trovarmi oggi e mi ha messo, fra l’altro, al corrente della conversazione avuta col ministro degli affari esteri turco, di passaggio a Roma sulla via di Parigi, il quale aveva desiderato di vederlo per chiedergli chiarimenti sull’atteggiamento del Governo greco nei riguardi della questione del deputy italiano presso il Comando del Settore Sud-Mediterraneo della N.A.T.O.

Dagli accenni dell’incaricato d’affari greco, si deduce che il sig. Köprülü avrebbe fatto intendere il disappunto turco per l’adesione del Governo greco, che il Governo turco aveva appreso in questi giorni ad Ankara, da Pietromarchi, alla nomina di un deputy italiano di Carney. L’incaricato d’affari greco, che il suo Governo non aveva finora informato della cosa, ha messo al corrente il sig. Köprülü di quanto a lui constava circa i colloqui italo-greci in proposito, a Lisbona e a Roma e del sincero desiderio greco di venire incontro alle esigenze italiane, sempre ben inteso che anche la Turchia fosse d’accordo, come il sig. Venizelos aveva più volte precisato. Il sig. Köprülü ha spiegato all’incaricato d’affari, pregandolo di informare il proprio Governo, che il Governo turco aveva dovuto dichiarare la sua opposizione alla nomina di un deputy italiano e doveva persistere in questo atteggiamento per le seguenti considerazioni:

1) secondo il Governo turco, un deputy per il Comando del Settore Sud-Mediterraneo non è necessario né richiesto da motivi di stretta natura militare;

2) le attribuzioni del deputy, secondo quanto l’amm. Carney ha esposto ad Ankara, sarebbero talmente vane e inconsistenti, che da parte turca non si vede cosa guadagnerebbe l’Italia, in prestigio o in utilità pratica, dall’attribuzione di tale carica al gen. De Castiglioni;

3) l’esistenza di un deputy italiano provocherebbe inevitabilmente frizioni e malintesi, che, anche se di lieve entità, finirebbero coll’avere pubblicità e determinare fra l’Italia, la Turchia e la Grecia un’atmosfera, che non sarebbe certamente quella di piena fiducia ed armonia desiderata dal Governo turco, cui sta particolarmente a cuore l’amicizia italiana.

Avendo l’incaricato d’affari greco domandato al sig. Köprülü se egli non credesse che, nell’intento di dare soddisfazione all’Italia, un’altra formula si potesse escogitare, come quella avanzata, per esempio, dalla Grecia tempo fa, di due deputies di cui uno italiano e l’altro americano, il ministro degli affari esteri turco ha dichiarato che, in materia di organizzazione della difesa in relazione al Patto atlantico, il Governo turco è mosso da due criteri fondamentali:

a) che ragioni di efficienza e non motivi di prestigio devono prevalere: e quindi ogni altra considerazione deve essere subordinata alle necessità militari;

b) che l’uguaglianza dei membri dell’Alleanza deve essere assoluta: in quanto essa è necessaria a raggiungere la migliore organizzazione e ad evitare ogni contrasto che indubbiamente la indebolirebbe.

442

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. 2620/88. Roma, 19 marzo 1952, ore 15,15.

Mio 801.

Come noto, il 16 aprile p.v. avranno luogo le elezioni alle cariche O.E.C.E. È da ritenere che Stikker intenda lasciare la presidenza dell’Organizzazione, mentre non appare che orientamento paesi partecipanti possa essere favorevole a sua sostituzione con un olandese o altra personalità Benelux. In tale situazione è opinione del Governo italiano che carica presidente – cui si abbina quella di conciliatore – dovrebbe essere assunta da un paese fra i più importanti, che potesse tenerla con la necessaria autorità e responsabilità nelle attuali contingenze. Durante il prossimo anno dovranno in effetti essere affrontati importanti problemi, per la soddisfacente soluzione dei quali, nel comune interesse, occorrerà il maggior spirito di cooperazione e la concentrazione della buona volontà di tutti.

Da parte italiana ritienesi che sarebbe desiderabile che presidenza fosse assunta da Gran Bretagna.

Prego pertanto V.E. di voler portare tale punto di vista italiano a conoscenza di codesto Governo, richiamandosi anche all’esposizione del nostro pensiero che ebbi occasione di fare nel corso della mia visita a Londra lo scorso anno2, e di esprimere nostra fiducia che Gran Bretagna voglia accettare candidatura, che saremo lieti di appoggiare e sostenere, assumendoci eventualmente iniziativa presentazione.

Sarà gradito se codesto Governo ci farà conoscere appena possibile sua posizione al riguardo3.


442 1 Vedi D. 421.


442 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 298.


442 3 Con T. 3453/115 del 24 marzo Brosio rispondeva di aver intrattenuto sull’argomento il sottosegretario Berthoud, il quale gli aveva anticipato la probabile risposta negativa del Governo britannico, non intenzionato ad «estendere ulteriormente propri impegni nell’O.E.C.E.». Per il seguito vedi D. 580.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 2661/91 (Londra) 127 (Washington). Roma, 20 marzo 1952, ore 23,30.

Al termine odierna manifestazione Trieste svoltasi in luogo chiuso come convenuto con G.M.A., italiani, mentre uscivano da Teatro Verdi e si adunavano pacificamente in Piazza Unità per ascoltare banda musicale Lega nazionale, sono stati inopinatamente e ingiustificatamente caricati dalla polizia che ha causato vari feriti. Ne sono seguite manifestazioni brutalmente represse da polizia stessa. Siamo prontamente intervenuti sia presso questa ambasciata britannica che presso G.M.A. Solo a tarda sera si è potuto ottenere che polizia desistesse da sua azione.

(Solo per Londra) Segnalo che generale Winterton, più volte ricercato da Carrobio, ha fatto rispondere da Duino, di dove non si è mosso, non potersi recare nemmeno al telefono perché «stava cambiandosi» (sic).

(Per tutti) Deplorevoli fatti avvenuti Trieste avranno inevitabili gravi ripercussioni su opinione pubblica italiana e Governo non (dico non) può esimersi dal riprovare pubblicamente comportamento polizia.

Pregola segnalare d’urgenza quanto precede a codesto Governo sottolineando nostro disappunto per tali episodi

(Solo per Londra) che nuocciono sforzi che andiamo facendo per consolidare amichevoli rapporti anglo-italiani1.


443 1 Per le risposte vedi rispettivamente DD. 448 e 449.

444

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 239. Parigi, 20 marzo 1952(perv. il 22).

Mi sembra sia opportuno cercare di fissare le nostre idee sul valore ed il significato reale della nota russa sulla Germania1.

Una mossa russa di questo genere la si attendeva qui l’anno scorso al momento in cui fu convocata la Conferenza del Palais Rose: il fatto che essa sia venuta fuori oggi, e non un anno fa, significa evidentemente che i russi ritengono che, in questo anno, la situazione ha peggiorato per loro: vuol dire in altre parole che essi hanno preso sufficientemente sul serio la Conferenza di Lisbona.

Noi che siamo nel Patto atlantico, vediamo il molto che come contenuto solido e reale, manca ancora al Patto atlantico; è probabile che i russi, sia per loro natura, sia per le fonti delle loro informazioni, generalmente deformate, ci vedano molto più di quello che realmente c’è: lo scarto, difficilmente apprezzabile, fra la realtà e la immaginazione dei russi, costituisce un elemento di valutazione che sarebbe importante poter stabilire, e che purtroppo non è possibile fare che con molta approssimazione.

Personalmente non sono d’accordo con quelli che pensano che l’unica cosa che preoccupa veramente i russi è il riarmo della Germania, e che quindi essi sono disposti a fare tutto – anche eventualmente la guerra – per impedirlo. È probabile che i russi stimino, militarmente parlando, i tedeschi molto più dei francesi e di noi: ma quello che li preoccupa veramente, è il riarmo americano contro cui, direttamente, non possono far niente. Non resta loro che agire indirettamente; e, visto che il riarmo americano è collegato, in larga misura, con il riarmo europeo, agire appunto ritardando questo riarmo europeo. Facendo questo, essi perseguono un duplice obbiettivo:

1) ritardare il giorno in cui l’Europa sarà al coperto da una aggressione, sia perché essi temono che, una volta sistemata la difesa dell’Europa, dalla fase difensiva si possa presto passare alla fase offensiva; sia perché, una Europa scoperta, e fino a che essa è scoperta, è per loro un ostaggio importante, che rende difficile agli americani reagire sui fronti asiatici con forme e mezzi che potrebbero forse seccare i russi ed i loro amici;

2) aumentare, con questi ritardi l’insofferenza americana nei riguardi dell’Europa, nella speranza che, continuando per questa strada, venga un giorno in cui gli americani si stufino dell’Europa stessa.

Questo secondo obbiettivo è il settore su cui i russi stanno qui avendo dei grossi successi: la confusione delle idee portata dalle varie campagne per la pace, la paura di quello che faranno e diranno i comunisti ed i loro compagni di strada, paralizzano in larga misura il Governo francese, ed anche il nostro: e le reazioni americane le stiamo vedendo già nel corso dei dibattiti al Congresso. Che per questa strada si porti l’America a disinteressarsi economicamente e militarmente dell’Europa e, per i russi, la partita europea è vinta.

Per me quindi, questo è lo scopo che persegue la nota sovietica: aumentare la confusione e, attraverso la confusione, il ritardo nella messa in moto della pesante macchina atlantica ed europea.

E come che vadano a finire le cose, questo ritardo è già una conseguenza inevitabile della nota russa, quale essa è: si può quindi dire che, con il solo fatto della sua presentazione, essa è già riuscita al suo scopo.

Il fatto che la Russia abbia messo, fra le condizioni del trattato di pace, la ricostituzione di un esercito tedesco, ha senza dubbio messo in forte imbarazzo i comunisti francesi ed i loro compagni di strada; ha creata una certa reazione fra i socialisti francesi: questo non toglie però che tutte le numerose correnti francesi che sotto diverse colorazioni si oppongono al riarmo tedesco anche e sotto la copertura dell’esercito europeo, come ad un gesto che può rompere definitivamente i ponti con i russi, sono oggi più forti che mai: nessun Governo francese, checché possa pensarne o dirne Schuman, potrebbe portare davanti al Parlamento il progetto di esercito europeo, e nemmeno gli accordi contrattuali sulla Germania, quali che essi siano, prima di avere mostrato di avere saggiato fino in fondo questa «offerta di pace» dei russi, e senza, aggiungerei, avere dimostrato di aver fatto l’impossibile per amorcer una conversazione concreta sulle proposte russe. E suppongo che anche da noi la confusione degli spiriti che già c’era non ne sia certo diminuita.

Se è così per la Francia, temo sia ancora peggio per la Germania. La proposta russa è una trappola, su questo personalmente non ho dubbi, ma purtroppo, quando si tratta di russi, tutte le persone più furbe sviluppano delle qualità insospettate di ingenuità: ed è del resto naturale, il riconoscere che con i russi non c’è niente da fare, porterebbe tutti i Governi europei occidentali ad assumere sul piano interno una determinata linea politica, economica e militare: significherebbe un abbandono della comoda linea del minimo sforzo, su cui tutti più o meno preferiscono adagiarsi. Ma, oltre a ciò, per il tedesco della strada, il progetto russo presenta apparentemente una serie di attrattive: unificazione della Germania che logicamente tutti i tedeschi desiderano (meno forse, in cuor suo, il partito cattolico, il quale in una Germania unita non potrebbe mai trovare la posizione predominante che esso ha nella Germania occidentale): fine del regime di occupazione, e delle sue spese, di cui, altrimenti non si intravvede la fine: libertà economica completa: amnistia pure completa: ce n’è evidentemente per tutti. E non credo sia molto difficile arrivare alla conclusione che Adenauer avrà tutte le difficoltà di questo mondo per continuare la sua politica che già attualmente trova molta opposizione, appunto, fra l’altro, perché la si ritiene una politica che rende impossibile un «accordo» per l’unificazione della Germania. Ed anche lui non potrà andare avanti sulla via che si è tracciata se non potrà dimostrare che sia lui che gli Alleati occidentali hanno fatto tutto il possibile, e forse anche qualche cosa di più, per tirare fuori dai russi qualche cosa di piacevole e di concreto.

Detto questo, non penso che i russi abbiano voluto soltanto fare un puro gesto di propaganda ritardataria: probabilmente i russi vogliono vedere se non c’è la possibilità di ottenere qualche cosa di più.

È più di un anno che circola, sia in Francia che in Germania, la voce che i russi sarebbero disposti anche ad abbandonare la Germania orientale, se, come conseguenza di questo abbandono, essi potessero ottenere il ritiro delle forze anglo-americane dalla Germania – il che in pratica vorrebbe dire il ritiro delle truppe americane dall’Europa – e la neutralizzazione della Germania, anche se leggermente riarmata. Specialmente i francesi, siamo tutti un po’ ossessionati dalla politica di Rapallo: ci sono qui molti, e non degli ultimi, i quali pensano che, come stadio ulteriore, e per aggiogare più solidamente al loro carro una Germania borghese e nazionalista, i russi sarebbero disposti anche a rivedere le frontiere orientali della Germania.

A tutto questo, francamente, non ci credo: e non soltanto, perché ritengo si tratti di una politica troppo intelligente, a lunga scadenza, per i russi di oggi, che sono abili, diabolici se si vuole, in certe loro azioni giorno per giorno, ma che non hanno mostrata nessuna intelligenza a lunga scadenza; ma perché essa è difficilmente realizzabile.

Ammettere l’unificazione della Germania sotto forma di abbandono della parte orientale, significherebbe fare in tutto il paese delle elezioni libere, libere come lo si intende in Europa occidentale. Ora di comunisti e simpatizzanti in Europa ce ne possono essere, ed anche molti, nei paesi che non hanno mai visti i russi e mai visto, in pratica, il comunismo: dove si sono visti i russi ed il comunismo, una volta tolto di mezzo l’apparato di costrizione, di gente che voti comunista ne resta ben poca. Una Germania orientale, la quale pubblicamente rinnegasse il regime che, così dice la loro propaganda, essa si è liberamente data, sarebbe per la propaganda russa all’estero, comunque, un grave colpo, e probabilmente, sarebbe non senza ripercussioni interne, certo nei paesi satelliti, forse anche nella Russia stessa.

Come poi si può supporre che Stalin, che non si fida di nessuno, si possa fidare della neutralità di una Germania borghese, visto che, dal punto di vista russo, fra Adenauer, Schumacher ed Hitler non c’è praticamente nessuna differenza?

I vari «compagni di strada», sia uomini che movimenti, possono servire, sì, ed essere accarezzati fintanto che servono per aprire la strada al comunismo: ma, lasciati a sé soli, ossia non più inquadrati da un forte partito comunista e, possibilmente, sorvegliati da opportune squadre di M.G.B., anch’essi diventano dei fascisti come gli altri.

Quanto alla retrocessione di territori polacchi la questione mi sembra ancora più fantastica. La popolazione tedesca dei territori ceduti è stata evacuata e sostituita da popolazione polacca: quindi bisognerebbe ripetere l’operazione. Ma mi sembra poi che si dimentichi che, sotto un certo punto di vista, la libertà della politica russa è oggi molto minore di quanto essa fosse prima della guerra. Allora la Russia era uno Stato, grandissimo, sì, ma unico: attualmente essa è il centro di tutto un mondo, ad Oriente e ad Occidente e non le è più così facile rovesciare le basi della sua politica nei riguardi della Polonia: ciò potrebbe far pensare tanta altra gente: una cosa è trattare con i partiti comunisti nei paesi capitalisti, un’altra è trattare con i partiti comunisti al potere, specie dopo il pericoloso esempio di Tito.

Comunque, tutto questo, mi limito ad accennarlo. La conclusione a cui volevo arrivare è che quello che i russi, forse, sperano di potere ottenere, e, comunque, quello che essi intendono per unificazione della Germania è fare entrare la Germania orientale, così come essa è, nel futuro corpo politico della Germania; così come essi intendono fare entrare le organizzazioni militari orientali, così come esse sono, nella futura Wehrmacht tedesca – ed è questa probabilmente la ragione recondita della sanatoria politica offerta ai vecchi membri del partito nazista ed ai vecchi ufficiali della Wehrmacht. Di una Germania così costituita, ai fini loro, essi si potrebbero fidare: noi già vediamo in Francia ed in Italia quanto diano fastidio dei grossi partiti comunisti: un grosso partito comunista tedesco, appoggiato su di una base territoriale solida, e su di una organizzazione militare già fatta, di fronte ad un’organizzazione militare occidentale ancora da fare, e da fare con tutte le inibizioni dei partiti politici tedeschi e delle austerità straniere, sarebbe in realtà una bomba a ritardamento messa nel corpo politico della Germania, il cui risultato finale ed anche a scadenza non molto lunga, sarebbe quello di dare alla Germania un governo di democrazia popolare.

Che i russi siano tanto ingenui da pensare che questo possa riuscire? In passato gliene sono riuscite tante: non è escluso del resto che essi sopravvalutino le forze esistenti qui in Francia, e non solo in Francia le quali in un accomodamento con la Russia ad ogni costo vedrebbero tuttavia la soluzione dei loro problemi di oggi della politica interna. Accettare una proposta di questo genere, sarebbe essere impiccati fra un paio d’anni: intanto però si potrebbe vivere in pantofole per un paio di anni ancora. E una prospettiva di questo genere può ancora allettare molta gente.

Comunque, i russi pensano, e, temo, con ragione, che, anche se respinta oggi, questa loro proposta potrebbe restare nell’aria, e aumentare il travaglio di tante anime ingenue, o in mala fede. Quanta gente si dirà, in tutti i paesi di Europa: «Ma, dopo tutto, perché no?» Intanto si otterrebbe la evacuazione della Germania da parte dei russi; forse una volta partiti i russi, si potrebbe «ragionare» con i comunisti tedeschi; si potrebbe persuadere la Russia del nostro buon volere. E, siccome le ripercussioni della politica di riarmo sulla vita di ogni giorno, le difficoltà interne, i battibecchi coll’America, in un prossimo futuro non sono, temo, destinati ad attenuarsi, ma ad aumentare, così la proposta continuerà a «lavorare»: sarà stato detto chiaramente: a queste condizioni ci si potrà intendere colla Russia; e molta gente si dirà: «Perché no?».

La mossa russa ha preso di sorpresa il mondo occidentale: di sorpresa, come sempre sono le cose russe: si supponeva da un pezzo che essa potesse venire; ma, nel frattempo nessuno ha avuto il tempo di pensarci. Ora però che il male è fatto, bisogna cercare di manovrare, perché il suo valore di propaganda venga attenuato nel miglior modo possibile. Questo è necessario in primo luogo per la Germania e per la Francia, ma un po’ per tutti, sul continente almeno.

A Schuman ed a Parodi, che me ne hanno parlato, ho esposto il punto di vista che riferisco (li ho trovati tutti e due molto «rapallisti»: Parodi, poi, che è il rappresentante delle correnti socialiste in genere e neutralizzanti in particolare, era in fondo un po’ «tentato») ed ho dato due suggerimenti:

1) nella risposta all’U.R.S.S., la prima per lo meno, piuttosto che dire subito che l’unificazione deve essere fatta mediante libere elezioni, anche nella zona orientale, sulla base delle proposte O.N.U., già respinte dai russi, converrebbe chiedere ai russi di chiarire come, secondo loro, si dovrebbe procedere alla creazione di questo Governo unificato con cui si dovrebbe trattare.

La prima alternativa dà ai russi una facile risposta polemica: si indignerebbero contro le proposte alleate, non preciserebbero le loro. La seconda alternativa li metterebbe invece nella necessità di svelare il loro giuoco: i russi son furbi quando si tratta di trattative, ma, comunque, l’impostazione mi sembrerebbe migliore;

2) dato che l’argomento economico ha grande importanza sull’opinione pubblica tedesca, sarebbe opportuno chiedere ai russi cosa intendono fare dei Kombinst e società miste che hanno create in Germania orientale: se essi cioè intendono considerarle come proprietà loro, così come essi hanno fatto in Austria o se essi intendono lasciarle ai tedeschi (cioè non solo al partito comunista tedesco) in piena libertà di disporne. Ho pochi dubbi sul fatto che i russi intendono in qualche modo tenersele: sarebbe opportuno portarli a scoprirsi.

Da quanto mi è stato riferito, noi abbiamo fatto presente che la nota russa, avendo le sue ripercussioni sulla sicurezza di tutti, e sulla sorte del Patto atlantico e della C.E.D., non può essere considerata come di competenza esclusiva delle potenze occupanti. Posizione giustissima ed inattaccabile.

Sarà, però, temo, difficile ottenere che noi siamo fin da ora chiamati ufficialmente a dire la nostra parola; ci resta però sempre aperto il «normale tramite diplomatico»: ossia noi possiamo non limitarci a domandare informazioni, ma esporre ai principali Governi interessati, in un documento, possibilmente scritto, il nostro punto di vista. Nessuno può impedirci di farlo. È questa una via graduale di reinserimento nostro nelle trattative internazionali: non è la soluzione formale, ma è una soluzione di fatto.

Noi ci lagniamo, ed a ragione, di essere lasciati fuori da tutte le trattative importanti, che si fanno a tre con una pericolosa tendenza a diventare a quattro, coll’aggiunta della Germania, la cui presenza è giustificata, di fatto, dall’argomento che è di lei che si tratta. C’è in questo una situazione di fatto; la nostra posizione di ex-paese vinto, la esistenza nel Patto atlantico del Consiglio a Tre, tutte cose che noi non possiamo cambiare con attacchi frontali. Ma c’è anche un po’ di colpa nostra. Specie negli ultimi tempi, le occasioni non ci sono mancate di contatti, anche ad altissimo livello, non con i francesi, con cui li abbiamo sempre avuti, ma con gli inglesi e gli americani. Ora noi generalmente approfittiamo di queste occasioni per parlare della questione di Trieste, dell’emigrazione, dell’ammissione all’O.N.U. e del Comando Sud: passi ancora per i primi due che hanno per noi un importanza reale; ma, a quanto mi risulta almeno, non ne abbiamo mai, o quasi, approfittato per discutere di argomenti di interesse generale.

Noi non abbiamo – è triste ma bisogna riconoscerlo – un peso specifico nostro tale da rendere necessario agli altri di consultarci: quel poco di peso specifico che andavano acquistandosi va, attualmente, a rotoli: le apprensioni che si nutrono dappertutto, per le nostre elezioni, l’impressione poco fiduciosa che si ha in genere dell’efficienza, energia e solidità non dico del Governo, ma di tutto l’apparato italiano, fanno sì che noi stiamo ridiventando, come lo eravamo nel 1947, la «questione italiana» piuttosto che l’Italia. Il che è sempre una situazione poco favorevole per fare della politica estera e per farsi ascoltare.

Per un paese nella nostra situazione, l’unico modo, efficace, di reinserirci è quello di dimostrare, con i fatti, che noi ci interessiamo anche ai problemi che non sono specificatamente nostri, e che, interessandocene, siamo in grado di portare alla loro soluzione una contribuzione interessante di cervello.

Se ci potesse riuscire un giorno, per una questione x, portare un giudizio, una informazione, una conclusione che sia utile anche ai cosiddetti Grandi, è possibile che, in un caso successivo, qualcuno si dica: sarebbe il caso che sentissimo anche gli italiani: e così, un po’ per volta, ci si riabituerà a parlare con noi di tutto: a questo punto il riconoscimento formale verrà da sé.

Noi abbiamo più volte, direttamente ed indirettamente, posta la questione formale: se finora i risultati non sono stati molto brillanti, ciò è dovuto senza dubbio ad una reticenza di principio, ma anche al fatto che, all’atto pratico, non abbiamo sempre mostrato che avevamo molto di concreto da dire, e che quello che avevamo da dire rientrava nel campo dei fenomeni e non in quello dei noumeni.

È questa, per me, la strada da battere per reinserirci: e per farlo per ora basta il normale tramite diplomatico che ci è aperto senza che dobbiamo domandare il permesso a nessuno. In altre parole, meno discorsi pubblici possibili; il più possibile di note, promemoria e conversazioni serie.

La prima risposta alla nota sovietica passerà senza che si sia tenuto conto di quello che ne possiamo pensare noi: ma siamo appena al principio e la corrispondenza sarà ancora lunga: abbiamo tutto il tempo di inserirci.

Le ho dato il mio apprezzamento sulla nota russa: il mio parere vale quello che vale: sentiamo cosa ne pensano gli altri principali ambasciatori nostri: potremo così arrivare al più presto possibile a comunicare una ponderata valutazione nostra della nota e del suo significato. Da qui, poi, tenendo conto – sempre in consultazione colle nostre principali rappresentanze – delle reazioni e delle necessità dei singoli paesi, possiamo arrivare ad una formulazione nostra, sensata, di quello che sarebbe bene di fare: se noi arriviamo alla compilazione di un documento che stia in piedi, nessuno si rifiuterà di discuterlo con noi; forse se ne terrà anche un po’ conto: comunque saremo entrati di fatto nella discussione. Lo stesso dovremmo fare, un po’ per volta, per tutte le questioni di interesse generale.

Non è una strada che ci darà dei successi spettacolari: sarà un cammino lento, lungo, che domanda da parte nostra anche un lavoro serio: ma come strada per il nostro reinserimento, francamente, non ne vedo altra.


444 1 Vedi D. 424, nota 2. Vedi anche D. 433.

445

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. s.n.d. 2694/49. Roma, 21 marzo 1952, ore 22,10.

Suo 961.

Qualora venga riconfermata decisione sfavorevole dichiarazione congiunta su conferenza di Mosca, converrebbe almeno ottenere raccomandazione ai singoli Governi perché sia assicurato de facto linea di condotta comune e sia scoraggiata nei modi che saranno ritenuti opportuni in ciascun paese, la partecipazione alla conferenza. Ove anche questo non (dico non) fosse possibile si potrebbe formulare verbale constatante comune apprezzamento su moventi esclusivamente propagandistici e politici della conferenza e inutilità pratica parteciparvi2.


445 1 Vedi D. 416, nota 1.


445 2 Con T. s.n.d. 3523/104 del 25 marzo Straneo rispondeva informando che il Consiglio aveva approvato le iniziative proposte da De Gasperi di cui al presente documento.

446

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3305/281. Parigi, 21 marzo 1952, ore 8,37(perv. ore 9).

Dopo due giorni laboriose trattativa con Schuman, Adenauer ha potuto annunciare verso fine riunione Comitato ministri felice inizio conversazioni franco-tedesche intese regolare questione Saar prima della conclusione trattato pace. Accordi dovranno avere approvazione Gran Bretagna e Stati Uniti nonché Parlamento Saarbruchen che uscirà da prossime nuove elezioni. Delegati francesi e tedeschi esamineranno con rappresentanti Governo Saar se sussistono condizioni per rendere possibili elezioni veramente libere e democratiche nel territorio.

In vista negoziati Adenauer ha rinunziato sollevare in seno Comitato ministri denuncia violazione diritti dell’uomo nonché pregiudiziali contro firma convenzioni internazionali da parte Governo Saar.

Dopo dichiarazioni rappresentante Saar, che sono apparse pure assai conciliative, Schuman ha reso omaggio spirito dimostrato dalle due parti che apre via a soluzione duratura tale da poter apparire un giorno come atto portata storica. Parole congratulazione hanno pronunciato pure Eden, quale rappresentante potenza chiamata sancire futuro accordo, ed Unden in qualità presidente Comitato ministri. Ritiro dall’ordine del giorno spinosa questione e buoni auspici con cui si aprono trattative sono stati da tutti interpretati come elemento nettamente positivo di questa sessione Comitato ministri che si è chiusa pertanto in atmosfera generale soddisfazione.

447

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3306/283-284. Parigi, 21 marzo 1952, ore 10(perv. ore 10,30).

Discussione su proposta inglese1 si è iniziata stamane con lungo intervento Stikker. Intervento è stato dettagliato e approfondito e, dal nostro punto di vista, nettamente positivo. Stikker ha rilevato che esiste sì l’opportunità di stabilire legami organici fra Comunità a sei (dico a sei) e Consiglio Europa, ma ha subito aggiunto che ciò non (dico non) deve in alcun modo ritardare sviluppi federativi previsti dall’articolo 9 (dico 9) della C.E.D. (dico C.E.D.), a questo proposito Stikker ha annunciato che ieri Parlamento olandese ha votato modifica della Costituzione appunto per procedere nella evoluzione federale (o confederale). Stikker si è quindi a lungo soffermato su inconvenienti pratici che proposta britannica sembra comportare; ha messo in dubbio possibilità o convenienza stabilire indennità personale ministri partecipanti vari Consigli nonché utilizzare stesso Segretariato e identica sede. Ha mostrato intenzione che collegamento fra Pool e Consiglio Europa si basi sul noto apposito protocollo del trattato Schuman e che similmente si disponga per rapporti con C.E.D.

Dopo Stikker ho subito preso parola (invio testo intervento per corriere)2 sottolineando assoluta necessità:

1) che non vengano pregiudicate ratifiche già avvenute del piano Schuman;

2) che risultati acquisiti per trattato C.E.D. non (dico non) vengano compromessi e che non (dico non) venga ritardata la sua applicazione;

3) che nessun ritardo o intralcio possa sorgere per sviluppi federativi previsti art. 9 della C.E.D. Ho anche accennato, pur con minore insistenza di quanto aveva fatto Stikker, ad esistenza eventuali difficoltà pratiche per adattamento Statuto Consiglio Europa a trattati due Comunità a sei. Naturalmente ho espresso vivo riconoscimento per sforzo britannico ed ho affermato necessità trovare formule collegamento delle Comunità a sei con altri paesi membri Consiglio Europa.

Dopo intervento Stikker e mio, van Zeeland pur dilungandosi in elogiativi apprezzamenti per proposta inglese, non ha potuto sottacere che applicazione piano Schuman e C.E.D. non (dico non) deve essere ritardata.

Posizione svedese è stata molto categoricamente esposta: Svezia ha accettato partecipare Consiglio Europa solo sotto condizione che a Strasburgo non si trattino questioni militari; se si vuole esaminare proposte inglesi, ha detto Unden, lo si faccia in maniera da preservare integrità del Consiglio d’Europa.

Schuman ha cercato dare ragione a tutti affiancandosi da un lato a Paesi Bassi e l’Italia nel sottolineare necessità non ritardare creazione Comunità a sei e rilevando dall’altro possibilità accoglimento immediato di almeno parte delle proposte inglesi. Lange ha rilevato sembrargli non esistere serie difficoltà per applicazione proposte britanniche soltanto per quanto concerne rapporti fra piano Schuman e Consiglio Europa.

Hallstein, che a quattro occhi mi aveva detto condividere pienamente posizione olandese e italiana, è stato in seduta assai prudente, perché imbarazzato da questioni Saar. Tuttavia ha insistito su necessità che in nessun caso sorgano ritardi per le due Comunità; rappresentanti Danimarca, Grecia, Turchia e Islanda hanno dato senza riserve loro adesione a proposte britanniche.

Inutile che dica che tutti i ministri hanno, chi più chi meno, espresso simpatia per intenzioni Governo britannico e rilevato significato politico sua iniziativa. In tali termini – come già detto – mi sono espresso anch’io.

Al termine discussione Eden ha ringraziato affermando categoricamente nulla essere più lontano da intenzione britannica che portare ritardi o intralci alle due Comunità a sei egli ha detto testualmente: «Lo spirito che ha ispirato la nostra proposta è lo spirito europeo. Noi siamo a fianco dell’Europa». Eden ha detto ritenere possibile conciliare preoccupazioni svedesi e sembrargli esserci accordo di massima perché proposte britanniche e problemi connessi debbano essere esaminati da Comitato consiglieri prima di essere discussi e deliberati da Comitato dei ministri. Effettivamente questa del rinvio del tutto al Comitato dei consiglieri era stata una proposta avanzata da molti ministri.

Comitato dei ministri ha preso decisione in tal senso. Naturalmente nel suo esame il Comitato dei consiglieri deve basarsi sugli elementi emersi nell’odierna discussione3.


447 1 Vedi DD. 429, 437 e 440.


447 2 Non pubblicato.


447 3 Per il seguito della questione vedi D. 475.

448

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3345/110. Londra, 21 marzo 1952, ore 20,23(perv. ore 8 del 22).

Suo 911.

In assenza Dixon e Harrison ho fatto comunicazione al capo dipartimento competente sottolineando comportamento polizia e giustificate ripercussioni opinione pubblica.

Cheetham ha detto di non avere avuto ancora da Trieste pieni dettagli circa incidenti di ieri e non essere quindi in grado di commentarli. Mi ha riferito contenuto comunicato Winterton che sembra attribuire responsabilità incidenti ad elementi disturbatori.

Ho insistito perché venga sollecitato annuncio elezioni. Mi è stato confermato che Governo britannico è come noi convinto su necessità procedere al più presto tale annuncio e mi è stato promesso ripetere istruzioni già date Trieste in tal senso.


448 1 Vedi D. 443.

449

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. Washington, 21 marzo 19521.

Come ho telegrafato2, ho intrattenuto oggi a lungo Perkins sugli incidenti di Trieste e sul comportamento di quella locale polizia, lamentati dal telegramma di V.E. n. 1273.

Prendendo lo spunto dai predetti incidenti ho richiamato più fermamente, se è possibile, del solito l’attenzione del mio interlocutore sulle gravi conseguenze del prolungarsi dello stato di incertezza circa l’applicazione della Dichiarazione tripartita4, incertezza resa più grave dal sabotaggio jugoslavo alla nostra riconosciuta buona volontà di trattare e di liquidare, con un onorevole compromesso basato sulla linea etnica, una situazione giudicata non realistica dalle potenze occidentali.

Tale situazione fa sì che da un lato l’esasperazione degli animi per l’inconcludenza dell’atteggiamento delle predette potenze occidentali, dall’altro gli abusi commessi dal regime jugoslavo in Zona B, il concorso di molteplici inconvenienti contingenti e forse, in fine, l’azione di qualche agente provocatore (comunisti? titini?) hanno condotto agli incidenti di ieri, per fortuna meno tragici di quello che avrebbero potuto facilmente essere.

Se dovesse però continuare l’astensione da giuste e doverose pressioni su Belgrado e, al tempo stesso, un imprudente sistema di governo della polizia locale di fronte a situazioni di estrema delicatezza, si andrà incontro a difficoltà ben più gravi che, mentre coinvolgeranno serie responsabilità anglo-americane, non potranno non produrre serie conseguenze sia a Trieste sia in Italia.

Inoltre, specie in questo periodo pre-elettorale e, tra poco, in periodo elettorale, le ripercussioni di tali eventuali difficoltà saranno ancora più marcate tanto a Trieste quanto nella penisola e renderanno ancora più spinoso questo già intricato e assillante problema internazionale.

Ho insistito quindi nettamente per un’azione a Belgrado per la soluzione della questione maggiore e per un richiamo del Governo Militare Alleato ad un più adeguato senso di equilibrio e di responsabilità.

Ho aggiunto che Trieste, che aveva lottato per la sua italianità dal 1866 al 1918 contro la potente e amministrativamente efficiente duplice monarchia, non avrebbe ora temuto di continuare a battersi fino alla completa vittoria. Era quindi insano pensare ad altra soluzione che non fosse quella dell’annessione all’Italia.

Gli jugoslavi, indubbiamente convinti di ciò, non dovrebbero mancare di trarne le necessarie conseguenze se non sperassero ancora nelle oscillazioni dell’atteggiamento alleato.

A tale proposito ho accennato a Perkins alle ambigue e contraddittorie manifestazioni di Allen, da me già segnalate l’11 corrente, e sulle quali ritorna oggi, sia pure con differente interpretazione e evidente confusione, il New York Times.

Come già gli uffici del Dipartimento di Stato, dai quali avevamo cercato di ottenere qualche chiarimento sulle dichiarazioni di Allen, anche Perkins si è mantenuto molto sulle generali, lasciando ad Allen la completa responsabilità delle sue parole.

Mi attendevo che Perkins avrebbe reagito alla mia protesta circa il comportamento della polizia con delle giustificazioni basate su pretese violazioni delle disposizioni del Governo Militare Alleato da parte dei partecipanti alla manifestazione di piazza dell’Unità. L’ho trovato invece pronto a riconoscere in pieno la fondatezza della mia esposizione.

In particolare mi ha detto:

- il problema di Trieste deve essere presto risolto;

- gli jugoslavi hanno torto a proporre soluzioni assurde; noi abbiamo ragione a rimanere fermi sulla base della Dichiarazione tripartita, pur essendo pronti a fare qualche concessione di carattere etnico e a concedere le necessarie facilitazioni economiche nella zona a noi restituita;

- è giusto che deploriamo gli incidenti, quando questi costituiscono un pericolo sia in atto, sia per il futuro;

- la polizia triestina, secondo la versione qui giunta e di cui mi ha dato il testo che trasmetto in allegato, non avrebbe commesso degli eccessi; è però naturalmente difficile giudicare da lontano tanto più che le autorità locali tendono sempre a discolparsi;

- prendeva nota di quanto da me dettogli, sia per l’esame, tuttora in corso, della possibilità che il Governo americano intervenga a Belgrado per indurre quel Governo ad un più ragionevole approccio verso la soluzione dello spinoso problema, sia per consigliare, in ogni circostanza, moderazione, avvedutezza e prudenza al Governo Militare Alleato.

Perkins ha concluso dichiarandomi di essere molto attristato dell’accaduto, di vederne le incresciose, e anche gravi possibili conseguenze, e di tenere perciò il più stretto conto delle nostre giuste osservazioni e doglianze, non solo nel nostro ma nel comune e generale interesse.


449 1 Copia priva dell’indicazione del numero di protocollo e della data di arrivo.


449 2 T. s.n.d. 3352/196, pari data, con il quale Tarchiani aveva anticipato le notizie contenute nel presente rapporto.


449 3 Vedi D. 443.


449 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 2720/96 (Londra) 130 (Washington). Roma, 22 marzo 1952, ore 16,45.

Situazione Trieste permane tesa1. G.M.A. ha diramato su cause incidenti comunicato nel quale, evitando addossarne responsabilità sia ad autorità locali che a quelle alleate, si attribuiscono a elementi irresponsabili atti provocazione che avrebbero determinato intervento polizia. Comunicato, che secondo quanto riferiscono concordemente prefetto, sindaco e Carrobio, non risponde al vero, non ha soddisfatto cittadinanza. Prefetto ha manifestato intenzione dimettersi e siamo con difficoltà riusciti dissuaderlo. Per oggi è indetto sciopero generale protesta. Autorità cittadine hanno sospeso collaborazione con G.M.A.

Ad ambasciatore Mallet ho detto che, salvo ulteriori provvedimenti, è necessario almeno aprire subito inchiesta su comportamento polizia e darne notizia cittadinanza. Ciò viene fatto del resto in Italia ogni qualvolta insorgano simili gravi incidenti e non lede prestigio autorità: ogni considerazione di tale natura, cui G.M.A. potrebbe subordinare sua decisione in proposito, sarebbe impolitica e pericolosa. Prego seguire questione anche costì2.


450 1 Vedi D. 443.


450 2 Per le risposte vedi DD. 457 e 458.

451

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto 2746/99. Roma, 22 marzo 1952, ore 21,30.

Generale Winterton al quale, su istruzioni presidente del Consiglio, Carrobio aveva offerto invio Trieste membro Governo o influente parlamentare per contribuire pacificazione animi, ha rifiutato proposta sollevando questioni relative «sovranità» (sic) e adducendo egli solo essere responsabile mantenimento ordine pubblico.

V.E. potrà valersi anche questo episodio per lumeggiare insensibilità politica e inettitudine autorità preposte G.M.A. e gravi rischi che ne derivano.

452

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 22 marzo 1952.

I ministri principalmente interessati (Campilli, Fanfani, La Malfa) hanno dato la loro approvazione al progetto per l’istituzione di una zona di libero scambio con l’Austria. Il ministro Pella si è dichiarato soddisfatto del progetto in maniera particolare.

Tale approvazione, di carattere tecnico, rappresenta un benestare di massima, perché quella finale di merito non può che seguire, e non già precedere, i risultati dei lavori della Commissione mista che sarà incaricata delle trattative. È infatti alla Commissione che incomberà stabilire il programma di applicazione (quali merci avranno il trattamento preferenziale, per quale percentuale, entro quali contingenti, ecc.); e ciò presuppone adeguate trattative fra le due parti, per raggiungere l’indispensabile equilibrio nei vantaggi e nei sacrifici.

Peraltro, il ministro La Malfa si è dichiarato perplesso per i riflessi politici, in quanto teme, tra l’altro, che un passo del genere abbia particolare carattere antisovietico e, all’interno, possa far rimproverare al Governo di avere acuita, per compiacere gli americani, la tensione fra i due grandi contendenti.

Anche per tale motivo, ai fini della risposta di cui il Governo italiano è debitore a quello austriaco, occorre ora una decisione di carattere politico.

Data l’urgenza di una adeguata preparazione diplomatica, mi permetto prospettare l’opportunità che la questione venga esaminata nel prossimo Consiglio dei ministri. Il ministro La Malfa desidererebbe, prima della seduta, avere uno scambio di idee con V.E. per i motivi sovra esposti.

La decisione del Gabinetto potrebbe vertere sull’accluso progetto di Nota1 da scambiare con il Governo austriaco2.


452 1 Non pubblicato.


452 2 Per il seguito vedi D. 486.

453

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. s.n.d. urgentissimo 2762/101. Roma, 23 marzo 1952, ore 21,15.

Situazione Trieste tuttora tesa1. In conseguenza risposta negativa Winterton a richiesta partiti democratici per inchiesta su avvenimenti e suo arrogante atteggiamento nei confronti autorità cittadine, queste ultime, pur avendo aderito nostre insistenze non (dico non) dimissionare, mantengono non collaborazione. Pretesa G.M.A. che manifestazione 20 marzo e incidenti verificatisi siano stati la prima organizzata e i secondi provocati per scopi elettorali d’accordo con Governo italiano, rivela, se Winterton vi crede davvero, assoluta incomprensione situazione. Se poi vi insiste per solo scopo polemico, ciò rivela debolezza posizione G.M.A. difficilmente difendibile con argomenti più seri.

In ogni caso situazione creatasi, per quanto grave a Trieste, supera ormai limiti competenza e valutazione G.M.A. e, per ripercussioni che ha già avuto e può ancora avere in Italia, è da considerarsi sul piano rapporti italo-britannici che, dopo avvento Eden, avevano preso indirizzo fiduciosa collaborazione e che dobbiamo fare ogni possibile sforzo per consolidare su base solidale amicizia.

Da parte nostra facciamo nostro meglio per calmare animi ed evitare che risentimento contro rappresentanti britannici nel Governo Militare Alleato esploda in generale risentimento opinione pubblica italiana contro Gran Bretagna. Ma non ho bisogno ricordare a lei quale sia sensibilità nazionale per tutto ciò che riguarda Trieste e riteniamo sia giusto, e politicamente necessario, che popolazione abbia soddisfazione che reclama, e che tale soddisfazione sia data passando anche sopra scrupoli prestigio qualche funzionario che non dico (dico non) vale quanto può valere mantenimento amichevoli rapporti fra due nazioni.

La prego dire con franchezza tutto ciò a Eden ricordandogli che solo suo senso realistico e sua esperienza politica e internazionale possono ora sbloccare situazione ed evitare rischi maggiori. Triestini e italiani attendono da lui un concreto e intelligente gesto pacificatore che è mancato da parte G.M.A.2.


453 1 Vedi DD. 443 e 450.


453 2 Vedi D. 457.

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 2786/133. Roma, 24 marzo 1952, ore 20.

Nel corso colloqui avuti prima con rappresentanti partiti politici italiani e successivamente con Carrobio, Winterton ha avanzato apertamente accusa che avvenimenti di Trieste fossero stati organizzati dallo stesso Governo italiano a scopi elettorali.

L’illazione più ancora che falsa è ridicola e conferma completa incomprensione della situazione da parte del G.M.A. Governo italiano nelle settimane precedenti manifestazione ha cercato esercitare azione moderatrice sulla stampa per trattenerla dall’inasprire nuovamente rapporti con Jugoslavia pur avendo protestato per trattamento fatto ad italiani Zona B. È però evidente come Governo non potesse opporsi, o dare l’impressione di opporsi, ad una manifestazione d’italianità.

In questo spirito Governo italiano ha fatto caldeggiare presso G.M.A. concessione permesso manifestazione che, se lasciata svilupparsi come previsto e senza inopinato ed aggressivo intervento polizia, si sarebbe svolta pacificamente. L’argomento che lo A.M.G. non aveva autorizzato manifestazione pubblica non può riferirsi a quanto è accaduto: giacché autorizzazione a che la banda cittadina suonasse nella piazza non avrebbe avuto senso se non si fosse inteso implicitamente consentire alla popolazione di ascoltarla.

Sono state date urgenti istruzioni nostro ambasciatore a Londra1 di rappresentare a Eden elementi della situazione e pericolo che risentimento contro rappresentanti britannici a Trieste esploda in generale risentimento opinione pubblica italiana contro Gran Bretagna. Occorre a tal fine che popolazione triestina abbia soddisfazione che reclama.

Poiché mi risulta che in alcuni settori almeno di questa ambasciata statunitense si ha tendenza a solidarizzarsi con interpretazione eventi data da autorità inglesi Trieste e sopratutto a lasciarsi prendere da impazienza per imbarazzo nel quale avvenimenti di cui trattasi possono porre americani nei confronti di Belgrado, sarà opportuno che ella faccia conoscere molto amichevolmente ma anche molto seriamente nostro punto di vista. È bene non lasciare dubbio alcuno sul fatto che Governo italiano non (dico non) può deflettere da tutela interessi nazionali che hanno per noi in questo campo precedenza assoluta su altre considerazioni attinenti rapporti con Jugoslavia.


454 1 Vedi D. 453.

455

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. precedenza assoluta 2819/136. Roma, 24 marzo 1952, ore 23.

Seguito 1341.

Dichiarazioni Eden ai Comuni che confermano interpretazione G.M.A. circa incidenti e discolpano polizia hanno qui destato penosa impressione ed è prevedibile susciteranno a Trieste vivace reazione. Colloquio odierno Brosio-Eden2, svoltosi dopo dichiarazioni suddette, è stato poco concludente e verrà ripreso domani martedì pomeriggio.

Nel frattempo Eden si è riservato mettersi in comunicazione con Dipartimento di Stato. Sottosegretario Taviani ha questa sera convocato incaricato d’affari americano spiegandogli serietà situazione anche per ripercussioni parlamentari. Brosio suggerirà domani a Eden invio Trieste personalità politica britannica per rendersi esatto conto situazione. Informi d’urgenza di quanto precede Dipartimento di Stato chiedendogli dare ad Eden, come proprio, stesso suggerimento che riteniamo possa avere conseguenze distensive e venire interpretato favorevolmente da nostra opinione pubblica.


455 1 T. s.n.d. 2806/103 (Londra) 134 (Washington), pari data, non pubblicato.


455 2 Vedi D. 457.

456

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. urgentissimo 3444/294. Parigi, 24 marzo 1952, ore 21,55(perv. ore 22,45).

Con numero successivo trasmetto sunto nota di risposta alla Russia comunicatami stamane da Parodi1. Resta ancora da precisare qualche parola (questioni di forma e non di sostanza) per cui si attende accordo americano e si ritiene che nota potrà essere rimessa Russia domani sera 25 (ripeto venticinque): essa sarà data alla stampa 24 (dico ventiquattro) ore dopo consegna: per cui mi è stato chiesto di considerare, fino a data sua pubblicazione, comunicazione come segreta.

Parodi mi ha aggiunto di aver informato e non (ripeto non) consultato altri due Governi che della risposta si dava comunicazione anticipata a noi.

Circa elaborazione nota stessa Parodi mi ha detto che non ci sono state difficoltà sostanziali fra i Tre, contrariamente a quanto avevano detto alcuni giornali inglesi. Progetto americano era per la parte finale più secco tanto da dare impressione che con questo si chiudevano conversazioni: di fronte ad osservazioni francesi ed inglesi, americani hanno aderito a nuovo testo assicurando che non era mai stata loro intenzione dare a nota anche apparentemente tono di una fin de non recevoir.

Modificazioni sostanziali sono state invece introdotte su richiesta Adenauer e cioè:

1) È stato chiesto precisare quale sarebbe posizione Governo tedesco unitario sino conclusione trattato di pace, mentre progetto primitivo non aveva sollevata questione.

2) È stato chiesto precisare che libertà Germania partecipare a Comunità europea a carattere difensivo è per occidentali condizione sine qua non perché si possa entrare in discussione su trattato di pace. Adenauer, a quanto mi ha detto Parodi, ha particolarmente insistito su questo punto, desiderando evitare che opinione pubblica tedesca potesse arguirne che politica europea era stata intesa da Occidente e specialmente da Francia come male minore e che si era pronti a rinunciarvi di fronte primo accenno possibile mutamento da parte russa. Su questo punto c’è stata qualche esitazione da parte inglese ma Schuman ha energicamente appoggiato tesi Adenauer.

Non si sono volute, a questo stadio, elencare altre questioni limitandosi a dire che ce ne sono altre e fondamentali da risolvere: questo è appunto uno dei punti ancora in discussione, perché da parte americana è stata proposta la formula «numerose» mentre da parte francese ed inglese si preferirebbe espressione «varie».

Per parte mia ho detto ritenere che Governo italiano avrebbe molto approvato riaffermazione in questa sede della volontà di integrare la Germania all’Europa.

Nel corso della conversazione Parodi mi ha detto che il Governo francese sarebbe stato felicissimo di conoscere eventuali considerazioni in proposito da parte del Governo italiano e che ne avrebbe tenuto debito conto nello svolgimento ulteriore delle trattative.


456 1 Non pubblicato. Per un commento sulla nota anglo-franco-statunitense, consegnata il 25 marzo, vedi D. 462. Il testo della nota è edito in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 13, p. 337. Per la nota sovietica del 10 marzo vedi D. 424, nota 2.

457

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. per telefono 3449/116. Londra, 24 marzo 1952, ore 24.

Rientrato ieri sera ho chiesto stamane colloquio con Eden che mi ha ricevuto alla Camera dei Comuni questo pomeriggio mentre era in corso un dibattito parlamentare.

Segretario di Stato ha iniziato esprimendomi rincrescimento che nostro primo colloquio avesse luogo nell’atmosfera creatasi da incidenti Trieste. Mi ha quindi dato lettura delle dichiarazioni che aveva appena fatto alla Camera dei Comuni cui di proprio pugno aveva aggiunto frase finale su importanza che Gran Bretagna attribuisce a rapporti italo-inglesi.

Sono entrato da parte mia nella discussione mettendo in rilievo errori di sensibilità politica commessi da Winterton ed illustrandogli pericoli insiti in attuale situazione Trieste. Mi sono poi espresso con lui nei termini indicati da V.E. nel telegramma 1011.

Eden, pur manifestandosi lusingato della fiducia di V.E., non sembrava rendersi pienamente conto necessità ulteriore gesto dopo sue dichiarazioni.

Di fronte sue esitazioni, ho ritenuto opportuno avanzare qualche concreto suggerimento precisando che lo facevo a titolo puramente personale e senza alcun impegno per il mio Governo. Ho premesso che situazione doveva essere considerata sia nel suo insieme che nei riguardi dei recenti incidenti. Sotto primo punto di vista, libertà di azione di Tito in Zona B e conclamata equidistanza del G.M.A. in Zona A malgrado Dichiarazione tripartita2 creavano squilibrio a nostro danno, che costituiva causa prima di ogni frizione ed incidente. Sotto questo aspetto sembravami necessario che Eden riaffermasse ora continuità politica britannica espressa nella Dichiarazione, riservandomi espressamente di intrattenerlo poi sugli sviluppi concreti che se ne dovrebbero trarre.

Sotto secondo punto di vista si rendeva necessaria da un lato sostituzione Winterton e dall’altro revoca rifiuto opposto a invio di una personalità italiana sul luogo per pacificare animi e prendere opportuni contatti con autorità alleate e partiti (telegramma V.E. 99)3. Eden si è dichiarato senz’altro d’accordo su riconferma Dichiarazione tripartita secondo nota formula adottata in occasione visita V.E. a Londra. Mentre ha mostrato non voler raccogliere richiesta relativa Winterton, mi è parso favorevole accettazione terza richiesta circa la quale ha dichiarato volersi consultare con americani.

Prima di lasciarci con intesa rivederci domani pomeriggio Eden mi ha detto che era urgente procedere all’annuncio delle elezioni e sperava ciò potersi fare prossimamente non appena l’atmosfera locale tenda ad una schiarita.

Anche a seguito telefonate Zoppi e Taviani, chiariremo domani in successivi colloquii con Harrison Strang ed Eden aggravamento verificatosi sia nella situazione locale che nelle ripercussioni in Italia, insistendo per adozione di provvedimenti e particolarmente perché sia inviata a Trieste anzitutto una personalità britannica4.


457 1 Vedi D. 453.


457 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


457 3 Vedi D. 451.


457 4 Vedi DD. 461, 463 e 466.

458

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3463/204. Washington, 24 marzo 1952, ore 19(perv. ore 8 del 25).

Suo 1301.

Situazione Trieste è stata ulteriormente discussa con Dipartimento che, nel deplorare nuovamente accaduto, ha però confermato che informazioni suo possesso tendono giustificare operato polizia.

Anche base elementi fornitici da V.E. e notizie Ansa, abbiamo confutato tale tesi e sottolineato azione distensione svolta da Governo italiano e da V.E. personalmente. Del che ci è stato dato atto insieme a preghiera ulteriore azione italiana in tal senso e assicurazione collaborazione Governo americano stesso fine.

A nostra richiesta misure da parte G.M.A. intese calmare cittadinanza, Dipartimento opposto necessità consultazione con generale Winterton che, ci è stato detto, ha già escluso possibilità inchiesta su comportamento polizia.

Assicuro V.E. che seguo continuamente questione.


458 1 Vedi D. 450.

459

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

L. 490 segr. pol. Roma, 24 marzo 1952.

Il ministro Gruber è venuto ed è ripartito – anche a suo dire – soddisfatto. Non ha detto nulla delle questioni che si proponeva di discutere. Ha firmato l’accordo culturale1; a me ha detto quanto ho scritto nell’appunto, che certamente ti è stato diramato2, circa un eventuale nostro appoggio se la questione austriaca dovesse essere portata alle Nazioni Unite.

Il presidente mi ha detto che circa l’Alto Adige Gruber è stato molto prudente e non ha sollevato alcun problema specifico. Schwarzenberg – che era presente – mi ha invece detto che ogni qual volta Gruber si avvicinava all’argomento, il presidente lo sviava!

A conclusione il presidente mi ha poi informato di avere sostenuto che è evidente un interesse austriaco a seguire l’applicazione degli accordi di Parigi; non può però ammettere in alcun caso né una mitregierung né di dare l’impressione, per quanto errata possa essere, che vi sia una mitregierung; in altri termini che è una questione interna italiana3.


459 1 Vedi D. 418, nota 2.


459 2 Vedi D. 436.


459 3 Per la risposta vedi D. 476.

460

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 2823/137. Roma, 25 marzo 1952, ore 14,45.

Seguito 1361.

Ambasciatore Brosio, nell’intento rimuovere cause che appesantiscono rapporti anglo-italiani per questione Trieste e rischiano indebolire in nostra opinione pubblica sentimenti solidarietà atlantica, proporrà oggi a Eden2 addivenire a «esame comune italo-anglo-americano provvedimenti organici atti consentire a Trieste più stretta collaborazione fra i tre Governi e fra le autorità locali nello spirito della Dichiarazione tripartita e dei rapporti amicizia Alleanza atlantica». Un comunicato in tale senso concluderebbe attuale fase consultazioni, creerebbe distensione necessaria per ripresa normali rapporti G.M.A. e autorità cittadine e calmerebbe opinione pubblica italiana.

Esame comune da iniziarsi subito dopo dovrebbe portare a nostro inserimento nel Governo Trieste trasformandolo da militare a civile e definendo rapporti fra autorità civile mista, così modificata, e forze militari che rimarrebbero colà.

Poiché Eden, ove aderisse a tale principio, non mancherebbe consultarsi con Dipartimento di Stato, prego informare subito quest’ultimo3.


460 1 Vedi D. 455.


460 2 Vedi D. 461.


460 3 Con T. s.n.d. 2835/139 dello stesso giorno, ore 22, De Gasperi aggiunse: «Seguito 137. Ambasciatore Brosio ha avuto oggi secondo colloquio Foreign Office. Eden si è dimostrato personalmente d’accordo su nostra richiesta (di cui al telegramma sopracitato) e personalmente disposto addivenire riunione a tre per discutere joint Government a Trieste. Non ha tuttavia ancora voluto assumere impegno definitivo riservandosi consultare Dipartimento di Stato. Brosio e Eden sono rimasti d’accordo incontrarsi nuovamente dopodomani e dire intanto alla stampa che “conversazioni in corso fanno buoni progressi”. Non ho bisogno sottolineare a V.E. importanza che può avere favorevole disposizione Dipartimento col quale la prego continuare mantenersi in contatto intervenendo in appoggio nostra azione Londra».

461

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. per telefono 3516/120. Londra, 25 marzo 1952, ore 22.

Mio 1161.

Ho avuto oggi due lunghi colloqui con Strang stamane e con Eden questo pomeriggio.

Con Strang ho sviluppato e precisato argomenti già esposti a Eden particolarmente circa necessità adeguare politica all’italianità di Trieste, ossia al criterio ispiratore della Dichiarazione tripartita2 che proprio ieri Eden aveva voluto riconfermare.

A tale effetto il Governo italiano mi incaricava proporre riunione rappresentanti inglesi americani e italiani – da tenersi eventualmente a Roma – per esaminare avvenire della Zona A e una nostra possibile partecipazione amministrazione stessa. Richiesta invio uomo politico italiano a Trieste appariva invece ormai superata da sviluppo avvenimenti: del che Strang ha convenuto pienamente. Ove, come confidavo, Governi inglese e americano fossero d’accordo circa conversazioni a tre sarebbe stato opportuno emanare anche comunicato di cui gli ho lasciato testo dettatomi telefonicamente stamane dal segretario generale.

Di tutto ciò intendevo intrattenere Eden. Strang che aveva seguito mia esposizione senza sollevare obiezioni mi ha detto che ne avrebbe subito messo al corrente segretario di Stato.

Ho poi illustrato a Strang nostre idee su plebiscito e negoziato con Jugoslavia di cui riferisco a parte3.

Colloquio con Eden cui hanno assistito Strang e Cheetham è durato circa quaranta minuti. Eden ha voluto subito comunicarmi che domani verrà dato Trieste annuncio elezioni di cui ha raccomandato però non anticipare notizia a stampa per evitare sminuirne effetto Trieste.

Gli ho quindi ripetuto proposta conversazioni a tre già comunicata a Strang, sottolineando con calore assoluta necessità superare attuale punto morto mediante nostra collaborazione nel Governo di Trieste. Eden si è dichiarato in principio d’accordo tanto sulle conversazioni quanto sull’idea di una nostra partecipazione amministrazione; ma non mi ha nascosto che sulla attuazione del secondo punto gli esperti vedevano non poche difficoltà di carattere pratico che – egli ha soggiunto – avrebbero potuto essere esaminate nelle conversazioni stesse.

Per la sede delle riunioni ho avuto impressione che Eden non fosse sfavorevole a Roma ma preferisse Londra onde assicurare partecipazione britannica a livello ministeriale che altrimenti sarebbe assai difficile in questo periodo.

A questo punto Eden mi ha chiesto testualmente: «ma è un’amministrazione italiana con truppe anglo-americane che voi volete?». Ho replicato che quel che chiedevamo ora era una partecipazione all’amministrazione; ma ritenevo che reparti italiani potrebbero utilmente affiancarsi agli anglo-americani nel presidiare Trieste. Ed Eden di risposta: «ma allora non sarebbe più semplice che se ne andassero le truppe anglo-americane e fossero sostituite dalle vostre?». Ho detto pur constandomi che Governo italiano non era attualmente in questo ordine di idee avrei subito trasmesso il suo suggerimento a Roma; comunque uno degli scopi della progettata riunione era proprio discutere dell’avvenire della Zona A.

Circa comunicato proposto da V.E. Eden ha concordato in linea di massima riservandosi di farlo esaminare dagli Uffici di concerto con gli americani, anche perché suoi funzionari avanzano ancora molte riserve sul nostro testo.

Siamo rimasti d’accordo che ci saremmo incontrati possibilmente dopodomani4.


461 1 Vedi D. 457.


461 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


461 3 Vedi D. 463.


461 4 Vedi D. 466.

462

L’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3551/69. Mosca, 26 marzo 1952, ore 16,15(perv. ore 18,40).

Faccio seguito al telegramma n. 681.

Il contenuto della Nota presentata ieri2 dai rappresentanti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia relativa al trattato di pace e all’unità della Germania, viene qui considerato come fin de non recevoir alla iniziativa sovietica del 10 corrente3. Praticamente con detta Nota le tre potenze affermano di non essere disposte a sacrificare la politica di integrazione della Germania nella comunità difensiva europea alla unità tedesca. Esse suggeriscono che il Governo unico della Germania sia libero «di entrare in associazioni compatibili con i principi delle Nazioni Unite» e manifestano l’intenzione di dare pieno appoggio «ai piani destinati ad assicurare la partecipazione della Germania nella comunità di difesa europea». Le tre potenze asseriscono in altri termini che la conclusione di un trattato di pace che ponga termine alla divisione della Germania resta il loro principale obbiettivo, ma ritengono che la Germania unita debba integrarsi nella «comunità di difesa europea».

Se ora si considerano i motivi principali che hanno indotto l’Unione Sovietica a svolgere nuovi passi a favore dell’unità tedesca tendenti ad evitare il riarmo della Germania e la sua integrazione in Europa, si può intuire agevolmente quale sarebbe la reazione sovietica e quale possibilità vi sia perché abbiano inizio trattative sul trattato di pace tedesco.

Le tre potenze, con la Nota in questione, esprimono altri punti di vista:

1) esse insistono perché le libere elezioni in tutta la Germania avvengano sotto il controllo della Commissione dell’O.N.U. (è di ieri il rifiuto di permettere l’ingresso in Berlino Est a detta Commissione da parte delle autorità della Germania orientale);

2) esse non riconoscono i confini territoriali che, secondo il punto di vista sovietico, sarebbero stati fissati dalla Conferenza di Potsdam;

3) inoltre si dichiarano contrarie alla costituzione di Forze armate tedesche nazionali indipendenti, perché queste sarebbero «incompatibili con la politica di unità europea» perseguita dalle tre potenze.

La prima reazione prodotta dalla Nota delle tre potenze in questi ambienti è che essa ha scoperto troppo apertamente l’intenzione delle potenze occidentali di opporsi all’unità tedesca ove questa costituisca un ostacolo alla realizzazione della comunità difensiva (secondo i sovietici offensiva) europea. La Nota ha dato così nuove armi alla propaganda sovietica che intende far leva sulla opinione pubblica tedesca e, entro certi limiti, su quella francese.

Intanto la stampa sovietica insiste sul tema della solidarietà delle forze democratiche francesi e tedesche nella lotta contro la rinascita della Wermacht e del «militarismo germanico fomentato dagli imperialisti americani», e ciò allo scopo di dissipare i timori sollevati dalla proposta di ricostituire le Forze armate tedesche.


462 1 Del 25 marzo, anticipava la consegna della nota di cui al presente telegramma.


462 2 Vedi D. 456.


462 3 Vedi D. 424, nota 2.

463

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3587/121. Londra, 26 marzo 1952, ore 18,26(perv. ore 6,30 del 27).

Mio 1201.

Ho ieri a lungo intrattenuto Strang sulle nostre idee relative al plebiscito.

Gli ho precisato che non intendiamo affatto cessare trattative con Jugoslavia per soluzione su linea etnica: la proposta di plebiscito – avanzata appunto in sede di negoziato – costituisce anzi alternativa per il caso che jugoslavi non recedessero attuale posizione intransigenza totalmente difforme dal criterio linea etnica.

Strang mi ha allora chiesto se eravamo assolutamente contrari a plebiscito con tre alternative ed a plebiscito per zone. Gli ho ribadito nostro punto di vista chiarendo che elasticità è possibile soltanto in compromesso tra Governi, come può aversi per partizione secondo linea etnica; mentre plebiscito, che è un appello finale a giudizio popolare, non può vertere che su attribuzione intero territorio all’una o all’altra parte. Se jugoslavi non vogliono questa soluzione globale bisogna allora che ripieghino su posizioni ragionevoli donde scaturisca accordo secondo linea etnica.

Strang ha seguito mia esposizione con estremo interesse prendendo note sui vari nostri argomenti. Gli ho successivamente illustrato con carte alla mano situazione etnica del T.L.T. ed egli ha convenuto su assurdità proposte avanzate da Belgrado.

Aggiungo che Harrison in colloquio con Theodoli2 ha informato confidenzialmente che Londra sta discutendo con Washington possibilità intervenire Belgrado perché trattative vengano impostate su basi più ragionevoli.


463 1 Vedi D. 461.


463 2 T. s.n.d. 3578/125 del 26 marzo, non pubblicato.

464

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI ISRAELE, SHARETT

Appunto1. Roma, 26 marzo 1952, ore 11.

Nel lungo cordiale colloquio svoltosi stamane fra il presidente del Consiglio ministro degli affari esteri on. De Gasperi ed il ministro degli affari esteri dello Stato di Israele, sig. Sharett, quest’ultimo ha tenuto particolarmente a mettere in evidenza i seguenti argomenti.

Lo Stato di Israele è pienamente cosciente che il fatto della sua istituzione ha creato necessariamente dei gravi turbamenti nell’assetto politico e territoriale del Levante.

È avvenuto come di un sasso che venga gettato in uno stagno; tale turbamento ha sopratutto urtato gli interessi dei paesi maggiormente interessati in quel settore, e particolarmente quelli dell’Inghilterra e degli Stati arabi viciniori; ma ormai il fatto compiuto è cosa stabilita e da tutti praticamente accettata.

E se sussistono ancora difficoltà nel regolamento dei rapporti con i paesi arabi, non è tanto perché questi non accettino ormai il fatto compiuto, ma perché perdura in essi il ricordo recente del turbamento sopra accennato unitamente a risentimenti di amor proprio ferito; a ciò devesi anche aggiungere che l’opinione pubblica dei paesi arabi è stata grandemente eccitata nei confronti dello Stato di Israele e i Governi arabi non possono rapidamente ricondurla a comprensione più pacata di tali problemi. Ma lo Stato di Israele è ben deciso ad attendere con saggia pazienza e confida che il tempo potrà influire a modificare l’attuale stato di cose e a condurre alla possibilità di intese. Israele lo desidera vivamente perché è pienamente cosciente dell’interesse generale e particolare che un pacifico assetto del Levante rappresenta non solo per lo Stato di Israele, ma per le condizioni generali della politica mondiale. Alla domanda del presidente circa il pensiero israeliano sul problema del Medio Oriente, il signor Sharett risponde che Israele tiene in modo particolare ad affermare che la sua politica è orientata verso i paesi di Occidente e che le cautele da essa usate nei confronti dei rapporti con l’U.R.S.S. non derivano in alcun modo da ragioni di simpatia, ma soltanto da motivi prudenziali. Da un lato Israele non può dimenticare che gran numero di ebrei sono stabiliti in Russia e che costituiscono nelle mani del Governo sovietico una specie di ostaggio nei confronti del Governo di Tel Aviv. Pertanto una politica di aperto anticomunismo o comunque di eccessivo contrasto verso Mosca costituirebbe per le comunità ebraiche soggette a regime comunista un gravissimo pericolo.

In secondo luogo lo Stato di Israele non può suo malgrado pensare ad inserirsi in accordi internazionali più vasti, e particolarmente in accordi militari, che riguardino il Levante se prima non sia stato risolto il problema della pacificazione con gli Stati suoi vicini. Egli pensa pertanto che nel momento attuale accordi di natura politico-militare siano possibili per il suo paese solo nella forma di patti separati, che comprendano anche intese particolari sia in materia di armamenti, sia per quanto riguarda la partecipazione attiva di Israele in futuri possibili eventi; ma non potrebbe aderire a patti di natura plurima e collettiva.

Israele comunque è nettamente dalla parte dell’Occidente ed è sempre pronto ad aumentare la potenzialità dei propri porti ed aeroporti nonché a mettere a disposizione la sua industria, come ha fatto in Palestina durante l’ultima guerra, ma senza stringere alleanze che la pongano in antitesi con l’Oriente.

Per quanto concerne i contrasti con gli Stati arabi il sig. Sharett ha espresso l’opinione che aggiustamenti territoriali siano sempre possibili. Per quanto riguarda l’Egitto, Israele evacuò a suo tempo parte del territorio del Sinai che aveva occupato durante il conflitto con gli arabi, ed è semmai l’Egitto che occupa oggi il territorio di Gaza.

Con il Libano non esistono questioni di occupazione territoriale; con la Giordania indubbiamente la frontiera presenta incongruità notevoli e situazioni difficili, ma anche verso questo paese sarà possibile trovare formule ed aggiustamenti.

Israele si rende pienamente conto che l’Italia, gran paese mediterraneo, e in contatto strettissimo col mondo arabo, non può fare se non una politica di amicizia e di collaborazione con tali paesi.

Ma in tale politica si possono agevolmente inserire anche rapporti di buona amicizia e di utili scambi economici con Israele. L’Italia può anzi costituire per Israele un ottimo amichevole tramite per la sua riappacificazione con il mondo arabo e per il ristabilimento di una normale situazione nel Levante.

Lo Stato di Israele ha un suo aspetto particolare, una «essenza propria» una «tecnologia speciale», che lo differenziano nettamente dal mondo arabo che lo circonda, ma che può costituire piuttosto elemento di collaborazione anziché di contrasti. Il paese è oggi in pieno sviluppo, continua a svolgere tenacemente l’opera di assetto interno e di sviluppo economico e, pur riconoscendo di avere conseguito notevoli risultati non è ancora interamente soddisfatto ed aspira a portare a buon termine il proprio programma. Molto si è compiuto nel campo agricolo e nel campo sociale; notevoli progressi sono stati anche conseguiti nel campo industriale. In brevissimi anni Israele spera di raggiungere la propria autonomia per quanto concerne le necessità elementari del paese, sia mediante l’incremento dei propri prodotti agricoli, sia mediante opportuni scambi di tali prodotti con prodotti agricoli stranieri che nel paese non si possono produrre o si producono in maniera insufficiente. Gli scambi attuali fra Israele e l’Italia sono ancora modesti, ma lo Stato di Israele spera di poter quanto prima disporre di notevoli prodotti chimico-industriali che potrebbero essere di utile scambio con l’Italia, e particolarmente: fosfati, concimi chimici, prodotti farmaceutici ed altri.

Israele ha bisogno del concorso, della esperienza e di tecnici stranieri; anche in questo campo vi sono favorevoli prospettive per una collaborazione con l’Italia e già attualmente numerosi italiani sono stabiliti ad Israele con loro piena soddisfazione e con soddisfazione del Governo israeliano: costruttori, ingegneri ed anche operai ed artigiani specializzati.

Ad esempio lo Stato di Israele ha chiamato numerosi marinai italiani non israeliti per armare i propri piroscafi (che sono attualmente in numero di trenta) nonché famiglie di pescatori italiani cattolici per organizzare l’industria della pesca e per istruire i propri connazionali nelle attività marinare.

Sharett ha aggiunto che gli ebrei italiani stabilitisi ad Israele costituiscono una classe di élite fra la migliore e la più utile al nuovo Stato, ed anche da questo si ripromette favorevoli sviluppi nei rapporti tra i due paesi.

Egli ha infine accennato alla possibilità di stabilire proficui accordi tra lo Stato di Israele e l’Italia e di regolare le varie questioni pendenti fra i due paesi. Ha rappresentato l’opportunità di un trattato di amicizia, commercio e navigazione. Anche se la formulazione proposta non può essere accolta, potrebbero essere tanti accordi particolari che coprano le stesse materie. Ha concluso con l’esprimere la propria vivissima soddisfazione di avere potuto compiere una visita in Italia e di stabilire personali contatti con gli uomini politici italiani, e ha ripetuto il vivissimo desiderio che tali rapporti possano non solo rafforzarsi in avvenire, ma agevolare, col concorso dell’Italia, la normalizzazione dei rapporti di Israele con i propri vicini senza che ciò costituisca alcun contrasto con gli interessi che l’Italia ha nei confronti del mondo arabo, ma anzi in felice armonia con tali rapporti.


464 1 Redatto da Scammacca, presente al colloquio.

465

L’AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 1159/324. Madrid, 26 marzo 1952(perv. il 29).

Ritengo di non dover tardare di riferire a V.E. sui risultati della visita a Madrid del sen. Merzagora, che si chiuderà domani, e del negoziato del ministro del Balzo, che si è concluso oggi con la firma dei nuovi accordi commerciale e dei pagamenti.

1) È noto a V.E. che il Governo spagnolo, mentre mostra interesse ad iniziative che accostino la politica italiana a quella nordamericana e la differenzino da quella franco-britannica verso la Spagna, è piuttosto restio – fin quando non siano definiti indirizzi e portata degli aiuti statunitensi – a concretare piani di intensificazione degli scambi e di collaborazione economico-industriale.

Nella valutazione dei risultati della visita del sen. Merzagora e del negoziato commerciale va in primo luogo tenuto conto di tali disposizioni di animo spagnole, che esponevano visita e negoziato al rischio di far apparire, sul piano politico, qualche sfasamento non conveniente per noi e provocare, nel settore economico, incomprensioni pregiudizievoli di possibilità avvenire. Particolarmente felice mi è perciò parsa la scelta del sen. Merzagora per questa delicata missione in Spagna: le conoscenze ed il prestigio di cui egli gode anche in questo paese gli hanno permesso di improntare fin dal primo momento i contatti con questi dirigenti a fiducia e amicizia personale che hanno reso più spigliati i suoi movimenti.

In un cordiale e franco scambio di vedute da me convenientemente preparato e svoltosi il 20 marzo c.m. in mia presenza, il sen. Merzagora ha portato il ministro degli affari esteri, sig. Martin Artajo, a convenire (a) sul comune interesse di dare il più ampio contenuto mediterraneo, latino e cattolico alla politica dei due paesi, destinati ad intendersi ed a collaborare strettamente nella difesa della civiltà occidentale; (b) sulla necessità per un Governo democratico come l’italiano di procedere in tale direzione per gradi e in armonia con l’evolversi dell’opinione pubblica e delle circostanze internazionali; e (c) sull’opportunità di preparare intanto il terreno attivando o avviando nei settori economico e culturale una collaborazione atta a creare concrete concordanze e aderenze nei rispettivi interessi.

Nei successivi incontri col sig. Martin Artajo ho potuto constatare che il linguaggio del sen. Merzagora è stato pienamente inteso, per cui può essere registrato un passo importante nell’azione di chiarimento dei rapporti italo-spagnoli perseguita fin dall’inizio della mia missione a Madrid. È interessante fra l’altro che Martin Artajo mi abbia detto che, se non chiedeva di incontrarsi con V.E. durante la sosta a Roma nel viaggio verso i paesi arabi, era perché egli preferisce proporsi per altro momento propizio (in ogni caso, aggiungeva, «post-elettorale») una speciale visita alla capitale italiana: egli non escludeva tuttavia di potere avere costì, al rientro dal Vicino Oriente attorno al 28 aprile p.v., qualche contatto privato con nostri dirigenti. Il sig. Artajo mi ha pure riparlato con amichevole insistenza del suo desiderio di procedere al più presto alla firma dell’accordo culturale, e possibilmente prima della sua partenza per i paesi arabi fissata per il 4 aprile p.v. Al riguardo mi riferisco alle comunicazioni telegrafiche del sen. Merzagora.

2) Con il ministro del commercio, sig. Arburua, e dell’industria, sig. Planell, il sen. Merzagora ha avuto contatti più pertinenti agli scopi della sua missione, e in conversazioni ampie, che talvolta si sono concluse in vere e proprie consultazioni tecniche, mi è parso essere riuscito ad interessare i suoi interlocutori a prospettive nuove nei rapporti italo-spagnoli. La sua esperienza e forza di persuasione hanno consentito di individuare i settori che presentano possibilità effettive per una cooperazione industriale, lasciando da parte piani troppo vasti e vaghi per essere esaminati nel momento in cui si impostano i rapporti della Spagna con gli Stati Uniti. Nella sua linea di condotta è stato apprezzato un criterio di attesa di fronte a grosse e piccole combinazioni qui imbastite da tempo. Egli non ha offerto, non ha insistito per agganciare affari; ma ha fatto sentire agli spagnoli che essi stessi avrebbero dovuto specificare il campo nel quale una collaborazione industriale sarebbe stata utile e gradita. Tale suo atteggiamento ha disposto gli spagnoli meglio che inviti pressanti e precisi. Dalla corrispondenza telegrafica V.E. avrà rilevato che qualche risultato è stato raggiunto, e per altri più importanti è stata avviata la necessaria ulteriore preparazione. In qualche questione invece, come quella che interessa la Monte Amiata, il sen. Merzagora non ha potuto spingere a fondo i sondaggi per mancanza di dati precisi.

Ma quello che a mio avviso più conta è che l’attività del parlamentare italiano si è fatta sentire in quasi tutti gli ambienti economici spagnoli attraverso contatti con gli esponenti dei maggiori complessi industriali e bancari (Banco Urquijo, Banco Hispano-Americano, Banco Español de Crédito, Banco de España), contatti che hanno ridestato, in centri che si vanno polarizzando verso l’America, l’interesse per la nostra tecnica e le produzioni italiane. Tale attività è venuta così a completare e coronare l’azione preparatoria svolta dal ministro del Balzo per un allargamento della collaborazione economica italo-spagnola e conclusasi con la stipulazione di un protocollo aggiuntivo agli accordi commerciale e dei pagamenti firmati oggi. Data la riluttanza spagnola a concretare fin d’ora piani precisi, la delegazione italiana si è opportunamente orientata nel senso di portare gli spagnoli ad assumere un impegno anche generico per un ulteriore incremento dei rapporti economici e per una futura collaborazione nel settore industriale. Il protocollo aggiuntivo merita rilievo tanto per il riconoscimento del comune interesse di «facilitare la conclusione di intese fra gruppi italiani e spagnoli», quanto per l’impegno di «consultarsi per l’adozione dei provvedimenti necessari per consentire la pratica attuazione delle iniziative giudicate economicamente utili per entrambi i paesi». Né è meno importante il fatto che nello stesso protocollo è stato introdotto il criterio che i contingenti fissati «potranno essere opportunamente riveduti anche durante il periodo di applicazione dell’accordo».

3) Senza dilungarmi nell’analisi degli accordi che formeranno oggetto di particolareggiato rapporto che la nostra delegazione presenterà al suo rientro in Italia, dirò che la trattativa commerciale ha dato tutto quello che poteva dare nelle ben note condizioni di similarità delle due economie, che non potranno essere superate che attraverso combinazioni con terzi Stati oppure con l’aumento di produzione soprattutto mineraria ottenuto mediante investimenti italiani in vecchi o nuovi impianti spagnoli. Vero è che i contingenti stabiliti col nuovo accordo presentano leggere variazioni qualitative e quantitative rispetto al precedente accordo, ma, mentre il vecchio piano di scambi era eccessivamente ottimistico, e si realizzava soltanto per circa il 25%, il nuovo è stato meglio adeguato alla realtà e – con le riserve che in materia di relazioni economiche con la Spagna occorre sempre porsi – fa prevedere una realizzazione di almeno il 60%; ciò che praticamente significa un effettivo raddoppiamento degli scambi.

Accanto a questo sostanziale vantaggio notevoli sono pure: il regolamento delle Fiere 1948-1949-1950, il pagamento attraverso clearing del 50% delle spese di bunkeraggio e la possibilità di esaminare in sede di Commissione mista il regolamento anticipato del residuo noto credito italiano verso la Spagna. Va aggiunto che i risultati su riassunti sono stati ottenuti senza speciali concessioni da parte nostra, e malgrado il rifiuto della nostra delegazione di trattare la richiesta di estensione al cognac spagnolo della nota riduzione daziaria del 50%, rifiuto che, specie nella fase iniziale, ha provocato stati di animo tutt’altro che favorevoli ad una trattativa di per sé già alquanto difficile.

4) La conclusione dei nuovi accordi italo-spagnoli ha acquistato un rilievo insolito per tale genere di stipulazioni con le accoglienze veramente cordiali fatte dal Governo spagnolo al sen. Merzagora. In suo onore il ministro degli affari esteri e il ministro del commercio hanno offerto due colazioni che hanno raccolto i dirigenti politici, industriali e bancari della Spagna, ed io ho offerto un ricevimento con l’intervento anche del nunzio e dei rappresentanti diplomatici dei paesi occidentali e mediterranei, un pranzo in onore del ministro del commercio ed una colazione in onore del ministro degli affari esteri. Rilevante è stata pure una manifestazione della Camera di commercio italo-spagnola presieduta da me e che ha riunito attorno al sen. Merzagora ed al ministro Aburua i maggiori esponenti delle attività industriali italiane e spagnole che – secondo è stato sottolineato in appropriati calorosi discorsi dei due ospiti – sono chiamate a concretare l’auspicata collaborazione tecnico-economica.

Nell’insieme può dirsi che la visita del sen. Merzagora, pur contenuta nel quadro e nei limiti da noi voluti, è riuscita ad assumere il valore di una diretta presa di contatto dei Governi italiano e spagnolo che, portando nei loro rapporti una nota di maggiore comprensione delle rispettive politiche, apre la possibilità a quei più positivi contatti che apparissero convenienti, e rappresenta intanto un atto di presenza italiana in Spagna che parmi utile e tempestivo nel momento in cui a Madrid s’inizia il negoziato per un patto bilaterale ispano-statunitense.

466

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3645/130. Londra, 27 marzo 1952, ore 22(perv. ore 22,30).

Ho avuto oggi nuovo colloquio con Eden1 il quale ha iniziato dandomi lettura testo comunicato2 concordato con Washington. A mia osservazione che era stato soppresso accenno Dichiarazione tripartita3 Eden ha risposto che ciò era stato fatto in quanto Dichiarazione riguardava sorte finale intero Territorio Libero mentre misure previste da comunicato concernevano unicamente amministrazione Zona A. Gli ho fatto notare che avrei dovuto dare spiegazione in tal senso alla stampa per evitare ogni supposizione tacita nostra rinuncia Zona B. Eden si è dichiarato d’accordo. A sua volta mi ha raccomandato nella maniera più viva (e mi ha pregato di fare presente V.E. suo desiderio) che da parte Governo italiano si faccia quanto possibile per evitare che a Trieste si prenda spunto comunicato per inscenare manifestazioni tendenti esautorare G.M.A. Ha aggiunto che proprio in considerazione di ciò G.M.A. aveva avanzato serie riserve su opportunità comunicato ma che egli aveva voluto superarle assumendosene il rischio. Sarebbe pertanto desiderabile al più presto cessazione non collaborazione.

Eden suggeriva che le riunioni per lo studio della riforma del sistema di amministrazione in Zona A avessero inizio a Londra nei primi giorni della prossima settimana, sul che mi sono dichiarato in massima d’accordo. Alle conversazioni parteciperanno da parte britannica assistente sottosegretario Harrison e un funzionario del G.M.A. Da parte nostra suggerirei presenza funzionario codesto Ministero e personalità triestina quale ad esempio vice presidente Zona Schiffrer.

Ho poi voluto chiedere a Eden se riteneva ancora che sussistessero forti difficoltà per amministrazione a tre della Zona e se aveva sempre presente eventualità sgombero truppe anglo-americane. Alla prima domanda Eden ha risposto che riteneva la cosa difficile ma non impossibile; alla seconda che egli pensava che prima o poi si sarebbero dovute ritirare truppe britanniche. Eden ha accennato possibilità arrivare sgombero per gradi e ha trovato ben intonato e sostanzialmente conforme suo pensiero articolo odierno Times (mio telegramma 126)4.

Ho concluso colloquio ricordando Eden necessità non perdere di vista soluzione finale: nostra preoccupazione era che soluzione provvisoria potesse sembrare definitiva. Eden mi ha chiesto se ero al corrente del più recente atteggiamento jugoslavo che sembrerebbe orientato a non scartare a priori idea plebiscito. Ha concordato su necessità che negoziati per sistemazione T.L.T. dovessero continuare e mi ha detto che erano in corso discussioni al riguardo tra Londra e Washington quando noti incidenti portarono ad altro piano attenzione due Governi5.


466 1 Per i precedenti vedi DD. 457 e 461.


466 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 14, p. 358.


466 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


466 4 Del 27 marzo, non pubblicato.


466 5 Con il T. segreto 3733/137 del 28 marzo, Brosio aggiunse: «Come comunicato telefonicamente Foreign Office desidererebbe iniziare note conversazioni mercoledì 2. Ad esse parteciperà anche vice consigliere politico britannico presso G.M.A. Wilkinson. Partendo dal concetto ispiratore azione V.E. di non richiedere evacuazione forze anglo-americane ma se mai farcela offrire e realizzarla eventualmente in modo graduale, parmi che tale obiettivo possa essere meglio raggiunto chiedendo per noi posizioni chiave in amministrazione civile oltre a partecipazione nostre truppe occupazione zona. In tal caso mi pare che più verosimilmente Alleati potrebbero preferire ritiro a tal forma di condominio che ritengo per loro poco desiderabile».

467

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. riservata personale 3876. Washington, 27 marzo 1952.

Col rapporto n. 2882 del 4 corrente1 ho fatto il punto sull’atteggiamento del Governo americano in materia di ammissioni alle Nazioni Unite. Tra l’altro, scrivevo che le idee americane circa le vie e i mezzi appropriati per soddisfare la nostra legittima aspirazione di entrare a far parte delle N.U. non erano ancora mature e che non si volevano pertanto suscitare in noi nuove illusioni col comunicarci progetti tuttora vaghi.

La posizione ufficiale del Dipartimento di Stato è a tutt’oggi la stessa, ma ho seri motivi per ritenere che lo studio «delle vie e dei mezzi appropriati» sia entrato in una fase più attiva e più concreta.

In sostanza qui si è ormai certi che il Governo sovietico continuerà ad infinitum ad opporre il suo veto alle proposte di ammissione di candidati occidentali e, al tempo stesso, va facendosi strada la convinzione [che al]la prossima Assemblea generale il progetto sovietico di ammissione universale raccoglierebbe ulteriori suffragi, se non addirittura i due terzi dei voti necessari, costringendo il Governo americano, qualora nel frattempo la sua policy al riguardo restasse immutata, a usare il suo diritto di veto.

Partendo da tali considerazioni gli uffici hanno iniziato il riesame della questione e, naturalmente, si sono soffermati sulla tesi dell’universalità.

Il progetto in esame non differisce sostanzialmente da quello presentato dal Governo sovietico nella passata sessione dell’Assemblea generale. Dopo un’opportuna intesa coi sovietici esso potrebbe essere presentato questa volta da un Governo amico (gli Stati Uniti non riterrebbero in ogni caso di farsene promotori) e contemplerebbe l’ammissione di tutti gli Stati che ne hanno fatto domanda (compresa la Mongolia Esterna), del Giappone che dovrebbe presentarla in tempo, e escluderebbe la Germania, la Corea e il Vietnam (Viet-Minh) «perché paesi tuttora divisi e fino alla loro sistemazione».

Si è parlato anche della eventuale inclusione della Spagna nel blocco dei candidati, ma, a parte la necessità di ottenere l’abolizione dell’esplicita esclusione sancita a suo tempo dall’Assemblea generale (abolizione che qui non si ritiene difficile) non ci si nasconde come tale progetto incontrerebbe l’opposizione anglo-francese.

Allorquando le idee del Dipartimento di Stato al riguardo avranno preso consistenza si pensa di ottenere l’adesione dei Governi di Londra e Parigi al progetto e di sentire quindi noi.

È prematuro dire, specie date le poche informazioni confidenziali che si sono potute raccogliere, che tale tesi sia generalmente accolta: a favore di essa militano quanti, al Dipartimento, ritengono che l’accettazione di essa sia l’unico mezzo per farci entrare nell’O.N.U., quanti vogliono evitare uno show-down al riguardo con la Russia, quanti infine pensano che sarebbe utile avere i paesi satelliti entro l’O.N.U. per poterli poi accusare di violazione del relativo Statuto.

Il progetto è naturalmente avversato, oltre che dalle note correnti contrarie all’ammissione dei paesi satelliti, anche dai funzionari responsabili per la Germania e l’Estremo Oriente e specie da questi ultimi che, mentre vedono esclusi alcuni dei paesi affidati alle loro cure, lamentano inoltre l’eventuale ammissione della Mongolia Esterna.

Dalla mia esposizione avrai rilevato le difficoltà che ancora si frappongono all’accoglimento della tesi dell’universalità in seno allo stesso Dipartimento di Stato: queste sono destinate ad aumentare quando dalla fase interna si passerà a quella delle consultazioni col Congresso e coi Governi francese ed inglese.

Per quanto riguarda il primo, ti è noto come sia avverso a qualsiasi mossa che possa apparire una concessione ai paesi satelliti. Per quanto concerne i secondi, vero è che essi hanno mostrato in passato di non essere alieni dall’accettare la tesi dell’universalità, ma, d’altra parte, una eventuale, per quanto poco probabile, insistenza americana per l’inclusione della Spagna nel «blocco» e le stesse perplessità manifestate da Schuman a Quaroni (telespresso ministeriale n. 11/4310/c. del 24 corrente)2 non rendono del tutto acquisita tale accettazione.

Mi pare però ad ogni modo molto interessante, ed anche incoraggiante, che le idee che non hanno «sfondato» a Parigi guadagnino ora terreno. Per questo ho voluto rendertene edotto, anche prima di poterle controllare in sede ufficiale.

È necessario tuttavia che di tali idee noi non facciamo menzione con alcuno, nemmeno cogli stessi americani di costà o dell’O.N.U.: che, a parte lo scoprire la fonte confidenziale delle nostre informazioni, una eventuale ed intempestiva pubblicità del possibile nuovo orientamento di questo Governo, con le immancabili ripercussioni sia all’estero sia qui, potrebbe aver la conseguenza di irrigidirlo sulla tesi a noi meno favorevole.


467 1 Vedi D. 404.


467 2 Vedi D. 434, nota 1.

468

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A GEDDA, TURCATO

T. 3028/21. Roma, 29 marzo 1952, ore 22,45.

Spagna ha in questi giorni espresso a Governo yemenita, per il tramite rappresentanza diplomatica al Cairo, suo desiderio giungere a stabilimento relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Poiché è nostro interesse non farci precedere su tale via, dato anche nostro atteggiamento politico verso paesi arabi e recente incremento nostri interessi in quel paese sopratutto a seguito invio sanitari e accettazione da parte competenti organi pagamenti in sterline per acquisti Yemen in Italia, si ritiene opportuno che sia nuovamente fatto presente a Governo yemenita nostro vivo interesse a stabilimento regolari relazioni diplomatiche fra i due paesi. V.S. potrà al riguardo richiamarsi art. 6 del trattato del 1937. Qualora, date note difficoltà spostamento in Yemen, non fosse possibile alla S.V. intraprendere viaggio, si lascia alla S.V. di giudicare su opportunità dare incarico a Casali al quale, per le stesse ragioni, sono state impartite istruzioni recarsi Taiz per esaminare sul posto situazione nostri sanitari.

Pregasi telegrafare1.


468 1 Con il T. 3845/33 del 10 marzo Turcato rispose di ritenere improbabile l’accoglimento della richiesta di ripresa delle regolari relazioni diplomatiche e che comunque si sarebbe recato a Taiz per discutere la questione direttamente con l’imam. Per il seguito vedi D. 478.

469

L’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3784/73-74. Mosca, 29 marzo 1952, ore 19,32(perv. ore 21).

Seguito telegramma n. 691.

Ho avuto lunga conversazione questo incaricato affari americano trattando tre argomenti:

1) trattato di pace Germania;

2) campagna sovietica relativa arma batteriologica;

3) conferenza economica Mosca.

Detto incaricato d’affari mi ha detto che Vyshinsky non ha mostrato sorpresa contenuto nota tre potenze 25 corrente relativa trattato di pace Germania. Egli evidentemente prevedeva e desiderava risposta che potrebbe apparire rifiuto. Ha soggiunto che U.R.S.S. si opporrà a che Germania faccia parte organizzazione «offensiva» (come N.A.T.O. od altre organizzazioni connesse) incompatibile con principi Nazioni Unite. Concorda su principio libere elezioni ma nulla ha da aggiungere a punto di vista già espresso da Governo sovietico nei riguardi Commissione investigazione O.N.U. Su problema costituzione forze armate tedesche «difensive» considera che esso sia attributo indispensabile sovranità Stato indipendente e che stesso principio è sancito da trattato di pace Giappone. Incaricato di affari americano mi ha detto essere convinto che proposta sovietica trattato di pace e unità Germania si deve inquadrare in guerra propagandistica diretta ad ostacolare riarmo Germania. Obiettivo immediato U.R.S.S. appare quello promuovere approcci conferenza a quattro su menzionati problemi al fine dilazionare per tutto il tempo conversazioni qualsiasi decisione in merito. Secondo l’opinione detto incaricato d’affari tono perentorio nota tre potenze è giustificato da intenzione rimuovere qualsiasi dubbio su volontà potenze occidentali procedere organizzazione difensiva europea, tuttavia ha riconosciuto con me che allusione «partecipazione Germania in comunità difensiva europea» è troppo esplicita e tale da prestare fianco alla propaganda sovietica.

Secondo incaricato d’affari americano campagna propagandistica sovietica intesa accusare U.S.A. usare armi batteriologiche Corea e Cina ha obiettivo aizzare opinione pubblica interna ed esterna contro U.S.A. Difficile stabilire se tale obiettivo è fine a sé oppure se miri preparare stato d’animo particolare in vista di nuove iniziative. Certo è che proporzione movimento protesta iniziato da poco tende superare le precedenti «montature propagandistiche». Sembra comunque evidente che propaganda è specialmente diretta fare presa su paesi Asia dove epidemia costituisce maggiore calamità e dove masse popolari sono più sensibili argomenti propagandistici vertenti su guerra. E questa propaganda sembra giustificata dallo stato di tensione che incombe su Asia orientale. Secondo l’incaricato d’affari campagna propagandistica sovietica è anche diretta a galvanizzare movimento partigiano pace che da qualche tempo sta languendo essendo esaurito in argomenti fin troppo sfruttati.

È possibile infatti che Consiglio mondiale pace che si dovrebbe riunire tra breve Oslo lanci nuovo appello favore proibizione arma batteriologica.


469 1 Vedi D. 462.

470

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 288/207. Parigi, 29 marzo 1952(perv. il 31).

Faccio seguito al mio telespresso urgente n. 015 del 24 corrente1, che aveva carattere interlocutorio, per segnalare quanto mi ha recentemente detto l’ambasciatore Alphand al riguardo.

Egli mi ha intanto ringraziato per la nostra adesione ai desideri francesi e quindi per la nostra assicurazione di «buoni uffici» a Washington ed eventualmente a Londra perché il progetto sull’esercito europeo venga accompagnato da garanzie anglo-americane. Tuttavia Alphand non era ancora in grado di dirmi granché di più di quanto mi avesse detto Schuman. Vi sono infatti sottili difficoltà tecniche per il differente angolo sotto cui la cosa deve essere presentata agli inglesi ed agli americani. Tanto è vero che nessuna precisa istruzione è sinora partita da qui alle rappresentanze francesi interessate.

La Gran Bretagna è parte del Patto di Bruxelles ed in questo patto già si trova una garanzia verso gli altri contraenti. Si tratta quindi di domandare all’Inghilterra due cose diverse:

1) l’estensione degli impegni a cinque dal Patto di Bruxelles agli altri membri della C.E.D.;

2) una garanzia tecnicamente nuova contro la secessione di un contraente dalla C.E.D.

Per gli Stati Uniti invece il problema consiste soltanto nella seconda parte, cioè nelle garanzie contro una secessione. È quindi difficile trovare un denominatore comune per questi negoziati e richieste a Londra e a Washington.

Alphand mi ha aggiunto che a Lisbona sia Eden che Acheson si erano dichiarati di massima favorevoli e, come noto, l’idea delle «garanzie» è nell’aria da tempo, tanto da provocare le note smentite e controsmentite. Ma si tratta adesso di concretare e vi possono essere varie difficoltà. Come aspetto costituzionale di tali garanzie, i francesi – come avevo già segnalato dopo la mia conversazione con Schuman – sono sempre dell’idea che esse dovrebbero venire dai Governi con approvazione dei rispettivi Parlamenti. Ma questo incontra ormai difficoltà a Washington e si è alla ricerca di una formula che permetta di superarle pur essendo atta ad essere poi sottoposta al Parlamento francese.

Alphand mi ha detto che il Governo francese apprezzava molto la nostra offerta in materia e che saremmo stati avvertiti prima ancora che le ambasciate francesi a Londra e Washington ricevessero definitive istruzioni.


470 1 Non pubblicato.

471

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1088. Belgrado, 29 marzo 1952.

Ieri mattina Mates mi ha consegnato l’aide-memoire in risposta alla nostra proposta di plebiscito nel T.L.T., di cui ho telegrafato un riassunto e che ora le allego nel testo completo.

Non ho mancato di esprimere a Mates la mia sorpresa che la comunicazione avvenisse in forma e per una via diversa da quella che sarebbe sembrata logica: e cioè fatta da Bebler a Guidotti1, i cui contatti, a quanto mi risultava, non erano stati interrotti.

Mates mi ha assicurato che la comunicazione veniva fatta a me unicamente allo scopo di facilitare e rendere più rapida la conoscenza del punto di vista jugoslavo al Governo italiano. Passare per New York, mi ha spiegato Mates, avrebbe costituito una perdita di tempo e spese inutili, mentre si correva il rischio che il testo non arrivasse nella sua esatta formulazione.

A seguito di mia ulteriore richiesta, Mates mi ha detto che il contenuto della risposta jugoslava deve restare riservato come il resto delle conversazioni, le quali possono essere continuate a New York, a Roma o a Belgrado, o dovunque il Governo italiano desideri.

D’altra parte, mi ha aggiunto Mates, il Governo jugoslavo ha ritenuto opportuno fissare in un aide-memoire il suo punto di vista, dato che le conversazioni Bebler-Guidotti si sono risolte, nell’ultima fase, in uno scambio di memorandum e di lettere personali, che, almeno da parte jugoslava, rappresentavano i punti di vista di questo Governo.

A mia domanda, Mates mi ha ancora più specificatamente dichiarato che l’aide-memoire in questione non sarà reso pubblico, a meno che in futuro il Governo jugoslavo non si trovasse nella necessità di documentare il suo atteggiamento sulla questione.

Mates mi ha letto i punti essenziali dell’aide-memoire, senza commenti.

Ne ho preso atto, evitando, data la delicatezza della materia, di esprimere anche ogni mia personale impressione.

La risposta jugoslava mi sembra abile in quanto non respinge l’idea del plebiscito, ma anzi sembra considerarla come un mezzo idoneo a risolvere la questione. Il Governo jugoslavo si è evidentemente reso conto del pericolo di respingere una proposta che potrebbe facilmente diventare popolare.

Tuttavia le condizioni poste per la attuazione del plebiscito sono tali da far apparire, con sufficiente evidenza, il desiderio jugoslavo di bocciarlo nella sostanza.

Tali sono la proposta di una amministrazione provvisoria pre-plebiscito, che dovrebbe durare ben 15 anni, e quella che tale amministrazione dovrebbe basarsi sui principi della proposta Tito2, ormai sepolta anche negli archivi delle Cancellerie occidentali. Il Governo jugoslavo vuol cioè far rientrare dalla finestra quello che è stato respinto sull’uscio e tenta, sia pur maldestramente, di riinserire la sua proposta sulla nostra.

Non entro in merito alle altre condizioni né alle argomentazioni per giustificare il lungo periodo di attesa che occorrerebbe prima di poter addivenire al plebiscito.

Di queste la meno chiara appare quella secondo cui l’attuale situazione e tensione internazionale si ripercuoterebbero sfavorevolmente sullo stato d’animo della popolazione del T.L.T. e che una soluzione attraverso plebiscito potrebbe favorire un terzo (leggi: Unione Sovietica). Argomento senza dimostrazione, che sembra aver l’unico scopo di spaventare le potenze occidentali.

Passando dall’aspetto negativo della risposta jugoslava a quello positivo, si potrebbero fare le seguenti considerazioni:

1) il Governo jugoslavo teme il plebiscito molto più di quello che non possiamo temerlo noi;

2) le condizioni poste per attuarlo sono talmente assurde da dimostrare ancora una volta alle grandi potenze che il Governo jugoslavo non vuole o, comunque, non fa il minimo sforzo per giungere alla soluzione della questione del T.L.T. L’idea di una situazione provvisoria della durata di 15 anni non può che far sorridere gli occidentali, desiderosi di una rapida soluzione della questione, mentre la proposta di una amministrazione italo-jugoslava è già stata considerata impratica e inattuabile;

3) tuttavia la risposta jugoslava potrebbe dare lo spunto ad una controproposta, che forse potrebbe trovare l’appoggio delle grandi potenze occidentali, quale potrebbe essere quella di una amministrazione neutrale, di breve durata, sotto cui dovrebbe prepararsi il plebiscito.

A mio sommesso parere, da meglio meditare, mi pare che una proposta del genere avrebbe il vantaggio di avere l’appoggio delle potenze occidentali e darebbe loro la possibilità di fare su Tito ben maggiori pressioni che non possano fare fin che si tratta di fargli abbandonare tout court anche una parte della Zona B di cui egli ha il possesso.

D’altra parte, qualora il Governo jugoslavo finisse per accoglierla, si otterrebbe vantaggio, più o meno a lungo dovesse durare l’amministrazione provvisoria, di sottrarre la Zona B alla Jugoslavia, la cui amministrazione sta diventando ogni giorno fonte sempre più acuta di pericolosa tensione.

A me pare che, qualora ci fosse la certezza di risolvere definitivamente la questione, 1e popolazioni interessate, e sopratutto i triestini, si adatterebbero ad una tale situazione provvisoria, se anche non del tutto gradevole.

Se poi il Governo jugoslavo non accettasse una tale controproposta, ed è probabile che non l’accetti, ciò convincerebbe le grandi potenze occidentali – e per noi è molto importante – che se il problema non si risolve la colpa è di Belgrado.

Anzi bisognerebbe studiare una soluzione su cui gli occidentali fossero d’accordo, prima ancora di proporla agli jugoslavi, in modo da essere più sicuri del loro appoggio successivo.

Bisogna, comunque, anzitutto, non dare la minima sensazione che la nostra tesi del plebiscito possa essere semplicemente un motivo tattico.

Dovremmo quindi convincere noi stessi e gli altri che quella è la strada della soluzione: non conta se diretta o indiretta.

L’argomento che la soluzione è rimessa alla sovrana manifestazione delle popolazioni interessate e quello che il risultato non tocca il prestigio dei Governi, che in gran parte costituisce un ostacolo ad una soluzione concordata, non possono essere visti che con simpatia, sia dalle opinioni pubbliche che dalle Cancellerie occidentali preoccupate di non indebolire il prestigio di Tito per ragioni di politica interna jugoslava3.

Allegato

Promemoria. Belgrado, 28 marzo 1952.

Au sujet du projet du Gouvernement Italien présenté le 11 mars 1952 par son Excellence Monsieur Guidotti à Monsieur Dr. Ales Bebler concernant le réglement de la question du Territoire Libre de Trieste par voie de plébiscite devant décider du rattachement du territoire dans son ensemble soit à la Yougoslavie soit à l’Italie, le Ministère des Affaires Etrangères a l’honneur de faire savoir que le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie a pris ce projet à l’examen avec toute attention due et, à cet effet, introduit la réponse suivante:

1. Le Gouvernement de la République Populaire Fédératíve de Yougoslavie regrette que le Gouvernment italien ait refusé en principe son projet du 30 janvier a.c. de réglement du problème du Territoire Libre de Trieste sans même l’avoir pris à l’étude.

2. En dépit de ce fait, le Gouvernment de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie se déclare prêt, sous certaines conditions, à admettre l’idée du plébiscite dont fait mention le dernier projet du Gouvernement italien comme un des moyens possibles de réglement du problème du Territoire Libre de Trieste.

3. Le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie désire souligner qu’il estime comme condition nécessaire de tout premier ordre, aux fins de procéder à un tel acte qu’est le plébiscite, l’établissement et la création sur le territoire plébiscitaire d’un état garantissant pleinement que le plébiscite serait en effet une réelle expression de la situation éthnique objective de cette région.

4. En examinant la situation actuelle sur le territoire que, conformément au Traité de paix avec l’Italie de 1947, devreit englober le Territoire Libre de Trieste, le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie en est arrivé à la conviction que sette situation n’est pas susceptible de donner les garanties nécessaires pour l’application d’un plébiscite pouvant être qualifié de Démocratique, et ce n’est qu’un tel plébiscite qui constituerait le réglement à effet favorable sur le développement ultérieur des relations entre les dux pays voisins.

Pour réaliser les conditions requises à la création de l’atmosphère indispensable pour l’espression fidèle de la volonté du peuple il serait nécessaire, de l’avis du Gouvernement de la République Fédérative de Yougoslavie, de prendre des mesures basées sur les lignes suivantes:

a) réaliser la complète tolérance et égalité en droit de la population italienne d’une part et des populations slovène et croate d’autre part dans tous les domaines de la vie conformément à l’esprit des stipulations du Traité de paix avec l’Italie relatives au Territoire Libre de Trieste.

Normaliser le situation sur le territoire plébiscitaire qui a été troublée au détriment de la population slovène dans l’intervalle entre 1918 à nos jours, tant dans la période du règne fasciste qu’après celle-ci et jusqu’aujourd’hui, et qui ne promet pas de pouvoir se normaliser sous les actuelles conditions existant sur le Territoire Libre de Trieste. Cette normalisation devrait écarter toutes le mesures de dénationalisation et permettre un plein développement national et culturel ainsi que l’enseignement en langue maternelle pour les Slovènes et Croates et, plus particulièrement, rendre possible l’emploi de la langue maternelle des Slovènes et Croates en tant que langue égale en droit dans la vie publique et privée: elle devrait réparer les conséquences de la persécution et permettre le retour des habitants qui avaient été expulsés ou forcés indirectement à quitter leurs foyers, ainsi que le retour de leurs descendants; elle devrait, aussi, réparer les conséquences causées par l’oppression économique et la discrimination, par le retrait forcé des biens, par la colonisation des éléments amenés etc., ce qui fut fait dans le but de changer non seulement la consistance éthnique mais aussi l’esprit des habitants de ce territoire. Ces et semblables mesures ont donné des resultats en défaveur de caractère slave du Territoire Libre de Trieste et contribué à la création d’une image artificielle de la consistance éthnique et des rapports sur ce territoire;

b) réparer les injustices et les conséquences des accords et des mesures administratives qui ont été retenues, arrêtées ultérieurment ou remises en viguer entre le Territoire Libre de Trieste (Zone A) et l’Italie et qui, contrairement à l’esprit du Traité de Paix de 1947, permettent à l’Italie une influence unilatérale et privilégiée sur la vie publique et économique de cette région, la mettant ainsi sous sa dépendance et dictant le développement économique et politique sur ce territoire au détriment des intérêts de la Yugoslavie; anuler ces accords et mesures qui font maintenir l’état actuel au dépens de la population slovène du Territoire Libre de Trieste.

Le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie considère que l’écartement de ces obatacles soulevés sur la voie d’application d’un plébiscite equitable demanderait la fixation préalable d’un délai raisonnable et l’établissement d’une administration provisoire de cette région ayant pour but de réaliser, dans le délai prévu, les conditions et l’état sur le territoire plébiscitaire tels qu’ils sont proposés ci-dessus. Le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie est d’avis que ce délai ne pourrait être inférieur à 15 ans à compter du jour de la constitution de l’administration provisoire pour l’application de l’accord réalisé on principe entre le Yougoslavie et l’Italie sur la prise de mesures susmentionnées. Le Gouvernement de la République Populaire Fédéretive de Yougoslavie estime également qu’une telle adminstration provisoire devrait être fondée sur les principes exposés au projet du Gouvernement yougoslave de réglement de la question du Territoire Libre de Trieste qui, en date du 30 janvier, avait été remis, par l’entremise de Monsieur Dr. Ales Bebler, à Son Excellence Monsieur Guidotti.

Le Gouvernement de la Répulique Populaire Fédérative de Yougoslavie désire souligner que, lors de prendre son point de vue susexposé, il a tenu compte, entre autre, de l’actuelle situation et de la tension internationales dans lesquelles, à son avis, l’application d’un plébiscite serait inconcevable même s’il n’existait pas d’autres circonstances qui imposent la nécessité du délai de préparation prévu. De même, le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie est convaincu que l’actuelle situation et tension internationales se répercuteraient défavorablement sur l’état d’esprit de la population du Territoire Libre de Trieste de façon que, d’une part, il serait rendu impossible que le plébiscite soit la pleine expression de la volonté véritable du peuple, alors que d’autre part seraient, trés probablement, créées des possibilités pour que la situation ainsi née soit utilisée par une tierce partie à intérêts divergents et désirant plus particulièrement empêcher le réglement amical et le rapprochement, de ce fait, entre ces deux pays.

En présentant cette réponse, le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie considère que les pourparlers sur la question de modalités du plébiscite (telles que le mode l’application, l’établisement des zones plébiscitaires, la question d’influence des résultats plébiscitaires sur la delimitation de frontières définitives etc.) pourraient être entamés après la réalisation de l’accord de principe.

En communiquant ce qui précède, le Gouvernement de la République Populaire Fédérative de Yougoslavie désirerait que son projet soit compris comme une preuve de sa bonne volonté de voir ce problème, si important pour les deux pays voisins et pour leurs futures relations, examiné et réglé dans le sens de compréhension mutuelle et il exprime son espoir que, du côté italien, il sera apprecié comme tel et trouvera un accueil adéquat.


471 1 Per i colloqui di Guidotti con Bebler vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


471 2 Vedi D. 362.


471 3 Con T. s.n.d. 3026/c., pari data, diretto alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington ed alla rappresentanza a New York, Zoppi comunicò i punti principali della risposta jugoslava con le istruzioni di attirare in proposito l’attenzione dei rispettivi Governi di accreditamento.

472

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3858/146-147. Londra, 31 marzo 1952, ore 21,30(perv. stessa ora).

Telegramma V.E. 3026/c.1.

Ho visto Harrison che ho messo al corrente contenuto risposta jugoslava su plebiscito. Gli ho anche fatto presente che richiesta jugoslava mantenere tale comunicazione riservata contrastava con dichiarazioni già fatte da Mates alla Scupcina2 le quali facevano capziosamente apparire come accettazione idea plebiscito ciò che in pratica ne era un rifiuto. Harrison è stato molto interessato comunicazione: nell’attesa ricevere testo completo nota jugoslava che gli avevo promesso ha espresso sua prima impressione che richiesta ristabilimento situazione etnica Trieste 1918 era fantastica. Circa atteggiamento Jugoslavia mi ha detto che Eden, per prevenire eventuali reazioni Belgrado, aveva incaricato ambasciatore trasmettere suo messaggio per Tito.

Mallet aveva compiuto passo presso Mates sabato mattina chiarendo che scopo prossime riunioni Londra era unicamente quello «associare l’Italia all’amministrazione Zona A» il che era tanto più comprensivo visto che Jugoslavia esercitava de facto completo controllo Zona B. Mates aveva risposto che amministrazione jugoslava in Zona B era fondata su trattato pace; che suo Governo non poteva accettare alcuna decisione che pregiudicasse posizione e interessi Jugoslavia «nell’intero territorio»; e che anche se prossima riunione a Londra era circoscritta nel quadro indicato da ambasciatore essa poteva portare a una «catena di sviluppi di più vasta ripercussione». Aveva concluso dicendo che mentre non si potevano impedire manifestazioni popolo jugoslavo in risposta manifestazioni italiane egli però assicurava che esse si sarebbero svolte con calma. Ho fatto notare a Harrison che ciò nonostante Tito proprio ieri3 aveva fatto dichiarazione di tono violento usando argomenti assurdi come ad esempio quello che maggioranza italiana Trieste è frutto politica snazionalizzatrice Italia.

Harrison ha mostrato qualche perplessità su reali intendimenti jugoslavi; e osservava quindi, a titolo del tutto personale che, ove non si volesse dare minimo appiglio Tito invocare violazione articoli 1 e 5 annesso VII trattato, convenisse ricercare soluzione che offrisse all’Italia soddisfazioni sostanziali nell’amministrazione di Trieste senza alterare facciata Governo Militare Alleato.

Aggiungo però che orientamento britannico per prossima riunione non è stato ancora discusso giacché esame questione comincia domani. Ugualmente per domani è attesa risposta Washington circa formazione delegazione americana e data definitiva inizio conversazioni tuttora prevista giovedì4.


472 1 Vedi D. 471, nota 3.


472 2 Il 29 marzo, edito in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 14, p. 358.


472 3 Vedi D. 473.


472 4 Vedi D. 484, Allegato.

473

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3861/72. Belgrado, 31 marzo 1952, ore 17,35(perv. ore 22).

Notizie su Conferenza Londra hanno determinato violento intervento Tito1 in sede Assemblea popolare, Discorso Tito, in divisa maresciallo, è sembrato improvvisato ed è stato accompagnato da pugni sul banco, mentre oratore teneva in mano Times con articolo corrispondente romano.

Riferisco secondo prime informazioni.

Tito ha lamentato che Jugoslavia non è stata invitata interpellata consultata per Conferenza Londra aggiungendo che Alleati occidentali stanno perdendo simpatie popolo jugoslavo.

Trasmetto cenni più importanti:

1) Alleati sono preoccupati aumento cominformisti in Italia. E se cominformisti venissero in Jugoslavia? Si è domandato Tito;

2) Jugoslavia non fa parte Patto atlantico, ma Italia ne fa parte per utilizzarlo per i suoi scopi imperialistici;

3) Italia ha sempre tradito suoi Alleati, Jugoslavia no;

4) Italia deve dichiarare se amica o nemica Jugoslavia;

5) Jugoslavia ha dimostrato buona volontà per risolvere questione Trieste;

6) Jugoslavia propone amministrazione autonoma T.L.T. e dopo un certo numero di anni plebiscito se popolazioni lo vorranno.

Mi manca testo discorso che Tito si è riservato rivedere. È quindi probabile che sia attenuato tono talune espressioni.


473 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 14, p. 358.

474

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 3881/224. Washington, 31 marzo 1952, ore 20,04(perv. ore 9 del 1° aprile).

Suo 30261.

Dipartimento considera risposta jugoslava circa plebiscito assurda e, per quanto concerne accenni a riparazione ingiustizie contro sloveni, incomprensibile. Anche pubbliche dichiarazioni Tito2 e Mates3 hanno fatto cattiva impressione.


474 1 Vedi D. 471, nota 3.


474 2 Vedi D. 473.


474 3 Vedi D. 472.

475

IL DIRETTORE GENERALEPER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI

Appunto 22/902. Roma, 31 marzo 1952.

A seguito delle istruzioni ricevute, ho avuto a Parigi, nella giornata di sabato 29 marzo, una conversazione con il sig. Monnet, nella sua sede della Rue Martignac. Era presente anche il suo collaboratore sig. Hirsch.

Riassumo le idee del mio interlocutore nei riguardi della nota iniziativa britannica per una inclusione delle Comunità europee nella cornice di Strasburgo:

1) L’iniziativa del Governo di Londra1 non va presa troppo au sérieux ed occorre sopratutto evitare di valorizzarla ed addirittura di «crearla» con il far convergere su di essa tutta l’attenzione europea. Gli inglesi, dei quali occorre naturalmente riconoscere la piena buona fede, devono averla avanzata sia per porre in rilievo dinnanzi all’opinione pubblica americana una certa loro volontà di collaborazione europea, sia per crearsi un certo merito nei confronti del Consiglio di Europa. È evidente però che essi stessi non possono non comprendere le grandi difficoltà che il proposto inserimento non potrebbe non far sorgere ai fini generali ed organizzativi delle Comunità europee.

2) All’iniziativa occorre ora rispondere «con i fatti»: entro l’aprile il piano Schuman dovrebbe essere definitivamente ratificato. Con ogni probabilità il Consiglio nazionale della Repubblica francese provvederà alla ratifica nei prossimi giorni e subito dopo la Camera italiana dovrebbe fare altrettanto. Si potrebbe così entro brevi settimane porre finalmente l’Europa dinnanzi al fatto compiuto e dare finalmente ai paesi interessati la sensazione che si passa oramai dalle discussioni alle vere realizzazioni. Solo così si eviterà [sic] veramente di eliminare le confusioni che potrebbero sorgere, specialmente in seno al Consiglio di Europa, al seguito della proposta di Londra.

3) Quanto alla Comunità europea di difesa, è evidente che i ritardi saranno notevolmente maggiori. Anche qui però occorre, per quanto possibile, stringere i tempi per il raggiungimento della stipulazione del testo definitivo del trattato, non oltre il mese di maggio. Qui bisogna fare molta attenzione a non provocare in avvenire «insabbiature» di cui l’iniziativa britannica è un primo sintomo. In altre parole il momento delicato verrà allorché si presenterà il pericolo di vedere sfociare la progettata «Assemblea costituente», che dovrà portare ad un rapido processo federalistico, in una discussione di Strasburgo. In una parola se si darà esca al Consiglio di Europa non sarà evitabile il pericolo di vedere poco a poco sommerso il concetto di base per la federazione europea in un mare di discussioni e di iniziative atte soltanto a creare confusione.

Devo aggiungere, nei riguardi dell’attività politica del signor Monnet come la sua avversione – a quanto mi ha confermato lo stesso ambasciatore Quaroni – all’attuale Governo presieduto dal signor Pinay va facendosi sempre più precisa. La lotta che il Governo sostiene in questi giorni in seno alle Commissioni parlamentari, dove le idee di Monnet sono in buona parte favorevolmente accolte, ne sono una prova. Il dissenso cioè tra il concetto pianificatore di Monnet e le tendenze liberali ed indipendentistiche dei «Comitati» produttivi francesi, che appaiono trovare larga rispondenza nell’attuale Gabinetto e nel suo stesso presidente, appare sempre più preciso. Su di esso preme, ai fini dell’opinione pubblica, quella campagna di «ribassi» del principali generi di consumo al minuto, di cui il presidente Pinay si è fatto promotore e che indubbiamente sembra incontrare, in molti strati della popolazione, un notevole favore.


475 1 Vedi DD. 429, 437, 440 e 447.

476

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1356. Vienna, 31 marzo 1952.

Grazie per la tua lettera del 24 corr. n. 4901 relativa alle impressioni generali lasciate dalla visita Gruber. Contemporaneamente col corriere di ieri ho ricevuto la documentazione concernente appunto tale visita, ivi compreso il tuo appunto2, di cui mi accenni nella lettera.

Come incidentalmente ti ho accennato in altra lettera di giorno addietro, Gruber è tornato molto soddisfatto dalla sua visita romana, delle accoglienze ricevute e di alcuni dei risultati raggiunti. Si è espresso con me in tale senso e so che ugualmente si è espresso col cancelliere Figl e con i rappresentanti occidentali. Come saprai Gruber, sulla via del ritorno, dopo la conferenza ripetuta a Milano, è uscito dal Brennero anziché da Tarvisio fermandosi ad Innsbruck dove era convenuto anche il cancelliere Figl. Era stata già da tempo prevista una riunione di partito del Bauernbund regionale ma evidentemente Gruber, tra l’altro deputato di lì, aveva l’obbligo di riferire ai noti gruppi l’esito dei suoi colloqui romani. Che cosa egli abbia raccontato ancora precisamente non lo so, ma stando a quanto mi ha detto lui stesso, poi Vollgruber nonché altri, sembra che sia riuscito a persuadere i convenuti in senso ottimista e tranquillante: il che avrebbe forse potuto fare anche senza il viaggio di Roma, ma evidentemente a lui premeva, per note ragioni, di sottolineare il suo interessamento personale per le questioni connesse con l’accordo di Parigi che interessano i noti signori di Innsbruck, del resto suoi elettori, e presentare le sue chiarificazioni ed informazioni come frutto dei colloqui romani e con lo stesso nostro presidente del Consiglio.

Del resto già alla vigilia della sua partenza, Gruber era in uno stato d’animo piuttosto ottimista e un grande mutamento era intervenuto dallo stato d’animo alquanto iroso, scontento ed inquieto che manifestava nell’autunno scorso, sempre in relazione a questo suo viaggio. Del resto ho acquisito esperienza che in fondo Gruber, anche quando appare estremamente montato facilmente finisce per smontarsi e rasserenarsi, ed ero quindi anche sicuro che qualunque fossero i propositi con cui veniva a Roma, e ciò è spesso in funzione della sua situazione personale in Tirolo, una volta in presenza del presidente on. De Gasperi o non avrebbe parlato affatto o sarebbe stato facilmente sviato o messo a tacere. Troppo grande è la sproporzione tre le due persone. D’altra parte quello che premeva a Gruber era di mostrare che era andato a Roma e, per così dire, «aveva personalmente parlato» delle questioni alto-atesine.

Ad ogni modo mi sembra di poter concludere che il viaggio è andato pianamente e che non è successo nulla di grave, né per noi pregiudizievole.

Circa il problema della cooperazione economica (ho visto per altra via il testo del protocollo ma non l’ho trovato allegato ai documenti trasmessimi) si attende di conoscere il definitivo parere del nostro Governo. Qui la cosa viene mantenuta nel segreto più stretto, e il dettagliato rapporto inviato da Schwarzenberg in argomento è stato trattenuto al Gabinetto del ministro e neppure protocollato per paura di evasioni.

Circa lo stesso annunzio della Commissione di studio, si è naturalmente d’accordo nel fondo e nella forma, con la sola riserva che occorrerà valutare il momento in cui l’eventuale annuncio dovrà essere dato: la situazione dell’Austria rispetto alla grave questione del trattato di pace, è tornata attuale ed in pieno movimento di manovra, per cui data d’altra parte la sua capitale importanza occorre che qualsiasi altra mossa venga alla medesima coordinata. Ma a parte queste considerazioni e riserve con riguardo esclusivamente a contingenze tattiche, nulla vi è di mutato sulla fondamentale identità di vedute e sul grande ed assoluto interesse che vi è a portare il progetto in porto.


476 1 Vedi D. 459.


476 2 Vedi D. 436.

477

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL BRASILE, NEVES DA FONTOURA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. confidenziale. Rio de Janeiro, marzo 1952.

Ho seguito, in tutti questi anni trascorsi dal nostro incontro a Parigi, l’attività di V.E., che con mano ferma sta riportando l’Italia alla completa parità tra le grandi nazioni, sta ricostruendo il suo potenziale economico e sta favorendo nella vita pubblica l’atmosfera di libertà e di progresso che permette l’evoluzione normale degli istituti politici. Non ho, tuttavia, dimenticato le intense ore di Parigi, in cui, purtroppo, i tentativi per effettuare una completa riconciliazione tra l’Italia e le altre nazioni sono falliti dinanzi ad una opposizione che si è fin da allora rivelata come il più grande ostacolo al ristabilimento della pace tra gli uomini.

Credo che la mia attuazione nella capitale francese, in cui ho riposto tutto il mio entusiasmo, tutta la mia fede nel destino eterno d’Italia, abbia chiaramente espresso i sentimenti che ispiravano il Governo brasiliano d’allora verso la patria della latinità. Tali sentimenti si sono anche palesati nella condotta degli affari esteri del mio paese, sotto il mio successore; nel ritornare alla direzione delle relazioni estere del Brasile, non ho avuto difficoltà a riprendere il filo di una tradizione che era divenuta ormai uno dei principi basici della nostra politica.

Il Brasile si è sempre battuto per la correzione del trattato firmato a Parigi nel 1946 e per la partecipazione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite. D’altra parte, non sono mancate occasioni in cui il Brasile ha ufficialmente manifestato il suo desiderio di stringere ognor più i vincoli che l’uniscono all’Italia. Le centinaia di migliaia di italiani che vivono in Brasile e i loro ancor più numerosi discendenti sono un fatto che non può sfuggire ai calcoli ed alle determinazioni di coloro che, nel mio paese, reggono il Governo. E quello che, forse, costituisce un fatto di più grande significazione è il lavoro che attualmente svolgiamo per realizzare il nostro vivo desiderio di aggiungere a queste centinaia di migliaia d’italiani altri milioni, affinché l’emigrazione italiana continui ad offrire, come nel passato prossimo, uno dei maggiori contributi alla formazione etnica del brasiliano futuro. Il nostro desiderio di consegnare alle leve provenienti da codesta penisola grande parte del destino della nostra razza è prova della nostra completa fiducia nelle qualità del popolo italiano.

Queste circostanze mi incoraggiano quando considero la grande massa di complessi problemi che il mondo moderno presenta ed in cui il Brasile e l’Italia devono aprirsi un sentiero fermo e sicuro. Se la prossimità geografica non ci unisce, altri fattori compensano ampiamente la separazione che la distanza pone tra i nostri due paesi.

Nella concezione dell’Unione Latina, che cerco d’incoraggiare sin dal Congresso di Rio de Janeiro, l’anno scorso, ha molto influito l’idea di sopperire con un’organizzazione non regionale alla necessità di contatti intimi e costanti che forniscano ai valori latini occasione per affermare la legittima preponderanza che devono avere negli affari mondiali. Per l’attuazione di tale ideale, il Brasile può contare con sicurezza sulla contribuzione dell’Italia, paese da dove è partita la forma di cultura che desideriamo affermare, sebbene senza velleità esclusivistiche.

Tra tutti i paesi latini, l’Italia è quello a cui più si interessa il Brasile, quello in cui la ripercussione dei contatti culturali si unisce a considerevoli interessi economici che si possono esprimere sopratutto nell’emigrazione e nell’intercambio culturale.

Sarebbe del tutto auspicabile che le relazioni fra i nostri due paesi si sviluppassero in un senso armonico, convergendo verso finalità comuni, dato che esiste tra l’Italia ed il Brasile un’identità profonda di interessi superiori. Noto, tuttavia, che, se nei piani più alti e realmente più importanti tale integrazione si verifica, lo stesso non si può dire per una serie di problemi sorti dalla convivenza quotidiana, che minacciano di turbare il suo ritmo tranquillo.

Si tratta, sopratutto, di questioni di ordine economico. Ho sempre cercato, in Brasile, di andare incontro alle frequenti ponderazioni dell’ambasciata d’Italia, intervenendo presso le autorità brasiliane affinché gli interessi italiani abbiano la loro giusta soddisfazione. D’altra parte, le questioni che dipendono ancora dalla soluzione del Brasile, soprattutto quelle che si riferiscono all’esecuzione dell’Accordo dell’ottobre 8, 1949, stanno ricevendo la speciale attenzione del Governo brasiliano il quale, malgrado le difficoltà che disgraziatamente si sono presentate, cerca di sforzarsi insistentemente per assicurare all’Italia i vantaggi previsti nel citato Accordo. Deploro, tuttavia, che questioni dello stesso ordine si vengano trascinando in Italia, senza trovare una soluzione che ponga termine ad attriti ed insoddisfazioni causati da tali piccole pendenze.

Tra i miei collaboratori si sta diffondendo l’impressione che V.E. e le più alte autorità del Governo italiano, preoccupati con i temi più assorbenti ed immediati dell’integrazione europea e della cooperazione nell’area dell’Atlantico Nord, non abbiano potuto dedicare ai problemi delle relazioni con il Brasile la frazione di tempo necessaria alla loro giusta soluzione. Credo, però, che l’attenzione data a codeste questioni avrebbe il beneficio inestimabile di risolvere una situazione che minaccia di divenire di malessere cronico.

Mi permetta V.E. di farle un breve sunto dei punti attualmente in trattative tra l’Italia ed il Brasile, che, a mio vedere, non hanno ricevuto da parte delle Autorità italiane la meritata attenzione.

Risarcimento dei danni di guerra a brasiliani residenti in Italia. La materia è regolata dall’art. 78 del trattato di pace del 1946. Le autorità italiane allegano che l’accordo italo-brasiliano dell’8 ottobre 1949 ha estinto tale obbligo del Governo italiano, dato che nell’art. 9 dello stesso accordo i due Governi si sono dati mutuamente quietanza di qualsiasi responsabilità derivata dalla guerra. Le autorità brasiliane ritengono che l’articolo citato tratti unicamente reclami di governo a governo, i quali sono stati realmente estinti da quell’atto internazionale. I reclami dei cittadini brasiliani non sono stati colpiti dalle conseguenze di quel Convegno.

Le autorità brasiliane non possono accettare l’interpretazione data dalle autorità italiane, perché, in tale caso, per evitare un evidente diniego della giustizia, si vedrebbero costrette a cercare d’indennizzare i suoi cittadini in Italia, il che implicherebbe un trasferimento nell’economia italiana di beni e valori che si trovano nel giro dell’economia brasiliana. Si verificherebbe, allora, il pagamento di riparazioni di guerra del Brasile all’Italia.

Le autorità brasiliane non si contentano della risposta data da Palazzo Chigi all’ambasciata del Brasile in Roma, mediante la nota n 808/1, del 17 gennaio 1952, e notano con sorpresa che la comunicazione citata non ha preso conoscenza delle obiezioni fatte da parte brasiliana, né fa riferimento alla possibilità di una soluzione arbitrale, mantenendosi su di un tono completamente negativo, che non contribuisce punto ad amichevole soluzione della questione.

Accordo sui trasporti marittimi. I Governi italiano e brasiliano, tramite scambio di note segrete del 5 luglio 1950, hanno garantito l’accordo concluso a Roma fra gli armatori italiani e brasiliani (Lloyd Brasileiro), la cui finalità è regolare la cooperazione fra i due paesi in quel che concerne i trasporti marittimi fra l’Italia, il Brasile e il Rio de la Plata (traffico indiretto). Quest’accordo è stato concluso, da parte del Lloyd Brasileiro, ad istanze dell’ambasciata a Roma e del Ministero delle relazioni estere del Brasile, i quali miravano, in tale modo, ad andare incontro ad una precisa richiesta da parte italiana, la quale subordinava alla conclusione di tale accordo tra privati la firma dei rimanenti convegni sull’emigrazione, sul commercio, sugli investimenti e pagamenti. Nonostante le garanzie date da codesto Governo, le autorità finanziarie italiane ed il Ministero del commercio estero hanno stabilito delle misure discriminatorie contro le operazioni del Lloyd Brasileiro in Italia, l’ultima delle quali è stata quella di esigere la restituzione dei noli ricevuti in lire, nell’esercizio del traffico indiretto Italia-Argentina.

L’ambasciata del Brasile ha fatto notare al Ministero del commercio estero l’esistenza di una nota segreta che regolava la materia. Il Ministero, a titolo provvisorio, ha deciso di sospendere l’imposizione fatta tramite 1’ufficio dei cambi. Allo stesso tempo, l’ambasciata in Roma, tramite nota segreta n 1, del 2 gennaio 1952, ha chiesto al Ministero degli affari esteri il suo intervento in merito, non avendo finora ricevuta risposta alla comunicazione citata.

Accordo commerciale. Il Governo brasiliano, nella negoziazione e nell’esecuzione dell’accordo commerciale con l’Italia si è mostrato, nei riguardi degli interessi di codesto paese, di una comprensione che non ha avuto riscontro da parte dell’Italia. Mentre da un lato sono stati aumentati i contingenti di caffè e di cotone destinati all’Italia, dall’altro il Brasile si è sforzato affinché gli sia fornito, per lo meno, il piccolo contingente di zolfo che gli è stato destinato dall’accordo commerciale, avendo solo ottenuto, finora, che le autorità italiane promettessero di autorizzare l’esportazione di zolfo raffinato e ventilato in Brasile, fino ad un totale di 1.000 tonnellate.

Frattanto, dei piccoli quantitativi di zolfo che sono stati fin d’allora inviati, hanno usufruito appena ditte che, nonostante stabilite in Brasile, sono intimamente legate agli interessi degli esportatori. Non si è venuto incontro, d’altra parte, ad insistenti richieste dell’ambasciata in Roma, in cui venivano trasmesse le sollecitazioni del Governo brasiliano, a favore di ditte la cui produzione industriale è considerata più essenziale all’economia del paese.

Nel 1951, il Ministero del commercio estero, allegando mancanza di prodotto, non ha permesso la copertura della quota accordata, che era di 900.000 dollari (in pani) e di 10.000 dollari (ventilato), corrispondenti a circa 10.000 tonnellate, con i prezzi vigenti in quell’epoca. Quest’anno, l’Italia cerca di ridurre ancora di piú la quota effettiva di zolfo destinato al Brasile, nelle trattative in corso a Rio de Janeiro.

Questa drastica diminuzione di un prodotto essenziale all’industria brasiliana, non potrà certamente essere presa con leggerezza da parte degli interessati nel mio paese e, nell’interesse dell’economia nazionale, mi vedo costretto a richiamare l’attenzione di V.E. sulla disparità di trattamento da una parte all’altra.

Funzionamento della Compagnia Sul-America in Italia. Sin dal 1948, la compagnia di assicurazioni brasiliana Sul-America (Sul-América Terrestres, Marìtimos e Acidentes) cerca di funzionare in Italia, nella stessa base di reciprocità delle compagnie italiane di assicurazioni in Brasile. Il Ministero della industria e commercio, che in diverse occasioni sembrava essere sul punto di concedere la necessaria autorizzazione, all’ultimo momento la ricusava, col pretesto di restrizioni che, in Brasile, per difficoltà tecniche che impediscono una rapida soluzione, ancora soffrirebbero le compagnie italiane, che, però, già si trovano in funzionamento.

Compagnia di colonizzazione. La Compagnia di colonizzazione ed emigrazione è stata creata dal Convegno italo-brasiliano, firmato a Rio de Janeiro 1’8 ottobre 1949. Si nutrivano, in Brasile, grandi speranze nei riguardi della Compagnia, il cui capitale iniziale di Cr$ 100.000,00 è stato costituito dai fondi italiani depositati nel «Banco do Brasil», liberati dal suddetto accordo. La Compagnia, tuttavia, viene svolgendo attività limitata e il Governo brasiliano desidererebbe che le sue operazioni avessero più vasta portata, cosa che sarebbe certamente facilitata dall’aumento di capitale previsto nell’accordo che ha dato origine all’impresa.

Emigrazione. Con la ratificazione dell’accordo bilaterale Brasile-Italia, che ha coinciso con la creazione del Comitato delle migrazioni europee, stabilito a Ginevra per decisione della Conferenza di Brusselles del novembre 1951, l’emigrazione italiana verso il Brasile è entrata in una fase pienamente esecutiva, dopo un lungo periodo di sforzi inconclusivi. Il Brasile si interessa in maniera particolare a ricevere gli emigranti italiani e, da quanto ci consta e da dichiarazioni pubbliche di V.E. e dagli intendimenti avuti col Governo degli Stati Uniti, l’Italia non solo desidera agevolare la partenza dei suoi nazionali, come ha anche grande interesse a farlo, per alleggerire problemi sociali quali la disoccupazione e gli eccedenti demografici. Tuttavia, l’ingranaggio burocratico esistente nei due paesi non ha agevolato codesto flusso migratorio. Per quel che concerne il Brasile, cerco di facilitare il ricevimento e l’assimilazione di codesti emigranti, mediante misure amministrative ed una legge che in questi giorni sarà presentata al Congresso brasiliano. Desidereremmo che anche V.E. desse istruzioni alle autorità competenti nel senso di agevolare l’emigrazione in Brasile.

Accordo per lo scambio di valigie diplomatiche aeree. Si tratta di un semplice accordo amministrativo, di mutuo interesse, nonostante ristretto. Il Brasile sta concludendo convegni di questo tipo con diversi paesi, ottenendo risultati soddisfacenti per entrambe le parti, per quel che concerne la rapidità della spedizione della corrispondenza diplomatica. Nonostante il limitato interesse di quest’accordo, esso è purtroppo un esempio tipico del poco interesse che le autorità italiane hanno dimostrato verso argomenti attinenti al Brasile. Dal mese di marzo 1951, l’ambasciata del Brasile in Roma ha inviato nota a Palazzo Chigi, con un progetto dell’accordo che è stato, in principio, ritenuto accettabile. Fino ad oggi, però, il Ministero degli affari esteri, ripetutamente sollecitato, non ha trasmesso all’ambasciata il parere delle autorità italiane sulla possibilità della conclusione di codesto semplice accordo amministrativo.

V.E. rileverà che nessuno di questi casi presenta qualsiasi problema simile agli altri, numerosi, che l’Italia ed il Brasile devono affrontare insieme, nella loro comunità di civiltà e di interessi profondi.

Ho certezza che basterebbe un piccolo sforzo da parte delle autorità italiane per superare completamente queste difficoltà. Per tale motivo, mi animo a chiedere a V.E. di raccomandare ai suoi collaboratori un esame più attento di tali questioni pendenti tra il Brasile e l’Italia, affinché possa essere raggiunta una giusta soluzione che apporti alle relazioni italo-brasiliane la regolarità e l’armonia che devono esistere tra due paesi così profondamente affratellati nei loro più legittimi interessi.

In quanto costituisce la mia parte, continuerò a impegnare ogni sforzo per risolvere in un modo soddisfacente le questioni che dipendono ancora da una soluzione assicurando, con l’esecuzione dell’Accordo italo-brasiliano, la felice realizzazione delle sue elevate finalità.

Nella fiducia che l’azione di V.E. si faccia sentire in maniera efficace nellasoluzione dei problemi suesposti, rinnovo i sensi della mia più alta conside-razione1.


477 1 Per la risposta vedi D. 582. Vedi anche D. 514.

478

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO A GEDDA, TURCATO

T. 3128/25. Roma, 2 aprile 1952, ore 16.

Suo 331.

Risposta yemenita a proposta spagnola di aprire relazioni diplomatiche tra i due paesi è piuttosto dilatoria. Ministro Yemen al Cairo ha risposto ad ambasciatore spagnolo che imam gradisce in linea di principio stabilimento relazioni diplomatiche dirette, ma che esse avrebbero dovuto seguire conclusione trattato amicizia.

Dato quanto precede, pur confermando opportunità nostro passo, pregasi darvi carattere meno presente. D’accordo che S.V. si rechi Taiz con Casali e interprete.


478 1 Vedi D. 468, nota 1.

479

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO

T. segreto urgente precedenza assoluta 3138/53. Roma, 2 aprile 1952, ore 19.

Suo 671.

Per parte nostra non (dico non) abbiamo molta fiducia in una «conferenza tra Governi» che non sia stata preceduta e preparata da impegni programmatici che art. 9 C.E.D. prevede per Assemblea rappresentanti Parlamenti. E ciò perché in conferenza tra Governi affiorerebbero ben note perplessità e remore che rischierebbero far fare piuttosto regressi ad idea federativa mentre Assemblea, per sua stessa composizione e natura, risulterà animata da maggiore spinta propulsiva di cui anche Governi più reticenti saranno poi costretti tener conto.

Per queste ragioni abbiamo insistito per formula di cui art. 9 C.E.D. e per stessa ragione siamo preoccupati di uno spostamento su altre basi, più appariscenti ma meno sicure, del problema federativo.

Pregola esprimere ad Adenauer suesposti concetti ringraziandolo per sua cortese comunicazione e suggerendogli, se egli mantiene sua intenzione, formularla in modo da fare riferimento art. 9 C.E.D. sottolineando portata e forse proponendo costituzione Assemblea che, anche prima ratifica trattate C.E.D. potrebbe iniziare esame questione.


479 1 Del 1° aprile, con il quale Babuscio Rizzo informava della possibile proposta di Adenauer di convocare i paesi C.E.D. per lo studio della costituzione federale senza attendere le ratifiche parlamentari del trattato C.E.D.

480

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. segreto 3139/72. Roma, 2 aprile 1952, ore 23,30.

Suo 531.

Schwarzenberg ha effettuato cauto sondaggio preliminare attribuendo l’idea a Gruber e non a Guggenberg il quale è in attesa benestare suo partito.

Gli è stato detto in via confidenziale che a nostro avviso Gruber – se voleva – poteva fare pubblicamente conoscere in Austria che gli accordi sono soddisfacentemente attuati, e tale gesto sarebbe stato molto apprezzato. Quanto a Guggenberg, è stato concordato con presidente del Consiglio lasciare a lui responsabilità sue decisioni e atti.


480 1 Del 25 marzo, con il quale Cosmelli aveva informato che Schwarzenberg avrebbe richiesto il parere del Governo italiano sull’eventuale partecipazione di Gruber e Guggenberg alla prossima discussione della sezione del Volkspartei di Innsbruck sui problemi dell’Aldo Adige.

481

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 3989/152. Londra, 2 aprile 1952, ore 20,25(perv. ore 7,30 del 3).

Ho visto stamane Harrison cui non ho mancato sottolineare carattere costruttivo e tono conciliante discorso V.E.1 nonostante provocanti dichiarazioni Tito ad Assemblea jugoslava2. Mio interlocutore ne ha pienamente convenuto ed ha affermato che discorso aveva fatto ottimo effetto su Governo inglese. Harrison, che aveva assistito a colloquio ieri Eden con Brilej mi ha detto che segretario di Stato aveva precisato ad ambasciatore jugoslavo che:

1) imminenti conversazioni londinesi verteranno nostro inserimento Amministrazione Zona A indipendentemente da soluzione questione T.L.T.;

2) Governo britannico considera che sia proposta jugoslava circa costituzione Territorio Libero sia condizioni poste da Belgrado ad accettazione plebiscito fossero inattuabili;

3) esso insiste perchè siano ripresi negoziati per giungere a soluzione concordata; al riguardo Eden ha parlato a Brilej di soluzione su basi etniche.

Avendo Brilej ricordato suoi franchi e costanti contatti con ambasciatore Gallarati Scotti3, Eden ha risposto essere certo che suoi rapporti con ambasciatore Brosio avrebbero potuto essere impostati sulle stesse basi.


481 1 Si riferisce al discorso pronunciato da De Gasperi all’apertura della discussione in Senato sul bilancio del Ministero degli esteri edito in Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1948-1952, vol. XXXII, seduta del 1° aprile 1952, pp. 32271-32273.


481 2 Vedi D. 473.


481 3 Vedi serie undicesima, vol. V, DD. 179, 184, 274, 375 e 496.

482

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 4005/80. Belgrado, 2 aprile 1952, ore 22,18(perv. ore 7,30 del 3).

Riferisco su contatti mantenuti in questi giorni con più importanti ambasciate occidentali.

In linea di massima hanno concordato su sproporzione rispetto avvenimenti e su mancanza spontaneità dimostrazioni jugoslave. Hanno pure convenuto su assenza fondamento reazioni jugoslave circa elezioni amministrative Trieste e Conferenza tripartita Londra dato che amministrazione jugoslava in Zona B da anni ha fatto tutto quello che ha voluto, anche contro trattato di pace, senza consultare né sentire Governo italiano e neppure potenze amministratrici Zona A.

Qualcuno invece, e tra essi Mallet e incaricato d’affari U.S.A., hanno espresso preoccupazioni che recenti manifestazioni italiane e segnatamente esito Conferenza Londra possano portare Governo jugoslavo ad irrigidimento e perciò rendere più difficile soluzione questione T.L.T. Ho fatto presente: 1) che Governo jugoslavo non ha mai fatto passi concreti per risolvere questione nemmeno a riguardo di distensione di rapporti, anzi ha dato impressione di fare passi indietro; 2) che sono d’avviso che più poteri l’Italia potrà avere in Zona A, tanto più facilmente Governo jugoslavo sarà indotto divenire ragionevole.

Jugoslavia ha fruito finora posizione privilegiata quale mi è stata rudemente espressa da Mates in primo colloquio avuto con lui esattamente due anni fa su sovranità T.L.T. Mates mi aveva allora detto: Jugoslavia praticamente ha Zona B ma Italia non ha Zona A; Alleati data impostazione politica non faranno mai pressioni su Jugoslavia per abbandonare in tutto o in parte Zona B; quindi Italia accettando spartizione ha tutto da guadagnare (mio telegramma 93 del 19501 e mio telespresso 11 aprile 1950 1045/5222).

Se Italia partecipa amministrazione Zona A, sua posizione cambia e Tito ne ha manifestato preoccupazione quando ha accennato a possibilità che Italia possa occupare Zona A e poi pretendere discutere su Zona B.


482 1 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 96.


482 2 Non pubblicato ma vedi ibid., vol. V, D. 282, Allegato I.

483

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. urgente 3203/151. Roma, 4 aprile 1952, ore 12.

In prima riunione Conferenza Londra si è avuto scambio idee generale su impostazione lavori1 . Da parte nostra sono stati esposti concetti base cui, secondo noi, dovrebbe ispirarsi soluzione problema relativo nostra partecipazione amministrazione Zona A. Si è raccomandato e convenuto mantenere su andamento conversazioni più rigoroso segreto e prego V.E. assicurarsi che impegno venga costì rispettato. Ogni indiscrezione in presente fase lavori sarebbe controproducente. Poiché delegazione americana ha detto che era priva istruzioni e sino a lunedì prossimo non le avrebbe ricevute, pregola anche svolgere efficace azione perché istruzioni che recherà Green costituiscano valido appoggio a nostri delegati.


483 1 Vedi D. 484, Allegato.

484

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 570 segr. pol. Roma, 5 aprile 1952.

A complemento del telegramma del presidente del Consiglio in data 4 corr.1, ti allego un appunto relativo alla prima riunione della Conferenza tripartita di Londra.

Come vedrai dal documento allegato, noi non intendiamo pregiudicare la soluzione definitiva del problema del Territorio Libero, il quale deve essere tenuto aperto, sia con riferimento alla Dichiarazione tripartita2, sia alla ripresa di trattative italo-jugoslave, sia infine anche alla prospettiva del plebiscito.

Ma se desideriamo mantenere le conversazioni di Londra in un quadro più ristretto, e cioè eliminare le continue frizioni fra l’Italia e gli Alleati a Trieste mediante una riforma del G.M.A., noi intendiamo però ottenere il passaggio in mani italiane di una parte importante delle funzioni sinora esercitate dal G.M.A. I nostri desiderata al riguardo sono condensati nei 10 punti sottoposti da Brosio agli anglo-americani, elencati nell’appunto.

Ora, dai primi contatti di Londra, abbiamo tratto l’impressione che da parte inglese – forse in seguito alle violente reazioni di Tito, forse per l’ostruzionismo degli ambienti interessati del G.M.A., – si sia fatta un po’ marcia indietro rispetto a quelle che furono le aperture fatteci al momento della convocazione della Conferenza.

È inutile che ti sottolinei l’effetto negativo che avrebbe per la nostra opinione pubblica e le difficoltà in cui si troverebbe il Governo se la montagna dovesse partorire un topo.

Da ciò l’importanza che noi attribuiamo all’atteggiamento che terranno i delegati americani durante le conversazioni di Londra e che confidiamo sia comprensivo dei nostri desiderata, in modo da far superare le esitazioni che si stanno delineando dal lato britannico.

Raccomanda nuovamente poi a tutti gli interessati la più assoluta riservatezza sugli sviluppi della Conferenza.

Allegato

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto segreto. Roma, 3 aprile 1952.

L’ambasciatore a Londra ha telefonato le seguenti prime impressioni e notizie:

1) gli americani si sono presentati senza istruzioni dichiarando che non le avranno sino a lunedì;

2) gli inglesi appaiono un po’ scossi dalla reazione jugoslava e dalle evidenti resistenze del G.M.A. a larghe concessioni;

3) Brosio ha spiegato nella prima riunione la nostra posizione e le premesse cui questa si ispira, nel modo seguente:

a) è inteso che lo scopo di questa riunione è quello di giungere ad un arrangiamento temporaneo tale da non pregiudicare la soluzione definitiva del problema nel suo insieme;

b) questo arrangiamento non può essere considerato semplicemente da un punto di vista amministrativo. Esso ha infatti una preminente significazione politica per quanto concerne l’opinione pubblica italiana, nonché i rapporti dell’Italia con le potenze occidentali e la Jugoslavia;

c) in particolare – come è stato riconosciuto nel recente scambio di vedute cheha condotto alle odierne conversazioni – sembra essenziale di stabilire un equo equilibrio tra i poteri esercitati dalla Jugoslavia in Zona B e la posizione dell’Italia in Zona A. Ciòverrebbe anche ad eliminare la principale causa di malintesi tra A.M.G. ed Italia nellaZona A.

d) è estremamente desiderabile che la soluzione sia la più semplice possibile in modo da assicurare la propria funzionalità ed impedire dannose interferenze;

4) la nostra delegazione ha presentato in dieci punti le nostre richieste con l’intesa che queste non devono essere considerate come «ufficiali» e che debbono essere mantenute assolutamente segrete.

I. Mantenimento del Comando militare alleato.

II. Il Comando militare manterrà una alta autorità sopra l’ Amministrazione civile (con diritto di veto nei riguardi delle decisioni di maggiore importanza dell’Amministrazione civile e con diritto in caso di emergenza di avocare a sé la tutela dell’ordine pubblico).

III. Un consulente politico italiano verrà nominato per assistere il Comando militare in collaborazione con i consulenti politici americano e britannico.

IV. In questa cornice l’ Amministrazione civile verrà sostituita dalle Autorità italiane. Ciò implica la progressiva sostituzione del personale A.M.G. fino al livello dell’attuale direttore generale degli affari civili, con funzionari italiani. La nomina di questi ultimi dovrà essere confermata dal Comando militare alleato.

V. Mentre non vi è obiezione a mantenere inizialmente l’attuale struttura e nomenclatura dell’ Amministrazione, dovrà essere prevista una sostanziale riduzione della medesima allo scopo di semplificazione ed economia.

VI. Verrà tenuto un bilancio separato, come attualmente.

VII. Uniformità legislativa con l’Italia a mezzo delle stesse leggi e dei regolamenti italiani e delle istruzioni ministeriali italiane.

VIII. Uniformità giurisdizionale di fatto con l’Italia.

XI. Uso della bandiera italiana su pubblici edifici e navi.

X. Inclusione delle attuali Forze militari nelle Forze N.A.T.O. e a tutti gli effetti dell’art. 6 del North Atlantic Pact ed anche con lo scopo di una partecipazione di un contingente italiano.


484 1 Vedi D. 483.


484 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

485

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4154/354. Parigi, 6 aprile 1952, ore 16,59(perv. ore 17,30).

Suo 2721.

Per quanto riguarda formulazione preambolo ho già riferito con mio telegramma 3522.

Guadagnini mi aveva già dato visione telegramma 683 da Bonn.

Complicazione è data da fatto che elementi nuovi che rendono imperativo per noi rimandare firma si sono rivelati quando nostra delegazione era già qui e negoziati essendo stati praticamente finiti non è possibile mascherarsi decentemente dietro considerazioni tecniche e implicazioni politiche vengono in primo piano.

Dato questo mi sembra preferibile dare a rinvio firma carattere apertamente politico e proporrei due formule seguenti.

Come ha già comunicato Cavalletti nel corso ultime trattative C.E.D. ci siamo trovati di fronte formula concernente polizia già concordata direttamente tra Francia e Germania, sembra almeno, a Bonn e di cui appare che anche Benelux fosse stato preventivamente messo al corrente4.

Anche indipendentemente da questioni Sarre sarei stato d’avviso che sarebbe stato opportuno prendere posizione molto netta contro questa maniera di procedere: abbinando le due cose potremmo dire ai francesi:

«Noi non pretendiamo di essere introdotti nei negoziati concernenti regime, ma in quanto questi negoziati hanno riflessi su questioni concernenti esercito europeo noi siamo fermi nel mantenere che abbiano diritto di essere informati e consultati prima che accordo intervenga in modo da poter far valere nostri interessi. Non ammettiamo essere messi di fronte a fatto compiuto, ciò è già avvenuto per polveri e zone pericolose5; adesso si ripete per polizia.

Per tutto questo Francia è particolarmente impegnata con noi da accordi Santa Margherita6. Firmando protocollo con Sarre, che in sé ci interessa poco, noi facciamo piacere alla Francia: non lo facciamo fino a che Francia non abbia dato prova sicura che intende cambiare modo di procedere quindi intanto intendiamo ridiscutere fin dal principio questioni polizia».

Mi sembra sia un caso ben tipico per il quale abbiamo pieno diritto dichiararci offesi. Prima che si sia arrivati a definizione questione di principio e questioni polizia passerà certo quel tempo che V.E., ritiene necessario.

Altra alternativa in [considerazione] ultime reticenze Schuman per questione Trieste, conseguenza leggero equivoco conversazioni Zoppi ̶ Fouques Duparc di cui a mia lettera a Zoppi di ieri7, sarebbe quella di dire ai francesi che noi mettiamo in relazione nostro atteggiamento per Sarre a loro atteggiamento per Trieste.

Personalmente però preferirei mia prima proposta.

Francesi capiranno o no retroscena di questo nostro irrigidimento, ma apparentemente non possono trovare non fondate nostre posizioni, e comunque dopo questo possiamo sperare che terranno nella C.E.D. maggior conto nostri interessi cosa che in questi ultimi tempi essi hanno forte tendenza a dimenticare8.


485 1 Del 5 aprile, con il quale Zoppi aveva chiesto precisazioni circa le progettate convenzioni per la Saar.


485 2 Con tale telegramma, del 5 aprile, Quaroni aveva comunicato che la nuova formula introduttiva proposta dalla Francia prevedeva l’espressa menzione del Governo della Saar tra i firmatari mentre, nella formula della convenzione generale, era il presidente francese ad agire in nome della Saar.


485 3 T. segreto 3933/68 del 1°aprile con il quale Babuscio Rizzo aveva tra l’altro comunicato: «… La Cancelleria federale (e ritengo che anche Adenanuer sia stato consultato) è del parere che per evitare le reazioni di questa opinione pubblica vi siano due sole maniere. La prima è che l’accordo con la Saar venga firmato dalla Francia che ne detiene la rappresentanza internazionale, escludendo però la delega francese a Hoffmann. La seconda invece è quella di una dichiarazione da formulare per iscritto all’inizio delle negoziazioni, con la quale l’Italia dichiari che tali negoziazioni e la firma dell’accordo non costituiscono riconoscimento dello Stato della Saar o altra formula analoga …».


485 4 La formula francese, concordata con le altre delegazioni, era stata comunicata da Cavalletti con il T. 3651/313 del 27 marzo, ed era la seguente: «Forze Polizia ciascun paese devono rimanere adeguate loro missione. Commissariato è autorizzato esercitare controllo tale scopo ed indirizzare ai membri tutte raccomandazioni opportune». Cavalletti riferì inoltre di aver fatto presente ad Alphand di dover richiedere istruzioni in proposito non avendone avuta preventiva comunicazione.


485 5 Vedi D. 428.


485 6 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.


485 7 Non rinvenuto.


485 8 Per la risposta vedi D. 487.

486

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. s.n.d. 3301/76. Roma, 7 aprile 1952, ore 12.

Suo 631.

Nessuna comunicazione è stata qui fatta né a francesi né ad altri paesi, poiché ci proponevano appunto di seguire metodo descritto telegramma n.732 che essendo stato accettato da codesto Governo rimane dunque stabilito.

Tuttavia poiché anche da altra fonte risulterebbe che vaghe indiscrezioni siano state fatte Parigi in occasione ultima riunione O.E.C.E. mi propongo nei prossimi giorni accennare ad ambasciatore Francia che stiamo esaminando se e come sia possibile incamminarci verso zona libero scambio chiedendo mantenere segreto e riservandomi più precise comunicazioni dopo prossima riunione Commissione mista allorché inizieremo preparazione diplomatica approfondita.

Ad altre rappresentanze specie britannica e americana daremo generiche analoghe informazioni solo se richieste.

Mi sembra che codesto Governo potrebbe procedere stesso modo.

Per riunione confermasi 24 corrente.


486 1 Del 4 aprile, con il quale Cosmelli chiedeva quali informazioni fossero state date a Parigi in relazione all’avvio dei lavori della Commissione mista italo-austriaca sulla zona di libero scambio.


486 2 Del 3 aprile, con il quale De Gasperi aveva dato istruzioni di non far trapelare indiscrezioni sulle trattative in corso.

487

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. segreto urgente 3322/277. Roma, 7 aprile 1952, ore 22.

Concordasi con sua prima proposta suo 3541 circa abbinamento questione Saar con mancata consultazione su alcune questioni interessanti C.E.D. circa le quali mi riferisco precedente telegramma ministeriale 2632.

Nella questione specifica Convenzioni Saar non (dico non) ci sembra possibile rendere ancora più delicata nostra posizione dinanzi Bonn accettando la nuova formula introduttiva francese che menziona espressamente Governo saarrese tra firmatari (suo 352)3.

Non (dico non) sembra possibile andare oltre vecchia formula Accordo 26 ottobre 1951 che, per evitare reiterazione proteste tedesche, dovrebbe essere accompagnata nostra dichiarazione che firma non costituisce riconoscimento Stato Saar il che, d’altra parte, è preferibile evitare.


487 1 Vedi D. 485.


487 2 Del 1° aprile, non pubblicato.


487 3 Vedi D. 485, nota 2.

488

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto 3339/125. Roma, 8 aprile 1952, ore 16,30.

Suo 1651.

Andamento conversazioni, quale si viene delineando, sembra rivelare che da parte anglo-americana si stia perdendo di vista vero obiettivo conversazioni stesse che non (dico non) è quello dare ad italiani più o meno estese soddisfazioni di forma, ma quello creare condizioni che evitino ripetersi incomprensioni e incidenti nocivi ad amicizia fra tre paesi e di riflesso agli stessi loro rapporti di alleanza.

Lascio a lei richiamare su tale esigenza fondamentale attenzione Foreign Office nel momento che giudicherà più opportuno2.


488 1 Del 7 aprile, con il quale Brosio aveva segnalato la tendenza anglo-statunitense a minimizzare le riforme dell’organizzazione del G.M.A. per evitare reazioni jugoslave.


488 2 Ritrasmettendo questo telegramma a Washington (T. s.n.d. 3341/163, pari data) De Gasperi aggiunse: «Pregola svolgere sin da ora presso Dipartimento di Stato azione nello stesso senso giacché ove conversazioni in corso non dovessero giungere risultati positivi conseguenze ne sarebbero molto serie». Tarchiani assicurò (T. segreto 4260/246, pari data) di aver interessato al riguardo il Dipartimento di Stato. Per le risposte vedi rispettivamente i DD. 494 e 496.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 3362/127 (Londra) 165 (Washington). Roma, 8 aprile 1952, ore 23.

Nostra missione Trieste segnala che continua in Zona B persecuzione contro insegnanti italiani. Sotto minaccie varie vengono ad essi estorte dichiarazioni scritte contro italianità Zona e in approvazione operato Autorità titine. Trentasei insegnanti che si sono rifiutati firmare sono stati espulsi e sono giunti Trieste. Analoghe pressioni vengono esercitate su sacerdoti alcuni dei quali sono stati costretti telegrafare a cardinale Spellman per smentire persecuzioni cui chiesa cattolica e italiani sono soggetti in Zona B. Segnalo a tale ultimo riguardo dichiarazioni vescovo ausiliario New York pubblicate il 7 u.s. da stampa americana. Rappresentanti triestini da me ricevuti ieri hanno confermato terrorismo Zona B e deplorato che da parte occidentale vi si assista con indifferenza. In relazione anche contenuto nota da noi recentemente presentata a queste ambasciate franco-anglo-americana1, e di cui è stata data conoscenza a V.E. per opportuni passi costì, pregola attirare nuovamente attenzione codesto Governo su tale insostenibile situazione che turba opinione pubblica italiana in un momento particolarmente delicato quale quello attuale dopo recenti avvenimenti Trieste e mentre sono in corso conversazioni Londra2.


489 1 Del 17 marzo, di risposta alla nota jugoslava di pari data e relativa alle condizioni della Zona B. Vedi Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., p. 166.


489 2 Per le risposte vedi DD. 517 e 496.

490

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4221/369. Parigi, 8 aprile 1952, ore 14(perv. stessa ora).

Suo 2771.

Prego specificarmi se noi riteniamo che nostra dichiarazione che firma non (ripeto non) costituisce riconoscimento Stato Saar è necessaria anche adoperando vecchia formula Accordo 26 ottobre e 1° novembre 1951 che francesi accetterebbero.

Richiedo questo chiarimento perché, dopo aver avuto soddisfazione su questione polizia, accordo bisognerebbe pur firmarlo: in questo caso includere anche nostra specifica dichiarazione annullerebbe nostra impostazione che «firmando protocollo con Saar noi facciamo favore Francia».

In realtà firmando accordi summensionati nessuno di noi ha pensato loro significato politico. Se lo avessimo fatto allora questa nostra riserva non avrebbe avuto speciale significato: farlo adesso sarebbe certamente interpretato qui come cambiamento nostra politica.

Abbinamento questione Saar a polizia significa che se francesi ci danno soddisfazione su nostra richiesta noi dobbiamo dare soddisfazione a loro su loro richiesta. Altrimenti mancherebbe la base mia proposta2.


490 1 Vedi D. 487.


490 2 Zoppi rispose (T. segreto 3423/282 del 9 aprile): «Vecchia formula può essere accettata restando inteso che chiariamo a Bonn che, secondo noi, e secondo ogni evidenza, ciò non implica che riconoscimento di uno stato di fatto che anche i tedeschi riconoscono, mentre non significa nostra presa di posizione su di una questione tuttora aperta».

491

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 4246/363. Parigi, 8 aprile 1952, ore 22,10(perv. ore 23).

Mio 3081.

Il Governo britannico ha proposto il seguente testo di garanzia reciproca con C.E.D.: «Articolo 1: Se a qualsiasi momento – essendo la Gran Bretagna parte Trattato atlantico – uno dei membri della C.E.D. o le forze C.E.D. fossero oggetto di un attacco armato in Europa, in conformità dell’ art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, il Regno Unito fornirà a questo membro o alle forze C.E.D. tutto l’aiuto e l’assistenza militare od altra in suo potere.

Articolo 2: I membri della C.E.D., fino a che l’articolo precedente sarà in vigore, convengono che se il Regno Unito e le sue forze armate fossero oggetto di un attacco armato in Europa, essi e le forze C.E.D. gli apporteranno tutto l’aiuto e l’assistenza militare o altra in loro potere».

Il testo è stato oggi comunicato nel Comitato di direzione con preghiera di tenerlo segreto, per ora. Tutte le delegazioni hanno accettato la proposta inglese con viva soddisfazione, ringraziando il Governo della Gran Bretagna per la sua decisione. Anch’io ho sottolineato l’importanza del gesto britannico che fa bene augurare per la conclusione rapida dei lavori della Conferenza C.E.D.

È inutile che sottolinei a V.E. la portata del testo in questione che viene a sbloccare la situazione di stasi della Conferenza divenuta assai preoccupante, e che costituisce un utilissimo elemento anche politico per facilitare l’approvazione da parte del Parlamento del trattato della C.E.D.


491 1 Del 26 marzo, non pubblicato.

492

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI

L. segreta 329. Parigi, 8 aprile 1952.

Durante la visita qui dei nostri parlamentari, ho avuto una conversazione conEisenhower, che lui ha poi voluto riprendere, due giorni dopo, a tre, con Draper. È stata una conversazione puramente personale.

1) Abbiamo parlato, in primo luogo, della disoccupazione italiana: ho insistito sul fatto che ai fini della propaganda atlantica, è di primaria importanza dare la sensazione al piccolo italiano che egli può trovare nel quadro del Patto atlantico delle possibilità di vita e di lavoro che egli non avrebbe trovato altrove.

Ho suggerito in vista del problema delle «infrastrutture», che si sarebbe forse potuto creare una specie di «organizzazione Todt» atlantica, destinata a spostarsi qua e là secondo le deficienze di mano d’opera, e che questa organizzazione Todt avrebbe potuto arruolare per cominciare, mettiamo, cinquantamila lavoratori italiani. Gli ho spiegata la necessità che tutto questo avvenisse apertamente sotto etichetta atlantica: se, per esempio, la Francia, per lavori sul suo territorio avesse avuto bisogno di qualche migliaio di lavoratori italiani, questi sarebbero passati sotto la rubrica «immigrazione in Francia» e la propaganda atlantica non ne avrebbe avuto nessun beneficio: occorreva che la cosa fosse fatta apertamente come cosa atlantica.

L’idea è piaciuta molto sia ad Eisenhower che a Draper ed essi mi hanno detto che l’avrebbero messa subito allo studio, ahimè però con Lord Ismay.

2) Ho detto che da noi c’era la sensazione di essere lasciati un po’ in disparte. Non intendevo con questo sollevare la questione delle riunioni a tre. Mi riferivo al fatto, facilmente rimediabile, che gli americani ad alto livello si facevano troppo raramente vedere a Roma. Harriman ed altri venivano a Parigi, non per conferire con il Governo francese, ma perché la sede dei principali organismi era a Parigi: però, in occasione di questi viaggi, vedevano i francesi: lui, Eisenhower, per il fatto di risiedere a Parigi, aveva dei contatti continui con alte personalità francesi che non aveva con gli italiani. Era necessario che lui, Harriman e Draper facessero dei frequenti e non troppo frettolosi viaggi a Roma ed in Italia per prendere analogo contatto con gli alti livelli italiani per darci l’impressione che noi avevamo, non meno degli altri, la possibilità di sentire il punto di vista americano e di far sentire le nostre idee.

3) Per tutto quello che riguarda il Patto atlantico, fino ad ora egli, Eisenhower, aveva trattato prevalentemente se non esclusivamente, con i nostri ambienti militari. Ora per un complesso di ragioni i militari in Italia non avevano il peso e l’influenza politica che essi avevano in altri paesi, nella stessa Francia. Ciò era dovuto a molte ragioni: fra l’altro, gente come lui o Montgomery nel loro paese avevano il prestigio di avere vinta una guerra: i militari italiani, invece, erano agli occhi dell’opinione pubblica italiana la gente che aveva perduta la guerra. Da noi permaneva l’impressione che durante il fascismo si erano spesi una massa infinita di miliardi, per poi, al momento decisivo, accorgersi che l’esercito italiano esisteva soltanto sulla carta. In tutto questo certamente si aveva torto: era però uno stato d’animo che esisteva e di cui bisognava tener conto. In Italia, per tutto quello che concerneva l’esercito, chi decideva, erano i civili e non i militari: se lui voleva avere dei risultati era sul bottone civile che bisognava premere; il bottone civile era poi, nella fattispecie, il presidente del Consiglio. Far dire delle cose anche giustissime dai militari italiani serviva a poco: era meglio che le dicesse lui, direttamente, ai civili italiani.

4) La questione delle armi atomiche tattiche aveva fortemente scombussolati i cervelli da noi: ci si domandava quale sarebbe stata la loro ripercussione su tutto il problema degli armamenti. L’America, paese ricco, poteva spendere delle diecine di miliardi in strumenti convenzionali, e poi dichiarare che non servivano più a niente e farne dei rottami. Noi, per cui ogni miliardo era veramente un sacrificio non grave, ma gravissimo, non potevamo permetterci un lusso del genere. Bisognava quindi che gli americani tenessero conto di questa nostra speciale situazione e ci mostrassero di capirlo: Eisenhower si è subito preoccupato, pensando che io dicessi che noi volevamo avere i dettagli di queste armi atomiche. Lo ho rassicurato dicendogli che per i presidenti del Consiglio le armi atomiche erano delle cose che scoppiavano facendo gravissimi danni e uccidendo una quantità di persone: come erano fatte, non interessava loro affatto: quello che importava era di sapere quali incidenze queste nuove armi potevano avere sulla strategia generale: per esempio: giocavano esse in favore della difensiva o della offensiva? Quali incidenze avrebbero potuto avere sulla struttura delle forze armate? Gli americani avrebbero dovuto spiegarci: «questo continuate pure a farlo tranquillamente tanto non verrà mai in discussione: questo è meglio che lo rallentiate fino a che non siamo sicuri».

Eisenhower mi ha detto che a questo riguardo le idee stesse degli americani non erano ancora fissate: ma che comprendeva il mio punto di vista e ne avrebbe tenuto conto specialmente nello studio delle questioni italiane.

Essendo poi venuti a parlare della questione più generale del Patto atlantico, gli ho detto che, a mio avviso, e con mio dispiacere vedevo allargarsi un malinteso che, se non si provvedeva a tempo, avrebbe potuto finire per avere delle conseguenze serie.

L’organizzazione N.A.T.O. si trovava di fronte ad una serie di problemi economici, industriali, militari, seri e difficili senza dubbio, ma per i quali sul piano pratico una soluzione si sarebbe potuta trovare. Ma non si era mai abbordato sul serio il problema della politica, sia immediata che a lungo termine, della Comunità atlantica. Se c’erano dei difetti, delle lacune gravi nella propaganda atlantica, ciò era soprattutto, perché era difficile fare della propaganda per qualche cosa così poco determinata. Dire che ci si voleva difendere contro il comunismo era un concetto solo negativo e che non bastava tanto meno in un momento in cui la sensazione del pericolo era meno imminente che qualche tempo addietro.

Ad una riunione del Patto atlantico i problemi di politica generale erano all’ordine del giorno: ma le conversazioni di fatto, sia che esse fossero a tre dodici od a quattordici, erano di una vuotezza e di una inconcludenza da fare spavento.

Ora nella mente degli uomini politici e soprattutto della opinione pubblica dei nostri paesi, prendeva sempre più forma questa domanda: dove ci porta l’America? Avevamo da parte americana delle dichiarazioni contraddittorie: c’erano delle tendenze nella opinione pubblica americana che non potevano non fare paura. Francia e Italia, tanto per non menzionargli che due paesi, fino a qualche anno addietro erano abituate ad essere padrone dei loro destini: soprattutto ad avere la decisione pace o guerra nelle loro mani: adesso avevano la sensazione che questa decisione era nelle mani americane senza che noi avessimo la possibilità di concorrere in questa decisione.

Per essere più preciso: qualche cosa poteva accadere in Asia da un momento all’altro in vari settori: se questo qualche cosa non portava che ad una reazione americana locale, ad una nuova Corea, poco male: ma in America si parlava troppo, in certi casi, di azioni contro la Cina e magari contro la Russia: ora questo avrebbe potuto déclencher una reazione russa sull’ Europa: era necessario che i principali paesi continentali si sentissero sicuri che una decisione di questo genere non sarebbe stata presa dagli americani se non in pieno accordo con loro, e non prima che il build up delle forze europee avessse messo fuori di questione il colpo di mano sull’Europa.

Tutto questo mi preoccupava molto più che le difficoltà tecniche contro le quali si urta il N.A.T.O. anche perché mi sembrava che da parte americana nessuno se ne preoccupasse seriamente: e tutta la politica atlantica minacciava di naufragare appunto su questo crescente equivoco le cui conseguenze potevano allargare questa insofferenza reciproca che si faceva sentire dalle due parti in manifestazioni parlamentari.

Come lei sa, perché ne abbiamo parlato a voce, quest’ultima è effettivamente una mia grossa preoccupazione: non creda che pensi che, avendo parlato di questo ad Eisenhower, mi immagini che la questione sia stata avviata sulla via della soluzione: egli mi ha mostrato di capire sì il mio punto di vista, ma mi ha detto, francamente, che non ci aveva mai pensato, il che non è incoraggiante. La difficoltà principale di una spiegazione di questo genere è data dal fatto che gli americani sono i primi a non avere una idea effettiva di dove vanno: è una spiegazione che, nella migliore delle ipotesi, si potrà iniziare sul serio solo fra parecchi mesi: ma intanto, perché ci si possa arrivare, bisognerebbe che a tutti i livelli ci si sforzasse di far capire agli americani che questo problema esiste ed è grave: a forza di sentirselo dire, come è accaduto in altri casi, finirebbero per cominciare a pensarci.

493

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 3380/167. Roma, 9 aprile 1952, ore 17,10.

Questo ambasciatore d’Egitto mi ha portato messaggio Hilali Pascià chiedendo nostro intervento Londra e Washington per rappresentare sue preoccupazioni per lentezza e incertezza con cui procedono conversazioni anglo-egiziane. Impressione che se ne ha al Cairo è che inglesi trascinino deliberatamente inizio negoziati con intenzione non (dico non) farne nulla. Situazione interna egiziana, anche in vista prossime elezioni, potrebbe quindi nuovamente aggravarsi, anche esponendo Corona, se insuccesso attuali governanti dovesse favorire propaganda Wafd e dare al paese impressione che estromissione nazionalisti dal Governo e disposizioni favorevoli ad accordo con Inghilterra non (dico non) sono valsi a favorire soddisfacente soluzione. Ne ho informato Londra1 e prego V.E. informare di quanto precede anche Dipartimento di Stato2.


493 1 T. 3377/129 del 9 aprile, non pubblicato.


493 2 Con T. 4399/258 dell’11 aprile Tarchiani rispondeva informando che analogo passo era stato fatto dall’ambasciatore egiziano a Washington, e che il Dipartimento di Stato riteneva problematico uno sviluppo favorevole delle trattative anglo-egiziane.

494

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 4299/170. Londra, 9 aprile 1952, ore 23,15(perv. stessa ora).

Telegramma di V.E. 1251.

Le preoccupazioni esposte da V.E. sono state a noi presenti sin dall’inizio delle trattative.

Queste sono state aperte con una mia esplicita impostazione politica nella quale cercavo preventivamente di evitare che Alleati dimenticassero spirito e scopo della prima fase delle nostre conversazioni. Tali concetti sono stati continuamente ribaditi durante riunioni successive; ma poiché fino a ieri Alleati sembravano intransigenti su una ristretta visione situazione e dominati dal timore reazioni juvoslave mi proponevo appunto un ulteriore imminente intervento in sede opportuna. Oggi come appare da mio telegramma 1692 è alquanto migliorata. Aggiungo che Dixon stasera dopo colloquio con Eden ha voluto vedere Casardi per fargli capire che in sostanza sulle linee accennate nel telegramma suddetto inglesi sarebbero disposti marciare. Tuttavia egli ha soggiunto che americani resisterebbero non per ostilità preconcetta ma per loro concezione più rigida funzioni e poteri Comando militare. A questo riguardo ritengo urgente azione di chiarimento e di convinzione a Washington dove richiesta di istruzioni dovrebbe giungere domani.

Situazione dunque per quanto migliorata è ancora delicata perché anche supponendo adesione americana rimarranno da discutere molti aspetti anche sostanziali delle nostre proposte e una quantità di dettagli importanti. Quindi malgrado sospensione sedute nostra azione continua e non mancherò sottolineare in ogni conveniente momento ed in ogni sede opportuna gli aspetti e scopi politici delle trattative in corso e delle nostre proposte in conformità alle intese di massima intervenute con Eden.

Dixon del resto ha voluto sottolineare oggi che l’avvicinamento inglese al nostro punto di vista era determinato essenzialmente dal desiderio di favorire lo sviluppo dei buoni rapporti italo-britannici.

Domani Casardi verrà a Roma e riferirà più dettagliatamente.


494 1 Vedi D. 488.


494 2 Pari data, con il quale Brosio aveva comunicato: « … Delegazioni alleate hanno dichiarato che nostre proposte relative all’amministrazione oltrepassavano talmente loro intendimenti originari che dovevano chiedere istruzioni rispettivi Governi. In ogni modo hanno accettato presentare seguente schema: 1) Ordine pubblico alle dirette dipendenze comandante militare secondo modalità da determinare e con eventuale aumento quadri italiani. 2) Il resto dell’amministrazione compreso direttore generale in mani italiane sotto controllo del comandante militare e con gli organi di collegamento sopracitati. Hanno fatto qualche riserva per consigliere politico italiano e per alcuni uffici minori cui compiti hanno riflessi internazionali a carattere militare. Circa altri punti hanno chiaramente respinti quelli relativi uso bandiera e inclusione forze armate in S.H.A.P.E. Da parte nostra abbiamo riaffermato integralmente nostre posizioni … ».

495

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 337/247. Parigi, 9 aprile 1952(perv. il 14).

Qui si dice che il generale Eisenhower avrebbe scritto qualche giorno fa ad Acheson chiedendogli un intervento presso il ministro Schuman, affinché venisse fissata una data limite alla firma degli accordi tra Germania ed Alleati. La richiesta potrebbe essere appoggiata da qualche vaga minaccia sulla riduzione dei crediti militari. Eisenhower vorrebbe che tutto questo venisse firmato, insieme alle basi per l’esercito europeo, prima del suo ritorno in America. Questo egli avrebbe detto anche al senatore Cabot Lodge, che è il suo grande sostenitore elettorale e che è stato qui a lungo.

D’altra parte il comunicato ufficiale recente, sui progressi nelle trattative tra il Governo tedesco e gli Alti Commissari parla in sostanza di cammino percorso nelle questioni di dettaglio, ma le questioni principali (finanze, ecc.) non hanno fatto grandi passi. Ad ogni fase del negoziato, i tedeschi fanno sentire che vogliono l’uguaglianza di diritti e la piena sovranità prima di una qualsiasi firma per l’esercito europeo. Gli Alleati esigerebbero ora la firma simultanea, ma questo non basta a convincere l’altra parte. In fatto di esercito europeo, tutte le assicurazioni inglesi di «garanzie» sono qui accolte con interesse, ma non si manca di notare che l’Inghilterra si astiene scrupolosamente da qualsiasi apparenza di garanzia automatica: qui infatti si mette, con una certa sottigliezza, in opposizione la «garanzia automatica» alla «garanzia atlantica». E intanto questa Commissione degli affari esteri, com’è noto, con ben 27 voti contro 12, ha richiesto un nuovo dibattito sull’insieme della politica francese in materia.

Si osservava qui, prima che la nuova nota sovietica fosse stata consegnata1, cioè fino a ieri, che ci dovrebbe essere una corsa di velocità tra la nota sovietica in preparazione ed i negoziati di Bonn. Questa politica del fatto compiuto di fronte ai russi è caduta con la notizia odierna della nota consegnata da Vyshinsky. Comunque, si riconosce che gli americani fanno il possibile per affrettare agli accordi con Adenauer sui punti in sospeso, che purtroppo sarebbero ancora 80. I Tre sembrano ora decisi ad accelerare flessioni e concessioni. Pressioni sarebbero state fatte sui capi laburisti e socialisti che, in data 20, avrebbero dovuto riunirsi per un nuovo voto contro il riarmo tedesco, Sarebbe stato chiesto loro che la cosa venisse ritardata almeno al 27 per dare una settimana di più ai negoziati con i tedeschi.

McCloy ha dichiarato (la notizia proverrebbe dagli ambienti francesi dell’Alto Commissariato) che si dovrebbe e si potrebbe concludere per Pasqua con gli «accordi tecnici», mentre gli accordi finanziari potrebbero essere firmati a fine aprile e le questioni militari nei primi giorni di maggio. McCloy parte il 14 aprile per gli Stati Uniti, e vorrebbe poter dire in America che l’integrazione della Germania occidentale è a buon punto.


495 1 Del 9 aprile, edita in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 16, p. 412. Per le informazioni da Mosca su questa nota, vedi D. 501.

496

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4346/252. Washington, 10 aprile 1952, ore 12,50(perv. ore 22).

Suoi 1651 e 1692.

Ho intrattenuto a lungo Perkins, tanto su situazione Zona B quanto su conversazioni Londra per Zona A.

Su primo punto Perkins ha informazioni secondo cui insegnanti rifugiatisi Zona A hanno lasciato Zona B perché non disposti rinunciare sussidi in denaro corrisposti loro da Associazioni patriottiche triestine e vietati da Autorità jugoslave3. Ha convenuto che larga parte azione jugoslava Zona B è illegittima e persecutoria, ma non vede come costringere Tito a cambiare sistema se non con azione lenta e con graduale pressione dei fatti (a tal fine riterrebbe utile raggiungimento accordo per Zona A il quale, realizzato senza concorso Jugoslavia e senza pregiudizio nostre aspirazioni Zona B, costituirebbe lezione per Belgrado). Tuttavia ha promesso consultarsi con Londra.

Su conversazioni per Zona A Perkins aveva scarse informazioni da Londra ma si mostrava fiducioso. Gli ho nuovamente illustrato nostra impostazione richiamando seriamente sua attenzione su necessità abbandonare solite preoccupazioni di equilibrio e necessità adottare decisioni conformi spirito e lettera Dichiarazione tripartita.


496 1 Vedi D. 489.


496 2 Del 9 aprile, non pubblicato.


496 3 Per la risposta su questo punto vedi D. 498.

497

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 1991/1060. Londra, 10 aprile 1952(perv. il 14).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 22/783 del 20 marzo u.s.1.

Il Foreign Office appare ormai convinto che le note preoccupazioni del Parlamento francese sulla necessità di una garanzia anglo-americana alla Comunità Europea di Difesa, preoccupazioni di cui Schuman si era fatto eco con Acheson e con Eden sia nelle loro conversazioni londinesi dello scorso febbraio che negli incontri immediatamente successivi avuti a Lisbona, dovrebbero essere superate alla luce di quanto i Governi di Londra e di Washington sono disposti a fare al riguardo.

È noto a codesto Ministero il duplice aspetto che le garanzie desiderate dovrebbero presentare. Da un lato si tratta di assicurare agli Stati continentali membri dell’Unione Occidentale (Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) – dal momento in cui essi legano le proprie forze armate a quelle dell’Italia e della Germania occidentale – il medesimo impegno di immediato e automatico intervento inglese, in caso di attacco armato contro un membro della C.E.D., di cui essi beneficiavano in base al Trattato di Bruxelles per il caso di un attacco contro un membro dell’Unione. Dall’altro lato la Francia vuole una garanzia anglo-americana contro la eventuale secessione dalla C.E.D. di un membro della Comunità stessa.

Il primo obbiettivo appare ormai raggiunto, con l’assicurazione dell’Inghilterra (comunicata, credo, avant’ieri alla Conferenza di Parigi) di essere disposta a concludere un accordo con la C.E.D. in base al quale un attacco armato contro una delle due parti contraenti comporterà l’immediato intervento dell’altra parte. È vero che, secondo le proposte britanniche, la validità di tale accordo è legata alla permanenza in vigore del Patto atlantico, mentre la C.E.D. dovrà avere un carattere permanente. Ma mi domando se il carattere temporaneo della garanzia possa giustificare serie obbiezioni da parte francese, dato che – da un punto di vista pratico – non si potrebbe in ogni caso attribuire un gran valore, fra oltre vent’anni, a delle garanzie militari concesse oggi.

La seconda garanzia appare di carattere assai più delicato anche perché la si richiede agli Stati Uniti la cui latitudine costituzionale in materia di impegni che possano coinvolgere il paese in guerra è assai inferiore a quella di cui dispone il Governo britannico. Il capo del competente Dipartimento del Foreign Office osservava ieri che, almeno per ora, esiste già – in pratica – una duplice garanzia a questo effetto; vi è cioè la situazione politica generale, e soprattutto la posizione politico-militare degli Stati Uniti i quali fra l’altro mantengono insieme alla Gran Bretagna considerevoli contingenti armati in Germania. Ed inoltre vi è la formula, concordata nelle riunioni quadripartite londinesi dello scorso febbraio (mio rapporto n. 989/551 del 22 febbraio)1 e adottata dal Consiglio atlantico a Lisbona, secondo la quale ogni paese membro del N.A.T.O. e della C.E.D. qualora consideri in pericolo la propria indipendenza o l’integrità di una delle due Organizzazioni, potrà chiedere una riunione congiunta dei Consigli di entrambe.

La concessione, oltre a ciò, di una vera e propria garanzia formale da parteanglo-americana sembra ormai esclusa, non solo per la natura stessa della situazione che America e Inghilterra sarebbero chiamate a garantire e per le difficoltà americane di carattere costituzionale, ma anche perché tutti sono d’accordo che non sarebbe opportuno di menzionare soltanto la possibilità della secessione tedesca che pur rappresenta proprio il solo fatto temuto. E d’altra parte, osservava il funzionario britannico, con una formulazione generale una minaccia di azione di forza contro l’eventuale ribelle mal si attaglierebbe, ad esempio, al caso in cui non fosse la Germania bensì uno dei membri minori (i Paesi Bassi, ad esempio) a voler uscire dalla Comunità.

Tuttavia, sia a Londra che a Washington si è compreso che occorre fare qualcosa per venire incontro, almeno dal punto di vista psicologico, alle esigenze francesi. A tale effetto, ha aggiunto il funzionario, è stato concordato fra i Governi americano, britannico e francese che l’interesse delle potenze anglo-sassoni all’integrità della C.E.D. verrà manifestato nel contesto di una solenne dichiarazione che Stati Uniti, Regno Unito e Francia emaneranno – nella loro qualità di potenze occupanti – all’atto della conclusione degli accordi per il regime contrattuale con la Germania, accordi che verranno firmati insieme a quello per la Comunità Europea di Difesa. Tale dichiarazione verterà su numerosi argomenti connessi con il mutamento di posizione del Governo tedesco in conseguenza degli accordi di cui sopra. La formula precisa relativa all’integrità della C.E.D. forma ancora oggetto di esame fra Parigi, Londra e Washington.


497 1 Non pubblicato.

498

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, SILJ,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3479/173. Roma, 11 aprile 1952, ore 18,30.

In relazione a quanto comunicato da codesta ambasciata con telegramma 2521, si prega V.E. di voler chiarire con il Dipartimento di Stato che insegnanti italiani della Zona B, dopo essere stati sottoposti ad arresti ed interrogatori estenuanti da parte polizia jugoslava che pretendeva da essi confessioni pretesi reati spionaggio, hanno dovuto abbandonare Zona B avendo rifiutato sottoscrivere dichiarazione secondo la quale essi approvavano processo contro propri colleghi condannati da Tribunale militare Capodistria il 29 marzo u.s. e riconoscevano avere svolto opera nefanda nei riguardi scuola italiana della Zona.

Per quanto concerne questione sussidi, si prega V.E. di voler fare bene presente che insegnanti italiani della Zona B sono per la massima parte dipendenti dello Stato italiano destinati a prestare servizio nella Zona e che Governo jugoslavo è perfettamente al corrente di tale loro posizione amministrativa. I pretesi sussidi pertanto costituiscono solamente differenza tra stipendio percepito in Zona B e quello che essi percepirebbero normalmente in Italia.


498 1 Vedi D. 496.

499

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICAA TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4379/48. Tokyo, 11 aprile 1952, ore 1,05 (perv. ore 19,45).

Mia lettera 937 del 1° corrente1.

Ministro degli affari esteri mi ha informato che invierà istruzioni telegrafiche sua agenzia a Roma di comunicare:

1) Richiesta Governo giapponese riconoscimento elevazione ad ambasciata sua agenzia a Roma al momento di entrata in vigore trattato di pace.

2) Nomina attuale capo agenzia quale incaricato di affari.

3) Assicurazione che Governo giapponese nominerà un suo ambasciatore quanto prima nel quadro riorganizzazione servizio diplomatico giapponese.

Analoghi passi sono in corso presso le principali capitali e risulterebbe che solo Gran Bretagna intenderebbe fare mantenere alla agenzia giapponese a Londra stato di rappresentanza diplomatica fino alla nomina ambasciatore.

Francia e Paesi Bassi, Belgio ecc. ecc. aderirebbero invece richiesta giapponese.

In relazione agli affidamenti anche qui ottenuti mi sembra si potrebbe pienamente accettare proposta sistemazione che mi risulta essere qui considerata la più adeguata nei limiti tempo necessario per esigenze riorganizzazione servizio giapponese.

Sarei grato V.E. anche per mia norma di linguaggio conoscere decisione dell’E.V.2.


499 1 Non pubblicato.


499 2 Con il T. segreto 3560/26 del 14 aprile Scammacca comunicò: «Questo rappresentante giapponese ha compiuto passo nel senso preannunciato da V.S. Gli è stato risposto che accogliamo volentieri richieste suo Governo. V.S. può darne conferma al Gaimusho. Ad ogni buon fine informo che le lettere credenziali V.S. sono state già spedite via aerea con data in bianco».

500

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3547/177. Roma, 12 aprile 1952, ore 15,30.

Incaricato affari U.S.A., è stato ieri messo confidenzialmente al corrente dello svolgimento conversazioni Londra nonché dello schema soluzione che delegati britannico e americano hanno convenuto sottoporre rispettivi Governi (telegramma 171)1.

È stato detto a Thompson che Governo italiano intendeva dare istruzioni propria delegazione accettare predetta soluzione compromesso, purchè evidentemente rimanesse integra nelle sue varie parti e venissero favorevolmente risolti seguenti due punti: accoglimento principio aggiunta consulente politico italiano; larga sostituzione attuale personale alleato nella organizzazione polizia con personale italiano (possibilmente) sino al grado capo polizia.

La prego far sapere costà che Governo italiano vivamente confida che nella imminente ripresa lavori Londra venga consolidato accordo di massima già delineatosi, ansiosamente atteso da opinione pubblica italiana e di cui sono ovvi significato e importanza nel quadro collaborazione atlantica. Poiché risulta che Governo britannico è senz’altro favorevole, sarebbe motivo profondo disappunto se esso dovesse venir meno a causa atteggiamento statunitense2.


500 1 Del 10 aprile, ritrasmetteva a Washington il T. segreto 4294/169 da Londra per il quale vedi D. 494, nota 2.


500 2 Vedi D. 525.

501

L’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 955/480. Mosca, 13 aprile 1952(perv. il 24).

Riferimento: Telegramma n. 97 del 12 aprile 19521.

1) Con la nota del 9 aprile (qui allegata)2 relativa al problema germanico il Governo sovietico affronta in pieno il problema passato sotto silenzio nella precedente nota del 10 marzo3 (sollevato con grande scalpore della stampa occidentale): il problema cioè delle libere elezioni che dovrebbero precedere la costituzione di un Governo unico germanico con il quale si dovrebbero discutere le questioni inerenti al trattato di pace. Come si ricorderà le tre potenze avevano suggerito che fosse affidato ad una Commissione dell’ O.N.U. il compito di accertare se vi fossero in Germania le condizioni necessarie per le elezioni.

La nota sovietica riconosce la necessità di libere elezioni ma oppone l’incompetenza della Commissione dell’O.N.U. in base all’art.107 dello Statuto delle Nazioni Unite che esclude l’interferenza dell’O.N.U. nelle questioni concernenti i paesi ex-nemici. Suggerisce viceversa che le stesse funzioni siano devolute ad una commissione costituita dalle «quattro potenze esercitanti funzioni di occupazione in Germania». La mossa sovietica è indubbiamente abile; accetta in pieno la tesi avversaria sulla necessità di libere elezioni, ammette che tali elezioni debbono essere controllate internazionalmente e indica quale dovrebbe essere il mezzo idoneo, conclude insistendo perché le quattro potenze «adottino urgenti misure per l’unificazione della Germania e la formazione di un Governo unico» e «discutano senza indugio la questione di indire elezioni generali libere». In sostanza l’ U.R.S.S. intende investire le quattro potenze esercitanti funzioni di controllo in Germania del problema tedesco nel suo insieme; intende promuovere l’inizio cioè di una conferenza a quattro allo scopo di intavolare trattative aventi lo scopo principale di ostacolare il riarmo e l’integrazione germanica; ottenuto questo scopo, nutre forse la speranza che la situazione rimanga sostanzialmente inalterata.

A questa manovra le tre potenze, nella loro nota del 25 marzo4, avevano già cercato di ovviare segnalando che nessuna discussione è possibile «... fino a quando non siano state create le condizioni per libere elezioni ...».

Ma è difficile pensare come le potenze occidentali si potranno ancora sottrarre ad una discussione del problema tedesco dal momento in cui la principale condizione dalla quale hanno fatto dipendere l’unificazione della Germania (le libere elezioni) è stata pienamente accolta dai sovietici sia pure con l’eccezione della Commissione dell’O.N.U. Sarebbe comunque poco abile da parte loro opporre un nuovo fin de non recevoir che, tra altro, urterebbe l’opinione pubblica tedesca.

2) Gli altri punti sollevati dalla nota sovietica non costituiscono che la ripetizione di posizioni già conosciute. Essa ribadisce in concetto che la Germania si debba impegnare «a non entrare in alcuna coalizione o alleanza militare ...». Ciò contrasta con il punto di vista espresso dalle tre potenze secondo le quali il Governo tedesco dovrebbe essere libero di entrare in «associazioni compatibili con i principi e le finalità delle Nazioni Unite».

Riafferma che il problema delle frontiere è stato regolato in modo definitivo dalla Conferenza di Potsdam.

Insiste sul punto di vista che «la Germania sia autorizzata di possedere forze armate nazionali, necessarie per la difesa del paese». E qui la nota usa argomenti polemici riferendosi a quanto ammesso dalla stessa Unione Sovietica relativamente a forze armate difensive giapponesi ed alla considerazione che sarebbe preferibile per la causa della pace e per la nazione germanica «la costituzione di forze difensive tedesche piuttosto che la costituzione di forze revanchiste mercenarie nella Germania occidentale dirette da generali hitlero-fascisti ...».

Questo è l’unico accento polemico. La nota è redatta in termini molto conciliativi. Si astiene perfino dal ribattere con argomenti polemici la discutibile pretesa delle tre potenze che una Germania unita si integri nella Comunità difensiva europea. Ciò che dimostra la netta intenzione dell’U.R.S.S. di apparire desiderosa di promuovere una distensione ed invogliare quindi le tre potenze ad addivenire ad una Conferenza a quattro.

3) Inutile insistere sul carattere dilazionario della nota sovietica nei riguardi di riarmo e della integrazione della Germania. Giova viceversa esaminare verso quali ambienti essa è specialmente diretta. Si ricorderà che inizialmente il problema tedesco era posto dai sovietici nei termini di unità, neutralizzazione e demilitarizzazione e, sotto questo aspetto, era tale da attirare le simpatie della opinione pubblica francese.

Per la prima volta, con la nota del 10 marzo, il problema è stato posto nei nuovi termini di unità, sovranità e riarmo «difensivo», tali da fare leva soprattutto sulla opinione pubblica tedesca. E forse il cambiamento della tattica sovietica è dipeso dalla considerazione che una opposizione anche decisa della Francia al riarmo germanico non potrebbe impedire che esso venga egualmente realizzato dagli americani a dispetto dei francesi, anche al di fuori della Unione Europea. Viceversa l’eventuale prevalenza in Germania delle forze contrarie alla politica di Adenauer significherebbe un colpo definitivo e mortale a tutti i piani di riarmo e di integrazione nutriti dagli occidentali. Perciò la nota appare specialmente diretta a lusingare i tedeschi. Se ne ha conferma nel suggerimento che il trattato di pace sia redatto con la partecipazione della Germania, nella proposta che la Germania sia autorizzata ad avere le sue forze armate nazionali, nella proposta di amnistia agli ex nazisti (questione questa che non è stata però toccata nella recente nota).

Per rassicurare la Francia la stampa si sforza ad insistere sulla tesi che un trattato di pace redatto secondo lo schema sovietico impedirà il risorgere di qualsiasi spirito militarista o aggressivo in Germania; la stessa nota sovietica del 9 aprile ripete che le forze armate tedesche dovranno essere «difensive», ma non viene spiegato come questa limitazione possa essere assicurata. Forse attraverso il controllo delle quattro potenze. Ma per ora nulla di esplicito è stato detto in proposito, pur non potendosi escludere che nel corso di ulteriori trattative i sovietici possano ammettere determinate e concrete limitazioni in materia.

Intanto è interessante notare che il Consiglio mondiale della pace (nella risoluzione finale di Oslo) continua ad insistere sul vecchio trinomio: unificazione, neutralizzazione e demilitarizzazione della Germania, lasciando così aperta all’U.R.S.S. la via di qualsiasi ripiegamento.

4) Un altro problema che solleva un indiscusso interesse è quello di sapere se il tono conciliativo della nota relativa al problema germanico confermi la ipotesi di una nuova «offensiva di pace» diretta a promuovere contatti ad altissimo livello per risolvere i problemi che dividono l’Oriente dall’Occidente.

Questa intenzione sarebbe confermata dalle recenti dichiarazioni di Stalin a un gruppo di giornalisti americani (telegramma n. 82 del 2 aprile u.s.)1, dalle dichiarazioni fatte all’ambasciatore indiano (telegramma n. 88 del 7 aprile)1, nonché dalla Conferenza economica internazionale di Mosca che indubbiamente ha lo scopo di promuovere una distensione sul piano economico tra i due blocchi.

Per contro una sensazione opposta si ha considerando l’acredine delle accuse rivolte agli U.S.A. sull’uso di armi batteriologiche, l’intransigenza sovietica in materia di disarmo e la discutibile intenzione – che si rivela nella stampa sovietica e nei comunicati cinesi – di transigere sul problema coreano, quantunque corrano voci, specie nella stampa occidentale, di un favorevole avviamento delle conversazioni di Pan-mun-jom.

Certamente i sovietici vogliono un incontro dei Grandi, per risolvere nel loro insieme e non separatamente, i problemi in contrasto, lungo le linee da essi tracciate. Ma non si ha alcuna sensazione che essi siano disposti ad ammettere sostanziali concessioni. Comunque il problema germanico potrà forse dare l’occasione alle quattro grandi potenze di incontrarsi ed eventualmente estendere il raggio delle loro discussioni.

5) Le reazioni suscitate in questi ambienti dalla nota sovietica sono costituite da un generale riconoscimento della abilità con la quale i sovietici trattano il problema germanico.

Gli americani vorrebbero opporre nuove difficoltà ed impedire che si addivenga ad una Conferenza a quattro, ma riconoscono appieno i pericoli di un atteggiamento troppo intransigente. I francesi considerano che l’unica questione che li divide dal punto di vista sovietico sono i suggerimenti sulla ricostituzione dell’esercito (sia pure difensivo) germanico. Gli inglesi considerano che i necessari piani di difesa non debbono essere fini a sé stessi, né debbono fare perdere la visione di una Europa dalla quale la Germania, nella sua totalità, non può essere esclusa. Considerano d’altra parte che una Germania demilitarizzata – con forti truppe alleate ai confini occidentali e truppe sovietiche ai confini orientali – costituirebbe un pericolo altrettanto grave quanto una Germania divisa ed armata dai due blocchi nelle rispettive zone di influenza5.


501 1 Non pubblicato.


501 2 Vedi D. 495, nota 1.


501 3 Vedi D. 424, nota 2.


501 4 Vedi DD. 456 e 462.


501 5 La risposta anglo-franco-statunitense, del 13 maggio, alla nota sovietica del 9 aprile è edita in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 21, pp. 518-519. Con T. 5908/98 del 15 maggio, Babuscio Rizzo segnalava le favorevoli reazioni del Governo federale alla risposta occidentale.

502

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A BONN, BABUSCIO RIZZO, A LONDRA, BROSIO,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3579/c.1. Roma, 15 aprile 1952, ore 17.

Per opportuna conoscenza E.V. (S.V.) comunicasi che Governo britannico ha proposto alla C.E.D. seguente garanzia reciproca:

«Articolo 1) Se a qualsiasi momento – essendo la Gran Bretagna parte Trattato atlantico – uno dei membri della C.E.D. o le forze C.E.D. fossero oggetto di un attacco armato in Europa, in conformità dell’art.51 della Carta delle Nazioni Unite, il Regno Unito fornirà a questo membro o alle forze C.E.D. tutto l’aiuto e l’assistenza militare od altra in suo potere;

Articolo 2) I membri della C.E.D., fino a che l’articolo precedente sarà in vigore, convengono che se il Regno Unito o le sue forze armate fossero oggetto di un attacco armato in Europa, essi e le forze C.E.D. gli apporteranno tutto l’aiuto e l’assistenza militare o altra in loro potere».

Proposta inglese, che costituisce gesto particolare importanza per acceleramento lavori Conferenza Parigi e per facilitare approvazione trattato C.E.D. da parte singoli Parlamenti, è stata accettata da tutte delegazioni, compreso italiana, con soddisfazione.

Relativo comunicato stampa per concorde decisione non verrà diramato prima ore 1,30 antimeridiane, ora di Roma di mercoledì 16.

(Solo per Londra) Pregasi comunicare quanto sopra Rossi Longhi.


502 1 Diretto anche alle rappresentanze a Bad Godesberg, Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo.

503

L’INCARICATO D’AFFARI A MOSCA, FIGAROLO DI GROPELLO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4516-4531/101-102. Mosca, 15 aprile 1952, ore 23,25(perv. ore 15,45 del 16).

Terminata la Conferenza economica e le consultazioni con gli ambasciatori delle potenze occidentali, è opportuno dare uno sguardo ai risultati e agli sviluppi delle future iniziative.

1) La Conferenza è stata di dubbio successo poiché ha perso il suo carattere iniziale di convegno internazionale a sfondo propagandistico, come per altre conferenze del genere, per assumere quello di un libero incontro di operatori desiderosi di concludere affari. Questo carattere di mercato, ha conferito una concreta importanza alla Conferenza in considerazione dei possibili futuri sviluppi. Le transazioni con la Cina, di massima parte preliminare vengono valutate sui 30 milioni di sterline; probabilmente con i sovietici la somma deve essere minore.

2) Tutti i partecipanti sono stati lusingati delle accoglienze ricevute, del soddisfacente metodo sbrigativo per concludere gli affari – poco o molto tutte le delegazioni hanno concluso qualche mercato – e ciò ha contribuito a creare un’atmosfera di euforia anche se molti contratti sono preliminari soltanto, con clausole in bianco anche essenziali, e conseguenti possibilità future. Poiché si è diffuso il convincimento sulla utilità di agire successivamente, è stato costituito un Comitato permanente incaricato di convocare in luogo stabilito una nuova Conferenza. Fra le decisioni adottate vi è quella di prelevare dei contributi volontari per far fronte alle spese del Comitato permanente, dalle ditte e dalle organizzazioni interessate allo sviluppo degli scambi. Vari delegati nutrono il proposito di costituire un Comitato nazionale nei rispettivi paesi intorno ai membri del Comitato permanente: per l’Italia vi sarebbe Steve e alcuni industriali da destinarsi.

3) Il proposito di evitare un accento polemico e politico è stato scrupolosamente rispettato, salvo le recriminazioni contro le discriminazioni del commercio internazionale. Diversi oratori, specialmente coreani e cinesi, sono stati dissuasi dall’intenzione di impostare il problema economico su una base politica di propaganda anti-occidentale. I sovietici stessi sono stati promotori di una risoluzione di investire l’ O.N.U. per una convocazione di una Conferenza internazionale economica a livello governativo dimostrando il proposito di evitare che appaia come controaltare O.N.U. e suoi organismi economici, l’iniziativa della Conferenza di Mosca.

4) Ha indubbiamente contribuito al successo della Conferenza la delegazione britannica per la qualità e per il numero dei suoi partecipanti. Marcatamente favorevole è l’apprezzamento sovietico sulla conclusione del primo e più conveniente affare circa la nota compensazione con la Cina (vedasi il telegramma n. 91 di questa rappresentanza)1. Fra i partecipanti delle delegazioni meno importanti, come ad esempio la nostra, vi è però il rimpianto per gli affari che avrebbero potuto concludere se l’iniziativa sovietica fosse stata accolta dai loro.

5) Gli italiani avrebbero concluso per carbone, gas, olii naturali, agrumi, navi, torni, orologi, tessuti lana e tessuti seta stampata. Tutto questo lascia prevedere che vi sarà alla prossima Conferenza una ressa di partecipanti.

6) Non azzardata è la previsione che i partecipanti, sia governativi che indipendenti, saranno, al ritorno in patria, degli ottimi propagandisti consciamente o inconsciamente a favore dell’U.R.S.S. Essi metteranno in rilievo le possibilità di intercambio nonché le intenzioni pacifiche dell’U.R.S.S. ecc. Questo sarà il massimo successo propagandistico che l’U.R.S.S. avrà potuto ottenere rifuggendo durante la Conferenza dall’impiego di mezzi strettamente propagandistici dando l’impressione ai singoli delegati della massima libertà ed evitando di sottoporli a pressioni. Il risultato appare tanto più sorprendente in quanto la possibilità, secondo l’opinione della maggioranza dei partecipanti alla Conferenza, di intercambio tra l’est e l’ovest ha limiti precisi nelle tendenze autarchiche che l’U.R.S.S. non intende abbandonare. Il fatto che il commercio dell’U.R.S.S. con l’Europa sarà soltanto marginale è confermato dall’interesse dimostrato oltre che per i beni strumentali soprattutto per gli articoli voluttuari e di lusso.

7) Gli inglesi mostrano di nutrire grandi preoccupazioni per il rafforzamento della penetrazione economica in Asia dell’U.R.S.S., rafforzamento che la Conferenza ha causato anche per la insufficiente partecipazione occidentale alla Conferenza. È stato tentato, ma senza successo, di ottenere che altre ambasciate si pronunciassero a favore della partecipazione alla prossima conferenza con personalità rappresentative: pur non negando il pericolo di una partecipazione limitata a uomini di secondo o terzo piano, tutti hanno trovato la decisione prematura.

8) I funzionari di questa ambasciata americana realizzano l’importanza della Conferenza, non nascondendo il loro disappunto nei confronti della delegazione britannica, che ha contribuito al suo grande successo.

9) Nel nuovo sviluppo dell’offensiva di pace sovietica e della distensione internazionale si inquadra la Conferenza economica di Mosca.


503 1 Del 10 aprile, non pubblicato.

504

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 353. Parigi, 15 aprile 19521.

Ho letto con molto interesse i rapporti di Washington e di Bonn che V.E. mi ha trasmessi col suo dispaccio n. 11/5276/c. dell’8 corrente2.

Se le cose in Germania stanno come dice Babuscio – e anche da qui si ha più o meno la stessa impressione – i rapporti franco-tedeschi si presentano sotto una luce veramente poco promettente.

Da questa parte, il massimo che si potrebbe fare accettare al Parlamento francese – e anche questo non senza difficoltà – sarebbe una europeizzazione della Sarre (che cosa poi questo vuol dire, non è nemmeno chiaro) con il mantenimento degli attuali legami economici con la Francia. Anche recentemente, in occasione del dibattito sul piano Schuman al Senato, è stato messo categoricamente in rilievo che è solo a condizione che la Sarre, col suo carbone ed il suo acciaio, resti unita alla Francia, che si può accettare l’esperimento: con la Sarre unita alla Germania lo squilibrio a sfavore della Francia sarebbe insopportabile: il che è anche vero. Non solo ma qui si sente questo irrigidimento tedesco e, di altrettanto, si irrigidiscono le posizioni francesi.

Tarchiani dice che gli americani non vogliono andare più in là dei cauti suggerimenti «per evitare di addossarsi pericolose reazioni da parte dei due Governi e delle due opinioni pubbliche»: è quello che mi dicono sempre gli americani di qui. È la classica posizione degli americani, la stessa del resto che hanno adottata fra noi e iugoslavi, il cui risultato è però, temo, che le «conversazioni dirette» non andranno avanti e gli americani restando su delle posizioni che tutti e due i contendenti trovano, per prudenti che siano, troppo favorevoli alle posizioni dell’altra parte, finiscono per farsi prendere sul naso da tutti e due. Non so quale sia la situazione in Germania: qui qualsiasi Governo francese potrebbe forse – era certo più facile un anno fa che adesso – rassegnarsi a delle concessioni a cui fosse apertamente obbligato dagli americani: ma non c’è nessun Governo francese, il quale possa presentare al Parlamento un abbandono di «diritti sacrosanti» da lui liberamente consentito.

Non è soltanto che la posizione di Schuman sia politicamente indebolita: è che la sua politica è fallita, e tutti i francesi ne sono convinti. L’ossessione di tutti i francesi, anche i più a sinistra, è, e resta sempre la grandezza della Francia. Bidault ha cercato di ottenerla con un serio avvicinamento con l’Italia: avvicinamento che nell’idea francese, doveva, in pratica, corrispondere ad una specie di annessione dell’Italia: pensava poi, come a suo tempo Laval, di affrontare, insieme con l’Italia, il problema tedesco. Schuman ha cercato invece di risolvere il problema tedesco prima e direttamente. Non è che abbia completamente abbandonato l’Italia, ma l’ha messa in secondo piano. Teoricamente l’impostazione di Schuman era più giusta di quella di Bidault. In pratica egli è rimasto con poca Italia e con niente Germania.

La politica di Schuman, e del suo partner François-Poncet partiva anch’essa da una premessa irreale: che cioè, con una forma di accordo la Germania avrebbe accettato la supremazia francese. Era la stessa idea di Bidault nei riguardi dell’Italia: con la differenza che l’Italia, sempre che i francesi avessero saputo avere dei ménagements di forma, questa annessione larvata avrebbe potuto anche accettarla: i tedeschi, no.

Accortosi, ad un certo momento, che i discorsi dei tedeschi del periodo pregoverno federale, non si materializzavano quando questi stessi tedeschi si erano seduti sulle poltrone ministeriali, ha cercato di battere un’altra strada: la strada europea. Ha pensato cioè che, mettendo Francia e Germania in uno stesso calderone europeo, costituendo delle comunità di interessi, si sarebbe creata un’atmosfera speciale di collaborazione e che, in forza di questa atmosfera, delle questioni, oggi insolubili, avrebbe potuto trovare una soluzione più facile. La stessa illusione in cui cadono tutti i nostri europeisti, siano essi federalisti o no, ed in cui cadono, mi sembra, la maggiore parte degli americani: è vero che l’illusione degli americani ha la scusante di essere nutrita dalle parole degli europei le quali, bisogna pure ammetterlo, in quanto parole, non potrebbero essere più perfette.

Si noti che questa illusione avrebbe potuto non essere tale se le questioni europee fossero state affrontate realmente con spirito europeo. Monnet, il più logico, forse il solo vero logico di tutti i francesi, pensava e pensa di trasferire, un giorno, a questa comunità franco-tedesca-europea l’impero coloniale francese. Forse, cominciando così qualche cosa la si sarebbe potuta fare: ma chi può dirlo in Francia senza subito farsi linciare sulla pubblica piazza? Che cosa accade in Germania non mi permetto di dirlo; ma qui in Francia la politica europea è, ed è sempre stata, una cortina di fumo. Personalmente può essere che Schuman ci abbia realmente creduto: se lo ha fatto, è stato qui il solo. I francesi sono, storicamente parlando, il meno europeo dei popoli europei: mi domando qualche volta se non sono, in realtà, anche meno europei degli inglesi. Sono disposti ad ammettere l’Europa, tutte le combinazioni europee che si vogliano, ma ad una condizione: che l’Europa sia francese, e che le combinazioni in questione siano, tutte, a vantaggio principale se non esclusivo della Francia.

Anche qui i francesi hanno fatto un errore: se avessero lasciato l’Europa farsi, come che sia , dato lo charme di vecchia mondana sul declino che ha indiscutibilmente la Francia, l’Europa avrebbe realmente finito per diventare francese: ma quando Marianna mostra un po’ troppo gli artigli del gallo, tutti si risentono, e tutti sono pronti a ricordarsi che il gallo di penne ne ha ormai poco più che il ricordo: e questo fa andare in bestia tutti i francesi

Malafede fondamentale, dunque. Rimandando la soluzione della Sarre a dopo il clima europeo, Schuman, e tutti i francesi con lui, intendevano che, nel clima europeo, la Germania non avrebbe dovuto trovare più nessuna difficoltà a che la Sarre, in una forma o nell’altra, diventasse parte della Francia. Probabilmente la stessa malafede c’era da parte tedesca. Naturalmente in senso contrario. Gli americani hanno aggravato la situazione con due errori: primo quello di consentire alla Francia di considerarsi come vincitore: secondo quello di darle la Sarre di fatto: adesso non è facile levargliela.

Tutto questo ci interessa, non solo perché non possiamo disinteressarci di quello che succede in Europa, ma anche per ragioni più dirette. V.E. ha, in buona parte, impostato la sua politica estera sulla questione dell’integrazione europea: e più particolarmente sull’esercito europeo. A parte le sue convinzioni personali, mi sembra lo abbia fatto anche perché questo le serve in politica interna italiana. Vorrei ripetere che, allo stato attuale delle cose, la riuscita di questa politica è più che mai aleatoria. Dico questo per il caso che, soprattutto ai fini interni, le importi, non solo la posizione di punta presa dall’Italia, ma anche il successo della sua politica.

Alla firma del trattato, secondo ogni probabilità, ci si arriverà e probabilmente anche presto e anche allora ripeteremo il motivo della giornata storica: ma la firma del trattato non significa gran che. Bisogna che il Parlamento francese lo ratifichi.

Anche noi, un giorno abbiamo firmato con la Francia un accordo di unione doganale: anche quella giornata fu definita, dalle due parti, come storica. Ma il Parlamento francese non l’ha ratificato. E, si noti, le premesse erano ben differenti: l’accordo in questione fu trattato con larga partecipazione di elementi parlamentari francesi responsabili. Ci eravamo dimenticati solo dei tessili del signor Boussac. In questo caso di Boussac ce ne sono parecchi.

Schuman voleva fare prima, in certa misura, l’ Europa, e nello spirito europeo affrontare problemi diretti franco-tedeschi, che poi, mi sembra, si riducono al problema della Sarre. Esistono, è vero, anche tutti gli altri problemi connessi col nuovo stato giuridico della Germania: ma essi non sono un ostacolo insuperabile. Certo, quelli si potrebbero risolvere in un’atmosfera europea: poi, se i tedeschi consentono una certa gradualità, un po’ per volta la Francia inghiottirà tutte le concessioni: l’opinione pubblica in fondo è già più che mezzo convinta dell’irrealtà delle misure «precauzionali». Quello della Sarre invece è un problema grave: si tratta di un territorio, e quello che più conta, di un territorio ricchissimo.

In un altro rapporto ho parlato del problema della garanzia, che è importante: quello della Sarre però lo è ancora di più. Si è cercato di tenerlo in sordina, ma non so se e per quanto tempo ancora questo sarà possibile. Tanto più difficile in quanto, sebbene Schuman in certe sue dichiarazioni sia spesso ultra ottimista, tuttavia, pur con le debite riduzioni, ho l’impressione che nei suoi colloqui con lui, Adenauer si sia impegnato e molto: certo Schuman ha dato questa impressione a molti francesi: e si direbbe che Adenauer ha delle difficoltà sempre più serie a fare accettare dai suoi le sue promesse. E le note russe, quale che sia il giudizio intrinseco che si può darne, non sono fatte per facilitare il compito di Adenauer. Fin qui, in Francia, la buona fede di Adenauer personalmente non la si metteva in dubbio: ed era un atout forte; ora si comincia a dubitarne: si comincia a vedere in lui un secondo Stresemann. Comunque la questione della Sarre, terreno facilmente infiammabile, costituisce un facile pretesto per tutti quelli, che da una parte o dall’altra del Reno, non vogliono l’esercito europeo: e qui almeno, non sono pochi. Non so se Adenauer, in Germania, sia in grado di dominare la tempesta: certo Schuman, in Francia, non è più in grado di farlo.

E allora c’è da domandarsi se non siano più nel giusto quelli in Francia – sono soprattutto i gaullisti, diremo così, un po’ dissidenti – che dicono: prima dell’integrazione europea, o anche del solo esercito europeo, bisogna avere una franca discussione, a fondo, fra Francia e Germania. Ci sono delle chances perché questa conversazione riesca? Sì, se c’è una possibilità, quale che sia, di fare accettare alla Germania il rattachement economico della Sarre alla Francia, sotto qualsiasi forma immaginabile: e se c’è un prezzo che i tedeschi sono disposti a chiedere per accettarlo e che questo prezzo sia, per i francesi, ragionevole.

Una trattativa di questo genere non può farla, in Francia, che un Governo di unione nazionale, in cui Schuman non sia più ministro degli esteri. Ma, aggiungo, è del resto solo un Governo di unione nazionale che può fare accettare al Parlamento francese una forma di esercito europeo, anche se non sarà esattamente l’esercito europeo che stiamo per firmare. E questo Governo di unione nazionale è oggi più probabile di quello che non fosse qualche settimana addietro. Del resto, se questo Governo di unione nazionale non si fa, se si ritorna a dei governi appoggiati più o meno sui socialisti, l’esercito europeo non passerà al Parlamento francese.

Comunque, scivolare sulle difficoltà franco-tedesche, era possibile un anno fa, non è più possibile oggi: volere spingere avanti le istituzioni nella speranza che esse facilitino la soluzione dei problemi, è un’illusione, di breve durata. La sola politica che può ancora, forse, salvare l’esercito europeo, è appunto quella di affrontare direttamente il problema.

È evidente che è per ragioni interne che gli americani vogliono far credere che l’integrazione europea è sulla buona strada. Non pretendo di giudicare l’opinione pubblica americana, ma mi domando se questa politica è saggia, a lunga scadenza almeno. L’integrazione europea non è sulla buona strada, è su di una pessima strada. Che i patti che si firmano, o si possano firmare, non ci facciano illusione: si era fatto un solo vero progresso ed era quello della liberazione degli scambi e dei pagamenti: e anche questo è in pieno tracollo: se non si riesce a salvarlo e, nonostante tutte le dichiarazioni ottimistiche dell’O.E.C.E., ho tutti i miei gravi dubbi al riguardo, ritorniamo nel più accanito e più ristretto nazionalismo economico. Come sia compatibile questo nazionalismo economico con il prosperare di tutte queste varie agenzie specializzate, aspetto che qualcuno me lo spieghi: personalmente non lo vedo. Soffrirò forse della deformazione di vedere troppo i fattori politici in funzione dei fattori economici, ma temo che questa deformazione sia meno peggio che la deformazione contraria. Quello che temo è che questa rete di bluff e di equivoci, in cui ci stiamo sempre più invischiando, da una parte e dall’altradell’Atlantico, non reggerà ancora per molto: ed allora le reazioni americane saranno più forti e più gravi di quello che non sarebbero state se si fosse a tempo e con franchezza detto quali sono le difficoltà e quali i possibili rimedi, che pure ci sarebbero.

V.E. dice che noi ambasciatori abbiamo una tendenza a esagerare: sarà probabilmente la sua reazione anche a questo mio rapporto. Mi creda, se può, quando le dico che nessuno più di me sarebbe felice di sbagliarsi quando vedo molto in forse, e più che in forse, tutto questo problema dell’integrazione europea. E a parte quelle che possono essere le previdenze da prendere sul piano interno, credo che faremmo bene ad attirare l’attenzione degli americani sulla gravità di tutti questi problemi. Essi hanno per loro natura, una certa tendenza a pensare che, alla fine, tutto si accomoda. Ma non è sempre vero, sopratutto se non si fa niente di serio per accomodare. Gli americani sono lenti, in tutto: sono specialmente lenti quando si tratta di formulare nuove idee adatte ad una situazione nuova: penso però che a forza di ripetere loro certe cose, anche a livelli inferiori, se questo solo è possibile, si finirà per portarli a pensarci sul serio: sarà per lo meno il primo passo verso la ricerca di soluzioni.


504 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


504 2 Non pubblicato.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 3626/181. Roma, 16 aprile 1952, ore 16,30.

Suo telespresso 18631.

Governo Tripoli ha indetto per 21 corrente riunione preliminare Istituto finanziario libico. Abbiamo chiesto rinvio sopratutto in attesa ulteriori comunicazioni preannunciate circa definitive decisioni codesto Governo.

Confidiamo codesta ambasciata potrà superare pregiudiziali americane esposte in detto telespresso che non sembra abbiano fondamento, tenendo conto che soluzioni finanziarie adottate nelle varie riunioni di Ginevra furono da noi accettate solo in vista decisivo appoggio americano.

Proposte italiane hanno costantemente mirato a soluzioni multilaterali che evitassero sospetto colonialismo che potrebbe sorgere da partecipazione limitata italo-britannica. Perciò insistiamo per impostazione più larga possibile Istituto finanziario libico e quindi per partecipazione americana, tanto più se codesto Governo ha già deciso partecipare Agenzia sviluppo, come segnalato da parte inglese.


505 1 Non pubblicato.

506

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 2067/1103. Londra, 16 aprile 19521.

Telespresso ministeriale 23/303 del 4 corrente2 e mio rapporto n. 1984/1058 del 9 corr.3.

Ho letto con interesse l’appunto predisposto da codesto Ministero sulle proposte di Eden per l’avvenire del Consiglio d’ Europa4, raffrontandolo col memorandum preparato dal Foreign Office sul modo di attuare le proposte stesse, memorandum che l’ambasciata britannica a Roma è stata incaricata di presentare a codesto Ministero3.

Come l’ E.V. potrà rilevare, le preoccupazioni relative all’inquadramento della Corte di giustizia e – più ancora – dell’Alta Autorità nel Consiglio d’Europa non dovrebbero più sussistere in quanto da parte britannica non si è affatto pensato ad inserire tali organi della C.E.C.A. e della C.E.D. nell’organizzazione di Strasburgo. Le proposte di Eden, delle quali il memorandum meglio definisce la portata pratica, vertono cioè soltanto sul Comitato dei ministri, l’Assemblea ed il Segretariato delle due Comunità, suggerendo di avvalersi a tale effetto, con determinati accorgimenti, dei paralleli organi già costituiti del Consiglio d’ Europa.

Come avevo fatto presente nel mio citato rapporto, gli inglesi non erano riusciti – prima di ultimare il loro memorandum – a mettersi d’ accordo con gli svedesi su una formula atta a superare le obbiezioni sollevate da questi ultimi in relazione alla loro posizione di neutralità; tuttavia avevano manifestato l’intendimento di tener conto sin d’ora di tali preoccupazioni. Infatti al paragrafo 4 del memorandum britannico è precisato che l’art. 1(d) dello Statuto che esclude dalla competenza del Consiglio le questioni relative alla difesa nazionale continuerebbe ad applicarsi nei riguardi del Comitato dei ministri e dell’Assemblea quando questi si riuniscano a piena partecipazione (e cioè con i rappresentanti di tutti i paesi membri del Consiglio d’ Europa). È vero che viene attribuita (paragrafo 6) al Comitato dei ministri e all’Assemblea, riuniti in sessione ristretta (e cioè coi soli rappresentanti dei membri delle Comunità) la possibilità di invitare i rappresentanti di altri paesi a partecipare come osservatori alle loro sedute; ma i paesi non membri della C.E.D. non parteciperebbero «necessariamente» (paragrafo 7) ai lavori del Comitato dei ministri o dell’Assemblea connessi con le questioni di difesa; tale partecipazione infatti potrebbe aver luogo solo su invito dei paesi membri della C.E.D., invito che non verrebbe certo rivolto a chi – come la Svezia – ritenga che l’aderirvi contrasterebbe con il suo atteggiamento neutrale.

Per quanto riguarda l’Assemblea le proposte inglesi prevedono una modifica dell’ art. 25(a) dello Statuto del Consiglio d’Europa affinché i rappresentanti dei paesi membri della C.E.D. possano a suo tempo essere direttamente eletti (conformemente a quanto previsto nel rapporto presentato dalla Conferenza della C.E.D. al Consiglio atlantico a Lisbona) anziché essere scelti dai rispettivi Parlamenti.

Quanto al Comitato dei ministri, viene proposto di modificare la norma che stabilisce che vi partecipino il ministro degli esteri o un suo sostituto, nel senso che per le riunioni ristrette (a sei) i Governi interessati potranno farsi rappresentare da chi crederanno, senza che i rappresentanti in questione debbano figurare come sostituti dei rispettivi ministri degli esteri: ciò in quanto i rappresentanti dei paesi della C.E.C.A. e della C.E.D. negli organi ministeriali delle due Comunità non dovrebbero necessariamente essere i ministri degli esteri.

Un aspetto che mi sembra interessante, nel memorandum britannico, è quello relativo al Segretariato. Si propone cioè la costituzione – entro il più vasto quadro del Segretariato generale del Consiglio di Europa – di un apposito Segretariato per la C.E.D. facente direttamente capo al segretario generale. Dato che attualmente il segretario generale è un francese (né è da presumere che la carica venga attribuita a persona di altra nazionalità il giorno in cui Parigi cessasse dall’occuparla), mi domando se, adottando anche per la C.E.C.A. un sistema analogo (e cioè apposito Segretariato facente capo a Paris) si ovvierebbe agli inconvenienti a cui darebbe luogo – come giustamente è rilevato nell’appunto di codesto Ministero – l’attribuzione all’attuale Segretariato di Strasburgo delle funzioni relative alla Comunità carbone e acciaio. Aggiungo anzi a tale riguardo che il competente funzionario del Foreign Office, essendogli stato fatto incidentalmente rilevare che forse sarebbe stato preferibile di adottare anche per il Segretariato della C.E.C.A. il sistema proposto per quello della C.E.D., ha risposto che a suo avviso tale idea sembrava assai logica; ed ha ribadito che le proposte contenute nel memorandum erano intese come larga base di discussione per la riunione dei delegati dei ministri e non come una rigida costruzione da accettare o respingere in blocco5.


506 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


506 2 Trasmetteva un appunto contenente considerazioni sulle proposte britanniche di coordinamento tra Consiglio d’Europa e piano Schuman.


506 3 Non pubblicato.


506 4 Vedi DD. 429, 437, 440, 447 e 475.


506 5 Per il seguito vedi D. 522.

507

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 4595/181. Londra, 17 aprile 1952, ore 18,30(perv. stessa ora).

Trasmetto traduzione delle proposte anglo-americane, redatte in forma di un progetto di accordo, fattomi pervenire stamane. Provvedo chiedere chiarimenti su taluni punti dubbi e mi riserbo quindi commento a più tardi in serata1.

Segue testo di cui sopra:

«Premessa: si ritiene desiderabile limitarsi in questo memorandum a descrivere le funzioni e la loro attribuzione, evitando di tentare di prescrivere la nomenclatura dei dettagli organizzativi.

1) I rappresentanti dei tre Governi hanno esaminato l’attuale struttura e funzionamento del Governo Militare Alleato nella Zona A. Hanno constatato che già attualmente una gran parte delle funzioni amministrative vengono esercitate efficientemente da cittadini italiani sotto l’autorità del G.M.A. Le tre delegazioni hanno inoltre constatato gli intimi legami esistenti tra l’economia della Zona e l’economia italiana, nonché il contributo essenziale apportato dal Governo italiano al benessere della Zona.

2) I rappresentanti italiani hanno fatto presente, ed i rappresentanti dei Governi del Regno Unito e degli S.U. hanno convenuto, che è desiderabile di accordarsi per una più stretta collaborazione tra di loro nell’amministrazione della Zona e di prendere accordi nello stesso tempo per la semplificazione della struttura del Governo della Zona. Conseguentemente essi hanno raggiunto le seguenti intese:

3) I Governi britannico ed americano continuano a mantenere le responsabilità assunte nel trattato di pace con l’Italia per quanto riguarda l’amministrazione della Zona anglo-americana del T.L.T. Essi continueranno ad adempiere a tale responsabilità attraverso il comandante di Zona che, come disposto nel proclama n.1 del 15 settembre 1947, continuerà ad essere investito di tutti i poteri di governo della Zona e della giurisdizione sui suoi abitanti. Il comandante della Zona continuerà anche ad essere investito della piena autorità nelle questioni militari concernenti le truppe americane e britanniche poste sotto il suo comando.

4) Cittadini italiani proposti dal Governo italiano e nominati dal comandante di Zona, verso il quale saranno responsabili, eserciteranno le funzioni di governo civile della Zona, con eccezione di quelle elencate al punto 10. Per quanto possibile il personale italiano che ora esercita funzioni civili sotto la A.M.G. verrà mantenuto in servizio.

5) Il comandante di Zona avrà facoltà di distaccare presso quei settori del governo civile, nei quali cittadini italiani eserciteranno le funzioni specificate nel paragrafo precedente, degli ufficiali alleati i quali dovranno avere tutte le facilitazioni atte a far sì che egli sia tenuto al corrente ed informato pienamente dell’andamento del governo civile.

6) In linea di massima la legislazione italiana verrà applicata in Zona A per mezzo della promulgazione fatta dal comandante di Zona o sotto la sua autorità. Il comandante di Zona mantiene la facoltà di non promulgare quelle leggi che interferirebbero con l’adempimento delle responsabilità che provengono ai Governi britannico ed americano dal trattato di pace con l’Italia, e può ogni volta che egli lo ritiene necessario all’adempimento di queste responsabilità promulgare legislazione addizionale.

7) Un consigliere politico italiano presso il comandante di Zona e da questi gradito, sarà nominato dal Governo italiano. Questo consigliere politico rappresenterà il Governo italiano nelle questioni che lo concernono riguardo alla Zona e servirà come mezzo di collegamento fra il comandante di Zona e il Governo italiano. Egli avrà in linea di massima diretto accesso al comandante di Zona o al suo rappresentante designato. Il consigliere politico italiano non avrà però poteri o responsabilità per quel che concerne il Governo della Zona.

8) I Governi americano britannico ed italiano riaffermano che tutti gli accordi economici e finanziari stipulati fra A.M.G. ed il Governo italiano a partire dal 9 marzo 1948 e tutte le intese raggiunte in seguito, rimangono pienamente in vigore. Il Governo italiano continuerà, d’accordo con il G.M.A., a fornire alla Zona i mezzi necessari al commercio estero ed alla circolazione monetaria a condizioni non meno favorevoli di quelle esistenti in Italia.

9) Il Governo italiano si assumerà la responsabilità per l’assistenza ed il mantenimento dei rifugiati dall’Europa orientale nella Zona e procederà al loro trasferimento in campi in Italia fino a che essi non avranno una sistemazione definitiva.

10) Funzionari alleati nominati dal comandante di Zona e verso di lui responsabili, assistiti come attualmente da italiani, continueranno ad esercitare le seguenti funzioni di governo nella Zona:

a) mantenimento dell’ordine pubblico, compresa la direzione della polizia;

b) fissazione delle direttive riguardanti il controllo del movimento delle merci e delle persone, compresi i rifugiati, da e per la Zona nonché la supervisione delle operazioni portuali;

c) la protezione delle minoranze razziali della Zona;

d) l’amministrazione della giustizia attraverso i tribunali attualmente esistenti nella Zona, incluse le Corti militari alleate;

e) approvazione del bilancio per il Governo della Zona come prevista dagli accordi e dalle intese citate nel paragrafo 8;

f) supervisione delle operazioni delle poste e telecomunicazioni;

g) attività delle stazioni radio;

h) costruzione di quanto si renda necessario per le Forze militari alleate.

11) L’applicazione dei dettagli di queste intese sarà effettuata dal comandate di Zona non appena possibile.

Nota finale: in via confidenziale si concorderebbe tra le tre delegazioni che quanto precede venga annunziato appena raggiunto un accordo. I cambiamenti del Governo della Zona verrebbero tuttavia iniziati per la maggior parte dopo le elezioni locali del 25 maggio»2.


507 1 Vedi D. 509.


507 2 Per la risposta vedi D. 508.

508

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto 3702/149. Roma, 17 aprile 1952, ore 22,20.

Impressione che si ricava da lettura suo 1811 circa concessioni che ci verrebbero fatte è negativa. Meno che può dirsi è che progetto accordo anziché menzionare e far risaltare parte che ci verrebbe riservata in Amministrazione, elenca e sottolinea funzioni che G.M.A. riserverebbe per sé mentre ribadisce e in parte aggrava (rifugiati) oneri Governo italiano. Punto 5) così come formulato non potrebbe essere presentato a nostra opinione pubblica e non sembra del resto accettabile. Dal momento che nostri funzionari dipendono da comandante Zona non (dico non) si vede perché debbano essere affiancati da una serie tutori come in paesi incapaci amministrarsi. Punto 9) rappresenta un onere che non possiamo accollarci dal momento che non abbiamo controllo frontiere.

Non comprendiamo motivo disposizioni di cui punti 10 b) c) e) f). Punto 10 c) sembra preparare costituzione due diverse comunità l’una retta da nostre autorità civili e l’altra indipendente da questa; comunque questa riserva anglo-americana merita esser chiarita in sua portata attuale e futura. Punto 10 e) sembra svuotare di contenuto passaggio a noi Direzione finanze ed economia; mentre punti 10 b) f) costituiscono ulteriore e apparentemente ingiustificata limitazione a nostro sfavore. È anche da tenere presente che sino ad ora attuale organizzazione G.M.A. non è stata da noi sanzionata in alcun atto formale all’infuori art. 1 annesso VII trattato pace che per altro non specifica in dettaglio organizzazione stessa. Converrebbe quindi evitare accordo che anziché riferirsi esclusivamente alle funzioni che ci vengono trasferite menzioni espressamente anche funzioni che Alleati conserverebbero per sé2.


508 1 Vedi D. 507.


508 2 Per il seguito vedi D. 511.

509

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4625/183. Londra, 17 aprile 1952, part. ore 1,52 del 18(perv. ore 6,30).

Mio 1811.

Oggi in colloquio con Dixon e H.M. Holmes, ho attirato loro attenzione su insufficiente valutazione aspetti politici situazione apparente in carattere restrittivo talune loro proposte. Segnalo a tale riguardo che secondo chiarimenti dati oggi Alleati avrebbero intenzione sopprimere Direzione generale lasciando le Direzioni a diretta dipendenza comandante Zona. Ho insistito in particolare per modifica punti relativi comando polizia, amministrazione giustizia e problema giurisdizionale, ufficio minoranze ed altri minori. Ho trovato miei interlocutori fermissimi e legati evidentemente da un preciso impegno solidarietà.

Soggiungo che già da andamento discussioni ieri era apparso chiaro come atteggiamento americano fosse anche più rigido di quello inglese e tale anzi da aver influenzato quest’ultimo. Per altro, avendo discussione toccato punti implicanti questione sovranità, Holmes ha tenuto a dare lettura punto di vista ufficiale Governo americano che ribadisce nota tesi già manifestata in occasione passate discussioni su Cassazione circa cessazione sovranità italiana in conseguenza articolo 21 trattato. A questi concetti fondamentali vanno evidentemente riportati principali ostacoli da noi incontrati per accoglimento integrale nostre richieste. Inoltre gli americani mi sembrano sopratutto preoccupati evitare ogni possibile complicazione con Jugoslavia.

Discussione continuerà domani. Debbo segnalare però che in questa sede anglo-americani mi sembrano giunti oramai al limite loro concessioni salvo eventuali questioni di dettaglio. È da giudicare quindi se quanto ottenuto sino ad ora, che malgrado tutto rappresenta notevole progresso su situazione esistente, sia sufficiente da un lato a diminuire pericolo indipendentismo e dall’altro lato soddisfare aspettative pubblica opinione. Ciò tanto più se si tengano presenti limiti posti a nostra azione da impostazione da noi stessi voluta nel senso di non compromettere questioni di principio in vista soluzione integrale problema T.L.T.

Su quanto precede desidererei conoscere pensiero V.E.2. Aggiungo che ove su taluni punti come comando polizia, direzione generale e simili E.V. crede necessario irrigidirci riterrei indispensabile affiancare mia azione qui con intervento deciso ad alto livello presso americani tramite nostra ambasciata Washington o ambasciata americana Roma.


509 1 Vedi D. 507.


509 2 Il presente telegramma si era incrociato con le istruzioni di De Gasperi (vedi D. 508). Vedi anche D. 511.

510

IL MINISTERO DEGLI ESTERIALL’AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA

Nota verbale segreta. Roma, 17 aprile 1952.

Il Ministero degli affari esteri, in risposta alla Nota verbale F.O. n. 9963 in data 16 aprile1, ha l’onore di pregare l’ambasciata degli Stati Uniti d’America di far pervenire a S.E. il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America il seguente messaggio del ministro degli affari esteri:

«Ho letto con il maggiore interesse il suo messaggio e le proposte relative ai lavori della Conferenza di Parigi per la Comunità Europea della Difesa che mi sono state comunicate con nota in data 16 aprile dall’ambasciata degli Stati Uniti a Roma, e mi è grato di rilevare con soddisfazione l’interesse che ella e il Governo americano portano ad una rapida realizzazione della Comunità Europea della Difesa.

Il suo desiderio di giungere entro il più breve termine possibile alla firma del trattato è pienamente condiviso dal Governo italiano il quale, convinto della necessità della creazione della Comunità Europea di Difesa anche perché la considera come una importante realizzazione sulla via dell’integrazione dell’Europa, ha sempre fatto nel passato tutti gli sforzi possibili per accelerare i lavori della Conferenza. La delegazione italiana, su mie precise istruzioni, ha costantemente indirizzato in tal senso la sua azione e anche di recente ha fermamente insistito sulla necessità che i lavori della Conferenza, evitando di addentrarsi in problemi secondari, potessero essere conclusi entro il mese di aprile.

Sono ora informato che la Conferenza è ormai riuscita a raggiungere decisioni unanimi e soddisfacenti su quasi tutti i problemi, rimanendo solo in sospeso questioni minori o di non difficile soluzione.

Riterrei pertanto che la firma del trattato possa aver luogo entro la prima metà di maggio.

Sono anche d’accordo con V.E. che la firma abbia luogo all’Aja, se gli altri membri della futura comunità si dichiareranno favorevoli a tale proposta».


510 1 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1952-1954, vol. V, Western European Security, I,Washington, United States Government Printing Office, 1983, pp. 641-642.

511

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto precedenza assoluta 3740/152. Roma, 18 aprile 1952, ore 21,40.

Presente telegramma fa seguito al mio 1491.

Anche questione di cui punto 7) dovrebbe venire diversamente formulata e basterebbe indicare che «sarà nominato consigliere politico italiano in posizione uguale a quella consiglieri politici inglese e americano».

Conferenza si trascina da ormai lungo tempo e non sembra prossima conclusione. Ciò impressiona sfavorevolmente opinione pubblica e ambienti politici e parlamentari italiani che ne deducono nostra delegazione trovasi di fronte resistenze preconcette e non amichevoli. Ove questa situazione, aggravata anche da aggressività dimostrata da Tito e da manifestazioni Belgrado organizzate da quel Governo, dovesse perdurare mi si creerebbe estremo imbarazzo proprio nel momento in cui dovrei firmare trattato C.E.D. che in tale atmosfera verrebbe difficilmente ratificato dalle Camere. Lascio a lei accennare a tale difficoltà che segnalo anche a Parigi e Washington2.


511 1 Vedi D. 508.


511 2 Vedi DD. 512 e 516.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. segreto precedenza assoluta 3741/300. Roma, 18 aprile 1952, ore 22.

Conversazioni Londra1 procedono con lentezza e istruzioni restrittive ricevute da delegazione americana e ispirate più a preoccupazioni formalistiche che a costruttiva visione politica, rendono difficili possibilità di accordo o quanto meno di rapido accordo.

Ho discretamente fatto sapere a Londra e a Washington che se tale situazione continuasse mi si creerebbe estremo imbarazzo proprio nel momento in cui dovrei firmare trattato C.E.D. che in tale atmosfera verrebbe difficilmente ratificato dalle Camere. Ne faccia cenno costì e anche con Dunn.


512 1 Vedi Tavola metodica, Questioni, Territorio Libero di Trieste.

513

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4672/96. Belgrado, 18 aprile 1952, ore 23,20(perv. ore 10,45 del 19).

Mates ha convocato ieri questo ambasciatore Inghilterra per dirgli:

1) che Governo jugoslavo si opporrebbe a una conferenza a quattro (Inghilterra, America, Francia e Italia) che volesse risolvere questione Trieste; che non (dico non) sarebbe favorevole neppure a una conferenza a cinque, e cioè compresa Jugoslavia, ritenendo che questione debba essere regolata d’ogni parte tra l’Italia e Jugoslavia. Secondo Mallet Jugoslavia teme trovarsi isolata dato che altre quattro potenze sono legate a Dichiarazione tripartita;

2) che se Conferenza Londra accorderà concessioni all’Italia in Zona A misure corrispondenti saranno attuate in Zona B. Secondo Mates, nonostante jugoslavizzazione in atto Zona B, resterebbe ancora margine per misure parallele a quelle che si attuassero in Zona A. L’unica che potrebbe presumersi al momento è quello di estendere giurisdizione Corte suprema Jugoslavia qualora si attuasse giurisdizione Cassazione Roma in Zona A.

Ho detto a Mallet che si dovrebbe fare intendere chiaramente a Belgrado che reazioni in Zona B quali quelle sia pure generiche minacciate da Mates autorizzeranno potenze occidentali a fare ulteriori concessioni a Italia. Mallet mi ha detto che qualche cosa del genere ha risposto a Mates. Ma sarebbe ben diverso se anglo-americani facessero conoscere preventivamente, a seguito conversazioni Mates-Mallet, loro decise determinazioni in tal senso.

Mates ha pure convocato e per la stessa ragione questo incaricato d’affari America. Risulta anche convocato ambasciatore francese che vedrò dopo colloquio per domani mattina1.

Comportamento timidità anglo-americani in questi ultimi anni di fronte ad arbitrio jugoslavi in Zona B ha condotto all’assurdo che misure in Zona A per controbilanciare tali arbitri vengano considerate da questo Governo come iniziative cui esso debba reagire.


513 1 Vedi D. 518.

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE DEL BRASILE A ROMA, ALVES DE SOUZA

L. 5804/4. Roma, 18 aprile 1952.

La lettera confidenziale che ho di recente ricevuto da S.E. il ministro degli affari esteri1 ha formato oggetto della mia attenzione più viva. Mentre mi propongo di inviare al sig. Neves da Fontoura – non appena ne sarò in grado – una diretta risposta sui vari punti da lui prospettatimi2, prego intanto l’E.V. di volergli far pervenire l’espressione della mia memore cordialità e del mio grato animo per i sentimenti che egli ha avuto la bontà di manifestarmi. Ben ricordo il caldo atteggiamento dimostrato dal suo Governo e, personalmente, dal signor Neves da Fontoura, nei riguardi del mio paese nelle dolorose circostanze immediatamente successive al dopo-guerra; né dimenticherò le prove di amicizia dateci in altre molteplici occasioni e anche in tempi recenti, in particolare nel corso delle discussioni alle Nazioni Unite di importanti questioni interessanti l’Italia.

In tali circostanze ho veduto rispecchiarsi fedelmente la salda amicizia che lega i nostri due paesi, consacrata da decenni di storia, e cementata attraverso il contributo di opere e di realizzazioni prodigato dalla immigrazione italiana nelle ospitali contrade del suo paese.

Ho subito disposto a che i competenti organi di questo Ministero si mettano al più presto in grado di riassumere il preciso punto di vista italiano relativamente alle varie questioni di cui trattava la suddetta lettera del sig. Neves da Fontoura, e circa le quali tengo ad assicurare che mai è mancato tutto il dovuto interessamento. Mi è assai rincresciuto che un’impressione in senso diverso sia venuta a formarsi tra gli Uffici dell’Itamaraty.

In attesa, pertanto, di poter comunicare le conclusioni cui vi sarà stato modo di addivenire al riguardo, mi rivolgo altresì all’E.V. affinché voglia frattanto confermare al signor ministro il costante buon volere che il Governo italiano dedica alla ricerca di una soddisfacente soluzione di tutte le pendenze attualmente esistenti nei rapporti italo-brasiliani.

Le sarò grato, signor ambasciatore, di voler così farsi gentilmente tramite.


514 1 Vedi D. 477.


514 2 Vedi D. 582.

515

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3773/c. Roma, 19 aprile 1952, ore 4.

Questa ambasciata America ha consegnato solo l’altro ieri messaggio Acheson diretto a S.E. il ministro1 in cui si insiste perché firma trattato C.E.D. ed accordi contrattuali Germania avvenga non oltre 9 maggio e propone che relativa cerimonia abbia luogo all’Aja: analoghi messaggi erano stati inviati ministri esteri altri paesi interessati. In risposta consegnata questa ambasciata Stati Uniti, S.E. il ministro ha dichiarato concordare circa urgenza firma e ritenere che essa possa avvenire per 15 e comunque non oltre 20 maggio ed ha espresso consenso proposta per l’Aja, ove altri paesi C.E.D. concordino.

Verbalmente è stato aggiunto che ministro sarà impegnato 18 maggio, ultima domenica prima elezioni, in propaganda elettorale e che pertanto si desidera che firma non avvenga nei giorni 17-18-19 maggio.

Segue documentazione2.


515 1 Vedi D. 510.


515 2 Non pubblicato.

516

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3778/154 (Londra) 189 (Washington). Roma, 19 aprile 1952, ore 18,30.

(Per Londra) Ho telegrafato Washington quanto segue:

(Per Washington) Faccio riferimento in particolare ai telegrammi di questo Ministero nn.184, 1861, 1882.

(Per tutti) Atteggiamento delegati americani che ha influito in senso negativo su migliori disposizioni britanniche e che appare ispirato a superabili preoccupazioni di ordine formalistico più che alla preoccupazione di riconoscere nostre esigenze e darvi soddisfazione, non può essere considerato da noi come atteggiamento amichevole. Proposte fatteci, qualora non venissero modificate, ci metterebbero nella necessità dover scegliere fra rinunciare proseguimento conversazioni o accettare soluzione che non (dico non) soddisferebbe nostra opinione pubblica, provocherebbe in Italia grave reazione contro Governo e contro Alleati, mentre servirebbe a partiti estrema destra e soprattutto estrema sinistra per loro propaganda contro solidarietà atlantica. È necessario che ella si esprima in questi precisi termini costì, formulando a mio nome serio avvertimento su ripercussioni che possono derivare a danno di tutti e della stessa integrazione europea da così miope politica che ripete nei nostri confronti errori già commessi in passato e delle cui conseguenze deve essere pur vivo il ricordo3.


516 1 Del 18 aprile con i quali vennero ritrasmessi a Washington i DD. 507 e 509.


516 2 Del 19 aprile, ritrasmetteva il T. segreto 4643/184 del 18 aprile da Londra, non pubblicato.


516 3 Con T. segreto 3795/155 (Londra) 192 (Washington), pari data, De Gasperi aggiunse: «Mi riferisco telegramma n. 3793/c. con cui vengono trasmesse informazioni Belgrado circa pressioni diplomatiche quel Governo in relazione conversazioni Londra [vedi D. 513]. V.E. potrà fare presente, se lo crede utile, che lentezza conversazioni Londra consente Tito assumere iniziative dirette complicare situazione. Rapidità accordo e fermezza anglo-americana costituiscono invece elementi più persuasi di cui si possa disporre per fargli capire inutilità suo continuo agitarsi».

517

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4730/189. Londra, 19 aprile 1952, ore 18(perv. ore 24).

Telegramma V.E. 1271.

Su situazione Zona B ho attirato personalmente nel modo più esplicito attenzione Harrison. Passo è stato poi ripetuto da consigliere.

Portata recenti episodi (espulsione maestri processo Capodistria, ecc.) è stata illustrata alla luce intera opera snazionalizzazione attuata da fine guerra ad oggie che si concreta in violazioni diritto internazionale elencate in nostra recente nota che è stata debitamente commentata (Telespresso ministeriale 479/c. del 22 marzo)2.

Sviluppando tale impostazione è stata ricordata disparità trattamento minoranza slovena in Zona A ed elemento italiano Zona B; assurdità accuse processo Capodistria di ben noto stile comunista; passività G.M.A. di fronte provvedimenti quali chiusura traffico che toccano anche direttamente situazione Zona A; insostenibile situazione cittadini italiani Zona B che mancano normale protezione consolare e sono amministrati potenza occupante che viola norme relative regime occupazione.

Harrison dopo aver dato lettura a titolo informativo del punto di vista jugoslavo circa recente espulsione maestri ha affermato che sui recenti sviluppi in Zona B informazioni ricevute da G.M.A. non avevano permesso Foreign Office formarsi idea esatta circa situazione Zona. Harrison aveva l’impressione che da parte nostra si fosse per il passato richiamata attenzione Alleati più su fatti episodici che non su situazione Zona considerata suo complesso di cui ha riconosciuto gravità, ammettendo piena fondatezza nostre proteste. Aggiungo che Harrison sembra non aver compreso, forse anche per modalità sua presentazione, significato politico nostra recente nota. Questa gli è stata chiarita aggiungendo che gradiremmo sapere quale seguito Governo inglese intendesse dare nostro intervento.

Harrison nel prenderne atto ha dato assicurazione che situazione verrà studiata alla luce di quanto fatto da noi presente e in stretto contatto con Dipartimento Stato.

Tuttavia benché al Foreign Office si sia mostrato di apprezzare e di dare dovuta attenzione nostre precisazioni circa fatti e situazioni politiche, ritengo difficile che nella presente fase diplomatica venga intrapresa azione nei confronti Governo Belgrado. Converrà richiamare di nuovo attenzione questo Governo dopo conclusioni attuali trattative, il che mi riserbo di fare.


517 1 Vedi D. 489.


517 2 Ritrasmetteva la nota relativa alle condizioni della Zona B presentata il 17 marzo ai Governi britannico, francese e statunitense. Vedi D. 489.

518

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4741/97. Belgrado, 19 aprile 1952, ore 20,30(perv. ore 7 del 20).

Seguito telegramma 961.

Questo ambasciatore Francia è stato convocato da Mates che gli ha comunicato come ad ambasciatore inglese e a questo incaricato d’affari d’America ostilità Governo jugoslavo accettare condizioni eventuale conferenza cinque o più per risolvere questione Trieste.

Mates non (dico non) ha accennato a Baudet a eventuali reazioni a decisioni Londra.

Ambasciatore francese ritiene certamente vi saranno reazioni dato clima creatosi qui ma è difficile prevederne portata. Non (dico non) esclude che potrebbe giungersi dichiarazione annessione Zona B. Si crede che questa ambasciata America tenderebbe invece ad escluderlo in quanto mossa jugoslava costituirebbe patente violazione trattato di pace e darebbe mano libera ad anglo-americani in Zona A.

Baudet ha però convenuto con me su interesse jugoslavo minimizzare risultati per opinione pubblica come conseguenza pronta presa posizione jugoslava di fronte a Conferenza Londra e soprattutto su analoghi interessi indipendentisti Trieste alla vigilia elezioni. Ma in regimi totalitari è difficile prevedere sentimenti e reazioni.

Come telegrafato ieri riterrei opportuno avvertimento anglo-americani preventivo o all’atto comunicazione decisione Londra a Governo jugoslavo.


518 1 Vedi D. 513.

519

IL MINISTRO CASARDI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. Londra, 19 aprile 1952.

Ho mancato il corriere di ieri ed oramai la presente non ti giungerà sino alla metà della entrante settimana. Magari quando il risultato di queste laboriose conversazioni già si è in parte cristallizzato. Non sto quindi a scrivere col proposito di darti un resoconto corrente dei lavori, che del resto avrai seguito dai nostri telegrammi, bensì per dirti qualche mia impressione generale ai fini di una valutazione della situazione quale è emersa dalle trattative odierne e della quale converrà tener conto per l’avvenire.

Premetto di ritenere ancora che il risultato finale delle trattative in corso si presenterà formalmente non molto dissimile da quello che indicai in occasione della mia breve scappata a Roma. Sotto questo aspetto il terreno che i nostri dirimpettai avevano cercato con molta disinvoltura di sottrarci alla ripresa dei lavori è già stato in gran parte ricuperato. Per ora preferisco non dire di più.

Quanto alla sostanza, invece, la schermaglia è ancora in pieno sviluppo, e non è davvero facile. Per questo aspetto, il timore che espressi anche al presidente ed al sottosegretario, nel senso che in sede di pratica attuazione gli anglo-americani ci riportassero via con la sinistra quel che avevano fatto mostra di concederci con la destra, ha trovato purtroppo piena conferma. Credo invero che anche come sostanza, quanto potremo portare a casa rappresenterà sempre un netto progresso sulla situazione attuale a Trieste, e molto più di quanto i triestini si attendevano in partenza. Il solo fatto di occupare fisicamente delle poltrone sino ad oggi riscaldate da funzionari alleati, anche se sotto una perdurante «supervisione» di questi ultimi, non può alla lunga non avere una certa influenza. E forse nella acquisizione di questo parziale successo sta paradossalmente uno dei nostri punti di debolezza nella fase cui siamo giunti. Gli anglo-americani sanno cioè che quanto già ci offrono rappresenta un «abbastanza» da non buttar via alla leggera, mentre d’altro canto non ritengono che, con le elezioni a un mese di distanza, anche a Trieste, il nostro Governo abbia l’animo e la convenienza di giungere alla rottura. Ma, per riprendere l’argomento, se si tratterà semplicemente di un «progresso», oppur di risultato degno di qualificare «soddisfacente», ne avremo conferma solo in sede di applicazione in loco. Giacché occorre non farsi illusioni: in una qualsiasi forma di co-amministrazione, come inevitabilmente rimarrà quella di Trieste, ciò che conta è lo spirito col quale le singole stipulazioni verranno interpretate e tradotte in atto. Questo spirito dipenderà essenzialmente, più ancora che dalle locali autorità alleate, dalle superiori istruzioni che queste riceveranno: le quali istruzioni, a loro volta, dipenderanno dalla misura nella quale sarà possibile stabilire una concomitanza di direttive, su di un piano politico superiore, tra noi e gli anglo-americani. In questo campo l’accoglimento del principio della presenza di un nostro Political Advisor è un primo passo (non senza qualche inconveniente). Ma non basta. Gli stessi anglo-americani, accettato il principio, hanno anche qui successivamente tracciato una distinzione fra le funzioni del consulente italiano e quelle dei consulenti inglese ed americano, i quali ultimi rappresentano i due Governi aventi una «diretta responsabilità internazionale» nella Zona. Ho suggerito a questo riguardo all’ambasciatore un’idea che gli è piaciuta e che si riserva di avanzare al momento opportuno: di proporre cioè la costituzione di un organo permanente di consultazione a tre, per l’elaborazione, ad un livello superiore, delle direttive da dare al comandante di Zona. La proposta si riallaccerebbe alle premesse ad allo spirito delle conversazioni odierne; ed in analogia a queste ultime, tale organo potrebbe ad es. essere costituito dai due ambasciatori italiano ed americano a Londra e da un rappresentante del Foreign Office. Ma gli anglo-americani l’accetteranno?

Tutto ciò mi conduce a mettere il dito sul «dunque». Via via che, nel corso delle discussioni, si andavano individuando i punti di divergenza, è risultato chiaro come questi ultimi si andassero sempre più identificando nei problemi essenziali della situazione: così come un panno tende a prendere le forme del corpo che ricopre.

Osservo che a parte qualche fugace accenno iniziale, la Tripartita1 è stata sino ad ora la «grande assente» nelle nostre conversazioni. In mente a tutti, ciascuno si è astenuto dall’ invocarla. Gli anglo-americani per ovvi motivi. Noi, per non metter ancor più sulla difensiva i nostri interlocutori, per evitare che eventuali concessioni venissero imputate a sconto della medesima, e per non provocare infine eventuali precisazioni o prese di posizioni in questa particolare sede. È un argomento che ci siamo riservati di far giocare semmai nella fase finale ed eventualmente su di un piano e ad un livello superiore: Brosio-Eden, per spiegarmi. Per motivi analoghi, abbiamo sempre evitato di approfondire l’argomento della soluzione di fondo: avrebbe semplicemente sviato la discussione.

Nonostante questa congiura di silenzio, anzi dietro lo schermo di questa apparente generale dimenticanza, le nostre proposte originarie, a ben pensarci, miravano in realtà a realizzare, senza dirlo e senza pagare dazio, ciò che avrebbe rappresentato una sostanziale pratica applicazione della Tripartita in Zona A, col passaggio cioè in mano nostra di tutta quanta la Amministrazione (nel senso più lato), la riunificazione legislativa e giurisdizionale all’Italia, financo l’ammissione dei simboli della nostra sovranità (bandiera e truppe) e tutto ciò … col mantenimento delle truppe alleate a semplice funzione di presidio. Di questo nostro obbiettivo gli anglo-americani si sono resi perfettamente conto. Non ce lo hanno mai detto in termini espliciti, ma è ovvia la loro preoccupazione di non lasciarsi trascinare lungo questa strada, e di resistere pertanto ad ogni concessione che, lasciandoci integra in mano quella tale cambiale, avrebbe potuto significare non solo una immediata loro compromissione internazionale nella questione del T.L., ma anche il rischio di una involontaria (nel senso di «non-concordata») compromissione futura. Tanto per uscire dalle perifrasi, intendo dire per questo secondo aspetto che gli anglo-americani non si fidano di noi, e temono che dandoci il dito noi si pretenda domani che ci era stato promesso il braccio, oppure che noi ne approfittiamo per condurli progressivamente di fronte al fatto compiuto. In questo precipuo senso va interpretata la loro sempre più marcata insistenza a mantenersi rigidamente entro i termini del trattato e a non venire meno alle loro «responsabilità internazionali».

Superfluo sottolineare poi come in tutto questo la messa in scena delle proteste jugoslave e, in misura beninteso molto minore, delle manifestazioni indipendentistiche, ha indubbiamente esercitato una notevole influenza, consolidando preoccupazioni e prudenza nel campo alleato.

Ne è conseguito che ad un certo punto, ogni tentativo di far precisare nel senso estensivo da noi voluto la portata delle riforme concordate in principio, ha provocato negli anglo-americani un corrispondente proposito di precisazione negativa. Donde per noi un ulteriore imbarazzo nella scelta della via da seguire. Se vogliamo un risultato che si presenti formalmente bene e non precluda la possibilità di favorevoli futuri sviluppi, dobbiamo contentarci di una formulazione generica. Se invece prevale in noi la preoccupazione che una impostazione del genere non soddisfi i critici (sopratutto quelli in malafede) e che comunque convenga consolidarci contro ogni pericolo di futuri equivoci o escamotages anglo-americani, allora dovremo contentarci di formulazioni più precise sì, ma anche corrispondentemente più limitative. È un dilemma al quale non è facile sfuggire. La convenienza dell’una piuttosto che dell’altra alternativa è da giudicare, io penso, in parte in funzione del problema uomini, in parte dalla misura nella quale, come già detto, riteniamo di poter raggiungere e mantenere con gli anglo-americani, su di un piano superiore, una concorde direttiva di azione.

Si tratta d’altra parte di una non isolata difficoltà di scelta, inerente alla necessità in cui ci troviamo tutti quanti di contemperare le molte contraddittorie esigenze delle nostre rispettive posizioni. Un altro esempio di questa situazione è quello di cui tu mi hai scritto a proposito della nota corrispondenza Reuter. Ho consegnato ed illustrato a Dixon i ritagli che tu mi hai trasmesso in proposito. Ho sottolineato la necessità che, se gli inglesi ci tengono alla valorizzazione dell’eventuale accordo, non solo quest’ultimo sia realmente buono ma si provveda anche ad una intelligente preparazione e presentazione giornalistica. Dixon ha annuito. Li vedremo ora alla prova e ci regoleremo di conseguenza. Dopo l’esperienza di questa seconda fase dei negoziati, penso che converrà per parte nostra procedere con prudenza. Dare bensì l’impressione che abbiamo apprezzato la buona volontà degli anglo-americani e quanto da loro concesso: ma dare anche l’impressione che attendiamo di consolidare il giudizio sul terreno dei fatti. A proposito di presentazione giornalistica, mi sembrerebbe poi opportuno e giusto, sempre che ad un accordo si arrivi, di far mettere in risalto quali erano i limiti dei compiti affidati alle conversazioni di Londra. Essi sono chiaramente indicati nel comunicato originale. Si trattava, in questa sede, semplicemente di «stabilire una più intima collaborazione nella Zona». Non si pretese mai che esse potessero risolvere il problema di fondo; anzi la nostra opinione pubblica fu unanime nel raccomandare che non si facesse niente per compromettere tale problema, e le conversazioni vennero inquadrate nella reciproca intesa di mantenere accuratamente la soluzione ricercata nei termini della lettera del trattato, onde non dar appiglio alcuno a Tito per giustificare sue passate o future violazioni. Se dimentichiamo l’intima speranza che ciascuno di noi ha nutrito di riuscire a strappare qualche cosa di più – e mi sembra che se il Governo ha interesse a dimostrare di aver riportato un successo, conviene dimenticarlo – non credo onestamente che si potrà dire che il risultato sia stato negativo. Ed ancora una osservazione su questo argomento. Converrà non parlare di Tripartita, oppure parlarne solo per precisare che non c’entra affatto con le conversazioni svoltesi e con i risultati raggiunti. Ciò per due ovvi motivi: per valorizzare l’accordo per quello che è, da un lato, e per non «consumare» la Tripartita dall’altro lato.

Sia poi per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia per nostro futuro ammaestramento, conviene registrare, anche se per caso non lo vogliamo dire pubblicamente, quanto sia fallace e ingiusto pensare che in tutta questa questione di Trieste e della Tripartita è Washington che ci vorrebbe favorire e Londra che fa la taccagna.

P.S. Martedì, 22 aprile. Poiché il corriere parte solo stasera, riapro per dire come la situazione abbia nel frattempo evoluto verso un apparente netto miglioramento. Riserbo sempre il mio giudizio finale alla prova concreta dei risultati a Trieste. Molto dipenderà in quella sede dalla capacità ed abilità di chi vi manderemo. Comunque ieri2 sono stati fatti indubbi progressi e se appena gli anglo-americani non peccheranno nei prossimi due o tre giorni di mancanza di coraggio o di immaginazione, e se il diavolo non ci mette la coda, è intravedibile oramai un accordo che non credo si presenterà male.


519 1 La Dichiarazione anglo-franco-americana del 20 marzo 1948, vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


519 2 Vedi D. 521.

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3816/193. Roma, 21 aprile 1952, ore 16,45.

Suo 2761.

G.M.A. non (dico non) può avere che visione ristretta e burocratica del problema che è invece essenzialmente politico, tocca sentimento intera nazione e investe stessi nostri rapporti con Alleati. Confermo pertanto mio 1892.


520 1 Del 19 aprile con il quale Tarchiani aveva comunicato che il Dipartimento di Stato alle reazioni negative italiane circa il progetto anglo-americano aveva opposto le esigenze prospettate dal G.M.A.


520 2 Vedi D. 516. Per la risposta vedi D. 528.

521

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4793/193. Londra, 21 aprile 1952, ore 24(perv. stessa ora).

Oggi in lunga seduta plenaria Alleati ci hanno sottoposto un nuovo testo che nella parte introduttiva riproduce più o meno il testo vecchio1 mentre nella parte sostanziale contiene alcuni sensibili miglioramenti.

Essi riguardano seguenti punti:

1) Viene soppresso ogni riferimento ufficio o protezione minoranze formulandosi invece una dichiarazione di rispetto diritti umani che credo ci possa giovare come base per nostra azione in Zona B.

2) È ammesso un direttore per gli affari interni italiani che corrisponderebbe all’attuale direttore generale. Dalla discussione seguitane è risultato che tale direttore continuerebbe praticamente ad avere sotto di sé gli attuali due direttorati interno ed economia e finanza, con gli stessi uffici salvo cambiamenti di nome e ben inteso con esclusione pubblica sicurezza. Dalle ampie precisazioni a questo riguardo è risultato che egli dipenderebbe esclusivamente dal comandante di Zona e che nella scala gerarchica egli rimarrebbe l’unico tramite fra comandante e Uffici civili dipendenti. Di conseguenza sarebbe abolita ogni forma di ufficiali di collegamento e di controllo nei vari uffici della amministrazione civile.

3) È rimasto chiarito che controllo diretto alleato sul movimento esterno delle merci sarebbe limitato al controllo restrizioni Co.Com. non riguardando invece ordinario traffico internazionale.

Da parte nostra abbiamo ampiamente discusso, oltre tutti aspetti della figura e poteri del direttore dell’interno, tutti gli altri punti principali e specialmente quello della giurisdizione e legislazione suggerendo un compromesso, quello del porto e poste e telecomunicazioni, quello dello status del consigliere politico italiano, quello dei rifugiati, quello dei poteri del comandante Zona circa la messa in esecuzione dell’accordo.

Abbiamo pure mantenuta ferma, ai fini tattici indicati nel telegramma V.E. 1532, la questione della polizia. Ci siamo infine soffermati sul significato ed importanza della presentazione riservandoci una risposta definitiva al riguardo in attesa delle istruzioni del nostro Governo e concordando il principio che la presentazione verrà discussa dopo eventuale raggiungimento accordo su punti sostanziali. Gli Alleati si sono dichiarati disposti ad esaminare favorevolmente in quel momento le nostre esigenze.

Nel corso della discussione ho pure suggerito di prevedere espressamente in articolo finale possibilità di ulteriori consultazioni a tre non solo ai fini migliorare attuazione accordo ma anche risoluzione ogni possibile futura difficoltà in Zona A. Questa clausola, destinata a riaffermare la permanenza del principio di cooperazione a tre, è tuttavia stata accolta con grande freddezza da parte alleata. In attesa esame nostre obiezioni e richieste, riunioni verranno riprese mercoledì mattina con intesa che si cercherà di affrettare nei limiti del possibile i lavori.

Telefonerò domattina traduzione italiana nuovo testo3.


521 1 Vedi D. 507.


521 2 Del 19 aprile, non pubblicato.


521 3 T. segreto 4804/196 del 22 aprile, non pubblicato.

522

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 2176/1161. Londra, 21 aprile 19521.

Mio rapporto n. 2067/1103 del 16 corrente2 e telespresso n. 1984/1058 del 9 aprile3.

Ho riferito, con i citati rapporti, i commenti del Foreign Office sulle proposte Eden relative all’avvenire del Consiglio d’Europa ed il modo in cui – secondo il memorandum britannico – tali proposte potrebbero essere attuate.

Quello che desidero ora sottoporre all’attenzione dell’E.V. sono alcune considerazioni sugli aspetti più propriamente politici dell’iniziativa del segretario di Stato.

Dalle comunicazioni sinora ricevute, sia relative alla seduta del Comitato dei ministri, sia successivamente, mi sembra di rilevare che una presa di posizione «politica» netta e decisa vi sia stata soltanto da parte della Svezia. Per ciò che riguarda gli altri paesi, compreso il nostro, credo di poter riscontrare non tanto un giudizio sulle proposte quanto piuttosto delle riserve e preoccupazioni che vertono sul loro aspetto tecnico più che sulla loro portata politica.

La preoccupazione maggiore, almeno da quanto traspare dalle menzionate comunicazioni, sembra quella che l’accettazione delle proposte Eden possa in qualche modo ritardare l’entrata in vigore degli accordi per la C.E.C.A. e per la C.E.D.

Quanto al primo, ignoro se i paesi membri della Comunità condividano o meno l’impressione dei consulenti giuridici del Foreign Office (mio rapporto n. 1984/1058 del 9 corrente) che possa bastare una decisione di carattere amministrativo per consentire di adattare le proposte Eden al trattato ormai ratificato da quasi tutti i paesi membri. Per la C.E.D. il ritardo apparirebbe meno probabile, dato che il trattato non è ancora stato firmato e si potrebbe quindi inserirvi un articolo che renda possibile – ma non necessaria – l’attuazione delle proposte britanniche (eventuale partecipazione di osservatori a sedute del Comitato dei ministri o dell’Assemblea; eventuale dipendenza del Segretariato C.E.D. dal Segretario generale del Consiglio d’Europa).

Del resto il memorandum britannico ha già un carattere piuttosto lato e le proposte Eden non altererebbero le normali funzioni o la composizione di alcun organo dell’una o dell’altra Comunità, basti pensare, ad esempio, che – appunto perché lo statuto delle due Comunità prevede che le relative Assemblee siano di carattere elettivo – il memorandum del Foreign Office propone di consentire ai sei paesi interessati di farsi rappresentare all’Assemblea di Strasburgo da persone scelte attraverso vere e proprie elezioni anziché da parlamentari designati dalle rispettive Camere: si suggerisce cioè di adattare lo statuto del Consiglio d’Europa a quelli delle due Comunità, e non viceversa. Pertanto, se le discussioni sulle proposte britanniche non fossero tempestivamente concluse, nulla impedirebbe che la C.E.C.A. e la C.E.D. cominciassero a funzionare secondo il sistema originariamente previsto: salvo poi a subire eventualmente, in un secondo tempo, quelle modifiche costituzionali che apparissero necessarie per mettere in atto il suggerimento britannico. Molto opportuno è stato, a questo effetto, che il rappresentante italiano e quelli di altri paesi abbiamo posto l’accento sui ritardi cui le proposte di Eden potevano dare luogo: e non vi è dubbio che di tali obbiezioni è stato tenuto conto nella formulazione concreta del progetto inglese contenuta nel memorandum.

Ciò premesso, quello che mi sembra dovrebbe costituire l’elemento basilare nel considerare la convenienza o meno di accettare le proposte Eden, è quindi la sola valutazione delle loro conseguenze in campo politico.

Se si considera che funzione essenziale della C.E.D. sia quella di costituire il nucleo ed organo propulsore di una futura federazione fra gli Stati che ne sono membri, allora mi sembra che le proposte britanniche vadano giudicate in senso negativo. È logico infatti che l’inserimento di due importanti organi della federazione in un organismo internazionale a più vasta partecipazione e di carattere intergovernativo e consultivo rappresenti più un ostacolo che un incentivo a tale processo. D’altra parte, data l’avversione dell’Inghilterra a sottoporsi ad una autorità superiore, non ci si può troppo attendere che la sua collaborazione costituisca un contributo al consolidamento di quel carattere supernazionale che ha rappresentato uno degli elementi basilari della concezione originaria delle due Comunità.

Sempre in questo ordine di idee, si può temere che – con il sistema a circoli concentrici suggerito dagli inglesi – il circolo più largo (Comitato dei ministri o Assemblea consultiva a piena partecipazione) prenda il sopravvento su quello più ristretto (Comitato dei ministri o Assemblea in funzione C.E.D. e C.E.C.A.). Così come, per converso, si può anche pensare che sia invece il circolo più ristretto – che tratta argomenti di vitale interesse – a far passare in secondo piano quello più largo la cui competenza investe settori di ben minore importanza.

Vi sono però numerosi altri elementi da prendere in esame nel valutare la portata politica della iniziativa inglese e le sue possibili conseguenze. Uno che mi sembra non si debba trascurare, è la considerazione se l’iniziativa inglese sia suscettibile di ostacolare un successivo eventuale inserimento della Gran Bretagna nell’esercito europeo. A favore di tale ipotesi potrebbe addursi l’osservazione del mio collega svedese secondo cui l’accettazione delle proposte britanniche da parte dei paesi continentali – dando vita ad una forma di collaborazione fra Inghilterra e C.E.D. – renderebbe più comodo a Londra di giustificare la sua non partecipazione alla Comunità. L’osservazione sarebbe effettivamente fondata qualora il Governo inglese avesse necessità di trovare una simile giustificazione: ma di fronte a chi? Non di fronte agli americani e ai paesi dell’Europa continentale, dinanzi ai quali le proposte Eden già rappresentano un passo avanti rispetto all’atteggiamento tenuto dal Governo laburista. E meno ancora di fronte all’opinione pubblica inglese che è sempre stata ed è tuttora contraria alla fusione delle proprie forze armate con quelle di altri paesi, così come è sempre stata ed è tuttora contraria ad ogni forma di autorità supernazionale; il che è in funzione non soltanto del geloso orgoglio degli inglesi nei riguardi delle proprie istituzioni, ma anche probabilmente del fatto che essi sono stati abituati in passato a che fosse il loro Governo ad esercitare un’influenza politica sugli altri anziché subirla; donde l’esistenza in Inghilterra, ancor più che altrove in Europa, di una certa insofferenza nei riguardi degli americani. Mi sembrerebbe quindi molto azzardato di affermare che le proposte Eden possano effettivamente ostacolare un futuro maggior avvicinamento della Gran Bretagna alla C.E.D.

Che poi questo paese possa essere disposto, in un secondo tempo, ad entrare a far parte dell’esercito europeo è una cosa che appare per lo meno assai dubbia. Ma non bisogna trascurare il fatto che nell’atteggiamento inglese verso le istituzioni europeistiche vi è stata, specie da un anno a questa parte, una notevole evoluzione. Dai segretari di Stato laburisti a cui il ministro Sforza doveva raccomandare nel marzo 1951 che quando dicevano «no» in sede di Consiglio d’Europa lo dicessero almeno con un tono di rincrescimento anziché con aria di trionfo, siamo passati ad un Eden che non soltanto ha infiorato numerosi suoi discorsi con espressioni di simpatia verso tali organizzazioni, ma ha anche compiuto gesti concreti quali la concessione della garanzia alla C.E.D., il preannuncio di qualche forma di fusione delle forze aeree inglesi sul continente con quelle della Comunità di difesa, le proposte sull’avvenire del Consiglio d’Europa. La stampa inglese, per parte sua, ha fatto qualche passo avanti in questo senso; ed una rivista seria e posata come l’Economist comincia a scrivere che l’Inghilterra dovrebbe fare anche di più. Non è detto che l’opinione pubblica si convinca: ma è più facile che ciò avvenga se il Governo inglese collabora già ad alto livello politico con la C.E.D. che non se ne rimane totalmente estraneo.

Un altro aspetto di una certa importanza è quello della funzione che una collaborazione britannica con la C.E.D., limitata più o meno alle forme suggerite nel memorandum, può avere sull’equilibrio della Comunità. Al di fuori delle manifestazioni ufficiali più o meno ottimistiche, è un fatto che – sopratutto in Francia – serpeggia il timore che la Germania possa poco a poco, attraverso la sua indiscutibile efficienza ed eventualmente appoggiandosi sugli americani che talora mancano di sensibilità nei riguardi della psicologia europea, prendere il sopravvento sugli altri membri della Comunità. Se questa possibilità esista soltanto nelle fantasie di coloro che avversano l’esercito europeo o vivono nel costante incubo di una reviviscenza della aggressiva prepotenza tedesca che tutti abbiamo conosciuto, è cosa che non ho elementi sufficienti per giudicare: tanto più che non dispongo nemmeno del testo del progetto di trattato per la C.E.D. dal quale meglio si potrebbe rilevare in che modo un paese membro potrebbe alterare – volendo – l’equilibrio dell’organizzazione. Se tale timore ha effettivamente qualche fondamento, ciò potrebbe spiegare il favorevole atteggiamento verso le proposte britanniche riscontrato in questi giorni all’ambasciata di Francia.

Un altro elemento infine che può entrare in considerazione a seconda delle circostanze, è la valutazione se l’assicurazione di una sia pur limitata collaborazione inglese valga o meno a influenzare il Parlamento francese in senso favorevole alla ratifica del trattato per la C.E.D. Dai rapporti di Quaroni rilevo infatti che vi sono ancora molte preoccupazioni e dubbi sull’atteggiamento che potrà assumere il Parlamento francese in sede di ratifica. Non so se, a calmare tali apprensioni, basti la dichiarazione che Stati Uniti, Regno Unito e Francia dovrebbero emanare all’atto della firma degli accordi contrattuali (e che conterrebbe un’affermazione del vivo interesse anglo-americano all’integrità ed efficienza della C.E.D.); tanto più che della dichiarazione non ho visto menzione nei rapporti di Parigi e di Washington sinora ritrasmessi da codesto Ministero. Nel caso però in cui essa fosse considerata insufficiente in Francia, le proposte britanniche potrebbero rappresentare un effettivo contributo alla entrata in vigore del trattato della C.E.D., senza la quale i piani su cui si basa la difesa atlantica subirebbero una gravissima scossa.

In conclusione, per chi consideri essenziale la nascita più o meno prossima di una Comunità federativa europea, la proposta inglese è da scartare perché quanto meno complica, e probabilmente ostacola, il processo di sviluppo della C.E.D. in tale senso.

Per chi non creda che tale sviluppo avrà effettivamente luogo e lo veda prospettato soltanto nel lontano futuro, può anche sembrare migliore partito l’accettare le proposte britanniche nella speranza di poter attirare gradualmente l’Inghilterra nell’esercito europeo.

Altri infine potrebbero vedere con favore l’avvicinamento dell’Inghilterra alla C.E.C.A. e alla C.E.D. nella forma proposta da Eden o perché ritengono che una più stretta collaborazione non sia possibile o perché considerano che senza tale avvicinamento non si conseguirebbe la ratifica del trattato C.E.D. da parte del Parlamento francese.

Se i primi possono apparire ottimisti, i secondi potrebbero essere delusi nei loro calcoli, mentre gli ultimi accetterebbero di avvalersi di un sistema macchinoso per ottenere una collaborazione che – ove si prescinda dalla questione della ratifica del trattato C.E.D. – appare contenuta entro limiti ristretti.

Fatto è che l’istinto e la tradizione politica britannica non si smentiscono neppure in questa occasione: essi sono irresistibilmente portati a stare – ad un tempo – dentro e fuori d’Europa, e questo atteggiamento determina il carattere complesso e involuto delle loro iniziative, anche se inspirate da una sincera buona volontà4.


522 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


522 2 Vedi D. 506.


522 3 Non pubblicato.


522 4 Vedi D. 539.

523

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. segreto 3893/162. Roma, 22 aprile 1952, ore 21.

Suoi 193, 1961.

Convengo nell’apprezzamento di V.E. che nuovo testo costituisce sensibile miglioramento su quello precedente. Tuttavia rilevo che tale miglioramento risulta più da chiarimenti fornitile (e di cui al telegramma 193) che non dal testo medesimo il quale, sopratutto ai fini presentazione, non dà esatta idea portata vantaggi che conseguiremmo. E poiché nell’applicazione accordo G.M.A. farebbe riferimento a testo accordo più che a chiarimenti datici nel corso discussioni, sembrami necessario che chiarimenti stessi vengano incorporati nel progetto accordo che pertanto dovrebbe risultare maggiormente dettagliato. In particolare mi parrebbe importante che risulti chiaramente passaggio o concentramento in funzionari italiani funzioni già spettanti ai noti tre organi: direttore affari civili, direttore affari interni (eventualmente senza polizia) e direttore affari economici e finanziari. Attiro poi sua attenzione su punto sesto ultimo periodo che implicherebbe abbandono nostra tesi secondo cui Comando militare non (dico non) ha facoltà cambiare legislazione vigente se non nei limiti riconosciuti da Convenzione Aja.


523 1 Vedi D. 521.

524

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 4810/388. Parigi, 22 aprile 1952, ore 16,05(perv. ore 16,30).

Alphand ha dichiarato che lavori Conferenza, compresa revisione articoli, dovranno essere ultimati entro 2 maggio in modo che trattato possa essere parafato dai capi delle sei delegazioni entro 3 giorni per essere poi, dopo intervallo diecina giorni, sottoposto firma ministri.

Osservatore americano mi ha comunicato che, contrariamente quanto finora previsto, accordi contrattuali verrebbero firmati a Bonn e trattato C.E.D. giorno successivo a Parigi perché massima parte risposte vari paesi a nota Acheson1 propensa tale soluzione.

In riunione odierna è stato approvato il progetto di trattato tra Inghilterra e Stati membri della C.E.D., che era stato preparato dal Comitato giuridico, con la partecipazione di un rappresentante inglese. Osservatore inglese ha fatto presente che approva progetto, ma non essendo giurista era costretto sottoporlo ancora Foreign Office che era d’accordo su sostanza trattato, avrebbe al massimo potuto chiedere qualche modifica carattere formale.

È stato poi riesaminato articolo 46, che tratta composizione Assemblea ed a cui a suo tempo era stata posta una riserva italiana.

Maggioranza Conferenza si è mostrata decisa identificare integralmente e completamente Assemblea C.E.D. con quella Schuman, dando in questo modo soltanto limitati poteri ai deputati «supplementari». Dopo lunga e faticosa discussione, protrattesi per oltre due ore e in cui ci siamo trovati del tutto isolati, siamo tuttavia riusciti ad ottenere nuovo testo che a mio parere presenta per noi compromesso accettabile. Infatti nuovo articolo 46 precisa che Assemblea C.E.D. è Assemblea piano Schuman, completata, per quanto riguarda Germania, Italia, Francia, di tre delegati eletti nello stesso modo e per la stessa durata degli altri ed Assemblea così costituita eserciterà i poteri che le verranno conferiti dal trattato C.E.D., ed avrà inoltre potere eleggere il proprio presidente e Segreteria e stabilire proprio regolamento interno.


524 1 Vedi D. 510, nota 1.

525

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 4829/283. Washington, 22 aprile 1952, ore 14,22(perv. ore 23).

Mio 2781.

In odierno colloquio con Perkins ho nuovamente ed energicamente attirato sua attenzione su gravissimi aspetti politici conversazioni Londra. Gli ho detto che debolezza anglo-americana verso Jugoslavia ha creato atmosfera tale per cui, se dette conversazioni non dessero risultato soddisfacente, si verificherebbero a Trieste ed in Italia reazioni infinitamente più serie delle manifestazioni artificialmente inscenate Belgrado. Gli ho fatto constatare evidente inadeguatezza proposte anglo-americane ad assoluta necessità affrontare problema con impostazione del tutto diversa e ben altrimenti coraggiosa.

Perkins mi ha assicurato che Governo americano, rendendosi pienamente conto esigenze italiane nutre soltanto due preoccupazioni:

1) evitare che con totale trapasso poteri Zona A ad Italia, questa appaia perdere anche soltanto di fatto suoi diritti su Zona B;

2) salvaguardare responsabilità forze anglo-americane per sicurezza Zona e pertanto poteri inerenti a tale responsabilità.

Gli ho detto che prima preoccupazione è condivisa da Governo italiano e che seconda è da esso ritenuta legittima purché contenuta in limiti tali da non impedire necessario mutamento sostanziale della attuale Amministrazione.

Perkins ha concluso col consegnarmi nuovo progetto2 che egli dice essere stato redatto Londra in ultime conversazioni ed essere assai migliore di quello precedente. A prima lettura tale testo non (dico non) mi sembra sostanzialmente diverso da quello precedente, salvo per quanto riguarda nomina «direttore affari interni» italiano. Tuttavia potrebbe offrire spunto per controproposte italiane.


525 1 Del 21 aprile, con il quale Tarchiani aveva comunicato di aver inviato una lettera personale ad Acheson sulla questione oggetto del presente telegramma. Vedi D. 537.


525 2 Vedi D. 521.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 3974/204. Roma, 24 aprile 1952, ore 20,35.

Conversazioni Londra sono entrate in fase conclusiva. Poiché è di estrema importanza forma presentazione che ne verrà fatta a nostra opinione pubblica pregola raccomandare costì che nessuna (ripeto nessuna) indiscrezione venga anticipata e che si continui a mantenere segreto. Segnali costì ancora nostro disappunto per atteggiamento delegazione americana che anche in Comitato redazione si mostra estremamente formalistica con nessun senso comprensione psicologica1.


526 1 L’ultimo paragrafo è di pugno di De Gasperi. Per la risposta vedi D. 528.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 51/122. Roma, 24 aprile 1952.

Il ministro del tesoro, che avevo messo al corrente sia del malcontento americano per il ritmo di esecuzione dell’art. 78 e sia delle reazioni negative del Dipartimento di Stato alle nostre fondamentali richieste in materia di revisione di clausole economiche del trattato di pace1, mi ha diretto la lettera n. 2470 del 5 aprile corrente, di cui le unisco copia (allegato 1)2.

Un estratto della lettera anzidetta è stato inviato a questo incaricato d’affari degli Stati Uniti con la comunicazione parimenti qui unita (allegato 2)2.

Il ministro Pella innanzitutto conferma e documenta il contenuto del mio dispaccio n. 45/0097 del 28 marzo u.s.2, cioè quanto da parte italiana si è fatto e si continua a fare in materia di esecuzione dell’articolo 78.

In relazione alle insistenze americane, di cui da ultimo al rapporto dell’E.V. numero 4175 del 2 corrente2, ella può dunque tornare ad assicurare il Dipartimento di Stato che, lungi dal servirci della sospensione del 78 per fare pressioni revisionistiche, noi continuiamo ad eseguirlo con il ritmo abituale, che non possiamo per altro modificare per le ragioni già espostele.

Per quel che concerne il terzo arbitro,V.E. può dire che, allorquando ce ne venisse richiesta la nomina per una determinata controversia, noi saremmo disposti a procedervi di volta in volta, come previsto e nei limiti dell’art. 83, regolandoci come nei riguardi degli altri Stati. E ciò nonostante quanto rileva il ministro Pella sulle Commissioni di conciliazione che noi consideriamo tipicamente discriminatorie.

Questa nostra linea di condotta di osservanza degli obblighi impostici, indica che, non solo in tema di 78 ma anche in tema di 83, noi, anziché premere con atti, facciamo per ora presenti le nostre ragioni. Ma, dopo la dichiarazione di Ottawa3, questo limite della nostra condiscendenza non può essere superato, poiché è almeno da tener presente che la istituzione in territorio italiano di un tribunale permanente di giudici in maggioranza stranieri, davanti al quale il convenuto sarebbe regolarmente lo Stato italiano per rapporti di natura privatistica, non farebbe che aggravare quanto ci ha imposto l’art. 83 andando oltre lo stesso trattato di pace.

Mentre conto sull’opera di V.E. per mettere nel dovuto rilievo tutto quanto precede, prendo atto di quello che ella mi ha comunicato circa la soluzione forfetaria del 78, patrocinata ora dal sig. Summer, e mi riservo comunicazioni al riguardo; come pure mi riservo di farle pervenire ulteriori istruzioni circa la questione della revisione dopo averla riesaminata con il ministro Pella4.


527 1 Vedi da ultimo il D. 426.


527 2 Non pubblicato.


527 3 Testo edito in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 39, p. 757.


527 4 Con R. 5854 del 5 maggio Tarchiani rispose di aver comunicato il contenuto delle presenti istruzioni al Dipartimento di Stato che, nel prenderne atto, aveva tuttavia ribadito il proprio punto di vista. Per il seguito vedi D. 581.

528

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 5239. Washington, 24 aprile 19521.

Dai telegrammi di V.E. dei giorni scorsi2 ho rilevato che, almeno in un primo tempo, l’atteggiamento della delegazione americana a Londra è apparso, alla nostra, più rigido di quello della delegazione britannica. Ho già telegrafato che il Dipartimento di Stato nega recisamente questa circostanza.

Si tratta, naturalmente, di valutazioni spesso soggettive e comunque difficili a controllare, soprattutto mentre le conversazioni procedono. Pertanto, mentre continuo a premere qui per tutte le vie possibili affinché il Governo americano venga maggiormente incontro alle nostre richieste, e mentre mi riservo di riferire telegraficamente ogni eventuale utile elemento, ritengo utile descrivere con una certa ampiezza la posizione generale degli Stati Uniti verso la Jugoslavia, quale mi risulta anche da ottime e recentissime informazioni.

Nella questione delle conversazioni di Londra, la preoccupazione delle reazioni jugoslave ha giocato assai meno di quanto non si creda. La prudenza, se tale si può chiamare, del Dipartimento di Stato è stata essenzialmente dovuta alle due preoccupazioni espostemi da Perkins. In primo luogo, quella relativa alle responsabilità del Governo Militare Alleato: il Dipartimento di Stato crede che un troppo radicale mutamento dello status quo, lungi dal creare una situazione più tranquilla, faciliterebbe in loco il prodursi di manifestazioni clamorose ed incontrollate e che il Governo Militare Alleato, privato dell’autorità di prevenirle, sarebbe costretto a reprimerle con conseguenze serie. In secondo luogo, quella relativa alle ripercussioni in Zona B della riforma da adottarsi in Zona A: il Dipartimento di Stato teme che Tito tragga pretesto dalle conversazioni di Londra per espellere in più larga misura ed opprimere maggiormente gli italiani della Zona B, mutando colà a suo vantaggio, di fatto quantunque non di diritto, la situazione attuale e pertanto peggiorando la nostra posizione nelle trattative per la soluzione definitiva del problema.

Dico questo, non già per avallare la tesi americana, ma per spiegare che il Dipartimento di Stato, se è scettico sull’utilità della riforma politico-amministrativa in Zona A, lo è nell’interesse dell’Italia assai più che della Jugoslavia.

Alla tesi americana si può, naturalmente, obbiettare che nessuna delle due sopraesposte preoccupazioni sussisterebbe qualora gli Stati Uniti avessero un più fermo atteggiamento verso Tito; ma qui interviene quella posizione generale degli Stati Uniti, alla quale accennavo più sopra e che qui di seguito espongo, parimenti a titolo di spiegazione e non di avallo.

Gli «architetti» della politica estera americana (Harriman, Acheson, il planning staff del Dipartimento, gli esperti dell’Europa orientale e, last but not least, Perkins) non si fanno illusioni sul carattere totalitario del regime di Tito, ma sono convinti che l’avvicinamento della Jugoslavia all’Occidente, non solo come collaborazione economico-militare in vista del comune pericolo sovietico, ma anche come evoluzione interna in senso democratico, è nell’ordine naturale delle cose e potrebbe essere compromessa soltanto da una imprudente pressione americana, che tendesse ad accelerarla con l’esigere immediati mutamenti di indirizzo politico (sul problema di Trieste e in altri campi) in cambio degli aiuti economici e militari.

Quegli «architetti» partono dalle seguenti considerazioni, per loro assiomatiche. Primo: la rottura tra Belgrado e Mosca è definitiva. Secondo: in caso di guerra, la Jugoslavia, se sufficientemente armata, si batterebbe valorosamente perché l’attacco sovietico sarebbe sentito come un pericolo mortale, tanto dalla piccola minoranza fedele a Tito, quanto dalla maggioranza del popolo. Terzo: la collaborazione con l’Occidente rende inevitabile il graduale mutamento del regime politico jugoslavo.

Sui modi e sui tempi di tale mutamento, le opinioni degli americani sono, naturalmente, meno precise. Per il momento, gli americani sono favorevolmente impressionati dalla libertà con la quale i turisti e i giornalisti americani e stranieri circolano in Jugoslavia e dalla scarsa o nessuna limitazione posta colà alla propaganda occidentale. In particolare, il Dipartimento di Stato, frustrated dall’impossibilità di far penetrare la propaganda americana oltre la «cortina di ferro», è entusiasta di poterle dare libero corso in Jugoslavia.

Per quanto riguarda gli ulteriori sviluppi della situazione, gli americani ritengono che attorno a Tito non vi sia soltanto un gruppo di comunisti irriducibili, pronti ad accettare i denari e le armi degli Stati Uniti, ma restii ad abbandonare la loro ideologia, e che, per contro, vi sia anche un gruppo di comunisti in via di ... conversione alle idee della democrazia. Credono quindi che Tito, sapendo di non godere del favore popolare, sia costretto ad appoggiarsi ai primi, soltanto perché i secondi sono troppo deboli, ma tenda a rafforzare gradualmente questi per poi liberarsi di quelli. In altri termini, Tito starebbe prudentemente cercando di costruirsi una nuova piattaforma politica. Cosicché sarebbe pericoloso disturbarlo durante questa delicata operazione.

È facile vedere quanto vi sia di ingenuo in queste idee. È facile altresì immaginare chi lavora a diffonderle.

Allen, durante il suo lungo soggiorno qui, ne è stato certamente un attivo propagandista. L’ho visto varie volte di sfuggita, ma si è sottratto di proposito ai miei tentativi di avere con lui una conversazione sulle cose jugoslave e sulle cose di Trieste. Anche i rappresentanti di Tito si adoperano nello stesso senso, non senza una certa abilità e conoscenza della mentalità americana. Ad esempio so che recentemente Perkins è stato invitato a pranzo dall’ambasciatore jugoslavo Popović e vi ha incontrato Bebler, il quale gli ha tenuto presso a poco questo discorso:

«Noi comunisti titoisti siamo stati per quasi tutta la vita dei fuorilegge, dei rejetti, delle vittime della reazione. Il poco che sapevamo del mondo occidentale era ciò che ci diceva la propaganda di Mosca o ciò che vedevamo accadere sotto la dittatura di destra nel nostro paese. Siamo adesso per la prima volta a contatto col vero mondo democratico. Cominciamo a riconoscerne i pregi. Siamo inclini ad imitarlo, sia pure gradualmente e nei limiti del possibile, ma ... ci dovete dare tempo». Questo discorso, naturalmente, ha assai impressionato Perkins.

Non occorre aggiungere che io e i miei collaboratori non tralasciamo alcuna occasione di mettere in luce la infondatezza e la pericolosità della maggior parte delle idee sopra descritte.

Esse peraltro sono qui assai ben radicate ed ho creduto opportuno esporle ampiamente a chiarimento di certi atteggiamenti americani e per conoscenza del nostro ministro a Belgrado.

Aggiungo che la sorpresa di fronte a certe ingenuità americane scema notevolmente quando si constata che persone, le quali dovrebbero essere assai più agguerrite contro l’astuzia dei dittatori, si mostrano in realtà anche più ingenue (vedansi, ad esempio, le dichiarazioni di Guy Mollet, segnalate dalla legazione a Belgrado e trasmessemi col telespresso ministeriale n. 14/5919/c. del 21 corr.)3.


528 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


528 2 Vedi DD. 520 e 526.


528 3 Non pubblicato.

529

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 811. New York, 26 aprile 1952(perv. il 29).

Il rapporto tra l’O.N.U. e il problema tedesco, il massimo e il decisivo problema politico del nostro tempo, verte in realtà su un solo punto; cioè se le elezioni generali in tutta la Germania che tanto la Russia che gli Alleati proclamano ora di voler realizzare abbiano ad essere condotte sotto l’egida di una commissione apposita creata dall’O.N.U., come propongono gli Alleati, oppure sotto il controllo di una commissione composta dalle quattro potenze occupanti, come vorrebbe la Russia. Nonostante il rumore che si fa attorno a questo diverbio è chiaro che esso ha soltanto una portata secondaria, e di metodo piuttosto che di sostanza, e sarebbe suscettibile, con un minimo di reale buona volontà, di essere rapidamente composto per via di compromesso.

Tuttavia, e per quanto nessuno qui si faccia la minima illusione che l’O.N.U. possa essere di qualsiasi utilità come strumento diplomatico, anche ausiliario, nel risolvere la situazione tedesca, l’interesse per il problema generale è enorme. Mi propongo di esporre il più fedelmente possibile le idee che ho sentito qui manifestare; non le più correnti che, come è naturale, non si discostano dalle approssimazioni generiche e dalle tesi di propaganda che ognuno può leggere, con sì scarso profitto, sui giornali, ma quelle che a me sembra si accostino con sincerità e onestà al problema.

Da ogni parte si sente parlare di «offensiva di pace» sovietica. L’espressione è familiare, la cosa non è nuova, l’esperienza fatta con precedenti manovre del genere del tutto negativa.

E sebbene questa sia una «opinione corrente» tipica, bisogna pur riconoscere che contiene un grano di verità. È evidente infatti che, se questa offensiva fallisse, la Russia avrà raggiunto almeno un suo scopo fisso che probabilmente non è, per questa volta, il suo principale, ma che tuttavia non è disprezzabile; assai più che con le precedenti note, interviste Stalin, campagne stampa, accuse di atrocità e via dicendo, le sarà riescito di disorganizzare e demoralizzare politicamente l’Occidente. La reazione più naturale è perciò di trattare questa come le altre, badando soltanto a rispondere agli argomenti avversari con argomenti altrettanto demagogici, e apprestati sopratutto con un occhio al loro effetto sulle masse.

Coloro che così ragionano si fanno anche gran merito, con poca fatica, di dimostrare che gli scopi politici e propagandistici della Russia sono invariati, e che ora come prima essa mira ad impedire l’inserzione della Germania nel sistema di difesa occidentale; prima con le minacce alternate alle blandizie, ora con promesse che in realtà sovvertono tutta la sua – e la nostra – politica tedesca. La questione però non è affatto di sapere se la Russia abbia mutato i suoi obiettivi (il che sarebbe, oltre che irrilevante, un caso ben singolare), bensì di accertare quale prezzo, quale nuovo prezzo, la Russia sia disposta a pagare per raggiungere i suoi vecchi obiettivi. La questione è inoltre di accertare quale nuovo prezzo noi saremmo costretti a pagare per difendere antiche posizioni; e di esaminare se l’impresa valga tal prezzo.

È chiaro oramai che le due note russe1 (l’intervista di Stalin e la Conferenza economica di Mosca2 sono da considerarsi elementi interessanti ma tuttavia accessori della manovra generale) hanno gettato in una profonda crisi la politica tedesca perseguita in questi ultimi tre anni dalle potenze occidentali. Questa politica si basava su una premessa e su alcune presunzioni. La premessa era che le divisioni tedesche fossero indispensabili per allontanare dall’Europa la minaccia di una invasione russa. Le presunzioni erano, in ordine:

a) che i tedeschi della Germania occidentale, cioè di un troncone di Germania, volessero riarmarsi;

b) che volessero incorporare le loro forze armate così ricostituite nel cosidetto esercito europeo;

c) che volessero inserire il loro troncone di patria nel sistema difensivo dell’Europa occidentale.

A riprova del fatto che la premessa era, e rimane, esatta si adduce trionfalmente che la manovra russa conferma quanto Mosca teme il riarmo di una Germania alleata dell’Occidente. La dimostrazione è però tutt’altro che rigorosa. Ciò che ha ristabilito, e speriamo invertito, il rapporto di forze non sono le divisioni che l’Alleanza atlantica ha potuto sinora mettere in campo, né quelle che potrebbe allineare domani, anche con l’aiuto tedesco. Il fattore decisivo è rappresentato dal colossale riarmo americano, i cui effetti potenziali, cioè la possibilità di portare in brevissimo tempo dal livello presente al suo massimo la produzione di materiali bellici, sono ben più importanti di quelli già in atto. Il riarmo della Germania occidentale avrebbe però per effetto, agli occhi della Russia, di creare una situazione nella quale la colossale forza strategica americana sarebbe messa al servizio, per così dire, di una politica tedesca che, nelle attuali condizioni di divisione della Germania, non potrebbe essere altro che aggressiva.

Quanto alle presunzioni circa lo stato d’animo tedesco, che costituiscono naturalmente una condizione indispensabile per l’attuazione della politica in programma, nessuno si fa più illusioni. L’opinione universale negli ambienti dell’O.N.U. è che un referendum popolare, anche se limitato alla sola Germania occidentale e senz’altra alternativa che quella dell’alleanza con l’Occidente, non fornirebbe, in questo momento, una convalida della politica di Adenauer; ma che delle elezioni generali impostate sulle proposte russe avrebbero per effetto immediato di rovesciare il Gabinetto di Bonn. Quella che è entrata ora in profonda crisi è dunque una politica tedesca delle potenze occidentali fondata su una premessa discutibile e su presunzioni dimostrabilmente errate. Per attuare questa politica occorre negare ai tedeschi la facoltà di ricostituire in unità il proprio paese, anche se mutilato delle provincie orientali, di avere delle forze armate e una politica estera nazionale, e di commerciare con l’Oriente. Questo è infatti il senso, se non la lettera, della risposta alleata3; e che la proposta russa sia falsa o sincera non influisce in nulla su questa disgraziata situazione. Anzi, è proprio da queste circostanze che si va sviluppando sotto i nostri occhi una situazione tra le più paradossali e le più pericolose che si siano mai viste. Gli Alleati da una parte, il Gabinetto Adenauer dall’altra, stanno accelerando al massimo la conclusione di quegli accordi politici e militari che dovrebbero consacrare, contro il sentimento popolare tedesco, la divisione permanente della Germania, il riarmo della zona occidentale e la sua incorporazione nella comunità di difesa atlantica.

E, in grazia della rigidità e forza d’inerzia che caratterizzano la politica occidentale, nonché del funzionamento del sistema costituzionale tedesco, non è escluso che questo singolare obiettivo possa essere materialmente raggiunto. Si direbbe quasi che tutto questo si riduca ad una questione di tempo, ad una corsa contro il tempo; e che la firma degli accordi abbia a segnare la fine della crisi, non l’inizio di una nuova e più grave.

Ora, nessuno ha mai pensato seriamente che si potesse riarmare la Germania occidentale e inserirla nel sistema di difesa atlantica senza compromettere per sempre le speranze di riunire un giorno le due zone tedesche. Allorché nel Consiglio atlantico del settembre 19504, a New York, gli Stati Uniti manifestarono improvvisamente la loro volontà di riarmare la Germania, questa considerazione fondamentale, è da sperare, era presente allo spirito di tutti. La proposta apparve tuttavia giustificata in quel momento dalla costatazione che la politica russa non offriva, alla Germania come a noi, altra alternativa. Era quello il prezzo che l’Occidente era disposto a pagare per assicurare un minimo di difesa dell’Europa. Dirò di più: la decisione discussa in quel Consiglio, e che del resto, a due anni di distanza, non ha avuto ancora neppure un principio di realizzazione, ebbe però il grande merito di forzare, è veramente il caso di dirlo, di forzare la Russia a rivedere le sue posizioni. L’elemento nuovo nella situazione di oggi è rappresentato appunto dal fatto che la Russia, che sinora aveva creduto di individuare la sua migliore garanzia di sicurezza e di libertà d’azione politica nell’impotenza della Germania, è stata finalmente costretta a cercare in una situazione completamente diversa, e anzi capovolta, le stesse garanzie. Possibilmente, una manovra del genere era stata sempre prevista, e tenuta in riserva per tutti questi anni. Comunque questo è il prezzo che la Russia si dichiara disposta a pagare. E non è un prezzo indifferente, tutt’altro. Non è né più né meno che il sacrificio, nel punto più sensibile, della fascia di sicurezza della quale la Russia tradizionalmente si circonda.

In caso di elezioni generali il Gabinetto Adenauer sarebbe indubbiamente rovesciato; ma il nuovo Governo, altrettanto indubbiamente, non sarebbe comunista. Basta il rapporto numerico tra Germania occidentale ed orientale a darcene la sicurezza matematica. E nonostante tutte le affermazioni gratuite che si leggono in questi giorni nei giornali è dubbio se la Russia potrebbe affermare la propria influenza in questa nuova Germania. Il richiamo storico degli accordi di Rapallo e del Patto Ribbentrop-Molotov è tutt’altro che concludente, perché tanto l’accordo del ’22 quanto quello del ’39 ebbero scarsissima vitalità e durata. Né si vede bene come una Germania «neutrale» potrebbe mai sottrarsi interamente all’influenza politica ed economica degli Stati Uniti. Tanto meno si vede come una Germania le cui aspirazioni e rivendicazioni territoriali ed economiche sarebbero tuttora rivolte ad Oriente potrebbe un giorno far causa comune con la Russia per muover guerra in Occidente.

Comunque, si osserva, sarebbe ozioso negare a priori la possibilità astratta di questi e altri sviluppi sui quali è lecito speculare all’infinito. Ma si tratta, appunto, di speculazioni.

Ora in politica, a differenza di quanto avviene nel giuoco di scacchi dove le mosse e le combinazioni sono in numero finito, è impossibile prevedere con certezza sviluppi lontani e necessariamente complessi. È ampiamente possibile però, in alcuni casi, prevedere con quasi matematica approssimazione le conseguenze di un determinato atto. Le conseguenze politiche di una Germania riunita e indipendente possono essere praticamente infinite.

Sono quelle che deriverebbero in ogni caso da una normalizzazione della situazione internazionale, e nessuno può onestamente affermare di essere in grado di prevederle, tanto più che esse dipenderanno in buona parte da noi stessi, dalla politica che sapremo condurre di fronte a questa Germania. Ma le conseguenze di una Germania irreparabilmente divisa (e gli Accordi di Bonn avrebbero per effetto di dividerla irreparabilmente) sono tutte prevedibili e fatali. Sinché la Germania sia divisa, non vi può essere né pace, né speranza di pace.

È importante, si ritiene qui, individuare con la massima chiarezza queste posizioni di base. In una situazione grave e acutamente critica come quella nella quale ci dibattiamo la confusione di idee può essere molto più pericolosa di una politica coscientemente audace che calcola e accetta a ragion veduta tutti i rischi indispensabili.

Di una tal confusione non mancano alcuni preoccupanti indizi. La risposta degli Alleati alla prima nota tedesca [sic] è stata, come è noto, negativa nella sostanza, equivoca nella forma. Né l’equivoco ha l’aria di volersi dissipare. Il segretario di Stato, parlando il 19 di questo mese a un banchetto di direttori di giornali ed accennando alla risposta che si darà nei giorni prossimi alla seconda nota russa5, ha fatto capire che l’impostazione sarà di «vigorosa opposizione alla richiesta sovietica che il futuro Governo tedesco non possa partecipare al piano difensivo dell’Europa occidentale». Sin qui la posizione è negativa, ma è almeno chiara; tutti vediamo dove si va a finire. Senonché, egli ha poi proseguito testualmente:

«L’Unione Sovietica vorrebbe far credere ai tedeschi che vi è contraddizione tra l’unificazione dell’Europa occidentale e quella della Germania. Non vi è contraddizione. La Germania può essere unita e libera come un membro di pieno diritto della libera comunità europea».

Quest’ultima è una proposizione di cui sarebbe difficile, temo, dimostrare l’esattezza. Non è con argomenti di questo genere che si può sperare di consolidare le pericolanti posizioni della politica alleata, né, tanto meno, di arginare la crisi politica all’interno della Germania.

Un altro esempio che ci riguarda più da vicino è fornito dall’articolo dedicato al problema tedesco dalla rivista «Esteri», alla quale spesso si attribuisce, forse a torto, autorità ufficiosa.

Ora non mi sembra che i tre punti che vengono in tale articolo rilevati, e gli sviluppi dialettici che se ne deducono (mi riferisco al testo che leggo nel bollettino Ansa), trovino rispondenza nella situazione reale.

La cosa non varrebbe neppure la pena di essere segnalata se veramente, come si direbbe a leggere i nostri giornali, l’unico problema della politica estera italiana fosse costituito da Trieste e dalla Zona B. Purtroppo le cose non stanno così. Il problema tedesco è un problema ben più importante e, oserei dire, di più diretto interesse per i destini del paese. E anche se la sua particolare impostazione tecnica, per cui esso viene deferito alla competenza delle sole quattro potenze occupanti, ci esime dall’obbligo formale di prendere apertamente posizione, la crisi che ora si è aperta potrebbe avere anche da noi profonde ripercussioni che non ci debbono trovare impreparati6.


529 1 Vedi DD. 424 e 501.


529 2 Vedi DD. 216, 416, 445 e 503.


529 3 Vedi DD. 456 e 462.


529 4 Vedi serie undicesima, vol. IV, Tavola metodica, Questioni, Patto dell’Atlantico del Nord, sedute del Consiglio atlantico.


529 5 Vedi D. 501, nota 5.


529 6 Il documento reca la seguente annotazione di Zoppi: «Mi pare che Guidotti avrebbe ragione se si cercasse un “appeasement” al minor costo possibile. Ma la politica occidentale è in primo luogo diretta a garantire il massimo di possibilità difensiva all’Europa e su questa via è necessario procedere sino a meta raggiunta. Poi si vedrà».

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 4105/214. Roma, 29 aprile 1952, ore 22,30.

Accordo in gestazione a Londra per Trieste contempla dichiarazione tre Governi (inglese, americano ed italiano) relativa rispetto diritti umani in Zona A. Da parte nostra abbiamo subordinato accettazione tale principio a che in un comunicato a parte sia in qualche modo affermato – con formula da concordarsi – principio medesimo anche per quanto riguarda Zona B. Delegazione americana che in primo tempo non (dico non) aveva sollevato obbiezioni, ha oggi formulato ampie riserve su possibilità che codesto Governo accetti nostra richiesta. V.E. vorrà appoggiarla costì rappresentando evidenti ripercussioni che avrebbe, di fronte riaffermazione principio suddetto per Zona A, silenzio che a tale riguardo verrebbe mantenuto circa Zona B dove diritti umani vengono quotidianamente violati. Richiami anche dichiarazioni fatte da delegato americano Austin al Consiglio di sicurezza sin dal febbraio 1949.

531

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto per telefono 5143/215. Londra, 29 aprile 1952, ore 21,30.

Trasmetto ultima redazione memorandum Trieste con seguenti avvertenze:

Punto secondo. Accettazione frase tra parentesi quadra è stata da noi condizionata all’inclusione nel comunicato finale di adeguata affermazione riferentesi Zona B. In proposito mi riferisco al mio colloquio telefonico di stasera con segretario generale.

Punto quinto. Sul titolo da dare al funzionario italiano più elevato in grado si attende ancora la scelta alleata tra i due menzionati.

Punto otto. L’intero paragrafo è tuttora in sospeso nell’attesa di una definitiva risposta da parte alleata. Se la risposta sarà di accettazione l’articolo rimarrà (salvo qualche modifica di dettaglio) e fra gli Uffici elencati all’articolo 5 (cinque) andranno aggiunti il porto e le poste e telecomunicazioni. Se invece la risposta alleata sarà negativa, nel senso che essi intendono lasciare porto e telecomunicazioni alle dirette dipendenze del comandante di Zona, l’articolo verrà soppresso e l’ultimo periodo (controlli di …) andrà in coda all’attuale articolo 10 (dieci).

Allegato

PROGETTO DI MEMORANDUM DI INTESAFRA I GOVERNI DEL REGNO UNITO, DEGLI STATI UNITI E DELL’ITALIANEI RIGUARDI DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA ZONA A DEL T.L.T.1

1) In armonia con la decisione annunziata il 27 marzo 1952, rappresentanti dei Governi italiano, britannico ed americano, hanno esaminato in dettaglio la struttura ed il funzionamento attuali del Governo militare in Zona A nell’intento di giungere a provvedimenti per una più intima collaborazione tra di loro e con le autorità locali nella amministrazione della Zona. I tre Governi hanno approvato le seguenti conclusioni ed intese raggiunte dai loro rappresentanti.

2) I tre Governi sono partiti dalla premessa, da tutti condivisa, che questi provvedimenti debbono essere di natura tale da non pregiudicare la soluzione finale relativa all’avvenire del Territorio nel suo insieme (e da continuare ad assicurare a tutti gli abitanti della Zona il godimento dei diritti civili e delle libertà fondamentali senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione).

3) I tre Governi riconoscono che, poiché i Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito mantengono le responsabilità nei riguardi dell’Amministrazione della Zona A che derivano loro dal trattato di pace con l’Italia, particolarmente dal suo annesso VII, il comandante delle truppe americane e delle truppe britanniche conserva tutti i poteri di Governo nella Zona.

4) Tenuto conto di quanto precede, nell’intento di conseguire una semplificazione della struttura del Governo della Zona, i tre Governi hanno raggiunto le seguenti intese.

5) Un direttore superiore dell’Amministrazione (oppure un provveditore dell’Amministrazione) proposto dal Governo italiano sarà nominato dal comandante di Zona e sarà responsabile verso di lui. Sotto la direzione di questo ultimo egli amministrerà, per mezzo di due Direttorati, le funzioni civili di governo indicate nei sub-paragrafi. Egli avrà sotto la sua amministrazione:

a) Un Direttorato dell’interno consistente nei seguenti settori: Dipartimento del lavoro, Dipartimento dell’assistenza sociale, Ufficio censimento e statistica, Edilizia urbana, Enti locali (presidente di Zona).

b) Un Direttorato della finanza ed economia consistente nei seguenti settori: Dipartimento del commercio, Dipartimento della produzione, Dipartimento di finanza, (incluse le Dogane e le Guardie di finanza), Dipartimento dei trasporti, Dipartimento dei lavori pubblici e servizi pubblici (ad eccezione delle costruzioni e degli alloggi delle Forze alleate), Ufficio per l’agricoltura e la pesca, Sezione prestiti.

6) Italiani in numero adeguato per assicurare l’efficiente amministrazione dei Dipartimenti e degli Uffici di cui al paragrafo 5 saranno nello stesso modo proposti dal Governo italiano e nominati dal comandante di Zona per ricoprire le varie cariche dei Dipartimenti ed Uffici suddetti. Essi saranno responsabili verso il comandante della Zona per tramite del direttore superiore dell’Amministrazione (o provveditore all’Amministrazione). Questi italiani potranno essere licenziati dal comandante della Zona che domanderà al Governo italiano di proporre i loro successori. Il Governo italiano conserva il diritto di richia-mare le persone da lui proposte, debitamente notificandolo al comandante della Zona. Fino al massimo limite possibile, gli impiegati che sono stati reclutati localmente e che esercitano ora funzioni civili nel Governo militare verranno mantenuti in servizio; qualunque licenziamento potrà essere effettuato soltanto con l’approvazione del comandante della Zona.

7) Mentre inizialmente si intende mantenere la presente organizzazione dei Direttorati amministrati dal direttore superiore dell’Amministrazione (o provveditore per l’Amministrazione) egli potrà raccomandare modifiche al comandante di Zona ed effettuarle con l’approvazione di questo ultimo.

8) Il comandante della Zona potrà nominare funzionari alleati per controllare quegli aspetti delle operazioni del porto e delle poste e telecomunicazioni che interessano la sicurezza delle Forze alleate di stanza in Zona A. Su istruzioni del comandante di Zona detti funzionari avranno il diritto di assumere la direzione di detti Uffici in caso di emergenza. Controlli di sicurezza sul commercio internazionale continueranno ad essere amministrati da ufficiali alleati nominati dal comandante di Zona e responsabili verso di lui.

9) Il Governo italiano nominerà un consigliere politico italiano presso il comandante di Zona. Il suo status e le sue funzioni saranno simili a quelle dei consiglieri politici britannico ed americano.

10) I tre Governi hanno rilevato le intime connessioni esistenti tra l’economia della Zona e l’economia italiana nel suo insieme nonché il contributo essenziale che il Governo italiano dà al benessere della Zona. I tre Governi perciò riaffermano che tutti gli accordi economici e finanziari esistenti fra di loro nei riguardi della Zona A nonché le intese raggiunte in base a tali accordi rimangono in pieno vigore.

11) I Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito daranno istruzioni al comandante della Zona per quanto riguarda l’applicazione delle presenti intese e dei necessari adattamenti da farsi nell’attuale organizzazione del Governo militare, al fine di eseguire le disposizioni di questo memorandum di intesa non appena possibile2.


531 1 Trasmesso con T. segreto per telefono 5147/216 del 29 aprile 1952, ore 22. Il testo definitivo, diramato il 9 maggio, è edito in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 20, p. 491.


531 2 Per le osservazioni di De Gasperi vedi D. 534.

532

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto per telefono 5154/217. Londra, 29 aprile 1952, ore 23,30.

Seguito telefonata odierna con segretario generale.

Oggi si sarebbe raggiunto finalmente compromesso quasi completo su testo accordo. Rimane ancora da decidere definitivamente denominazione nostro capo amministrazione dovendo Alleati scegliere fra direttore superiore dell’Amministrazione e provveditore all’Amministrazione. Articolo 8 è ancora subordinato approvazione Alleati che attendono dati tecnici ma esso riguarda questioni minori. Inoltre sono ancora da assegnare alcuni uffici minori quali pompieri ed altri che noi vorremmo stralciare da Pubblica sicurezza passandoli a Presidenza Zona.

Nell’insieme osservo quanto segue:

1) abbiamo dovuto concedere la indicazione «Territorio Libero di Trieste» nella intestazione nonché un riferimento al trattato di pace nell’articolo tre;

2) inoltre abbiamo dovuto concedere che comandante Zona ritenga tutti i poteri di Governo e che il nostro capo dell’Amministrazione agisca sotto la sua direzione. Su tutti questi punti vi è stata dura discussione ma non vi era alternativa possibile se non peggiore. Nessuno di tali punti pregiudica in linea di diritto le nostre posizioni su sovranità Territorio Libero, legislazione giurisdizione ecc. Si tratta di riconoscimento di posizioni di fatto ed abbiamo ottenuto esclusione ogni riferimento ad ordinanza del Comando Zona od alla vera e propria giuridica costituzione del Territorio Libero come ente a sé.

Viceversa abbiamo ottenuto riconoscimento nostro punto di vista in tutto ciò che riguarda struttura dell’Amministrazione, relativi Direttorati ed Uffici, dipendenza dei funzionari italiani dal Comando Zona soltanto attraverso nostro direttore, attuazione delle eventuali semplificazioni soltanto su proposta del medesimo. Così pure non vi è cenno delle materie riservate al Comando Zona conformemente desiderio E.V. e presentazione funzioni attribuite a noi appare evidente e rilevante.

Abbiamo pure ottenuto che non si parlasse della facoltà del comandante di Zona di creare nuovi Uffici di coordinamento dell’Amministrazione nel suo insieme con che si tendeva a legalizzare la sua tendenza a subordinare nostro nostro direttore ad una nuova sovrastruttura. Per ottenere ciò abbiamo dovuto cedere su articolo 11 il quale mentre dà al comandante della Zona il compito di mettere in esecuzione l’accordo assegna almeno le relative istruzioni e conseguente responsabilità ai relativi Governi, mentre nostro consigliere politico potrà certo dire la sua parola in caso di una esecuzione non conforme lettera spirito accordo. In se stessa poi la concessione del consigliere politico italiano in situazione parità con gli altri due mentre ci consente di sopprimere la ostica istituzione di una missione a Triste ci attribuisce nella Zona un principio di collaborazione politica.

Nel complesso è stato un duro negoziato che avrà ancora una coda quando si esaminerà comunicato su diritti umani Zona B. Dallo spirito iniziale dei miei colloqui con Eden1 si è passati attraverso influenza Uffici e Comandi anglo-americani ad una atmosfera di minore confidenza per esprimersi blandamente. Ciò non toglie tuttavia che ove si metta un uomo di primo ordine avente spirito politico fermo e moderato insieme al posto di nostro capo Amministrazione il passaggio a noi di tutta l’Amministrazione economica e degli interni possa avere un peso decisivo psicologico e pratico contro indipendentismo. Trattasi quindi di un accordo minimo che non può farci entusiasti né troppo ottimisti su avvenire nostra amicizia con anglo-americani ma comunque ci è utile ai fini problema Trieste e conserva quanto meno possibilità continuazione e sviluppo detta amicizia. Per tali ragioni ho aderito e ritengo che esso debba essere approvato anche perché insuccesso trattative avrebbe riflessi negativi di portata molto più ampia che è inutile ricordare a V.E.2.


532 1 Vedi DD. 461 e 466.


532 2 Vedi D. 533.

533

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. segreta 2317. Londra, 30 aprile 1952.

Ora che le lunghe, dure e talvolta penose conversazioni di Londra su Trieste stanno per volgere alla fine, credo doveroso da parte mia riassumere con la massima brevità e chiarezza possibile le impressioni e gli insegnamenti che ritengo se ne possano trarre. Ciò indipendentemente dall’esito finale. Non so se tu e il Governo approverete l’accordo; e non so nemmeno se all’ultimo momento i Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna non vi metteranno un siluro. Timore delle reazioni jugoslave, o desiderio di accattivarsi il nuovo amico anche a danno del vecchio, ho l’impressione che più si va avanti, più gli angloamericani si pentono di aver avviato le attuali conversazioni. Harrison, in un momento di confidenza, mi diceva l’altro ieri: «Sto seriamente pensando se, in vista della necessità di risolvere definitivamente il problema di Trieste prima delle elezioni politiche italiane, valga la pena di varare ora un accordo provvisorio per pochi mesi».

Malgrado tutto questo, io suppongo che all’accordo si arriverà: se cioè Londra e Washington avanzassero all’ultimo momento nuove pretese, veramente noi potremmo e dovremmo resistere, perché la rottura sarebbe allora veramente la conseguenza di una prepotenza dei nostri Alleati, e di una dimenticanza totale degli impegni presi, dalla Tripartita1 al recente comunicato del 27 marzo2.

Su tale presupposto, comunque, ecco le mie osservazioni:

1) Come si può giudicare il risultato delle trattative?

Si può dire che è andata bene, se si tiene conto che in sostanza tutta l’amministrazione di Trieste passa a nostri uomini, rimanendo agli Alleati le truppe, la polizia e la legislazione-giurisdizione (queste ultime, tuttavia, su base italiana). Questo è molto di più di quanto si attendessero i triestini stessi: basta al riguardo confrontare l’accordo raggiunto col promemoria Palutan del 3 aprile 19523. Questo si limitava in sostanza a chiedere sul piano amministrativo, un vice direttore all’Interno e un vice direttore all’Economia e Finanza!

I risultati sono stati invece magrissimi per chi pensava, come io pensavo, ad un accordo di portata politica che corrispondesse veramente allo spirito della Dichiarazione tripartita. È inutile nasconderlo: gli angloamericani hanno voluto deliberatamente dare all’accordo una portata amministrativa ed eliminare ogni ombra di dubbio che il Governo italiano avesse ricevuto una partecipazione politica al Governo di Trieste. L’unica concessione a questo riguardo è stata il consigliere politico, ma non bisogna sopravvalutarne la portata.

2) Eppure, quando Eden parlò con me4, i presupposti e lo spirito sembravano diversi. L’intenzione comune, benché ancora indefinita, era di raggiungere un accordo politicamente significativo: lo richiamai chiaramente in una delle recenti sedute, ricordando che con Eden si era persino accennato alla eventualità di lasciare interamente all’Italia la Zona A. Dixon ha consultato immediatamente i verbali inglesi del mio secondo incontro con Eden (presente Strang) e questo punto ne è rimasto confermato.

Non si può dunque negare un cambiamento di indirizzo, da parte degli angloamericani, e questo si è verificato subito, nell’intervallo fra i miei colloqui con Eden e l’inizio stesso delle conversazioni a tre.

Fino a che punto Eden fosse sincero, fino a che punto volesse rabbonirci con promesse vaghe salvo poi stringere i freni quando si sarebbe venuti al dunque, resta da vedere. Più che altro, egli non aveva forse ancora idee definitivamente formate. Comunque, è certo che la stampa inglese ispirata cominciò a parlare di misure amministrative (in senso limitato) alla vigilia della nostra piccola conferenza, e da quel momento il nuovo indirizzo era segnato. Noi ce ne accorgemmo subito ed io cercai di correggere fin dall’inizio tale impostazione, ma le conversazioni presero purtroppo quella piega, e tutte le nostre proposte anche attenuate, aventi un più chiaro significato politico, furono implacabilmente rigettate.

I motivi del mutato atteggiamento mi paiono chiari: la reazione jugoslava, la resistenza del Comando di zona, la resistenza degli uffici alla linea, del resto non ancora definita né sicura, di Eden sulla questione.

3) Naturalmente, tuttavia, la linea di demarcazione fra concessioni amministrative e concessioni politiche non è assoluta. Anche la partecipazione dell’Italia alla pura amministrazione avrà inevitabilmente un significato politico. Nessuna ostinazione angloamericana e nessuna formula cautelativa lo potranno impedire. Se così non fosse, non varrebbe la pena di avere concluso l’accordo. E l’effetto politico dell’accordo amministrativo sulla politica di Trieste dovrebbe essere unicamente questo: un colpo agli interessi creati che coltivano ed incrementano l’indipendentismo. Se ciò si potrà realizzare varrà la pena di aver negoziato tanto, altrimenti no.

Stroncare o ridurre l’indipendentismo, controllando gli interessi e gli uffici che lo fomentano avrebbe certamente una grande importanza, anche sulla soluzione ultima del problema di Trieste. Oggi il tempo lavora per Tito; egli domina la Zona B mentre l’indipendentismo corrode l’italianità della Zona A. Con l’amministrazione più o meno in mano nostra, potremo vedere più tranquilli l’avvenire e sperare che Tito diventi un po’ più ragionevole, perché il tempo non lavorerà più per lui, almeno nella misura in cui ciò si verificava prima.

Affinché, tuttavia, il nuovo ordinamento amministrativo di Trieste abbia realmente un effetto politico sull’indipendentismo, occorre che noi troviamo un uomo di primissimo ordine, da mandare a Trieste, e occorre inoltre che egli non si scontri contro una politica del Comando di Zona che praticamente incoraggi la tendenza indipendentista.

Il nostro uomo – il quale dovrebbe parlare bene l’inglese – deve sapere manovrare l’amministrazione di Trieste in modo da combattere le velleità indipendentiste, e nello stesso tempo non urtarsi con il comandante di Zona, dando una impressione di grande moderazione e serenità sia nei rapporti personali col comandante stesso, sia nella quotidiana gestione.

Quanto al comandante di Zona, egli dovrebbe avere le opportune istruzioni del suo Governo. Dovrebbe cioè essere orientato dai Governi angloamericani verso quella politica pro-italiana, conforme alla Dichiarazione tripartita, di cui tu parlasti così chiaramente nel convegno di Washington del 24-25 settembre 19515 quando Acheson ti rispose ti ritenere che «l’A.M.G. potesse essere ora troppo neutrale anziché orientata verso il ritorno di Trieste all’Italia». Senza questo orientamento, malgrado tutta la buona volontà del nostro direttore in loco, un conflitto diventerebbe, prima o poi, inevitabile.

4) Ma vi è la speranza che Winterton (o il suo successore) ricevano simili istruzioni?

Qui sta uno dei lati più delicati ed amari che le recenti trattative hanno scoperto nei riguardi della politica angloamericana su Trieste. Della Tripartita essi sentono parlare mal volentieri: per loro essa vale ormai più soltanto come spunto per eventuali trattative coi jugoslavi, ed ancora più platonicamente che altro. Della Zona B non vogliono menzione: prendere un atteggiamento fermo verso i jugoslavi per richiedere loro di rispettare quei diritti umani di cui pretendono da noi il riconoscimento, non intendono. La loro rigida posizione giuridica circa la sovranità su Trieste crea il pericolo di tradursi sul piano pratico, in un appoggio agli indipendentisti; di chi sarebbe infatti questa sovranità che l’Italia avrebbe perduto? Poiché non è pensabile che alcuno si spinga a considerarla jugoslava o angloamericana, non può essere che sovranità del Territorio Libero, di quello Stato fantasma cioè che non nascerà mai e che il senatore Austin, seguito dal britannico Shone ha dichiarato al Consiglio di sicurezza non poter più esistere.

Io non dico che gli Alleati vogliono sottomano sostenere l’indipendentismo: dico solo che il loro rigorismo giuridico offre un terreno favorevole alla politica indipendentistica. E questo pericolo è aggravato dal fatto che essi recalcitrano dal dare istruzioni politiche a Winterton in senso filo italiano, trincerandosi anche dietro la ragione piuttosto incerta che egli dipende direttamente dai due capi di Stato Maggiore inglese e americano.

Dico tutto ciò non per drammatizzare, ma per rappresentare con realismo una situazione che è seria: da un lato sono convinto che il mancato accordo sarebbe disastroso, dall’altro debbo riconoscere che lo spirito il quale anima l’accordo da parte alleata non è lo spirito che anima noi, e che noi avremmo il diritto di attenderci da loro.

5) Queste trattative mi hanno insegnato qualche cosa di più sul piano generale dei nostri rapporti con gli angloamericani. Anzitutto, è stato confermato qui nel modo più netto che su tutte le questioni importanti la solidarietà angloamericana è totale. Questo lo si sapeva, ma ne abbiamo avuto una ennesima riprova. Più ancora: si potrebbe aggiungere che questa volta, i più formalisti e i più intransigenti sono stati gli americani, irriducibili nel sostenere a ogni costo e su ogni punto le prerogative del comandante di Zona. Non è da dimenticare tuttavia che questo comandante si chiama Winterton ed è britannico, ed era continuamente consultato, come se fosse uno dei Governi interessati: cosicché questa voce di rimbalzo britannica ha avuto una notevole parte nel sostenere la rigidezza americana, e la solidarietà dei nostri Alleati deve ritenersi totale.

6) Per quel che riguarda particolarmente la Gran Bretagna, questo episodio, comunque si chiuda, dovrebbe almeno servirci a valutare realisticamente le possibilità e i limiti della nostra cosiddetta amicizia.

A costituire quest’ultima dopo una guerra quale quella che si è da poco chiusa non bastano né la buona volontà sincera di alcuni uomini, né alcune dichiarazioni generiche per quanto in buona fede. Occorre molto tempo ed occorrono sopratutto forti, concreti punti di comune interesse. Questi punti sono per ora difficili da trovare.

Forse soltanto sul piano economico, dati i nostri intensi scambi con la Gran Bretagna e l’area della sterlina, esistono veramente notevoli e concrete coincidenze di interessi: è da augurarsi che la situazione economica della Gran Bretagna, dell’Australia, ecc., non le diminuisca. Ma sono rapporti, si noti, rispetto ai quali noi dipendiamo più da loro che loro da noi.

Altrove, sul piano puramente politico, soltanto il N.A.T.O. ci lega veramente, e più agli Stati Uniti che alla Gran Bretagna. Legami particolari non abbiamo: nelle nostre ex colonie i britannici sono seriamente disposti a una certa misura di collaborazione, ma essa tende a svanire quando si profili un’ombra di pericolo per i loro rapporti con l’Etiopia, con la Libia o con altre situazioni locali. Rispetto all’Europa le nostre idee sono diverse e non è facile conciliarle. Il nostro movimento migratorio è bloccato in Africa e vegeta stentatamente in Inghilterra, soggetto a molte incertezze.

La questione di Trieste poteva essere una occasione per gli inglesi di fare verso di noi quel gesto che tu chiedevi a Eden nel messaggio di apertura delle presenti negoziazioni: purtroppo deve dirsi che essi hanno fatto solo un mezzo gesto, poi se lo sono in gran parte rimangiato, cosicché abbiamo raggiunto (se lo raggiungeremo) un solo risultato: quello d’impedire un clamoroso peggioramento dei nostri rapporti, non certo quello di ravvivare la reciproca confidenza e amicizia.

Tutto questo ho creduto mio dovere esporti con profondo e meditato senso di responsabilità. Non sono pessimista: ho un grande rispetto ed una vera simpatia per questo popolo di duri, tenaci, talora ambigui ma sempre raffinati negoziatori, che difende tenacemente la sua diminuita grandezza. Credo che mantenere un’atmosfera di comprensione su un piano di lealtà sia già molto nelle presenti condizioni; sono convinto che potremo fare dei passi avanti nel futuro, sfruttando opportunamente le coincidenze di interessi, che si presenteranno.

Quando queste negoziazioni saranno chiuse, mi riprometto di parlare francamente a Eden, di fare il punto e di suggerirgli le misure pratiche secondo me indispensabili per fare dell’accordo di Trieste una creatura vitale.

Ossia: allontanare Winterton quanto prima (dovremmo sacrificare in compenso uno dei nostri uomini locali meno costruttivi) e dare al nuovo comandante istruzioni conformi allo spirito della Dichiarazione tripartita, passando sopra a tutte le difficoltà di competenza e di forma.

Ma sarò ascoltato? Non voglio illudermi. Se ciò avverrà, naturalmente avremo fatto un nuovo passo avanti; e nessuno più di me, naturalmente, sarà lieto di correggere allora queste impressioni realistiche, che oggi ritengo invece pienamente giustificate6.


533 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


533 2 Vedi D. 466.


533 3 Si tratta della relazione del presidente della Zona, Palutan, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Andreotti, citata in Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., p. 191.


533 4 Vedi DD. 461 e 466.


533 5 Vedi D. 119.


533 6 Per la risposta vedi D. 538.

534

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 4161/219. Roma, 1° maggio 1952, ore 19,30.

Telegramma ministeriale n. 215-2161.

Testo memorandum è stato ulteriormente modificato al punto 8 secondo quanto indicato da Brosio con telegramma ritrasmessole con telegramma ministeriale n. 2182.

Memorandum verrà questa sera trasmesso ufficialmente da tre delegazioni a rispettivi Governi per loro esame. Da parte nostra verrà esaminato domattina venerdì da Consiglio ministri3.

Frattempo sono state inviate a Londra seguenti istruzioni che valgono anche per opportuna azione costì di V.E.:

1) Sta bene la subordinata circa l’art. 2 del progetto (diritti umani in Zona B).

2) Punto 5 a) chiedere che indicazione «Enti locali» venga messa in testa elenco anziché in coda con specifica tra parentesi Presidenza Zona e Comuni.

3) Punto 6) chiedere che sia modificata ultima frase nel modo seguente «gli eventuali licenziamenti verranno proposti al comandante di Zona e potranno essere effettuati dopo la sua approvazione». Proposta, mentre nulla muta nella sostanza, rende presentazione migliore.

4) Punto 11) chiedere che accordo entri in vigore nel corso mese giugno.


534 1 Del 30 aprile, con il quale era stato ritrasmesso a Washington il progetto di memorandum circa l’amministrazione della Zona A (vedi D. 531, Allegato).


534 2 Del 1° maggio, ritrasmetteva il D. 531.


534 3 Vedi D. 535.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 4206/223. Roma, 2 maggio 1952, ore 22,20.

Consiglio ministri ha stamane esaminato progetto Memorandum trasmesso da delegazione Londra1. Impressione generale non (dico non) è stata favorevole anche perché mentre nonostante sforzi compiuti non ci dà nella sostanza soddisfazioni che se ne attendevano; esso appare anche nella forma inutilmente pesante e rigido.

Sono state proposte talune modifiche di cui qui di seguito trascrivo le più importanti:

Punto primo da modificare come segue: In armonia con la decisione annunziata il 27 marzo 1952 i Governi italiano, britannico ed americano hanno approvato le seguenti conclusioni e intese raggiunte dai loro rappresentanti.

Punto secondo: sostituire l’espressione «e da continuare ad» con quella «e da».

Punto terzo da modificare come segue: Poiché i Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito mantengono le responsabilità nei riguardi dell’Amministrazione della Zona A che derivano loro dal trattato di pace con l’Italia particolarmente dal suo Annesso VII, i tre Governi riconoscono che il comandante delle truppe americane e delle truppe britanniche conserva tutti i poteri di governo nella Zona.

Punto quarto da modificare come segue: Tenuto conto di quanto precede e nell’intento di giungere a provvedimenti per una più intima collaborazione tra di loro e con le autorità locali nella Amministrazione della Zona, i tre Governi hanno raggiunto le intese seguenti.

Tra punto quarto e punto quinto inserire punto relativo nomina consigliere politico italiano.

Punto sesto frase «questi italiani potranno essere licenziati» da modificare come segue «essi potranno essere sostituiti»; frase «fino al massimo limite possibile» da sostituirsi con «nella massima misura praticabile»2.


535 1 Vedi D. 531.


535 2 Con il T. segreto 4217/225 del 3 maggio Zoppi comunicò: «Modifiche di cui telegramma ministeriale n. 223 sono state sottoposte a questo incaricato d’affari degli Stati Uniti che ha dimostrato rendersi conto fondatezza nostre obiezioni e necessità ai fini presentazione accordo opinione pubblica italiana di sopprimere frasi che ci sembravano compromettenti o addirittura offensive. Predetto assicurato che avrebbe raccomandato Dipartimento di Stato di accogliere massima misura possibile nostro punto di vista che trovava ragionevole».

536

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto per telefono 5277/220. Londra, 2 maggio 1952, ore 19,50.

Stamane in breve seduta plenaria abbiamo concordato testo comunicato1 che dovrebbe accompagnare pubblicazione accordo e che trasmetto con telegramma successivo2.

Comunicato mi pare nel complesso soddisfacente.

Riconoscimento contenuto paragrafo 2 «del carattere prevalentemente italiano della Zona A» costituisce indiretto richiamo alla Dichiarazione tripartita3, mentre d’altra parte periodo successivo «senza pregiudizio della soluzione finale del problema ecc.» elimina qualsiasi possibilità interpretazione che si tratti parziale applicazione della dichiarazione stessa.

Paragrafo 3 risponde alla nostra preoccupazione impegnare per esecuzione «in loco» oltre Comando Zona anche Governi alleati.

Circa paragrafo 4 ho già segnalato vivissime resistenze opposteci giorni scorsi per inserzione qualsiasi riferimento Zona B; sicché da parte nostra, nel mantenere energicamente riserva punto 2 di cui mio 2154, avevamo anche ventilato possibile rottura. Dizione concordata che rappresenta massimo ottenibile mi pare nel complesso rispondere spirito nostre esigenze.

Richiamo al «rispetto dovunque diritti umani e libertà fondamentali» contenuto ultimo periodo, venendo dopo affermazione iniziale che «queste conversazioni, sebbene limitate alla questione all’amministrazione in Zona A, hanno posto in evidenza ecc.» si riferisce senza possibilità di equivoci alla Zona B. Dixon ha dichiarato inoltre che Gran Bretagna riconosce necessità richiamare energicamente Governo Belgrado per suo operato in Zona B contrario trattato di pace, ed ha aggiunto che Governo inglese intende farlo in risposta alle immancabili proteste di Belgrado per l’accordo. Mentre quindi potevamo contare su passo anglo-americano in sede diplomatica non gli sembrava il caso di dire di più in questa sede.

Holmes per parte sua si è associato interamente a tali dichiarazioni.


536 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 20, p. 491.


536 2 T. segreto per telefono 5282/221, pari data, non pubblicato.


536 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


536 4 Vedi D. 531.

537

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 5685. Washington, 2 maggio 19521.

Riferimento: rapporto di quest’ambasciata n. 5196 in data 22 aprile 19522.

Per opportuna conoscenza e documentazione ho l’onore di trasmettere a V.E., qui acclusa, copia lettera fattami prevenire in data 1° maggio dal segretario di Stato in risposta alla mia lettera del 20 aprile2 a lui indirizzata in merito agli sviluppi delle conversazioni di Londra.

Allegato

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. confidenziale. Washington, 1° maggio 1952.

Thank you for your note of April 20, 1952 in which you express the concern of your Government with reference to the course of the tripartite conversations being held in London regarding the administration of Zone A of the Free Territory of Trieste.

I would appreciate your assuring Prime Minister De Gasperi that we are fully conscious of the problems involved for all of us in this matter and we are giving every consideration to his views. I wish to emphasize that the question is still under consideration in London where no final position has as yet been reached.

This will be evident to the Prime Minister from the fact that the conferees in London have subsequently tabled for discussion an additional negotiating draft, which I understand has been communicated to you by Assistant Segretary Perkins and which contains a number of alterations from the previous negotiating draft metioned in your letter.

I am confident that the three governments will find it possible to reach a mutually agreeable solution.


537 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


537 2 Non pubblicato ma vedi D. 525.

538

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. s.n.d. 4230/1781. Roma, 3 maggio 1952, ore 16,45.

Grazie tuo confidenziale commento2 e soprattutto opera tua. Governo apprezza altamente tuo impegno ed opera indefessa della delegazione. Quanti come me hanno seguito vostri sforzi valutano adeguamenti risultati positivi raggiunti, ma concordo con te circa insufficiente significato politico. Era l’occasione di utilizzare incontro per ristabilire rapporto di amicizia sentita fra popolo italiano e nazione inglese e per infondere nella coscienza popolare fede viva nella collaborazione atlantica ed europea.

Sento grande amarezza perché tale occasione ci sfugge. Ma dal punto di vista italiano è inaccettabile qualunque inciso, qualunque presentazione che possa interpretarsi come regresso di fronte Dichiarazione 20 marzo3, sia pure nella forma più elastica del mio incontro a Londra. A tale riguardo capitale è la forma e l’interpretazione del punto terzo che non può assolutamente valere se non come stato di fatto per cui riconoscimento non può suonare accettazione intrinseca e quindi volontaria del trattato, ma solo riconoscimento del potere supremo del comandante. Il Consiglio si dimostrò estremamente preoccupato di questo paragrafo. È vero che secondo tua onesta ed abile dichiarazione a verbale, noi siamo liberi affermare anche pubblicamente nostra interpretazione, ma lo dovremmo fare con una grande amarezza, a scapito di quella psicologica conformità che è necessaria perché possiamo con la dovuta efficacia continuare la nostra politica di collaborazione atlantica ed unione europea. Vedi se ti è possibile con un ultimo sforzo di convincere che qui non mettiamo in forse la supremazia del Governo militare che rimane incontrastata ma che, pena suicidio, non possiamo lasciar credere di aver cambiato opinione circa la non bontà, la non equità, la non idoneità del Territorio Libero che gli Alleati stessi hanno dichiarato soluzione inoperante.

È inutile poi illudersi che il tono di diffidenza che traspare non solo nel riservarsi certi uffici, ma nelle formule per il licenziamento degli impiegati, ecc., non venga sfruttato dai nostri comuni avversari, per dire che l’Alleanza, anzi la Comunità di difesa, è psicologicamente poco intima. Noi contrasteremo tali insinuazioni, ma non comprendo proprio i nostri amici anglo-americani che ci rendono la situazione inutilmente difficile? Parlando con Achenson ed Eden a Lisbona avevo veramente sentito il soffio di un mondo nuovo4. Vogliamo che lo spirito venga soffocato da formule anguste? Come vedi non chiedo modificazioni essenziali, chiedo che la presentazione sia tale da giovare alla comune amicizia ed alleanza. Confido che ti riesca ancora di tener conto di questo stato d’animo rilevatosi nel Consiglio dei ministri.


538 1 Autografo. Ed. in Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., p. 211.


538 2 Vedi D. 533.


538 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


538 4 Vedi DD. 389, 394 e 395.

539

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 5329/419. Parigi, 3 maggio 1952, ore 21(perv. ore 21,30).

Mio 4161.

In seguito a emendamenti da me presentati ieri e a relativa reazione britannica ho creduto opportuno oggi in Comitato delegati Consiglio Europa precisare posizione italiana con dichiarazione seguente tenore:

Governo italiano ha dato sua sincera adesione a iniziativa Eden2 che corrisponde pienamente a politica italiana favorevole vasta integrazione europea. Limite nostra adesione è però assoluta necessità, riconosciuta da tutti, non portare intralci o pregiudizi a Comunità a sei cui inizio non sarà facile.

Pertanto a domanda se desideriamo che Consiglio Europa conformemente proposta britannica divenga quadro Comunità a sei, mia risposta è nettamente affermativa. Ma a domanda se ciò è possibile rispondo altrettanto nettamente non saperlo ancora.

Esistono serie difficoltà, in particolare compito federativo Assemblea C.E.D., che mi auguro potranno essere risolte ma studio dovrà essere lungo e particolarmente accurato perché materia è delicatissima.

Questionario che è stato approvato poi da Comitato tiene conto osservazioni da noi fatte, tuttavia non costituisce documento pienamente favorevole per indirizzo che noi desideriamo dare a ulteriori lavori di studio. Ciò è stato dovuto principalmente ad atteggiamento delegazioni francese e belga che hanno costantemente sostenuto punto di vista britannico3.


539 1 Pari data, non pubblicato.


539 2 Vedi DD. 429, 437, 440, 447, 475, 506 e 522.


539 3 Per il seguito vedi D. 552.

540

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segreto 4253/331. Roma, 4 maggio 1952, ore 19.

Suo telespresso 10/61 del 23 aprile1. Riferimento paragrafo 6 rapporto allegato2.

Come V.S. sa, siamo favorevoli allo svilupparsi di una concreta collaborazione e stretti rapporti tra C.E.D. e Gran Bretagna: in quest’ordine di idee si ritiene che potrà dimostrarsi opportuno contatto a livello Consiglio ministri.

Ci si domanda però se necessario statuire in merito nel trattato. Urgenza parafatura non consiglia di sollevare altri problemi. D’altra parte non conviene fissare fin da ora modalità né escludere ad esempio apposite riunioni cui partecipi ministro inglese e non semplice osservatore. Al momento sembra da ricercare soltanto che la lettera del trattato non impedisca forma di collaborazione prospettata da Schuman.

Attuazione potrà essere studiata in seguito, anche per contribuire dare applicazione pratica e utile a spirito collaborativo che informa proposta inglese in materia di agganciamento Comunità europee a Consiglio Europa.


540 1 Con tale comunicazione Lombardo aveva trasmesso un rapporto sulla riunione dei capi delle delegazioni alla Conferenza per la C.E.D. tenutasi il 22 aprile.


540 2 Il paragrafo 6 del rapporto allegato al telespresso di cui alla nota precedente era il seguente: «Alphand ha poi comunicato che Schuman, nella sua recente conversazione con il ministro Eden, per dare maggior contenuto alla “associazione” (beninteso non partecipazione) tra Regno Unito e Comunità della Difesa, avrebbe espresso, a nome del Governo francese, il gradimento a che in “certi casi” un delegato britannico possa sedere come osservatore al Consiglio dei ministri. La comunicazione di Schuman è stata formulata in misura discretamente vaga e – prima di concretarla – è necessario sapere quello che pensino i Governi degli altri 5 paesi, rimanendo pacifico che questa presenza dell’osservatore avverrebbe solo in casi speciali e quando lo chiedesse il Governo britannico o lo desiderasse il Consiglio della Comunità».

541

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1382/689. Bruxelles, 5 maggio 1952(perv. il 19).

Nel corso della mia prima visita, il sig. van Zeeland ha anzitutto tenuto ad inviare i sentimenti della sua rispettosa amicizia e dell’ammirazione con la quale egli segue la sua opera, che augura possa avere un ulteriore riconoscimento nel corso delle prossime elezioni. Circa queste ultime, ha lungamente richiesto ragguagli e precisazioni.

Il sig. van Zeeland si è poi dilungato sui suoi sentimenti nei riguardi del nostro paese, aggiungendo che in ogni occasione egli ha cercato, e continuerà a cercare, di aiutare affinché l’Italia possa ancora aumentare la propria posizione internazionale, in quanto, a suo avviso, ciò è particolarmente giovevole alla causa della pace e della collaborazione europea. Anzi, egli ha soggiunto, esiste identità nella posizione e negli interessi fra il Belgio e l’Italia, di maniera che il fatto che la nostra voce possa venire sempre maggiormente ascoltata, andrà a tutto vantaggio dei piccoli paesi come il Belgio, i quali abbisognano di un solido punto di appoggio nei confronti delle potenze maggiori.

Anche per questi motivi il sig. van Zeeland sperava che alcune «piccole» questioni che tuttora imbarazzano il terreno fra i due paesi possano essere risolte al più presto; tra queste egli poneva in primo piano quella delle indennità dovute in base all’art. 78 del trattato di pace, circa la quale egli ha insistito a lungo e con molto calore. Continuando, egli ha espresso il desiderio che, sia sul terreno delle questioni generali, sia su quello delle questioni particolari si sviluppi un più stretto contatto fra quest’ambasciata ed il Governo belga, specie perché «essendo anche egli abituato a considerare le questioni da un punto di vista pratico», egli era certo di trovare in me un corrispondente collaboratore.

Infine, il sig. van Zeeland ha manifestato le sue preoccupazioni per la confusione ed il ritardo che la proposta sovietica recherà nei riguardi degli accordi tanto relativi alla Germania quanto concernenti la C.E.D., esternando il suo disappunto per il fatto che il Belgio è tenuto al di fuori dai negoziati che i tre grandi alleati conducono circa il problema tedesco.

Da parte mia, oltre alle ovvie frasi di ringraziamento, ho creduto utile accennare:

1) Il Governo italiano è anch’esso convinto di certe similarità nella posizione del Belgio e dell’Italia, dalla quale può trarsi assai spesso un atteggiamento, o quanto meno una consultazione comune, anche se di fronte a talune impostazioni generali la posizione dei due paesi può avere sfumature diverse;

2) quanto alle elezioni, certi timori che si possono avere sull’affermazione delle destre (in quanto il partito democristiano tiene ad essere, ed ha l’onestà di dichiararlo, il partito di centro), non avrebbero occasione di prodursi se l’atteggiamento degli Alleati fosse stato, nel recente passato, maggiormente comprensivo di talune giuste suscettibilità od aspirazione italiane e di maggior appoggio all’opera di V.E.;

3) circa l’art. 78 mi risultava che ufficiosamente era stato comunicato un progetto di massima all’ambasciatore del Belgio a Roma, il quale progetto darebbe piena soddisfazione agli interessi belgi, in pari tempo però conducendo alla revisione del trattato di pace per quanto riguarda le Commissioni di conciliazione: era dunque questa un’ottima occasione per il Belgio di assumere una posizione amichevole che da noi sarebbe stata particolarmente apprezzata; non dubitavo comunque che si sarebbe fatto il possibile per affrettare una soluzione;

4) mi sembrava che il Governo belga avesse tutti i diritti di lamentarsi di non essere consultato su una questione che poteva decidere della pace o della guerra; forse era il caso di vedere se i nostri Governi non dovessero adoperarsi in comune per ottenere, anche a scarico delle proprie responsabilità di fronte alla nazione, di avere una voce in capitolo quando sono in gioco decisioni gravi, suscettibili di scatenare altrettanto e più gravi conseguenze. Il sig. van Zeeland è stato molto ricettivo in materia, tanto più a causa dei ritardi che si profilano per la piena applicazione della politica del N.A.T.O. e della C.E.D.

542

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segreto urgente 4280/332. Roma, 6 maggio 1952, ore 11.

Il presente telegramma è per l’on. Lombardo e fa riferimento al suo n. 4241.

Nel nuovo testo dell’art. 100, paragrafo 4A, non viene tenuto conto delle nostre preoccupazioni ed inoltre esso non appare di sicura interpretazione poiché la definizione dell’organo e la procedura per stabilire quali siano le zone esposte sembrano mancare. Il Ministero della difesa informa ora inoltre che non gli è ancora stato possibile esprimere il suo parere su nuova proposta organizzazione territoriale2.

Da un primo esame di essa risultano comunque forti perplessità circa la natura delle attribuzioni e la estensione delle responsabilità del proposto delegato. Infine soltanto in questi giorni sono qui pervenute altre disposizioni. Così stando le cose la S.V. è autorizzata a siglare il progetto di trattato facendo presente tuttavia che tale siglatura non implica approvazione integrale delle singole disposizioni da parte del Governo italiano; il Governo italiano fa riserva di proporre eventuali modificazioni.


542 1 Del 4 maggio, con il quale Lombardo aveva comunicato l’imminente conclusione dei lavori della Conferenza.


542 2 Si riferisce alla proposta francese comunicata da Cavalletti con il T. 5385/414 del 2 maggio, non pubblicato.

543

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. personale 5855. Washington, 6 maggio 1952.

Le conversazioni di Londra sono ormai prossime a chiudersi. Spero che si chiudano con nostra soddisfazione, nei limiti in cui la soddisfazione era possibile, cioè consentendoci di accrescere e soprattutto di legalizzare solennemente la nostra partecipazione all’amministrazione della Zona A, senza alterare sostanzialmente lo status giuridico di questa. Spero che tu possa efficacemente presentarne il risultato all’opinione pubblica sotto questo aspetto, che è il solo politicamente importante. Il resto (cioè l’attribuzione di questo o quell’ufficio, la redazione di questa o quella frase) è infatti, dettaglio.

Sorge adesso spontanea la domanda: cosa accadrà per quanto concerne la questione di fondo, cioè il problema Territorio Libero nel suo insieme?

A questo riguardo le cose tornano (o, più esattamente, rimangono) al punto di prima. Restiamo, infatti, al «punto morto», costituito dalla constatazione del rifiuto jugoslavo di trattare sulla sola base per noi accettabile, cioè sulla base di una approssimativa linea etnica che ci permetta di ricuperare una parte sostanziale della Zona B in cambio di qualche modesto sacrificio nella Zona A. Restiamo anche di fronte al desiderio anglo-americano di vedere la questione risolta definitivamente al più presto. Anzi, questo desiderio appare fortemente acuito non solo dal passare del tempo, ma anche dagli incidenti del 20 marzo u.s. e dalle conversazioni di Londra.

Come si manifesterà questo desiderio nel prossimo avvenire? Secondo alcune notizie (vaghe e confidenzialissime, ma di buona fonte) da me raccolte qui, il Governo britannico si proporrebbe di affrontare il problema con noi, appena finite le conversazioni di Londra, più o meno nei seguenti termini: «Vi abbiamo dato tutta la soddisfazione che potevamo darvi per quanto riguarda l’amministrazione della Zona A. Adesso occorre por mente di nuovo alla questione sostanziale. Occorre, cioè, che riprendiamo i contatti con Belgrado, col fermo proposito di condurli rapidamente in porto». Dietro questa esortazione ve ne sarebbe un’altra, più o meno velata: «Decidetevi a risolvere la questione sull’unica base sulla quale è possibile risolverla, cioè sulla base della spartizione (Zona A all’Italia e Zona B alla Jugoslavia) o tutt’al più con qualche leggera correzione, di entità pressoché eguale, nelle due Zone».

Non posso naturalmente, prevedere se questo proposito britannico sarà tradotto in atto: ma l’esistenza di esso mi sembra molto verosimile. Il Governo di Londra è quello che ha preso, l’estate scorsa, l’iniziativa dell’invito anglo-americano all’Italia di trattare con la Jugoslavia.

Eravamo, allora, di fronte ad un governo laburista; ma quello conservatore, mentre appare (e forse è) meglio disposto nei nostri riguardi in questioni di politica generale, sembra più ansioso dell’altro di liquidare la questione di Trieste.

Se questa è l’intenzione britannica e se (com’è ovvio) essa può concretarsi soltanto col concorso americano, dobbiamo farci un’altra domanda: come sarebbe accolta quell’intenzione dagli Stati Uniti?

Recentemente (mio rapporto 5239 del 24 aprile u.s.)1 ho «fatto il punto» dell’atteggiamento americano nei riguardi della Jugoslavia. Da ciò che ho detto in tale occasione si ricava facilmente che l’idea di un nuovo tentativo per risolvere il problema e l’idea di una nuova esortazione a Roma e a Belgrado di intraprendere il tentativo medesimo troverebbe a Washington orecchie ben disposte. Aggiungo che il Dipartimento di Stato è stato sempre convinto che Tito accetterebbe la spartizione.

Conscio di ciò, ho creduto opportuno mettere le mani avanti, nel modo più discreto ed a titolo esclusivamente … preventivo, facendo prospettare a chi di ragione le seguenti considerazioni. «È vero che il problema dovrebbe essere risolto al più presto, nell’interesse di tutti. È vero che le conversazioni Guidotti-Bebler2 non sono state formalmente interrotte, così che potrebbero essere riprese in qualunque momento. D’altra parte è ugualmente vero che esse sono giunte ad un punto morto, per colpa esclusiva della Jugoslavia. In sostanza, l’estate scorsa, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno invitato l’Italia a trattare partendo dalla premessa che la Jugoslavia era disposta a farlo sulla base della linea etnica. La premessa era fondata su talune dichiarazioni di Tito agli ambasciatori britannico e americano. La premessa medesima si è rivelata errata (come l’Italia aveva sospettato fin da principio) perché Tito, anziché accettare quella base di discussione, ne ha presentato altre tre, una più stravagante dell’altra: bilancia etnica, sbocco al mare per la Slovenia, governo italo-jugoslavo alternato in tutto il Territorio Libero. La sola base di discussione accettata dall’Italia ha sempre avuto il pieno avallo di Londra e di Washington. (Anche pochi giorni fa Perkins mi diceva personalmente che ci conveniva mantenere le conversazioni di Londra strettamente nell’ambito dell’amministrazione della Zona A, anche e soprattutto per non pregiudicare, neppure di fatto, le nostre pretese sulla Zona B, che quindi erano giudicate legittime). Se questo avallo non viene ritirato (e non so immaginare come potrebbe essere ritirato) e se, per conseguenza, non si può parlare di altre basi di discussione (né spartizione pura e semplice né altre) occorre concludere che il solo ostacolo da rimuovere è costituito dall’atteggiamento jugoslavo, cosìcché qualsiasi esortazione diretta a Roma conterrebbe un errore d’indirizzo, se non fosse basata sulla certezza che il Governo di Belgrado è entrato in un diverso ordine di idee.

Ho motivo di ritenere che questo discorso farà riflettere il Dipartimento di Stato, qualora il Foreign Office gli proponga di fare qualche passo presso di noi. La riflessione varrà, almeno, a modificare la forma del passo e certamente a farne compiere uno analogo a Belgrado. Inoltre il ragionamento sopra descritto mi sembra contenere tutti gli elementi della nostra risposta al passo medesimo. In altri termini, anche dopo le conversazioni di Londra (anzi: a più forte ragione dopo le conversazioni di Londra) la nostra posizione mi sembra quale la descrivevo nella mia lettera a Zoppi del 10 marzo u.s. n. 30783; diplomaticamente forte, quantunque politicamente pericolosa per i danni che anche a noi derivano dall’indefinito prolungarsi dello status quo.

In queste condizioni, le eventuali nuove esortazioni anglo-americane non dovrebbero impressionarci, ma dovrebbero essere da noi riscontrate con pacata fermezza affinché la pressione (se di pressione si può parlare) si riversi su Belgrado. Aggiungo che nutro molti dubbi sulla disposizione anglo-americana di esercitare a Belgrado pressioni tanto forti da provocare un sostanziale mutamento di posizione. E, se non mi sbaglio su questo punto, debbo prevedere che andiamo incontro ad un prolungamento dello status quo; malgrado gli inconvenienti che esso contiene e malgrado i vantaggi politici conseguiti a Londra.

Questa previsione sarebbe inesatta soltanto nel caso che anche noi ci orientassimo gradualmente verso la spartizione, preferendola allo status quo. La qual cosa nell’insieme non mi pare affatto conveniente. In proposito, del resto, soltanto il Governo può esprimere un giudizio. Secondo me il periodo più propizio per una forte pressione americana su Belgrado sarebbe quello che precederebbe le elezioni politiche del ’53.

Tutte queste considerazioni sono basate su un’ipotesi, quantunque convalidata da informazioni da buone fonte: l’ipotesi che, al termine delle conversazioni di Londra, gli anglo-americani ci riparlino della questione di fondo nella forma sopra descritta. È una ipotesi che può non verificarsi, mentre possono verificarsene altre. Tuttavia ho stimato necessario prospettarla, anche perché mi parrebbe opportuno che tu impartissi a Brosio e a me qualche istruzione in vista di essa.


543 1 Vedi D. 528.


543 2 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


543 3 Non pubblicato.

544

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto urgente 4373/c.1. Roma, 8 maggio 1952, ore 17.

A seguito di analoghe istruzioni ricevute, nostro rappresentante alla Conferenza C.E.D., che è stato autorizzato a siglare testi 9 corrente, ha comunicato suoi colleghi che non era assolutamente possibile che presidente De Gasperi si potesse recare a Parigi il giorno 19 maggio per esaminare di concerto con altri ministri degli esteri le questioni tuttora in sospeso e per procedere alla firma del trattato C.E.D. La campagna politica per elezioni amministrative a Roma e nei centri più importanti dell’Italia meridionale è divenuta assai intensa ed è andata assumendo un particolare significato che può avere anche ripercussioni internazionali: è quindi impossibile presidente De Gasperi allontanarsi dall’Italia nei giorni che precedono le elezioni, fissate come è noto per domenica 25 maggio. Proprio il giorno 21 maggio verrà tenuto a Roma da S.E. De Gasperi un conclusivo discorso politico.

Così stando le cose on. Lombardo ha proposto che riunione prevista si tenga non prima del 28 maggio. È stato aggiunto che ancora oggi la firma del trattato per la C.E.D. appare collegata alla firma degli accordi contrattuali con la Germania a che, a meno che non si verifichi un mutamento di posizione, sembra difficile che la firma detti accordi possa avvenire per la data del 20 maggio p.v. indicata in precedenza. Infine come risulta da una convocazione ora giunta i ministri degli esteri dei sei paesi si dovranno trovare a Strasburgo tra il 22 ed il 25 maggio p.v.

La Conferenza ha accettato di fissare la nuova data al giorno 29 maggio, previa conferma dei Governi interessati.

In relazione a quanto precede pregasi V.E. (V.S.) di voler intervenire con la massima urgenza presso codesto Governo sulla base di tutti gli elementi sopra indicati che ella vorrà opportunamente illustrare, affinché data 29 maggio venga accettata.

Pregasi assicurare.


544 1 Diretto anche alle rappresentanze a Bad Godesberg, Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo.

545

L’AMBASCIATORE A TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 5485/70. Tokyo, 8 maggio 1952, ore 18,25(perv. ore 14).

Ho presentato lettere credenziali oggi. Imperatore, pregandomi fare pervenire a S.E. presidente della Repubblica italiana espressione suoi cordiali sentimenti, si è con me rallegrato ritorno a costruttiva tradizionale amicizia. Hirohito mi ha poi personalmente rinnovato suo grato apprezzamento per recente messaggio dell’E.V. al popolo giapponese1. Stampa a radio mettono in evidenza avvenimento.


545 1 De Gasperi aveva accolto l’invito della stazione radio giapponese N.H.K. ad inviare un messaggio augurale alla nazione in occasione dell’entrata in vigore del trattato di pace. Il testo del messaggio fu inviato a d’Ajeta (T. 3703/27 del 17 aprile) e radiodiffuso il 28 aprile.

546

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. per telefono 5559/234. Londra, 9 maggio 1952, ore 13,30.

Oggi alle ore 12 ho siglato al Foreign Office insieme a Dixon ed a Holmes memorandum d’intesa per amministrazione Zona A1.

In breve discorso chiusura Dixon ha sottolineato spirito comprensione ed amicizia col quale, pur nella difesa rispettivi punti di vista, conversazioni si erano svolte. Egli ha dichiarato che tale spirito costituisce miglior auspicio sia per applicazione provvedimenti qui concordati, sia per ricerca soluzione definitiva intera questione T.L.T. Holmes nell’associarsi parole Dixon ha tenuto dichiarare che due Governi avevano costantemente tenuto presenti esigenze nostra situazione politica interna di cui si rendevano pienamente conto ed avevano fatto massimo sforzo per venire incontro nostre richieste. Laddove non avevano potuto farlo ciò era dipenso unicamente da rigide necessità loro responsabilità internazionali.

Dixon, che durante seduta era stato chiamato da Eden, mi ha poi detto privatamente che Eden desiderava farmi sapere di avere costantemente seguito corso conversazioni avendo presenti nostre esigenze anche imminenti elezioni italiane; e che sperava noi fossimo soddisfatti risultato. Ho risposto che ringraziavo per cortese omaggio: che durante conversazioni non mi ero recato da Eden unicamente per non avere l’aria di scavalcare capo della delegazione britannica: ma che mi proponevo di chiedergli udienza nei prossimi giorni2.


546 1 Vedi D. 531.


546 2 Il giorno seguente De Gasperi inviò a Brosio il seguente telegramma (T. 4460/184): «Esprimo a lei e suoi collaboratori compiacimento mio e del Governo per concreti risultati raggiunti in negoziati per Zona A. Nostra fatica per raggiungimento auspicato obbiettivo finale non è ancora ultimata e dovrà essere tenacemente continuata. Ma è con viva soddisfazione che dobbiamo registrare importante passo innanzi che è stato compiuto. Ringrazi anche ministro Eden, che spero incontrare prossimamente a Parigi, per comprensione dimostrata da sua delegazione».

547

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 5648/440-441. Parigi, 10 maggio 1952, ore 21,10(perv. ore 22,20).

Mi riferisco al mio telegramma n.4081.

La Tournelle mi ha mostrato la seconda redazione del progetto di risposta alla nota russa2. Tale secondo testo è stato sottoposto al cancelliere Adenauer ed a Reuter i quali lo hanno entrambi approvato incondizionatamente: manca soltanto l’approvazione degli americani che si sono chiusi da sei giorni in un assoluto mutismo. Stamane soltanto è stato annunciato che l’esperto americano ha ricevuto istruzioni di apportarvi alcune modifiche delle quali non si conosce il tenore e la portata. Gli inglesi ed i francesi hanno istruzioni di attenersi alla loro redazione. In sostanza il nuovo progetto della nota non si allontana dal precedente: è soltanto molto più circostanziato ed è redatto in maniera più abile, ai fini della eventuale propaganda interna.

Nel punto primo è stata messa molto in rilievo la necessità che ci sia un Governo tedesco unificato ed indipendente che possa partecipare ai negoziati e non (dico non) un Governo tedesco sotto il controllo quadripartito. La Tournelle mi ha fatto osservare che per questo punto la delegazione francese ha utilizzato alcune idee del nostro memorandum. Per ciò che concerne il punto primo l’insistenza sulla adesione tedesca alla C.E.D. è stata messa un po’ in sordina ed invece si è messo molto in rilievo come il condannare la Germania all’isolamento è in contraddizione con l’idea di dare alla Germania la completa indipendenza e si insiste sulla libertà per la Germania di aderire all’O.N.U. e ad altre organizzazioni di carattere difensivo; è stato ribadito il concetto che gli Alleati occidentali sono disposti a dare alla Russia le assicurazioni e le spiegazioni che essa desideri su questo punto.

È stato poi detto con molta maggiore fermezza che gli Alleati occidentali non possono accettare le frontiere orientali della Germania derivanti dalla arbitraria interpretazione sovietica della conferenza di Potsdam. Sostanzialmente nulla è cambiato circa il punto terzo. Si è poi insistito sul concetto che non è possibile stabilire dettagliatamente i principali punti del trattato di pace fra i Quattro in assenza della Germania essendo ciò in contraddizione con l’invito di partecipare ai negoziati rivolto al Governo tedesco.

Per quanto riguarda la procedura, gli Alleati occidentali preferiscono;

1) l’accordo sulla Commissione di inchiesta e la possibilità di libere elezioni;

2) la riunione dei quattro Alti Commissari per esaminare le misure da prendersi per dare corso alle osservazioni e raccomandazioni della suddetta Commissione;

3) riunione dei quattro Alti Commissari o anche a livello superiore, per procedere alle elezioni, e stabilire le modalità per il libero funzionamento del Governo tedesco unificato prima e durante la Conferenza della pace.

Poi La Tournelle mi ha detto che il nostro memorandum è attualmente allo studio degli uffici competenti per preparare la risposta francese e che esso è stato trovato molto interessante dal ministro.


547 1 Del 30 aprile, con il quale Quaroni aveva comunicato le prime informazioni sul progetto di risposta alla nota sovietica.


547 2 Vedi D. 501.

548

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. segreto 4497-4498/c.1. Roma, 11 maggio 1952, ore 18,30.

(Per on. Lombardo) Si trascrive quanto oggi telegrafato rappresentanze paesi membri C.E.D.

(Per tutti) Come noto questione sedi C.E.D. è stata rinviata a Conferenza ministri esteri precedente firma trattato C.E.D.

Parecchi Governi hanno espresso desiderio discutere questione unitamente quella sedi piano Schuman, scopo facilitare eventuali reciproche concessioni. Idee diversi Governi circa distribuzione singole sedi le sono note.

Prego informare codesto Governo che in vista prossimo completamento ratifiche piano Schuman e quindi necessità arrivare decisione, proponiamo che entrambi problemi siano discussi e risolti assieme durante conferenza suddetta.

Su tale argomento Governo italiano, come ella conosce, è del pensiero che, per evidenti motivi intesi a facilitare processo di unificazione federalista, tutte istituzioni delle due Comunità dovrebbero essere accentrate in una sola città.

Prego aggiungere che, se invece si dovesse decidere distribuzione istituzioni stesse in diverse località, manterremo fermamente candidatura Torino per Assemblea che è unica per entrambe Comunità.

Gradirei conoscere preciso punto di vista codesto Governo.


548 1 Diretto anche alle ambasciate a Bad Godesberg, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Parigi.

549

L’AMBASCIATORE A TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 5683/72. Tokyo, 12 maggio 1952, ore 19(perv. ore 16,15).

Telespresso ministeriale n. 064311.

In relazione nuove direttive di massima ho avuto conversazione esplorativa con questo direttore generale affari economici, senza reciproco impegno. Dopo conversazione egli, nell’assicurare intenzioni giapponesi inspirate conversazioni e future trattative a criterio proficua cordiale collaborazione, sarebbe favorevole:

1) a considerare possibilità concludere modus vivendi provvisorio ridotto alla clausola della nazione più favorita da concedere reciprocità per fondamentali materie stabilimento commercio e navigazione;

2) ad ammettere qualche ragionevole riserva italiana, per cui mi riferisco al mio telespresso n. 8211, tuttavia intonandola al massimo possibile alla generale prassi internazionale;

3) a rinvio ai futuri negoziati per conclusione trattato di amicizia (che potrebbero iniziarsi fine anno corrente) discussioni di principio e dettaglio che non debbano essere comunque pregiudicate da presenti temporanei impegni;

4) a stipulazione detto modus vivendi mediante contemporanea dichiarazione unilaterale contenente clausola concordata e avente in effetti valore di un vero e proprio accordo internazionale, ciò allo scopo di mettere subito dopo in vigore intesa raggiunta evitando ratifica Parlamento.

Resto in attesa istruzioni di V.E. e dell’eventuale nuova formula italiana.


549 1 Non pubblicato.

550

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 2513/1330. Londra, 12 maggio 19521.

I commenti della stampa inglese agli accordi sull’amministrazione di Trieste hanno mostrato una certa tendenza – evidentemente anche per la preoccupazione delle reazioni di Tito – a sottovalutarne la portata. Tale prevedibile atteggiamento fa riscontro alla posizione mantenuta dal Foreign Office durante le conversazioni e ne costituisce la espressione conclusiva. Infatti nelle trattative si sono potute notare tre fasi. Nella prima gli anglo-americani hanno seccamente respinto qualsiasi concessione, anche di compromesso, avente un significato di vero mutamento politico a Trieste (truppe, polizia, legislazione, giurisdizione, bandiera, poteri autonomi all’amministrazione italiana). In questa prima fase, gli Alleati offrivano invece una partecipazione amministrativa estremamente limitata, palesemente inaccettabile da noi, allo scopo evidente di riservarsi uno spazio di manovra.

Nella seconda fase gli angloamericani, di fronte alla nostra tenace insistenza, si inducevano a proporci una partecipazione amministrativa più larga ed a promettere di effettuarne una presentazione politica e giuridica accettabile alla pubblica opinione italiana, per ottenere la progressiva rinuncia da parte nostra alle nostre richieste maggiori.

Nella terza fase poi gli angloamericani hanno fatto di tutto per circoscrivere il più possibile la portata delle concessioni amministrative fatte, tanto nel loro contenuto, quanto e più nel loro significato, ed hanno cercato di sminuire la figura del direttore superiore e del consigliere politico, sottolineando al contrario la permanenza dei poteri di governo nel comandante di Zona.

Tutto ciò ha determinato la lunghezza delle discussioni giacché da parte nostra non si era nella condizione di troncarle se non denunciando un sostanziale disaccordo fra gli Alleati e compromettendo maggiormente il futuro immediato di Trieste (elezioni) nonché quello lontano. Eravamo nelle condizioni di accettare quel che ci offrivano, e di discutere senza avere una reale alternativa; entro questi limiti, ciò che abbiamo strappato a prezzo di discussioni, lunghe, minuziose e spesso penose può essere considerato soddisfacente.

Tutto questo va seriamente considerato per valutare senza illusioni la situazione di Trieste dopo i recenti accordi. Questi, se saranno lealmente eseguiti dagli angloamericani, ci metteranno naturalmente in condizioni di guardare con più calma al passare del tempo, consentendoci una meno rischiosa attesa. Ma non è detto che tutti i pericoli siano svaniti.

Il consolidarsi di una mentalità indipendentista è infatti connessa col prolungarsi del governo angloamericano nella Zona A: l’intreccio di interessi di gruppi economici locali, legati a gruppi burocratici, riceverà un colpo dal nuovo ordinamento, ma tenderà a reagire, e forse a mettere in contrasto il Comando di Zona con l’Amministrazione italiana.

Già attualmente vediamo che nella opinione pubblica straniera – in quella britannica in particolare – si va estendendo il concetto che la soluzione indipendentista è la sola ragionevole e moderata, mentre ogni altra soluzione è nazionalista. Questa pericolosa posizione mentale conduce a conseguenze logiche paradossali. Così si è potuto leggere su un giornale indipendente (e scarsamente responsabile) come il Manchester Guardian la proposta, non solo di mantenere, ma anche di allargare e consolidare il Territorio Libero fino a includervi tutta l’Istria. Lo stesso giornale ha potuto sintetizzare la situazione elettorale triestina così: vi è il partito indipendentista conformista, e infine vi è il partito di una Trieste indipendente appoggiata agli angloamericani.

Non è che il Governo britannico o quello degli Stati Uniti pensino seriamente a consolidare la loro influenza a Trieste. Anzi, essi onestamente pensano di doverla abbandonare al più presto. Ma poiché essi non intendono compromettersi nel conflitto italo-jugoslavo, e poiché d’altra parte Trieste è la cerniera che collega Italia ed Europa centrale in un punto vitale per lo schieramento atlantico, la situazione obiettiva li pone nella necessità di assicurare essi stessi, con la loro prolungata presenza, ciò che la mancanza di un accordo italo-jugoslavo minaccia di compromettere.

Tutto questo bisogna tener presente; è inutile gridare alla mala fede degli Alleati, ma bisogna piuttosto pensare alle prospettive negative di una situazione che siamo riusciti a correggere temporaneamente, ma che non abbiamo ancora affatto risolta. Per intanto, naturalmente, noi dobbiamo cercare di trarre il maggior partito dalle recenti intese circa la Zona A allo scopo di avvicinarci ai nostri fini ultimi.

Ciò implicherà, a mio avviso, in primo luogo di ottenere l’esecuzione leale ed integrale degli accordi testé firmati (ed uno degli obiettivi delle reazioni di Tito è certo quello di ricattare gli Alleati per riprendere sul piano pratico una parte del terreno perduto con i recenti accordi). Nella fase di esecuzione potranno sorgere delle difficoltà; da parte nostra bisognerà soprattutto evitare che il comandante di Zona tenda a costituirsi, sotto l’apparenza di un ufficio di coordinamento o simile, una vera e propria direzione centrale al di sopra del direttore superiore. Su questo abbiamo molto chiaramente ed energicamente attirato l’attenzione degli Alleati durante le conversazioni. Bisognerà anche essere attenti ad impedire che una parte delle funzioni spettanti agli uffici ora affidati all’Amministrazione italiana sia, in linea di fatto, loro sottratta ed accentrata nel Comando. Ciò esige un certo tempo e molta attenzione e fermezza da parte di chi, da parte nostra, sarà inviato sul posto. A tale riguardo mi permetto di sottolineare tutta l’importanza di una scelta felice della persona che ricoprirà la carica di direttore superiore dell’Amministrazione. A mio avviso, ove non fosse disponibile un elemento del Ministero degli interni in possesso di tutti i requisiti adatti (senso politico, conoscenza dell’inglese, fermezza ed equilibrio di carattere), si potrebbe anche inviare o un magistrato o un elemento di altra Amministrazione o anche una personalità estranea all’Amministrazione dello Stato.

Se il direttore superiore avrà le doti necessarie egli potrà veramente accentrare in sé tutta l’amministrazione senza urtarsi con il comandante di Zona ed acquistandone anzi la fiducia. Sarebbe invece a mio avviso un errore quello di sopravalutare, attraverso la scelta della persona, il posto di consigliere politico; esso è molto delicato ed importante, ma non dobbiamo dare agli Alleati l’impressione di farne l’anello di congiunzione fra il comandante di Zona e il direttore superiore. L’azione del Polad deve essere parallela a quella del direttore superiore sul piano più strettamente politico; deve fiancheggiarla e facilitarla. Se volesse dirigerla e servire da tramite col comandante di Zona, intervenendo così direttamente nel governo anziché rimanere nella sfera consultiva, potrebbe creare sospetti e frizioni deprecabili.

Dobbiamo dunque avere nel direttore superiore e nel Polad due uomini di primo ordine non troppo diversi per rango e per autorità, ma due uomini che sappiano nello stesso tempo armonizzare le loro funzioni nell’ambito delle rispettive competenze, non ponendosi sullo stesso piano né in rapporto gerarchico fra di loro e nei riguardi del comandante di Zona.

Tanto più l’azione dei nostri elementi potrà avere risultati apprezzabili per i nostri interessi e tanto più essi avranno titolo a farsi ascoltare dal comandante di Zona, quanto più, fin dall’inizio, la loro attività si ispirerà ad un criterio di cooperazione e mirerà a normalizzare la situazione nella Zona. E poiché da parte nostra dovremo probabilmente richiedere il richiamo di qualche elemento compromessosi per un indirizzo troppo a noi ostile, potremmo anche far comprendere che, condizionatamente, saremmo disposti a sostituire qualche nostro meno equilibrato esponente.

Con queste precauzioni le possibilità offerteci dal nuovo accordo potranno consentirci di attendere con minori ansie la soluzione definitiva del problema. Non saprei, a questo riguardo, troppo sottolineare l’importanza delle prossime elezioni, ed è anche evidente che l’applicazione dei recenti accordi risentirà grandemente dei risultati elettorali.

Per ciò riguarda le possibilità circa la soluzione finale del problema di Trieste, l’appoggio che possiamo sperare dagli Alleati, e il modo in cui potremo sollecitarlo, mi riservo di riferire prossimamente, tenendo conto anche dei miei imminenti contatti2.


550 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


550 2 Vedi D. 561.

551

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 5769/129. Belgrado, 13 maggio 1952, ore 22,59(perv. ore 7 del 14).

Sostituto ministro degli affari esteri Vlahović ha consegnato oggi ambasciatore americano e incaricato d’affari britannico risposta Jugoslavia1 a memorandum2 su decisioni Conferenza Londra.

Risposta Jugoslavia riproduce concetti illustrati da maresciallo Tito in discorso domenica mattina circa violazione trattato e decisioni prese senza suo consenso su questioni di suo interesse3.

Vlahović ha insitito poi su fondatezza punto di vista Jugoslavia adducendo che se da parte anglo-americana si cerca sminuire portata Conferenza Londra da parte italiana non si manca invece porre in rilievo risultati.

Vlahović ha preannunziato imminente adozione da parte Jugoslavia in Zona B misure analoghe a quelle adottate in Zona A e cioè introduzione consiglieri ed amministratori civili jugoslavi; consiglieri sembra saranno tre: uno Governo sloveno, uno Governo croato, uno Governo federale. Attiro l’attenzione fin da ora su influenza che potrebbe avere circa eventuale soluzione definitiva questione intero T.L.T. circostanza molto probabile che Amministrazione litorale nord Zona B faccia fino da ora capo a rappresentanti Repubblica slovena.

Vlahović ha insitito anche su preoccupazione Jugoslavia che concessioni ad Italia in T.L.T. incoraggino aspirazioni riconquista territori perduti.

Vedrò Allen domani mattina4.


551 1 Con il T. 5640/122 del 10 maggio Martino aveva comunicato le prime reazioni jugoslave all’accordo di Londra. La nota jugoslava qui commentata è edita in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 21, p. 516.


551 2 Vedi D. 531, Allegato.


551 3 Il discorso pronunciato l’11 maggio a Zrenjanin è edito in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 21, p. 517.


551 4 Con T. s.n.d. 5917/135 del 15 maggio, Martino riferì: «Allen ha chiesto esplicitamente a Tito se Governo jugoslavo è pronto riprendere conversazioni dirette con l’Italia per questione T.L.T. Tito ha risposto affermativamente. Ha aggiunto però che Governo jugoslavo non può fare primo passo essendo in attesa risposta a promemoria jugoslavo relativo plebiscito».

552

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE PRESSO IL CONSIGLIO D’EUROPA, CAVALLETTI

Telespr. 23/428. Roma, 14 maggio 1952.

Questo Ministero ha esaminato attentamente il questionario preparato dai delegati dei ministri per l’esame della proposta britannica sui futuri compiti del Consiglio d’Europa ed il pro-memoria di chiarimento presentato dal delegato britannico1. Il progetto Eden, che ci è apparso alquanto nebuloso al momento della sua presentazione, ci sembra ancora tale oggi, nonostante le spiegazioni contenute nel suddetto memorandum.

Un primo rilievo balza evidente a questo proposito: né il progetto: né il pro-memoria parlano dell’Alta Autorità del piano Schuman e del Commissariato della C.E.D. Se si tiene conto che questi due organi costituiscono i perni fondamentali delle due rispettive istituzioni e ne esauriscono quasi completamente l’attività esecutiva, non si comprende come si possa parlare di inquadrare le due istituzioni nel Consiglio d’Europa senza dire una parola né dell’Alta Autorità né del Commissariato C.E.D.

Il silenzio attorno ai due organi fondamentali rende assai poco chiaro tutto quanto nelle proposte inglesi si dice circa il Consiglio dei ministri. Infatti in ambedue le istituzioni e in modo del tutto particolare nel piano Schuman il Consiglio dei ministri è stato concepito e svolgerà i propri compiti accanto ed in funzione di quelli dell’Alta Autorità e del Commissariato. È perciò assurdo pensare che il Consiglio dei ministri abbia un Segretariato, una burocrazia, una sede permanente differenti da quelle dell’Alta Autorità (ciò non esculde la possibilità, in via eccezionale, di riunioni in sedi diverse).

Se il piano Eden si prende così come è stato presentato e si cerca di attuarlo si arriva ad una sola possibile soluzione: non parlando esso dell’Alta Autorità e del Commissariato, ed essendo impossibile prendere misure circa il Consiglio dei ministri se non riferendosi ai due organi predetti, l’unico inquadramento possibile sarà quello delle due Assemblee nell’Assemblea di Strasburgo.

Effettivamente, fermi restando i problemi di numero, di procedura, ecc., relativi ai rapporti fra le due Assemblee e l’Assemblea del Consiglio d’Europa, non è affatto impossibile prevedere che le tre Assemblee abbiano un tetto comune, una burocrazia comune, un Segretariato comune.

La logica soluzione delle proposte Eden sarà quindi che l’Alta Autorità Schuman ed il Commissariato C.E.D. con i corrispettivi Consigli dei ministri entreranno in funzione, per esempio, la prima a Liegi, il secondo a Fontainebleau, e che il solo inquadramento a Strasburgo sarà quello delle due Assemblee nell’Assemblea consultiva.

Questo significa:

1) svuotamento del valore dell’articolo 9 del trattato C.E.D.

2) tagliare fuori l’Italia da qualsiasi sede delle Istituzioni europee.

Per evitare questo fatale risultato bisogna assolutamente modificare l’attuale impostazione del problema.

Il Governo italiano non risponde al questionario così come è stato formulato, perché tale questionario restando nella nebbia di posizioni non chiare, non investe in pieno il problema sorto con la proposta di Eden, e diluendo lo spirito di tale proposta in una serie di domande dettagliate finisce per snaturare tale spirito.

L’Italia accetta la sostanza della proposta Eden: inquadramento delle due Comunità nell’ambito del Consiglio d’Europa. Per attuare tale sostanza l’Italia non vede che una pratica soluzione: far confluire in una medesima sede tutti gli organi di tutte le comunità europee (eccezion fatta per l’Alta Corte).

Questa unicità di sedi, a Strasburgo (o Saarbrucken, o Lussemburgo che sia) servirà ad identificare una capitale europea e a dare a tutti gli organi delle diverse istituzioni europeistiche una comunità di luogo.

Non si vede difficoltà poi di dare un tetto comune a tutte le differenti assemblee, intendendo con questo non soltanto l’aspetto logistico, ma anche quello organizzativo, funzionale burocratico e segretariale.

Noi crediamo insomma, che applicandosi il piano Eden (a Strasburgo, a Saarbrucken o a Lussemburgo) l’Assemblea europea con un unico palazzo, una solaburocrazia, una sola organizzazione, un solo Segretariato, potrà funzionare tantoper l’Assemblea del Consiglio di Europa quanto per l’Assemblea della C.E.D. e per l’Assemblea del piano Schuman.

In un altro palazzo, con propria organizzazione, propria burocrazia, proprio Segretariato, sarà l’Alta Autorità del piano Schuman, con accanto il Consiglio dei ministri, nelle sue periodiche riunioni.

In un altro palazzo ancora il Commissariato C.E.D., con propria burocrazia, propria organizzazione, proprio Segretariato, anche questi affiancati, di tanto in tanto, dal Consiglio dei ministri.

I rapporti fra l’Alta Autorità del piano Schuman e l’Assemblea, fra il Commissariato C.E.D. e l’Assemblea e quelli fra le rispettive burocrazie, saranno analoghi ai rapporti che sussistono fra un Governo e la Camera dei deputati, fra le burocrazie governative e quelle parlamentari.

Se questo risultato non dovesse ottenersi l’Italia non potrebbe accettare una parziale applicazione del piano Eden che si risolvesse nel lasciare sparpagliate per l’Europa le sedi dell’Alta Autorità del piano Schuman, del Commissariato C.E.D., e quindi dei rispettivi Consigli dei ministri, e inquadrate invece a Strasburgo soltanto le Assemblee. In tal caso, non avendosi quei vantaggi in senso europeistico che sarebbero dati dall’unità di luogo, il tetto comune, limitato alle sole assemblee finirebbe per agire in senso contrario denicotinizzando la spinta federalistica dell’Assemblea C.E.D. (art. 9).

In altre parole, la nostra fedeltà all’idea europea arriva fino a farci rinunciare a qualsiasi richiesta di avere in Italia la sede di uno degli organi supernazionali, sempre che gli altri paesi interessati siano pronti a fare altrettanto.

Se ciò sarà possibile, non sarà difficile concretare soluzioni realistiche nel senso auspicato dalla proposta britannica. Se invece prevarrà il criterio di ripartizione territoriale degli organi delle Comunità a sei (e in tal caso siamo ben decisi a difendere fermamente la candidatura di Torino quale sede delle Assemblee Schuman e C.E.D.), la proposta britannica avrà ben poche possibilità di passare ad una fase di concretezza.

Pur conservando la nostra simpatia ed il nostro appoggio alla proposta Eden, non ci possiamo nascondere che essa è attualmente oggetto di una sospensiva, derivante da un avvenimento a tutt’oggi incerto, quale è la decisione che la Conferenza CED prenderà sulla dislocazione delle future Autorità a sei.

Maggiori chiarimenti circa le effettive possibilità di collaborazione fra il Consiglio d’Europa e le Comunità potranno aversi nei prossimi giorni, ad un più alto livello, in occasione delle riunioni dei ministri degli esteri a Parigi ed a Strasburgo.


552 1 Vedi DD. 429, 437, 440, 447, 475, 505, 522 e 539.

553

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI,E ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.n.d. 4640/354 (Parigi) 248 (Washington). Roma, 15 maggio 1952, ore 23.

(Per Parigi) Suo 4491.

Si trascrive quanto telegrafato a Washington pari data:

(Per tutti) A Conferenza ministri Comunità Europea Difesa 19 corrente dovrà essere ridiscussa questione ponderazione voti in seno Consiglio ministri Comunità. Ciò in seguito richiesta tedesca che contributo tedesco a spese mantenimento truppe alleate Germania venga conteggiato effetti tale ponderazione, la quale basata è su contributi truppe e denaro che singoli Stati versano Comunità.

Dato che questione comporta delicato problema parità fra Germania e Francia, osservatore americano Conferenza ha informato nostro delegato che da parte americana si sarebbe favorevoli che, almeno provvisoriamente, valori ponderati dei voti francese e tedesco siano sempre considerati forfetariamente uguali fra loro.

La prego di comunicare codesto Governo con urgenza del caso che, pur rendendosi conto desiderio americano vedere risolta questione con criterio empirico per ragioni urgenza, Governo italiano si augura vivamente non sia avanzata proposta del genere cui dovremmo opporci assolutamente.

Tale proposta infatti verrebbe a riconoscere a Francia e Germania una posizione particolare e praticamente una superiorità nei confronti Italia, mai giustificabile di fronte nostra opinione pubblica e Parlamento e che non tiene conto tra l’altro elevata popolazione italiana2.


553 1 Del 13 maggio, con il quale Cavalletti aveva fornito informazioni sulla posizione statunitense circa la questione della ponderazione dei voti in ambito C.E.D.


553 2 Vedi D. 563.

554

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’ONOREVOLE LOMBARDO, A PARIGI

T. s.n.d. 4642-4643/c.1. Roma, 15 maggio 1952, ore 24.

(Per on. Lombardo) Suoi 4492 e 4593. Si trascrive quanto telegrafato pari data Bruxelles, Aja, Lussemburgo:

(Per tutti) A Conferenza ministri C.E.D. 19 corrente sarà ridiscusso problema ponderazione voti seno Consiglio in seguito richiesta tedesca che contributo tedesco a spese mantenimento truppe alleate Germania venga conteggiato effetti tale ponderazione, la quale è basata su media contributi truppe e denaro che singoli Stati versano Comunità.

Si profila serio pericolo che criterio attuale venga corretto mediante compromesso per cui Francia e Germania dovrebbero veder riconosciuta parità fra di loro così che di fatto e in parte anche di diritto si vedrebbero riconosciuta posizione preminente confronto altri membri. In tal modo si verificherebbe in parte la situazione osteggiata da codesto Governo al momento della precedente trattativa quanto da parte nostra fu proposta ripartizione forfetaria voti come segue: Italia Francia Germania 24 ciascuno, Belgio Olanda 10 ciascuno, Lussemburgo 4. Se si tiene ora presente che da nostri calcoli attuale sistema ponderazione complicato inoltre da richiesta Germania che si risolverebbe comunque in aumento sua percentuale ponderazione, darebbe a Benelux complessivamente circa 17/19 per cento totale, mentre nostra proposta concedeva 25 per cento, sembrerebbe forse conveniente per Olanda, Belgio, Lussemburgo riprendere nostra proposta che sancirebbe distinzione fra grandi e piccoli come attuale progetto francese, ma almeno consentirebbe paesi Benelux maggior peso nel voto. Se codesti Governi fossero disposti ripresentare proposta noi l’appoggeremmo.

Altrimenti dovremmo comunque cercare accordo che ci metta su piede parità con Francia e Germania anche con attuale sistema ponderazione. La prego consultare immediatamente codesto Governo su quanto sopra tenendo presente che occorrerebbe risposta entro 17 corrente4.


554 1 Diretto anche alle ambasciate a Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo.


554 2 Vedi D. 553, nota 1.


554 3 Del 14 maggio, non pubblicato.


554 4 Con il T. s.n.d. urgentissimo precedenza assoluta 4662/c. del 16 maggio Zoppi rettificò il secondo capoverso come segue: «Seguito telegramma circolare 4642-4643/c. pregasi leggere, ove si parla di precedente proposta italiana circa ponderazione voti Consiglio, Francia, Germania, Italia 5 voti ciascuno; Belgio e Olanda 2 voti ciascuno; Lussemburgo 1, anziché 24 e rispettivamente 10 e 4. Trattasi errore trascrizione che non (dico non) cambia basi ragionamento esposto.» Per il seguito vedi D. 563.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 4733/c. Roma, 17 maggio 1952, ore 24.

I nuovi provvedimenti annunciati dalla Jugoslavia per la Zona B, più che portare sostanziali modifiche alla già arbitraria situazione di fatto persistente, sembrano voler consolidare tale situazione anche dal punto di vista formale. Già da tempo infatti autorità militari di occupazione avevano di gran lunga superato poteri riconosciuti loro da trattato, procedendo, a tutti gli effetti pratici, ad una integrazione della Zona alla Jugoslavia. Ciò cui Tito adesso mira, traendo a pretesto accordi Londra, è di giustificare a posteriori situazione da lui creata (e da noi ripetutamente denunciata), e di predisporre contemporaneamente premesse per eventuali più radicali atteggiamenti.

A nostro avviso quindi, pur riservando ogni giudizio dal punto di vista giuridico su provvedimenti di cui trattasi (attualmente sottoposti ad attento esame), è soprattutto sotto il loro aspetto politico che provvedimenti stessi (tra cui nomina di un consigliere sloveno e di uno croato con delega poteri) vanno valutati e seriamente considerati.

La prego parlarne costà, rilevando come reazione jugoslava nel suo complesso sia stata anche sproporzionata a relativamente modeste concessioni anglo-americane in fatto nostra partecipazione Amministrazione Zona A; concessioni contenute in una rigida interpretazione del trattato e che, come ha rilevato Eden, non possono in alcun modo paragonarsi con le funzioni anche di governo diretto che Jugoslavia esercita in Zona B.

Lasci comprendere d’altra parte come opinione pubblica e Governo italiano non potrebbero assistere indifferenti ad ulteriori atti unilaterali di Tito nei riguardi Zona B, e certo non saprebbero tollerare eventuale annessione. Sarebbe quindi necessario, anche in vista non compromettere definitivamente ogni possibilità avvenire, che codesto Governo facesse pervenire precisi consigli a Belgrado, ricordando oltretutto che attuale tensione italo-jugoslava e sue ripercussioni in settore adriatico, sono diretta conseguenza della passata e continua azione svolta dalla Jugoslavia in Zona B.

Ricordi anche nostre ripetute richieste perché sia stabilita in Zona B rappresentanza G.M.A. così come esiste a Trieste rappresentanza Governo militare jugoslavo1.


555 1 Per le risposte da Londra e Washington vedi rispettivamente i DD. 561 e 557. Quaroni nell’assicurare (T. segreto 6161/488 del 22 maggio) circa l’esecuzione delle presenti istruzioni aggiungeva: «… Su questo problema di Trieste francesi continuano a manifestare molta comprensione, ma non hanno l’impressione che – immediatamente dopo averci dato qualche tangibile soddisfazione in Zona A – Londra e Washington ricomincino subito ad impegnarsi per impedire agli jugoslavi di fare in Zona B, sia pure con nuova aggressività legislativa, quello che hanno fatto finora …».

556

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6020/97-98. Vienna, 18 maggio 1952, ore 23,15(perv. ore 11,30 del 19).

Vengo confidenzialmente informato da questo segretario generale affari esteri che Gruber verso la fine di giugno farà visita a Tito. Già mese passato vi era stato approccio in questo senso sotto il patrocinio inglese ma allora suggerimento fu lasciato cadere allegando che finché appariva possibile conclusione trattato di pace non conveniva visita del genere che avrebbe potuto essere sfruttata dalla Russia per accampare altre difficoltà.

È stata ora rinnovata forte pressione inglese. Gruber ha cercato guadagnare ancora tempo finché si è visto infine costretto a cedere. Gli hanno prospettato due date: una ai primi di giugno, altra verso la fine. Ha scelto quest’ultima per guadagnare tempo con la speranza che frattanto possa intervenire distensione fra Italia e Jugoslavia. Giustificazione viaggio sarebbe firma accordo piccolo traffico di confine. Segretario degli affari esteri mi ha detto che malgrado così forte insistenza inglese Austria vorrebbe condizionare firma a soluzione problema beni austriaci che si trovano in zona frontiera da parte Jugoslavia; tale questione però sino ad ora sembrava insolubile. A mia richiesta mi è stato precisato luogo stabilito essere Brioni. Ho detto a segretario degli affari esteri a titolo sia pure strettamente personale che notizia visita ministro compreso località incontro in un momento così delicato e dopo ultima manifestazione avvenuta Vienna circa Trieste mi facevano pessima impressione ed ero incline a credere che altrettanta pessima sarebbe stata impressione costì. Non vedevo quale utilità Austria potesse ricavare da questo viaggio anche a prescindere da rapporti diretti con noi sussistendo tra l’altro sempre aperto problema trattato di pace.

Segretario generale affari esteri è rimasto assai perplesso di fronte alla mia reazione e mi ha detto che avevano pensato a molte delle obiezioni che muovevo ma che non era stato possibile sottrarsi pressioni inglesi. Speravano che nel frattempo maturasse un accordo fra di noi e Tito in modo che la visita coincidesse con nuova fase rapporti. Gli ho fatto osservare trattarsi facile ottimismo che ignoravo su che cosa fondasse e che serve semplicemente mascherare lato essenzialmente negativo viaggio. Segretario generale affari esteri appunto per queste mie obiezioni constatava quanto era stato utile informarmi immediatamente.

A mia richiesta mi ha detto che pensavano comunque incaricare più tardi Schwarzenberg perché ci informasse e spiegasse situazione. Per il momento notizia visita non verrebbe comunque divulgata e ho avuto impressione si propenderebbe ritardarne per quanto è possibile annunzio.

Sarò grato V.E. istruzioni orientative per norma di qualche eventuale azione mia1.


556 1 Per la risposta vedi D. 562. Con T. segreto 6147/105-106 del 21 maggio Cosmelli riferiva essergli stato assicurato che la prevista visita di Gruber a Tito non avrebbe avuto carattere politico e che non sarebbe stato affrontato il problema di Trieste.

557

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6041/364. Washington, 19 maggio 1952, ore 19,58(perv. ore 21,30).

Suo 4733/c.1.

Ho parlato a lungo e molto energicamente con Perkins.

Ho ricordato ripetuti abusi e crudeltà Tito in Zona B, che non sono mai contrastati con vigore da anglo-americani ed ai quali adesso Jugoslavia cerca dare illegittima sanzione. Ho confrontato questo atteggiamento con prudenza e riserve usate per Zona A. Ho confermato necessità istituire rappresentanza G.M.A. in Zona B. Ho sottolineato interesse americano non pregiudicare buoni rapporti con Italia, democratica e sinceramente amica, per vana speranza acquistare appoggio di un dittatore infido. Ho ripetuto che soluzione definitiva Trieste può essere ottenuta esclusivamente su base Dichiarazione tripartita2, con quei lievi ritocchi lungo linea etnica, cui Italia si è dichiarata da tempo disposta.

Ho concluso col rilevare che eventuali nuove iniziative Tito e in particolare nuovi passi verso annessione provocherebbero in Italia reazioni di estrema gravità e che pertanto si impone pronto e fermo ammonimento anglo-americano a Belgrado.

Perkins ha riconosciuto fondatezza mie argomentazioni e mi ha assicurato che risposta anglo-americana a misure prese da Tito è oggetto attento studio e consultazioni con Londra. Ha vivamente raccomandato calma finché azione anglo-americana non sarà stata decisa e soprattutto fino ad elezioni.

Ho risposto che siffatta raccomandazione deve essere rivolta Tito e che Governo italiano, cui atteggiamento è stato costantemente ispirato massimo senso responsabilità, confida in rapida ed efficace azione anglo-americana.


557 1 Vedi D. 555.


557 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

558

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6051/471-472-473. Parigi, 19 maggio 1952, part. ore 2,15 del 20(perv. ore 2,22).

La prima riunione dei ministri degli esteri tenuta questo pomeriggio ha esaminato i primi quattro punti dell’ordine del giorno rinviando a domani il punto due (ponderazione) che verrà esaminato congiuntamente alla questione del contributo tedesco, questione che su domanda di Stikker è stata aggiunta all’ordine del giorno.

Per quanto riguarda il punto uno Hallstein ha ritirato la richiesta tedesca di aggiungere il noto testo all’articolo nove con l’intesa che l’accordo sulla questione relativa, accordo che verrà concretato a Bonn quanto prima, sia allegato al trattato C.E.D. affinché i suoi membri ne prendano atto.

Poi si è discussa la questione delle sedi delle Istituzioni. Hallstein ha dichiarato che il suo Governo era favorevole a che la questione delle sedi C.E.D. venisse risolta cumulativamente con quella delle sedi Schuman, ma ha aggiunto che riteneva opportuno rinviare le decisioni su entrambi i problemi a più tardi. Infatti il Governo federale [ritiene] che la fissazione immediata delle sedi C.E.D. possa far sorgere in sede di ratifica delle difficoltà che si preferisce evitare.

Per parte mia ho dichiarato ritenere che la questione delle sedi C.E.D., oltre ad essere connessa con quella delle sedi del piano Schuman, era altresì intimamente congiunta con la proposta di Eden per il Consiglio di Europa.

In proposito il Governo italiano aveva delle idee ben precise e si riservava di fare proposte al momento opportuno, comunque riteneva che i problemi dovessero essere affrontati contemporaneamente e con visione unitaria.

Ho dichiarato di essere d’accordo con Hallstein che non era necessario decidere oggi su tale problema ed ho aggiunto che si poteva attendere la ratifica del piano Schuman. A richiesta di Stikker ho affermato che per quanto concerne la Camera dei deputati italiana si prevedeva che questa ratifica non avrebbe tardato oltre la prima quindicina di giugno. Anche van Zeeland ha assicurato la ratifica belga entro la prima metà del mese di giugno.

Pertanto si è rimasti d’accordo che, per quanto riguarda le sedi, al trattato sarà inserito un articolo identico a quello che esiste attualmente nel trattato Schuman. Per la decisione in tale materia si prevedeva una riunione dei ministri non oltre il 20 (dico venti) giugno.

Hallstein ha osservato a questo proposito che il Governo federale si proporrebbe di far ratificare il trattato C.E.D. prima delle vacanze parlamentari. In argomento Stikker ha indicato il 20 giugno quale data massima per la predetta riunione dei ministri dato che il Governo olandese dovrà dare le sue dimissioni al momento delle elezioni politiche che sono previste per il 25 giugno.

Per quanto riguarda le lingue, poiché si è fatta una distinzione fra le lingue delle Istituzioni e le lingue per uso delle Forze Armate, si è rinviata la decisione per la prima questione al Consiglio dei ministri statuente all’unanimità prendendo come base l’analoga impostazione del piano Schuman. Circa la seconda questione, Stikker ha proposto l’impiego dell’inglese come lingua ausiliaria per ragioni tecniche della Marina, dell’Aviazione nonché per il collegamento con la N.A.T.O. Ho fatto rilevare la difficoltà di presentare in Parlamento un trattato che indichi espressamente come lingua ausiliaria una lingua non appartenente ad alcuno dei sei membri. Ho aggiunto che sarebbe conveniente non precisare, lasciando che le necessità pratiche forniscano delle soluzioni più idonee. Tale mio punto di vista è stato condiviso da Schuman e si è deciso che il capitolo quinto del Protocollo militare venga estratto dal Protocollo stesso e sia trasformato in norme regolamentari tali da consentire l’elasticità opportuna.

559

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 4832/194 (Londra) 258 (Washington). Roma, 20 maggio 1952, ore 23,15.

In data odierna abbiamo consegnato a Belgrado risposta1 a nota jugoslava 11 aprile con la quale quel Governo, traendo a pretesto risultanze processo inscenato a Capodistria contro italiani, ci accusava illecite interferenze in Zona B.

Risposta, che era stata tenuta in sospeso per oltre un mese per evitare polemiche durante conversazioni Londra, disconosce legalità processo, e sottolinea violazioni trattato e statuto O.N.U. e persecuzioni compiute da jugoslavi in Zona B. Nota rileva altresì che sotto tale profilo condotta Governo Belgrado non si differenzia da quella paesi comunisti cominformisti.

È probabile, secondo quanto riferisce legazione Belgrado, che Governo jugoslavo dichiari nota inaccettabile a causa questa ultima frase alla quale è appunto intenzione dare opportuno rilievo.

In tal caso verrà da parte nostra dichiarato che atteggiamento jugoslavo non altera consistenza nostri apprezzamenti né fatto che questi gli siano stati regolarmente comunicati mentre prova imbarazzo quel Governo a confutare nostri argomenti.


559 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 21, p. 517.

560

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6688/477-478. Parigi, 20 maggio 1952, ore 24(perv. ore 0,10 del 21).

Particolarmente intense sono state le sedute di oggi. Per primi sono stati concordati i principî del regime linguistico di cui al capitolo V dei testi annessi: la linea franco-italiana ha prevalso sulla linea tedesco-olandese che tendeva ad adottare come lingua ausiliaria unicamente l’inglese, sicché tale capitolo è risultato leggermente modificato. Si è poi passati all’articolo 119. Lo stesso presidente Schuman ha prospettato su di esso le osservazioni e la richiesta britanniche: il ministro Stikker ha concretato una proposta di emendamento che lasciava aperti gli incovenienti notati nella nostra riunione di giovedì scorso a Roma, pur prevedendo riunioni comuni fra consiglio C.E.D. e consiglio N.A.T.O.

Ho reagito immediatamente facendo presente che attraverso un articolo della C.E.D. non si potevano allargare gli impegni del Patto atlantico. La discussione è stata piuttosto lunga, ma obiettiva. Appoggiata dal ministro van Zeeland, la nostra tesi ha finito col prevalere nettamente, essendosi della solidità giuridica di essa convinti tanto Schuman che Stikker. Schuman ha concluso che farà presenti agli inglesi le ragioni logiche per le quali i sei non (dico non) hanno ritenuto di poter aderire in sede C.E.D. ad una prospettiva che investe i limiti stessi degli impegni N.A.T.O.

Perciò si è concordato sull’art.119 come esso è attualmente: rimane ancora incerto se l’espressione « en Europe» verrà soppressa. Van Zeeland, Schuman ed io ci siamo dichiarati disposti ad accettare tale soppressione. Divenendo improvvisamente intransigente, Stikker invece, forse colpito dallo sviluppo della discussione ha detto di preferire che il testo rimanga intatto. Ricordo che la soppressione del termine «en Europe» ha unicamente il risultato di estendere gli impegni a zone che non godono della garanzia inglese alla C.E.D. (Groenlandia, Algeria, eccetera), ma che rientrano nella garanzia generale degli impegni N.A.T.O. La seduta del pomeriggio si è occupata dalla questione della durata del trattato. Qui si è manifestata la radicale posizione olandese contraria a stabilire un termine che vada oltre quello del Patto atlantico. Schuman, Hallstein ed io abbiamo sostenuto la necessità di non (dico non) concepire la C.E.D. unicamente in funzione del N.A.T.O. Stikker è stato blandamente sostenuto da van Zeeland. Schuman ha proposto il testo emendato che prevede, salvo consultazioni in caso di cessazione del vincolo N.A.T.O., la durata di 50 anni, semprechè nel frattempo il vincolo federativo politico tra i sei non sia già entrato in funzione. Questa proposta è stata accettata da van Zeeland. Invece Stikker ha piuttosto duramente chiesto che cosa doveva riferire al suo Gabinetto: se i cinque, anziché il trattato per 20 anni, preferivano il trattato per 50 anni senza i Paesi Bassi. È stata impressione mia e di altri che questa domanda sia stata fatta da Stikker per porre, piuttosto che noi, il suo Gabinetto di fronte ad un dilemma drastico. Resta dunque sola riserva olandese: la questione sarà ripresa domani.

Dopo una certa resistenza francese, è stata accolta la proposta tedesca per le riunioni comuni dei Consigli C.E.D. e N.A.T.O.: è stata, cioè, accettata la validità della maggioranza semplice. Per attendere i risultati di Bonn è stata rinviata la questione concernente l’allegato secondo all’art.106. Ho fatto le note osservazioni circa l’inopportunità di pubblicare certi elenchi di armi. Schuman ha convenuto con noi. Continua la seduta1.


560 1 Vedi D. 563.

561

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 6694/257-258. Londra, 20 maggio 1952, ore 20(perv. ore 8 del 21).

Stamane ho fatto colazione con Strang con quale abbiamo a lungo parlato di Trieste in via esplorativa ed in vista di un colloquio che dovrò avere con Eden dopo il suo ritorno da Parigi verso 30 maggio. Egli si è dichiarato ragionevolmente soddisfatto recente accordo giudicando reazioni jugoslave non peggiori del previsto. Dopo di ciò egli mi ha confermato in modo molto netto intendimento Eden di facilitare un diretto accordo italo-jugoslavo nonché di giungere al più presto possibile al ritiro delle truppe britanniche da Trieste. Mi ha preannunciato che quando vedrò Eden lo troverò deciso in tale direzione.

Nel corso della conversazione ho cercato di precisare se e in che modo egli riteneva che suo Governo avrebbe cooperato per facilitare soluzione. Strang in termini assai chiari mi ha detto:

1) che riteneva desiderabile e possibile una intesa diretta fra Italia e Jugoslavia ed inopportuna una vera e propria pressione anglo-americana su una delle parti;

2) che riteneva invece opportuna e possibile una azione alleata nel senso di facilitare l’avvio dei negoziati su una base ragionevole;

3) che per base ragionevole non intendeva né quella del Territorio Libero né quella di uno sbocco jugoslavo al mare.

Gli ho fatto presente che Governo italiano non poteva rinunciare al punto di partenza della Dichiarazione tripartita1, ma che comunque desideravo sapere se Governo inglese avrebbe dato il suo appoggio a negoziati seri sulla base di una linea etnica continua. Mi ha risposto esplicitamente dichiarandomi che negoziati seri sulla base di una linea etnica continua avrebbero avuto appoggio Governo britannico. A domanda mi ha confermato indicazioni di Harrison nel senso che Velebit aveva al riguardo idee utili ed interessanti e mi ha chiesto se Governo italiano aveva avuto contatti con lui. Ho risposto che non ne sapevo nulla e che comunque, data delicatezza questione ed in presenza delle reazioni jugoslave in Zona B ogni passo avrebbe dovuto essere cautamente studiato tenendo presente anche situazione interna italiana.

Naturalmente non ho mancato di far presente necessità azione Zona B, ma Strang ha deviato discorso portandolo sul recente manifesto democristiano a Trieste aggiungendo che malgrado seria ferma attitudine presidente De Gasperi da lui molto apprezzata, i manifesti non risultavano ancora tolti.

In conclusione ho derivato dal nostro colloquio precisa convinzione che britannici siano in questo momento disposti a facilitare inizio trattative dirette su base linea etnica continua sempreché da parte nostra si ritenga desiderabile farlo tenuta presente situazione interna. Ho avuto pure netta impressione che inglesi contino su una disposizione jugoslava a trattare alquanto meno intransigente di quel che recenti atteggiamenti facciano apparire.

Mi sono riservato riferire e sentire avviso V.E. che solo può valutare tutti aspetti esterni ed interni della questione.

Ripeto che le dichiarazioni di Strang benché sincere non significano ancora che inglesi intendano veramente premere su jugoslavi per indurli a soluzione ragionevole. Esse manifestano buona disposizione a facilitare apertura negoziati ma intendono lasciare alle due parti interessate piena responsabilità su condizioni e esito negoziati stessi. Comunque il fatto scartare note proposte jugoslave costituisce già non trascurabile contributo nostra tesi. Pertanto pur in questi limiti mi pare valga la pena di tenerne conto.

Gradirei avere al riguardo appena possibile opportune istruzioni per mia norma di linguaggio con Foreign Office e con Eden2.


561 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


561 2 Vedi D. 588.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. segreto 4848/115. Roma, 21 maggio 1952, ore 13,30.

Suoi 97-981.

Si approva sua linea di condotta e tenore sue dichiarazioni a codesto segretario generale. Confermi che progettata visita Gruber a Tito sia per la località che per momento in cui avverrebbe farebbe in Italia pessima impressione, in quanto potrebbe – anche se a torto – far supporre presa posizione Austria in favore Jugoslavia circa questione Trieste e sarebbe certamente sfruttata in tal senso da propaganda titina. Suggerisca pertanto rinvio visita ad epoca più propizia.


562 1 Vedi D. 556.

563

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6124/481-482-483-484-485. Parigi, 21 maggio 1952, ore 21,15(perv. ore 21,45).

Ieri sera è continuata la seduta1 su di una questione per noi particolarmente importante: all’articolo 10 alla quarta riga del secondo paragrafo i francesi hanno proposto di cancellare la parola «notamment». Detta proposta è stata accolta dalle delegazioni del Benelux. Con ciò veniva limitata al quadro dell’ O.N.U. la possibilità di missioni internazionali da parte degli Stati membri

A questo proposito vi è stata una riserva tedesca. Ma la questione più grave l’abbiamo sollevata noi, mettendo chiaramente sul tavolo le possibili conseguenze che, nei riguardi di eventuali aspetti della questione triestina, la situazione francese avrebbe potuto avere.

Ho fatto presente che era evidentemente previsto dal trattato il caso dell’entrata di truppe italiane in Trieste in concomitanza con l’annessione del Territorio Libero di Trieste al territorio italiano, ma non era previsto dal trattato il caso, pur tuttavia possibile anche se non probabile, di una partecipazione di truppe italiane in missione internazionale a Trieste.

È impossibile che venga promessa dall’O.N.U. una cosa del genere: bisognava perciò allargare il quadro previsto nell’articolo 10 del trattato.

Molto comprensiva si è mostrata la Francia. Hanno avanzato difficoltà i tedeschi, ma alla fine è stato realizzato un articolo che risponde alle nostre preoccupazioni in proposito.

Abbastanza facilmente è stato raggiunto un accordo per il conferimento dei gradi.

Sulla questione delle pensioni si è raggiunto un compromesso. Pure un compromesso si è raggiunto sulle questioni fiscali, tenendosi conto delle osservazioni portate nella Conferenza dall’on. Lombardo: tali osservazioni hanno tenuto conto del punto di vista del nostro Ministero industria e commercio.

Una proposta tedesca circa la preventiva comunicazione alla C.E.D. degli impegni internazionali dei singoli membri è caduta. Stamane infine è stata affrontata la questione della ponderazione e della imputazione eventuale sul bilancio della C.E.D. delle spese di occupazione sostenute dalla Germania.

Su questa questione il primo intervento è stato una netta presa di posizione del ministro Stikker che ha lamentato la procedura usata a Bonn dalle grandi potenze: ha dichiarato che per l’avvenire tale procedura è inaccettabile e inqualificabile. Ha usato parole molto dure mettendo a fuoco la necessità che sia ben chiarita la rappresentanza della C.E.D. nelle future conversazioni riguardanti il problema tedesco.

Il ministro Stikker, al termine del suo intervento, ha sollevato la questione già da noi prospettata nella riunione di giovedì scorso a Roma circa il diritto di veto nel caso della maggioranza qualificata dicendo di non poterlo accettare in alcun modo. Alla posizione di Stikker si è associato, per altro più blandamente, van Zeeland. Io sono intervenuto soltanto nell’ultima questione avanzando la nostra tesi così come essa fu prospettata a Roma nella riunione di giovedì scorso. La Conferenza ha accolto tale tesi: cioè cinque Stati contro uno fanno la maggioranza, anche senza i due terzi della contribuzione.

La tesi del transito delle spese di occupazione attraverso il bilancio C.E.D. è stata poi sostenuta da Hallstein. Stikker ha dichiarato di accogliere tale richiesta. Interpellato da Schuman io ho dichiarato che prima di dare una risposta dovevo approfondire la questione e vederne le conseguenze sull’applicazione della ponderazione.

Schuman ha tirato allora fuori la nota proposta della parità forfaitaria tra la Francia e la Germania. Richiamandomi alle proposte del presidente De Gasperi a Parigi circa il principio forfaitario ho immediatamente reagito. Ho detto che il Governo italiano non avrebbe mai potuto accettare una qualsiasi soluzione forfaitaria che ponesse l’Italia su di un piano non (dico non) paritario con la Francia e la Germania ed ho aggiunto che anche se il mio Governo avesse accettato la soluzione, il Parlamento non l’avrebbe ratificata. Per la nostra posizione ha mostrato comprensione la Francia: ho allora presentato – d’accordo con alcuni delegati francesi – la proposta di una soluzione forfaitaria 3, 3, 3, 2, 2, 1.

La Germania si è mostrata nettamente contraria mentre il Belgio, l’Olanda ed il Lussemburgo hanno mostrato che avrebbero potuto accondiscendere alla nostra proposta.

A questo punto, allo scopo di ottenere una distensione, Schuman ha sospeso la seduta.

Ripresa dopo un certo lavorio di corridoio la seduta, van Zeeland ha proposto un compromesso: la soluzione forfaitaria di 3, 3, 3, 2, 2, 1, per un periodo transitorio, dopo il quale entra in vigore il principio dei contributi così come esso è sancito nell’articolo del trattato.

Il compromesso è stato accolto dai francesi e da noi ma non (dico non) dai tedeschi. Dopo ampia discussione peraltro i tedeschi, rimasti isolati, hanno finito per accogliere sostanzialmente la soluzione van Zeeland precisando che scade al 31 dicembre 1954 il periodo transitorio.

La soluzione così ottenuta migliora quella del trattato che già avevamo accettata. Secondo i calcoli degli esperti mediante la ponderazione 3, 3, 3, 2, 2, 1, potremmo rimanere in minoranza soltanto se associati al Lussemburgo.

Stikker ha tolto la riserva olandese sull’articolo 119 accettando di cancellare l’espressione «en Europe». Egli ha accompagnato questa concessione con una dichiarazione di cui inviamo copia per telespresso.

Van Zeeland ha risollevato la questione della durata del servizio militare. È apparso subito che il suo scopo non era tanto di modificare la situazione C.E.D. quanto poter ridurre, senza sollevare dimostranze nell’ambito del N.A.T.O., il servizio militare belga a 18 mesi. Comunque si è limitato a chiedere che al progetto di protocollo di cui a pagina 75, edizione francese testi annessi, fosse aggiunto l’impegno da parte dei Governi di affrontare, entro tre mesi dalla firma del trattato, la questione. La richiesta è stata accettata con alcune cautele.

Restano così soltanto le questioni di redazione che verranno sancite in apposita seduta venerdì pomeriggio a Strasburgo. Oltre ad esse resta la grossa questione della durata. I Paesi Bassi continuano ad essere su questo radicalmente attaccati al principio del vincolo della durata C.E.D. alla durata N.A.T.O. La Germania la Francia e noi abbiamo dichiarato di non vedere possibile limitare il trattato C.E.D. a soli 17 anni. I Paesi Bassi hanno detto di essere disposti a firmare con riserva, ma in questo caso anche il Belgio si troverebbe costretto a porre riserve: non pare quindi perseguibile tale soluzione di firma con riserva. A questo proposito mi risultano forti pressioni nord americane su Paesi Bassi.

L’odierna riunione iniziatasi stamane alle ore 9,30 è terminata alle ore 17. Come già detto, per venerdì pomeriggio è prevista una breve riunione conclusiva a Strasburgo. Anche l’on. Lombardo si recherà venerdì a Strasburgo.


563 1 Vedi D. 560.

564

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, BORGA,ALLE AMBASCIATE A IL CAIRO, LONDRA, PARIGI E WASHINGTONE ALLA LEGAZIONE A GEDDA

Telespr. riservato 13/7597/c. Roma, 21 maggio 1952.

L’emiro Faisal es-Saud, secondogenito del sovrano dell’Arabia Saudiana, vicerè del Regno e ministro degli affari esteri, ha compiuto dal 15 al 29 aprile u.s., su invito ufficioso del Governo italiano, un viaggio in Italia.

Per le note ragioni di ordine religioso l’emiro ha desiderato mantenersi nel più stretto incognito durante il suo soggiorno a Roma, allo scopo di non suscitare commenti men che rispettosi per l’omissione della visita al Sommo Pontefice. Per tale motivo l’incontro ufficiale dell’emiro con il presidente della Repubblica e con le personalità italiane è stato predisposto a Milano, in coincidenza della visita del principe alla Fiera.

Tuttavia, poiché l’emiro Faisal desiderava vivamente incontrarsi con il presidente De Gasperi, egli ha offerto a Roma, prima di partire, una colazione intima in suo onore.

Qui accluso si trasmette un appunto redatto dal presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri sul colloquio avuto in tale occasione con l’emiro Faisal.

Allegato

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELL’ARABIA SAUDITA, AL FAISAL

Appunto. Roma, 29 aprile 1952.

Informa che la tensione fra Egitto e Inghilterra minaccia di aggravarsi perché gli inglesi contrariamente a quanto convenuto, cercherebbero di porre l’Egitto di fronte al fatto compiuto dell’autonomia sudanese, prima del plebiscito. Ciò sarebbe inaccettabile e ridesterebbe nel Governo egiziano il sospetto antico della duplicità inglese. Chiedeva se l’Italia non trovasse modo di sconsigliare tale procedura.

Dichiarai non essere direttamente informato su quest’ultima fase, confermai nostro buon volere di offrire buoni uffici in tutti i casi e in momenti ch’essi siano bene accetti alle due parti; aggiungendo che l’atteggiamento di Eden prima e dopo Lisbona m’era sembrato ben disposto e assolutamente incline a un accordo.

Altri accenni su questioni commercio estero, di cui anche a tavola.

Promisi di esaminare con benevolenza.

565

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 481/370. Parigi, 21 maggio 1952(perv. il 24).

Al Quai d’Orsay ho avuto visione, riservata, di un testo – non sembra quello definitivo – della garanzia anglo-americana alla C.E.D. Si intitola «Dichiarazione tripartita» e le ultime righe dichiarano espressamente che essa sostituisce quella del 19 settembre 1950 di Washington. Il preambolo constata che sono emersi in Europa dei fatti e delle istituzioni nuove che si chiamano pool carbone-acciaio e Comunità europea di difesa. Di fronte a questa nuova situazione che i Tre ritengono utile alla causa comune della pace, Gran Bretagna ed America stimano necessario sostenerla e consolidarla. In caso venisse messa in pericolo America ed Inghilterra considererebbero questo come una grave situazione di fatto che richiederebbe pronte consultazioni.

Un apposito paragrafo è dedicato alla situazione di Berlino in una forma assai netta circa un’eventuale aggressione. Sia per Berlino sia per la Germania occidentale, si dichiara che America e Gran Bretagna vi manterranno truppe.

Il documento che appare, anche ad una rapida scorsa, come insufficiente forse ai desideri della Francia, ma assai fermamente redatto, consta di poco più di due pagine. Mi risulta comunque che il testo è oggetto ancora di animate consultazioni.

566

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato 485. Parigi, 22 maggio 19521.

Ho letto con molto interesse il rapporto di Guidotti trasmessomi da V.E. con suo dispaccio n. segr. pol. 771/c. del 10 maggio u.s.2.

Condivido pienamente il pensiero di Guidotti:

1) sul fatto che, essendo fallito, come era del resto da prevedersi, il nostro tentativo di portare gli Alleati occidentali a farci entrare nell’ O.N.U. con un colpo di forza, l’unica nostra speranza di entrare a far parte di quel nobile consesso, è un compromesso con la Russia, compromesso che non potrebbe essere che un avvicinamento, più o meno completo, al principio dell’universalità.

E, partendo da questa constatazione possibilistica, è giusto quanto dice Guidotti che sarebbe, per noi, perfettamente inutile, anzi dannoso, sostenere, comunque, la tesi che ci dovremmo entrare da soli e non in una specie di calderone.

Non so se noi entreremo mai all’O.N.U.: si potrebbe anche rovesciare l’interrogativo e domandarsi quanto tempo ancora potrà durare l’O.N.U., ma questo ci porterebbe fuori dal tema: ma – ammesso che noi consideriamo, come mi sembra che consideriamo ancora, l’ingresso nell’O.N.U. come un successo della nostra politica estera, e come tale, degno di essere uno degli obbiettivi della nostra politica – il fare anche soltanto supporre alla nostra opinione pubblica che è possibile, anzi utile, per il nostro prestigio, entrarci da soli, significa svalutare in partenza qualsiasi nostro eventuale successo.

2) Che se una pressione americana ci sarà, e sopratutto se una possibilità vera esiste che l’America arrivi ad un compromesso con la Russia, questo è legato con il caso del Giappone. Ed è su questo punto che la battaglia da noi data l’anno scorso è stata di una vera utilità: senza di essa un compromesso che riguardasse il Giappone e dimenticasse noi era possibilissimo: dopo di questo, esso diventa, non impossibile – per gli americani non c’è niente di impossibile – ma per lo meno difficile.

Sono pure d’accordo con Guidotti che per quel che concerne l’opportunità di far causa comune col Giappone, bisogna che ci teniamo in un atteggiamento elastico e possibilistico. Non credo i giapponesi tanto sentimentali da mettersi d’accordo con noi fino al punto da rinunciare ad entrare alle Nazioni Unite se non sotto braccio con noi: ma una certa azione comune è sempre consigliabile anche perché è uno dei mezzi per sapere che cosa realmente intendono fare gli americani. Il vero pericolo per noi resta ancora che gli americani si dimentichino del caso nostro: pericolo che potrebbe divenire più grande nel caso che Dulles dovesse diventare segretario di Stato: è più difficile che ciò avvenga nel caso di una soluzione di compromesso, più o meno universalistica: è meno impossibile nel caso che gli americani si decidessero a fare, in favore del Giappone quel colpo di forza che non hanno voluto fare per noi. E se la soluzione dovesse indirizzarsi in questo senso, è molto, se non precipuamente, tenendosi in stretto contatto con Tokio che, forse, potremo saperlo a tempo. Saperlo a tempo, è l’unico mezzo per cercare di parare.

Quali chances di successo ha la teoria dell’universalità, o del compromesso? Su quello che ne possono pensare le varie agenzie americane, non posso pronunciarmi: credo però esatto quello che dice Guidotti, che esse si trovino cioè allo stadio di ruminazione, stadio che presso di loro precede, ed a lungo, quello della formulazione di un pensiero: che a sua volta precede l’azione.

Ma siccome V.E. desidera conoscere quale sarà anche il pensiero della Francia, non esito a dirle che, checché ci possano dire in amichevoli conversari, Schuman od altri francesi, a qualsiasi livello, qui lo stadio della ruminazione è da un pezzo sorpassato. I francesi vi sono nettamente contrari.

I francesi sono, in questa come in altre questioni, sollecitati da tendenze contrarie: da una parte essi sperano, ostinatamente, nella possibilità di un’intesa con la Russia: in quanto tali, evidentemente, essi sono favorevoli alla tesi dell’universalità. Ma i francesi sono anche, vorrei dire soprattutto, in questo momento, una potenza coloniale: ed avendo delle difficoltà serie, e probabilmente destinate non solo a durare, ma ad aggravarsi, in tutta l’Africa del Nord – non parlo dell’Indocina, i cui riflessi li portano ad appoggiare, in una certo senso, le tesi americane le più mackarturiste – essi sono terrorizzati dalla possibilità di vedersi trascinare davanti al tribunale delle Nazioni Unite: fin qui è loro riuscito di destreggiarsi: ma se dovessero entrare all’O.N.U. 14 o 15 nuovi Stati di cui la maggior parte – anche ammettendo, il che non è il caso, che i francesi pensino di potersi fidare di noi – in certi determinati casi, voterebbero piuttosto a favore degli Stati ex coloniali, ottenere all’Assemblea la maggioranza dei due terzi per considerare come affare interno francese i rapporti Francia-Tunisia, per esempio, diventa impossibile: aspettarsi in queste circostanze che la Francia appoggi la tesi universalistica, è evidentemente aspettarsi l’impossibile.

Ora in Francia, ad eccezione, a parole, del partito socialista, quando si tocca la questione delle colonie, mi scuso, dei «territori d’oltremare», tutti i partiti, e tutti gli uomini politici perdono il lume della ragione. Sarà sciocco, antistorico, quanto si vuole, ma è così: del resto tutti i paesi hanno una marcata tendenza ad essere ragionevoli quando si tratta di questioni che non li interessano direttamente, e ad esserlo molto meno quando si tratta di questioni proprie. Proprio in questi giorni, quando si accenna alla possibilità, che in qualche maniera, la questione della Tunisia venga discussa all’O.N.U., si è inteso già, qua e là, e non da parte gaullista, parlare della possibilità che la Francia si ritiri dall’O.N.U. E non è una vaga minaccia, non è una boutade: del resto i paesi che stanno fuori dall’O.N.U sognano di entrarci: quelli che ci stanno dentro diventano sempre più scettici circa l’utilità di esserci, quando per utilità si intenda altra cosa che trovare un posto per qualche personalità politica disoccupata.

Guidotti, molto giustamente osserva che all’O.N.U. i paesi occidentali saranno costretti, in avvenire, a condurre una guerra su due fronti e che quello costituito dalle potenze arabo-asiatiche può essere, alla lunga, assai più scomodo del comunista, per la supremazia americana. E che alla fin dei conti la causa delle ammissioni potrebbe finire coll’identificarsi colla causa della liberazione dei popoli oppressi, dall’Occidente si intende.

È una delle tante crisi del mondo libero che maturano, e non la minore. Gli americani che hanno tante ottime qualità, hanno, fra gli altri, il difetto di credere, troppo, che sia possibile di salvare capra e cavoli. Moltiplicano gli appelli al good will, al mettersi d’accordo, al discutere, ma quando manca la volontà, qualche volta la possibilità di mettersi d’accordo, cosa fare? Non fanno niente, e le crisi diventano più acute: vedi il caso dei rapporti italo-jugoslavi, o dei rapporti franco-tedeschi.

In questo caso dei popoli oppressi, del resto, bisogna ammettere che la scelta americana non è facile, almeno ai termini attuali della loro politica. Loro vogliono, o vorrebbero, organizzare, politicamente e militarmente, tutto il mondo che è al di fuori della cortina di ferro. Nel loro anticolonialismo, ci sono molti elementi sentimentali e tradizionali, ma c’era anche la convinzione che, una volta liberi, tutti questi popoli si sarebbero dato un ordinamento democratico di tipo occidentale, e che, quindi, le loro reazioni di fronte alla minaccia russa, sarebbero state più o meno le stesse dei principali altri Stati liberi. Ma si sono dimenticati che la lotta contro l’oppressore, sia esso interno che esterno, sviluppa il romanticismo, e che il romanticismo, in politica estera, è suscettibile di far fare ancora più errori che non gli eccessi di realismo.

Essi dicono, teoricamente – fra parentesi lo diciamo anche noi, in parte – diamo la libertà nazionale a questi popoli, è l’unica maniera di averli come alleati nella lotta contro il comunismo. Ma i fatti, li portano a dubitare, adesso, della giustezza di questa impostazione. L’India è indipendente, l’Indonesia è indipendente, ma non per questo sono più disposte ad allinearsi al sistema politico militare americano: e chi li assicura che un Egitto senza gli inglesi, una Tunisia ed un Marocco senza i francesi sarebbero, per gli americani, più sicuri di quanto non lo siano oggi India o Indonesia?

C’è poi da tener conto delle reazioni francesi od inglesi. Non bisogna chiudere gli occhi ad un fatto ed è che oggi il peso dell’America, a Parigi per lo meno, è molto inferiore di quanto non lo fosse, mettiamo, un anno fa. È questo un argomento su cui mi riprometto di tornare in altra sede, ma è intanto un fatto. Possono adesso gli americani mettersi contro la Francia per far piacere ai tunisini o agli arabo-asiatici; o mettersi contro l’Inghilterra?

La scelta per gli americani è in realtà assai difficile. L’opinione pubblica americana continua ad essere anticolonialista ma mi sembra di vedere che l’amministrazione americana diventi sempre meno convinta che l’opinione pubblica abbia ragione: deve tenerne conto, e ne tiene conto, ma c’è un lento ma costante slittamento verso concezioni colonialiste.

Che la situazione degli Stati Uniti nelle Nazioni Unite vada diventando ogni giorno più difficile e delicata, questo è fuori di dubbio: ma non sarà la reazione americana, un giorno, quella di abbandonare le Nazioni Unite? È per questo che mi sono permesso di esprimere dei dubbi sulla loro durata. Gli Stati Uniti appoggiano, oggi ancora le Nazioni Unite, perché le considerano una piattaforma utile per la loro politica e per la loro propaganda: continueranno essi a farlo il giorno che cominceranno ad accorgersi che essa non è più uno strumento docile nelle loro mani?

Per quanto riguarda poi il nostro caso speciale, mi permetto di fare un’altra osservazione, per lo meno per quello che riguarda gli americani, in quanto si può giudicare da qui delle loro reazioni, ed i francesi: e questa è che fintanto che dura l’incertezza sugli sviluppi della situazione interna italiana – il che è altrettanto dire fino alle prossime elezioni politiche – nessuno si occuperà seriamente dell’ingresso dell’Italia all’O.N.U.


566 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


566 2 Ritrasmissione del rapporto di Guidotti n. 785 del 22 aprile, non rinvenuto.

567

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6186/376. Washington, 23 maggio 1952, ore 10,26(perv. ore 18,15).

Mio 3741.

Persistenti resistenze francesi circa esercito europeo hanno assai sfavorevolmente impressionato Dipartimento, il quale, ottimista fino a due giorni fa, ora sospetta perfino che dette resistenze nascondano intenzione Pinay modificare sostanzialmente politica Schuman Pleven.

Acheson, che era prudentemente deciso non partire prima che fosse raggiunta intesa tanto su accordi contrattuali Germania quanto su esercito europeo, ha ieri personalmente ed improvvisamente deliberato partenza per esercitare su Governo francese forte pressione, spinta fino a minaccia concludere accordi contrattuali indipendentemente da esercito europeo.


567 1 Del 22 maggio, con il quale Tarchiani aveva comunicato la partenza di Acheson per Bonn.

568

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. Bruxelles, 23 maggio 19521.

Ho l’onore di riferire a V.E. l’insieme delle impressioni ritratte, sia pure dopo un soggiorno non lungo, circa le reazioni e l’atteggiamento del Belgio nei rispetti delle maggiori questioni oggi sul tappeto, e che in particolare maggiormente interessano l’Italia, e cioè: l’unificazione europea e la Comunità di difesa. Da un lato, in un momento in cui il Belgio, come qualunque altra nazione continentale, non è in piena condizione di poter praticare una politica autonoma, è interessante tentare di conoscerne le reazioni verso quella che esso deve subire; e, dall’altro, le relazioni personali che da lungo tempo avevo conseguito, per ragioni di servizio, in questo paese mi danno forse maniera di affrettare un’esperienza che, altrimenti, non si sarebbe potuta formare che in uno spazio di tempo più lungo.

Un esame circa le opinioni della popolazione belga non può essere disgiunto da un breve sguardo d’insieme sul paese. Formato da due razze diverse, e da regioni che hanno conosciuto le più diverse appartenenze – sia contemporanee, quando Liegi gravitava col suo principato ecclesiastico verso Colonia, e Gand e Bruges erano parte del ducato di Borgogna; sia successive, attraverso la dominazione spagnola, poi asburgica, poi francese, poi olandese –, il Belgio presenta qualche somiglianza storica con il nostro paese, nel quale l’unità spirituale si è anche formata soltanto dopo la prima guerra mondiale. Di più, come l’ Italia, il Belgio è sempre stato geograficamente schiacciato fra due complessi regionali e nazionali potenti; e, posto in assoluta pianura, è soggetto non soltanto alle pressioni e dominazioni culturali e politiche, ma alle invasioni effettive degli eserciti in marcia: all’incirca come eravamo noi, collocati in passato fra Spagna e Francia, e più recentemente fra Francia ed Austria.

Infine (ed anche qui v’è una certa analogia con l’Italia), il Belgio, per quanto tanto di noi più ricco in fatto di materie prime, non può concedersi di essere autarchico, e deve necessarimente cercare la propria vita sui mercati esterni, e cioè in un mondo di pace. La grande ricchezza di questa nazione è di origine recente: ma è stata ammassata proprio quando l’Europa, nel secolo decorso, costituiva un’unità effettiva, dal lato economico, di maniera che, più fortunato e più avanzato di noi, il Belgio ha potuto approfittarne tanto più largamente ed in misura tanto maggiore.

Da queste sommarie premesse derivano tre conseguenze:

– la massa della popolazione, che è piccolo borghese, appunto per il susseguirsi delle dominazioni straniere e perché abituata a sentire la propria patria di così scarso peso politico nei confronti dei grandi agglomerati europei del passato, si mantiene estranea alle grandi correnti ed alle grandi contese politiche, paga dei piccoli problemi locali e regionali: donde, l’acutezza della questione bilinguistica, di quella reale, il sentimento del campanilismo spinto talora a condannabili eccessi;

– l’élite della nazione, al contrario, è cosmopolita, e molto maggiormente di noi si sente europea, anzi mondiale, perché comprende (e ciò sin dal regno del primo Leopoldo, ossia, dalla fondazione del Belgio moderno) che le sue fortune di classe sono fondate sulla larghezza degli scambi, sull’internazionalismo del capitale, sulla libertà dei traffici marittimi, sulle comunità delle idee che hanno fatto l’Europa grande nel secolo XIX. Da qui, un certo ritardo nella evoluzione esterna del paese che, per chi lo guardi confrontandolo con l’Europa anteriore alla prima guerra, appare in molte manifestazioni esteriori, e forse non soltanto esteriori, in ritardo di un mezzo secolo sul resto dell’ Europa;

– per altro, l’internazionalismo belga che sta alla base dell’esistenza della nazione è, per i motivi sopra esposti, assai più di indole economica che non politica: procede, cioè, da necessità e corrisponde a fattori di indole materiale, e non già da bisogni e da aspirazioni di indole spirituale. Ecco perché il Belgio – come la Svizzera – è alla testa del movimento liberista e perché, ovunque, si agitino le questioni connesse con le riduzioni daziarie, con le liberazioni degli scambi, con le integrazioni per settori, esso sta alla testa di tutte le altre nazioni, con una pervicacia ed una estensione che sorprendono, anche se di tanto in tanto traspare, come un’eccezione che confermi la regola, un eccesso di protezionismo in quei settori che maggiormente sono qui vulnerabili (ad es. l’agricoltura e l’estrazione carbonifera).

Queste osservazioni – ammesso che siano giuste – possono spiegare (attraverso le varie fluttuazioni e contraddizioni che costituiscono, in un tutti i paesi ed in tutti i tempi, la componente delle direttive politiche) l’atteggiamento belga passato e presente nei confronti dell’unificazione politica e militare dell’Europa, nonché permettere di far presumere per quanto sia dato di poter prevedere, quali potranno essere le attitudini del Belgio nel prossimo futuro.

Come la Svizzera nel suo complesso è una nazione borghese, il Belgio è invece una nazione capitalista. Ora, il capitalismo di tutti i paesi non è in genere internazionalista: è soltanto internazionale, cioè è universale solo per quel tanto che i legami fra banche e aziende delle varie nazioni riescono utili al raggiungimento degli interessi pratici, ed in quanto i tentacoli così stabiliti ne divengano più potenti e più numerosi, e quindi meglio atti alla loro azione di dominio. Anzi, il capitalismo ha bisogno per prosperare di diversità nelle politiche, nelle strutture e nelle condizioni momentanee delle varie nazioni, poiché altrimenti verrebbero a cessare i guadagni che nascono dalle differenze nei costi comparati delle merci e degli investimenti. Tuttavia, per il capitalismo è indispensabile che fra le nazioni così diversificate esista e si mantenga una certa comunicabilità; è dunque questa comunicabilità e non già un’unione che anche il capitalismo belga persegue. Perciò, la classe effettivamente dirigente in Belgio è di fatto favorevole a tutto quanto sia avvicinamento economico e fusione di determinati interessi – non di tutti – mentre anche se non si dichiari tale, è di fatto contraria alla fusione politica, sia pure da effettuare progressivamente, fra i vari Stati europei, poiché la fusione che ne risulterebbe sarebbe totale e indiscriminata. Ciò anche perché, per tradizione e comunanza di interessi, tale classe dirigente guarda prevalentemente alla Gran Bretagna e, da un secolo ed oltre, dipende da essa; per cui né si opporrà alle direttive inglesi, né mancherà di appoggiarne l’applicazione, sia pure, talvolta, senza neppur rendersene conto.

Ciò è tanto più importante, in quanto nel Belgio la classe dei finanzieri e dell’alta borghesia è di gran lunga quella dirigente, al disopra dei Governi e dei partiti. Le «cento famiglie» in Belgio comandano di più che non le cento famiglie in Francia, anche data l’assenza del comunismo e dato che il movimento socialista assume piuttosto forme di laborismo che non di socialismo classista, tanto che lo stesso movimento sindacale, che pure ha una effettiva e così considerevole estensione, riveste molto maggior contenuto economico che non politico. Le due Société Générale de Belgique, quella bancaria e quella finanziaria; la Société Générale des Métaux, le grandi compagnie congolesi, i grandi charbonnages, le grosse holdings come la Brufina e la Sofina, i grossi trusts come la Solvay o l’ Union Chimique, hanno realmente in mano il paese; tutti lo sanno, del resto, ed hanno l’aria di trovarlo più che normale.

Come abbiamo visto, l’opinione media, quella piccolo e medio borghese, non ha idee politiche generali. Forse, il denominatore comune delle piccole e medie classi è l’ammirazione per la Francia e l’odio per la Germania, odio che persiste ed è profondo, anche perché alimentato dal timore militare ed economico, della risurrezione del Reich. Che, per imbrigliare la Germania, il sistema migliore sia proprio di inserirla in una Comunità o Federazione europea, non entra nella mente dei più: sia perché questa è (direbbe il Manzoni) «una sottigliezza metafisica alla quale la folla non arriva», sia perché, con più semplice buonsenso, il grosso pubblico teme che, una volta inserita nella Federazione europea, la Germania sia come il gigante nella bottiglia, che la fa scoppiare.

Perciò, di fronte all’ostilità o quanto meno alla freddezza della banca, della finanza e del mondo degli affari, e di fronte alla [in]differenza delle classi medie, restano a credere e ad operare ai fini dell’unificazione del continente, parte degli intellettuali, per lo più liberali; parte dei socialisti, in quanto sono abituati ad operare nei quadri di un’internazionale; e parte dei cattolici, forse perché anch’essi imbevuti del concetto di universalità che è la base della Chiesa, ma gli intellettuali sia perché tale, sia perché liberali, mantengono il difetto di tutte le élites, ossia la dottrinarietà, la mancanza di disciplina intellettuale, il distacco dalla massa; i socialisti sono soggetti al complesso di partito, che tra l’altro, malgrado l’irruenza di Spaak e il Movimento per l’Unione da lui patrocinato, li avvicina eccessivamente ai laboristi inglesi ed alla opposizione di Schumacher; ed il partito cattolico ha oggi la responsabilità di governo e l’incognita dei voti degli elettori. Da un lato l’incognita li frena, e dall’altro la responsabilità di governo li sottopone più direttamente alle pressioni nord-americane che sono, anche qui, fortissime. Molti milioni di dollari corrono in Belgio, benché esso non riceva aiuti diretti: la Fondazione Rockfeller ed i doni all’Università di Lovanio ne sono un esempio. E del resto, oltre a tali pressioni, sta immanente il pericolo che questo paese così esposto alle invasioni sente più di ogni altro: quello del conflitto. Ed è quindi normale che coloro che hanno in mano la direzione degli affari si preoccupino o provvedano o cerchino di provvedere per il meglio: ed il meglio, almeno per il momento, è rappresentato dall’avvicinamento agli altri compagni di sventura, e dall’acquiescenza, fino ad un dato punto, alla politica di chi, come gli Stati Uniti, cerca di favorire fra questi il riavvicinamento progressivo e l’unione che fa o dovrebbe fare la forza. Tuttavia, l’operato del Governo, ostacolato dai gusti degli elettori, dall’apatia della massa e dalle reticenze del mondo della finanza, si svolge a scosse e con la minore buona volontà possibile: troppi infatti sono i freni che agiscono all’interno, come troppo grande è la persuasione che se il Belgio non sarà costretto in una eventuale confederazione continuerà a rappresentare un peso ben maggiore di quello che rappresenterebbe nell’amalgama, insieme a tanti e tanto più grandi vicini: così che, se per necessità il Governo belga, quello attuale o quello che dovrebbe prendere il suo posto, percorre tuttavia una certa strada verso la unificazione, ed è o sarà costretto a percorrerla, esso farà il minor cammino possibile, alla minore velocità possibile, e cercando sempre più di frenare che non di spingere.

A quanto precede mi sembra corrisponda anche il recente atteggiamento del sig. van Zeeland a Strasburgo, di appoggio e di facilitazione alle proposte del sig. Eden; in quanto avvicinare la Gran Bretagna al centro dell’europeismo significa allargarne le basi a tutto scapito della consistenza effettiva, ed in quanto Strasburgo rappresenta ancora piuttosto un agglomerato di volontà governamentali riunite che non un governo sopranazionale.

In definitiva, si potrà dunque contare su una certa propensione governativa verso l’avvicinamento progressivo a talune se non a tutte le forme di unificazione, specie se questa sarà coronata dalla sola federazione e purché ciò avvenga in maniera pragmatica e non aprioristica, e quindi nei limiti e con i ritardi indicati; ma ciò, alla stessa stregua che in un veicolo in marcia, dove anche i freni, che hanno la loro specifica funzione, camminano pur essi con l’insieme, finché non si domandi loro di far la parte del motore.

Questa mi sembra essere la conclusione che si può trarre in Belgio, nei riguardi del movimento europeo e dell’attività del Consiglio di Strasburgo. Quanto all’unificazione militare, mi riservo di farne oggetto di un successivo rapporto2, sia perché – anche se osservazioni e rilievi non modificano la marcia delle cose che ormai ci sfugge – è sempre bene cercare di rendersi conto del terreno su cui si deve operare, sia perché, essendo ormai tutti imbarcati sullo stesso battello, è preferibile conoscere quanto più a fondo è possibile i propri compagni di viaggio.


568 1 Copia priva del numero di protocollo e della data di arrivo.


568 2 Non pubblicato.

569

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6224-6234/492-493. Parigi, 24 maggio 1952, ore 12,30(perv. ore 14,37).

Trasmetto seguente telegramma a firma Taviani da Strasburgo in data 23 corrente:

«Riunione conclusiva per trattato C.E.D. apertasi questo pomeriggio ore 15. Circa durata, Schuman ha presentato seguente testo: “Le présent traité est conclu pour une durée de 50 années à dater de son entrée en vigueur. Si avant la réalisation d’une fédération ou confédération européenne, le traité de l’Atlantique Nord cessait d’être en vigueur ou la composition de l’organisation dudit traité de l’Atlantique du Nord subissait une modification essentielle, les hautes parties contractantes examineraient en commun la situation nouvelle ainsi crée”.

Tale testo da essere accompagnato da seguente dichiarazione: “Les gouvernements represéntes à la conférence des ministres des affaires étrangères reunis à Paris, conscients de l’importance essentielle d’une coopération étroite et constante entre l’organisation du traité de l’Atlantique du Nord et la communauté européenne de défense; vu l’article 127 du traité instituent la communauté européenne de défense, stipulant que ce traité est conclu pour une durée de 50 années à dater de son entrée en vigueur; emettent le voeu que les dispositions concernant la durée du traité de l’Atlantique du Nord soient adaptées à celles de l’article precité; estiment desirable que les initiatives nécessaires à cet effet soient prises par les états parties au traité de l’Atlantique Nord participant à la présente conférence. Ces états engagent à prendre les dites initiative”.

Per parte nostra ho accettato tale soluzione. Anche Belgio e Olanda hanno accettato. Permane blanda riserva di Hallstein che in proposito ha telefonato a Bonn per istruzioni. Onde venire incontro preoccupazioni espresse da Hallstein ho proposto modifica al paragrafo secondo della dichiarazione in questo senso: “conscients de l’importance essentielle de l’article 5 du traité”, modifica da tutti accettata. In altre questioni minori accordo è stato raggiunto.

È stato poi rimesso in discussione, a causa intervento anglo-americano, articolo 119.

Schuman ha proposto aggiungere paragrafo: “de formations des forces européennes de défense, ainsi que des écoles, etablissements et centres d’entrainement de la communauté peuvent être stationnés sur des territoires autres que ceux visés au paragraphe 1 et 2 en vertu d’une décision à cet effet prise par le conseil de la communauté statuant a l’umanimité, après consultation avec le conseil de l’Atlantique du Nord et avec l’accord du commandant suprème competent relevant de l’organisation du traité de l’Atlantique Nord”.

Ho immediatamente reagito con note ragioni secondo istruzioni. Avendo Schuman risposto che non (dico non) era alieno prevedere approvazione Parlamento prima del voto del ministro nel Consiglio C.E.D., ho proposta questa aggiunta che copre tutte le nostre preoccupazioni: dopo la parola “unanimité”: “approbation parlementaire en tant que de besoin suivant les règles constitutionnelles de chaque état membre. Cette decision est prise après consultation …”. Articolo così modificato è stato da tutti approvato. In seguito, e dopo lunga discussione, è stato deciso di non sollevare in sede C.E.D. nota questione dello statuto delle truppe francesi stazionanti in Germania».

570

L’ONOREVOLE LOMBARDOAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6235/494. Parigi, 24 maggio 1952, ore 15,10(perv. ore 15,30).

Durante seguito riunione dopo partenza on. Taviani avendo Hallstein ricevuto istruzioni telefoniche Bonn di togliere riserva, nuovo testo relativo durata trattato è stato approvato con il che questa importante questione definitivamente risolta.

Per protocollo durata servizio militare van Zeeland ha rinunciato insistere acché entro 3 mesi da firma trattato si realizzasse unificazione durata servizio militare. Inoltre van Zeeland ha proposto – a delucidazione e complemento questione ponderazione già risolta ultima seduta Parigi – che per periodo transitorio maggioranza qualificata debba definirsi nove quattordicesimi anziché due terzi: proposta che è stata approvata, rappresenta indubbiamente vantaggio situazione tre Stati più grandi. Essa inoltre costituisce notevole prova collaborazione e comprensione da parte tre Stati minori.

Alla fine riunione Schuman ha tenuto fare breve dichiarazione circa speciale situazione Sarre. Ad essa, che non fa parte C.E.D., non si possono applicare disposizioni trattato per quanto concerne effettivi e territorio. Non è tuttavia escluso transito forze C.E.D. Dichiarazione non ha suscitato alcuna reazione.

Esauriti pertanto tutti argomenti riunione Strasburgo conclusa con il che testo trattato C.E.D. può considerarsi completato.

571

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6257-6259/499-500. Parigi, 24 maggio 1952, ore 23,50(perv. ore 2 del 25).

Sebbene fosse segreto per nessuno che molti ministri seguivano con molte riserve politica europea Schuman, improvvisa crisi manifestatasi Consiglio ministri ieri è stata una sorpresa. Non (ripeto non) è esatto dire sia stato Maurice Schumann a guidare opposizione come hanno riportato stamattina parecchi giornali. Riserve e opposizioni sono venute, oltre che da alcuni membri partito presidente Consiglio, che non vogliono prendere in questa materia atteggiamento troppo lontano da quello gaullista per non intralciare opera sfasciamento R.P.F. da cui dipende esistenza Gabinetto Pinay, anche e sopratutto da radicali evidentemente impressionati da atteggiamento assunto in seno Congresso partito di Herriot.

Situazione era anche delicata perché Governo si era in certo senso impegnato non procedere firma senza preventivo nuovo dibattito davanti al Parlamento che attualmente non è possibile fare, sia per ragioni di tempo, sia perchè con umori che corrono risultato sarebbe nettamente negativo.

Secondo quanto mi si dice Quai d’Orsay, modifiche richieste da Governo francese per garanzia anglo-americana sono di forma e non di sostanza; per cui si dovrebbe ritenere che si sia trattato piuttosto di un gesto per dare americani, e forse anche ad altri europei, sensazione difficoltà reticenze francesi.

Ben altra importanza ha invece seconda riserva che cioè Governo francese non (ripeto non) «sottometterà accordi» a ratifica Parlamento se non si sarà avuta prima «estensione solidarietà».

Espressione è elastica; tuttavia è ben chiaro che con questa riserva Governo francese intende:

1) rimettere su spalle atlantiche e magari anche europee (sebbene evidentemente si tratta qui soprattutto dell’America) maggior peso attualmente sostenuto dalla Francia per guerra Indocina. Questo risponde, oltre che a necessità politica interna (se si potesse eliminare peso guerra Indocina, situazione economica finanziaria francese verrebbe automaticamente ristabilita), anche a preoccupazione qui diffusa dappertutto che guerra Indocina mette sul piano europeo Francia in stato inferiorità di fronte a Germania.

2) Impegnare fermamente America sostenere politica interessi francesi Marocco e Tunisia: ossia, almeno come primo obiettivo immediato, impegno americano sostenere di fronte Nazioni Unite punto di vista francese, sia che si raggiunga o che non si raggiunga accordo fra francesi ed indigeni. Il che è in netto contrasto con posizione costantemente assunta da americani in queste ultime settimane per questione tunisina. America e amici atlantici debbono cioè dichiararsi «colonialisti».

In altre parole Governo francese in forma molto esplicita, e debbo dire inattesa, ha ritenuto opportuno dire ad americani che firma accordo esercito europeo non ha che valore relativo e quale è prezzo che americani debbono pagare se vogliono che esercito europeo sia ratificato da Parlamento francese. Resta a vedere se ci sono delle possibilità che da parte americana si sia disposti pagare questo prezzo. Comunque evidentemente qui si pensa che con questa impostazione questione ci si possa eventualmente difendere di fronte eventuali accuse americane avere sabotato progetto esercito europeo.

Siamo di fronte manifestazione reazione nazionalismo francese di fronte idea europea, reazione che è in larga misura indipendente da forte evoluzione a destra che rappresenta esperienza Pinay. Pinay può anche cadere e con lui suo tentativo governo di destra ma, una volta posta questione in questi termini, non vedo quale governo francese anche se molto più a sinistra potrebbe ritornare su questione «prezzo» così come essa è stata posta.

Non è certo un progresso ma per lo meno posizione francese diventa chiara per tutti.

572

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6276/144. Mosca, 25 maggio 1952, ore 10,55(perv. ore 13,30).

Sono stato ricevuto da Vyshinsky1. Gli ho consegnato copia figurata credenziali.

Conversazione si è protratta per una ora ed un quarto, sempre cortese nella forma ma da entrambe le parti ferma e polemica nella sostanza.

Le maggiori questioni attuali italo-russe sono state toccate: prigionieri, denunzia trattato, riparazioni ecc. Mi sono ovviamente attenuto nostre note posizioni. Ne riferisco dettagliatamente per corriere. In conclusione Vyshinsky ha definito situazione attuali rapporti come «non felice». Gli ho risposto che questa sua valutazione mi rincresce molto in linea generale, ma che, dovendo scegliere a titolo personale, preferivo che essa mi venisse fatta al momento in cui inizia la mia missione, anziché fra uno o due anni come risultato della medesima.

Comunque Vyshinsky ha tenuto ripetutamente ad assicurarmi che questo Ministero degli affari esteri avrebbe procurato di facilitare al massimo la trattazione dei nostri affari. Parole che lasciano sperare che la forma qui rimarrà cortese.

Presenterò credenziali a Shevernik mercoledì 28 corrente alle 13. Qualora V.E. ritenga impartirmi qualche particolare istruzione per quelle conversazioni, sarei grato telegrafarmi.


572 1 La visita ebbe luogo il 24 maggio, vedi D. 600.

573

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. segreto 5026/122. Roma, 26 maggio 1952, ore 23,40.

Suoi 110, 1111.

Ho convocato Schwarzenberg e per incarico presidente del Consiglio ho nuovamente attirato sua attenzione su ripercussioni che viaggio progettato avrebbe su rapporti italo austriaci. Per un pezzo, ho detto, non sarebbe più stato il caso parlare di «zona libero scambio», né dei progettati viaggi a Vienna di membri Governo italiano, e stessa larghezza da noi sinora applicata in interpretazione accordi per Alto Adige soffrirebbe rude colpo. Ho concluso che consideriamo progettato incontro come atto «non amichevole» e che, se avverrà, ne trarremo debite conseguenze. Schwarzenberg, che già aveva telegrafato giorni fa costì in modo molto energico, ritelegraferà questa sera quanto da me oggi dettogli che autorizzo V.S. ripetere costì.


573 1 Del 24 maggio, con i quali Cosmelli riferiva sulle possibili motivazioni e finalità del progettato viaggio di Gruber a Vienna.

574

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, EDEN

Verbale riservato. Parigi, 27 maggio 1952.

Il presidente De Gasperi, dopo qualche espressione di riconoscimento per l’opera di Eden alla Conferenza di Londra, fa presente che occorre procedere a risolvere definitivamente il problema di Trieste prima delle elezioni politiche italiane; in primo luogo perché costituisce un argomento delicato che le forze nazionaliste tentano di sfruttare elettoralmente; in secondo luogo perché, in sede di ratifica al Parlamento italiano del trattato C.E.D., la questione verrà sollevata in questa forma: il trattato ci pone in una situazione inammissibile di svantaggio nei confronti della Jugoslavia; infatti mentre la Jugoslavia potrà disporre liberamente del suo esercito, noi, con l’assorbimento delle nostre FF.AA. nella Comunità di difesa, non ne avremmo la libera disponibilità per esercitare una giusta pressione, ove occorresse. Si richiederanno quindi dal Governo efficaci garanzie perché la questione triestina venga risolta in senso favorevole ai nostri postulati e alle dichiarazioni degli Alleati.

Noi siamo disposti a riprendere le conversazioni con Tito. Ma è necessario: che cessino le vessazioni e le illegalità nella Zona B; che gli jugoslavi siano disposti a discutere sulla base di un linea etnica continua; e che gli Alleati ci appoggino nello spirito della loro Dichiarazione tripartita1.

Venendo a parlare dei recenti provvedimenti di Tito nella Zona B, il presidente osserva che, per quanto essi non mutino molto la situazione di fatto già esistente nella Zona, siamo comunque di fronte a una nuova violazione di diritto.

Il pericolo sta nel fatto che Tito, non avendo incontrato resistenza da parte alleata, possa sentirsi incoraggiato a continuare su questa strada. Di qui la necessità dell’avvertimento che il presidente ritiene di dover fare: qualsiasi azione di Tito per annettersi, formalmente o di fatto, la Zona B non verrebbe tollerata dall’Italia.

Egli, De Gasperi, non è uomo di avventure e gli Alleati lo sanno bene; ma nessun Governo italiano potrebbe resistere, in ispecie alla vigilia delle elezioni, in una simile contingenza, e noi saremmo costretti ad agire in modo energico e concreto.

Eden, pur rilevando l’avversione inglese a far pressione diretta su Tito, dà affidamento per quanto riguarda l’appoggio richiesto; e specifica che, in occasione di contatti di Brosio con Brilej, il Governo inglese non mancherebbe di intervenire nel modo più opportuno. Ad integrare le dichiarazioni del suo ministro, è intervenuto più volte sir Pierson Dixon.

Sull’argomento dei minatori2, sollevato dal presidente del Consiglio, Eden ha detto che l’Inghilterra sarebbe stata generosa, aggiungendo confidenzialmente che si sarebbe concesso un indennizzo di 50 sterline. Il presidente, lasciando cadere ogni discussione sui particolari tecnici e giuridici, che sarebbero stati trattati a Londra, si è limitato a richiamare l’attenzione di Eden sui riflessi politici e psicologici. Esortando il Governo inglese ad una visione più ampia, prospetta la penosa impressione che susciterebbe nell’opinione del nostro paese una eventuale sottoscrizione pubblica a favore dei minatori.

Alla fine del colloquio, durato più di un’ora, Eden ragguaglia il presidente De Gasperi sulle trattative in Germania e ripete la dichiarazione di voler fare una stretta politica di collaborazione con l’Italia.

Prima del colloquio con Eden l’on. De Gasperi aveva, in un incontro con il ministro van Zeeland, preso atto dell’intenzione delle autorità belghe, manifestata a Bruxelles all’ambasciatore Grazzi, di assorbire nelle miniere del Belgio contingenti di nostri minatori che lasceranno l’Inghilterra.


574 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


574 2 Si riferisce al problema della mano d’opera italiana impiegata alle miniere di carbone britanniche. Sulla questione vedi «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 23, p. 556 e n. 26, p. 649.

575

L’AMBASCIATORE A L’AVANA, MASCIA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 830/289. L’Avana, 27 maggio 1952(perv. il 7 giugno).

La decisione del nostro Governo di accreditare un ambasciatore straordinario in missione speciale, in occasione delle cerimonie commemorative del 50° anniversario dell’indipendenza di Cuba, è stata accolta in questi ambienti – anche in quelli estranei al Governo – con viva soddisfazione. La presenza dell’eminente parlamentare on. Marazza quale rappresentante del nostro paese in tale ricorrenza, è stata infatti interpretata come una testimonianza di particolare amicizia, suscettibile di dare risalto ad una lunga tradizione di cordialità nei rapporti tra Italia e Cuba.

Grazie al suo tratto cortese ed al prestigio della sua personalità, l’on. Marazza ha saputo cattivarsi generali simpatie.

Nell’attirare l’attenzione di V.E. sui proficui risultati della missioni dell’on. Marazza, faccio presente che egli ha avuto modo, durante il suo soggiorno all’Avana, di esaminare le questioni di maggior interesse che caratterizzano le relazioni tra i due paesi e ciò attraverso colloqui con eminenti personalità della politica, della diplomazia, della cultura e delle finanze.

Compatibilmente con il limitato tempo disponibile – in buona parte assorbito dalle esigenze di un programma celebrativo particolarmente carico ed oneroso – l’on. Marazza ha preso ripetuti contatti con la nostra collettività, mostrando particolare interesse per le sue attività. Egli si è intrattenuto con i suoi più rappresentativi esponenti – alcuni dei quali come il dott. Campilli, il comm. Barletta, il dott. Berard, ecc. godono di eminenti posizioni nella vita sociale ed economica di questo paese; ha visitato le fabbriche di tessuti di proprietà del citato dott. Berard le quali assicurano il 25% del fabbisogno di tessuti di lana di questo paese.

Prendendo la parola ad una riunione di connazionali svoltasi presso la sede dell’ambasciata, l’on. Marazza ha rivolto ai presenti il saluto degli italiani della metropoli, mettendo in evidenza le realizzazioni compiute dal nostro paese nel campo della ricostruzione, il travaglio e la lotta politica contro le minacciose tendenze anti-nazionali ed esaltando la fattiva opera di collaborazione prestata dagli italiani di America.

Nel corso di una intervista stampa pubblicata dal giornale El Mundo – qui allegata1 – l’on. Marazza ha ricordato quale viva eco di simpatia abbia provocato nel nostro paese l’iniziativa che il Governo di Cuba prese nell’immediato dopoguerra, ponendo fine allo stato di belligeranza con una pace separata che importava il suo immediato riconoscimento de jure.

La composizione delle delegazioni estere, quale risulta dalla rassegna fatta con telespresso a parte rispecchia il carattere prevalentemente latino assunto dalle attuali celebrazioni, il che mette ulteriormente in evidenza l’opportunità della decisione di V.E. di fare rappresentare il nostro paese da una personalità così eminente della nostra vita politica.


575 1 Non si pubblica.

576

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

Verbale segreto. Parigi, 28 maggio 1952.

De Gasperi ripete a Schuman le sue intenzioni, se possibile, di arrivare ad una soluzione ragionevole della questione del T.L.T. prima delle prossime elezioni politiche.

Lo informa di aver chiesto ad Eden e che chiederà ad Acheson1 di effettuare dei sondaggi a Belgrado per vedere se esiste una possibilità da parte jugoslava di accettare una soluzione «linea etnica» che naturalmente non sia una riaffermazione delle proposte inaccettabili (Schuman approva) fatte finora.

In caso affermativo darebbe istruzioni di riprendere le conversazioni segrete a Londra dove l’ambasciatore jugoslavo Brilej ha sempre mostrato di essere personalmente più ragionevole.

Ripete – con approvazione di Schuman – che l’idea di un plebiscito a 15 anni è assurda.

Avverte Schuman che, qualora da parte jugoslava, si procedesse a delle misure di annessione aperte o larvate della Zona B, non c’è nessun Governo italiano che potrebbe esimersi dal prendere delle serie contromisure.

La Francia non è direttamente interessata alla questione di Trieste. Lo prega poi di far presente sia a Londra che a Washington, che a Belgrado, se crede, la necessità e l’urgenza di arrivare ad una soluzione ragionevole. Che per arrivarci è necessaria non solo la buona volontà italiana, che è un fatto provato, ma anche quella jugoslava: un serio avvertimento occidentale a Belgrado avrebbe senza dubbio il suo effetto.

Schuman si esprime in forma molto comprensiva nei riguardi delle esigenze della situazione italiana e promette di parlarne nella imminente conversazione a tre.


576 1 Vedi DD. 574 e 577.

577

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

Verbale. Parigi, 28 maggio 1952.

De Gasperi ricorda ad Acheson tutte le fasi delle trattative Guidotti-Bebler1. Ricorda che a Washington aveva esposto ad Acheson quello che da parte nostra si intendeva come soluzione possibile sulla base di una «linea etnica» (soluzione che era stata trovata ragionevole da parte americana) e che era in base ad una impressione ottimistica da parte americana, circa le intenzioni di Belgrado, che erano state iniziate le conversazioni Guidotti-Bebler.

Perkins conferma che questa impressione ottimistica era stata infatti data da ambasciatore americano a Belgrado.

De Gasperi ripete che alla prova di fatto gli jugoslavi avevano presentato delle proposte inaccettabili o assurde come il plebiscito a 15 anni.

De Gasperi è pronto a fare ancora uno sforzo per cercare di arrivare ad una soluzione prima delle elezioni italiane che potrebbero anche essere nell’autunno. Avverte che se, almeno da parte italiana, questo è ancora possibile, dopo le elezioni non sarebbe più possibile.

Egli si rende conto delle esigenze generali americane: non domanda che si metta Belgrado di fronte ad un aut aut: ma bisognerebbe che da parte americana si facesse almeno comprendere a Belgrado che si considera la posizione presa da Tito come poco ragionevole. Se, dopo un sondaggio americano – avverte di aver parlato nello stesso senso a Eden2 – a Belgrado, risultasse che da parte jugoslava si è disposti a discutere su di una base ragionevole, De Gasperi darebbe istruzioni per riprendere le conversazioni a Londra. Preferisce Londra perche l’ambasciatore jugoslavo a Londra Brilej si è mostrato sempre piuttosto conciliante. Ma se Acheson preferisce che le conversazioni abbiano luogo a Washington, egli non avrebbe difficoltà. Precisa di nuovo che non si aspetta che gli americani effettuino formale mediazione ma solo un ragionevole appoggio.

Acheson dice ridendo di preferire che le conversazioni abbiano luogo a Londra.

De Gasperi continua avvertendo che misure jugoslave aperte o larvate di annessione della Zona B non potrebbero passare senza reazione da parte italiana: nessun Governo italiano potrebbe esimersene: d’altra parte oggi l’Italia ha anche le sue forze militari.

(Questa parte della dichiarazione di De Gasperi fa molta impressione su Acheson il quale fino a quel momento aveva mostrato molta scarsa attenzione alla conversazione).

Acheson insiste sul desiderio americano di vedere una soluzione concreta della questione del T.L.T. Ammette espressamente che negoziare con gli jugoslavi è una cosa difficile. Chiede a Perkins se ritiene possibile effettuare un sondaggio nel senso richiesto da De Gasperi e se crede meglio farlo a Washington o a Belgrado o dalle due parti.

Perkins, pur ammettendo lui stesso le difficoltà della situazione ritiene questo sondaggio possibile.

Appena tornati a Washington Acheson e Perkins studieranno più a fondo la questione e le loro possibilità.


577 1 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


577 2 Vedi D. 574.

578

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo urgente 10. Vienna, 28 maggio 1952(perv. il 30).

Mio 1141 e da ultimo suo 123 di ieri2.

Ho visto lungamente Gruber e riassumo.

Mi ha detto che egli già in tempi lontani aveva sempre così decisamente declinato fare dichiarazioni e assumere impegni circa Trieste, anche contro contropartite che potevano apparire allora politicamente allettanti da non poter essere ora sospetto nutrire proposito intrigare con Tito contro di noi. Austria è piccolo paese e occupato, esposto pertanto a mezzi costanti di pressione di cui forse estranei non si rendono completo conto. Grandi potenze non conoscono queste angustie. Era occorsa tutta convinzione sua e cancelliere su quello che è vero interesse Austria nei riguardi sia Italia sia Trieste per resistere a richieste dichiarazioni aperte a favore Stato Libero che si sarebbero volute ripetutamente ottenere da Vienna. Da ultimo di nuovo in occasione visita cancelliere Londra. Non poteva che assicurare ancora una volta totale lealtà sua e Governo austriaco nei riguardi Italia e Governo presieduto da V.E. Se avesse potuto lontanamente supporre nostre attuali reazioni non avrebbe esitato un momento a tenerci al corrente. Confessa che non ci aveva mai pensato. Egli era stato ora dolorosamente sorpreso e non solo voleva reiterare ogni più formale assicurazione ma vedere cosa poteva fare per dissipare nostre diffidenze e nostre inquietudini. Se fosse stato possibile avrebbe anche rinunciato per ora a viaggio, ma questo è ormai veramente impossibile. È già stato rinviato più volte e situazione che ne deriverebbe sarebbe di così grave pregiudizio per Austria che non può correre questo rischio. Non credo gioverebbe neppure Italia perché si sospetterebbe subito suo intervento. Ne deriverebbe stato di tensione ed irritazione con Tito con immediate ripercussioni generali. Egli va da Tito anche per sanzionare definitivamente status quo territoriale verso note rivendicazioni jugoslave in Carinzia e pensa che questo sia anche indirettamente interesse italiano. Riconosceva che era stato nostri confronti grave errore di valutazione come pure ammetteva altro grave errore di non averne intrattenuto V.E. in occasione sua visita Roma. Accettava pienamente rimprovero e ne confessava responsabilità, ma non gli si chiedesse cosa ormai impossibile, tanto più che evidentemente rinvio di una o due settimane non avrebbe risolto situazione.

Circa dichiarazione cancelliere Londra riteneva necessario precisare che qualunque cosa ci avessero detto inglesi era improprio e tendenzioso chiamarla dichiarazione. Su base un appunto, come mi era stato già detto, cancelliere aveva in corso conversazione Eden e a richiesta di questi, esposto all’incirca quale sia unico interesse austriaco a Trieste. Si era adottata quella formulazione per sottrarsi appunto a dichiarazioni compromettenti su Stato Libero che si volevano ad ogni costo evitare, e si insisteva invece di ottenere. Ignora se a Washington si sia parlato Trieste. Gli ho ripetuto che anche per tutta questa serie di intrighi ed interferenze, sarebbe stata nostra legittima aspettazione che ce ne fosse stata fatta tempestiva segnalazione sia per nostra opportuna norma sia per eventuale azione concordata e ciò in spirito asserita cordialità rapporti con noi. Ero stato io ad apprendere da fonte britannica dichiarazioni cancelliere, ma nessuna menzione me ne era stata mai fatta qui né, mi risultava, a Roma.

Trieste era punto più cocente tutta nostra politica internazionale e non era chiedere troppo a coloro che si ritengono amici procedere in stretto accordo con noi anche nel trattare eventuali loro interessi in rapporto Trieste.

Ogni gesto o parola imprudente poteva giovare a nostri numerosi avversari e di qui nostra vigilanza e nostre reazioni.

Gruber ha ammesso con rincrescimento che anche in questo punto era stato commesso errore di apprezzamento, ma che non vi era stata alcuna intenzione meno che benevola verso di noi. Gli ho replicato che queste constatazioni di omissioni e errori non mutavano purtroppo in nulla situazione e che non potevo che reiterare e sottolineare ancora una volta nostra aspettazione e, in difetto, attirare nuovamente attenzione sua e Governo austriaco su grave crisi che interverrebbe legittimamente in normalità rapporti con questo paese. Parlavo a nome non personale ma per incarico ormai espresso del ministro degli esteri e presidente del Consiglio, come era avvenuto con Schwarzenberg a Roma3, e con tutto il peso quindi che proveniva da questa speciale accentuazione. Dovevo anche dissipare modo più fermo sua impressione che mi era sembrata poter cogliere a più riprese durante suo discorso che nostre reazioni fossero in funzione prevalentemente elettorale e che, dopo esito brillante voto domenica a Trieste e ovunque, esse dovessero mutare. Problema Trieste va oltre qualsiasi campagna elettorale ed è sentito da noi come esigenza di carattere nazionale. Non è contingente finché non sia risolto come ci attendiamo debba essere. Suo errore assoluto di prospettiva poteva spiegare forse ma non giustificare così fallace linea di condotta seguita e con risultati così perniciosi. Allegati ripetuti errori apparivano così sorprendenti per nostra comprensione da renderli quasi incredibili.

Gruber ha concluso che non potendo rinunciare a viaggio egli però desiderava vedere come uscire da questa situazione, ha detto più volte, penosa, e essere disposto a fare tutto quello che da parte nostra si reputasse atto disperdere malevola interpretazione o sfruttamento. Veglierebbe attentamente per impedirlo per quanto direttamente lo concerneva, ma pensava a qualche cosa di più: intonazione per quanto possibile della reciproca stampa ed eventualmente qualche dichiarazione ufficiosa che inquadrasse visita in cornice di politica conciliatrice nell’interesse generale europeo e dell’Occidente e indirettamente o direttamente dell’Italia. Si potrebbe pensare a dire che viaggio avviene con approvazione Italia, previa intesa con Italia, in quadro rapporti di vicinato da regolare tra Austria e Jugoslavia e simili. Ha formulato varie frasi del genere pregando segretario generale presente a lungo colloquio di rifletterci e eventualmente concretizzarle. Ha parlato anche di dichiarazioni che sarebbe disposto a fare prima o dopo o durante il viaggio in sede conferenza stampa. Mi sono limitato ad ascoltare e dire che potevo al massimo riferire ma che non potevo che insistere su contenuto e senso mie precise dichiarazioni iniziali.

Circa epoca incontro mi ha detto essere previsto in terza decade giugno e con data e programma precisi ancora da fissare. Località è ancora incerta e potrebbe non essere Brioni. Nessun annuncio verrebbe fatto prima 17 giugno e quindi vi è ampio tempo per riflettere e ancora decidere.

In corso conversazione Gruber ha fatto ripetute menzioni e allusioni, anche se talvolta riprendendosi, a costante pressione inglese e mi ha detto che anche se inglesi sono più attivi e l’idea è loro, americani sono certamente d’accordo e fiancheggiano. Non ha mai avuto impressione che visita fosse però da entrambi concepita in funzione anti italiana, ma soprattutto di consolidamento settore Austria Jugoslavia, nonché migliore inserimento e compromissione Tito in sistema difesa occidentale. È per questo che vi annettono importanza vitale.

Tali sue impressioni hanno contribuito a non fargli intravedere che visita potesse riuscirci così sgradita.

Ritengo che Schwarzenberg riceverà istruzioni per comunicazioni parallele costì.

È superfluo aggiunga che nella conversazione che è durata circa un’ora e mezza mi sono valso di ogni possibile argomento da quello riguardante i rapporti con noi fino a quello concernente i pericoli delle reazioni russe, suscitando in Gruber evidenti segni di perplessità e esitazione; si è mostrato particolarmente esitante di fronte alla obiezione del pericolo russo ma ha finito per dire che era stato preso in considerazione e lo si considerava con un relativo ottimismo. Su un solo punto sembrava fermo e di quanto in quando vi tornava: la impossibilità di declinare ormai l’invito e la grave situazione che ne sarebbe derivata.

Da parte mia tendevo ad ottenere come minimo un rinvio al momento più propizio, battendo sempre sul concetto che il momento attuale, per la tensione intervenuta con Belgrado non per colpa nostra, non poteva essere più sfavorevole e peggio scelto.

Ho tratto anche la impressione che con questo viaggio Gruber stesso e con lui il Governo, pur sentendo la pressione anglo-americana e manifestando una certa insofferenza, abbiano finito per considerare il medesimo come un mezzo loro offerto per dare qualche necessaria soddisfazione a questa opinione pubblica, delusa e scoraggiata per il trattamento senza precedenti e senza prospettive visibili riservato all’Austria, specialmente dopo il termine di paragone istituitosi con il trattamento riservato alla Germania. Gruber, sia pure di passaggio, mi ha ad un certo momento fatto un accenno che la visita a Tito, come è stata preceduta da viaggi di lui e del cancelliere in varie capitali occidentali, potrebbe essere seguita da visite a Budapest e Praga, sempre in un quadro di miglioramento del buon vicinato e di simpatie da acquisire all’Austria.

Gli ho obiettato che non vedevo peraltro come e quando e in quali circostanze tali viaggi avrebbero potuto utilmente compiersi.


578 1 In pari data, con il quale Cosmelli preannunciava l’invio di un resoconto sul suo incontro con Gruber.


578 2 T. segreto 5045/123, con il quale Zoppi dava istruzioni di comunicare a Gruber le perplessità italiane per alcune dichiarazioni di Figl a Eden su Trieste.


578 3 Vedi D. 573.

579

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MAMELI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 791/474. Roma, 29 maggio 19521.

Telespresso di questa ambasciata n. 98/53 in data 23 gennaio u.s.2.

Mons. Tardini mi aveva accennato nei giorni scorsi con qualche insistenza alla crescente preoccupazione che desta la nota situazione dei Luoghi Santi.

Dopo avergli ricordato il profondo interesse che l’Italia annette a tale questione – interesse che si è manifestato anche recentemente in concreti progetti – in base agli accordi presi con codesto on.le Ministero, ho domandato a mons. Tardini se desiderava vedere il ministro La Terza, che trovasi per qualche giorno a Roma, e che, per la conoscenza acquistata sul posto, poteva essere in grado di lumeggiare utilmente il complicato quadro.

Mons. Tardini mi manifestò subito tutto il suo compiacimento per tale proposta e ci ricevette senz’altro stamane.

Riferisco qui di seguito i punti svolti nella conversazione e le conclusioni preliminari alle quali essa è giunta.

– Mons. Tardini ha convenuto senz’altro ed ha anzi insistito che la situazione è molto pericolosa a Gerusalemme. Un conflitto armato appare infatti inevitabile tra arabi ed ebrei in quanto questi ultimi tenderanno a raggiungere il confine naturale del Giordano.

– In questo caso la distruzione di Gerusalemme (e perciò dei Luoghi Santi) è inevitabile.

– Premesso che l’internazionalizzazione decisa dall’O.N.U. non ebbe mai neppure un principio di attuazione, ritiene necessaria una soluzione, anche se provvisoria, che salvi i Luoghi Santi.

– Apprezza quindi in linea di massima i noti progetti La Terza, ma escludendone tutta la parte militare.

D’altra parte una neutralizzazione vera e propria presupporrebbe le forze necessarie per farla rispettare. Da questo momento la conversazione si orientò quindi piuttosto verso l’idea di una dichiarazione naturalmente simultanea, da parte della Giordania e di Israele allo scopo di riconoscere le due Gerusalemme «città aperta», formula che non contrasterebbe con il principio già sancito, anche se non applicato, dall’O.N.U. L’azione per conseguire tale scopo dovrebbe essere svolta dalle potenze cattoliche tradizionalistiche: Italia, Francia, Spagna e Belgio.

– Mons. Tardini ha anche approvato l’iniziativa italiana che si crei possibilmente e contemporaneamente una specie di supervisione dei Luoghi Santi da parte delle quattro potenze cattoliche tradizionalistiche.

– È prevedibile che le maggiori difficoltà all’intero progetto potranno venire da parte di Israele. Si pone quindi un quesito estremamente delicato e cioè quello dei vantaggi che potrebbero essergli concessi. Mons. Tardini è giunto a dire che non sarebbe alieno dal porre sulla bilancia l’eventuale concessione da parte della Santa Sede nel riconoscimento dello Stato israeliano, sin qui mai accordato. Per quanto non abbia mancato di insistere sui dati che dovrebbero essere posti sul piatto negativo della bilancia, il solo fatto che abbia preso in considerazione tale ipotesi conferma quanto sia ansioso di giungere ad una soluzione, e quanto abbia apprezzato la nostra iniziativa.

In conclusione mons. Tardini ci ha detto che si riservava di procedere egli stesso agli opportuni confidenziali sondaggi presso i rappresentanti delle altre tre potenze interessate sulla base dei principi dell’iniziativa italiana così messi a punto, per stabilire se vi è possibilità che sia concordata sotto gli auspici del Vaticano (ma senza qualsiasi sua diretta partecipazione ufficiale), un’azione comune delle quattro potenze presso Giordania ed Israele.

Ritengo che le riserve di mons. Tardini e il suo desiderio di compiere egli stesso i confidenziali sondaggi muovano specialmente dalla nota riluttanza manifestata in passato dalla Francia a progetti simili. Riluttanza che potrebbe oggi essere diminuita di fronte all’acuirsi della situazione e che il punto di vista della Santa Sede potrebbe ad ogni modo valere a rimuovere.

Qualora l’iniziativa sortisse esito favorevole sarebbe naturalmente anche da prevedere da parte delle quattro potenze tradizionalistiche gli opportuni approcci, al momento che sarà giudicato opportuno, con gli Stati Uniti d’America e con la Gran Bretagna.

Non mancherò di riferire quanto mons. Tardini mi comunicherà ulteriormente in proposito3.


579 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


579 2 Vedi D. 351.


579 3 Vedi D. 637.

580

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. 5144/218. Roma, 30 maggio 1952, ore 14,40.

Il presente telegramma fa riferimento al 2701.

Secondo quanto è stato fatto conoscere in precedenza2, non si mancherà da parte nostra di appoggiare senz’altro la candidatura del ministro Eden alla presidenza del Consiglio dell’O.E.C.E., le cui elezioni sono state fissate per il giorno 7 giugno p.v.

Dato che, come V.E. ricorda, siamo stati tra i primissimi, se non i primi addirittura, a prospettare l’opportunità di una tale candidatura, ci domandiamo se non sarebbe significativo ed utile che la candidatura italiana alla presidenza del Comitato esecutivo venisse proposta dagli inglesi stessi nella seduta di Parigi.

Si prega V.E. di compiere gli opportuni sondaggi e di far conoscere notizie in merito per telegrafo3.


580 1 Del 28 maggio, con il quale Brosio informava che il Governo britannico aveva accettato di porre la propria candidatura alla presidenza del Consiglio dell’O.E.C.E. e che avrebbe appoggiato la candidatura italiana alla presidenza del Comitato esecutivo.


580 2 Vedi D. 442.


580 3 Con T. 6755/280 del 4 giugno Brosio comunicava il parere favorevole del sottosegretario Berthoud a che la candidatura italiana alla presidenza del Comitato esecutivo venisse proposta dal delegato inglese.

581

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 7133. Washington, 30 maggio 1952(perv. il 3 giugno).

Faccio seguito al mio rapporto n. 5854 del 5 maggio u.s.1 per informare V.E. che il Dipartimento di Stato ha fatto ieri conoscere di voler nuovamente intrattenere questa ambasciata in merito ai problemi connessi con l’adempimento dell’articolo 78.

Nel colloquio avutosi, a seguito di tale convocazione, i funzionari competenti del Dipartimento hanno informato che il Governo americano non riteneva di poter accogliere favorevolmente una proposta italiana relativa al problema del terzo arbitro, secondo la quale, allorquando venisse richiesta la nomina di un simile arbitro per una determinata controversia, si procedesse a tale nomina soltanto di volta in volta. I predetti funzionari hanno aggiunto in via ufficiale che a tale decisione il Dipartimento di Stato era giunto dopo accurato studio della tesi italiana ed hanno motivato l’atteggiamento americano in base sia al disposto dell’articolo 83 del trattato di pace e sia all’impegno assunto dal Governo italiano con l’accordo stipulato il 13 febbraio 1951 dal consigliere Sorrentino. Il Dipartimento ha di nuovo ribadito che non era certo nelle intenzioni del Governo americano richiedere la costituzione di una commissione con carattere discriminatorio ed ha ripetuto che non considerava che la nomina di un terzo arbitro implicasse minimamente la istituzione in territorio italiano di un tribunale permanente a carattere capitolare.

Ci è stato ancora una volta ribadito che gli Stati Uniti avevano commissioni del genere con molti altri paesi e che non si consideravano assolutamente giustificate le violente reazioni avutesi da parte del Governo italiano in argomento.

In sostanza, il Dipartimento di Stato ha dato risposta nettamente negativa agli accenni fatti da questa ambasciata sulla base della lettera di V.E. del 18 aprile u.s.2 circa i limiti entro cui il Governo italiano avrebbe potuto accettare la designazione del terzo arbitro.

Abbiamo fatto presente al Dipartimento, nel modo più fermo, che tale risposta sarebbe stata ricevuta con viva preoccupazione, sorpresa e sfavore dal Governo italiano, il quale riteneva di aver raggiunto il «limite della propria condiscendenza» con l’accettare nomine di terzo arbitro «caso per caso».

Abbiamo al riguardo rilevato che la risposta americana ci sembrava inspiegabile per quattro ordini di considerazioni, in particolare:

– per motivi politici, perché si eliminava da una eventuale revisione delle clausole economiche del trattato di pace – ancora e sempre così importante per il Governo italiano, particolarmente ai fini parlamentari – uno dei pochissimi spunti di concessione a cui il Governo italiano, dopo Ottawa, sembrava aver pieno titolo;

– per motivi pratici, in quanto che con tale risposta si veniva nuovamente ad offuscare l’atmosfera, rendendo del tutto difficile ormai per il Ministero degli esteri italiano svolgere, se del caso, qualsiasi azione presso gli Enti competenti intesa ad ottenere uno snellimento della procedura per il soddisfacimento dei claims, il tutto con danno, in definitiva, dei claimants americani stessi;

– per motivi giuridici, perché con tale diniego il Governo americano insisteva su una interpretazione dell’articolo 83 che non sembrava per nulla consona con la lettera dell’articolo stesso e che comunque era del tutto diversa dalla interpretazione data dal Governo italiano;

– per motivi morali, perché si insisteva su una richiesta non certo aderente allo spirito della dichiarazione di Ottawa3 e non certo consona con i rapporti generali tra il Governo americano e il Governo italiano.

Il Dipartimento di Stato non ha ritenuto di poter recedere dal suo atteggiamento anche perché l’analogo sistema che, a detta degli uffici legali, sarebbe stato concordato con inglesi e francesi per una nomina del terzo arbitro caso per caso, non aveva dato buona prova.

Quanto precede riguarda il colloquio avutosi in via ufficiale con i funzionari competenti del Dipartimento.

Mi consenta V.E. di aggiungere qualche notizia riservatamente e confidenzialmente attinta negli ambienti del Dipartimento stesso, atta ad integrare i motivi ufficiali addotti dai rappresentanti americani nel colloquio di cui sopra.

Ci è stato infatti lasciato intendere che in data 16 maggio u.s. il segretario di Stato aveva inviato a codesta ambasciata americana un telegramma a carattere preliminare, secondo il quale «the Italian proposal could be considered a substantial improvement on the previous Italian position» e con il quale il Dipartimento stesso si riservava una definitiva comunicazione sull’accettazione o meno della nostra proposta. Tale telegramma era partito dagli uffici politici i quali si erano resi conto dei vantaggi politici e pratici di una accettazione della nostra proposta. Nel frattempo la questione era stata posta allo studio da parte degli uffici legali.

Qualche giorno dopo era giunta al Dipartimento una comunicazione di Thompson che recava allegata copia integrale della lettera del ministro Pella a V.E. n. 24702, quale era stata inviata allo stesso Thompson dal Ministero. Tale lettera reca, tra l’altro, come noto, espressioni quali «il rilievo degli uffici americani è privo di qualsiasi base», «la assoluta infondatezza dell’affermazione americana sembra faccia sorgere il dubbio che si nasconda sotto un pretesto una sostanziale cattiva volontà».

Ho segnalato a V.E. con mio rapporto 5854 citato che, della lettera del ministro Pella, questa ambasciata si era limitata a leggere soltanto stralci. In realtà, nella previsione di reazioni spiacevoli da parte americana, si era omesso da parte nostra di leggere proprio le frasi sopra menzionate, che sono invece pervenute al Dipartimento di Stato con la copia allegata alla comunicazione di Thompson. Credo sia difficile descrivere l’irritazione che espressioni di tal genere hanno prodotto in quegli ambienti del Dipartimento che erano anche disposti ad accedere alla nostra proposta. Ciò per lo meno è quanto ci è stato detto da elementi amici, i quali hanno rilevato che non si riesce qui a comprendere come da parte italiana si possa pensare a «cattiva volontà», «pretesti», «infondatezza di rilievi», quando purtroppo il problema dell’articolo 78 si agita da anni con totale insoddisfazione da parte americana e con continui ammonimenti ed esortazioni dati nel modo più amichevole e con le intenzioni migliori da parte dei funzionari americani responsabili. Credo che il più irritato di tutti sia stato Byington che già nel 1949 aveva «fermato» una comunicazione interna per il segretario di Stato con cui si proponevano elementi per un colloquio tra Acheson e me, sempre in tema di articolo 78, che, secondo le proposte predette, avrebbe certo avuto degli spunti molto spiacevoli.

Non vi è dubbio che le reazioni sollevate dalla lettura di tali frasi, unitamente al parere negativo successivamente pervenuto dagli uffici legali, hanno indotto anche gli elementi degli uffici politici, più favorevolmente disposti, a recedere dall’atteggiamento assunto in un primo tempo (e di cui fa fede il telegramma del 16 maggio sopra menzionato e datoci riservatamente in visione). Ciò spiega anche perché, malgrado le nostre vivaci insistenze con le quali è stato anche in via personale fatto presente che, a forza di risposte negative, i danneggiati avrebbero finito per essere proprio i cittadini americani che il Dipartimento di Stato ha il dovere di proteggere, i funzionari del Dipartimento stesso abbiano insistito nel loro atteggiamento, dichiarando che il Governo americano non poteva demordere dalla richiesta da esso formulata e, d’altra parte, già accettata negli accordi Sorrentino.

Giudicherà V.E. se convenga nuovamente insistere presso il Dipartimento a seguito delle argomentazioni già da noi svolte e sopra illustrate: è certo che un nostro nuovo diniego perpetuerà una situazione molto imbarazzante e spiacevole nei confronti delle autorità americane in una questione in cui, per lo meno in passato, non sempre abbiamo avuto ragione.


581 1 Vedi D. 527, nota 4.


581 2 Non pubblicato.


581 3 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 39, p. 757.

582

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL BRASILE, NEVES DA FONTOURA

L. Roma, 31 maggio 1952.

Assai gradita mi giunse a suo tempo la lettera confidenziale direttami dall’E.V.1 , e detti subito disposizioni agli uffici del Ministero affinché riprendessero accuratamente in esame le varie questioni da lei prospettatemi. Nel frattempo l’ambasciatore Alves de Souza – da me espressamente pregato in proposito mentre attendevo di essere in grado di rispondere – si sarà reso interprete presso l’E.V. della mia memore cordialità2, trasmettendole altresì l’assicurazione, che desideravo farle pervenire senza indugio, del costante spirito di diligenza e di buon volere con cui il Governo italiano procede nella trattazione dei problemi italo-brasiliani.

Ora che da parte del Ministero sono stati raccolti tutti gli elementi necessari, mi è possibile dare diretto riscontro alla lettera di V.E. Ma anzitutto tengo a ripeterle col miglior animo quanto siano vivi in me quei sentimenti di amicizia e di gratitudine di cui per il tramite dell’ambasciatore Alves de Souza le avevo inviato una prima espressione.

I ricordi, rievocati dall’E.V., dei difficili frangenti dell’immediato dopoguerra trovano profonda eco nel mio animo, insieme a quelli di tanti altri ardui dibattiti in cui l’Italia si è vista impegnata dinanzi ai consessi internazionali, in epoche successive ed anche in tempi recenti, sempre avendo accanto l’appoggio e la solidarietà del Brasile. Non dimenticheremo quegli episodi così significativi.

In tali circostanze si è luminosamente e di nuovo manifestata – ricollegandosi ad una tradizione della quale testimoniano decenni di storia – la fraternità della generosa nazione brasiliana verso il mio paese. Ed è doveroso che un riconoscimento particolare sia tributato all’ E.V. , dimostratasi per noi sincero amico, nonché valido assertore – nel dirigere la politica estera del Brasile – di una azione che nei riguardi dell’Italia si è mantenuta sempre fedele ad un atteggiamento ispirato a comprensione, a simpatia e ad identità di ideali e di programmi.

Giustamente ella considera che le innumerevoli schiere di immigrati italiani e loro discendenti venuti a prodigare operosità fervida e realizzatrice nelle ospitali contrade brasiliane costituiscono uno dei fondamentali coefficienti dei vincoli che saldamente uniscono i nostri due paesi. «Aggiungere a queste centinaia di migliaia di italiani altri milioni, affinché l’emigrazione italiana continui ad offrire uno dei maggiori contributi alla formazione etnica del brasiliano futuro» – come ella ed i dirigenti tutti del suo Governo hanno voluto auspicare – è un voto anche nostro, e la sua realizzazione stiamo anche noi perseguendo, con convinzione e con tenacia di sforzi.

Questa comunanza di finalità e di vedute, questo proposito rivolto ad un sempre migliore ed armonico sviluppo delle relazioni fra l’Italia ed il Brasile non si limitano a ciò che concerne l’emigrazione. In ognuno degli altri settori dei reciproci rapporti sono uguali i criteri che seguiamo come direttiva, senza che in alcun momento sia ad essi mancata la dovuta attenzione.

Dalla lettera dell’E.V. ho appreso che fra i suoi collaboratori era venuta a formarsi un’impressione per cui si lamenterebbe di non aver incontrato un sufficiente nostro interessamento. Ne sono rimasto sorpreso e rammaricato.

È tuttavia mia viva speranza che le precisazioni che le espongo qui appresso valgano a far rettificare simili stati d’animo ed a dissipare qualsiasi ombra di malinteso. Esse porranno in luce che non è da imputarsi ad inadempienze delle autorità italiana se si sono verificati certi indugi, se certe attuazioni non hanno potuto fino ad oggi svolgersi su più estesa portata, e se non è stato ancora possibile superare certi ostacoli.

Prego dunque V.E. di voler valutare i chiarimenti che di seguito passo a fornirle, quale risposta sui vari punti da lei messi in rilievo.

Risarcimento dei danni di guerra a brasiliani residenti in Italia. L’accordo italo-brasiliano firmato l’8 ottobre 1949 aveva per scopo essenziale – secondo le intenzioni dell’Italia e come esplicitamente detto nel preambolo del testo – di definire, in uno spirito di amicizia e mutua comprensione, tutte le questioni pendenti tra l’Italia ed il Brasile in conseguenza della guerra e delle disposizioni del trattato di pace del 1947. Ed invero l’art. 9 dell’accordo stabilisce che «il Governo italiano e quello brasiliano si danno quietanza di qualsiasi responsabilità derivata dalla guerra o da misure prese in conseguenza della guerra, o in ragione di pregiudizi o atti qualsiasi imputabili ad elementi delle forze militari italiane o brasiliane che operarono durante la guerra e la cobelligeranza».

Si riteneva da parte italiana di aver risolto nella sua totalità la complessa questione degli obblighi dell’Italia verso il Brasile derivanti dalle clausole economiche del trattato, e di aver così tacitato qualsiasi richiesta brasiliana di indennizzo che dal trattato medesimo avesse fondamento.

L’ambasciata del Brasile in Roma ha invece insistito su alcune richieste di indennizzo (già avanzate precedentemente alla firma dell’accordo) per danni subiti da proprietà immobiliari di sudditi brasiliani in territorio italiano in seguito a bombardamenti aerei e successiva occupazione da parte di truppe canadesi.

L’ambasciata predetta fondava tali reclami:

I) sull’art.78 del trattato di pace, che riteneva doversi ugualmente applicare in quanto, secondo la sua opinione, l’accordo dell’8 ottobre 1949 si riferirebbe esclusivamente a reclami di Governo a Governo e non a quelli avanzati da persone fisiche o giuridiche brasiliane;

II) sullo stesso art. 9 dell’accordo, secondo la tesi per cui esso articolo coprirebbe soltanto i danni imputabili a forze militari italiane e brasiliane e non quelli avvenuti ad opera di aviazione o truppe di altri paesi.

I reclami in oggetto, sottomessi all’esame della competente Commissione interministeriale italiana, furono considerati superati in virtù di quanto stabilito dall’accordo del 1949. E poiché l’ambasciata brasiliana replicò mantenendo l’avverso punto di vista sopra menzionato, venne consultato S.E. Pilotti il quale aveva partecipato a Rio de Janeiro alle prime fasi delle trattative per l’accordo. Detto giureconsulto, nell’esprimere il suo parere, mise in evidenza che i negoziatori si erano precisamente ispirati al concetto di comprendere nell’accordo tutti i casi contemplati dal trattato di pace, tanto è vero che nel computo degli oneri previsti per l’Italia si era espressamente tenuto conto anche dei danni sofferti dai cittadini brasiliani nella nostra penisola. In questi termini venne inviata una nuova comunicazione all’ambasciata del Brasile.

Dalla lettera confidenziale di V.E. si è appreso successivamente che le autorità brasiliane persistono nel non accettare il criterio sostenuto dal Governo italiano.

Esiste dunque una perdurante divergenza di vedute circa l’interpretazione giuridica dell’accordo dell’ottobre 1949, al quale da parte italiana si ha ragione di attribuire valore generale ed effetti risolutivi di liquidazione per qualsiasi pendenza, mentre la tesi brasiliana si presenta a carattere restrittivo.

Ma il Governo italiano – lungi dal voler mantenersi «su un tono di completo diniego» come è sembrato agli uffici dell’Itamaraty – ritiene che una tale controversia potrebbe ancora venire risolta in via diplomatica. Si sta pertanto provvedendo ad inviare istruzioni all’ambasciata d’Italia a Rio de Janeiro perché inizi opportuni contatti con i competenti organi brasiliani, ai fini di una nuova disamina della questione.

Qualora, poi, neppure attraverso questa ripresa di conversazioni fosse possibile addivenire ad una composizione, il Governo italiano sarebbe consenziente a che la questione venisse portata dinanzi ad un giudizio arbitrale, giusta quanto espressamente previsto dall’articolo 10 dell’accordo dell’ottobre 1949.

Accordo sui trasporti marittimi. Il Dicastero del commercio estero – come risultato delle premure fattegli da questo Ministero – ha assicurato di avere consentito fino dallo scorso mese di gennaio la libera disponibilità degli incassi in lire di noli concernenti merci italiane vendute F.O.B. all’Argentina e trasportate con navi brasiliane.

Tale decisione è stata appunto presa in adesione alla richiesta dell’ambasciata del Brasile a Roma, ed in considerazione della reciprocità di trattamento usata da parte del Brasile.

Non si è mancato di dare di ciò comunicazione all’ambasciata.

Accordo commerciale. L’accordo commerciale italo-brasiliano del 5 luglio 1950 prevedeva un contingente di esportazione verso il Brasile di 910 mila dollari di zolfo. Durante i primi mesi successivi all’entrata in vigore dell’accordo medesimo, l’esportazione dello zolfo verso il Brasile era libera; ma da parte brasiliana non vennero fatti acquisti.

A seguito della grave crisi che negli ultimi mesi del 1950 colpì il settore della produzione zolfifera, l’Italia fu costretta nel dicembre 1950 ad adottare un sistema di severo controllo delle esportazioni di zolfo, onde assicurare un’equa, per quanto ridotta, distribuzione delle limitate scorte fra l’industria nazionale ed i vari paesi con i quali esistevano impegni di forniture. Per tale motivo non fu possibile rilasciare licenze di esportazione di zolfo verso il Brasile per un importo superiore ai 307 mila dollari.

Subito dopo, le possibilità di esportazione di zolfo vennero ulteriormente limitate dagli impegni assunti dall’Italia in seno all’International Materials Conference (I.M.C.) che nel luglio 1951 sottopose ad allocation le forniture di zolfo. In base alle decisioni dell’I.M.C., di cui anche il Brasile fa parte, l’Italia nel corso del secondo semestre 1951 non avrebbe dovuto fornire zolfo greggio al Brasile, il cui fabbisogno avrebbe dovuto essere interamente coperto dagli Stati Uniti.

Malgrado ciò – per dimostrare la buona volontà di venire incontro alle richieste brasiliane presentate dalla ambasciata in Roma nel settembre 1951 – il Governo italiano dispose, con non lieve sacrificio per l’economia del paese, che fossero stornate mille tonnellate di zolfo raffinato per essere avviate verso il Brasile.

In questi ultimi tempi, a riprova del desiderio dell’Italia di adempiere agli impegni contenuti nell’accordo commerciale, pur perdurando le gravissime difficoltà derivanti all’economia italiana per la scarsezza dello zolfo, è stata autorizzata l’esportazione di altri 603 mila dollari di tale prodotto, a complemento della fornitura prevista dal citato accordo.

In quanto alla quota di zolfo delle nuove liste contingentali, mentre in un primo tempo da parte italiana era stato offerto un contingente di soli 250 mila dollari, tale offerta è stata successivamente elevata ad 800 mila dollari, al fine di facilitare la sollecita conclusione delle trattative in corso da lungo tempo. Tale contingente sarà messo in distribuzione non appena entreranno in vigore i nuovi accordi di cui si attende la firma a Rio de Janeiro.

Naturalmente, con la normalizzazione della produzione italiana di zolfo, il Governo italiano farà ogni sforzo possibile per autorizzare esportazioni verso il Brasile anche oltre il contingente che verrà previsto dai nuovi accordi.

Funzionamento in Italia della Compagnia Sul America Terrestres Maritimos e Acidentes. Le disposizioni legislative italiane consentono a società di assicurazioni straniere di esercitare in Italia a condizione che le compagnie italiane siano ammesse ad operare nel paese cui le società straniere appartengono, a parità di trattamento con le imprese nazionali. Poiché il decreto del Governo brasiliano in data 7 marzo 1940 n. 2063 fa divieto a nuove compagnie di assicurazioni straniere di operare in Brasile, non esisteva una situazione giuridica per cui da parte brasiliana si potesse invocare la reciprocità.

Ma in seguito ad affidamenti che facevano ritenere che le compagnie italiane Assicurazioni Generali e Riunione Adriatica di Sicurtà sarebbero state al più presto reintegrate nelle loro attività in Brasile, ed in particolare che sarebbero stati loro restituiti i «portafogli vita» sequestrati durante la guerra, il Governo italiano – allo scopo di venire incontro al desiderio del Governo brasiliano che aveva appoggiato caldamente la richiesta della Sul America – ha comunicato fin dal 3 dicembre 1951 all’ambasciata del Brasile a Roma che accettava la domanda della Compagnia brasiliana di esercitare in Italia.

Era questa una concessione del tutto speciale, destinata a diventare operante (e ciò era pure stato fatto presente all’ambasciata brasiliana) a datare dalla restituzione alle compagnie italiane predette delle attività di loro pertinenza, nell’intesa che in avvenire non sarebbero state poste ulteriori restrizioni al loro funzionamento.

Però, malgrado gli affidamenti ricevuti, le Assicurazioni Generali e la Riunione Adriatica di Sicurtà non sono rientrate fino ad oggi in possesso dei loro «portafogli vita», tuttora trattenuti dalla I.P.A.S.E.. Ormai dipende solo dal Governo brasiliano l’inizio in Italia dell’attività della Sul America.

Compagnia Brasieira de Colonizacâo e Imigracâo Italiana. È vero che la Compagnia ha svolto finora attività limitata. Ma essa è tenuta tassativamente ad un programma per cui gli scopi d’ordine sociale vanno conciliati con gli obbiettivi di carattere economico. E le difficoltà che la Compagnia è venuta incontrando sono costituite:

– dall’alto costo delle terre buone in tutti gli Stati del Brasile, ove i prezzi sono enormemente aumentati in questi ultimi due anni;

– dagli oneri che comporta la trasformazione fondiaria di nuove terre (attualmente allo stato boschivo) data la mole di investimenti richiesti, con prospettive di un basso reddito iniziale e di un lento recupero;

– dalle esigenze che presentano i nuclei di colonizzazione europea.

Attualmente la Compagnia attende con grande impegno alla realizzazione del primo esperimento, in località Pedrinhas nel Municipio di Assis (Stato di San Paolo). Ha comperato 3.400 ettari di terra ed è in corso l’esecuzione delle opere fondamentali: case, canali, strade, magazzini, stalle, ecc.

La Compagnia non intende certo limitare la sua attività a questa prima iniziativa, ma continua le ricerche di terre e mette allo studio progetti di nuove imprese in altri Stati brasiliani. Poiché, tuttavia, i fondi che amministra devono essere oculatamente impiegati in operazioni di finanziamento che diano ogni garanzia di riuscita delle aziende assistite, dal punto di vista economico, è evidente che gli sviluppi della iniziativa non possono essere in questa fase né immediati né vasti come i brasiliani e noi stessi desidereremmo.

A tale proposito giova ricordare che nei colloqui che ebbero luogo a Roma alla fine di febbraio con il ministro Nilo Alverenga – presidente del Consiglio di immigrazione e colonizzazione – e con l’ambasciatore Alves de Souza, si riconobbero le necessità e la possibilità di ampliamento dell’attività della Compagnia alla condizione che da parte del Governo brasiliano vengano concesse facilitazioni per l’acquisto di terre a prezzi ragionevoli. In successivi colloqui lo stesso ambasciatore diede assicurazione che le facilitazioni sarebbero state tali da poter ottenere in concessione terreni ad un prezzo inferiore di circa il 50% a quelli correnti di mercato, il che permetterebbe di intraprendere un’opera di colonizzazione in più grande scala.

Da parte nostra, conformemente agli impegni assunti, nulla si intende tralasciare per incrementare ogni possibile forma di trasferimento di popolazione agricola in Brasile.

Recenti decisioni hanno orientato l’azione della Compagnia verso la ricerca di investimenti che provochino il più vasto movimento emigratorio, raccomandando solo le opportune cautele per la gradualità e proporzionalità degli immobilizzi in acquisti di terre, e lasciando alla Compagnia, sotto la responsabilità ed entro le direttive impartite, la scelta dei piani di attuazione più convenienti.

Emigrazione. Il flusso dell’emigrazione italiana in Brasile, che nel corso del 1951 è stato di 8.200 unità ( con un aumento di circa 2 mila unità sull’anno 1950 ) è destinato indubbiamente ad aumentare sia per l’entrata in vigore dell’accordo di emigrazione, sia per la costituzione del Migration Committee.

Mentre, da parte italiana, si apprezza quanto le autorità brasiliane hanno fatto per semplificare la procedura relativa al rilascio dei visti di ingresso, si rileva che anche gli organi italiani non hanno posto particolari impacci burocratici all’emigrazione spontanea. Forse l’ostacolo maggiore era finora rappresentato dal fatto che per l’autorizzazione dell’espatrio si poneva come condizione essenziale l’esistenza di un contratto di lavoro.

Ora che le autorità brasiliane per prime hanno prospettato la opportunità di sopprimere in molti casi tale condizione, si sta studiando da parte italiana un sistema che introduca semplificazioni di procedura. Si è convenuto, per esempio, di non più esigere il contratto di lavoro per lavoratori di categorie urbane (meccanici, edili, elettricisti, ecc.) il cui collocamento in Brasile risulta pronto e facile.

Il finanziamento offerto dal Migration Committee consentirà soprattutto di effettuare il ricongiungimento dei nuclei familiari, permettendo ai capi famiglia stabilitisi in Brasile di chiedere il viaggio gratuito per i propri familiari che non siano in grado di sostenere tale spesa.

Accordo per lo scambio di valigie diplomatiche aeree. Il progetto per un tale accordo amministrativo – presentato dall’ambasciata del Brasile a Roma – prevedeva che i plichi venissero rimessi esclusivamente alle rispettive autorità postali di entrambi i paesi affinché provvedessero all’inoltro, per aereo.

Si è reso necessario consultare i competenti organi dell’Amministrazione postale italiana, ai quali si sarebbe trattato di affidare i plichi in partenza da Roma, spediti dalla ambasciata del Brasile e da questo Ministero. Essi hanno però affacciato obbiezioni, prospettando l’eventualità di qualche inconveniente che riuscirebbe difficile evitare, mentre un servizio così delicato ed importante quale lo scambio di corrispondenze diplomatiche presenta le massime esigenze di rapido e puntuale espletamento.

Se quindi il progetto appariva accettabile in linea generale di principio, sono venuti a rivelarsi dubbi sulla possibilità pratica di esecuzione regolare di un impegno che dovrebbe essere esplicitamente stabilito in un accordo fra i due Governi.

Perciò questo Ministero degli affari esteri, nel rispondere all’ambasciata del Brasile con Nota verbale del 3 maggio recente, ha pregato di considerare la convenienza che il servizio continui a svolgersi nella sua forma, cioè affidato direttamente alle società di trasporti aerei che gestiscono la linea collegante Roma a Rio de Janeiro: sistema che fino ad oggi ha funzionato in modo del tutto soddisfacente.

Da quanto fin qui messo in evidenza, punto per punto, risulta chiarito il preciso stato attuale delle varie questioni che costituivano oggetto della lettera di V.E. Soprattutto – ed è quel che più mi sta a cuore – apparirà abbastanza dimostrato che su nessuna di esse si può parlare di scarso interessamento o inadeguata attenzione da parte degli organi italiani.

Sgombrato così il terreno da sfavorevoli impressioni e da incresciosi motivi di lagnanze, mi consenta V.E. di esprimere a mia volta la fiducia che, in virtù di uguale spirito di concordi vedute da entrambi i lati, abbiano ad essere condotte a soluzione appena possibile altre questioni, di non minore importanza, che da tempo l’ambasciata d’Italia a Rio de Janeiro sta trattando presso gli organi del Ministero degli affari esteri brasiliano, e che ancora si trovano in pendenza. Mi riferisco ai negoziati vertenti:

– sulla restituzione delle Case d’Italia demaniali di Rio de Janeiro e Juiz de Fora, e di molte altre sedi di associazioni italiane da liberarsi in base all’accordo beni;

– sull’estensione a Trieste dell’accordo commerciale italo-brasiliano;

– sulla determinazione dei contingenti per la rinnovazione dell’accordo stesso;

– sulla proposta di una convenzione di arbitrato.

Il raggiungimento di un’intesa, anche su tali argomenti, contribuirà del pari a dare ulteriori e giovevoli impulsi alla fraternità viva cui sono informati i legami fra i nostri due paesi.

Avremo così determinato il crearsi dell’atmosfera più propizia per le future, feconde realizzazioni della collaborazione che Italia e Brasile perseguono, in nome di quella comunanza di razza, di civiltà, di ideologie, di interessi che anche ultimamente, sotto l’egida dell’Unione latina – nel congresso tenutosi a Rio de Janeiro – ha riaffermato i suoi principi e i suoi valori.


582 1 Vedi D. 477.


582 2 Vedi D. 514.

583

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta personale 1686. Belgrado, 31 maggio 1952(perv. il 3 giugno).

Dopo la «malattia diplomatica» Velebit è venuto a trovarmi prima di rientrare in Italia. Come ho telegrafato, partirà domani o dopo domani per Zagabria dove resterà due o tre giorni. Mi ha poi preannunciato che prenderà le sue ferie in agosto.

Velebit ha evitato di entrare in argomenti specifici. Mi ha solo espresso la speranza che possa migliorare l’atmosfera tra i due paesi, assicurandomi che egli farà tutto il possibile in tal senso. Mi ha detto che egli esamina sempre le situazioni freddamente e che non ha mancato di riferire al suo Governo l’opinione che molta parte del recente atteggiamento italiano che qui è spiaciuto, fosse dovuto al clima elettorale. Questa è un po’ l’opinione o la speranza degli ambasciatori delle grandi potenze occidentali.

Se anche certi atteggiamenti ed espressioni sono stati certamente influenzati dalla campagna elettorale, non ho però mancato di osservare, per esempio, a questo ambasciatore degli Stati Uniti che taluni ultimi atteggiamenti di uomini responsabili del Governo jugoslavo e la politica stessa del Governo vanno valutati con la dovuta importanza e gravità, mentre d’altra parte l’atteggiamento moderato ma fermo del Governo italiano, ed in particolare del presidente del Consiglio, risponde ad una situazione obbiettiva, e non è stato ispirato da moventi elettorali.

Ho cercato in una parola di far comprendere che i problemi e soprattutto «il problema» permane serio e che, seppur passate le elezioni, deve essere valutato nel suo giusto valore.

D’altra parte la Conferenza di Londra ed i suoi risultati hanno irritato indubbiamente questi ambienti. Se prima il progetto di spartizione del T.L.T. (Zona A all’Italia) veniva fatto apparire come una generosità verso l’Italia, che non aveva né Zona A né Zona B, ora la base del ragionamento jugoslavo è di fatto venuta meno: di qui il rigido atteggiamento per quel che riguarda la Zona B.

Non credo che nei suoi elementi obbiettivi sia peggiorata la possibilità di una soluzione, perché anche prima gli jugoslavi non hanno mai avuto una seria intenzione di cedere qualcosa della Zona B. Anzi la piattaforma che abbiamo oggi in Zona A potrebbe offrire migliori carte per eventuali compensazioni tra Zona A e Zona B.

La questione resta sempre aperta e le potenze occidentali non possono pensare di risolvere la questione de facto se vogliono che tra Italia e Jugoslavia si creino rapporti tali da favorire in questa zona una collaborazione utile dal punto di vista politico e militare.

Quello che invece è peggiorato è il clima tra i due paesi. In particolare l’atteggiamento anti-italiano non solo del Governo ma anche della popolazione si è accentuato. Se pur sporadiche e periferiche, si registrano piccole manifestazioni contro italiani (manifestini, cartelli, canti, difficoltà nella vita di tutti i giorni, ecc.). Noi stessi siamo guardati con più freddezza seppure non si manca alle consuete forme di cortesia. In una parola, dopo i discorsi dei capi e la campagna giornalistica, gli italiani non sono di moda ed è anzi pericoloso avvicinarli.

Fatti tuttavia che non bisogna sopravalutare, specialmente in regime di dittatura, a meno che il Governo pensi che il perdurare di questa condotta nazionalistica e rodomontesca gli sia ancora utile per distrarre dalla sempre grave situazione economica.

Gli avvenimenti di quest’ultimo mese hanno naturalmente allentato i contatti con questo Ministero degli esteri anche su questioni secondarie. In momenti come questi il trattare alcune questioni può non essere opportuno perché l’atteggiamento jugoslavo, più corrente in altri momenti, è indubbiamente influenzato dalla generica cattiva disposizione.

Perciò, dopo questi ultimi avvenimenti, le sarei grato se volesse darmi qualche direttiva di massima.

Devo cercare di dar la sensazione che desideriamo ritornare ad un clima di distensione oppure devo continuare a mantenere un contegno di riserbo?

Vogliamo per il momento soprassedere sulla questione del T.L.T., oppure riteniamo inutile avviarci ad una intesa su altre questioni pendenti sapendo che il riaccendersi della questione del T.L.T. raffredderebbe di nuovo i tentativi in tal senso?

Si ritiene che soprassedere ulteriormente sulla questione possa creare maggiori pregiudizi per l’avvenire, specialmente in relazione ai provvedimenti in Zona B ed alle conseguenze della loro esecuzione, tanto più se ci si avviasse alla soluzione per plebiscito? Oppure si ritiene per il momento vano ogni sforzo data la irriducibilità jugoslava o dato l’approssimarsi delle elezioni politiche in Italia?

Oppure ancora può pensarsi possibile e utile arrivare ad una intesa di massima per un eventuale plebiscito, in modo che il Governo possa presentarsi alle elezioni con la questione del T.L.T. virtualmente risolta?

Mi fermo con gli interrogativi.

Le sarò infinitamente grato se vorrà darmi quantomeno un orientamento di massima, indispensabile per la mia linea di condotta e di linguaggio con questo Governo1.


583 1 Vedi D. 588.

584

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

Telespr. 896 segr. pol. Roma, 1° giugno 1952.

Telegramma di questo Ministero n. 1291.

Approvo quanto V.S. ha detto a Gruber2. Come abbiamo ripetuto anche a Schwarzenberg non mettiamo in dubbio assicurazione datale da codesto ministro degli esteri circa Trieste e suo fermo proposito non prestarsi a discutere tale questione con Tito. Tuttavia, a parte deplorevole mancanza sensibilità costì dimostrata nel non tenerci informati del progettato viaggio, resta il fatto che incontro potrà essere sfruttato tanto da Governo Belgrado quanto da ambienti internazionali e giornalistici filo-jugoslavi e venire presentato come un rafforzamento posizione Jugoslavia nei confronti Italia. E dobbiamo lamentare che, sia pure inconsciamente, un Governo amico rischi prestarsi a tale manovra. Opinione pubblica italiana ne sarebbe colpita e sconcertata e Governo italiano si troverà nella necessità tener conto tale situazione. Non sta naturalmente a noi giudicare su importanza per codesto paese delle questioni che codesto Governo deve regolare con quello jugoslavo pur considerando che tali questioni, a nostro avviso, potrebbero risolversi anche per normale via diplomatica o attraverso colloqui fra personalità di minore rilievo ed evitando che incontro anche indipendentemente da volontà Gruber assuma carattere spettacolare e quindi negativo nei suoi riflessi su relazioni italo-austriache. Persistiamo quindi ritenere che esso dovrebbe essere possibilmente evitato o rinviato. Qualora ciò non fosse possibile e anche azione cancelliere Figl non riuscisse in tale intento, è indispensabile che annuncio viaggio venga dato costà e a Roma in forma appropriata e tale da togliergli ogni possibilità di interpretazioni o illazioni per noi non amichevoli. Le trascrivo qui di seguito progetto comunicato che V.S. vorrà presentare a codesto Governo non appena sarà venuto a conoscenza esito azione Figl e qualora tale azione non avesse raggiunto scopo da noi desiderato:

«Nei giorni … il ministro Gruber si incontrerà a … col maresciallo Tito allo scopo di risolvere alcune questioni di interesse particolare austro-jugoslavo da lungo tempo pendenti, quali … I Governi francese, inglese e americano sono stati messi al corrente di tale incontro e così pure ne è stato messo al corrente il Governo italiano. Il ministro Gruber ha tenuto in tale occasione a sottolineare che lo sviluppo sempre più intimo dei rapporti di amicizia e collaborazione con l’Italia, tanto nel campo politico che in quello economico, rimane cardine fondamentale della politica estera austriaca».

Tale dichiarazione dovrà avere carattere ufficiale. Commenti ufficiosi dovrebbero poi mettere in rilievo incontro essere determinato da necessità risolvere questioni di esclusivo interesse locale fra due paesi confinanti e che qualunque illazione di più vasto significato sarebbe errata.

V.S. vorrà inoltre far presente, sempre ai fini suindicati, opportunità che incontro non avvenga in località di sovranità già italiana3.


584 1 Del 31 maggio, ritrasmetteva a Vienna il T. s.n.d. 6528/510 da Parigi del 30 maggio con il quale Quaroni aveva riferito sul suo colloquio con Figl avente per oggetto il previsto incontro Gruber-Tito.


584 2 Vedi D. 578.


584 3 Con T. segreto 7124/128-129 del 12 giugno Cosmelli riferiva l’adesione di massima di Gruber al comunicato.

585

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. s.n.d. 5279/96. Roma, 3 giugno 1952, ore 22,20.

A telegramma 1441.

Nel prendere nota della importante segnalazione desidero informare V.S. che nostro Stato Maggiore è già al corrente del contenuto del rapporto di Montgomery ed ha già fatto pervenire a Parigi sue prime osservazioni.

Per molti motivi, politici e militari, non ci sembra assolutamente conveniente una trasformazione o addirittura un’abolizione del Comando atlantico di Napoli.

Come V.S. conosce, questione del deputy italiano, che aveva provocato interrogativi e dissensi da parte turca e greca, appare avviata a soluzione soddisfacente per tutti e non sarebbe assolutamente conveniente far sorgere proprio ora questione ancora più grave e tale da mettere nostro Stato Maggiore in seria difficoltà per discussione di una proposta, quale quella di Montgomery, che sconvolgerebbe tutto assetto attuale.

In questo senso intendiamo esprimerci con il generale Ridgway qualora egli dovesse qui sollevare problema. Allo scopo anzi la S.V. è pregata di voler assumere informazioni circa contenuto che Ridgway stesso intende dare a sua imminente visita a Roma e telegrafare2.


585 1 Del 31 maggio, con il quale Rossi Longhi aveva riferito sul colloquio avuto con il gen. Gruenther relativamente alla proposta di Montgomery per l’inserimento dell’Italia nel Comando Europa centrale limitando il Comando Sud a Grecia e Turchia.


585 2 Rossi Longhi rispose con il T. segreto 6813/155 del 5 giugno: « ... mi risulta che in prossimo brevissimo viaggio Italia Ridgway si propone soltanto di fare visita formale a Governo e a Stato Maggiore, visitare Comando Sud ed ispezionare nostre truppe assegnate S.H.A.P.E. Non sarebbe sua intenzione discutere problemi specifici, anche se questioni di carattere generale possano da lui venire naturalmente toccate».

586

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, ATENE, LONDRA,MOSCA, RIO DE JANEIRO, SANTIAGO, TOKYO E WASHINGTON

Telespr. riservato 11/81581. Roma, 3 giugno 1952.

Riferimento: Seguito telespr. segr. pol. 771/c. del 10 maggio u.s.2.

Con il telespresso in riferimento questo Ministero ha comunicato di non aver ritenuto opportuno, in passato, abbinare la nostra azione a quella che altri paesi si erano proposti o si propongano di svolgere per ottenere l’ammissione alle Nazioni Unite. È stato anche confermato che tale rimane l’atteggiamento del Governo italiano.

2. Con la stessa comunicazione è stato infine ricordato come alle lusinghiere votazioni della VI Assemblea abbiano seguito la nostra protesta al Governo sovietico per il suo veto nonché le espressioni di disappunto ai Governi di Londra, Parigi e Washington per l’inefficacia dei loro sforzi a nostro favore.

Con ciò si intendeva riassumere la situazione ed escludere, per ora almeno, ulteriori nostre iniziative.

3. Nell’accludere copia del rapporto 22 maggio dell’ambasciatore Quaroni3, si conferma la richiesta contenuta nel punto 4 del telespresso 10 maggio u.s. di riferire cioè circa i propositi e le azioni che i paesi aspiranti all’ammissione intendano perseguire, con particolare riguardo a possibili mosse del Giappone.


586 1Diretto anche alle legazioni ad Amman, Bucarest, Budapest, Colombo, Dublino, Helsinki, Karachi, L’Aja, Lisbona, Sofia, Tirana, Tripoli e Vienna, alle rappresentanze a New York ed Hong Kong e, per conoscenza, all’ambasciata a Parigi.


586 2 Vedi D. 566, nota 2.


586 3 Vedi D. 566.

587

L’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1491. Città del Messico, 3 giugno 1952(perv. il 9).

Mi permetto di inviarle copia di un promemoria concernente la conversazione da me avuta con S.E. il presidente di questa Repubblica, sig. Miguel Alemán, in occasione della mia visita di congedo.

Allegato

COLLOQUIO DELL’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI,CON IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL MESSICO, ALEMÁN

Appunto. Città del Messico, 2 giugno 1952.

Egli ha manifestato come abbia seguito con simpatia il progresso delle ottime relazioni italo-messicane e della collaborazione in atto fra i due paesi in tutti i campi.

Venendo alle questioni particolari che interessano l’Italia e il Messico, egli ha detto:

1. Circa la questione della collaborazione italiana nel campo della industrializzazione del Messico: «Ormai gli italiani sono piazzati al primo posto per lo sviluppo industriale del Messico. Occorrerà continuare con contatti sempre più seguiti tra la grande industria italiana e quella nascente messicana».

2. Rapporti commerciali tra Messico e Italia: «La concorrenza commerciale per piazzarsi in Messico diviene ogni giorno più aspra. Ai francesi, belgi, svizzeri, americani del nord, ecc., oggi si aggiungeranno i tedeschi che vengono qui organizzatissimi. Bisogna che gli italiani si organizzino per poter mantenere le posizioni che già hanno e soprattutto per prenderne delle nuove facendosi strada e resistendo alla concorrenza straniera. Molti affari si arrestano per mancanza di una organizzazione commerciale di grande stile che sia solidamente appoggiata da una grande banca, poiché anche le forniture statali hanno bisogno di credito».

3. Circa una immigrazione agricola italiana in Messico: «Voi sapete come io fin dal novembre 1946 vi parlai del mio vivissimo desiderio di effettuare una colonizzazione agricola italiana in Messico, e come abbia creato una Commissione di colonizzazione ed emanato una legge di colonizzazione sin dal dicembre 1946 per appoggiare questa nostra comune aspirazione, dando ordine alla Commissione stessa di tenere a vostra disposizione terre demaniali e di favorirvi ad ogni modo per l’acquisto anche di altre terre. Noi siamo nuovi in simile campo ed io vi ho anche chiesto l’aiuto di tecnici italiani sin dal 1947, e quando questi non sono venuti ho io stesso ingaggiato a mie spese un grande tecnico italiano, che non è poi mai giunto a questo paese. Non è certo colpa mia quindi se tale mia aspirazione non si è realizzata. Speriamo che le trattative in corso per la creazione di una Società finanziaria Roma-México possano giungere a conclusione».

Nel promettere all’ecc. sig. presidente di questa Repubblica che avrei fatto tesoro di quanto egli mi aveva detto, l’ho pregato di voler tener presente come dal 1946 ad oggi l’Italia sia stata assorbita dal suo lavoro di ricostruzione che non gli ha permesso di organizzarsi ancora validamente sia dal punto di vista della penetrazione commerciale all’estero che da quello dell’organizzazione della emigrazione italiana.

Nel separarci, il presidente Miguel Alemán mi ha dimostrato particolare affetto e speranza che io possa ancora aiutare il Messico e l’Italia a intessere relazioni sempre più proficue e cordiali.

Al colloquio assisteva il capo del Cerimoniale, Lic. Rafael Fuentes.

588

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A WASHINGTON, TARCHIANI

Telespr. segreto 927/c. segr. pol.1. Roma, 5 giugno 1952.

Nel corso dei colloqui che ho avuto a Parigi, in occasione della firma del Trattato C.E.D., col sig. Eden e col sig. Acheson2, discutendosi del problema del T.L.T., ho loro detto che non consideravamo formalmente interrotte le conversazioni dirette iniziatesi lo scorso inverno con gli jugoslavi per la ricerca di una soluzione concordata del problema stesso. E pur sottolineando, attraverso un riassunto di tali conversazioni (la cui documentazione è in possesso del Foreign Office e del Dipartimento di Stato), la mancanza assoluta di spirito cooperativo sinora dimostrata dagli jugoslavi, ho aggiunto che il Governo italiano sarebbe stato disposto a continuare le conversazioni di cui trattasi a condizione che nessun nuovo incidente in Zona B venisse a turbarle, e a condizione altresì che ad esse fosse mantenuto carattere riservato.

Come noto è a tali condizioni che avevamo iniziato i contatti Guidotti-Bebler3 e da parte jugoslava tali impegni non sono stati osservati: infatti, per quanto si riferisce alla Zona B, si era avuto nello scorso marzo il noto processo di Capodistria che portò all’allontanamento dalla Zona di 30 insegnanti italiani e ad ulteriori vessazioni contro italiani; e per quanto si riferisce alla riservatezza delle conversazioni, si erano avute le indiscrezioni di Tito il quale, in un incontro a Brioni con elementi triestini, rese pubblica una sua proposta (fattaci pochi giorni prima) per un Governo alternato del T.L.T., indiscrezioni che resero necessaria una mia messa a punto durante una Conferenza stampa a Lisbona. Successivamente il Governo jugoslavo rese pure pubbliche – con dichiarazioni di Mates alla Scupcina – le sue controproposte alla nostra proposta di plebiscito, che ci erano affrettatamente state rimesse a Belgrado, con un apposito Memorandum, il giorno innanzi4. Basterebbero questi fatti per giustificare la maggiore diffidenza da parte nostra. Tuttavia, chiusa la parentesi determinata dalla necessità di concentrare l’attenzione dei nostri Uffici competenti sui negoziati di Londra per la Zona A, a prova della nostra longanimità e nell’intento – se possibile – di trovare una soluzione allo spinoso problema, abbiamo ora approntato una risposta all’ultimo Memorandum jugoslavo5. È nostra intenzione informare verbalmente quel Governo pel tramite della nostra legazione, che abbiamo preparato tale risposta e che siamo pronti a fargliela pervenire. Sempre verbalmente aggiungeremmo che, essendosi ormai Guidotti e Bebler spostati a New York, località troppo lontana da Roma e da Belgrado, dovendosi escludere queste due ultime capitali, e lasciando da parte Parigi dove la nostra ambasciata è oberata di lavoro e dove sarebbe più difficile assicurare la necessaria riservatezza, proponiamo che le conversazioni vengano proseguite a Londra fra l’ambasciatore Brilej e l’ambasciatore Brosio. Al signor Brilej pertanto rimetteremmo il nostro Memorandum di risposta all’ultimo Memorandum jugoslavo.

Prima di procedere in tale senso a Belgrado desideriamo tuttavia:

a) che i Governi britannico ed americano si assicurino, e ci diano conforme assicurazione, che da parte jugoslava verranno osservate le condizioni su esposte circa la Zona B;

b) che essi stessi siano disposti, quando occorresse e nel momento opportuno, ad intervenire amichevolmente, nello spirito della Dichiarazione tripartita6 e nel desiderio di favorire un accordo fra le due nazioni vicine sulla base di una linea etnica continua.

Naturalmente il Governo italiano si attende infine, ove venisse convenuto di riprendere i contatti, che il Governo jugoslavo si impegni a mantenere, questa volta, una effettiva ed assoluta riservatezza in proposito.

Voglia pertanto l’E.V. compiere i passi opportuni nel senso di cui sopra presso codesto Governo7.


588 1 Diretto per conoscenza all’ambasciata a Parigi, alla legazione a Belgrado ed alla rappresentanza a New York.


588 2 Vedi DD. 574 e 577.


588 3 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


588 4 Vedi D. 471.


588 5 La nota non venne mai consegnata, vedi Diego De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. II, cit., pp. 129 e 155.


588 6 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


588 7 Con i TT. s.n.d. 7069/431 e 7312/452 dell’11 e 16 giugno, Tarchiani comunicò di aver avuto affidamenti in proposito sia da Perkins che da Acheson. Per la risposta di Brosio vedi D. 609. Con il Telespr. segreto 4/612/c. del 6 giugno diretto a Parigi e, per conoscenza, a Londra, Washington, Belgrado e New York, De Gasperi richiamando le istruzioni contenute nel presente documento aggiunse: «… Prego con l’occasione V.E. di mettere al corrente di quanto precede il Governo francese. Vorrà con l’occasione soggiungere che siccome l’iniziativa delle conversazioni dirette tra noi e gli jugoslavi è partita dagli anglo-americani, ci siamo sino ad ora limitati a tenere Parigi al corrente degli sviluppi della questione. Al punto cui la situazione è giunta, e dato l’interesse più volte manifestato anche da parte francese ad una soddisfacente soluzione del problema di Trieste, i cui termini dipendono anche dall’atteggiamento assunto dal Governo francese, saremmo lieti se la Francia si associasse al Regno Unito ed agli Stati Uniti nell’azione anzi detta». Per la risposta di Quaroni vedi D. 608.

589

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 6807/153. Parigi, 6 giugno 1952, ore 22,35(perv. ore 24).

Su proposta del rappresentante permanente canadese Consiglio atlantico ha chiesto di essere messo al corrente dello studio attualmente in corso da parte Standing Group per revisione annuale, e ciò allo scopo di cercare di conciliare tale studio con quello iniziato da parte apposito Comitato istituito da Consiglio (da ultimo mio telegramma 140)1.

Heeney sostenuto necessità che tale coordinamento debba avvenire prima che tali lavori concomitanti siano troppo avanzati, se si vogliono evitare risultanze troppo diverse e praticamente irriconciliabili.

In particolare venne convenuto di chiedere a Standing Group da quali criteri esso fosse stato guidato nella compilazione del documento relativo agli obiettivi militari (definitivi per 1953, programmati per il 1954 e tentativi per il 1955) da esso trasmesso di recente per commenti ai capi Stato Maggiore. Ammiraglio Digg, ufficiale collegamento Standing Group, ha fatto ora esposizione precisando che documento, basato su decisioni Lisbona, ha tenuto conto essenzialmente aspetti militari problema prescindendo in pratica da considerazioni di carattere economico finanziario.

Stata sollevata questione che singoli Stati Maggiori, nel commentare documento Standing Group, per quanto concerne rispettivi impegni nazionali, terranno conto almeno degli aspetti economici e finanziari problema. Mentre inglesi e olandesi hanno dichiarato che risposte rispettivi Stati Maggiori rispecchieranno punto di vista loro Governi e terranno quindi conto aspetti generali problema, altri rappresentanti hanno espresso seri dubbi in proposito ed anzi rappresentante francese dichiarato che risposta Stato Maggiore francese non avrebbe dovuto essere considerata espressione punto di vista suo Governo.

Su richiesta Alphand, ammiraglio Digg ha confermato che Standing Group sa bene che decisioni conclusive circa riconciliazione sono in definitiva compito esclusivo del Consiglio.

Rappresentanti deciso chiedere a Comitato istituito dal Consiglio rapporto circa stato lavori, da discutere seduta 18 corrente unitamente a rapporto Digg che verrà intanto fatto circolare.

Previsto inoltre che in prossima seduta rappresentanti facciano dichiarazioni per quanto concerne [...]2 che informeranno commenti rispettivi Stati Maggiori e portata delle risposte.

Mentre mi riservo inviare due documenti sopra indicati, prego telegrafarmi ogni utile elemento per quanto concerne quest’ultimo punto, nonché impartirmi quelle istruzioni che si ritenessero necessarie3.


589 1 Del 29 maggio, non pubblicato.


589 2 Gruppi mancanti.


589 3 Vedi D. 610.

590

L’AMBASCIATORE A TOKYO, LANZA D’AJETA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. riservato 6944/76. Tokyo, 9 giugno 1952, ore 18,12(perv. ore 14).

Mio telespresso 11911.

Stamane dopo colazione Palazzo imperiale Hirohito si è con me intrattenuto a colloquio privato. Imperatore ha manifestato sua soddisfazione per ripresa tradizionali cordiali rapporti che promettono una proficua collaborazione fra i nostri due paesi. Si è interessato poi al problema riparazioni, al nostro riarmo e in genere alle tappe felici raggiunte dalla nostra revisione che egli ha detto di considerare anche utile esempio per Giappone. In materia revisione particolarmente significativa la sua conclusione che anche su questo terreno signatari offrono possibilità prolungarsi utile nostra collaborazione.


590 1 Non pubblicato.

591

IL MINISTRO DI ISRAELE A ROMA, ISHAY,AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, DOMINEDÒ

L. Roma, 9 giugno 1952.

Je me permets de rappeler à V.E. l’entretien que j’ai eu le plaisir d’avoir avec Elle dans Son bureau en date de 9 mai, 1952. V.E. se souvient certainement que’Elle a bien voulu me déclarer au cours de cet entretien que le Gouvernment d’Italie était conscient de la nécessité objective d’une solidarité entre les nations du Moyen-Orient et qu’en raison de la situation centrale et importante occupée par l’Italie, le Gouvernment italien désirait voir régner des relations de paix et de bon voisinage parmi toutes les nations méditerranéennes. En conséquence, le Gouvernment d’Italie reconnaît la nécessité d’un règlement pacifique entre Israel et les pays arabes; il doit néanmoins procéder avec discretion et prudence, tout en étant préparé à agir d’une manière plus définie afin de parvenir à ce but au moment où une occasion appropriée se présenterait.

J’ai été très heureux de prendre connaissance de cette déclaration et ai vivement remercié V.E. au nom de mon Gouvernment d’avoir bien voulu exprimer ce principe; j’ai ajouté que de mon côté, j’étais désireux de faire part à V.E. d’une initiative personnnelle dont je m’étais chargé afin de hâter la réalisation d’un traité d’amitié et d’accords portant sur des questions commerciales, maritimes et similaires entre nos deux pays pour leur bénéfice mutuel.

A cette occasion j’ai rappelé à V.E. que lors de la visite à Rome du Ministre des Affaires Etrangères d’Isreael en qualité d’hôte du Gouvernment italien, il a eu un entretien avec V.E., et Elle a bien voulu l’informer que dès que la situation des biens italiens en Israel serait régularisée d’une manière souhaitable, le Gouvernement d’Italie serait disposé à signer avec Istrael des traités analogues à ceux établis entre l’Italie et le Brésil, par exemple. J’ai donc décidé de prendre l’initiative du règlement de la question des biens italiaens se trouvant actuellement sous le contrôle du séquestre israélien. Je me suis chargé de cette initiative, étant convaincu qu’au cas où elle réussirait, le Gouvernment italien serait disposé à entamer sans délai des pourparlers en vue de la signature de ces traités.

J’ai ajouté que mon intention était d’obtenir la libération immédiate des biens italiens du Séquestre en Israel, et leur mise à la disposition de leurs propriétaires, en les soumettant iniquement aux règlements économiques appliqués à l’égard de tous les autres biens en Israel, que ces soient des biens immobiliers ou des espèces en banque.

Je me permets de rappeler à V.E. qu’Elle a semblé fort satisfaite de ce projet, et qu’Elle m’avait affirmé que dès que je serai en mesure de Lui faire part de la reussite de cette initiative, Elle porterait cette question à l’attention de M. le Ministre des Affaires Etrangères et de Ses collègues au Palais Chigi et qu’Elle ferait le nécessaire afin que les susdits pourparlers puissent être entamés incessamment.

Je suis donc heureux d’informer aujourd’hui V.E. que mon initiative a été couronnée de succès et que mon Gouvernment m’a autorisé à informer le Gouvernment italien qu’il était prêt à instruire sans délai le Séquestre de libérer les biens italiens en Israel.

Mon Gouvernment a pris cette décision avec l’entière conviction que’elle correspond à l’esprit des échanges de vues qui ont eu lieu entre M. le Premier Ministre et Ministre des Affaires Etrangères d’Italie d’une part et M. Moshé Sharett d’autre part lors de sa visite officielle à Rome.

Je prie en conséquence V.E. de vouloir bien prendre note de cette information et de la porter à l’attention de M. le Ministre des Affaires Etrangères d’Italie, de Ses collègues et des Chefs des services intéressés de Son Ministère, afin que les pourparlers visant à la signature des traités puissent être entamés.

Je serais fort heurux si, à cette occasion, V.E. voulait bien m’exprimer Son accord que soit publié simultanément en Italie et en Israel un communiqué, dont je me permets de proposer ci-dessous le texte, qui, je l’espère, rende l’esprit des opinions exprimées par V.E. lors de nostre entretien:

«Pendant la visite à Rome de M. Moshé Sharett, Ministre des Affaires Etrangères d’Israel, au mois de Mars, 1952, certains problèmes en suspens entre les deux Gouvernments ont été discutés, et notamment la signature d’un traité d’amitié et d’accords traitant de questions de commerce, de navigation et de problèmes similaires.

Le Gouvernment d’Istrael a maintenant décidé de libérer immédiatement les biens italiens se trouvant sous le Séquestre en Israel, et de les mettre à la disposition de leurs propriétaires, conformément aux règlements économiques en vigueur dans son pays. Le Gouvernment d’Italie a pris connaissance de cette décision avec satisfaction, et des pourparlers relatifs à la signature des traités sus-mentionnés vont s’ouvrir incessament entre les représentants des deux pays»1.


591 1 Vedi DD. 613 e 630.

592

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, TAVIANI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

T. segreto 5577-5578/c. Roma, 10 giugno 1952, ore 17,30.

Da notizie pervenuteci da più fonti sembra ormai accertato che prevista riunione dei ministri degli affari esteri dei paesi del piano Schuman e della C.E.D. avrà luogo a Parigi nel pomeriggio di mercoledì 18 e nell’intera giornata di giovedì 19 corrente.

Motivo principale per fissare a tale data la riunione appare essere imminente crisi del Governo olandese che, a causa delle elezioni politiche nei Paesi Bassi, presenterà dimissioni alla data del 25 giugno.

In tali condizioni prego di voler con urgenza assumere opportune informazioni: 1) da chi effettivamente codesto paese sarà rappresentato alla riunione; 2) se codesto Governo abbia già precisato sua linea di condotta e sua richieste circa questione delle sedi per Alta Autorità, Consiglio dei ministri, Assemblea e Corte di giustizia previste per piano Schuman ed in seguito per C.E.D.

Da parte nostra, come V.E. già conosce, intendiamo ripetere nella riunione tesi della necessità della unicità di tutte le sedi perché soltanto così si potrà dare un effettivo e pratico incentivo a quel processo di avvicinamento federalista europeo che molto auspichiamo. Soltanto qualora un incontenibile movimento centrifugo dovesse verificarsi nella riunione e portare ad un decentramento dei suindicati organi in differenti paesi insisteremo sulla impossibilità che Italia venga esclusa e porremo quindi chiaramente candidatura di Torino per sede Assemblea.

Prego telegrafare dopo aver raccolto richieste informazioni e precisato a codesto Governo nostre suesposte idee.

593

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 6978/538. Parigi, 10 giugno 1952, ore 12,45(perv. ore 13,25).

Ho avuto su questioni seguenti lungo colloquio con Alphand che però mi ha specificato esprimersi a titolo unicamente personale:

1) Alphand mi ha detto – insistendoci particolarmente – rendersi conto ora meglio di quanto non se ne rendesse conto tempo addietro che impostazione data a problema europeo da V.E. è sola giusta e sola possibile. Egli è convinto che per ottenere ratifica trattato C.E.D. da parte Parlamento francese – e forse non solo francese – è necessario che al momento delle ratifica creazione Autorità politica comune abbia già avuto primo avviamento. Ritiene che idea, di cui si è fatto sostenitore Spaak a Strasburgo, secondo cui per guadagnare tempo competenza articolo 38 trattato C.E.D. dovrebbe essere affidata quanto prima ad Assemblea carbone-acciaio è degna essere presa in considerazione seria dai sei Governi. Egli pensa che tale questione potrebbe essere utilmente esaminata in occasione riunione sei ministri esteri, pur senza potermi dire se il ministro Schuman abbia o non intenzione prendere iniziativa.

Ho risposto ad Alphand che pur ignorando completamente quale fosse pensiero V.E. su questo specifico problema, ritenevo in linea di massima che qualsiasi fattore che potesse servire ad accelerare realizzazione articolo 38 non poteva non essere gradito a V.E.

2) Circa sede organi comunità Alphand mi ha confermato quanto dettomi da Hirsch e di cui al mio telegramma 5361.

3) Circa prossima ripresa lavori Conferenza C.E.D. Alphand mi ha detto di dover procedere data mancanza ratifica, con delicatezza e deferenza verso Parlamenti, tuttavia molto è il lavoro da compiere. Sistema lavoro sarà quello usato finora e cioè Comitati tecnici coordinati da Comitato direzione cui spetta decisione finale. Prima riunione Comitato direzione prevista per 23 corrente.


593 1 Del 9 giugno, non pubblicato.

594

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. segreto 7534. Washington, 10 giugno 19521.

Riferimento: Mio rapporto n. 5239 del 24 aprile scorso2.

La possibilità dell’inclusione della Jugoslavia, in una forma o nell’altra, in un sistema di alleanze difensive nella zona dei Balcani è stata qui ventilata sin dall’epoca in cui si discuteva circa l’ammissione o meno della Turchia e della Grecia nel N.A.T.O. Se ne sono occupati prima di tutti gli ambienti militari, che, nella loro ossessione di tirare linee sulle carte geografiche per escogitare piani di difesa contro la minaccia sovietica, si sono affannati intorno alla possibilità che la recessione di Tito dal Cominform sembrava loro offrire. Né può dirsi che dal loro punto di vista, peraltro molto approssimativo e semplicistico, gli strateghi del Pentagono avessero del tutto torto. Si aggiunga l’orientamento politico di massima prevalso nel Dipartimento di Stato (su cui ho da ultimo riferito col mio rapporto su citato) e ci si renderà agevolmente conto dell’interesse americano a favorire qualsiasi intesa politico-militare che accentui il riavvicinamento della Jugoslavia all’Occidente.

Ciò posto, condivido l’avviso espresso da Alessandrini circa l’inopportunità di un nostro eventuale passo ad Atene per sconsigliare la Grecia dallo stipulare accordi formali con la Jugoslavia e ritengo pienamente fondata la decisione di V.E. di non dare per il momento un seguito alla questione.

Ho avuto modo proprio in questi giorni di effettuare nuovi sondaggi circa lo stato dei rapporti di questo Governo con quello jugolslavo e ne ho tratto l’impressione che essi non sono così soddisfacenti come certe informazioni stampa vorrebbe far credere. La situazione mi sembra in sostanza essere la seguente:

1) Stipulazione di accordi formali. È indubbiamente il fine a cui tendono gli Stati Uniti. Sondaggi più o meno aperti sono stati certamente effettuati, forse non in sede diplomatica ma attraverso contatti di esperti, ma comunque è ormai certo che essi non diedero i risultati che qui si sperava. Le successive mosse turche per un’intesa balcanica, di cui hanno avuto notizia varie nostre rappresentanze, non hanno trovato migliore eco, anche se in compenso da parte jugoslava si sono intensificate le profferte di collaborazione de facto. Faccio cenno a parte più avanti a tale più limitata iniziativa.

2) Assistenza economica e militare. Ho già riferito circa l’insoddisfazione jugoslava per il programma di quest’anno (telespresso n. 6987/2887 del 30 maggio scorso)3. Tale insoddisfazione mi è stata ora confermata da buona fonte soprattutto per quanto concerne l’assistenza economica. Effettivamente, mi è stato aggiunto, gli aiuti quest’anno sono stati fissati ad un livello inferiore a quello dell’anno scorso e ciò per due diversi ordini di ragioni: da una parte, il Governo britannico e quello francese hanno fatto presenti le loro accresciute difficoltà finanziarie, dall’altra il Congresso, alla vigilia delle elezioni presidenziali, si è ispirato a criteri ristrettivi. Alle insistenti proteste e richieste jugoslave si è risposto che l’assistenza americana non era stata concepita come un fatto permanente ma come un rimedio d’emergenza, per venire incontro a speciali e improrogabili necessità. Sembrava ora alle autorità americane che la situazione economica jugoslava fosse leggermente migliorata e che comunque l’assistenza prevista per l’anno in corso comprendesse quel minimo indispensabile, specie per quanto riguarda il rifornimento di materie prime, atto a far andare avanti le cose alla meglio. La verità è che qui si è scontenti della politica economica finanziaria del governo di Tito specie in materia di investimenti e che alla Banca Internazionale non si omettono critiche al piano quinquennale a cui Tito sembra rimanga attaccato. Infine le succennate difficoltà circa la stipulazione di accordi formali hanno probabilmente contribuito a consigliare una certa prudenza, sia pure come strumento di pressione.

3) Intesa balcanica. Dai contatti avuti posso dedurre che almeno una parte degli uffici del Dipartimento, e forse i più influenti, vi sono fortemente favorevoli per le considerazioni cui ho fatto cenno. Tale stato d’animo deve essere pure noto ad Ankara ed Atene ed è molto probabilmente tenuto vivo da parte britannica, sicché mi sembra fondata la supposizione di Alessandrini, che se quei due paesi si mostrano interessati alla cosa devono aver avuto qualche incoraggiamento da parte delle due potenze anglo-sassoni.

4) Albania. Se ne è parlato incidentalmente. L’ufficio competente del Dipartimento ha tenuto a valorizzare l’interesse che avrebbe un’intesa turco-greco-jugoslava per ridurre le pressione sovietica o per lo meno togliere all’Albania molto del suo valore come punta offensiva sovietica sull’Adriatico. L’ufficio stesso ha tenuto in pari tempo a smentire voci secondo cui un accordo jugoslavo-greco potrebbe mettere in pericolo l’indipendenza albanese e, pur rilevando che la questione è puramente teorica essendo l’Albania di fatto una provincia sovietica, ha però molto esplicitamente ricordato che gli Stati Uniti hanno sempre considerato e considerano tutt’ora un’Albania indipendente come fattore indispensabile dell’equilibrio politico dei Balcani. Ci siamo naturalmente associati in pieno a questa tesi, che risponde perfettamente agli interessi ed ai desideri del Governo italiano.

5) Trieste. In questa sede il problema non è stato mai esaminato di proposito, ma non sono mancati accenni incidentali ad esso da parte americana, accenni che da parte nostra non abbiamo mancato di utilizzare per ribadire il nostro punto di vista sull’intero problema o sui singoli aspetti di esso, che più ci interessano. Mentre nelle conversazioni avute con noi non si è mai abbandonato da parte americana questo criterio di massima riservatezza, mi risulta d’altra parte confidenzialmente che in alcuni ambienti esiste una certa preoccupazione per il fatto che il permanere delle vertenza italo-jugoslava su Trieste possa ostacolare o per lo meno ritardare il tanto (da loro) auspicato riavvicinamento della Jugoslavia all’Occidente. Tale stato d’animo – fondato su quell’eccessiva valorizzazione del fattore jugoslavo che tanto ci stiamo adoperando a ricondurre a più realistiche proporzioni – è talmente penetrato negli ambienti in questione che coloro i quali si adoperano a nostro favore non possono fare altro che negare la connessione fra il problema di Trieste e quello della collaborazione Occidente-Jugoslavia e sostenere che il primo è un problema «locale» e che esso non deve incidere sulla soluzione dei problemi generali da cui dipendono i supremi interessi collettivi. Analoga posizione è stata qui assunta nei confronti delle richieste francesi circa il problema della Sarre. Questa impostazione, per cui i problemi della difesa dell’Europa in generale debbono passare avanti ad ogni altra considerazione di problemi locali, risponde peraltro ad un atteggiamento «basico» di questo Governo, ad una di quelle posizione di principio che invano si tenterebbe di superare e che è bene quindi, almeno di non voler rivedere tutta la nostra politica estera, evitare di avversare di fronte. Osservo ciò non per quanto concerne eventuali accordi Jugoslavia-N.A.T.O. (ai quali certamente converrebbe opporci finché permane l’attuale situazione nel Territorio Libero di Trieste) ma piuttosto per far presente che prendendo anche formalmente una posizione contraria a un’intesa greco-turco-jugoslava, in connessione con la questione di Trieste, avremmo fatto proprio il gioco degli ambienti (sensibili alla propaganda o ai ricatti jugoslavi), che affermano essere la questione di Trieste un impaccio all’azione alleata nel settore balcanico-danubiano e finiscono quindi per suggerire inopportune pressioni su di noi. Ripeto, si tratta di informazioni confidenziali. Esse concernono inoltre soltanto le solite elucubrazioni che i vari uffici del Dipartimento di Stato fanno per loro uso interno, ma che non cessano di essere pericolose per il fatto che alla lunga possono finire per influenzare, e non certo in senso a noi favorevole, le decisioni del Governo americano. Non abbiamo esitato a tastare il terreno anche su questo punto in conversazioni amichevoli, per avere così modo di ribattere e chiarire punti di vista non consoni ai nostri interessi, ma a noi è stato detto soltanto che probabilmente nell’evitare di assumere impegni formali Tito poteva avere avuto in mind che i suoi rapporti con l’Occidente a causa, fra l’altro, della questione di Trieste non si erano ancora chiariti in misura sufficiente. Abbiamo naturalmente rilevato anche la speciosità di questa supposizione americana, ammesso che si tratti di una supposizione americana e non di una più o meno esplicita presa di posizione jugoslava.

In conclusione mi pare fondata l’impressione che i tentativi americani di agganciare Tito con impegni formali hanno subito una momentanea battuta d’arresto per il rifiuto del dittatore jugoslavo di assumere appunto tali impegni. Che questo atteggiamento di Belgrado abbia scopo tattico o risponda ad un fine politico sostanziale è questione che anche qui sembra non chiara, almeno per ora. Comunque non si manca di tener presente che, probabilmente, a giudizio di Tito, un’alleanza vera e propria con la Turchia e la Grecia non offrirebbe alcuna nuova effettiva garanzia alla Jugoslavia, mentre ne complicherebbe forse la situazione interna e la posizione nei confronti della Russia. Ciò spiegherebbe perché invece Belgrado si mostri più propensa a contatti ed accordi sul terreno tecnico-militare, meno impegnativi, ma più sostanziosi. Soprattutto, i jugoslavi continuano a chiedere armi e rifornimenti militari e questa può essere la chiave di volta di tutta la questione.

In questo quadro d’insieme a me pare che il meglio che noi possiamo fare è seguire il più da vicino che sia possibile il lavoro in corso, per essere informati ed avere così la possibilità di intervenire in tempo ogni qual volta i nostri interessi lo richiedano.


594 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


594 2 Vedi D. 528.


594 3 Non pubblicato.

595

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7049/544. Parigi, 11 giugno 1952, ore 13,33(perv. ore 16,15).

Telegramma Cavalletti 5381.

Idea Alphand mi sembra ottima.

Effettivamente qualora si riuscisse far fare decisivo passo avanti a creazione autorità politica comune cadrebbero obbiezioni contro esercito europeo da parte considerevole settore Parlamento francese e comunque sarebbe estremamente difficile opporsi a ratifica.

Sono quindi di avviso che, per quello che ci concerne, dovremmo non solo accettare suggerimento Alphand ma farlo decisamente nostro. Ci potrebbero essere difficoltà giuridiche ma con buona volontà formula può essere trovata.

Mi riprometto quindi parlarne al più presto con Schuman affinché nostra azione venga inquadrata nello spirito Santa Margherita2.


595 1 Vedi D. 593.


595 2 Vedi serie undicesima, vol. V, D. 233.

596

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 558/433. Parigi, 11 giugno 1952(perv. il 16).

Un’altissima personalità politica francese mi ha esposto il suo «caso di coscienza» di fronte alla questione dell’esercito europeo.

«C’è ancora una parte dell’opinione pubblica francese che ritiene che l’alternativa sia, o esercito europeo, o non riarmo della Germania e si dice quindi: opponiamoci all’esercito europeo ad allora non avremo nemmeno il riarmo della Germania. Non sono tanto ingenuo da ritenere che la questione vada posta in questi termini: l’alternativa è: o riarmo tedesco tout court, o riarmo tedesco nell’esercito europeo.

Quando fu lanciato il piano francese, ci si poteva, ancora ed onestamente, illudere che con il nostro piano si potesse avere un esercito europeo che fosse, in realtà, sotto controllo occidentale e che si potesse quindi effettivamente imbrigliare la Germania.

Oggi questa illusione non è più ammissibile.

La Germania ha 48 milioni di abitanti contro i 42 della Francia: un giorno, lo si voglia o non lo si voglia, la Germania dovrà essere unificata, ed allora avremo a che fare con 70 milioni di tedeschi. La produzione industriale della Germania è molto, ma molto superiore a quella della Francia: gli uomini d’affari tedeschi sono molto più abituati dei francesi a trattare grossi affari con una mentalità moderna e mondiale. Per un complesso di ragioni difficilmente eliminabili, il comando militare dell’esercito francese è in mano di persone di capacità limitata, mentre tedeschi hanno un gruppo di generali di primissimo ordine. È probabile che, in un primo tempo, sia il maresciallo Juin a comandare l’esercito europeo: ma questa è una soddisfazione che ci può creare soltanto delle illusioni. Ma Juin è vecchio e malandato in salute: potrà resistere ancora due o tre anni, e poi? Chi abbiamo noi che abbia prestigio e qualità effettive da poter essere proposto ed accettato per il comando? Tutto questo significa in pratica che, in un periodo non molto lungo di anni, l’esercito europeo sarà tedesco.

Mi si dice, ed è sotto un certo punto di vista giusto: mettiamoci prima strettamente d’accordo con l’Italia: saremo in due a far fronte ai tedeschi. Giustissimo, e sono di tutto cuore per questo.

Ma quello che ho detto per la Francia, per quello che concerne la produzione economica in generale, la qualità degli uomini d’affari e dei capi militari, vale anche per l’Italia. Insieme, saremo un po’ meno deboli, ma non siamo, nemmeno insieme, de taille a far fronte alla Germania: non parliamo nemmeno del Belgio o dell’Olanda.

In più noi abbiamo la campagna d’Indocina che non accenna a finire, e che noi non possiamo, quale che sia il nostro intimo desiderio, abbandonare: essa limita in modo insanabile le nostre possibilità di riarmo europeo. Voi, non avete la campagna d’Indocina, ma avete la vostra scarsezza di risorse, avete i vostri due milioni di disoccupati, ed anche voi potrete fare solo molto, ma molto meno di quello che potrà fare la Germania.

I tedeschi non sono cambiati: essi vedono la loro situazione e ne approfittano: non li condanno per questo: anch’io, al posto loro farei esattamente quello che fanno loro. È stato loro offerto di far parte dell’esercito europeo: ne hanno approfittato per porre immediatamente una quantità di domande e prima ancora di avere contribuito con un solo uomo od un solo marco, hanno già incassato dei notevoli vantaggi. Che cosa faranno il giorno in cui cominceranno ad avere le prime divisioni, che cosa faranno quando ne avranno dodici?

Noi ci troveremo continuamente di fronte a domande della Germania che l’opinione pubblica francese considererà, a torto od a ragione, inaccettabili: che gli stessi americani ed inglesi le considereranno come difficilmente accettabili. Ma, siccome queste richieste saranno presentate nell’ambito della Comunità europea di difesa, sarà la Francia a doversi opporre a fare resistenza: sarà sola, ed in condizioni di inferiorità, di fronte ai tedeschi: in molti casi sarà lei a dover cavare le castagne dal fuoco di fronte agli inglesi ed americani: risultato, o le relazioni francesi diventeranno insostenibili, o la Francia sarà costretta a cedere ed arrivare così alla mainmise completa della C.E.D. da parte della Germania.

Quale il rimedio, visto che tanto al riarmo della Germania ci si deve arrivare? Per me, non ce n’è che uno: fare entrare francamente la Germania nell’organizzazione atlantica, come membro di pieno diritto del Patto Atlantico. Introdotta la Germania nel Patto atlantico, l’esercito tedesco nell’esercito atlantico integrato, non sarebbe la Francia sola a controllarla: avremmo con noi, oltre l’Italia, anche l’Inghilterra, gli Stati Uniti ed il Canada: l’imbrigliamento sarebbe più efficace, la posizione della Francia meno esposta, il peso relativo della Germania molto inferiore che non nella Comunità europea di difesa. Fino a qualche tempo fa, ero assolutamente contrario a questa idea: oggi debbo riconoscere che non c’è probabilmente altra alternativa.

Quando e come presentare la cosa agli americani?

Quale che sia il risultato delle elezioni americane, avremo un cambiamento radicale dell’amministrazione. Dopo le elezioni, anche se resteranno i democratici al potere, il successore di Truman non manterrà certamente al potere Acheson tanto inviso al Congresso: ci saranno, certo, altri cambiamenti importanti. Un cambiamento di persone facilita sempre un cambiamento di programma.

Il Governo francese ha posto all’America alcune condizione per presentare l’esercito europeo alla ratifica parlamentare: non ci facciamo illusioni sulla possibilità che esse siano accettate, come noi lo desideriamo, dagli americani: allora possiamo fare questa proposta agli americani per cavare loro stessi dall’imbarazzo. Per mascherare la ritirata, si potrebbe proporre qualche misura di maggiore integrazione militare atlantica e dire che, visto questo, l’idea dell’integrazione militare europea è superata, in certa misura.

Siamo in parecchi a trovarci di fronte a questa crisi di coscienza. La questione non è urgente, perché tanto la ratifica è rimandata all’autunno: ma se ci si dovesse arrivare senza avere chiariti tutti gli elementi del problema, probabilmente saremmo obbligati a dimetterci e porre il problema davanti al paese. Sono sicuro che il paese ci comprenderebbe e che ci seguirà».

Questo il «caso di coscienza» che, come ho detto, mi è stato esposto molto confidenzialmente. Ho ritenuto mio dovere portarlo a conoscenza dell’E.V.: sono idee che qualche mese addietro avrebbero fatto saltare per aria molti, se non tutti, i francesi.

L’argomento principale dei sostenitori francesi della C.E.D. era finora: siete contrari, ma quale alternativa potete proporre? Ed ecco l’alternativa.

Ho l’impressione che, per quello che concerne questa «alternativa», se non lo si è già fatto, si ha da qui l’intenzione di sondare gli americani. Si andrà avanti per la strada della C.E.D. o no: questo, per quello che concerne la Francia, non mi sento ancora di dirlo. Mi sembra però sarebbe comunque opportuno, per evitare sorprese, cercare di vedere che, anche da parte americana, non si sia già cominciato a pensare a qualche «alternativa».

Qui in Francia, gli americani, gli scettici od addirittura i contrari all’esercito europeo non mancano. A tal punto che mi domando se questo «caso di coscienza» sia tutta farina del sacco francese o se non ci sia qualche collusione sotterranea franco-americana. Non parlo naturalmente né di Ridgway, né di Draper, né di Dunn: ma gli americani qui sono tanti, ed ognuno ha la sua idea.

597

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. riservato personale 7555. Washington, 11 giugno 19521.

Ho letto con molto interesse quanto, sulla nostra ammissione alle Nazioni Unite, è stato scritto recentemente da Guidotti (rapporto 785 del 22 aprile)2 e da Quaroni (rapporto 485 del 22 maggio)3.

Ho, inoltre, fatto uno dei miei periodici sondaggi al Dipartimento di Stato, per accertare a che punto sono gli studi sulla questione.

Le notizie raccolte in proposito, e che qui appresso ti espongo, sono di fonte diretta e pertanto sicura. Sono, però, strettamente confidenziali perché forniteci sotto il vincolo del più assoluto segreto.

Neppure tutti gli uffici e i funzionari interessati ne sono al corrente. Alla Divisione europea ne è al corrente soltanto Perkins. Alla Divisione Nazioni Unite ne sono al corrente soltanto Hickerson e i suoi immediati collaboratori, che lavorano attorno al problema e che sono stati diffidati dal parlarne anche ai loro colleghi di altri uffici. Pertanto, se noi ne facessimo cenno a New York o a Parigi o altrove o comunque con funzionari americani, il danno sarebbe grave.

Lo studio del problema ha condotto il Dipartimento di Stato alle conclusioni già anticipate nella mia lettera 3876, a te diretta il 27 marzo u.s.4: cioè alla conclusione che, essendo ormai esclusa la possibilità giuridica e politica di superare il veto sovietico, è giocoforza orientarsi verso la così detta tesi della universalità, attenuata dalla esclusione dei paesi «divisi» (Germania, Corea e Indocina).

Giunto a questa conclusione, il Dipartimento di Stato ritiene conveniente prendere o far prendere da qualche paese amico, alla prossima Assemblea, l’iniziativa di proporre l’ammissione dei seguenti Stati: Italia, Austria, Finlandia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Giappone, Libia, Nepal, Ceylon, Giordania, Ungheria, Bulgaria, Romania, Albania e Mongolia esterna.

Il lavoro preparatorio per l’attuazione di questo piano sta per iniziarsi, nei vari settori interessati.

In seno al Dipartimento di Stato, occorrerà convincere gli uffici che si occupano delle questioni dell’Estremo Oriente, i quali si mostreranno naturalmente avversi alla inclusione della Mongolia esterna ed alla esclusione della Corea e dell’Indocina.

Occorrerà poi compiere un delicato lavoro nel campo della politica interna. Il Dipartimento di Stato prevede che Taft, nel suo sforzo di screditare l’amministrazione democratica, dipingendola come troppo fiacca verso i comunisti, sarebbe fortemente tentato di denunciare il piano sopra descritto, presentandolo come una ennesima prova di debolezza verso l’U.R.S.S. Pertanto il Dipartimento di Stato si propone di attendere l’esito delle due conventions e poi di fare confidenzialmente accettare il suo piano da entrambi i candidati presidenziali.

Successivamente (o, forse, anche prima) saranno consultati i Governi britannico e francese. A tal fine un funzionario del Dipartimento di Stato, Ward P. Allen, si recherà a Londra, Parigi e Roma. (Lo scopo del suo viaggio a Roma sarà quello di consultarvi l’ambasciata americana; ma non è escluso che prenda contatto anche con Palazzo Chigi, nel qual caso, ovviamente, occorrerà discutere con lui sulla base di quel che egli dirà, senza mostrargli di essere al corrente di quanto ora ti scrivo).

Come vedi, il Dipartimento di Stato non dimentica il problema ed anzi si sforza di trovarne la soluzione. Pertanto si verifica quanto ti avevo detto durante la tua visita qui e quanto ti avevo scritto durante l’Assemblea di Parigi: che cioè il Governo americano, mentre respingeva l’idea di passar sopra al veto sovietico, avrebbe lentamente maturato altre decisioni.

Questo, naturalmente, non significa che la battaglia sia già vinta. Infatti il cammino è ancora irto di ostacoli, anche a prescindere da quelli interni americani, che ti ho descritto più sopra.

Come reagiranno gli inglesi e i francesi? L’atteggiamento da loro tenuto l’anno scorso a Parigi, se è stato sincero e se è stato da noi ben compreso, dovrebbe far ritenere che non opporranno troppa resistenza. (L’anno scorso si è detto che entrambi avrebbero accettato la tesi dell’universalità, se gli Stati Uniti non vi si fossero opposti).

Tuttavia, anche se quella buona disposizione era sincera, nuove considerazioni potrebbero oggi intervenire a mutarla: ad esempio le accresciute preoccupazioni francesi in merito all’ammissione di numerosi paesi del gruppo arabo-asiatico.

Come reagirà l’U.R.S.S.? Se intende condurre un’opposizione a fondo, l’inclusione della Spagna nel novero dei candidati gliene offre un pretesto supplementare e le consente forse di esercitare un’indiretta pressione anche sulla Gran Bretagna e la Francia.

Ripeto: il cammino è ancora irto di ostacoli.

Continuerò a seguire la questione, dando qui gli opportuni consigli, e continuerò a tenerti confidenzialmente informato.


597 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


597 2 Non rinvenuto.


597 3 Vedi D. 566.


597 4 Vedi D. 467.

598

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI,E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 5703/c.1. Roma, 13 giugno 1952, ore 24.

Ammiraglio Carney ha ieri comunicato ufficialmente al nostro Stato Maggiore, per incarico del generale Ridgway, che lunga e nota questione della riorganizzazione del Comando Atlantico meridionale è stata risolta su seguenti basi:

1) il Comando di Napoli eserciterà sue funzioni sull’intero settore, comprese quindi Grecia e Turchia;

2) esso avrà alle sue dipendenze due Comandi «terrestri», l’uno, per l’Italia, affidato come per il passato ad un generale italiano (De Castiglioni) con sede a Verona e l’altro, comprendente Grecia e Turchia, in sede tutt’ora da determinarsi ed affidato ad un generale americano.

Tale soluzione appare incontrare nostra soddisfazione Stato Maggiore anche perché viene a troncare definitivamente serie di equivoci e di polemiche sorte alcuni mesi fa2, a seguito dell’adesione di Atene e di Ankara al Patto atlantico.


598 1 Diretto anche alle ambasciate ad Atene ed Ankara ed alla rappresentanza presso il Consiglio atlantico.


598 2 Vedi DD. 405, 411, 431 e 441.

599

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

T. segreto 5704/c. Roma, 13 giugno 1952, ore 24.

Questa ambasciata del Belgio ha, a nome del suo Governo, fatto presente l’opportunità che entro prossimi giorni i sei Governi della Comunità di difesa prendano – a norma di quanto venne convenuto durante ultima riunione tenuta a Strasburgo – una decisione circa la durata del servizio militare.

Per parte nostra abbiamo ripetuto quanto già dicemmo a Strasburgo: e cioè che possiamo concordare sui 18 mesi di ferma ma non oltre. Spetterà al Belgio, a norma della decisione che venisse unanimamente presa in tal senso, ridurre la sua attuale ferma da 24 a 18 mesi.

Abbiamo anche suggerito che questione sia portata in discussione nel corso prossima riunione dei ministri degli esteri prevista per il 23 a Parigi.

600

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, BORGA,ALLE AMBASCIATE A BONN, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

Telespr. 964/c. segr. pol.1. Roma, 13 giugno 1952.

Per opportuna conoscenza, si trascrivono qui di seguito i passi principali di un rapporto dell’ambasciatore in Mosca, Mario Di Stefano, circa un colloquio da lui avuto il 24 maggio u.s. con il ministro degli affari esteri sovietico, Andrei Vyshinsky, in occasione della visita di prammatica per la consegna della copia delle lettere credenziali2:

«Vyshinsky mi fece telefonare giovedì 22 corr. proponendomi un appuntamento per le 15, 30 di sabato. Così, ieri, rimisi piede al Minindel, che avevo lasciato nell’ottobre del 1936, presuntuoso di non farvi ritorno stantibus rebus …

V.E. ben conosce l’aridità fondamentale degli uomini di Stato sovietici. Ma quella dei più alti funzionari – com’è in realtà Vyshinsky – è, se possibile, ancor più assoluta. Nelle questioni di qualche sostanza od importanza, essi procurano di non distaccarsi di una jota dai loro assunti, unilaterali come il loro regime e ripetuti con la monotonia che è propria della attuale vita a Mosca. Le discussioni diventano quindi – nella sostanza – monologhi: sicché un colloquio lungo un’ora ed un quarto, e parecchio pesante quale quello di ieri, potrebbe essere ridotto per la sostanza già nota costì, ad un breve ed asciutto concentrato.

Ma in questo primo mio rapporto sulle questioni italo-sovietiche, vorrei rendere a V.E. anche l’atmosfera e la sfumature, che in questo paese possono avere maggiore importanza che non altrove e chiedo quindi venia di dilungarmi.

Un minuto di anticamera e l’interprete che mi ha ricevuto e che annoterà di tanto in tanto la discussione, mi introduce in una stanza di conferenze e riunioni ministeriali.

Vyshinsky entra contemporaneamente da altra porta, militarizzato nella uniforme grigio chiara del Minindel. Sembra invecchiato forse preoccupato o malato?

Mi accoglie con forme molto cortesi e tuttavia – mi pare – con protocollari distanze. Siede da un lato del lungo tavolo con l’interprete accanto; io dirimpetto a lui dell’altro lato.

Parliamo in russo. Mi rinnova il benvenuto, mi chiede del viaggio e di altre cose personali. A mia volta gli consegno le lettere, che egli apre e legge con serietà e con aria di familiarità con la nostra lingua. E nel seguito del colloquio, insinua o spara, di tanto in tanto, acconce parole e brevi frasi italiane, letterarie e senza accento straniero, che dimostrano una conoscenza niente affatto banale del nostro idioma.

I preliminari si prolungano. Cerco di sfaldare le accennate distanze, usando calore ed arguzie – che so piacergli e glielo dico, per trovare con lui qualche punto di contatto culturale e rendere più gradevole l’atmosfera. Gli parlo della mia sosta a Leningrado tra due treni, e della ammirevole opera di ricostruzione attuata in quella città, della Mosca abbellita di oggi. Ricordo le opere lasciate in Russia da tanti nostri artisti nel lontano passato. Approva di tanto in tanto: gli dico della ospitalità e della collaborazione trovate nell’U.R.S.S. durante la mia precedente permanenza e della mia speranza che essere possano essere rinnovate alle mie accresciute responsabilità in questo mio ritorno.

Egli mi dice che il ministero degli esteri non mancherà di darmi ogni sua collaborazione in tutte le questioni che io dovessi porgli. Ripete quindi queste assicurazioni, con l’aria di ribadire e di sottolinearle.

Nell’incertezza di rivederlo presto e nel desiderio di cogliere la palla al balzo, penso allora di accennare subito alla questione del gruppetto di nostri prigionieri, condannati o sotto processo per così detti crimini di guerra, mantenendo così la parola data alle varie delegazioni di associazioni di ex prigionieri, ai congiunti doloranti, al Comando dei Carabinieri, che me ne avevano vivamente sollecitato ai miei passaggi per Roma».

Dopo aver esposto a Vyshinsky i termini di tale questione l’ambasciatore Di Stefano lo ha ringraziato per accenni da lui fatti «che schiudono una speranza per una sollecita definizione della questione medesima» intendendo «chiudere il colloquio con questa nota ottimistica». «Vyshinsky però – continua il rapporto – resta seduto cogitabondo. Temo che sia preoccupato e pentito di quanto promessomi, forse anche per le annotazioni dell’interprete … ».

Ma, «interrompendo ad un tratto la pausa», il ministro degli esteri sovietico «con tono più freddo ma sempre molto cortese nella forma e pacato» ha preso a parlare delle questioni politiche tra i due paesi:

«Vyshinsky: Sig. ambasciatore, mi scuso di abbordare le questioni politiche fra i nostri due paesi in questo primo nostro incontro. Ma si tratta di questioni a cui noi attribuiamo molta importanza. Mi limiterò oggi ad accennarvele, in anticipazione di nostri futuri colloqui più dettagliati … Intendo alludere in primis alla denuncia del trattato di pace da parte del Governo italiano ed alla questione delle riparazioni dovute dall’Italia all’U.R.S.S. Vorrei sentire da voi qualche cosa su queste importanti vicende.

Io: Sig. ministro sono pronto ad anticiparvi, a titolo personale, quanto mi sembra di avere inteso dire al riguardo a Roma. E naturalmente sono a vostra disposizione per trasmettere al mio Governo le vostre comunicazioni. Voi che siete un noto giurista vi renderete conto benissimo della sviluppata coscienza giuridica degli italiani. La nostra posizione, ben fondata anche giuridicamente, mi sembra essere basata sulla constatazione che l’U.R.S.S. è venuta meno per la prima ad un essenziale obbligo da essa contratto nel trattato: quello di appoggiare l’ingresso dell’Italia all’O.N.U. impedito invece dai veti opposti dai rappresentanti sovietici al Consiglio di sicurezza. La ripetuta mancata osservanza di una parte essenziale del trattato da parte di un contraente non può non rendere invalido il trattato anche per l’altro contraente. Il Governo italiano ha quindi ritenuto di dover denunziare il trattato stesso. Ritenevo che tutto ciò fosse già noto al Governo sovietico dai documenti e dalle Note rimesse dal mio Governo.

Quanto poi alla questione delle riparazioni, mi sembra che il Governo italiano si sia, per ora, limitato a sospendere l’esecuzione delle stipulazioni del trattato ad esse relative, appunto per le anzidette regioni. Mi sembra che potrebbe derivarne che, ove l’U.R.S.S. mutasse l’atteggiamento fin qui tenuto e decidesse di considerare di dare esecuzione al suo obbligo di appoggiare l’ammissione dell’Italia all’O.N.U., anche il mio Governo potrebbe riconsiderare la questione della riparazioni.

D’altronde, circa tale questione, voi sapete certamente che l’U.R.S.S. ha da molti anni in sue mani i beni italiani in Ungheria, Bulgaria e Romania ed altri beni italiani trovati in Germania orientale. Si tratta di un complesso di beni di ingente ammontare, il cui valore, secondo i calcoli dei nostri esperti, dovrebbe superare la stessa cifra di cento milioni di dollari, e, se mi consentite, sig. ministro, un’opinione puramente personale, dati i beni italiani di cui usufruire da tempo, questa questione delle riparazioni si riduce in realtà a qualche cosa di veramente insignificante per un paese così grande e ricco come il vostro.

Vyshinsky: (Sempre pacato). La tesi dei vostri giuristi, che mi avete esposta, dimostra a quale punto di decadenza siano attualmente ridotti i vostri cultori di diritto e le vostre scienze giuridiche, per le quali in passato l’Italia era famosa ...

Io: Sig. ministro, mi sembra di avere visto su qualcuno dei vostri giornali delle osservazioni piuttosto forti circa le vostre raccolte di studi giuridici ...

Vyshinsky: (Un po’ sorpreso e con un sorriso questa volta simpatico e disarmato). Sapete, sig. ambasciatore, ho tanto da fare che non riesco a leggere i nostri giornali ... Comunque, gli Stati debbono rispettare i patti da essi firmati. Pacta sunt servanda.

Io: Da quanto ebbi l’onore di dirvi poco fa, avrete rilevato che condivido la vostra osservazione.

Vyshinsky: Non è colpa dell’U.R.S.S. se l’Italia non è entrata all’O.N.U. Noi vi siamo pienamente favorevoli. Non vi è nessuna “contraddizione” (contrasto) in merito tra l’U.R.S.S. e l’Italia. È colpa degli Stati Uniti, innanzi tutto, e poi dell’Inghilterra, della Francia e di vari altri paesi membri dell’O.N.U., che si intestano tutti in discriminazioni contro gli altri paesi che si trovano nella stessa posizione dell’Italia, per i motivi irrilevanti che questo o quel Governo o questa o quella cosa loro non piacciono. Come può l’U.R.S.S., onestamente, ammettere e subire che questi paesi, che hanno pieni diritti di entrare all’O.N.U., siano obbligati a rimanerne fuori? Non sarebbe “giustizia”; quella “giustizia” di cui gli italiani sono stati tanto cultori.

Io: Conoscevo già questa vostra tesi, sig. ministro, ma consentitemi di osservare che essa è di politica contingente, non giuridica. Che colpa si può fare all’Italia della situazione su cui voi insistete e perché essa deve patirne le conseguenze? Il nostro terreno giuridico è ben solido. Il trattato di pace tra l’Italia e voi è un quid a sé. Non si tratta punto di un trattato di pace collettivo, concluso tra l’Italia e gli altri quattro paesi, da una parte, e voi e gli altri Stati contraenti, dall’altra parte. Il nostro trattato di pace sancisce il vostro impegno di appoggiare l’entrata dell’Italia all’O.N.U. e non già, collettivamente, l’Italia insieme agli altri paesi. Il trattato con l’Italia non ha nulla che fare, giuridicamente, cogli altri paesi.

Vyshinsky: Sig. ambasciatore, ma è la politica che crea il diritto. L’una precede l’altro. E qui, con voce suadente e, di tanto in tanto, con espressioni di simpatia e direi di affetto per l’Italia, mi infligge un lungo discorso di stile didattico sovietico, quale ad un discepolo duro di comprendonio, ripetendosi quasi punto per punto. Di nuovo mi dice frasi come questa: l’U.R.S.S. è per l’universalità dell’O.N.U. e per la sua imparzialità ed efficienza. Dell’O.N.U. fanno parte Stati diversissimi: vi è il Yemen che è la monarchia che sapete e vi è l’U.R.S.S. che non ha più re. Anche l’Italia non ha più un re … Che colpa ha l’U.R.S.S. se tredici Stati aspettano da tempo che gli Stati Uniti si decidano a smettere la loro opposizione? Noi vorremmo che tutti e tredici gli Stati ne facciano parte, in primo luogo l’Italia, ecc. ecc.

Questa bonarietà didattica e suadente di Vyshinsky mi fa correre il pensiero alla nota tattica sovietica nei riguardi degli imprigionati destinati a figurare nei grandi processi politici, e che egli avrà certo usata largamente quando vi fungeva da pubblico accusatore. Mi domando quante delle vittime avranno abboccato a quest’amo mielato e si saranno decise ad accogliere le propinazioni loro fatte ...

Quando il ministro smette il suo discorso, mi limito ad osservargli con pari bonarietà:

Permettetemi una domanda forse indiscreta: se anziché trattarsi dei tre Stati, legati a voi da speciali vincoli, quali Ungheria, Romania e Bulgaria, si trattasse di altri Stati che poco vi interessassero, sosterreste la stessa tesi che avete voluto spiegarmi circa i veti contro il mio paese?

Vyshinsky: Non dimenticate che abbiamo dato il veto anche per la Finlandia ...

Io: Resta comunque il fatto che l’Italia è fuori dell’O.N.U. per i veti contro di essa. Eppure all’Italia era stata già riconosciuta a Potsdam una posizione speciale ed una priorità nei riguardi degli altri Stati, le cui candidature sono da voi caldeggiate ...

Il richiamo a Potsdam mette in evidente imbarazzo Vyshinsky (me ne rendo poi conto, leggendo ieri che la risposta sovietica ai Tre fa proprio gran caso delle decisioni di detto convengo per la Germania). Egli dice di non essere bene al corrente dei dettagli di quell’incontro, non avendo allora le funzioni di ministro degli esteri. Tuttavia non ricordo io stesso nei dettagli quelle discussioni e quei comunicati, che potrebbe forse convenire a codesto Ministero di riesaminare, pel caso contenessero qualche elemento utile. Non insisto quindi e non obietto quando Vyshinsky osserva che è sufficiente prendere come base il trattato di pace. Vyshinsky comunque lascia finalmente la questione del trattato per ritornare a quella delle riparazioni.

Vyshinsky: Circa quanto da voi detto a proposito delle riparazioni, i nostri esperti valutano i beni italiani da voi accennati ad una cifra di gran lunga minore di quella vostra ...

Io: Purtroppo, sig. ministro, gli esperti raramente concordano ed anziché facilitare la soluzione delle questioni le complicano. Comunque, i calcoli dei nostri esperti sembrano molto accurati ...

Vyshinsky: È vero che l’U.R.S.S. è un paese grande e ricco.

Io: Sapete, sig. ministro, che la frase che vi dissi al riguardo riecheggia fedelmente quanto mi disse il sig. Molotov a me ed all’ambasciatore Tarchiani il 7 novembre 1946 all’ambasciata sovietica di Washington? E disse anche che egli capiva che non ci facesse piacere di pagare queste riparazioni, aggiungendo che per un grande paese come l’U.R.S.S. si trattava, in realtà, di una questione di modestissima importanza e che se ne sarebbe potuto riparlare in avvenire …3.

Vyshinsky: (Un po’ impressionato dall’autorevole citazione, riprende con tono più vibrato). L’U.R.S.S. non ha mai inviato i suoi soldati a combattere all’estero aggredendo paesi pacifici. L’Italia invece l’ha fatto, spedendo le sue truppe ad uccidere i nostri cittadini, a distruggere le nostre case ed i nostri beni. Non vi rendete conto, sig. ambasciatore, che il popolo sovietico ha diritto di ottenere questo minimo risarcimento dall’Italia per i danni ingentissimi che essa gli ha arrecato? L’U.R.S.S. ha diritto alle riparazioni convenute.

Io: (In tono ancora più vibrato). Sig. ministro, non risponde alla realtà che l’Italia abbia voluto spedire le sue truppe a combattere l’U.R.S.S. Il popolo italiano ed il suo Governo democratico non hanno e quindi non possono riconoscere alcuna colpa in quelle tristi vicende cui essi furono del tutto estranei. La colpa fu esclusivamente di Mussolini il quale ha già pagato colla massima penalità, con la vita sua e dei suoi diretti collaboratori. Le stesse frasi vostre ci furono dette dal sig. Molotov nella stessa conversazione cui accennai dinanzi ... Rispondemmo allora come vi ho risposto oggi. Ma si era allora nel 1946; la guerra era terminata da poco più di un anno; eravamo ancora ex nemici; non vi era trattato di pace. Mi sembra anacronistico che si possano riprendere queste stesse frasi oggi nel 1952 …

Vyshinsky: (Con tono caloroso). I popoli non sono mai colpevoli ... Noi sentiamo viva simpatia ed amicizia per il popolo italiano e ne apprezziamo le doti. Voi sapete, del resto, che l’U.R.S.S. fu la prima a riprendere le relazioni diplomatiche col Governo italiano, quando gli altri non avevano il minimo pensiero di farlo. Venni io stesso in Italia nel 1943-44. Sono ancora dolente che le tristi condizioni di allora non mi consentirono di partecipare alla doviziosa vita culturale ed artistica italiana. Non potei frequentare i vostri teatri, le vostre opere. Stavo a Ravello ... Ravello ...

Io: Sapevo già quanto mi dite, sig. ministro, e vi posso assicurare che vi siamo riconoscenti per l’azione che spiegaste allora per promuovere la ripresa delle nostre relazioni diplomatiche.

Vyshinsky: (Col tono di prima). Vi chiedo ancora scusa di avervi accennato oggi a queste spiacevoli questioni. Mi riservo di riparlarvi in futuro con calma delle stesse e di altre. Vi sono molte altre clausole del trattato di pace che non sono osservate dal Governo italiano nei confronti dell’U.R.S.S. Vi renderete conto che è naturale che non possiamo dare il nostro assenso e mi astengo dal rilevare poi, nei dettagli, come molti e differenti circoli e sfere italiani mantengano posizioni punto amichevoli nei riguardi dell’U.R.S.S. Specialmente in questi giorni della vostra campagna elettorale, sono state dette e scritte nel vostro paese colunniosità di ogni tipo e colore ed una quantità di cose offensive per l’U.R.S.S. ed il Governo sovietico ...

Io: Come saprete, la campagna elettorale ha termine in Italia oggi stesso, ciò che esaurisce il vostro ultimo rilievo. Non so, del resto, a che cosa di preciso desideravate riferirvi. Data la mia assenza dall’Italia dai primi di maggio, ho potuto sinora leggere un solo discorso elettorale, quello di Togliatti, a cui la Pravda ha dedicato una mezza pagina ...

Vyshinsky: (In tono più basso del normale). Ma a quanto so il Partito comunista è legale in Italia, quindi la Pravda ...

Io: (Sorridendo). Intendevo solo dire, sig. ministro, che ho potuto leggere il discorso dell’on. Togliatti grazie alla dettagliata pubblicazione fattane dalla Pravda.

Vyshinsky: (Tono freddo e pacato). Mi rincresce, sig. ambasciatore, di dovervelo dire oggi, quando ci vediamo la prima volta. Ma tutto ciò che vi ho detto crea una situazione che non è molto favorevole ad uno stato molto felice... ad uno stato felice delle relazioni tra i nostri paesi ...

L’interprete: (Rivolto a Vyshinsky). Devo mettere molto felice ovvero felice?

Vyshinsky: (Dopo un momento di riflessione). Mettete solo “felice”.

Io: Quanto mi dite ora sig. ministro, mi rattrista molto in via generale ... (Subito dopo con un largo sorriso). Ma a titolo personale e se ho una libertà di scelta, preferisco di molto che me lo abbiate detto oggi, quando inizio la mia missione, anziché tra uno o due anni quale risultato della medesima.

Convenevoli, strette di mano, reciproci inchini a metà stanza. L’interprete silenziosamente mi accompagna all’ascensore. Gli dico, per essere gentile, che spero avremo presto l’occasione di rivederci e di collaborare ancora insieme. È un tipo allampanato, segaligno, ed arido come se tratto fuori allora da una rigida stretta tra due foglioni di carta suga. Sembra temere che la mia frase gentile possa avere fini misteriosi e compromettenti. Si limita a rispondermi: Non so … ».


600 1 Inviato anche alle rappresentanze presso il Consiglio atlantico e presso l’O.N.U.


600 2 Vedi anche D. 572.


600 3 Nota del testo: «Molotov però aggiunse poi che l’Italia doveva restare estranea a blocchi diretti contro l’U.R.S.S. Ho però confidato nei molti anni trascorsi e nelle labili memorie».

601

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO

L. segreta 960 segr. pol. Roma, 13 giugno 1952.

Ho letto con vivo interesse i tuoi rapporti sul colloquio con Vyshinsky1.

Poiché penso che, anche in relazione ai problemi già da te abbordati nel colloquio, avrai modo di intrattenerti nuovamente con codesto ministro degli esteri, ti segnalo, per quanto possibile al riguardo, l’opportunità di fargli cenno dell’atteggiamento sovietico nella questione di Trieste, come uno dei motivi – e più grave ancora di quello del veto al nostro ingresso all’O.N.U. – del disappunto italiano nei riguardi dell’U.R.S.S.

Potresti costì prospettare come il Governo e il popolo italiano ne siano dolorosamente colpiti. Se poté comprendersi che il Governo sovietico non abbia voluto aderire alla nota Dichiarazione tripartita nel 19482 – quando la Jugoslavia era ancora alleata dell’U.R.S.S. – la persistenza in un tale atteggiamento non sembra aver più alcun motivo oggi che i rapporti fra Mosca e Belgrado sono tutt’altro che amichevoli. Non si vede quale interesse concreto possa avere l’Unione Sovietica a favorire Tito anche a scapito della causa dei buoni rapporti italo-russi.

Il popolo italiano è pertanto portato ad indurre che l’atteggiamento del Governo sovietico sia dettato da un sentimento di ostilità verso l’Italia. Se tale induzione non è esatta, il Governo sovietico dovrebbe dimostrarlo, mutando la sua posizione in senso favorevole ai buoni diritti italiani sul territorio di Trieste. Allo stato delle cose, gli italiani non possono che pensare che se la Dichiarazione tripartita non ha avuto pratica attuazione con l’annessione del Territorio Libero all’Italia, è solo per colpa della Russia.

Lascio a te di trovare e graduare le argomentazioni nella maniera che riterrai più opportuna ed efficace, riferendo poi riservatamente circa le reazioni che incontrerai.

È inutile che ti faccia presente come la delicatezza della questione esiga che essa sia trattata con la massima circospezione, anche per i suoi possibili riflessi sia interni che internazionali.


601 1 Vedi DD. 572 e 600.


601 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

602

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 1888/950. Bruxelles, 13 giugno 1952(perv. il 20).

Il sig. Spaak, cui avevo chiesto di poterlo incontrare, ha invece voluto venire da me e si è trattenuto in un lungo colloquio.

Per quanto egli ha ormai compiuto il suo viaggio in Italia quando giungerà il presente rapporto, credo tuttavia utile riassumere quanto di più saliente mi ha detto nel corso della conversazione.

1) La situazione generale è estremamente seria: ma l’unica maniera per farvi fronte o cercare di farvi fronte, è di procedere sulla via intrapresa, della unificazione europea e della Comunità di difesa;

2) l’unificazione della Germania non avverrà mai più, a meno di una guerra vittoriosa; ed è meglio in fondo che sia così, perché né la Francia né il Belgio l’avrebbero tollerata, prima di aver garanzie sufficienti, che l’U.R.S.S. non avrebbe consentito;

3) a sua volta, l’U.R.S.S. considera un pericolo gravissimo la tendenza verso l’unificazione dell’Europa, ed è disposta a pagare assai caro per vederla fallire, persino col riarmo della Germania: (il che implicitamente viene a riconoscere nelle proposte sovietiche una dose di buona fede e, per conseguenza, ad individuare gli oppositori alla unificazione della Germania principalmente negli Alleati atlantici);

4) il maggiore ostacolo alla realizzazione dell’Europa unita è formato anzitutto dall’aver prescelto, come terreno d’inizio della integrazione, il settore economico e non aver affrontato la questione dal suo lato più alto, quello etico-politico; ed in secondo luogo dai partiti socialisti dei vari paesi;

5) di quest’ultimo fenomeno è causa l’abitudine marxista di patrocinare l’unione fra i popoli solo se effettuata dai lavoratori. Per abito mentale ogni socialista diffida di un processo integrativo di cui sia parte, o ancor peggio, iniziatore il mondo borghese;

6) i socialisti britannici, alla lor volta, sono, per tradizione insulare, i meno integrazionisti di tutti; e i socialisti del continente ne seguono, forse anche inconsciamente, le orme, per il fatto di essere stato il laborismo il solo socialismo europeo al potere e di aver conseguito notevoli successi;

7) è stato grave errore quello di Adenauer di aver mantenuto i socialisti nell’opposizione quando poteva, anni or sono, averli alleati o per lo meno non così ostili come attualmente. La sua posizione è lungi dall’essere sicura, ed i socialisti tedeschi avranno il buon senso di lasciar assicurare alla Germania, mediante il prossimo voto, i vantaggi degli accordi contrattuali, per farne il trampolino verso ulteriori realizzazioni in senso nazionale, e per rovesciare a qualunque costo Adenauer immediatamente dopo;

8) in fatto di politica interna belga, il partito cattolico, per aver voluto governare da solo, perderà nelle prossime elezioni la maggioranza: dei voti perduti saranno eredi i liberali, e non già i socialisti, perché questi hanno il torto di puntare maggiormente (in Belgio come in altri paesi) sulla nazionalizzazione che non sul dirigismo.

Per comprendere al loro giusto valore queste considerazioni del sig. Spaak (il quale ha del resto ironizzato sul fatto che a Strasburgo egli è stato lealmente seguito ed appoggiato dai cattolici italiani e germanici, mentre è stato osteggiato dai socialisti di tutti i paesi, compreso il suo), occorre tener presenti i seguenti tre fattori: che il socialismo in Belgio sostanzialmente non è tale se non di nome, assomigliando tutt’al più ad un laborismo ancora più pallido di quello britannico; che il partito socialista è qui profondamente diviso (esempio nella questione del piano Schuman e della C.E.D.); che il sig. Spaak, il quale si sente in parte esautorato dalla campagna anti-reale da lui personalmente diretta nel 1950, non è più all’esterno l’uomo di una volta mentre, all’interno, ha ormai più solo di nome il posto di «leader» del proprio partito.

603

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7196-7198/556-557. Parigi, 14 giugno 1952, ore 8,35(perv. ore 11,30).

Suoi 5577/c.1 e 4172.

1) Schuman è d’accordo sulla concentrazione di tutte le istituzioni piano Schuman e C.E.D. in solo posto ma non (dico non) per Parigi; è d’avviso che esse debbano essere tutte riunite a Strasburgo. E ciò per varie ragioni:

a) Parigi troverebbe opposizione da parte tedesca e probabilmente anche da altri;

b) Parigi e dintorni nelle attuali circostanze (S.H.A.P.E. e N.A.T.O.) sono ingombri; occorrerebbe costruire mentre invece a Strasburgo c’è possibilità di trovare sistemazione per tutto;

c) attualmente sta già per essere messo in discussione progetto federazione: se questo va a posto bisognerà anche stabilire località dove avrà sede tutto organismo federale, sede che per forza di cose non potrà essere una delle attuali capitali. Sistemazione attuale in vista di questo non potrà essere che provvisoria e, come tale, è meglio che sia Strasburgo.

Al massimo potrebbe essere previsto che, per ragioni contatto con S.H.A.P.E., potrebbe essere opportuno avere a Parigi Commissariato C.E.D. Ma nemmeno questo è necessario data rapidità comunicazioni tra Strasburgo e Parigi che sarà anche aumentata in vista costruzioni in corso grande aereoporto Strasburgo.

Ha preso atto che, in caso prevalesse tesi dispersione, noi insisteremmo per sede Assemblea Torino promettendo in questo eventualità appoggio francese.

2) È d’accordo che convenga incaricare Assemblea piano Schuman studiare progetto federazione. Con riserva approvazione suo Governo è favorevole proposta congiunta italo-francese.

Unica difficoltà che prevede è che De Menthon e Guy Mollet vorrebbero che di questo studio venisse incaricata Assemblea Strasburgo ristretta e non (dico non) Assemblea piano Schuman. Per questo preferirebbe si stabilisca che tutte le istituzioni siano a Strasburgo perché in questo caso sarebbe più facile fare accettare che ne sia incaricata Assemblea piano Schuman.

Egli preferisce nettamente questa soluzione oltre che perché immediata perché non (dico non) si presenterebbe problema Sarre.

3) Con riserva approvazione suo Governo, su cui però non ha dubbio, è convinto opportunità che presidente Corte sia un italiano ed è disposto a sostenerlo. Vorrebbe soltanto al più presto avere nome nostro candidato; consiglia designare giurista di certa fama internazionale.

4) Se dopo conferenza Aja ci saranno altri argomenti controversi si propone parlarmene in maniera da avere a prossima riunione ministri che, ritiene, avrà luogo 23, se possibile, azione comune e concordata italo francese.

5) A sua impressione data situazione attuale è improbabile che Adenauer intervenga personalmente.

6) Sebbene questo non abbia relazione con ordine del giorno riterrebbe opportuno scambio di idee preventivo fra Francia e Italia circa progetti federativi prima che Assemblea inizi suoi lavori. Mi ha espresso alcune sue idee in proposito che mi sembrano coincidere con le nostre e che invio per corriere3.


603 1 Vedi D. 592.


603 2 Del 10 giugno, con il quale Taviani aveva richiesto di stimolare, secondo gli accordi di Santa Margherita, preventivi scambi di idee italo-francesi sulle questioni all’ordine del giorno delle riunioni per il piano Schuman e per la C.E.D.


603 3 Vedi D. 604. Per la risposta vedi D. 614.

604

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 577/450. Parigi, 14 giugno 1952(perv. il 16).

Visto che è probabile che la prossima riunione dei ministri degli affari esteri delle potenze affidi all’Assemblea del piano Schuman il compito di studiare la creazione di un organismo federale europeo, mi sembra necessario provvedere a mantenere questi studi e questi progetti nel campo delle possibilità.

Per quanto mature possono essere le opinioni pubbliche e parlamentari sulla questione della Federazione e Confederazione europea, mi sembra evidente che se vogliamo passare al pratico, bisogna evitare di voler far troppo o soprattutto del troppo teorico.

Mi sembrerebbe quindi opportuno cercare se non di eliminare almeno di imbrigliare un po’ gli entusiasmi di tante persone fuori della realtà e mi sembra importante di poter controllare le elucubrazioni dei professionisti fabbricanti di costituzioni.

I teorici del diritto costituzionale, per avere avuto le mani troppo libere, hanno inflitto alla Francia e all’Italia delle costituzioni che se perfette dal punto di vista del diritto sono dal lato pratico di applicazione più che difficile.

Ho fatto parte di queste mie preoccupazioni a Schuman e l’ho trovato perfettamente d’accordo ed ho approfittato per proporgli una consultazione ufficiosa fra la Francia e l’Italia per vedere di concretare un po’ le nostre idee circa quello che dovrebbe essere la futura costituzione europea; gli ho espresso il mio parere nel senso che sarebbe opportuno che questa consultazione avvenisse a mezzo di una Commissione mista composta di giuristi, di funzionari se necessario, e di parlamentari, pratici dei problemi di Governo. Una volta messi d’accordo sulle idee generali avrebbe potuto, d’una parte e dall’altra, esercitarsi una certa influenza sulle Commissioni parlamentari dei due paesi.

Schuman, come ho già telegrafato1, pur riservandosi l’approvazione del suo Governo, si è dichiarato favorevole alla mia proposta. Non occorre dire che gli ho precisato che parlavo a titolo strettamente personale.

Ho approfittato dell’occasione per chiedere a Schuman quali fossero le sue idee personali. Egli mi ha detto:

1) essere contrario a porre nettamente la questione Federazione o Confederazione perché in fatto si tratta di concetti non facilmente definibili.

Mi ha detto, però, che è convinto che bisognerebbe contentarsi al principio, del minimo necessario di istituzioni federali e prevedere un meccanismo non eccessivamente complicato il quale permetta, gradualmente, di estendere il settore federale.

Per cominciare bisognerebbe tener presenti le due Comunità esistenti, ossia piano Schuman e C.E.D., e limitarsi alle istituzioni che sono necessarie perché esse possano funzionare.

2) Occorre avere un sistema bicamerale, ossia una Camera di rappresentanti composta sulla base delle popolazioni: un … 2 composto di rappresentanti degli Stati.

3) La Camera dei rappresentanti deve essere eletta direttamente dalle popolazioni e non essere scelta dai Parlamenti. In principio ritiene sarebbe preferibile un’elezione a doppio grado: ossia la popolazione dovrebbe eleggere un certo numero di elettori i quali, a loro volta, dovrebbero scegliere i deputati all’Assemblea. Questo per varie ragioni:

a) perché ovviamente le qualificazioni necessarie per essere un deputato federale sono molto differenti (per esempio una certa conoscenza di lingue) di quelle necessarie per i Parlamenti nazionali;

b) per evitare che la Camera federale diventi il rifugio dei bocciati alle elezioni nazionali e dei tenori disoccupati della politica interna.

4) Indipendentemente della necessità della ratifica da parte dei Parlamenti nazionali della costituzione europea occorrerebbe, secondo Schuman, sottoporla ad un plebiscito o referendum dei singoli paesi.

A suo avviso questi plebisciti, o referendum dovrebbero possibilmente precedere la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.

A suo pensiero, le opinioni pubbliche sono molto più europee dei parlamentari e probabilmente possono mettere i Parlamenti nazionali di fronte ad una netta manifestazione dell’opinione pubblica.

Sarò grato a V.E. se vorrà farmi conoscere se in linea di massima ella approva i suggerimenti da me avanzati a Schuman in maniera che io possa, se V.E. è d’accordo, riprendere la conversazione con lui. Schuman prevede che se una decisione in questo senso verrà presa nella prossima riunione dei ministri degli esteri, l’Assemblea potrebbe iniziare i suoi lavori in autunno. In questo caso non bisognerebbe tardare ad iniziare queste consultazioni franco-italiane che evidentemente devono, comunque, essere tenute riservate3.


604 1 Vedi D. 603.


604 2 Gruppo indecifrabile.


604 3 Vedi D. 614.

605

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto precedenza assoluta 5783/305. Roma, 15 giugno 1952, ore 16.

Suo 4421.

Come noto V.E. questione Battle Act è stata ed è tutt’ora discussa in sede multilaterale in seno Co.Com. e da parte italiana, per evidenti questioni principio, continuiamo seguire tale condotta.

Dal punto di vista pratico conseguenze Battle Act presentano due distinti aspetti: autorizzazioni all’esportazione rilasciate prima del 24 gennaio ed esportazioni successive.

Per quanto si riferisce periodo successivo 24 gennaio V.E. può dare ampia e formale garanzia che da parte italiana gli impegni Co.Com. sono osservati con scrupolosa rigorosità indipendentemente da accordi in atto con paesi oltre cortina. Al riguardo V.E. può precisare che abbiamo preferito prorogare anziché rinnovare accordi con Polonia, Ungheria e Romania proprio per evitare richieste imbarazzanti in negoziati per eventuali nuovi accordi e mantenerci possibilità eludere alcuni contingenti previsti nei vecchi.

Comunque non (dico non) rilasciamo alcuna licenza per merci di lista I anche se comprese nei contingenti contemplati in accordi vigenti e ci atteniamo, per quelle di lista II, alle note disposizioni relative ai controlli quantitativi e alle contropartite. V.E. può aggiungere che, in attesa definizione questione in sede Co.Com., da parte nostra nei casi di non corrispondenza tra liste internazionali e Battle Act ci atteniamo a quest’ultimo.

Per quanto riguarda autorizzazioni precedenti 24 gennaio, Governo italiano ha fatto ogni sforzo per loro riduzione e è riuscito limitarle a quelle elencate in noto inventario (allegato telespresso ministeriale 43/7421)2. Al riguardo V.E. può dare formale garanzia che da parte italiana ci atteniamo a quanto dichiarato in inventario, ma vorrà nuovamente fare presente che ragioni giuridiche (mancanza di strumento legale per revocare licenze rilasciate), commerciali (merci pagate e pronte o quasi con conseguenti questioni di danni), politiche (vedi caso Romania), non consentono rigida applicazione lista Battle Act per tali esportazioni.

V.E. vorrà al riguardo sottolineare principio che mentre è giuridicamente possibile prendere ogni impegno per futuro, è giuridicamente impossibile assumere impegni con effetto retroattivo e revocare autorizzazioni legalmente concesse e (salvo caso rettificatrice dovuto ad errore materiale) conformi a controlli in atto momento rilascio. Trattasi comunque di pochi casi ben precisati nell’inventario e ad esaurimento.

Poiché questione inventario sarà discussa Gruppo consultivo Co.Com. 24 corrente pregasi telegrafare osservazioni americane ed ogni informazione relativa tale questione3.


605 1 Del 13 giugno, con il quale Tarchiani aveva comunicato di essere stato convocato da Acheson per questioni riguardanti il commercio Est-Ovest ed aveva richiesto elementi in proposito per norma di linguaggio.


605 2 Non pubblicato.


605 3 Vedi D. 607.

606

IL RAPPRESENTANTE PRESSO L’O.N.U., GUIDOTTI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7313/53. New York, 16 giugno 1952, ore 7,43(perv. ore 7,30 del 17).

Profittando suo turno presidenza Malik ha improvvisamente convocato Consiglio sicurezza per mercoledì 18 per discutere:

a) invito a tutti gli Stati «ad accettare e ratificare» protocollo Ginevra 1925 per guerra batteriologica che Stati Uniti firmarono ma non hanno mai ratificato.

b) Ammissione O.N.U. 14 Stati che ne hanno fatto richiesta.

Manovra sovietica ha colto di sorpresa potenze occidentali. Prima generale impressione è che Russia ricerchi unicamente effetti propaganda. Per quanto riguarda primo argomento scopi sono anzi abbastanza chiari, come ho riferito a suo tempo Commissione disarmo aveva bandito discussioni su guerra batteriologica. Malik ritrova ora, almeno temporaneamente, piattaforma che aveva perduto. Incidentalmente ciò dimostra quale singolare importanza Russia attribuisca ancora campagna «atrocità».

Per secondo argomento scopi appaiono meno specifici. Probabilmente Russia si propone ottenere categorica (e impopolare) riaffermazione americana tesi intransigenza proprio mentre alcuni ambienti Dipartimento di Stato si vanno lentamente orientando verso universalità.

Quasi un anno fa, cogliendo ugualmente occasione sua presidenza Consiglio Malik lanciò sua famosa proposta armistizio Corea. Differenza tono e portata delle due iniziative può servire misurare peggioramento situazione internazionale intervenuto nel frattempo come conseguenza insuccesso trattative armistizio.

607

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7316/449. Washington, 16 giugno 1952, ore 18,31(perv. ore 7,30 del 17).

Mio 442 e suo 3051.

Acheson, alla presenza Linder, mi ha oggi ribadito vivissime preoccupazioni Governo americano per atteggiamento Congresso circa problema commercio Est-Ovest.

Ho subito dato formali garanzie autorizzatemi V.E. con telegramma citato per esportazioni periodo successivo 24 gennaio. Mi sono ritenuto autorizzato aggiungere, come richiestomi da Linder venerdì scorso e indicato V.E., che Governo italiano aveva disposto organizzazione amministrativa adeguata esigenze Battle Act. Assicurazioni considerate soddisfacenti in relazione fine specifico facilitare richiesta «eccezione» per esportazione nota «rettificatrice».

Acheson quindi parlato a fondo problema prior committents, rivolgendomi caldo appello, da trasmettere attenzione personale V.E., perché Governo italiano riesamini problema, immedesimandosi difficoltà amministrazione americana nei confronti Congresso. Acheson rilevando che inventari presentati Co.Com. paesi europei prevedono a tutto 24 gennaio circa 21 milioni dollari prior committents, ha attirato mia attenzione su 2 voci nostro inventario che costituiscono motivo vivissima preoccupazione. Trattasi circa dollari 1,8 milioni complessivi esportazioni cuscinetti sfere e 800 mila dollari per attrezzature laminazione acciaio, di cui secondo quanto esplicitamente rilevato da Acheson, circa un milione può considerarsi materiale most strategic.

Ho svolto tutte considerazioni di cui prima parte telegramma V.E. 305. Acheson, pure apprezzando nostre difficoltà, ripetutomi che Governo americano era molto ansioso che in prevista riunione Co.Com. 24 giugno problema fosse affrontato da europei con ogni possibile comprensione.

A tale fine confidava atteggiamento italiano conciliante. Al riguardo precisatomi che non chiedeva Italia sforzo unilaterale, ma soltanto contributo soddisfacente soluzione multilaterale. A mia ulteriore menzione problema danni e indennizzi per nostri esportatori, Acheson e Linder (che capeggerà delegazione americana Parigi) mi hanno lasciato intendere potrebbe studiarsi in Co.Com. formula prevedente partecipazione americana. Acheson concluso rinnovandomi preghiera manifestare V.E. suo personale apprezzamento per contributo che potrà da noi darsi auspicata soluzione problema.

Prego elementi per mia opportuna norma.

Informo ad ogni buon fine che, di accordo con Acheson, abbiamo comunicato giornalisti colloquio riferitosi a problemi off shore procurements: in realtà ho toccato anche tale problema raccomandando caldamente Acheson assicurare massimo lavoro possibile industrie italiane.


607 1 Vedi D. 605.

608

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 581/452. Parigi, 16 giugno 19521.

1) Ho messo i francesi al corrente del contenuto del telespresso n. 927/c. del 5 giugno2 – anche alla luce della nostra determinazione (tel. V.E. n. 4/612 c.)3 d’inserire la Francia in questa nuova fase della questione – ed ho esposto, punto per punto, le condizioni alle quali siamo disposti a riprendere il dialogo con gli jugoslavi: nessun nuovo turbamento in Zona B, segretezza delle trattative, promessa dei Tre d’intervenire sulle trattative nello spirito della Dichiarazione tripartita4 e nel principio di una «linea etnica continua».

Ancora una volta, i francesi hanno dimostrato comprensione e realismo nella questione e promesso di tenerci al corrente di eventuali consultazioni che al riguardo si aprissero con Londra e Washington.

2) Circa l’inserimento della Francia in quest’azione – che noi finora richiedevamo soltanto agli anglo-americani – non so se la cosa li abbia riempiti di gioia (basti pensare a nostri legittimi sentimenti di compiacenza per essere attualmente al di fuori delle più delicate beghe e dei più delicati arbitrati dell’O.N.U.), ma sono certo che essi faranno quanto sarà loro possibile in una questione nella quale – come in tante altre – hanno oggi poca voce in capitolo.

Sulla base – ritengo – di precedenti consultazioni a tre, funzionari degli uffici competenti al Quai d’Orsay ci hanno chiesto, se veramente il Governo italiano intendesse riprendere le conversazioni con gli jugoslavi, e tentare di risolvere il problema (soluzione, – aggiungevano – che probabilmente non accontenterebbe nessuna «opposizione» italiana), prima delle nostre elezioni politiche: mentre al Governo di Roma dovrebbe far comodo continuare a protestare, soltanto, per l’insoluto problema. Abbiamo naturalmente dato le spiegazioni più ovvie e necessarie, ma non escludo che la domanda fosse una maniera gentile per sincerarsi se noi vogliamo veramente una ripresa positiva delle conversazioni o se invece si tratta soltanto di chiedere tutte queste assicurazioni preventive agli Alleati per addossare loro pubblicamente la responsabilità del non fatto.

3) Da sondaggi qui eseguiti su quanto veramente si pensi a Londra e Washington, non mi sembra comunque che le garanzie chieste ai Tre prima che si riprendano delle conversazioni con gli jugoslavi siano facilmente ottenibili. Sembra possibile, forse, che i Tre ricomincino dei faticosi passi a Belgrado per consigliare che nulla succeda di peggio in Zona B, ma non so se essi possano spingersi a dare a noi assicurazioni, in proposito, prima che le conversazioni si inizino e come condizione assoluta perché tali conversazioni ripiglino. Trapela infatti il comprensibile timore che noi si butti poi loro pubblicamente in faccia simili assicurazioni se gli jugoslavi (né obbedienti né maneggevoli) facessero qualche nuova alzata d’ingegno in Zona B.

4) D’altra parte qui si ritiene difficile che Londra e Washington prendano ora l’impegno troppo generico di intervenire poi – a conversazione iniziate – «nello spirito della Dichiarazione tripartita e nel desiderio di favorire un accordo tra le due nazioni vicine sulla base di una linea etnica continua». I Tre temono certo – la Dichiarazione tripartita insegna – che noi sventoleremo loro davanti qualsiasi dichiarazione e ciò in momenti puramente determinati dallo stato o dal timore della nostra opinione pubblica.


608 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


608 2 Vedi D. 588.


608 3 Vedi D. 588, nota 7.


608 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

609

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta 3066. Londra, 16 giugno 1952.

Faccio seguito al mio telegramma n. 354 dell’11 corrente1 ed alla consecutiva telefonata di Casardi a Theodoli2, e preciso il mio pensiero nei riguardi di eventuali trattative per Trieste, in rapporto ai telespressi ministeriale n. 905/c.3, 927/c., e 4/612/c.4, nonché alla sua 4/610 del 5 corrente5.

I. Le future trattative si presentano difficilissime e di esito quanto mai incerto, soprattutto perché l’attuale posizione jugoslava appare intransigente. Se si dovessero prendere alla lettera le più recenti dichiarazioni jugoslave, sia di stampa sia governative, ogni accordo sarebbe senz’altro impossibile: gli jugoslavi dichiarano di considerare come ormai acquisita la Zona B e vorrebbero trattare sulla sola Zona A. Ammesso pure che tali dichiarazioni siano puramente tattiche – come gli inglesi persistono a ritenere – ciò non toglie che esse limitino la libertà d’azione del Governo jugoslavo e le possibilità di un accordo.

Ciò rende indispensabile l’accurata preparazione delle trattative: nel senso che senza una forte spinta alleata, difficilmente Tito si indurrà a diventare ragionevole.

Ma questo appoggio alleato è dubbio: qui gli accenni fattimi anche recentemente da Eden implicherebbero semplicemente un amichevole intervento presso entrambe le parti, assai vago e non certo molto promettente.

D’altro lato noi non dobbiamo dimenticare che la situazione per noi è e rimarrà difficile, sia che le trattative falliscano, sia che non comincino. Giacché, benché la situazione possa migliorare con la esecuzione degli accordi di Londra, essa non sarà mai tale, che il tempo lavori interamente per noi. Più passerà il tempo senza un accordo, più le posizioni dell’indipendentismo appoggiato agli anglo-americani si rafforzeranno.

Quindi noi dobbiamo essere, nella preparazione delle trattative, fermi e misurati insieme.

Fermi per ottenere una base di trattative che dia almeno la speranza di un esisto ragionevole, misurati per non far dire agli Alleati che le trattative sono state impedite dalla nostra intransigenza. Possibilmente dobbiamo giungere alle trattative, col duplice obiettivo: o di riuscire, o di rigettare le responsabilità sugli jugoslavi, in modo da poter pretendere dagli Alleati qualche successivo passo in nostro favore.

Non dimentichiamoci infatti che per quanto segrete siano, le trattative saranno conosciute prima o poi, sia che riescano sia che falliscano: e se falliscono, noi dovremo ottenere qualche cosa di più dagli Alleati, se vorremo evitare che la situazione si consolidi a nostro sfavore, ed a vantaggio dei combinati interessi di certi ceti economici e dei Comandi alleati locali.

II. Anzitutto, quindi, non dobbiamo aprire le trattative con gli jugoslavi senza avere messo in effettiva esecuzione l’accordo di Londra. Niente di male che ora si siano iniziati i contatti preparatori con gli Alleati: ma prima di trattare con gli jugoslavi bisognerà che l’accordo di Londra sia eseguito, con la nomina e l’assunzione della carica da parte del direttore superiore, del consigliere politico e dei principali funzionari.

Altrimenti, accadrà che la nuova tappa delle trattative svaluterà l’accordo non ancora eseguito: e se le trattative fallissero, o non si riuscisse ad iniziarle su base ragionevole, potrebbe verificarsi una nuova tensione italo-jugoslava, che potrebbe influire dannosamente sull’atteggiamento alleato e sugli accordi di Londra non ancora eseguiti.

Quindi: per me la pronta esecuzione dell’accordo di Londra è in ogni caso pregiudiziale, ed essa dipende ora soprattutto da noi.

III. Quanto poi alla base delle trattative ed alla loro procedura, io sono d’accordo con le condizioni formulate alle lettere a) e b) del telespresso n. 927/c. ossia, in sostanza, prima un passo circa la Zona B e poi trattative sulla base della linea etnica continua.

Credo però opportuno precisare tali due punti.

Quanto al primo, esso è in sostanza una introduzione. Gli Alleati dovrebbero ancora rispondere alla protesta di Tito per l’accordo di Londra6 (supposto che non l’abbiano già fatto senza dircelo, del che non sono del tutto sicuro). Rispondendo, essi avrebbero un’ottima occasione per ricordare a Tito che egli non è il sovrano, ma il fiduciario della Zona B; come firmatari del trattato di pace e come fiduciari della Zona A, essi hanno il diritto e il dovere di richiamarlo ai suoi obblighi. In tale occasione, mentre essi potrebbero rammentargli energicamente che il rispetto dei diritti italiani in Zona B è condizione per una soluzione amichevole della questione del T.L.T., avrebbero pure modo di sondare il terreno in via ufficiosa e di agire autorevolmente su Tito per convincerlo a trattare su basi assennate.

Il più importante sta nel fissare bene queste basi (punto b) del telespresso 927. Al riguardo unisco un progetto di pro-memoria7, che io riterrei opportuno presentare agli Alleati per precisare il criterio direttivo dei negoziati.

Questo pro-memoria è diviso in due documenti, l’uno dei quali riservato agli Alleati, e diretto a riconfermare come e perché noi richiediamo il loro appoggio ed abbiamo diritto di richiederlo.

Il secondo sarebbe eventualmente ostensibile agli jugoslavi, e contiene semplicemente le basi delle trattative.

In sostanza, le basi da noi proposte non sono nuove, e non debbono apparire nuove. Noi non dobbiamo cioè dare l’impressione che le nostre pretese sono aumentate dopo il fallimento dei contatti Guidotti-Bebler8 e dopo l’accordo di Londra. Effettivamente, noi non facciamo che precisare meglio le stesse basi di allora, per evitare che la Jugoslavia esca di nuovo fuori strada e chieda ancora cose assurde, come lo sbocco al mare, la bilancia etnica, ecc. ecc. In nessun caso noi dobbiamo apparire più rigidi di prima – dobbiamo soltanto mostrarci più cauti, dopo l’esperienza fatta sulla irragionevolezza di Tito.

I quattro punti conclusivi del pro-memoria riguardano:

1) Principio maggioritario centro per centro, il che esclude implicitamente la compensazione mediante la così detta bilancia etnica: ossia gli jugoslavi non potranno chiederci quasi tutta la Zona B per compensare i 50 o 60 mila slavi che perderebbero a Trieste.

2) Linea etnica di confine non solo continua in sé, ma anche col territorio italiano: ciò per evitare che gli jugoslavi possano isolare Trieste rivendicando Duino ed Aurisina, ove la maggioranza è slava.

3) Integrazione delle isole allogene nel territorio circostante e relative compensazioni: ciò, mentre evita assurdi frazionamenti, ci consentirà pure di dare agli jugoslavi qualche ragionevole compenso in Zona B, fornendo la base di elasticità necessaria a un compromesso.

4) Censimento 1910: per impedire che gli jugoslavi invochino la situazione etnica creata in Zona B dai loro stessi arbitrii.

Se questi principi fossero accettati, noi potremmo trattare con la ragionevole speranza di raggiungere un tollerabile accordo, sacrificando l’interno della Zona A per richiedere gran parte delle città della costa in Zona B, più Buje: salvo poi, in via di compromesso, rinunciare a qualcuna delle città meridionali della costa, e forse Buje stessa.

Ma non bisogna illudersi che gli jugoslavi accettino un simile punto di partenza senza una forte spinta alleata, e non bisogna credere che sia facile ottenere dagli Alleati tale spinta.

Qui è il punto essenziale: se gli Alleati vogliono mantenersi in un atteggiamento di olimpica neutralità, e noi accettiamo tale atteggiamento, ciò vorrà dire che la Dichiarazione tripartita9 è definitivamente defunta, e che noi avremo contribuito a seppellirla.

La Dichiarazione tripartita (la quale non è, del resto, che una parziale e limitata riconferma delle posizioni assunte dagli Alleati nella conferenza per il trattato di pace) ha ancora un senso solo se gli Alleati, nei riguardi del Territorio Libero, si decidono a sostenerci veramente. Noi dobbiamo essere disposti in sostanza ad accontentarci, non più della Tripartita pura e piena ma del suo spirito: ossia di ridurla a una base di negoziati.

Ma se gli Alleati non ci appoggiano lealmente e decisamente almeno in questo, ammettendo e sostenendo di fronte agli jugoslavi sia la inattuabilità del Territorio Libero come Stato indipendente, sia il predominante suo carattere italiano, non solo la Tripartita sarà annullata, ma ogni speranza di indurre gli jugoslavi a ragione scomparirà.

IV. Dal punto di vista politico, quali possibilità effettive, quali mezzi di pressione reali abbiamo sia verso gli Alleati, sia verso Tito, per raggiungere i nostri obbiettivi? Verso gli Alleati, anzitutto, noi non dobbiamo farci ricattare dalla minaccia di abbandono della Zona A. Gli inglesi ripetono ad ogni momento che se ne vogliono andare: io non dubito della loro buona fede, almeno per il momento, ma vi è senza dubbio nelle loro continue dichiarazioni al riguardo un monito per noi. Essi ritengono che i più spiacenti di una simile soluzione saremmo noi: sia per non pregiudicare la Zona B, sia per non trovarci faccia a faccia con gli jugoslavi.

Bisogna che noi non subiamo tale ricatto: e che ad ogni offerta in tal senso rispondiamo di essere dispostissimi ad avere la Zona A, a difenderla, e a mantenere le nostre rivendicazioni sulla Zona B. Tale mezzo è però semplicemente negativo.

Ad esso deve aggiungersi l’argomento positivo, riguardante i nostri rapporti con la C.E.D. Io penso che il presidente abbia fatto benissimo ad accennare ad Eden: senza abusarne, dobbiamo far capire ben chiaro che sarà ben difficile che il Parlamento ratifichi e che se pure il Parlamento ratificasse l’accordo, le nostre forze non potranno mai essere pienamente disponibili fino a che la situazione sulla frontiera jugoslava non sia regolata.

Io credo che non bisogni aver timore né di far valere l’argomento, né di metterlo in pratica ove occorra.

V. Quanto agli jugoslavi, il solo argomento che possa avere una influenza su di loro è quello relativo alla possibilità che domani ritorni sul tappeto la questione più ampia della Venezia Giulia, o almeno della costa istriana di maggioranza italiana, inclusa Pola. Sotto questo aspetto, le querimonie jugoslave sulla nostre pretese mire nella Venezia Giulia e nei Balcani in fin dei conti ci giovano: se Allen, come ha riferito Martino, è giunto a chiederci se noi rinunceremmo ai rimanenti territori in caso d’accordo, forse questo è un segno che a Belgrado si comincia a riflettere al riguardo.

Bisogna dunque far intendere a Tito che più passa il tempo e la situazione si tende, più i risentimenti e le rivendicazioni italiane aumenteranno. Egli ha tutto l’interesse a consolidare con un accordo bilaterale ciò che ha ottenuto soltanto grazie alla disfatta fascista ed al trattato di pace.

Se poi in avvenire più lontano, una crisi avvenisse in Jugoslavia, o un conflitto in Europa, è chiaro che tutte le posizioni e tutti gli accordi ne rimarrebbero sconvolti ugualmente.

VI. In conclusione ripeto che, nell’aprire queste delicatissime trattative, noi dobbiamo avere un duplice fine: o di raggiungere un accordo, o di precostituirci la base per chiedere agli Alleati al momento opportuno una nuova e più sostanziale modificazione della situazione nel caso che le trattative falliscano.

Le trattative possono presentare un pericolo per noi nel caso che esse falliscano senza che noi abbiamo preventivamente stabilita la nostra linea d’azione per tale eventualità. La situazione diverrebbe statica e si prolungherebbe indefinitamente: gli Alleati deriverebbero un nuovo titolo alla loro permanenza nel T.LT. dalla loro funzione di garanti dell’ordine di fronte a due queruli irriducibili vicini; quelle correnti indipendentiste che oggi esistono negli uffici del G.M.A. potrebbero alla lunga trovare maggiore ascolto a Washington e a Londra.

Anche in politica non bisogna indurre in tentazione, e se si creasse una situazione simile tali conseguenze nasceranno dalle cose, indipendentemente da ogni piano preconcetto, e da ogni così detta perfidia d’Albione.

A noi tocca prevederlo: ed essere quindi tanto moderati e prudenti nell’impostare le trattative, quanto disposti a essere fermi e decisi nel caso che esse falliscano: sia nell’accettare ed anzi persino nel chiedere senza esitazione la Zona A, sia nell’esercitare tutte le pressioni in nostro potere per difendere i rimanenti territori italiani.

VII. Per intanto, domani Theodoli andrà da Harrison10 per fare il primo passo, esponendo in termini generali i nostri intendimenti, sulla base dei punti a) e b) del telespresso 927/c.

Prima di precisare, e di parlare a Strang e a Eden, anche in vista della prossima visita di Acheson, credo sia bene che io riceva un cenno di approvazione circa l’opportunità di presentare il pro-memoria accluso. Se approvato, basterà un semplice telegramma. Altrimenti aspetterò le istruzioni per corriere11.


609 1 Riferimento al protocollo in partenza da Londra. Si tratta del T. s.n.d. 7083/293 con il quale Brosio, rispondendo al D. 588, aveva anticipato l’invio del presente documento.


609 2 Il contenuto della telefonata venne trascritto nel seguente appunto datato 12 giugno: «… Zoppi le fa dire che Tarchiani ha già fatto il passo, e che probabilmente Quaroni stava per farlo oggi o domani. Pare che Acheson parlerà delle conversazioni italo-jugoslave nel prossimo incontro con Eden e Schuman. Zoppi ritiene che comunque nel quadro delle istruzioni generiche che Tarchiani e Quaroni hanno avuto non vi sia pericolo di pregiudicare alcunché. Quanto alla preoccupazione che l’esecuzione dell’accordo di Londra possa essere ritardata o pregiudicata dall’inizio delle trattative, Zoppi osserva che purtroppo il ritardo nell’esecuzione dipende da noi in quanto ancora non si riesce ad ottenere la nomina dei funzionari del Ministero dell’interno che Winterton e Carrobio stanno sollecitando da 15 giorni. Zoppi ritiene quindi che si possano iniziare i contatti col Foreign Office …».


609 3 Del 3 giugno, trasmetteva a Parigi, Londra e Washington il D. 574.


609 4 Vedi D. 588.


609 5 Non pubblicato, anticipava e commentava le istruzioni di cui al D. 588.


609 6 Vedi D. 551.


609 7 Per il testo definitivo del promemoria vedi D. 633, Allegato.


609 8 Vedi DD. 248, 293, 302, 311, 318, 329, 362 e 423.


609 9 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


609 10 Vedi D. 618.


609 11 Per la risposta vedi D. 623.

610

IL DIRETTORE GENERALEPER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI

T. s.n.d. 5839/103. Roma, 17 giugno 1952, ore 22.

In relazione quanto richiesto ultimo paragrafo telegramma V.E. n.1531, riporto, qui di seguito commenti avanzati da nostro Stato Maggiore e che ne rappresentano il pensiero:

1) Criteri messi a base studio definizione obiettivi da raggiungere per ’53, ’54, ’55 sono di carattere strettamente militare. Stato Maggiore condivide per tanto posizione assunta da ammiraglio Dick.

2) Per quanto riguarda nostra posizione, Stato Maggiore ha inviato seguente risposta allo Standing Group: «Stato Maggiore italiano desidera mantenere gli obiettivi di forze previsti per il 1953, 1954, 1955 cui raggiungimento è per altro subordinato effettivo arrivo materia e future assegnazioni di fonti».

3) Come orientamento generale Stato Maggiore ritiene non potersi scendere al di sotto obiettivi forze previsti Lisbona già notevolmente più bassi di quelli studiati sede E.M.M.O. e comportanti pericoli che potrebbero andare al di là rischi calcolati. Raggiungimento obiettivi previsti è naturalmente subordinato sia effettivo arrivo materiali di cui siamo fortemente deficitari sia future assegnazioni fondi.

Corso lavori per riconciliazione si dovrebbero per tanto tener presenti riflessi derivanti modificazione obiettivi e rischi conseguenti.

4) Stato Maggiore ribadisce necessità mantenere segreto su dati relativi entità forze che dovrebbero essere indicati in appendici da riprodurre in numero limitato di copie.


610 1 Vedi D. 589.

611

IL DIRETTORE GENERALEPER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Appunto riservatissimo 21/1428. Roma, 17 giugno 1952.

Nel pomeriggio di lunedì 16 giugno, nelle sede del suo Ministero, il ministro del bilancio on. Pella ha avuto un incontro con il nuovo comandante atlantico in Europa, generale Ridgway, presenti il direttore generale della Cooperazione internazionale presso il Ministero degli esteri, ministro Magistrati, il segretario generale del C.I.R., prof. Ferrari Aggradi, e l’ammiraglio Capponi, addetto allo S.H.A.P.E. di Parigi.

L’incontro ha avuto particolarmente il carattere di una «presentazione» cordiale e cortese e buona parte della conversazione si è svolta quindi su temi molto generali ed improntati al desiderio del generale Ridgway di prendere un contatto diretto e personale con le principali autorità dello Stato italiano. Il generale quindi ha ripetutamente messo in rilievo i suoi sentimenti di viva simpatia nei confronti dell’Italia, paese che egli non vedeva da oltre cinque anni e di cui ha potuto già riscontrare i grandi progressi compiuti nell’opera di ricostruzione.

Nel trattare poi – anche se sempre su temi molto lati – il problema del riarmo europeo, il generale ha posto in rilievo come, fin dall’inizio della sua azione quale principale responsabile militare in Europa, abbia tratto la sensazione che è meglio, a tutti i fini, poter contare su elementi di difesa sicuri e completi, anche se limitati in numero: «meglio poco ma buono – egli ha detto – che molto e scadente». E a questo proposito egli ha ricordato gli episodi della guerra coreana, allorché ottime truppe sono state praticamente annientate «in Corea – egli ha aggiunto – cadere nelle mani dell’avversario è sinonimo di annientamento» soltanto per mancanza di munizionamento, dato che in guerra si può persino rimanere senza viveri e senza acqua per qualche tempo, ma nulla è possibile compiere allorché si resta senza munizioni, ossia praticamente disarmati. Sempre sull’argomento il generale ha poi concordato con ministro Pella nel ritenere come sia preferibile possedere «tre case con finestre e porte che non cinque aperte a tutte le intemperie».

Il generale si è dimostrato poi conscio dell’importanza grandissima, ed anzi decisiva, degli elementi relativi alla sicurezza economica, finanziaria e sociale proprio per il settore della difesa, ed ha avuto parole di ampio riconoscimento nei confronti dell’azione svolta dal Governo italiano per il raggiungimento dell’attuale stabilità finanziaria.

Il ministro Pella, a sua volta, nell’entrare nell’argomento della «conciliazione» tra elementi economici ed elementi militari nella vita del paese, ha brevemente accennato alla particolare situazione italiana ed alla circostanza costituita dall’esiguità, tutt’ora esistente, del reddito nazionale medio «pro capite» di ogni italiano, calcolabile in 290 dollari lordi all’anno contro oltre 500 dei francesi, 900 degli inglesi e 1.400 degli americani: situazione questa della quale occorre sempre tener conto e che dimostra come lo sforzo, sostenuto attualmente dall’Italia, di impegnare per le spese di difesa oltre il 7% del suo reddito totale sia indubbiamente di notevolissima rilevanza.

Il ministro Pella, inoltre ha fatto preciso cenno di quattro settori nei quali l’Italia conta di ottenere il sostegno americano, proprio allo scopo di essere messa in condizione di compiere ogni maggiore sforzo per contribuire alla protezione comune e cioè:

1) concessione di aiuti economici;

2) concessione di end-items in quantitativi sufficienti;

3) concessione di contratti per la produzione in territorio italino di commesse off-shore;

4) particolari facilitazioni per lo sviluppo della sua emigrazione.

Su questo ultimo punto il ministro Pella ha dato al generale alcune notizie sul costante aumento demografico italiano.

Si prega di voler portare quanto sopra a conoscenza di S.E. il presidente del Consiglio.

612

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservato 7632/3182. Washington, 17 giugno 19521.

Telespresso di questa ambasciata n. 7354/3054 del 10 giugno2.

Il Dipartimento di Stato ha seguito con molta attenzione il recente dibattito parlamentare in Italia per la ratifica del trattato costitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. In particolare ha destato qui favorevole impressione l’energico intervento del presidente del Consiglio in risposta agli attacchi e alle polemiche dei comunisti3.

Mentre noi abbiamo preso atto di tali dichiarazioni, da parte americana ci è stato aggiunto che non si sarebbe mancato manifestare anche pubblicamente il proprio compiacimento al riguardo.

Con l’occasione il discorso è caduto altresì sulla prossima ratifica del trattato costitutivo della Comunità di difesa europea.

Al riguardo, in base a informazioni pervenute da Roma al Dipartimento di Stato, questo spera che l’approvazione possa essere votata nel mese di luglio dalla Camera dei deputati e all’inizio dell’autunno dal Senato. Per quanto non ci sia stato fatto alcun accenno esplicito al riguardo, abbiamo ragione di ritenere che il Dipartimento sarebbe in complesso lieto se tale schedule potesse essere mantenuta.


612 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


612 2 Non pubblicato.


612 3 Si riferisce al discorso pronunciato da De Gasperi il 12 giugno alla Camera dei deputati in sede di ratifica del trattato istitutivo della C.E.C.A., vedi Atti parlamentari Camera dei deputati, Discussioni, 1952, vol. XXXI, seduta pomeridiana del 12 giugno, pp. 38765-38767.

613

IL MINISTRO A TEL AVIV, GIUSTINIANI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 763. Tel Aviv, 17 giugno 1952.

Sono stato testè informato del passo recentemente compiuto costà da codesto ministro di Israele per proporre l’immediata liberazione dei nostri beni sotto sequestro contro l’assicurazione – da rendersi di pubblica ragione in un comunicato – dell’inizio delle trattative per la conclusione di un trattato di amicizia e accordi vari1.

La mossa mi sembra più abile che non veramente intelligente, più destinata a metterci in imbarazzo che non intesa a un’effettiva collaborazione.

Comunque, la liberazione dei nostri beni – che rappresenta più che altro un interesse morale: praticamente questi beni possono considerarsi molto compromessi se non perduti – e da tempo – è cosa per noi non trascurabile. Sarebbe bene poterla incassare. Non però, penso, a quel prezzo.

E mi sto domandando se, per uscire dal supposto impaccio e allargare in pari tempo i termini della trattativa, non sarebbe il caso di connetterla con quel sondaggio attualmente in corso allo scopo di vedere se il progetto La Terza delle due «città aperte» di Gerusalemme possa essere attuato2.

Non già che, a mio avviso, come mi spiego in altra sede, tale possibilità oggi almeno, sussista, ma in quel quadro il Ministero potrebbe forse svolgere un azione intesa a esplorare le possibilità di concretare qualche cosa e comunque, se ritenuto opportuno, «annegare» la proposta israeliana.

Ti do l’idea per quello che vale scusandomi se ti avrò fatto soltanto perdere del tempo3.


613 1 Vedi D. 591.


613 2 Vedi D. 579.


613 3 Vedi D. 630.

614

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

T. segreto 5880-5881/c. Roma, 18 giugno 1952, ore 23,55.

(Per Bonn Bruxelles Aja Lussemburgo) Si trascrive quanto si telegrafa in pari data ad ambasciata Parigi.

(Solo per Parigi) Suoi 556 e 5571.

(Per tutti) 1) Per tesi concentrazione sedi, che riconfermiamo, intendiamo che tutti gli organi di entrambe le Comunità debbano essere stabiliti in un unico luogo. Quanto a scelta città, saremmo disposti accettare Strasburgo non solo per considerazioni svolte da Schuman, ma anche perché in tal modo verrebbe tenuto in giusta considerazione noto piano Eden per riforma Consiglio d’Europa. Ben inteso a titolo provvisorio, nel senso che la decisione definitiva circa la sede dell’Autorità politica federale dovrà essere riservata all’Assemblea che uscirà dall’applicazione dell’art. 38.

2) Circa iniziativa franco-italiana per l’anticipata applicazione dell’art. 38, suggeriamo di proporre congiuntamente alla prossima riunione dei ministri che mediante un protocollo speciale i sei ministri concordino di affidare gli studi di cui all’art. 38 all’Assemblea C.E.C.A. fino ad entrata in vigore trattato C.E.D.; Assemblea C.E.D. non appena formalmente insediata darà approvazione agli studi così compiuti, continuando procedura prevista in detto articolo 38.

3) Riterremmo opportuno inoltre che di tale iniziativa delegati italiano e francese diano notizia prossima riunione Comitato direzione C.E.D. affinché altri quattro paesi possano prendere posizione in occasione riunione ministri.

4) Per scelta presidente della Corte (unica per C.E.C.A. e C.E.D.) avanziamo candidatura Pilotti. Chiediamo che ci venga assegnato posto settimo giudice o uno dei due posti avvocato generale. Chiediamo Schuman confermarci avanti riunione ministri se possiamo contare su appoggio francese.

5) Per rappresentante italiano Alta Autorità ci riserviamo far seguire fra breve nominativo.

6) Per Comitato consultivo C.E.C.A. dobbiamo insistere per assegnazione Italia quattro posti, cioè un italiano anche per categoria produttori carbone. In ogni caso non possiamo accettare un numero seggi inferiore a quello dell’Olanda, di cui cifre globali ponderate di produzione e consumo sono inferiori alle nostre.

(Solo per Parigi) Pregasi dare visione presente telegramma anche a Cavalletti.


614 1 Vedi D. 603.

615

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTIAL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7447/569. Parigi, 18 giugno 1952, ore 23,25(perv. ore 24).

Mia lettera 10/135 del 14 corrente1 e telegrammi 5382 e seguenti.

Osservatore americano C.E.D. Tomlison mi ha espressamente confermato che Governo americano caldeggia vivamente eventualità che ad Assemblea carbone e acciaio sia dato mandato iniziare noti studi federativi.

Vedendo con minor favore che mandato sia attribuito ad Assemblea Consiglio Europa.

Da parte americana si ritiene che inizio anticipato studi federativi sarebbe fattore che, unitamente a sollecite ratifiche trattati da parte parlamenti inglese, americano e tedesco, renderebbe impossibile a Parlamento francese assumersi responsabilità rifiutarsi ratificare.

Tomlison mi ha mostrato lettere di Bruce in cui, informando che Truman pensava fare pubblica dichiarazione in favore inizio immediato studi federativi a sei, si domandava parere questa ambasciata Stati Uniti. A dire di Tomlison ambasciata avrebbe risposto ritenersi più opportuno attendere per dichiarazione che Governi interessati abbiano preso iniziativa, onde evitare apparenza che essi agiscano non liberamente. Tuttavia si è consigliato a State Department di far conoscere a Governi in maniera opportuna pensiero Washington su argomento.

Avendo domandato a Tomlison quanto gli risultasse su atteggiamento tedesco, mi è stato risposto sapere essere favorevole.

Ho detto a Tomlison esser lieto che pensiero Governo americano coincidesse pienamente con quello di V.E., che fin dall’inizio si è energicamente adoperato per sviluppi federativi più rapidi possibili. Gli ho anche accennato, pur naturalmente riservando completamente atteggiamento definitivo che V.E. crederà di prendere, a possibilità che questione di cui si tratta sia sollevata in prossima riunione ministri.


615 1 Non pubblicato.


615 2 Vedi D. 593.

616

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Appunto. Roma, 18 giugno 1952.

I rapporti ufficiali tra l’Italia e l’Albania sono stati ristabiliti nel 1949 con l’accreditamento a Tirana del ministro Formentini e con quello a Roma del ministro Zenel Hamiti. Quest’ultimo veniva richiamato nel luglio 1950 e la legazione di Albania a Roma veniva retta da un incaricato d’affari. Parimenti la nostra legazione a Tirana, dopo la partenza del ministro Formentini è stata retta da un incaricato d’affari.

Sin dal 1945 l’Italia aveva cercato di riallacciare le relazioni con il Governo di Enver Hoxa a mezzo della missione dell’on.le Palermo, allora sottosegretario di Stato alla Difesa, che nel marzo 1945 concluse un accordo per i rimpatri e per la sostituzione degli specialisti necessari alla ricostruzione dell’Albania, che il Governo comunista di Tirana tratteneva forzatamente nel paese. Successivamente fu inviata, sempre a titolo ufficioso la missione Turcato, che cercò di applicare l’accordo Palermo-Hoxa, senza raggiungere i risultati sperati. Licenziata dal Governo albanese la missione Turcato, la situazione degli italiani rimasti senza protezione alcuna andò rapidamente aggravandosi: si ebbero arresti, confische, persecuzioni, processi ed anche fucilazioni. Soltanto nel 1948 fu possibile ristabilire contatti, attraverso la legazione a Sofia, con il Governo di Tirana, che portarono alla ripresa dei rapporti diplomatici.

I seguenti motivi ci spinsero a ristabilire la relazioni con Tirana:

1) proseguire nel rimpatrio degli italiani nonché provvedere alla tutela dei nostri connazionali che continuassero a risiedere in Albania;

2) regolare le questioni economiche derivanti dal trattato di pace provvedendo ad una valutazione dei nostri beni in Albania ai fini del pagamento delle riparazioni imposteci dal trattato stesso;

3) seguire da vicino la situazione politica albanese, che a quel tempo sembrava ancora piuttosto fluida.

L’unico obiettivo che si è potuto raggiungere fu il rimpatrio della grande maggioranza dei cittadini italiani che espressero il desiderio di ritornare in Italia, tanto che attualmente la comunità italiana in Albania ammonta a qualche diecina di famiglie, oltre ai detenuti. Tutte le altre questioni sono rimaste insolute. Non solo non è stato possibile con la nostra presenza a Tirana impedire che i nostri connazionali fossero sottoposti alle più crudeli vessazioni poliziesche – che non trovano paragone neppure nel trattamento fatto ai nostri connazionali in altri Stati oltre la cortina di ferro – ma neppure c’è stato mai consentito quell’ordinaria assistenza prevista dalle convenzioni e dalle consuetudini internazionali. Un numero imprecisato di detenuti (una trentina) è così tutt’ora trattenuto nelle carceri albanesi senza che ad essi sia possibile alcun contatto con la nostra rappresentanza.

Per il resto valga la seguente sommaria elencazione:

Beni italiani in Albania e riparazioni. Il Governo albanese ha insistito nel voler trattare soltanto la questione delle riparazioni, pretendendo che noi accogliessimo a Roma una delegazione albanese che avrebbe dovuto concludere un accordo per le riparazioni senza stabilire alcun collegamento con la questione della valutazione dei nostri beni in Albania. Le pretese albanesi non hanno evidentemente potuto essere accettate da noi. La questione è rimasta pertanto ad un punto morto.

Sede demaniale della nostra rappresentanza. Non c’è stata restituita per evidente cattiva volontà albanese. La nostra legazione è attualmente alloggiata in un immobile di affitto.

Rapporti economici. Non esistono accordi commerciali, la cui stipulazione offrirebbe d’altra parte a noi un ben scarso interesse.

È tuttavia da tener presente che l’economia albanese trae notevolmente profitto dalla possibilità di commerciare con i porti italiani dell’Adriatico, specialmente con Trieste, che costituisce un importantissimo legame delle comunicazioni Albania-paesi cortina di ferro.

Numerosi sono stati gli incidenti di navigazione imputabili all’Albania, che ha sequestrato illegittimamente due motopescherecci italiani nel 1948 ed ha in varie occasioni fatto oggetto di ingiustificate aggressioni il naviglio commerciale italiano in pacifica e normale navigazione al largo delle coste albanesi.

A parte le suddette, ed altre questioni che non hanno trovato soluzione, occorre notare che il Governo di Tirana ha dimostrato, da un anno a questa parte, una particolare animosità dei nostri riguardi, non perdendo occasione per accusarci delle più fantastiche azioni ai danni della sovranità albanese (violazione delle acque territoriali, sorvolo, atti di sabotaggio e di spionaggio e persino di lancio di paracadutisti).

L’azione diplomatica di Tirana si è così ridotta nei nostri riguardi all’invio di note redatte in uno stile così offensivo e poco appropriato da obbligare la nostra legazione al loro respingimento. Contemporaneamente i nostri rappresentanti sono stati posti in uno stato di assoluto isolamento ed assoggettati ad un controllo poliziesco che raggiunge i limiti di una sistematica intimidazione. Tale stato di cose non consente alla legazione a Tirana neppure quella limitata possibilità di informazione rimasta alle nostre rappresentanze di oltre cortina.

Mentre i rapporti ufficiali tra i due paesi si sono così andati isterilendo, le autorità albanesi mantengono stretti contatti con il partito comunista italiano, che fanno beneficiare dei pochi gesti di distensione compiuti nei riguardi del popolo italiano, quale, ad esempio, il rimpatrio delle salme dei partigiani italiani caduti in Albania, avvenuto sotto l’egida esclusiva delle organizzazioni comuniste. Parimenti rappresentanti del P.C. sono sempre presenti alle celebrazioni nazionali albanesi, che forniscono ai suddetti comode tribune per vilipendere il Governo italiano.

Da quanto precede appare che il bilancio di quasi quattro anni di ripresa di relazioni con Tirana si conchiude nettamente in nostro sfavore e che pertanto l’interesse dell’Albania a mantenere relazioni diplomatiche risulta assai superiore a quello dell’Italia.

617

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A TOKYO, LANZA D’AJETA

T. s.n.d. 5915/46. Roma, 19 giugno 1952, ore 23.

Suggerimento di cui ultimo periodo mio 451 si è venuto sviluppando nel senso affidare ad on. Brusasca compito visitare talune capitali amiche Estremo Oriente, compresa Tokio, di dove potrebbe recarsi visitare nostra unità ospedaliera Corea. Prego riferire suo parere in proposito (anche per quanto si riferisce visita così) tenendo presente che attendiamo sua risposta prima di telegrafare a Manila Djakarta e altrove2.


617 1 T. 5845/44-45 del 17 giugno con il quale Zoppi aveva comunicato che, a seguito delle segnalazioni sui disservizi dell’unità ospedaliera in Corea, si stava provvedendo alla riorganizzazione della stessa.


617 2 Per la risposta vedi D. 622.

618

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. per telefono 7478/315-316. Londra, 19 giugno 1952, ore 21.

Conversazione con Harrison preannunciata mia lettera 3066 del 16 corrente1 ha potuto aver luogo soltanto oggi causa breve malattia Harrison stesso.

Harrison ha informato anzitutto che è stato comunicato ad ambasciata britannica Belgrado testo risposta a protesta jugoslava circa accordi Amministrazione Zona A2.

Nota inglese sarà analoga, ma non necessariamente identica a quella americana e verrà consegnata non appena ambasciata americana riceva analoghe istruzioni da Washington.

Harrison benché sollecitato ha esitato dare particolari. Da reticenza sottosegretario si è tratta impressione che nota non accenna minimante Zona B anche perché Harrison ha detto che Governo britannico aveva la netta sensazione che reazione jugoslava si limitava a provvedimenti poco importanti già adottati e che quindi non sembrava consigliabile di entrare in polemica con Belgrado alla vigilia conversazioni italo-jugoslave.

Circa tali conversazioni riassumo punti principali dichiarazioni Harrison.

Governo inglese è già d’accordo con Washington circa necessità appoggiare ripresa trattative ed Eden si propone discutere con Acheson nel primo dei due colloqui e precisamente martedì prossimo 24 corrente3, riservandosi poi riprendere eventualmente questione con Schuman. A tutt’oggi però Foreign Office ignora atteggiamento francese in proposito ed esito nostro passo Parigi4. In linea principio Governo inglese non riterrebbe opportuno dare Belgrado sensazione di uno schieramento anglo-franco-americano nostro favore né di un particolare interesse a che le conversazioni abbiano luogo precisamente Londra. Se ciò avverrà Governo inglese sarà ben lieto, ma ritiene che nella prima fase delle conversazioni intervento Belgrado (modalità del quale, ripeto, saranno discusse Londra settimana prossima) dovrà essere piuttosto leggero e senza forme pressione. Soltanto se trattative dessero segno arenarsi nuovamente Governi alleati esaminerebbero ulteriormente il da farsi.

All’obiezione che in tal modo appoggio degli Alleati alle conversazioni sarebbe identico a quello dato fino ad ora e rivelatosi manifestamente insufficiente, Harrison ha obiettato che allora Eden non si era interessato particolarmente alla questione che ora viceversa ha preso direttamente a cuore anche perché desidera dar luogo al più presto a ritiro truppe inglesi Trieste.

Harrison ha ascoltato con interesse impostazione che da parte nostra vorremmo dare alle conversazioni, si è dichiarato d’accordo circa necessità proporre linea etnica continua ed ha mostrato di considerare ragionevoli le precisazioni circa tale linea contenute nel secondo allegato a mia lettera in riferimento. Pur senza volere esprimere parere circa possibilità ottenere da Tito concessioni per noi soddisfacenti Harrison a però aggiunto risultargli che da parte jugoslava vi è timore che qualsiasi concessione a nostro favore non porti a chiarificazione rapporti ma apra semplicemente la porta a nuove rivendicazioni territoriali da parte nostra.

In sostanza secondo odierno colloquio inglesi apparirebbero sicuramente disposti soltanto ad appoggiare apertura trattative. Sembra certo che non intendono premere preventivamente su jugoslavi per ottenere che essi accettino nostra base di discussione prima di aprire negozianti con noi. Non è escluso che inglesi possano disporsi ad appoggiare nostra tesi nel corso delle trattative ma di ciò essi non intendono assumere alcun preventivo impegno ed in queste condizioni bisogna che noi decidiamo quando e come intendiamo avere appoggio alleato: se prima di ogni nostro contratto con jugoslavi, oppure se nel corso delle trattative ma con promessa fin da ora al riguardo, oppure infine mettendoli al corrente della nostra impostazione ed ottenendo semplicemente da loro un riconoscimento della sua ragionevolezza. Qualunque via si scelga mi parrebbe in ogni caso non solo utile ma necessario presentare i promemoria da me suggeriti per avere quanto meno da parte alleata una tacita approvazione della fondatezza della nostra base di discussione. Ciò escluderebbe anche ogni supposizione di nostra rinuncia alla Tripartita e ci lascerebbe in condizione di trarre le logiche conseguenze da eventuale irriducibile intransigenza jugoslava anche per regolare nostra ulteriore linea di condotta sia circa Zona A sia circa Zona B. Al riguardo richiamo considerazioni mia lettera sopracitata.

Essendo fissato per martedì colloquio Eden Acheson ho chiesto vedere in precedenza Strang e possibilmente anche Eden. Gradirei quindi ricevere urgenti istruzioni anche di massima5.


618 1 Vedi D. 609.


618 2 Vedi D. 551.


618 3 Vedi D. 635.


618 4 Vedi D. 608.


618 5 Vedi D. 623.

619

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. riservatissimo 3143/1624. Londra, 19 giugno 1952(perv. il 25).

Una notizia dall’Italia viene riportata con notevole rilievo in questi giorni dalla stampa britannica, ed è quella sui commenti della stampa italiana – in occasione della visita costà dal generale Ridgway – sulla organizzazione militare di tutta la zona europea mediterranea, sul carattere di «mare europeo» del Mediterraneo, sulla necessità che esso non venga posto al servizio di interessi extra-europei, ecc. Si citano articoli di «Esteri» («pubblicazione ispirata dal Ministero affari esteri», del Messaggero, nonché altri commenti stampa che vengono definiti «ovviamente ispirati». Il corrispondente del Times da Roma afferma che il timore italiano è che l’Inghilterra – per motivi connessi con le sue divergenze di vedute con gli Stati Uniti in materia di Comando navale del Mediterraneo – voglia che l’Italia passi a far parte del settore centrale del N.A.T.O., e che Grecia e Turchia appoggino il punto di vista britannico.

Cosa vi sia di fondato nel nervosismo dimostrato dalla nostra stampa – almeno secondo quanto ne scrivono i giornali britannici – io non sono evidentemente in grado di giudicare. Ma, se le corrispondenze inglesi non esagerano, mi sembrerebbe strano che gli allarmi dei giornali non rispecchiassero – in maggior o minor misura – effettive preoccupazioni da parte del nostro Governo sugli sviluppi del problema.

Nessuna comunicazione mi è d’altra parte mai pervenuta da codesto Ministero sulla questione del Comando navale del Mediterraneo, se non la trascrizione di qualche rapporto proveniente dalle nostre rappresentanze in altri paesi. Cosicché non solo non dispongo di alcun elemento di informazione sui pericoli che costà si temerebbe possano concretarsi, ma nemmeno conosco quale sia il punto di vista del Governo su questo problema che è indubbiamente fondamentale agli effetti delle nostra difesa.

Ho già riferito in precedenza (vedansi i miei rapporti 2414/1277 e 2467/1303 del 7 e 9 maggio u.s.)1 i punti di vista inglese ed americano quali mi risultano dai miei contatti qui; favorevole il primo ad un comando navale alle dirette dipendenze dello Standing Group, fautore invece il secondo della dipendenza dallo S.H.A.P.E. o addirittura del Comando del settore Sud Europa.

Da nessuna delle due parti si fa, in teoria, una questione sulla nazionalità del comandante: ma è un fatto che, mentre la tesi americana metterebbe quest’ultimo alle dipendenze dell’americano Ridgway o dell’americano Carney, la tesi propugnata dagli inglesi si presta maggiormente alla scelta di un ammiraglio britannico, dovendosi trattare di comando se non altro come «contrappeso» all’americano McCormick cui è affidato il comando dell’Atlantico, anch’esso direttamente dipendente dallo Standing Group.

Non disponendo, ripeto, di diretti elementi di informazione su cosa si desideri da parte nostra, mi devo per ora limitare ad esporre il problema quale si può vederlo da Londra al lume della logica.

Sotto tale profilo la teoria inglese sembra piuttosto calzante. Non vi è dubbio che l’elemento Europa, e soprattutto Sud Europa, rappresenta moltissimo nel Mediterraneo: ma non rappresenta tutto. Non si possono infatti considerare come «quantità trascurabili», né l’elemento Medio Oriente (anche se oggi militarmene impreparato), né l’elemento comunicazioni con l’Oriente attraverso il Canale di Suez.

Compito della flotta del Mediterraneo (per flotta intendo naturalmente anche le forze aeree ed essa assegnate) è logicamente quello di: appoggiare l’azione terrestre del settore Sud-Europa, appoggiare quella del fronte medio-orientale, proteggere il traffico da e per entrambi i settori, proteggere il traffico in transito nel Mediterraneo fra Gibilterra e Suez.

Se si tiene conto di tali funzioni, ciò che appare più logico è un comando navale che, per assolvere equamente i molteplici compiti affidatigli, sia posto alle dirette dipendenze del supremo coordinatore delle operazioni (Standing Group), piuttosto che del comandante di uno dei fronti interessati il quale logicamente sarebbe portato a subordinare in misura preponderante l’attività della flotta alle esigenze del proprio settore.

Ed è a questo punto, mi sembra, che entrano in gioco i nostri interessi più diretti. L’Italia giace tutta nel Mediterraneo, e solo attraverso questo mare può essere alimentata. A prima vista se ne dovrebbe, a mio avviso, dedurre che, a prescindere da quale sia la soluzione più rispondente alla logica, sia nostro pressante interesse egoistico che il comandate navale del Mediterraneo sia posto alle dipendenze del comandante del settore Sud-Europa. In tal modo si potrebbe infatti attendersi non soltanto un più costante appoggio navale al nostro fronte terrestre, ma anche una maggiore protezione al traffico diretto in Italia, Grecia e Turchia, che non a quello destinato al Medio Oriente o oltre il Canale di Suez.

È però questo il nostro vero interesse? E, anche se ciò fosse, ha tale soluzione serie probabilità di successo? Non possiamo correre il rischio, insistendo eccessivamente per ottenere questo optimum, che si giunga ad una soluzione al di fuori di noi e assai più dannosa di quella del Comando alle dirette dipendenza dello Stanging Group?

Non credo che neanche uno di questi interrogativi sia superfluo. Anzitutto, per quanto riguarda il nostro vero interesse, ritengo che dovremmo tenere accuratamente conto non soltanto dei vantaggi diretti che una soluzione del genere comporterebbe per il nostro fronte e per i nostri rifornimenti, ma anche delle eventuali ripercussioni dannose che essa avrebbe sull’economia generale del conflitto e quindi – di riflesso – su noi stessi.

Il Medio Oriente non rappresenta infatti qualcosa che possiamo prendere alla leggera, non è un paese che – una volta sommerso dall’avversario – costituisca un peso di meno per i suoi alleati. Esso è infatti il centro della produzione petrolifera e, per di più, la sua caduta provocherebbe anche la cessazione del traffico attraverso il Canale di Suez. Esso è cioè qualcosa la cui perdita sarebbe una perdita gravissima anche per il nostro paese.

Quanto alla effettiva possibilità che questa tesi possa trionfare, mi sembra che sia legittimo di dubitarne. Oggi essa sembra essere, o almeno lo sembrava ieri, la tesi americana: ma continuerà ad esserlo? Forse sarà un considerare i nostri potenti alleati come gente di mentalità troppo piccina, ma ho tutta l’impressione che dietro il cozzare delle due opposte tesi apparentemente spassionate rimanga sempre – come principale elemento motore – la questione della nazionalità del comandante.

Ed allora, se questa supposizione non è del tutto infondata, vi è da domandarsi se non vi siano molte probabilità che, ove Londra acceda all’idea di un americano gli Stati Uniti abbandonino la loro tesi a favore di quella inglese. Questa ipotesi comporterebbe la rinuncia, da parte britannica, all’aspirazione che nel Mediterraneo comandi un ammiraglio inglese. Ma, se il Governo di Churchill non avrà eccessivo timore delle critiche dell’opposizione (che attaccherebbe certo il Governo in caso di rinunzia), nell’insieme a loro la cosa potrebbe anche convenire, soprattutto se la sede del comando fosse a Malta.

Bisogna infatti tener presente che, da parte britannica, la soluzione di un comando direttamente dipendente dallo Standing Group – e cioè più obiettivo nei suoi giudizi sull’uso della flotta che non uno se dipendesse dal comandante del settore Sud-Europa – rappresenterebbe la certezza di una maggior protezione del fronte medio-orientale e del traffico da e per il Canale di Suez: ed è proprio su questo fronte e su questo traffico che si concentrano le principali responsabilità ed interessi inglesi nel Mediterraneo. Aggiungasi infine, che se il comando fosse a Malta, gli inglesi potrebbero anche sperare di «incapsulare» gradualmente l’ammiraglio americano ed orientarlo un poco verso le proprie vedute.

Una soluzione di compromesso raggiunta direttamente tra americani ed inglesi non mi sembra certo potersi escludere dal novero delle possibilità. I contrasti fra Stati Uniti e Gran Bretagna sono frequenti, spesso di durata anche abbastanza lunga; ma essi non intaccano mai la sostanza dei rapporti dei due paesi ed in genere finiscono col comporsi attraverso qualche formula di compromesso. È un fatto, questo, che mi sembra dover essere tenuto costantemente presente quando si assiste – come spesso accade e come riferiscono numerose nostre rappresentanze – a contrasti fra gli ambasciatori o ministri americani ed inglesi nelle varie sedi; contrasti che spesso risentono di antipatie personali e che si appianano poi a più alto livello, mettendo in posizione imbarazzante coloro che abbiano creduto di poter fare assegnamento su di essi per conseguire qualche risultato desiderato.

Non vorrei che codesto Ministero creda, dopo quello che ho detto sopra, che ho sposato la tesi inglese su questo problema. Ma voglio dire che, sulla base degli elementi di giudizio di cui dispongo da qui, tale tesi appare non priva di ragioni serie anche se – per una non strana coincidenza – essa è quella che meglio risponde alle esigenze degli egoistici interessi britannici anziché, forse, dei nostri.

E dico «forse» perché, stando alle voci che corrono e di cui la nostra stampa si sarebbe resa interprete, non vorrei che una rigida opposizione – non importa se da parte nostra od altrui – alla tesi inglese si traducesse nel ventilato tentativo di far passare la difesa dell’Italia dal Comando Sud-Europa a quello dell’Europa Centrale: in che significherebbe l’avulsione dell’Italia dal suo mare, da un lato, e dal fronte politico-militare balcanico, dall’altro; e cioè qualcosa di ben più grave, a mio avviso, che non la dipendenza del Comando navale del Mediterraneo dallo Standing Group piuttosto che da Carney.

Vi è chi mi dice che alla nota tesi inglese sia avversa la Francia, ma l’ambasciata a Washington, in un recente rapporto, affermava proprio il contrario. Vi è chi dice che vi sarebbero avverse Grecia e Turchia, ma la stampa inglese le da invece addirittura per favorevoli all’idea del nostro passaggio al settore centrale.

Si tratta, ripeto, di voci e di notizie stampa, ma non mi conviene di andare ad approfondire in questo momento la cosa al Foreign Office se non ho la più pallida idea di cosa vogliamo noi e di cosa il nostro Governo ritenga convenirci.

Un’ultima osservazione riguarda la tesi, che sarebbe stata sostenuta dai nostri giornali, del Mediterraneo «mare europeo». Mi sembra una tesi assai pericolosa a sostenere: anzitutto perché è troppo contraria alla realtà per non poter essere facilmente smontata: il Mediterraneo interesserà l’Europa finché si vuole, ma nell’ipotesi di un conflitto generale sarebbe assurdo di considerare il Medio Oriente ed il traffico con l’Asia come questioni di carattere secondario. E in secondo luogo questo è un modo troppo diretto – a mio avviso – di cacciare le dita negli occhi agli inglesi. La reazione britannica ad un simile orientamento la si può agevolmente rilevare dall’immediatezza della risposta del Times nella acclusa nota del suo corrispondente militare, che qui brevemente riassumo:

1) la teoria della natura essenzialmente europea del Mediterraneo può rispondere ad interessi politici ma è storicamente e strategicamente falsa;

2) indubbiamente la principale funzione strategica del Mediterraneo è la difesa del Sud-Europa, ma il limitarla a ciò risponde a concezioni ristrette. Il Mediterraneo è anche una via di comunicazione, e tale rimarrebbe anche qualora non si potesse far uso del Canale di Suez;

3) il fatto che la Gran Bretagna si renda pienamente conto di tutta l’importanza del Mediterraneo non giustifica l’accusa che essa voglia svolgervi una politica di prepotenza; essa conosce troppo bene i problemi di questo mare per non valutare appieno quanto la difesa del Sud-Europa verrebbe compromessa se non fosse collegata con quella di altri settori quale il settore medio-orientale;

4) la dibattuta questione del comando del Mediterraneo deve essere discussa serenamente ed amichevolmente in un’atmosfera scevra di ogni propaganda politica; «qualunque soluzione si raggiunga, essa deve riconoscere che il Mediterraneo non è mai stato, né lo è oggi, puramente o semplicemente un mare europeo».

Della Gran Bretagna noi abbiamo bisogno in molti settori, i nostri interessi si trovano a contatto (e spesso in contrasto) con i suoi nei punti più disparati; e data la differenza di potenza ci conviene spesso di ménager gli inglesi e ricercarne la buona volontà se non vogliamo che i nostri interessi finiscano col rimanere sacrificati. Ogni presa di posizione, pertanto, che urti particolarmente questo paese andrebbe – nello stesso nostro interesse – possibilmente evitata, a meno che non costituisca l’unico ed indispensabile modo di conseguire un fine estremamente importante per noi. Ora, le prese di posizione del tipo «Mediterraneo mare europeo» non so se rientrino proprio in questa eccezionale categoria.

Riassumendo, mi sembra che – sulla questione del Comando navale del Mediterraneo – l’Italia abbia due interessi suoi particolari, di cui il primo è nettamente preminente sul secondo:

1) che non si raggiungano soluzioni che comportino lo spostamento del nostro paese dal settore Sud-Europa al settore centrale;

2) che possibilmente il comando navale del Mediterraneo sia subordinato al comandante del settore Sud-Europa, o per lo meno che esso abbia sede in Italia (Napoli? Taranto?) piuttosto che a Malta.

Vi è però un interesse generale, del quale anche l’Italia è partecipe (ed anzi forse più l’Italia, potenza esclusivamente mediterranea, che non tanti altri paesi del N.A.T.O.), ed è che – chiunque sia il comandante navale del Mediterraneo – egli si preoccupi delle esigenze del Sud-Europa ma non trascuri nemmeno la funzione di tale mare nei riguardi del fronte medio-orientale e del traffico attraverso il Canale di Suez.

Dobbiamo valutare anzitutto se questo interesse generale sia, per quanto ci riguarda, di minor peso dell’interesse particolare di cui al punto 2. Ma anche se lo fosse, non dobbiamo nasconderci che nelle decisioni collettive esso potrà finire col prevalere. E mi sembra quindi ci convenga di considerare se sia davvero conveniente di batterci per la subordinazione del comandante navale a Carney, di fronte alla prospettiva non solo di non spuntarla, ma di correre il rischio di essere trasferiti alle dipendenze del Comando centro-Europa: trasferimento per il quale la nostra appartenenza all’esercito europeo (i cui corpi d’armata debbono essere misti) offrirebbe un comodo spunto a chi volesse propugnarlo e sostenerlo a nostro danno.

Queste, ripeto, sono le considerazioni che posso formulare da qui in mancanza di elementi di informazione di fonte italiana. Sarò perciò assai grato a codesto Ministero se, tenuto conto dell’importanza del problema, vorrà farmi conoscere con ogni cortese urgenza il punto di vista del nostro Governo e del nostro Stato Maggiore, fornendo anche ogni utile elemento ed argomentazione per rendermene qui interprete.


619 1 Non pubblicati.

620

IL MINISTRO A LA PAZ, NARDI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. 920/323. La Paz, 19 giugno 1952(perv. il 27).

Ho avuto ieri un primo incontro con il ministro degli esteri, Guevara Arze. La conversazione è stata ispirata alla più grande cordialità e nel corso di essa il mio interlocutore ha tenuto a sottolineare la simpatia che la nazione boliviana ha sempre nutrito per l’Italia e ad esprimere la speranza che le relazioni tra i due paesi divengano in ogni campo sempre più strette e feconde.

In questo primo colloquio non ci siamo addentrati in questioni particolari: il sig. Guevara Arze mi ha confermato infatti che, dati gravi e urgenti problemi di ordine generale che il Governo ha dovuto affrontare in queste prime settimane e dopo una rivoluzione così radicale come quella d’aprile, egli non aveva potuto ancora mettersi bene al corrente delle singole questioni relative ai nostri due paesi.

Gli ho ricordato che già da qualche tempo sono stati predisposti i testi di tre trattati (commerciale, d’emigrazione e culturale, per il quale ultimo anzi sono già in possesso dei pieni poteri per la firma), che dovrebbero costituire la base di ulteriori sviluppi nei rapporti italo-boliviani.

Il ministro degli esteri mi ha assicurato che esaminerà quanto prima la questione, così che essa possa più concretamente formare oggetto di un nostro prossimo incontro; ha aggiunto che per quanto riguarda l’accordo culturale probabilmente esso potrebbe essere senz’altro firmato verso la fine di luglio.

Non ho ancora elementi positivi per giudicare se questo Governo intenda accettare tali quali i testi degli altri due trattati o proporre delle modificazioni: la prossima settimana sarò ricevuto dal presidente della Repubblica, che so desideroso di intrattenersi con me particolarmente per avere uno scambio di vedute sulla materia delle relazioni economiche tra Italia e Bolivia, e avrò allora un quadro più preciso della situazione e degli intendimenti del Governo.

Il sig. Guevara Arze mi ha infine intrattenuto sulla questione della nomina del rappresentante diplomatico di Bolivia a Roma. La nomina verrà fatta probabilmente entro la settimana prossima e me ne verrà data subito confidenziale notizia. A tal proposito il ministro mi ha chiesto se il provvedimento per l’elevazione dell’ambasciata di questa rappresentanza sia stato ormai perfezionato, e ciò anche per regolarsi nella scelta della persona da accreditare presso il nostro Governo.

Gli ho risposto nulla di nuovo risultami in proposito, all’infuori di quanto già è a conoscenza del Governo di Bolivia. Considerato che la situazione non è ancora definita, il sig. Arze si propone di designare persona che, accreditata per il momento con lettere di ministro plenipotenziario, possa poi essere riconfermata come ambasciatore; ho dichiarato che per parte mia, allo stato delle cose, questa mi sembrava la soluzione più regolare e opportuna, ma che comunque ne avrei riferito telegraficamente a codesto Ministero (vedasi mio telegramma in proposito). Il ministro degli esteri ha voluto comunque esprimermi la speranza che tale questione possa essere in breve definita e che l’Italia possa essere qui rappresentata con lo stesso rango con il quale figurano ormai qui le maggiori nazioni sia europee che americane.

621

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. segreto 5979/287-288 (Parigi) 317 (Washington). Roma, 20 giugno 1952, ore 24.

(Per Parigi) Ho telegrafato Washington quanto segue:

(Per Washington) Suo 4541.

(Per tutti) Formula richiesta investe principio applicazione Battle Act per esportazioni autorizzate anteriormente 24 gennaio e pertanto questione non interessa solo Italia e riteniamo debba discutersi in sede multilaterale 24 corrente in seno Gruppo consultivo Co.Com.

V.E. può far notare Dipartimento che, mentre possiamo dare assoluta garanzia che autorizzazioni esportazione successive 24 gennaio sono conformi Battle Act, per esportazioni comprese in inventario esistono difficoltà di cui mio telegramma n. 3052.

Pertanto formula richiesta potrebbe essere accettata solo qualora fosse chiaramente inteso che gli international commitments siano quelli per noi esistenti al momento del rilascio delle autorizzazioni di esportazione.

Circa eventuale sospensione o revoca esportazioni inventario ripetesi che Stato italiano sarebbe esposto (oltre che perdita esportazioni e corrispondenti contropartite) ad azione legale risarcimento danni da parte esportatori lesi, nonché a pagamento penali per inadempienza contratti nei riguardi contraenti stranieri.

Ma quel che è più grave è che sospensione o revoca licenze che erano in regola secondo sistema controlli in atto al momento rilascio costituirebbe fatto illegittimo che avrebbe su opinione pubblica deplorevoli conseguenze e si presterebbe sfruttamento in sede politica.

In queste condizioni, pur rendendosi conto difficoltà sorte a seguito ultimi sviluppi legislativi Congresso, Governo italiano, esaminata la questione con tutta l’attenzione che sua delicatezza richiede, non vede malgrado sua buona volontà alcuna possibilità di sospendere o revocare esportazioni comprese inventario.

Nel far presente tali considerazioni a codeste autorità V.E. vorrà informare che di esse dovremo necessariamente tener conto nelle prossime riunioni di Parigi3.


621 1 Del 17 giugno, con il quale Tarchiani aveva trasmesso il testo che da parte statunitense si desiderava fosse inserito in una nota italiana. La formula era la seguente: «Italian Government assures the US Government that all necessary action has been taken with regard to Italian administration of controls over export of strategic commodities to insure that non future shipments will occur contrary to Italian international commitments in the matter».


621 2 Vedi D. 605.


621 3 Per il seguito vedi D. 627.

622

L’AMBASCIATORE A TOKYO, LANZA D’AJETA,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. s.n.d. 7507/89. Tokyo, 20 giugno 1952, ore 15,45(perv. ore 10,35).

Tuo telegramma 461.

Non posso che essere favorevole alla venuta dell’on. Brusasca che indubbiamente sottolineerebbe nostro rinascente interesse in questo settore nonché valorizzazione del nostro apporto in Corea.

Circa visita a Tokio dovrei ovviamente presentire questo Ministero degli affari esteri dato rilievo politico personalità in questione e necessità, a mio subordinato parere, continuare a procedere in ripresa della tradizionale amicizia e cordiale nuova crescente collaborazione senza nostri gesti o manifestazioni che possano, al momento attuale, apparire eccessivi.

Per Corea poi è da tener presente che visita on. Brusasca sarà certamente presentata come accresciuto nostro interesse allo sforzo O.N.U., interpretazione questa inevitabile che non sta a me valutare ma per cui sono personalmente favorevole.

Qualora viaggio, come spero, dovesse essere effettuato ti prego avvertirmi tempestivamente e indicarmi anche quale qualifica ufficiale sia opportuno attribuire a on. Brusasca tenendo soprattutto presente suscettibilità anticoloniale paesi asiatici ed in particolare Corea.


622 1 Vedi D. 617.

623

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. s.n.d. 5992/262. Roma, 21 giugno 1952, ore 17.

Suoi 315, 316 e lettera n. 30661.

Sono d’accordo in massima con sue considerazioni in particolare per quanto riguarda momento inizio conversazioni (punto II sua lettera) nonché per quanto si riferisce natura intervento anglo-franco-americano a Belgrado (punto III) e per quanto contenuto in punto IV.

Convengo anche su opportunità che V.E. presenti a Foregn Office promemoria allegato sua lettera tuttavia modificato secondo quanto le viene indicato per telefono2.

Richiamo infine sua attenzione su opportunità eventuale «intervento presso entrambe le parti» per ripresa conversazioni. Simile procedura nei confronti Governo italiano, che con istruzioni date a lei, Tarchiani e Quaroni3, ha assunto iniziativa ripresa conversazioni, sarebbe infatti del tutto superflua e non amichevole.


623 1 Vedi DD. 618 e 609.


623 2 Vedi D. 633.


623 3 Vedi D. 588.

624

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,AGLI AMBASCIATORI AD ATENE, ALESSANDRINI, A IL CAIRO, PRUNAS,E A LONDRA, BROSIO

T. s.n.d. precedenza assoluta 6008/c. Roma, 21 giugno 1952, ore 20.

(Per Cairo e Atene) Ho telegrafato Londra quanto segue:

(Per tutti) Voglia informare codesto Governo che, in occasione approvazione movimento diplomatico interessante varie sedi, Consiglio ministri ha nominato ambasciatore Fornari quale nostro rappresentante al Cairo. Tale nomina, sin qui ritardata nell’attesa fosse raggiunto accordo anglo-egiziano circa Sudan, non poteva essere ulteriormente procrastinata senza compromettere relazioni italo-egiziane e nostri grandi interessi in quel paese1. Avevamo potuto ritardarla adducendo necessità attendere movimento diplomatico allo studio, ma il procedere a tale movimento senza comprendervi sede Cairo avrebbe creato situazione insostenibile con rischio ripercussioni lesive nostri interessi e non giustificabili di fronte conseguenti critiche interne.

Tuttavia, nella scelta effettuata, abbiamo tenuto conto, oltre che delle eminenti qualifiche Fornari, anche della possibilità guadagnare ancora qualche tempo prima del suo invio sul posto. Infatti non abbiamo ancora nominato nuovo amministratore a Mogadiscio al quale Fornari dovrà dare consegne prima di trasferirsi al Cairo.

Non dubitiamo codesto Governo vorrà darci atto amichevole atteggiamento da noi dimostrato con lunga vana attesa soluzione nota controversia e con accorgimenti tuttora adottati2.


624 1 Il 15 novembre 1951 era stata notificata ai rappresentanti diplomatici accreditati al Cairo l’assunzione da parte di re Faruk del titolo di re del Sudan.


624 2 Con T. s.n.d. 7659/326 del 23 giugno Brosio riferiva delle negative reazioni britanniche alla comunicazione effettuata.

625

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7593/581-582. Parigi, 21 giugno 1952, ore 22,10(perv. ore 23,40).

Mi riferisco a lettera Zoppi 1001 del 18 corrente1.

Schuman mi ha detto che tesi franco inglesi ed americane circa conversazioni a quattro hanno avuto qualche riavvicinamento di dettaglio ma che divergenza sostanza resta e che discussione su questo argomento sarà oggetto principale riunione Londra.

Resistenza americana viene giustificata con osservazione che, una volta ammesso principio conversazione, questo potrebbe servire tedeschi come pretesto per rimandare ratifica accordi contrattuali e C.E.D. che invece americani insistono per avere prima vacanze estive.

Da parte francese ed inglese si fa invece presente che, mentre da parte loro non si ha dubbio alcuno su volontà Governo Adenauer perseguire politica occidentale, non si può disconoscere che questa politica incontra sempre maggiori resistenze di fronte opinione pubblica tedesca. Ammettono trovarsi di fronte manovre russe e non vere intenzioni distensione, ma questo non toglie che l’assumere apparentemente responsabilità fallimento ogni speranza accordo, possa provocare reazioni opinione pubblica tedesca in senso contrario a quello che è desiderato da americani.

Eguali preoccupazioni, anche se minori, destano qui attuali ripercussioni simile attitudine opinione pubblica francese e inglese e anche belga.

In una parola Eden e Schuman vorrebbero approfittare di questa occasione per fare presente Acheson necessità, in casi importanti come questo, tenere presente anche circostanze interne paesi europei e non (dico non) soltanto necessità Amministrazione americana di fronte Congresso. Per parte mia ho ripetuto Schuman nostro punto di vista nel suo insieme e non solo quella parte isolata che egli ne aveva raccolto e gli ho fatto nostre precisazioni.

Schuman mi ha detto:

1) non (dico non) è stata mai intenzione francese o inglese proporre riunione a livello ministri degli esteri: dato suo carattere limitato e informativo, egli ha sempre insistito perché essa sia a livello funzionari (ambasciatori) sia che essi siano Alti commissari sia funzionari grado elevato designati ad hoc;

2) ordine del giorno sarà strettamente limitato a due questioni di cui a sua lettera del 14 giugno e cioè:

a) Senso e condizioni elezioni libere;

b) regime Germania unificata prima entrata in vigore trattato pace.

Francia e Inghilterra si opporranno decisamente ad ogni tentativo russi allargare dibattito e soprattutto ad entrare in discussione su futuro trattato di pace.

Vorrebbero anche precisare ai russi che discussione due punti avrà luogo solo successivamente e cioè che punto b) sarà trattato solo dopo che sono raggiunti accordi su punto a) (ripeto a);

3) è parimenti intenzione Governo francese mettere un termine a eventuale conversazione: Schuman pensava a tre o quattro settimane ma in questo, mi dice, non è molto fermamente sostenuto dagli inglesi. Avendo avute precisazioni richieste da V.E., ho quindi comunicato a Schuman che, a queste condizioni, anche noi eravamo d’accordo. Ho pure aggiunto che portata nostro memorandum andava più in là che semplice accordo ad un determinato punto delle trattative.

Nostro punto di vista era:

1) pur lasciando a tre potenze interessante compito trattare con russi, ritenevasi che questione come questa – che interessava tutte potenze patto atlantico ed in particolare potenze C.E.D. – non poteva essere limitata unicamente decisioni tre grandi: conseguente politica, che ne seguiva per il giuoco solidarietà di fatto, finiva per legare anche noi e noi non potevamo ammettere di essere legati a politica a cui non fossimo pienamente consenzienti almeno nelle sue linee generali. Nostro accordo a posizione francese era condizionato a impegno da parte francese sostenere di fronte agli americani questa necessità allargare in qualche forma base discussioni. Schuman mi ha risposto che questa è appunto base sua politica e che intendeva parlare in questo senso con Acheson;

2) che insistevamo su necessità azione propaganda interna ed esterna concordata fra tutte le potenze atlantiche.

Se da parte nostra si desidera effettivamente nostro graduale reinserimento trattazione principali questioni, sono d’avviso che anche a queste nostre risposte converrebbe dare forma scritta anche per evitare eventuali deformazioni in un senso o in un altro del nostro pensiero.

Se V.E. è d’accordo, pregherei farmelo conoscere telegraficamente essendo opportuno ad ogni fine che ciò avvenga prima del 272.


625 1 Non rinvenuto.


625 2 Per la risposta vedi D. 626.

626

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. segreto 6034/446. Roma, 23 giugno 1952, ore 16.

Suoi 581, 5821.

Sta bene per risposta scritta. Nel redigerla tenga tuttavia presente che, secondo ultime informazioni, cancelliere Adenauer è piuttosto sulla linea americana che su quella anglo-francese, e che inglesi risultano meno fermi nel loro atteggiamento di fronte tesi americana e ciò non avendo stesse preoccupazioni carattere politico interno che hanno invece francesi. Su punto centrale attualmente in discussione V.E. vorrà quindi tenersi sulla linea mediana indicata in lettera segretario generale nel senso che concordiamo e anzi riteniamo necessario (come indicato nel precedente promemoria) che sovietici siano messi nell’impossibilità continuare loro azione propagandistica e dilatoria. Non avendo partecipato scambi vedute fra i Tre e non essendo quindi al corrente situazione, non abbiamo elementi per giudicare se per ottenere tale scopo sia necessario addivenire a conversazioni dirette (come suggeriscono anglo-francesi), o a confrontare rispettivi propositi con altro metodo (come suggeriscono americani e come sembrano inclini ritenere tedeschi). Pel caso si dovesse addivenire a conversazioni saremmo d’avviso che abbiano luogo a livello funzionari e che ad esse siano posti precisi limiti tempo.


626 1 Vedi D. 625.

627

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7675/473. Washington, 23 giugno 1952, ore 21,08(perv. ore 9,30 del 24).

Miei 4541 e 4692.

Dipartimento Stato informa confidenzialmente presidente firmato stamane richiesta a Congresso eccezione per «rettificatrice». Lettera accompagnata da rapporto Harriman al presidente, che dovrebbe essere reso pubblico domani. Rapporto constata che «Italy knowingly permitted» esportazione, rileva errori amministrativi da parte italiana, descrive tipo macchinario, dichiara che, dato contributo italiano nel quadro N.A.T.O., sospensione ogni aiuto sarebbe pregiudizievole sicurezza Stati Uniti. Enumera quindi vari controlli esportazione in vigore in Italia per «prevenire ovvero limitare drasticamente esportazioni a blocco sovietico». Non vi è cenno a nostre assicurazioni specifiche e a nota formula, ma precisasi solo che «Stati Uniti espresso loro preoccupazioni e chiesto Italia rafforzare controlli amministrativi per evitare ulteriori spedizioni tale natura».

Documento stilato in riunioni interne questa Amministrazione è stato illustrato questa ambasciata in via preliminare e confidenziale. Dipartimento, scusandosi varie contraddittorie notizie dateci ultimi giorni circa elaborazione e pubblicità documento ha osservato che, confidando Governo italiano darà richieste assicurazioni di cui nota formula ha ritenuto opportuno non ritardare firma presidente. Ciò anche perché in mancanza eccezioni, corresponsioni aiuti, dato lungo lasso tempo trascorso da esportazione, potrebbe subire sospensione o ritardi.

Dati riferimenti contenuti in rapporto concernenti errori amministrativi, nostre infrazioni, nostro sistema controlli commercio est ovest, tenterò evitare pubblicazione, pur non nascondendomi estrema difficoltà ottenere mutamento totale prassi qui prevista per richiesta eccezioni Battle Act.


627 1 Vedi D. 621, nota 1.


627 2 Del 21 giugno, non pubblicato.

628

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1073/415. Amman, 24 giugno 1952(perv. il 28).

Nell’udienza avuta giorni fa dal primo ministro, ho creduto anzitutto opportuno di esporgli la chiara e netta posizione della politica italiana nei confronti degli arabi in generale e della Giordania in particolare, in base alle direttive datemi da S.E. Taviani.

Gli ho poi spiegato lungamente l’importanza ed il significato delle nostre recenti istituzioni: il Centro per le relazioni italo-arabe e la Compagnia commerciale per il Levante, due organismi attraverso i quali noi ci proponiamo di porre su basi concrete e pratiche la nostra amicizia verso gli arabi.

Abul-Huda, che mi ha frequentemente interrotto durante il mio dire per chiedermi delle precisazioni, ha, alla fine, manifestato il suo vivo apprezzamento per quanto l’Italia fa per una sempre maggiore intesa con gli arabi, e mi ha pregato di ringraziare sentitamente V.E e S.E. Taviani, augurandosi che si presenti presto un’occasione per potersi incontrare di persona a Roma, oppure in Amman.

È stato poi il primo ministro che ha assunto – come si dice – la direzione della conversazione ed ha parlato di vari argomenti di grande interessi per noi:

1) Cooperazione culturale. Prendendo lo spunto dalla mia comunicazione che l’Italia per sottolineare vieppiù l’interesse che porta alla Giordania, ha deciso di concedere un’altra borsa di studio, da destinarsi al miglior allievo diplomato dalla Scuola dei Salesiani di Betlemme, e ricordando la proposta che nell’aprile scorso gli fece il ministro Jannelli, Abul-Huda mi ha detto che desiderava veder messo in essere al più presto un accordo culturale. «Non un gran trattato – ha aggiunto –, per il momento credo che sia bene limitarci a pochi articoli che pongano e definiscano il problema della cooperazione culturale fra i nostri due paesi. Noi non abbiamo purtroppo la possibilità di concedere borse di studio agli studenti italiani, – sapete le condizione del nostro bilancio – ma potremmo far loro delle facilitazioni; si potrebbe stabilire uno scambio di conferenzieri, pubblicazioni, riviste, ecc. Insomma un primo passo verso qualcosa che si svilupperà nel futuro».

Ha concluso invitandomi a mettermi in rapporto col ministro dell’educazione nazionale, al quale avrebbe dato le direttive del caso.

2) Trattato di commercio. Il primo ministro si è mostrato poi desideroso di concludere un accordo commerciale con l’Italia. Al che io gli ho risposto che anche noi ci auspicavamo di veder presto in essere una convenzione del genere, ma che prima di tutto bisognava risolvere la questione dei fosfati, onde creare in Giordania la indispensabile contropartita alle nostre importazioni. Abul-Huda ha convenuto sull’opportunità di tale «temporaneo» rinvio, ed il discorso è passato sui fosfati.

3) Fosfati. Ho detto al primo ministro che ero latore di ottime proposte della S.F.I.O.R. per risolvere l’art. 10 dell’accordo (quantitativi annui da esportare), e che quindi ormai la convenzione doveva entrare in porto. Però – ho aggiunto – ero rimasto al quanto sorpreso al mio arrivo in Amman, nell’apprendere che si parlava di «nazionalizzazione» dei fosfati.

Abul-Huda ha risposto che la notizia era inesatta. Il Governo giordanico – visto che da 3 anni la S.F.I.O.R. non si decide a mettere in lavorazione le miniere e considerato che vi è assoluto e urgente bisogno di valorizzare tale ricchezza – ha deciso di «partecipare» con il gruppo arabo, che ha oggi i permessi di sfruttamento dei fosfati, alla messa in funzione dei giacimenti fosfatiferi. Per il momento si tratta però di una decisione del Consiglio dei ministri, e non è diventata ancora esecutiva. «Nulla impedisce alla S.F.I.O.R. – ha sottolineato – di continuare le sue trattative con il Governo e rivolgetevi quindi come d’abitudine al ministro dell’economia».

(Facendo una parentesi a tale colloquio, informo V.E. che ho già visto due volte il ministro dell’economia; gli ho presentato la nuova controproposta S.F.I.O.R. per l’art.10, illustrandogli tutto l’onere che assumeva il gruppo italiano sia per gli alti quantitativi da esportare, ogni anno, sia per l’impegno di costruire a sue sole spese la ferrovia o la filovia per Aqaba; ed infine sto agendo presso di lui e soprattutto presso gli azionisti arabi (fra cui i deputati Bdeir e Cattan) perché la progettata «nazionalizzazione» non abbia luogo, per evitare di aver da fare con il Governo, anziché con dei privati con i quali è molto più semplice mettersi d’accordo).

4) Potassio. Il primo ministro mi ha poi parlato del Mar Morto. Egli ha fretta di mettere in valore le ricchezze del Mar Morto (potassio, bromo, ecc.). Già nel dicembre scorso mi fece delle chiare offerte al riguardo (v. mio telegramma n. 47 del 25 nov. 51)1, ma finora nessun italiano si è presentato. Ecco – ha concluso Abul-Huda – un altro campo in cui si può fare dell’ottima collaborazione fra Italia e Giordania. Parlatene subito col ministro dell’economia.

5) Strada Amman-Aqaba. Infine il primo ministro mi ha detto che il Governo vuole costruire una nuova strada Amman-Aqaba valendosi dell’aiuto finanziario del punto IV. Ma che egli pensava anche di avvalersi dell’opera dei nostri tecnici per affidare tale opera alla direzione di italiani; «maestri nell’arte di costruire le strade» – ha sottolineato.

Mi ha quindi invitato a mettermi subito in contatto per quest’iniziativa, come per il potassio, con il ministro dell’economia.

Su tali miei contatti riferisco sub n. 1075/417 del 24 corr.1.


628 1 Non pubblicato.

629

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7778/189. Mosca, 25 giugno 1952, ore 23,20(perv. ore 7,45 del 26).

Mio telespresso 695 del 29 maggio1.

[Ambasciatore] americano mi ha informato stamane di essere stato convocato ieri sera repentinamente da Vyshinky per ricevere nota sovietica di protesta2 contro ultima intesa londinese circa Trieste. Analoga consegna è stata fatta ad ambasciatore d’Inghilterra.

A quanto dettomi, nuovo documento sovietico non si distaccherebbe da tono generico cui erano improntate precedenti note moscovite relative al Territorio Libero. Esso ripete consuete accuse ad anglo americani di violazione nostro trattato di pace e riafferma noto punto di vista del Cremlino per l’applicazione del trattato stesso.

Nota verrà pubblicata domani o dopodomani.


629 1 Non pubblicato.


629 2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XVI (1952), n. 27, p. 667.

630

IL CAPO DELL’UFFICIO III DEGLI AFFARI POLITICI, DE STROBEL,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI

Appunto. Roma, 26 giugno 1952.

Si acclude copia di lettera in data 8 corr. diretta dal ministro d’Israele a Roma al sottosegretario on. Dominedò1.

Da indagini esperite, risulta che l’originale della lettera è andato smarrito: essa non è mai pervenuta né alla Segreteria del sottosegretario, né al S.E.T., né tanto meno all’Ufficio. Essa non ha pertanto avuto finora alcun seguito.

La lettera propone l’immediata liberazione dei nostri beni sotto sequestro contro l’assicurazione – da rendersi di pubblica ragione in un comunicato – dell’inizio delle trattative per la conclusione di un trattato di amicizia e accordi vari.

Il ministro Giustiniani, nella lettera acclusa in copia, fa delle riserve su tale proposta2.

A parere dell’Ufficio si dovrebbe rispondere agli israeliani, che mentre siamo disposti a discutere accordi parziali di carattere tecnico (accordo aereo, di estradizione, ecc.) riteniamo per ora non attuale un accordo di amicizia, sia pure limitato alle sole clausole di stile. Tanto meno potremmo aderire alla diramazione di un comunicato del genere di quello propostoci.

L’Ufficio concorda pertanto con il ministro Giustiniani nel ritenere che, pur essendo la liberazione dei nostri beni un interesse che ci sta a cuore, il prezzo richiestoci è troppo alto.

L’Ufficio invece è piuttosto perplesso sull’opportunità di entrare ora in discussione con gli israeliani sulla nota proposta di Gerusalemme città aperta, presentandola loro, secondo la proposta del ministro Giustiniani, come la contropartita che noi chiediamo per iniziare le trattative per l’accordo d’amicizia.

È noto infatti che su tale proposta la Segreteria di Stato vaticana si è riservata di sondare i vari Governi interessati. Finora non si è avuta alcuna risposta: sembra quindi prematuro, una volta che la Segreteria di Stato è stata investita di tale proposta, entrare in discussione con gli israeliani, prima di sapere in quale azione essa si concreterà.

Vi è inoltre, a parere dell’Ufficio, un altro argomento che consiglia di non valersi, per ora, di tale argomento. Sono in corso consultazioni con i vari Governi interessati sulla recente decisione del Governo israeliano di trasportare a Gerusalemme il Ministero degli affari esteri e il Governo britannico si è già dichiarato d’accordo con il nostro punto di vista, contrario ad accettare senz’altro tale decisione. Secondo quanto ha testè comunicato all’Ufficio il consigliere belga, il Quai d’Orsay ha chiesto agli americani e agli inglesi di «far qualche cosa».

Se tali consultazioni sfociassero nella decisione di un’azione comune delle potenze interessate per evitare il trasferimento del Ministero degli affari esteri a Gerusalemme, sarebbe forse opportuno scaglionare nel tempo le due richieste al Governo di Israele: quella di rinunziare al trasferimento del Ministero degli esteri a Gerusalemme e l’altra di riconoscere Gerusalemme città aperta. Delle due richieste la più urgente è senza dubbio la prima.


630 1 Del 9 giugno, vedi D. 591.


630 2 Vedi D. 613.

631

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO

T. s.n.d. 6222/275. Roma, 27 giugno 1952, ore 13,30.

Tarchiani, il quale ha visto Acheson prima sua partenza per Londra1, informa che quest’ultimo assicurato Governo americano condivide punto vista Governo italiano non esserci soluzione possibile all’infuori ambito Dichiarazione tripartita2 (con attenuazioni che crediamo accettabili) e di una linea etnica continua. Acheson avrebbe fatto possibile per richiamare jugoslavi queste solo realistiche condizioni d’accordo con inglesi. Intendeva infatti occuparsi a fondo a Londra di questo problema considerato fondamentale per convivenza e difesa europea.

Interesserebbe a suo tempo sapere quanto risulta circa linguaggio effettivamente tenuto da Acheson costà3.


631 1 Vedi D. 588, nota 7.


631 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


631 3 Vedi D. 635.

632

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7865-7878/152-153-154. Vienna, 27 giugno 1952, ore 19(perv. ore 8,40 del 28).

Ho veduto Gruber subito dopo suo ritorno1. Mi ha detto che desiderava metterci al corrente al più presto di quanto fatto e detto durante la sua visita nonché impressioni generali riportate. Circa nota questione diretti interessi Austria Jugoslavia mi ha esposto risultati raggiunti. Piuttosto modesti e non certo oltre previsto. Dovranno concretizzarsi in prossime riunioni tecnici. Problemi suddetti si sono discussi Belgrado con Rankovic e Pijade. Colloquio Tito si è svolto esclusivamente su piano politica generale. Per varie sue dichiarazioni stampa si riferiva a quanto pubblicato da giornali e riteneva essersi mantenuto in linea concordata. Durante visita si era astenuto accuratamente menzionare problema Trieste né questo era stato abbordato da Jugoslavia in trattative ufficiali, pur sentendo che è punto dominante in quadro loro preoccupazioni politiche. Tito mentre teneva circoli dinanzi varie persone ha soltanto detto incidentalmente che questione Trieste non poteva essere risolta che direttamente tra l’Italia e la Jugoslavia, sperare ciò potesse un giorno avvenire ma che per ora occorreva attendere. Circa situazione generale, Tito ha affermato ritenere escluso pericolo complicazioni gravi almeno finché Stalin è in vita. Rankovic al quale Gruber ha parlato questione cattolici in sostanza ha risposto clero cattolico non sa rinunziare fare politica e ciò Governo non può tollerare più oltre.

Circa rapporti con noi gli è sembrato poter constatare vivo interesse a poterli normalizzare, ma tempo stesso suscettibile ombroso intervento terzi come pure costante timore essere considerato potenza di rango nettamente secondario e trattata con non sufficiente riguardo.

Gli ho chiesto tra l’altro spiegazioni su dichiarazioni attribuitegli da stampa mattino circa disposizione Austria offrire eventualmente suoi buoni uffici per dirimere conflitto Italia-Jugoslavia. Mi ha detto essere all’incirca esatte ma che significato era di pura cortesia formale non essendogli apparso possibile rispondere diversamente insistenza indiscreta giornalisti americani. Su mie domande per cercare sceverare quanto potesse essere stato effettivamente detto o almeno alluso da parte jugoslava o puramente sue personali deduzioni non è risultato nulla di veramente nuovo o interessante oltre a quanto già noto o facilmente supponibile salvo idea ad eventuali sacrifici italiani in questioni Trieste debbano trovarsi adeguati compensi in altri settori. Successivamente ha precisato soprattutto in campo coloniale e da parte di chi dovrebbe essere interessato normalizzazione rapporti Italia-Jugoslavia con rafforzamento Occidente.

Ragionamento mi è sembrato partire da premessa essere vitale acquisizione Jugoslavia a Occidente e che se Russia facesse politica meno miope, ciò che non sarebbe da escludere, essa potrebbe non difficilmente riguadagnare Jugoslavia. Egualmente vitale apporto italiano e nostra solidale collaborazione politica. Di qui prezzo che soddisfi e rafforzi Italia.

Ripeto che per momento non mi è stato ancora possibile accertare, e di qui una mia qualche perplessità che è necessario riferire, se, come già detto, questa parte discorso Gruber risponda pensieri più o meno espressi da jugoslavi o trattisi sue personali considerazioni.

Ad ogni buon fine ho fermamente ripetuto e chiarificato certamente nostra precisa posizione. Mi è comunque sembrato che tra l’altro si fosse persuaso che, a parte nostre reazioni e rapporti con noi, qualsiasi velleità di intervento, e per così dire mediare, sarebbe compito estremamente periglioso ed ingrato ed al tempo stesso esorbitante convenienze e responsabilità e possibilità Austria.

Circa Fiume in relazione notizia pubblicata da stampa mi ha detto avere ricevuto appunti che saranno studiati da uffici.

Mi ha poi assicurato che nel parlare sua visita con rappresentanti tre potenze occidentali, che certamente lo sottoporranno ad interrogatorio, per quanto concerne Trieste si limiterà dire che argomento non è stato sostanzialmente toccato. Mi riservo tornare se possibile prima mia partenza su argomento in quanto mi sia dato controllare quanto dettomi da Gruber e ricostruire meglio quanto si sia svolto durante la sua visita anche indipendentemente da quanto da lui esposto2.


632 1 La visita di Gruber in Jugoslavia si era svolta dal 19 al 24 giugno.


632 2 Con T. segreto 7931/157 del 29 giugno Cosmelli precisava che sia Pijade che Tito avevano riconosciuto la grande importanza di buone relazioni con l’Italia e auspicato una soluzione del problema di Trieste attraverso trattative dirette. Gruber aveva avuto l’impressione che da parte jugoslava «non si prendano in considerazione che definitive ripartizioni Territorio Libero su base all’incirca statu quo o Territorio Libero come già proposto».

633

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. segreta personale 3260. Londra, 29 giugno 1952.

Con mio telespresso n. 3184/1651 del 23.6.521 ho trasmesso la copia definitiva in inglese del promemoria su Trieste da me consegnato al Foreign Office ed alle ambasciate degli Stati Uniti e di Francia2.

Debbo precisarle che la consegna è avvenuta in tre lunghi colloqui personali miei con Strang, Holmes e Massigli rispettivamente, nei giorni 23 e 24 giugno scorsi, ossia alla vigilia degli incontri Eden-Acheson.

In tali colloquî ho spiegato lungamente a Strang ed agli altri il nostro punto di vista. Ho sottolineato che le comunicazioni del presidente De Gasperi ad Eden a Parigi3 erano state conseguenza dell’iniziativa inglese, esposta da Strang a me in precedente colloquio4. Ho messo in luce la intransigenza jugoslava quale appare dalle ultime dichiarazioni pubbliche di Tito e dalla stampa ufficiosa belgradese. Ne ho desunto che senza una precisa presa di posizione alleata appariva molto difficile, se non impossibile, smuovere la Jugoslavia dal suo atteggiamento. Ho ripetuto le ragioni che rendono inconfutabile la nostra tesi dal punto di vista etnico, e illustrato i precedenti che dimostrano come gli Alleati si siano impegnati a sostenere tali ragioni. Ho ricordato i varii motivi che ci danno il diritto di attenderci l’appoggio alleato. Ho fatto discreto ma chiaro cenno al vitale interesse jugoslavo di giungere ad una conclusione per evitare domani altre e pur legittime maggiori richieste italiane. Infine, ho precisato quali sarebbero i concetti in cui si concreta, secondo noi, il principio della linea etnica continua (censimento 1910 – analisi centro per centro – esclusione della bilancia etnica – continuità e contiguità territoriale – eventuali compensazioni centro contro centro) chiarendone bene il significato pratico.

Questi colloquî erano necessarî per preparare il terreno agli incontri Eden-Acheson-Schuman, facendo noto senza equivoci il nostro punto di vista.

Né Strang né Holmes, pur seguendo con grande interesse e interrompendo con frequenti domande la mia esposizione, hanno manifestato in alcun modo una opinione. Il più aperto è stato Massigli, ma solo per dire che egli era scettico sulla efficacia di trattative in questo momento.

«Brilej – egli mi ha detto – rientrando quindici giorni fa da Belgrado mi dichiarò che le trattative con l’Italia erano desiderabili, ma potevano avere possibilità di successo solo se le tre potenze avessero revocato preventivamente la Dichiarazione tripartita»5. E più tardi ha aggiunto: «In sostanza si tratta di vedere se una mediazione alleata sia matura ora, il che non credo».

Rimanemmo intesi con Strang che avrei parlato con Eden dopo il suo incontro con Acheson; ma il colloquio è stato ritardato dalle complicazioni sorte in seguito al bombardamento sullo Yalu, e dai conseguenti dibattiti parlamentari che hanno assorbito Eden obbligandolo a rinunciare a molti impegni.

Ora poi Eden è affetto da itterizia, e perciò se dovessi vedere qualcuno in settimana, dovrei vedere Strang.

Ma la mia linea, che spero il presidente e lei approvino, è quella della cautela. Col passo del presidente, con i successivi di Tarchiani e di Quaroni e con la consegna del promemoria, la nostra buona disposizione a trattare è stata chiaramente formulata, e ne sono state anche chiaramente formulate le premesse. Come ha detto bene Casardi a Theodoli, bisogna lasciare agli inglesi l’iniziativa e non dare l’impressione che noi vogliamo trattare a qualunque costo. Non lascerò cadere la cosa, che anzi costituisce la mia prima preoccupazione, e saprò ben presto che cosa si sono detti Eden, Acheson e Schuman; ma lo farò in modo da non dimostrare eccessiva ansia né fretta6.

Allegato

Memorandum. Londra, 23 giugno 1952.

The Italian Government – sharing the British and U.S. Governments’ desire to settle the problem of Trieste as soon as possible thus enabling the Allied occupation troops to be withdrawn – is prepared to resume talks with the Yugoslav Government, on the understanding that these remain absolutely secret. Naturally these talks will not defer the execution of the Agreement signed in London on 9th May 1952 in respect of Zone A.

It is obvious that the object of this exchange of views can only be the establishment in Zone A and B of an ethnic line, since the solution of a Free Territory of Trieste has been recognized by all as impractical; this has been solemnly reaffirmed in the Tripartite Declaration of March 1948 which was confirmed on more than one occasion by the Governments concerned.

The Italian Government is of the opinion that the resumption of this talks will be quite ineffective if the Yugoslav Government be not persuaded by the Allied Governments – U.S., Great Britain and France – to begin and to conduct them on a reasondable basis, taking into account the real ethnical situation of Zone A and B. In this the Italian Government does not express any new condition, but merely stresses those principles which, with the Allied Governments’ agreement, had inspired the Paris talks of last winter and which Yugoslavia disclaimed and abandoned during the negotiations thus leading to their failure.

In this regard the Italian Government feels bound to recall that in the course of the Peace Treaty negotiations after the Second World War, the Four Powers decided to give to Yugoslavia part of the territory of the Venezia Giulia which had been recognized as Italian under the Treaty of Rapallo of November 1920.

This transfer was to take place according to the ethnical principles, on the basis of which and in accordance with the findings of a Commission of Inquiry sent to the spot, the British and U.S. Governments proposed a line of demarcation which left to Italy a large part of the Istrian territory beyond the present Zone B, including Pola, Rovigno, Parenzo and other Italian towns.

The line proposed by France was less favourable to Italy. It followed the existing border of the Free Territory, but still placed the latter under full sovereignty of Italy.

It was only by way of compromise and in view of the pressure exercised by the Soviet Union, which at the time supported Yugoslavia, that the expedient of the Free Territory was found; whilst Yugoslavia was given the remaining part of the contested territory in which, according to the Austrian census of 1910 and the Italian census of 1921, respectively 124.895 and 180.630 Italians were living; to these must also be added the figure of about 15.000 Italians in Zara.

The Italian Government quotes these precedents as evidence that the subsequent Tripartite Declaration of 25th March 1948 merely represented a logical confirmation of ethnic principles and of prevailing conditions which had already been recognized, on a wider scale, by the three Allied Powers.

Consequently, by resuming the talks with Yugoslavia for a compromise, Italy would show the greatest moderation and feels therefore that she would have the right to expect that the three Allied Governments – in the spirit of the Tripartite Declaration and in accordance with the ethnic situation which they have always recognized – should persuade Yugoslavia to negotiate on a fair and reasonable ethnic basis and not to depart from it.

Furthermore, in view of the Yugoslav Government’s uncompromising attitude, the Italian Government confirms its readiness to accept the result of a plebiscite – to be held under international supervision – which would decide the fate of the whole Free Territory by giving it entirely either to Italy or to Yugoslavia. In this regard the Italian Government has already informed the Yugoslav and the Allied Governments of the procedure which it considers necessary to adopt.


633 1 Non pubblicato.


633 2 Vedi Allegato.


633 3 Vedi D. 574.


633 4 Vedi D. 561.


633 5 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.


633 6 Vedi D. 635.

634

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.n.d. 7980-7989-7990/613-614-615. Parigi, 30 giugno 1952, ore 22,15(perv. ore 23,45).

Mi ha detto Schuman:

1) La Conferenza dei ministri, indetta per il 12, dovrà essere ancora forzatamente rinviata, poiché il Governo olandese ha fatto sapere di non poter prendere alcuna decisone fino a che il nuovo Gabinetto non sarà stato costituito e che esso abbia potuto mettersi al corrente della situazione in tutti gli elementi di essa;

2) il Governo francese, anche in vista di questo, inviterà nei prossimi giorni il Parlamento a procedere alla nomina Assemblea piano Schuman raccomandando Parlamento stesso, in base Protocollo Conferenza piano Schuman, di scegliere membri Assemblea Strasburgo. Ha precisato trattarsi consiglio e non obbligo.

Con nota ufficiale Governo francese informerà altri cinque Governi sua decisone invitandoli procedere prima vacanze parlamentari stessa nomina: sarebbe impossibile altrimenti delegare i poteri costituenti ad Assemblea che ancora non esiste e sarebbe impossibile farle iniziare in settembre i lavori come si desidererebbe.

Schuman mi ha detto che nel corso Conferenza a tre non si è (ripeto non) parlato della questione di Trieste se non di sfuggita e si è rimasti d’accordo che tre Governi si manterranno in contatto sull’argomento in via diplomatica.

Mi ha detto quindi che non ha avuto occasione di far valere argomenti di cui al mio passo presso [...]1 (mio telespresso 491)2 ma che si riserva di farlo nei prossimi giorni, in via diplomatica.

Schuman mi ha detto di essere molto soddisfatto dei risultati di Londra per quello che concerne nota alla Russia. Acheson si è mostrato estremamente comprensivo e testo finale della nota (che mi invierà domani) è stato redatto da Acheson, nel corso della Conferenza riprendendo quasi letteralmente quanto egli, Schuman, aveva detto.

Egli ritiene testo soddisfacente; Alleati mantengono loro punto di vista, fissano direttamente ordine del giorno e cioè:

1) Commissione d’inchiesta;

2) libere elezioni in Germania.

Quanto allo Statuto del nuovo Governo tedesco in attesa trattato di pace, se ne parlerà solo dopo che saranno state ultimate con successo conversazioni di cui ai punti precedenti.

Secondo Schuman nota ha vantaggio che non lascia russi nessun dubbio circa intenzioni Alleati ma allo stesso tempo non pone nessuna condizione a riunione a quattro a cui si possono attaccare russi per rifiutarla.

Eden ha appoggiato a fondo Schuman nella sua tesi e tutti e due hanno constatato con loro sorpresa arrendevolezza Acheson: gli hanno fatto soprattutto presente:

1) Che speranza americana potere avere sollecita ratifica da parte Bonn e Inghilterra stessa non aveva nessuna base reale;

2) che irrigidimento tesi americane avrebbe potuto compromettere, specie in Francia e Germania per differenti ragioni, ratifica Parigi e Bonn.

Nota sarà rimessa sovietici, in principio, giovedì. Essa trovasi attualmente esame Governo tedesco essendosi tre lasciati libertà apportarvi qualche modifica in caso Governo tedesco faccia considerazioni ragionevoli.

È stato deciso a Londra che contenuto (non testo) riposta sarà comunicato a Consiglio rappresentanti N.A.T.O.: se possibile, sarà Schuman stesso fare comunicazione.


634 1 Gruppi indecifrabili.


634 2 Non pubblicato.

635

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. segreto 7998/336. Londra, 30 giugno 1952, ore 23,30(perv. ore 7 del 1° luglio).

Mia lettera 3260 del 29 corrente1.

Ho saputo in via strettamente confidenziale da Dixon che rapporti italo-jugoslavi sono stati discussi a due riprese fra Eden e Acheson giungendo conclusioni piuttosto negative circa utilità nel momento attuale di un intervento a Belgrado.

Primi sondaggi effettuati presso Brilej avevano dato Foreign Office impressione di disposizione favorevole da parte di Belgrado ma tale impressione è stata poi annullata da successiva comunicazione verbale fatta da Brilej giorno stesso arrivo Acheson a Londra.

Governi inglese e americano sarebbero quindi dell’avviso che momento non sia propizio per ripresa conversazioni italo jugoslave e stanno studiando forma e modo con cui rispondere nostro passo. Dixon ha aggiunto che essendo Eden malato probabilmente risposta (di cui egli a titolo personale mi anticipava sostanza) mi verrà data da Strang nei prossimi giorni.

Da questa ambasciata di Francia apprendo che questione non è stata abbordata in colloqui a tre con Schuman benché questi fosse pronto ad entrare in argomento.


635 1 Vedi D. 633.

636

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 8002/168. Belgrado, 30 giugno 1952, ore 20,57(perv. ore 7 del 1° luglio).

Seguito mio 1671.

Ho potuto leggere breve aide-memoire presentato sabato scorso da questi ambasciatori americano ed inglese che riassumo:

1) accordo Londra ha toccato solo questione amministrazione civile ma responsabilità poteri è rimasta ad anglo-americani in pieno rispetto annesso 7 trattato di pace;

2) accordo non pregiudica definitiva soluzione questione T.L.T.;

3) permane responsabilità anglo-americana per tutela diritti umani e libertà senza distinzione razza lingua sesso religione.


636 1 Del 29 giugno, con il quale Martino aveva comunicato l’avvenuta consegna del promemoria anglo-statunitense di risposta alla protesta jugoslava (vedi D. 551) per gli accordi di Londra.

637

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MAMELI,AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Telespr. segreto 757/572. Roma, 30 giugno 19521 .

Telespresso di questa ambasciata n. 791/474, in data 29 maggio u.s.2.

Di seguito al telespresso sopra citato, ed a quanto ho già avuto l’onore di riferire verbalmente, confermo che, in un successiva conversazione, monsignor Tardini ebbe a dirmi che esitava a compiere egli stesso il sondaggio che in un primo tempo si era proposto poiché temeva che non fosse possibile mantenere segreto il fatto che partiva dalla Santa Sede. Stava quindi studiando altra soluzione.

In altro successivo colloquio mi disse che aveva pensato di rivolgersi, molto riservatamente, al conte Paternotte da la Vallée, ambasciatore del Belgio, come al rappresentante dello Stato cattolico più adatto, nelle attuali circostanze, a tentare il desiderato sondaggio presso le potenze protettrici tradizionalistiche. Anche qui si era urtato tuttavia al fatto che l’ambasciatore del Belgio non avrebbe potuto evitare di palesare al proprio Governo che la Santa Sede si era fatta tramite dell’iniziativa. Mi domandò quindi se ero disposto ad interessare io stesso il mio collega belga alla questione. In tal caso lo avrebbe debitamente preavvertito.

In ottemperanza alle istruzioni verbali impartitemi da codesto superiore Dicastero in data 25 corrente, e nell’ambito di esse, il giorno successivo ebbi un colloquio con il conte Paternotte de la Vallée.

Egli mi assicurò senza esitazioni che avrebbe subito suggerito al proprio Governo di compiere il sondaggio secondo la formula da noi studiata. E cioè passo concertato da parte delle potenze cattoliche tradizionalistiche pressi Governi di Giordania e di Israele, allo scopo di ottenere che dichiarino Gerusalemme «ed i suoi immediati dintorni Città aperta». Le stesse potenze considererebbero in seguito il momento opportuno per i necessari approcci con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

Se il governo belga concorda ed accetta, si tratterrà per esso, in questa prima fase di presentire i Governi francese e spagnuolo. In questa prima fase, salvo che le circostanze diversamente consiglino, l’adesione della Santa Sede sarà considerata come sottointesa, ma non esplicitamente menzionata.

Nel corso delle conversazioni con monsignor Tardini, questi mi ha anche detto che, secondo informazioni testé pervenutegli, prossimamente dovrebbe essere riportato all’O.N.U. il progetto svedese di protezione dei Luoghi Santi. Se ciò avvenisse, la Santa Sede userebbe la sua influenza per contrastarlo. Non già che abbia obbiezioni di fondo contro di esso, e neppure che non lo apprezzi. Ma considera che sarebbe una diminuzione del principio giuridico già stabilito dall’O.N.U. che la Santa Sede desidera rimanga in tutto il suo valore morale, anche se, sin qui inoperante. Praticamente anche il progetto svedese, se approvato, rimarrebbe lettera morta, perché anche ad esso osterebbe l’opposizione dei due Stati in causa. Mentre, al contrario il progetto di «Città aperta» che in nulla intacca il principio della internalizzazione già sancito dalle Nazioni Unite, avrebbe forse maggiori probabilità di riuscita.

Nelle more del negoziato, ho ricevuto e letto con profondo interesse il telespresso n. 774/326, in data 18 corrente, della legazione in Tel Aviv3. Non vi è dubbio che le opinioni, concordi o divergenti degli uomini responsabili sul posto ed al centro, sono elementi essenziali per la valutazione di un problema così complesso e delicato. Rilevo quindi che su un punto almeno siamo tutti d’accordo, ivi compreso monsignor Tardini, e cioè che dobbiamo attenderci la maggior resistenza dalla parte di Israele, alla dichiarazione di Città aperta. La legazione in Tel Aviv pone in primo piano, come ragione di tale prevista strenua resistenza, ragioni sentimentali, e cioè il giovane nazionalismo israeliano. Esattamente, a mio avviso, poiché i nazionalismi tanto giovani che vecchi, sono portati, come è ben noto ad essere ostinati, e qualche volta intransigenti. Ma, con tutto il rispetto per l’opinione del mio collega che certamente vaglia sul posto anche tutte le altre circostanze, non vorrei, dal canto mio considerare a priori questo ostacolo come insormontabile. Non mancano esempi di giovani nazionalismi ricondotti alla ragione. Si tratta di riuscire in primo luogo di impostare efficacemente il negoziato, e di corroborarlo con adeguata contropartita. In ogni caso mi sembra che valga la pena di tentarlo, quale che possa esserne il risultato e anche se su di esso non ci facciamo eccessive illusioni.

Nel prevedere le reazioni del Governo israeliano alla proposta che stiamo considerando, la legazione in Tel Aviv fa un parallelo storico, in verità assai brillante, che credo che valga la pena di considerare brevemente. Si domanda cioè quale sarebbe stata la reazione del Governo del dr. Lanza se, subito dopo la presa di Roma nel 1870, qualcuno gli avesse proposto di dichiarare la capitale d’Italia «Città aperta». Credo che la risposta sia ovvia: avrebbe espresso il suo più profondo stupore. Nessuna circostanza avrebbe infatti giustificato simile proposta, che, di fatto, non venne in mente a nessuno. È noto infatti che nessuna potenza minacciava i luoghi sacri di Roma dall’esterno, mentre all’interno ogni necessaria disposizione era stata posta in atto dal generale Cadorna dapprima, e dal Governo italiano in seguito, per proteggerli. È appena necessario ricordare che mutate le circostanze, enormemente cresciuta la potenza distruttiva dei mezzi bellici, particolarmente dell’arma aerea, durante l’ultima guerra la questione di Roma, capitale d’Italia «Città aperta» fu di appassionato interesse, sostenuta tanto dal Vaticano, quanto dal Governo italiano del tempo.

Ora il Governo israeliano potrà opporre molte ragioni per ricusare ed alcune potranno anche essere opinabili, ma non potrà certo meravigliarsi, perché tutte le circostanze attuali rendono auspicabile una simile dichiarazione.

Molto esattamente la legazione in Tel Aviv mette a fuoco lo stato d’animo di monsignor Tardini. Anche qui ci troviamo dinnanzi ad una parola perentoria – inevitabile – applicata alla previsione di un conflitto, ed io mi auguro che il ministro in Tel Aviv meglio preveda in contrasto con monsignor Tardini e con il ministro in Amman. Ma il mio compito in proposito è quello d’indagare, sin dove mi è possibile il pensiero della Segreteria di Stato. Tutte le conversazioni indicano che essa reputa, data la situazione sulla quale è esattamente informata, che la preservazione o la salvezza dei Luoghi Santi è alla mercé del primo incidente. Ve ne sono già stati, è vero, e recentemente quelli di Nazareth. Chi potrebbe negare che un incidente o incidenti di maggiore portata, di portata tale da coinvolgere e minacciare in pieno i Luoghi Santi siano «evitabili»?

In altre parole la Segreteria di Stato è assai cauta nel metodo, perché non vuole dare il minimo appiglio a che alcuno interpreti che ritorna in qualsiasi modo sulla questione di principio, per essa irrevocabilmente decisa, anche se, ancora una volta, oggi inoperante. Ma vede in pieno, in pratica, il pericolo di tale situazione, ed è perciò desiderosa «che qualche cosa si faccia», ed ansiosa «che si faccia rapidamente». Ritiene che la formula migliore per non compromettere il principio, e far fronte alla situazione di fatto, è quella appunto della «Città aperta».


637 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.


637 2 Vedi D. 579.


637 3 Non pubblicato.


APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(26 luglio 1951-30 giugno 1952)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO

De Gasperi Alcide, presidente del Consiglio dei ministri.

SOTTOSEGRETARI DI STATO

Taviani Paolo Emilio, deputato al Parlamento.

Dominedò Francesco Maria, deputato al Parlamento.

GABINETTO DEL MINISTRO

Coordinamento generale, Affari confidenziali, Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro, Rapporti con la Casa del presidente della Repubblica,con la Presidenza del Consiglio, Relazioni del ministro con il Parlamento e con il Corpo diplomatico, Udienze, Tribuna diplomatica

Capo del Gabinetto: Scola Camerini Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario particolare: Canali Paolo.

Vice capo del Gabinetto: Guazzaroni Cesidio, console.

Segretari: Bucci Maurizio, addetto consolare, dal 26 luglio 1951; Lo Russo Attoma Nicola, addetto stampa (dal 26 maggio 1952 consigliere stampa); Vestri Licinio, addetto stampa.

SEGRETERIE PARTICOLARI DEI SOTTOSEGRETARI DI STATO

Segreteria particolare del sottosegretario Taviani

Capo della Segreteria particolare: Thiene (di) Gian Giacomo, console, dal 1° agosto 1951.

Segretario particolare: Paccagnini Walter.

Segretario: Cagiati Andrea, vice console, dal 2 novembre 1951.

Segreteria particolare del sottosegretario Dominedò

Capo della Segreteria particolare: Molajoni Paolo, console.

Segretario particolare: Giordano Ernesto.

Segretario: Talli Roberto, vice ispettore per i servizi tecnici, dal 27 luglio 1951.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: Zoppi Vittorio, ambasciatore.

Ufficio Coordinamento

Capo ufficio: Macchi di Cellere Francesco, consigliere di legazione; Casardi Alberico, ministro plenipotenziario, dal 19 novembre 1951.

Segretari: Pasquinelli Cesare, console; Costa Sanseverino di Bisignano Edoardo, console, fino al 15 giugno 1952; Catalano di Melilli Felice, console, dal 28 aprile 1952; Pignatti Morano di Custoza Pio Saverio, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console).

CERIMONIALE

Cerimoniale diplomatico della Repubblica

Capo del Cerimoniale: Scammacca del Murgo e di Agnone Michele, ambasciatore.

Vice capo del Cerimoniale: Cippico Tristram Alvise, consigliere di legazione (dal 26 febbraio 1952 ministro plenipotenziario).

Segretario del Capo del Cerimoniale: Venier Marco Antonio, consigliere di Governo.

Servizio del Cerimoniale

Capo del Servizio: Cippico Tristram Alvise, predetto.

Vice capo del Servizio: Antinori di Castel S. Pietro Orazio, primo segretario di legazione.

Ufficio I

Concessione del gradimento presidenziale ai capi missione stranieri, Introduzionedi rappresentanti diplomatici e di personalità estere presso il capo dello Statoe il ministro degli esteri, Lettere credenziali, Cerimonie ufficiali in onoredi capi di Stato esteri, di rappresentanze diplomatiche, di delegazioni e personalità estere, Visite e passaggi di capi di Stato e autorità estere ed inerente ospitalità, Feste nazionali estere, Messaggi ufficiali, Viaggi del capo dello Stato all’estero, Collegamento con la Presidenza della Repubblica e con le altre Amministrazioniper le questioni inerenti al Cerimoniale diplomatico della repubblica, Lettere credenziali, di Gabinetto e patenti dei rappresentanti diplomatici e consolari all’estero o delle Ambascerie straordinarie, Onorificenze

Capo ufficio: Antinori di Castel S. Pietro Orazio, predetto.

Segretari: Vattani Mario, console, dal 25 giugno 1952; Rienzi Franco, direttore di Governo; Venier Marco Antonio, predetto.

Ufficio II

Norme di Cerimoniale, Codificazione e aggiornamento, Questioni giuridiche e di contenzioso, Reciprocità, Trattamento dei diplomatici esteri e dei membridelle Organizzazioni speciali, Franchigie doganali, Privilegie immunità diplomatiche, Agevolazioni fiscali, Questioni valutariee questioni di carattere generale

Capo ufficio: Cimino Carlo, console.

Segretario: Da Rin Eric, addetto consolare, fino al 13 maggio 1952.

Ufficio III

Rappresentanze diplomatiche e consolari estere in Italia, Elenchi del Corpo diplomatico e consolare straniero, delle Organizzazioni internazionali e delle Missioni estere speciali in Italia, Exequatur, Passaporti diplomatici e di servizio esteri, Visti sui passaporti diplomatici e di servizio esteri, Carte di identità per il Corpo diplomatico e consolare estero e per i membri delle Organizzazioni internazionali e delle Missioni speciali estere in Italia

Capo ufficio: Ambrosi Giovanni Battista, console.

Segretari: Bacci di Capaci Vittorio, console, dal 9 settembre 1951; Mezzalama Francesco, addetto consolare, dal 21 febbraio 1952.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: Perassi Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all’Università di Roma.

Segretari: De Rossi Michele Gaetano, console; Raffaelli Pietro, ispettore capo per i servizi tecnici; Pisa Marco, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare), dal 15 ottobre 1951.

UFFICIO STAMPA ESTERA

Capo ufficio: Perrone Capano Carlo, console.

Segretari: Riccardi Roberto, console, fino al 18 settembre 1951; Barzini Ugo, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 25 marzo 1952; Rossi Arnaud Carlo Maria, addetto consolare; d’Andrea Stefano, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare), dal 1° settembre 1951; Ardemagni Mirko, addetto stampa, fino al 16 ottobre 1951; de Mohr Claudio, addetto stampa, dal 13 agosto 1951.

UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE

ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA (1)

Capo ufficio: Scarpa Gino, console generale, fino al 27 novembre 1951.

Consulente storico: Toscano Mario, professore ordinario di Storia dei trattati e politica internazionale all’Università di Cagliari.

Incaricato della direzione dell’Archivio storico: Moscati Ruggero, professore ordinario di Storia moderna presso l’Università di Messina.

Incaricato della direzione della Biblioteca: Sertoli Mario, addetto stampa.

SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA (2)

Capo servizio: Venturini Antonio, consigliere di legazione.

Segretari: Betteloni Giovanni Lorenzo, primo segretario di legazione; Tonci Ottieri della Ciaja Francesco, console; Bobba Franco, vice console; Gardini Walter, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console); Farinelli Gianfranco, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 16 gennaio 1952.


1 La struttura dell’ufficio venne modificata con l’Ordine di servizio n. 28 del 20 novembre 1951. Vedi nota 6.


2 Soppresso con Ordine di servizio n. 5 del 29 febbraio 1952 che istituisce la Direzione generale per la cooperazione internazionale.

UFFICIO CONSIGLIO D’EUROPA2

Capo ufficio: Alverà Pier Luigi, console, dal 16 ottobre 1951.

SERVIZIO ECONOMICO TRATTATO (S.E.T.)

Affari relativi agli oneri derivanti dal trattato di pace, Coordinamento con le Amministrazioni interessate in relazione a tali oneri, Segreteria generale della Commissione consultiva per l’applicazione delle clausole economiche del trattato di pace, Commissioni di conciliazione di cui all’art. 83 di detto trattato

Capo del servizio: Scaduto Mendola Gioacchino, ministro plenipotenziario.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: Scaglione Roberto, consigliere di legazione, fino al 4 ottobre 1951; Winspeare Guicciardi Vittorio, console, fino al 14 ottobre 1951; Bassi Emilio Paolo, volontario diplomatico consolare.

Ufficio I

Capo ufficio: Winspeare Guicciardi Vittorio, predetto, fino al 14 ottobre 1951;Revedin di San Martino Giovanni, primo segretario di legazione, dal 10 settembre 1951.

Segretari: Marinucci de Reguardati Fausto, addetto consolare, dal 18 febbraio 1952; Saraceno Salvatore, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare).

Ufficio II

Capo ufficio: Aloisi de Larderel Allumiere Folco, primo segretario di legazione, fino all’11 gennaio 1952.

Segretario: Bassi Emilio Paolo, predetto.

UFFICIO DELL’AGENTE GENERALEPER LE COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE

(art. 83 del trattato di pace)

Agente generale del Governo italiano: Cancellario d’Alena Francesco, console generale.

Segretari: Macchi di Cellere Pio, consigliere di legazione; Tiberi Giorgio, console, fino al 5 dicembre 1951.

SERVIZIO AFFARI GENERALI (3)

Capo servizio: Soardi di Sant’Antonino Carlo Andrea, ministro plenipotenziario.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: Mezzalama Francesco, predetto.

Ufficio I

Trattati e Atti

Capo ufficio: Monaco prof. Riccardo, consigliere di Stato.

Segretario: Rocchi Giovanni Stefano, console.

Ufficio II

Organizzazioni internazionali

Capo ufficio: N.N.

Segretario: Mezzalama Francesco, predetto.

Ufficio III

Stranieri

Capo ufficio: Nicolai Lorenzo, console generale, dal 18 ottobre 1951.

Segretari: Parenti Francesco, Ungarelli Giacomo, consoli; Marinucci de Reguardati Fausto, volontario diplomatico-consolare; Macrì Ferdinando, vice segretario per i servizi tecnici.

DELEGAZIONE ITALIANA PER L’I.R.O.

Capo della delegazione: Del Drago Marcello, ministro plenipotenziario, fino al 9 ottobre 1951.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: Jannelli Pasquale, ministro plenipotenziario.


3 Soppresso con Ordine di servizio n. 28 del 20 novembre 1951 (D.G.P.A.I.) che istituisce la Direzione generale degli affari generali. Ai sensi dello stesso provvedimento l’Ufficio III del S.A.G. passa alle dipendenze della D.G.A.P. sotto la denominazione di «Servizio stranieri»; l’Ufficio I.R.O. passa dalle dipendenze del S.A.G. alle dipendenze della Direzione generale dell’emigrazione; l’Ufficio II del S.A.G. passa temporaneamente alle dirette dipendenze della Segreteria generale.

Vice direttore generale: Silj di S. Andrea d’Ussita Francesco, consigliere di legazione, fino al 2 maggio 1952; Borga Guido, ministro plenipotenziario, dal 5 maggio 1952, con funzioni di direttore generale aggiunto.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Valdettaro della Rocchetta Luigi, console, fino al 17 gennaio 1952; Simonetti Diego, console, dal 22 maggio 1952; Magliano Mario, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 9 marzo 1952.

Ufficio I

Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Canada, Irlanda, Francia, Belgio,Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Germania,Austria, Svezia, Norvegia, Danimarca, Groenlandia, Islanda, Cipro, Malta, Gibilterra, San Marino, Andorra, Principato di Monaco

Capo ufficio: Grillo Remigio Danilo, primo segretario di legazione (dal 31 marzo 1952 consigliere d’ambasciata).

Segretari: Sebastiani Lucio, Chiusano Vittorio, consoli; Fabiani Oberto, console, dal 25 agosto 1951; Corradini Giancarlo, vice console, fino al 13 febbraio 1952; Cottafavi Luigi, vice console, dal 13 febbraio 1952; Mor Ferdinando, addetto consolare.

Ufficio II

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Finlandia

Capo ufficio: Solari Pietro, primo segretario di legazione (dall’11 aprile 1952 consigliere d’ambasciata).

Segretari: Galluppi Enrico, console, fino al 10 marzo 1952; Cornaggia Medici Castiglioni Gherardo, console, dal 15 aprile 1952; Spinola Luigi, ispettore per i servizi tecnici.

Ufficio III

Africa, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Israele, Arabia Saudita,Yemen, Aden e territori dipendenti

Capo ufficio: Tallarigo di Zagarise e Sersale Paolo, primo segretario di legazione, fino al 15 maggio 1952; De Strobel di Fratta e Campocigno Maurizio, primo segretario di legazione, dal 10 giugno 1952.

Segretari: Gasparini Carlo, console, dal 13 settembre 1951; Faà di Bruno Franco, vice console; La Rocca Umberto, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare); Smergani Francesco, commissario tecnico per l’Oriente, fino al 30 novembre 1951.

Ufficio IV

Jugoslavia, Albania, Grecia, Turchia, Iran e questioni relative al confine orientale

Capo ufficio: Guastone Belcredi Enrico, primo segretario di legazione.

Segretari: Vitelli Girolamo, console; De Rege Thesauro Giuseppe, console, dal 21 gennaio 1952; Cavaglieri Alberto, vice console, fino al 20 dicembre 1951; Orsini Baroni Carlo Andrea, vice console, fino al 22 aprile 1952; Della Croce di Dojola Giuseppe, vice console, dal 15 maggio 1952.

Ufficio V

Cina, Corea, Giappone, Thailandia, Filippine, Birmania, Malesia, India, Pakistan, Ceylon, Afghanistan, Indocina, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda, Isole del Pacifico, Colonie britanniche, francesi, olandesi e portoghesi in Asia

Capo ufficio: N.N.

Segretario: Manca di Villahermosa e Santacroce Enrico, console, fino al 17 aprile 1952.

Ufficio VI

America latina

Capo ufficio: Spalazzi Giorgio, consigliere di legazione, reggente.

Segretario: Lo Jucco Giacomo, console, dal 1° settembre 1951.

Ufficio VII

Santa Sede

Capo ufficio: Spalazzi Giorgio, predetto.

Segretario: De Cardona Roberto, console, fino al 14 aprile 1952.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: Grazzi Umberto, ambasciatore, fino al 30 aprile 1952; Corrias Angelino, ministro plenipotenziario, dal 15 maggio 1952.

Direttore generale aggiunto: Corrias Angelino, consigliere di legazione (dal 26 febbraio 1952 inviato straordinario e ministro plenipotenziario).

Vice direttore generale: Notarangeli Tommaso, consigliere commerciale; De Simone De Riso Paolo, console generale, dal 14 maggio 1952.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Cortese Paolo, ministro plenipotenziario; Canevaro di Castelvari e Zoagli Raffaele, console, fino al 4 ottobre 1951; Capece Minutolo di Bugnano Alessandro, console, fino al 28 marzo 1952; Meschinelli Giuseppe, console, dal 7 settembre 1951; Bilancioni Giulio, vice console, fino al 31 agosto 1951; Mazzarini Plinio, assistente addetto commerciale, dal 1° ottobre 1951.

Aviazione, Convenzioni aeree, Turismo e relative convenzioni

De Vera d’Aragona d’Alvito Carlo Alberto, ministro plenipotenziario, fino al 27 novembre 1951.

Ufficio I

America latina, Giappone, Cina, Comitato carboni,Comitato materie prime dell’I.M.C.

Capo ufficio: Malgeri Enzo, addetto commerciale, reggente; De Franchis Carlo, primo segretario di legazione, dal 14 maggio 1952.

Segretari: Paulucci di Calboli Barone Rinieri, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare); Cristilli Arturo, assistente addetto commerciale; Vernazza Marcello, assistente addetto commerciale, dal 1° ottobre 1951.

Ufficio II

Spagna, Portogallo, Francia, Benelux e relative colonie, Stati Scandinavi, Svizzera, Germania Occidentale, Tangeri, Indonesia

Capo ufficio: Majoli Mario, primo segretario di legazione, fino al 21 febbraio 1952; Brugnoli Alberto, primo segretario di legazione, dal 4 giugno 1952.

Segretari: Trinchieri Alfredo, console, dal 4 novembre 1951; Arlotta Fabrizio, vice console.

Ufficio III

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Bulgaria, Romania, Ungheria, Finlandia, Grecia, Albania, Jugoslavia, Turchia, Zona sovietica della Germania

Capo ufficio: Moscato Niccolò, primo segretario di legazione, fino all’8 settembre 1951; Favretti Luciano, vice console, dal 15 maggio 1952.

Segretari: Favretti Luciano, predetto, fino al 14 maggio 1952; Mayr Giovanni, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), dal 7 agosto 1951.

Ufficio IV

Area del dollaro (Stati Uniti, Canada, Filippine), Liberia,Organizzazioni economiche internazionali

Capo ufficio: Barattieri di San Pietro Ludovico, primo segretario di legazione; Benazzo Agostino, console, dal 17 agosto 1951.

Segretari: Gardini Walter, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 20 aprile 1952; Brigante Colonna Angelini Valerio, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare), fino al 25 aprile 1952.

Ufficio V

Area della sterlina (Regno Unito e Possedimenti, Australia, Birmania, Ceylon, Eire, India, Iraq, Nuova Zelanda, Pakistan, Unione del Sud Africa), Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Iran, Israele, Libano, Siria, Thailandia, Yemen

Capo ufficio: Paveri Fontana di Fontana Pradosa Alberto, primo segretario di legazione.

Segretari: Nardi Mario, console, dal 16 ottobre 1951; Carloni Antonio, vice console, dal 9 maggio 1952; Prunas Mario, volontario diplomatico consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare); Toti Lombardozzi Ernesto, assistente addetto commerciale (dal 31 dicembre 1951 addetto commerciale), fino al 12 marzo 1952.

Ufficio VI

Questioni generali (Unione postale universale, telecomunicazioni, conferenze ferroviarie, comunicazioni marittime e terrestri, stato sanitario nei vari paesi, questioni doganali e di transito, recuperi, tasse e doppie imposizioni, questioni attinenti all’oro, uffici commerciali all’estero, camere di commercio italiane all’estero, fiere e mostre internazionali), Trieste, Colonie, Santa Sede, S. Marino

Capo ufficio: De Simone De Riso Paolo, console generale; Sanfelice di Monteforte Antonio, primo segretario di legazione, dal 15 marzo 1952.

Segretari: Cristilli Arturo, assistente addetto commerciale; Garavelli Carlo, assistente addetto commerciale, dal 1° ottobre 1951.

Delegazione italiana per la cooperazione economica europea2

(Servizio cooperazione economica europea)

Delegato aggiunto e capo del servizio: Magistrati Massimo, ministro plenipotenziario.

Segretario generale: Bombassei Frascani de Vettor Giorgio, primo segretario di legazione.

Segretari: Caracciolo di San Vito Roberto, primo segretario di legazione; Bolla Luigi, vice console, fino al 12 novembre 1951; Giretti Luciano, vice console, fino al 21 novembre 1951; Koch Luciano, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE

Direttore generale: Giusti del Giardino Justo, console generale (dal 28 marzo 1952 inviato straordinario e ministro plenipotenziario).

Vice direttori generali: Guadagnini Piero, console generale; Pinna Caboni Mario, primo segretario di legazione, fino al 14 dicembre 1951; Bounous Franco, primo segretario di legazione, dal 23 novembre 1951.

Personale alle dirette dipendenze del direttore generale: Savina Paolo, ispettore per i servizi tecnici.

Ufficio I

Emigrazione e collettività nei paesi dell’Europa continentale,Irlanda, Turchia, Regioni asiatiche dell’U.R.S.S., Africa settentrionale francese,Marocco spagnolo, Tangeri

Capo ufficio: Regard Cesare, console.

Segretario: Mazza Ferrante, ispettore superiore per i servizi tecnici.

Ufficio II

Emigrazione e collettività nel Regno Unito, Canada, Malta, Cipro, Stati e territori dell’Africa non di competenza dell’Uff. I, Aden, Israele, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Yemen, Nuova Zelanda, Australia, Stati dell’Asia, Isole del Pacifico

Capo ufficio: N.N.

Segretari: Ruffo di Scaletta Francesco, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare); Di Mattei Alfredo, ispettore per i servizi tecnici.

Ufficio III

Emigrazione e collettività nel Nord, Centro e Sud America (escluso Canada)

Capo ufficio: De Ferrari Giovanni Paolo, console; Zecchin Guido, console, dal 25 settembre 1951.

Segretari: Spinelli Francesco, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare).

Ufficio IV

Trasporti marittimi ed aerei, Ispettorati di frontiera per gli italiani all’estero,Tutela dell’emigrante

Capo ufficio: Contarini Giuseppe, console; Giglioli Carlo Enrico, console, dal 5 maggio 1952.

Segretari: Orsini Baroni Carlo Andrea, vice console, fino al 22 aprile 1952; Bellini Vincenzo, addetto consolare (dal 17 ottobre 1951 vice console), fino al 16 ottobre 1951.

Ufficio V

Questioni generali, Organismi internazionali e conferenze

Capo ufficio: Stampa Guidobaldo, console, fino al 17 dicembre 1951; Smoquina Giorgio, console, dal 6 gennaio 1952.

Segretari: N.N.

Ufficio VI

Documentazione e assistenza tecnica

Capo ufficio: Giretti Luciano, predetto, fino al 21 novembre 1951.

Segretario: Portanova Ettore, ispettore per i servizi tecnici, dal 9 giugno 1952.

Ufficio VII

Informazioni e stampa

Capo ufficio: Patuelli Raffaello, addetto stampa.

Segretari: N.N.

Ufficio VIII

Servizi amministrativi, Personale, Rimpatri consolari, Stralcio Co.RI

Capo ufficio: Tedesco Pietro Paolo, ispettore superiore per i servizi tecnici.

Segretari: N.N.

Commissione per l’espatrio negli Stati Uniti d’America

Presidente: Pittaluga Arturo, direttore di governo del Ministero dell’A.I.

Membri: Portanova Ettore, predetto; Flamini Pietro, ispettore per i servizi tecnici.

Segretario: Cusani Giovanni, ispettore per i servizi tecnici, fino al 6 gennaio 1952.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI (4)

Capo servizio: Lanzara Giuseppe, console generale.

Ufficio I

Cittadinanza, Diritti di famiglia, Stato civile, Servizio militare

Capo ufficio: Formichella Giovanni, console.

Segretari: Grandinetti Eugenio, ispettore generale per i servizi tecnici; Borgomanero Guido, addetto consolare.

Ufficio II

Tutela diritti ed interessi patrimoniali, Assistenza consolare,Spedalità e rimpatri, Ricerche e informazioni

Capo ufficio: Nichetti Carlo, primo segretario di legazione.

Segretario: Chelli Claudio, volontario diplomatico-consolare.

Ufficio III

Atti tra vivi, Successioni, Assistenza giudiziaria, Estradizione

Capo ufficio: Capece Galeota della Regina Giuseppe, consigliere di legazione.

Segretario: Manca Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

Sezione speciale

Danni di guerra, Assicurazioni sociali, Pensioni

Capo ufficio: Guida Ugo, console.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI CON L’ESTERO

Direttore generale: Mameli Francesco Giorgio, ambasciatore; Migone Bartolomeo, ministro plenipotenziario, dal 21 aprile 1952.

Vice direttore generale: Biondelli Giuseppe, Ottaviani Luigi, ministri plenipotenziari.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Nonis Alberto, consigliere di legazione; Righetti Adriano, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 25 aprile 1952.


4 L’Ordine di servizio n. 29 del 20 novembre 1951 (D.G.P.A.I.) disponeva lo scioglimento del Servizio previa redistribuzione delle competenze (da effettuarsi entro il 31 dicembre 1951). Il Servizio veniva soppresso formalmente con D.M. 1° gennaio 1952.

Ufficio I

Affari generali, Accordi culturali, Congressi e mostre internazionali in Italiae all’estero, Attività musicali, teatrali e cinematografiche all’estero,Attività all’estero di enti culturali italiani, Viaggi di studio, Turismo e radio, Bollettino di informazioni culturali, U.N.E.S.C.O.

Capo ufficio: de Novellis Gennaro, primo segretario di legazione.

Segretari: Varalda Maurilio Guglielmo, console; Migliuolo Giovanni, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare); Corsi Fernando, ispettore superiore per i servizi tecnici.

Ufficio II

Istituti di cultura, Lettorati, Istituti culturali stranieri in Italia, Scambi universitari e borse di studio, Riconoscimento dei titoli di studioe professionali conseguiti all’estero

Capo ufficio: Montecchi Palazzi Romeo, console, fino al 15 ottobre 1951; Bellia Franco, primo segretario di legazione, dal 1° gennaio 1952.

Segretari: Durazzo Francesco, vice console, fino al 14 novembre 1951; Curcio Massimo, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare).

Ufficio III

Scuole secondarie ed elementari all’estero, Studi e consulenza legislativa scolastica, Materiale didattico, Biblioteche, Rapporti con la Fondazione figli degli italiani all’estero e collegi dipendenti

Capo ufficio: Malaspina di Carbonara e di Volpedo Folchetto, consigliere di legazione; Marinucci de Reguardati Costanzo, console, dal 1° novembre 1951.

Segretario: Cannavina Paolo, vice console, fino all’8 agosto 1951.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALEE DELL’AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: Coppini Maurilio, ministro plenipotenziario.

Vice direttore generale: Archi Pio Antonio, consigliere di legazione; Montuori Pietro, console generale.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Soro Giovanni Vincenzo, primo segretario di legazione, fino al 26 ottobre 1951.

Ufficio I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri, Personale consolare di 2ª categoria, Uffici diplomatici e consolari all’estero, Questioni riferentisi all’ordinamento del Ministero e delle carriere di gruppo A,Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli e commissioni presso l’Amministrazione centrale, Addetti militari, navali ed aeronautici, Ruoli di anzianità del personale e pubblicazioni inerenti agli uffici all’estero e dell’Amministrazione centrale, Tipografia riservata, Matricola del personale, Passaporti diplomatici, di servizio ed ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale, Tessere di riconoscimento

Capo ufficio: Archi Pio Antonio, predetto.

Finanziamento uffici all’estero: Pignatti Morano di Custoza Girolamo, console, dall’8 settembre 1951.

Segretari: Maccotta Giuseppe Walter, console, fino al 6 novembre 1951; Tortorici Pietro Quirino, console, fino al 30 aprile 1952; Borromeo Giovanni Lodovico, console; Rubino Eugenio, console, dal 15 novembre 1951; Vallauri Francesco, volontario diplomatico-consolare (dall’8 febbraio 1952 addetto consolare).

Ufficio II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno e salariato delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri (escluso il personale delle scuole italiane all’estero), Concorsi, nomine ed ammissioni, Commissione di avanzamento e consigli del Ministero ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all’ordinamento del personale suddetto, Personale di ogni gruppo, tranne il gruppo A, appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il Ministero degli affari esteri, Personale avventizio, Personale locale

Capo ufficio: Zappi Filippo, console generale.

Segretari: Zugaro Folco, console; Forino Lamberto, vice console, dal 18 febbraio 1952; Giuffrida Elio, addetto consolare (dal 21 dicembre 1951 vice console), fino al 3 febbraio 1952; Rabby Renato, vice segretario per i servizi tecnici.

Ufficio III

Edifici demaniali, Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell’Amministrazione centrale e degli uffici all’estero, Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento, Assicurazioni, inventari e contratti, Locazione di immobili e locali per uso degli uffici, Consegnatario, Deposito e distribuzione marche consolari e passaporti

Capo ufficio: Fossati Mario, ispettore capo per i servizi tecnici.

Segretari: N.N.

Ufficio IV

Servizi amministrativi, Cassa

Capo ufficio: Montuori Pietro, predetto.

Segretario: Barbarisi Guglielmo, console, fino al 22 febbraio 1952.

Ufficio V

Corrispondenza, Servizio corrieri diplomatici, Viaggi del personale

Capo ufficio: Barone Giovanni, primo segretario di legazione; Tasco Vincenzo, console generale, dal 1° agosto 1951; Smergani Francesco, commissario tecnico per l’Oriente, dal 1° dicembre 1951.

Segretari: N.N.

Ufficio VI

Cifra

Capo ufficio: Guglielminetti Giuseppe, ministro plenipotenziario; d’Acunzo Benedetto, consigliere di legazione, dal 3 marzo 1952; De Franchis Carlo, segretario di legazione, dal 30 agosto 1951.

Segretari: Lo Jucco Giacomo, console, fino al 31 agosto 1951; Gulli Vincenzo, console, dal 22 maggio 1952; Sallier de la Tour Carlo, ispettore capo per i servizi tecnici, fino al 14 marzo 1952; Vacchelli Alessandro, ispettore capo per i servizi tecnici; Cordero di Montezemolo Giulio, vice ispettore per i servizi tecnici; Pollici Dante, commissario tecnico per l’Oriente, fino al 31 maggio 1952.

Ufficio VII (5)

Crittografico

Capo ufficio: Arban Antonio, capo del servizio crittografico.

DIREZIONE GENERALE AFFARI GENERALI (6)

Direttore generale: De Paolis Pietro, ministro plenipotenziario, dal 1° maggio 1952.


5 Istituito con Ordine di servizio n. 25 del 23 ottobre 1951 con competenze sottratte all’Uff. VI.


6 Istituita con Ordine di servizio n. 28 del 20 novembre 1951 (D.G.P.A.I.) in luogo del Servizio Affari Generali e suddivisa in quattro uffici (Ufficio I – Trattati, legislazione e questioni giuridiche; Ufficio II – Studi e Documentazione; Ufficio III – Archivio storico; Ufficio IV – Biblioteca). Dal 7 aprile 1952 direttore dell’Archivio storico è il prof. Renato Mori. L’organigramma degli uffici non è disponibile.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DELL’AMMINISTRAZIONE ITALIANANEL TERRITORIO SOTTO TUTELA DELLA SOMALIA (A.F.I.S.) (7)

DIREZIONE GENERALE PER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE (8)

Direttore generale: Magistrati Massimo, predetto.

Vice direttore generale: Bombassei Frascani de Vettor Giorgio, predetto, dal 1° marzo 1952.

Personale alle dirette dipendenze del direttore generale: Tonci Ottieri della Ciaja Francesco, console, dal 1° marzo 1952.

Ufficio I

N.A.T.O. (Questioni politiche e militari), Comunità Europea di Difesa,

Comunità Politica Europea, ecc.

Capo ufficio: Betteloni Giovanni Lorenzo, primo segretario di legazione, dal 1° marzo 1952; Plaja Eugenio, console, dal 13 giugno 1952.

Segretario: Plaja Eugenio, predetto, dal 10 maggio al 12 giugno 1952.

Ufficio II

O.E.C.E., Questioni economiche e produttive

Capo ufficio: Caracciolo di San Vito Roberto, predetto, dal 1° marzo 1952.

Segretari: N.N.

Ufficio III

Consiglio d’Europa, Movimenti europeisti

Capo ufficio: Alverà Pier Luigi, console, dal 1° marzo 1952.

Segretario: Machiavelli Nicolò, addetto consolare.


7 Istituita con Ordine di servizio n. 1 del 15 gennaio 1952 e suddivisa in tre uffici (Ufficio I – Affari politici; Ufficio II – Affari interni, amministrativi e personale; Ufficio III – Affari economici, finanziari e commerciali) con personale proveniente dal Ministero dell’Africa italiana.


8 Istituita con Ordine di servizio n. 5 del 29 febbraio 1952.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI

DELLA REPUBBLICA ITALIANA ALL’ESTERO

(26 luglio 1951-30 giugno 1952)

AFGHANISTAN

Kabul – Fontana Franco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ALBANIA

Tirana – Gulli Vincenzo, secondo segretario (dal 15 febbraio 1952 primo segretario), incaricato d’affari, fino a marzo 1952; Lanzetta Umberto, ministro plenipotenziario, incaricato d’affari, dal 21 marzo 1952.

ARABIA SAUDITA

Gedda – Turcato Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Crovetto Pier Lorenzo, primo segretario, fino al 2 dicembre 1951.

ARGENTINA

Buenos Aires – Arpesani Giustino, ambasciatore; Casardi Alberico, consigliere, fino al 30 ottobre 1951; Marieni Alessandro, primo segretario; De Benedictis Vincenzo, secondo segretario, fino al 7 maggio 1952; De Cardona Roberto, secondo segretario, dal 15 aprile 1952.

AUSTRALIA

Canberra – Del Balzo di Presenzano Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 10 ottobre 1951; Ciraolo Giorgio, primo segretario.

AUSTRIA

Vienna – Cosmelli Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Profili Giacomo, primo segretario; Soro Diego, secondo segretario, dal 1° aprile 1952; Cottafavi Luigi, terzo segretario, fino a gennaio 1952.

BELGIO

Bruxelles – Diana Pasquale, ambasciatore, fino ad aprile 1952; Grazzi Umberto, ambasciatore, dal 1° maggio 1952; De Ferrariis Salzano Carlo, consigliere, fino al 1° dicembre 1951; Malaspina di Carbonara Folchetto, consigliere, dal 6 novembre 1951; Messeri Girolamo, primo segretario; Tortorici Pietro Quirino, primo segretario, dal 1° maggio 1952; Massimo Lancellotti Paolo Enrico, secondo segretario, fino al 21 maggio 1952; Gardini Walter, secondo segretario, dal 21 aprile 1952.

BOLIVIA (1)

La Paz – Giardini Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino all’11 settembre 1951; Nardi Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 1° febbraio 1952.

BRASILE

Rio de Janeiro – Martini Mario Augusto, ambasciatore; Pescatori Federico, consigliere; De Luigi Pier Giuliano, primo segretario; Nardi Mario, secondo segretario, fino al 25 settembre 1951.

BULGARIA

Sofia – Guarnaschelli Giovan Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Maccaferri Franco, primo segretario; Fumarola di Portoselvaggio Angelo Antonio, secondo segretario, fino al 1° settembre 1951.

CANADA

Ottawa – Di Stefano Mario, ambasciatore, fino al 15 febbraio 1952; Baldoni Corrado, ambasciatore, dal 13 marzo 1952; Dalla Rosa Prati Rolando, consigliere, fino al 28 novembre 1951; Farace Ruggero, consigliere, dal 1° dicembre 1951; Cancellario d’Alena Franco, secondo segretario.


1 Con D.P.R. 1° maggio 1952, n. 1018 viene soppressa la legazione a La Paz e istituita nella stessa sede una ambasciata.

CECOSLOVACCHIA

Praga – Vanni d’Archirafi Francesco Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 14 aprile 1952; Assettati Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 maggio 1952; Matacotta Dante, primo segretario.

CEYLON

Colombo – Cuneo Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 settembre 1951.

CILE

Santiago – Berio Alberto, ambasciatore; Macchi di Cellere Pio, consigliere, fino al 10 ottobre 1951; Moscato Niccolò, consigliere, dal 9 settembre 1951; Plaja Eugenio, primo segretario, fino al 9 maggio 1952; Falchi Silvio, primo segretario, dal 1° maggio 1952.

CINA

Nanchino – Strigari Vittorio, primo segretario, incaricato d’affari; Mizzan Ezio, primo segretario.

COLOMBIA

Bogotá – Fecia di Cossato Carlo, ambasciatore; Basso Amolat Maurizio, primo segretario.

COSTA RICA

San José – Riccio Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

CUBA

L’Avana – Mascia Luciano, ambasciatore; Emo Capodilista Gabriele, consigliere, dal 1° gennaio 1952; Sanfelice di Monteforte Antonio, primo segretario, fino al 13 gennaio 1952.

DANIMARCA

Copenaghen – Conti Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 gennaio 1952; Soardi di S. Antonino Carlo Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 marzo 1952; Maresca Adolfo, primo segretario.

DOMINICANA (Repubblica) (2)

Ciudad Trujillo – Rossi Longhi Gastone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 12 maggio 1952.

ECUADOR

Quito – Moscati Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

EGITTO

Il Cairo – Prunas Renato, ambasciatore, fino al 25 dicembre 1951; Ferrero Andrea, consigliere; Fragnito Giorgio, primo segretario; Guillet Amedeo, secondo segretario.

EL SALVADOR

San Salvador – Bianconi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ETIOPIA (3)

Addis Abeba – Tacoli Alfonso, ambasciatore, dal 14 febbraio 1952; Della Chiesa d’Isasca Renato, consigliere, dal 14 febbraio 1952; Corradini Giancarlo, secondo segretario, dal 14 febbraio 1952.

FILIPPINE

Manila – Telesio Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.


2 Con D.P.R. 30 giugno 1952, n. 1376 viene soppressa la legazione a Ciudad Trujillo e istituita nella stessa sede una ambasciata.


3 Ambasciata istituita con D.P.R. 27 ottobre 1951, n. 1682.

FINLANDIA

Helsinki – Vita Finzi Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

FRANCIA

Parigi – Quaroni Pietro, ambasciatore; Tassoni Estense Alessandro, consigliere; De Clementi Alberto, Marchiori Carlo, primi segretari; Pompei Gianfranco, secondo segretario; Falchi Silvio, terzo segretario, fino al 30 aprile 1952; Di Bernardo Nicolò, terzo segretario, dal 2 gennaio 1952; Albertario Carlo, quarto segretario, dal 4 gennaio 1952.

GERMANIA (Repubblica federale di)

Bonn – Babuscio Rizzo Francesco, ambasciatore; Pinna Caboni Mario, consigliere, dal 15 dicembre 1951; Alverà Pier Luigi, primo segretario, fino al 15 ottobre 1951; Winspeare Guicciardi Vittorio, primo segretario, dal 15 ottobre 1951; Favale Marco, secondo segretario.

GIAPPONE (4)

Tokyo – Lanza d’Ajeta Blasco, ambasciatore, capo della Rappresentanza diplomatica; Soro Giovanni Vincenzo, consigliere, dal 27 ottobre 1951; Rubino Eugenio, secondo segretario, fino al 1° ottobre 1951; Behmann Norberto, secondo segretario (dal 4 aprile 1952 primo segretario), dal 27 ottobre 1951.

GIORDANIA

Amman – La Terza Pierluigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Farinacci Franco, primo segretario.

GRAN BRETAGNA

Londra – Gallarati Scotti Tommaso, ambasciatore, fino al 20 dicembre 1951; Brosio Manlio, ambasciatore, dal 3 marzo 1952; Theodoli Livio, consigliere; Toscani Millo Antonio, Milesi Ferretti Gian Luigi, Farace Alessandro, primi segretari; Pascucci Righi Giulio, secondo segretario; Cornaggia Medici Castiglioni Gherardo, secondo segretario, fino al 14 aprile 1952; Carducci Artenisio, Bacchetti Fausto, terzi segretari.


4 Con D.P.R. 14 aprile 1952, n. 1017 viene soppressa la rappresentanza diplomatica a Tokyo e istituita nella stessa sede una ambasciata.

GRECIA

Atene – Alessandrini Adolfo, ambasciatore; Lanza Michele, consigliere; Volpe Arrigo, primo segretario, fino al 4 settembre 1951; Mansi Stefano, primo segretario, dal 24 agosto 1951.

GUATEMALA

Guatemala – Secco Suardo Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

Porto Principe – Guerrini Maraldi Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HONDURAS

Tegucigalpa – Mombelli Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

INDIA

New Delhi – Prina Ricotti Sidney, ambasciatore; Brugnoli Alberto, consigliere, fino al 25 aprile 1952; Toffolo Giovanni Battista, consigliere, dal 21 aprile 1952; Cavaglieri Alberto, secondo segretario, dal 21 dicembre 1951.

INDOCINA

Saigon – Gallina Vitale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 dicembre 1951.

INDONESIA

Djakarta – Bova Scoppa Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 ottobre 1951.

IRAN

Teheran – Cerulli Enrico, ambasciatore; Montanari Franco, consigliere.

IRAQ

Baghdad – Zamboni Guelfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 ottobre 1951; Gigli Americo, primo segretario.

IRLANDA

Dublino – Borga Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 30 aprile 1952; Silj di S. Andrea d’Ussita Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 maggio 1952; De Giovanni Luigi, primo segretario.

ISLANDA

, fino al 3 settembre 1951; De Vera d’Aragona d’Alvito Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario5, dal 28 novembre 1951.

ISRAELE

Tel Aviv – Giustiniani Raimondo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Gasparini Carlo, primo segretario, fino al 12 settembre 1951; Masotti Pier Marcello, secondo segretario.

JUGOSLAVIA

Belgrado – Martino Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Pierantoni Aldo, primo segretario; Sabetta Luigi, secondo segretario; Casilli d’Aragona Massimo, terzo segretario, fino al 24 aprile 1952; Valfrè di Bonzo Paolo, terzo segretario, dal 27 aprile 1952.

LIBANO

Beirut – Castellani Pastoris Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Vinci Piero, primo segretario.

LIBERIA

Monrovia – Campini Umberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 ottobre 1951.


5 Residente ad Oslo.

LIBIA (6)

Tripoli – Conti Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 febbraio 1952; Puri Purini Giuseppe, primo segretario, dal 20 marzo 1952.

LUSSEMBURGO

Lussemburgo – Rainaldi Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 ottobre 1951; Bossi Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 ottobre 1951.

MESSICO

Città del Messico – Petrucci Luigi, ambasciatore; D’Acunzo Benedetto, consigliere, fino al 2 marzo 1952; Aloisi de Larderel Folco, consigliere, dal 12 gennaio 1952; Nuti Gian Piero, secondo segretario.

NICARAGUA

Managua – Silvestrelli Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NORVEGIA

, fino al 3 settembre 1951; De Vera d’Aragona d’Alvito Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario7, dal 28 novembre 1951; Luciolli Giovanni, primo segretario.

NUOVA ZELANDA

Wellington – Carosi Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 agosto 1951; De Rege Thesauro Giuseppe, console, fino al 1° settembre 1951.

PAESI BASSI

L’Aja – Caruso Casto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Murari della Corte Brà Alessandro, primo segretario.


6 Legazione istituita con D.P.R. 7 gennaio 1952, n. 30.


7 Accreditato anche presso la Repubblica d’Islanda.

PAKISTAN

Karachi – Formentini Omero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 17 settembre 1951; Romanelli Renzo Luigi, primo segretario, fino al 7 febbraio 1952; Contarini Giuseppe, primo segretario, dal 16 giugno 1952.

PANAMA

Panama – Rosset Desandré Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione – Rotini Ambrogio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima – Bombieri Enrico, ambasciatore; Barbarich Alberto, consigliere; Canevaro di Castelvari e Zoagli Raffaele, secondo segretario, dal 5 ottobre 1951.

POLONIA

Varsavia – De Astis Giovanni, ambasciatore; Varvesi Nicola, secondo segretario.

PORTOGALLO

Lisbona – De Paolis Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 26 aprile 1952; Venturini Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 27 aprile 1952; Bellia Franco, primo segretario, fino al 24 novembre 1951; Pletti Mario, primo segretario, dal 19 dicembre 1951 al 12 aprile 1952; Manca di Villahermosa Enrico, primo segretario, dal 18 aprile 1952.

ROMANIA

Bucarest – Calisse Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Puri Purini Giuseppe, primo segretario, fino all’11 dicembre 1951; Tiberi Giorgio, primo segretario, dal 6 dicembre 1951.

SANTA SEDE

Roma – Meli Lupi di Soragna Antonio, ambasciatore; Mameli Francesco Giorgio, ambasciatore, dal 26 aprile 1952; Bosio Giovanni Jack, consigliere; Marinucci de Reguardati Costanzo, secondo segretario, fino al 31 ottobre 1951; Righetti Adriano, secondo segretario, dal 26 aprile 1952.

SIRIA

Damasco – Natali Umberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SPAGNA

Madrid – Taliani de Marchio Francesco Maria, ambasciatore; Lo Faro Francesco, consigliere; Cittadini Cesi Gian Gaspare, primo segretario; Bocchini Marcello, secondo segretario.

STATI UNITI

Washington – Tarchiani Alberto, ambasciatore; Luciolli Mario, Ortona Egidio, consiglieri; Sensi Federico, primo segretario; Bounous Franco, primo segretario, fino all’8 settembre 1951; Costa Sanseverino di Bisignano Edoardo, primo segretario, dal 16 giugno 1952; Trabalza Folco, secondo segretario; Catalano di Melilli Felice, secondo segretario (dall’8 settembre 1951 primo segretario), fino al 15 giugno 1952; Riccardi Roberto, secondo segretario, dal 19 settembre 1951; Bettini Emilio, terzo segretario; Marras Raffaele, quarto segretario.

SVEZIA

Stoccolma – Migone Bartolomeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 1° ottobre 1951; Del Drago Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 ottobre 1951; Clementi di S. Michele Raffaele, primo segretario.

SVIZZERA

Berna – Reale Egidio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Prunas Pasquale, primo segretario, fino al 16 maggio 1952; Tallarigo Paolo, primo segretario, dal 16 maggio 1952; Morozzo Della Rocca Antonino, secondo segretario, fino al 18 gennaio 1952; Galluppi Enrico, secondo segretario, dall’11 marzo 1952; Borin Ottorino, terzo segretario.

THAILANDIA

Bangkok – Ferretti Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

TURCHIA

Ankara – Pietromarchi Luca, ambasciatore; Russo Augusto, primo segretario; Rossi Mario Franco, secondo segretario.

UNGHERIA

Budapest – Guglielminetti Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 1° settembre 1951; Paulucci Mario, primo segretario; Rossetti Romano, secondo segretario.

UNIONE DEL SUD AFRICA

Pretoria – Fracassi Ratti Mentone Cristoforo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Franco Fabrizio, primo segretario, fino al 2 ottobre 1951; De Ferrari Giovanni Paolo, primo segretario, dal 25 ottobre 1951.

U.R.S.S.

Mosca – Brosio Manlio, ambasciatore, fino al 17 dicembre 1951; Di Stefano Mario, ambasciatore, dal 19 maggio 1952; Zamboni Guelfo, consigliere, fino al 24 ottobre 1951; Figarolo di Gropello Adalberto, consigliere, dal 21 agosto 1951; Bolasco Ernesto Mario, secondo segretario.

URUGUAY

Montevideo – Tacoli Alfonso, ambasciatore; Rulli Guglielmo, ambasciatore, dal 12 ottobre 1951; Gabrici Tristano, consigliere.

VENEZUELA

Caracas – Vidau Luigi, ambasciatore; Navarrini Guido, consigliere; Tornetta Vincenzo, secondo segretario.

______________

MISSIONE ITALIANA A TRIESTE

Carrobio di Carrobio Renzo, consigliere, capo della rappresentanza.

RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO LA N.A.T.O., Londra (8)

Rossi Longhi Alberto, ambasciatore, capo della rappresentanza; Straneo Carlo Alberto, consigliere; Orlandi Contucci Corrado, primo segretario; Ducci Roberto, primo segretario, fino al 10 agosto 1951; Pansa Cedronio Paolo, primo segretario, dal 6 settembre 1951; Carrara Enrico, terzo segretario.

RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO L’O.E.C.E., Parigi

Cattani Attilio, ambasciatore, capo della rappresentanza; Caracciolo di San Vito Roberto, consigliere, fino al 30 novembre 1951; Prunas Pasquale, consigliere, dal 9 giugno 1952; Colonna di Paliano Guido, primo segretario; de Strobel di Fratta e Campocigno Maurizio, primo segretario, fino al 9 giugno 1952; Ducci Roberto, primo segretario, dall’11 agosto 1951; Maccotta Giuseppe Walter, primo segretario, dal 7 novembre 1951; Franzì Mario, D’Orlandi Giovanni, secondi segretari.

RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO IL CONSIGLIO D’EUROPA, Strasburgo

Cavalletti di Oliveto Sabino Francesco, primo segretario, capo della rappresentanza; Caracciolo di Castagneto Filippo, primo segretario.

RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO L’O.N.U., New York

Guidotti Gastone, ambasciatore, capo della rappresentanza, dal 25 aprile 1951; Roberti Guerino, consigliere; Brigidi Giuseppe, primo segretario, dal 5 novembre 1951; Giretti Luciano, secondo segretario, dal 22 novembre 1951; Francisci di Baschi Marco, terzo segretario.


8 Da aprile 1952 la rappresentanza è trasferita a Parigi.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(26 luglio 1951-30 giugno 1952)

Afghanistan – Osman Amiri Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Sherzad Gholam Mohamed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 18 marzo 1952; Ibrahim Mohammed, primo segretario.

Albania – Shtylla Behar, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 giugno 1952; Konica Skender, consigliere stampa; Dilo Niko, primo segretario; Beqiri Shemsi, Andoni Kleanthi, Kallço Koço, secondi segretari; Balilaj Sinan, secondo segretario, dal 26 febbraio 1952.

Arabia Saudiana – Mouvaffaq el Aloussy bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina – Gonzales Risos Bernabé Samuel, ambasciatore; Fraga Rosendo M., ministro consigliere; Baldrich Ricardo, consigliere; Comolli Guido, primo consigliere economico; Martese Juan Bautista, secondo consigliere economico, dal 6 agosto 1951; Muñoz Azpiri José Luis, primo segretario; Cueto Arturo Ricardo, secondo segretario.

Australia – Kellway Cedric Vernon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Gibson John A., secondo segretario; Senger A.L., consigliere commerciale, dal 1° novembre 1951.

Austria – Schwarzenberg Johannes E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Krippl-Redlich Rudolf, primo segretario; Holtz Harald, Proksch Johannes, segretari; Kudernatsch Friedrich, segretario, dal 15 ottobre 1951; Froelichsthal Friedrich, segretario, dal 10 maggio 1952.

Belgio – Motte André, ambasciatore; Van der Elst Joseph, ambasciatore, dal 21 novembre 1951; de Ridder Frédéric, consigliere; Cogels Frédégand, consigliere, incaricato degli affari economici, dal 10 settembre 1951.

Bolivia – N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Arce Pacheco Jorge, ministro consigliere.

Brasile – Alves de Souza Carlos, ambasciatore; da Rocha Antonio Xavier, consigliere commerciale; Tostes Theodemiro, primo segretario; de Alencar Fernando Ramos, primo segretario, dal 16 novembre 1951; Moreira de Mello Mellilo, Dayrell de Lima Everaldo, de Carvalho Silos Geraldo, secondi segretari; Vieira de Mello Mario, secondo segretario, dal 3 settembre 1951.

Bulgaria – Popchristov Damian P., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Anghelov Constantin, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 7 maggio 1952; Ivanov Stoiko, consigliere; Ranghelov Stanco, primo segretario; Nedev Jordan, Michov Neno Michailov, terzi segretari.

Canada – Desy Jean, ambasciatore; Dupuy Pierre, ambasciatore, dal 13 giugno 1952; MacDonald Shirley Graeme, consigliere commerciale; Beaulne Yvon, Mac Laurin Teakles John, secondi segretari; Hardy Joseph E. Ghislain, secondo segretario, dal 1° giugno 1952; Wilgress Edward D., terzo segretario, dal 21 marzo 1952; Strong Maxwell Scott, segretario commerciale; Caron A. Antoine, segretario commerciale aggiunto.

Cecoslovacchia – Matousek Miloslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Kaisr Oldrich, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 giugno 1952; Pacák Miloš, consigliere; Werner Bohumil, secondo segretario.

Ceylon – Gunewardene Ratnakirti Senarat Seresinghe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 aprile 1952; Basnayake Arthur, segretario, dal 2 aprile 1952.

Cile – Chiorrini Amilcar, ambasciatore, dal 14 maggio 1952; Silva Abelardo, ministro consigliere; Campo Carlos, ministro consigliere, dal 20 marzo 1952; Urritia Trabucco Juan, primo segretario; Wilson Gaston, primo segretario, dal 22 novembre 1951; Barros Victor, secondo segretario.

Cina – Yü Tsune-Chi, ambasciatore; Wei Ken-Shen, primo consigliere; Chang Chia-yung, primo segretario.

Colombia – Zuleta Angel Eduardo, ambasciatore; Arciniegas Garcia Belisario, consigliere.

Costa Rica – Castro Teodoro B., primo segretario, incaricato d’affari ad interim, dal 14 maggio 1952 ambasciatore.

Cuba – de Blanck Guillermo, ambasciatore; de la Luz León José, ministro consigliere, dal 27 dicembre 1951.

Danimarca – Rasmussen Gustav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bull Tage, ministro consigliere; de Dompierre de Jonquières Frederik G., primo segretario.

Dominicana (Repubblica) – Rodriguez Demorizi Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Fernández Simó Alfredo, primo segretario, dall’8 gennaio 1952.

Ecuador – Jacome Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Zaldumbide Cristobal Pallares, primo consigliere, dal 1° aprile 1952; Arteta Carlos Alberto, consigliere; Vela-Barona Gonzalo, secondo segretario.

Egitto – Badr bey Mohamed Abdel Aziz, ambasciatore; Darwiche Ali Hassan, consigliere; Ramadan Abdel Meguid, consigliere stampa; Nafeh Zadé Bey Abd-El-Hamid, primo segretario, dal 5 febbraio 1952; Fahim Amin Mohamed, Cherif Hussein, Gennaoui Youssef, terzi segretari; Chedid Mohamed, segretario commerciale.

El Salvador – Sesostris Canessa Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Berga Schönenberg Rod, segretario, dal 28 agosto 1951.

Etiopia – Abraham Emmanuel, ambasciatore, dal 19 giugno 1952; Abebe Kebbede, secondo segretario, dal 19 giugno 1952.

Filippine – Sebastian Proceso E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Maloles Octavio L., primo segretario; Alzate Manuel A., primo segretario, dal 28 febbraio 1952; Sta Romana Eutiquio O., terzo segretario.

Finlandia – Holma Harri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Thesleff Alexander, consigliere.

Francia – Fouques-Duparc Jacques, ambasciatore; Sebilleau Pierre, consigliere; Hugues Jean, consigliere commerciale; Vieillefond René, consigliere culturale; Torres Charles, Winckler Jean-Claude, primi segretari; Fourier-Ruelle René, secondo segretario; De Seguin Jean, ministro plenipotenziario, consulente per i beni dissequestrati.

Germania (Repubblica federale di) – Brentano Clemens von, ambasciatore; Wolf Gerhard, Heggenreiner Heinz, Bieberstein Krasicki Dennis von, consiglieri; Strachwitz Rudolf, consigliere, dal 22 aprile 1952; Eiswaldt Erich, consigliere commerciale; Kusserow Ernst, consigliere sociale; Sattler Dieter, consigliere affari culturali, dal 30 giugno 1952; Bauer Herbert, secondo segretario, dal 7 gennaio 1952.

Giappone – Inoue Tarajiro, ministro, incaricato d’affari ad interim, dal 28 aprile 1952; Takigawa Masahisa, secondo segretario, dal 28 aprile 1952; Tamura Yutaka, terzo segretario, dal 30 giugno 1952.

Giordania – Roch bey Edmond, incaricato d’affari; Jayyousi Burhan, terzo segretario.

Gran Bretagna – Mallet Victor A. L., ambasciatore; Lingeman E.R., Dean P.H., ministri; Joint E.J., ministro, dal 6 novembre 1951; Young G.P., ministro, dal 12 dicembre 1951; Braine W.H., consigliere; Pilcher Y., Hannaford G.G., Adams M.C., Reddaway G.F.N., Russel J.W., Benton K.C., Neville-Therry W.B., primi segretari; Rooke J.S., primo segretario, dal 25 ottobre 1951; Hebblethwaite S.H., primo segretario, dal 15 dicembre 1951; Henderson C.H., Maxwell W.N.R., Trounson A.D., Cremona S., Jones R.E., Shute T.A.E., Rae C.R.A., Milne A.K., Brinson D.N., Coate G.R., Adams F.G., secondi segretari; Brooks K.O., secondo segretario, dal 24 aprile 1952; Gold R.M., secondo segretario, dal 3 maggio 1952; Isolani C. T., Charles D.F.N., Higgs A.E., Latham H.R.W., terzi segretari.

Grecia – Exindaris George, ambasciatore; Argyropoulos Alexandre J., ambasciatore, dal 20 febbraio 1952; Tziras Alexandre, ministro consigliere; Vlachos Ange S., primo segretario; Touloupas Jean, secondo segretario.

Guatemala – Martinez Duran Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Cosenza Galvez Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 agosto 1951; Solares Enrique, primo segretario.

Haiti – Zéphirin Mauclair, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bernardin Emmanuel, segretario.

Honduras – Lopez Rodezno Arturo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 aprile 1952; Zelaya Rubi Virgilio, segretario, dal 2 aprile 1952.

India – Khosla J.N., incaricato d’affari ad interim, dal 29 novembre 1951; Bajpai Sarda, consigliere commerciale; Bikram Shah Maharajkumar, secondo segretario.

Indonesia – Wirjopranoto Sukardjo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 18 marzo 1952; Sastrowardoyo Suryono, segretario, dal 18 marzo 1952; Sidik Martohardjono Mohamad, terzo segretario, dal 12 maggio 1952.

Iran – Mansour Ali, ambasciatore; Achtari Ibrahim, consigliere; Eghbal Abbas, consigliere culturale; Adle Tabatabai Morteza, Marzban Manoutchehr, primi segretari; Diba Fereydoun, secondo segretario.

Iraq – Al-Jamil Sayid Mohammed Fakhiri, primo segretario, incaricato d’affari; Daghistani Khalil, terzo segretario.

Irlanda – Devlin Denis Alfred, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Power Patrick F., segretario.

Islanda – Benediktsson Petur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1.

Israele – Ginossar Shlomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino a maggio 1951; Ishay Moshe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 1° agosto 1951; Halevi Eliezer, consigliere; Ginthon Reuven G., consigliere commerciale; Ilsar Yechiel, primo segretario; Barzakay Zvi, terzo segretario.

Jugoslavia – Ivekovic Mladen, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Velebit Vladimir, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 22 gennaio 1952; Soldatic Dalibor, primo consigliere; Dumic Nikola, consigliere; Barbalic Ivan, Cernicoj Eugen, consiglieri commerciali; Filipic Antonije, consigliere commerciale aggiunto; Fortic Dusan, consigliere stampa; Stanic Bozidar, Zulj Berislav, primi segretari; Kuis Petar, Gosovic Velisa, secondi segretari; Stojadinovic Borislav, secondo segretario, dal 24 agosto 1951; Kljun Eduard, secondo segretario, dal 17 marzo 1952.

Libano – Khoury Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Banna Mahmoud, primo segretario; Bitar Zeidan, primo segretario, dal 18 marzo 1952.

Messico – Ojeda Carlos Dario, ambasciatore; Garza Ramos Mario, consigliere; Ruiz G. Wulfrano, consigliere commerciale1; de la Vega Jorge, secondo segretario.

Monaco – de Witasse Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia – Fay Hans, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bentzon Sigurd, ministro consigliere; Moltke-Hansen Axel Ivar Lucien, primo segretario; Rindal Inge, primo segretario, dal 1° gennaio 1952.

Paesi Bassi – de Bylandt Willem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Fack R., primo segretario; van Walen Willem, primo segretario commerciale; Cohen Stuart W.V., secondo segretario.

Pakistan – Rahman Habibur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Khan Saeed Ullah, segretario commerciale; Malik Aslam, secondo segretario; Farooqi Z. M., terzo segretario.

Panama – Perez Felipe O., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 agosto 1951; Caselli Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 7 maggio 1952; Mendez Luis Ernesto, segretario, dal 13 agosto 1951.

Paraguay – Cataldi Jose Virgilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 agosto 1951; Fernandez Anibal, primo segretario, dal 10 agosto 1951.

Perù – Pinto Manchego Raul, ambasciatore, dal 13 giugno 1952; Cerro Cebrian Vicente, ministro consigliere; Pagador Puente Mariano, terzo segretario.

Polonia – Druto Jan, ambasciatore, dal 20 febbraio 1952; Weiss Edward, consigliere commerciale; Tykocinski Wladislaw, primo segretario; Techniczek Maciej, primo segretario, dal 27 dicembre 1951; Gutt Zygmunt, secondo segretario.

Portogallo – de Calheiros e Menezes Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Pinto de Lemos Abilio Andrade, primo segretario; Barbosa de Medina Rui Eduardo, segretario, dal 24 aprile 1952.

Romania – Malnasanu Aurel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 giugno 1952; Comnacu Niculae, consigliere; Ganea Petre, Magheru Anca, primi segretari; Ivan Gheorghe, terzo segretario, dal 21 agosto 1951; Lemnaru Ion, terzo segretario, dal 23 agosto 1951.

Santa Sede – Borgongini Duca Francesco, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; Cherubini Francesco, monsignore, consigliere; Cagna Mario, monsignore, uditore; Prigione Gerolamo, monsignore, segretario, dal 1° novembre 1951.

Siria – Mardam Haidar Bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 settembre 1951; Sibahi Zakaria, segretario, dal 28 settembre 1951.

Spagna – de Sangroniz y Castro José Antonio, ambasciatore; de Ranero y Rodriguez Juan Felipe, ministro consigliere; Alcover y Sureda José Felipe, Ponce de Leon Mario, consiglieri; Barnach-Calbo y Ginesta Ernesto, primo segretario; Garrigues Diaz-Cañabate Emilio, primo segretario, dal 15 gennaio 1952; Gonzales-Campo dal Re José Carlos, Barroso Feltrer Manuel, Iturralde y de Pedro Juan, secondi segretari; Ochoa y Ochoa Luis, secondo segretario, dal 7 ottobre 1951; Manzanares y Herrero Carlos, secondo segretario, dal 10 gennaio 1952.

Stati Uniti – Dunn James Clement, ambasciatore; Bunker Ellsworth, ambasciatore, dal 7 maggio 1952; Thompson Llwellyn E. jr, ministro; Barnett Vincent M. jr, capo degli affari economici; Horsey Outerbridge, Cottam Howard R., Free Lloyd Arthur, Chipman Norris B., consiglieri; Warner Carlos J., Mellen Sydney L., Hohenthal Theodore, Ocheltree John B., primi segretari; Freeman Fulton, primo segretario, dal 6 agosto 1951; Freers Edward L., primo segretario, dal 16 ottobre 1951; Geier Paul, primo segretario, dal 29 ottobre 1951; Unger Leonard, primo segretario, dall’11 febbraio 1952; Seagrave Norman P., primo segretario, dal 5 maggio 1952; Knight William E., Pappano Albert E., Humes Elizabeth, Higdon Charles E., Holcomb Franklin P., Siscoe Frank G., Fidel E. Allen, Weise Robert W., Fraleigh William N., Looram Matthew J. jr, Scarbrough Dwight E., secondi segretari; O’Sullivan James L., secondo segretario, dal 15 ottobre 1951; Davis Nathaniel, secondo segretario, dal 29 febbraio 1952; Olson Andrew E., secondo segretario, dal 17 giugno 1952; Shea John J., terzo segretario; Lindsay Philip M., terzo segretario, dal 7 gennaio 1952.

Sud Africa (Unione del) – Theron François Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Poole William Henry Evered, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 settembre 1951; Kirsten Robert, primo segretario; Viljoen A.J.F., secondo segretario; Douthwaite Graham, secondo segretario, dal 6 novembre 1951; Marè Andre S., terzo segretario; Hugo Willem S., terzo segretario, dal 28 agosto 1951; Barnard W.A.B.R., segretario commerciale.

Svezia – Beck-Friis Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bergenstrahle Carl, consigliere; Hennings Lennart, secondo segretario.

Svizzera – Celio Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Parodi André, consigliere; Keel Guido, consigliere, dall’8 ottobre 1951; Musy Lucien, Berla Angelo, Exchaquet Olivier Barthelemy, secondi segretari; Kramer Hans-Conrad, secondo segretario, dal 17 settembre 1951.

Turchia – Baydur Huseyin Ragip, ambasciatore; Tunaligil Danis, Boravali Mustafà, consiglieri; Tuluy Turan, primo segretario; Durukan Nuzhet, primo segretario, dal 27 maggio 1952; Karaman Nezih, secondo segretario; Akbil Melih, secondo segretario, dal 7 aprile 1952.

Ungheria – Kálló Iván, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Szabó Emerico, consigliere; Lastofka Béla, consigliere commerciale, dal 21 settembre 1951.

U.R.S.S. – Kostylev Mikhail, ambasciatore; Soloviev Pavel, rappresentante commerciale; Mikhailov Serguei, Iakovlev Dimitri, consiglieri; Salimovski Vladimir, Vichniakov Serguei, vice rappresentanti commerciali; Medvedovski Pavel, Timofeev Nikolai, Kisselev Dimitri, primi segretari; Bojanov Alexandre, Rogov Mikhail, Pokrovski Alexei, Nikouline Ivan, Novosselov Dimitri, Laktioukhov Mikhail, secondi segretari; Soutoulov Veniamin, secondo segretario, dal 6 giugno 1952; Bondarenko Sviatoslav, terzo segretario; Maliouguine Alexandre, terzo segretario, dal 1° novembre 1951.

Uruguay – Giambruno Cyro, ambasciatore; Regalia German Roose, ministro consigliere; Di Lorenzo Pedro Maria, consigliere, dal 30 agosto 1951; Fajardo Alberto M., consigliere, dal 6 maggio 1952; Avegno Illa Emilio J., segretario.

Venezuela – Gil-Fortoul Henrique, ambasciatore; Torre Vivas Julio, consigliere;Paoli Chalbaud Néstor, consigliere, dal 3 novembre 1951.